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Lluís Clavell

Pablo Gómez-Lobo Peñaloza


Lettura di testi filosofici II
24/2/21

Felicità e contemplazione cap. I-IV


C’è contradizione nell’affermare che la volontà desidera liberamente la felicità,
sebbene allo stesso tempo la desideri necessariamente? Definire desiderio di felicità
e ragionare sulle sue caratteristiche.

Se io faccio una barchetta di carta e la metto sull'acqua, questa barchetta salperà fino a
quando la carta si bagne, si rovine e si affondi nell'acqua; questo accadrà sempre
giacché la natura della carta è quella di essere suscettibile a bagnarsi con l'acqua
necessariamente, sempre che è in contatto con essa, sia direttamente con qualche
liquido oppure con l'umidita dell'aria. Allo stesso modo, noi essere umani siamo fatti in
un certo modo per un certo scopo. Per acetare questo si deve, da un lato, fare un
percorso di teologia naturale arrivando al principio creatore di tutto, tramite le sue
perfezioni plasmati nelle sue creature, ma penso che questo è un altro discorso.

Da altro lato se osserviamo con attenzione, vediamo come l'uomo per sviluppare tutte
le sue capacità, per arrivare ad una felicità piena, ha bisogno degli altri, ha bisogno di
amare e sapersi amato, ha bisogno di sentirsi sicuro. Si capisce come abbiamo la
capacità di amare tutto ma non ci bastiamo da soli. Questo ci apre ad una
trascendenza vedendo gli altri ma anche ad una trascendenza infinita, giacché il
desiderio di felicità non si esaurisce mai. Quindi io sono fato per essere felice, questa
felicità corrisponde alla realizzazione della mia natura razionale, e questo si raggiunge
liberamente tramite le mie azioni, tramite le virtù (che sono il modo in cui la ragione
governa tutte le mie dimensioni stabilmente), quindi non c'è contradizione nel dire che
tendo alla felicità necessariamente per natura e liberamente.

Il desiderio di felicità si potrebbe definire come quella tendenza naturali, cioè communi
a tutti gli esseri umani, che ci spinge ad agire secondo la propria natura, ovvero a
perseguire il bene comuni a noi come essere umani.

Quindi si potrebbe dire prima che è universale a tutti gli esseri umani. Anche è infinito,
giacché come esseri spirituali, il nostro spirito è aperto all'infinito, quindi non bastano
per sodisfarlo i beni finiti, né materiali né spirituali. Ma anche molto spesso si
confonde questo desiderio del bene con il desiderio dei beni, questo capita soprattutto
con il piacere, il potere, il danaro, l'onore, ecc. Ma sempre alla fine esperimentiamo
come questa smodata soddisfazione delle tendenze non ci comporta felicità ma invece
tristezza e sofferenza, come diceva San Jose María Escrivá: "E pensare che per la
soddisfazione di un momento, che ti ha lasciato depositi di fiele e acido, hai perso il
"cammino"!

E per finire solo accennare come il cristianesimo ha aggiunto la dimensione della


felicità come divinizzazione vedendo Dio anche negli altri, cioè nell'amore più perfetto.

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