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 MARTIN JAY

mera distruzione delle visualità egemoniche non equivale Modi dell’ékphrasis in Foucault
necessariamente alla denigrazione di tutta l’esperienza vi- Michele Cometa
suale, ma è lontana dal postulare un’alternativa comple-
tamente sana, poiché non c’è veridicità dell’occhio, né
percezione intuitiva del mondo attraverso l’immediatezza
dei sensi.
In breve, non c’è parresia visuale per Foucault, il qua-
le come Derrida, avrebbe avvertito Cézanne che l’obbli-
go di dire all’amico la verità in pittura sarebbe rimasto un
debito mai estinto.

(traduzione di Federica Mazzara)


1. Visual culture

1
Quale che sia il significato che si vuole attribuire al-
Il motto derivava dai versi di Orazio: “... nullius addictus iurare in verba
magistri, quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes” (Epistole, I 1 14). le immagini e alla visualità nell’opera di Foucault – sia
che lo si voglia interpretare sullo sfondo della striscian-
te iconofobia dell’ermeneutica francese contemporanea,
o se ne voglia, per converso, esaltare l’iconofilia – è in-
dubbio che la sua esperienza intellettuale sta alla base
della “visual culture” contemporanea, o più esattamen-
te di quel pictorial turn, per dirla con W. J. T. Mitchell,
che ha caratterizzato gli studi visuali – dalla tradiziona-
le storia dell’arte alla realtà virtuale – nel secondo No-
vecento1.
Foucault è indiscutibilmente uno dei padri della “visual
culture” contemporanea, sia perché a lui si devono alcu-
ni dei concetti fondamentali di questa tradizione di studi
– non da ultimo quello di “sguardo” che pure informa que-
sto colloquio – sia perché, con l’evoluzione della filologia
foucaultiana si è sempre più approfondito il rapporto che
l’autore stesso aveva con le immagini, con la visualità e con
le arti figurative nel suo complesso. Del resto è evidente a
tutti che la “visual culture” contemporanea deve a Fou-
cault nozioni strategiche su ogni piano del proprio statu-
to disciplinare:
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

- dalla questione della “rappresentazione classica” – che della teoria dell’immagine e della visualità del tardo No-
ha letteralmente riscritto le sorti della storia e della criti- vecento – dalla Alpers a Stoichita, da Mitchell a Crary, da
ca d’arte tardonovecentesca (si pensi alla “riscoperta” cri- Preziosi a Holly, da Jay a Brandt, hanno infatti dovuto fa-
tica de Las Meninas, a “small cottage industry” come l’ha re i conti con queste icone – e con molte altre immagini
ironicamente definita Martin Jay); più o meno segrete – e, ovviamente, con i problemi solle-
- all’indagine sui “dispositivi della visione”, si pensi al vati da Foucault.
Panopticon, con le sue infinite implicazioni architettoniche Per chi conosce questo panorama non sarà difficile
e sociali; comprendere il luogo preciso in cui la riflessione di Fou-
- alla nozione di “regime scopico” – resa popolare da cault si è fatta cruciale per noi, contribuendo a dipanare
Martin Jay (1993b) e da Jonathan Crary (1990) – che, an- le nebbie della secolare tradizione dell’ut pictura poësis,
te litteram, è costantemente presente nei grandi affreschi quella forma di pensiero – forse tipicamente occidentale
foucaultiani; – che entra in scena quando un’immagine viene evocata in
- alla teoria del “gaze” con cui Foucault risponde ai suoi un testo, sia pure a fini scopertamente epistemologici co-
più stretti contemporanei, da Sartre a Lacan e a Barthes; me nel caso di Foucault.
- al tema infine – questo specificatamente foucaultia- È la grande questione dell’ékphrasis, della “rappre-
no – della “materialità della pittura” su cui si concentra sentazione verbale di una rappresentazione visuale” (Krie-
quel piccolo capolavoro che sono le lezioni su Manet (Fou- ger 1991), la questione cruciale del rapporto agonale tra
cault 2004c). visibile e dicibile (Cometa 2004, pp. 7-20).
Anche sul piano della mera “critica d’arte” e dell’“este- Già nella Nascita della clinica (1963a), quando non
tica”, Foucault ha aperto molte strade che la sua prema- parla dell’esperienza artistica ma di quella medica, nello
tura scomparsa ha richiuso brutalmente. Mi riferisco alle straordinario capitolo sullo sguardo clinico, Foucault cer-
note su Wahrol, sugli iperrealisti, e anche alle lezioni sul ca di decostruire la grande illusione occidentale di una tra-
Quattrocento italiano tenute in Tunisia. Uno dei meriti di duzione immediata dal visibile al dicibile, dal sintomo al-
Daniel Defert2 è stato proprio quello di attirare più volte la diagnosi:
l’attenzione su questi scritti “mai-scritti” e sugli altri, oc-
al di sopra di tutti questi sforzi del pensiero clinico per de-
casionali ma non per questo meno decisivi per la “visual finire i suoi metodi e le sue norme scientifiche, plana il gran-
culture” contemporanea, raccolti nei Dits et écrits. de mito d’un puro sguardo che sarebbe puro Linguaggio:
Ancor più decisiva, per l’ampio e differenziato spettro Occhio che parlerebbe (…) quest’occhio che parla sarebbe
di ricezioni che ha prodotto, è la scelta di alcune icone che il servitore delle cose e il maestro della verità (p. ???).
hanno attraversato gli studi di “visual culture” del tardo
Novecento (dalla storia dell’arte alla semiotica della pub- Il condizionale di Foucault chiarisce già all’inizio
blicità). Se Aby Warburg ha imposto il Déjeuner sur l’her- della sua ricerca che né il linguaggio né la visione pos-
be di Manet a tutta la storia dell’arte novecentesca, a Fou- sono attingere alla verità e che entrambi, semmai, sono
cault si devono icone come le già citate Meninas di Veláz- catturate in una costruzione discorsiva di cui Foucault
quez, il Bar aux Folies-Bergère e Olympia di Manet, e Ce- si sforza, per tutta una vita, di individuare le leggi ge-
ci n’est pas une pipe di Magritte. Tutti i principali classici nealogiche.
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Al rapporto tra dicibile e visibile del resto Foucault magini, metafore, paragoni, ciò che si sta dicendo: il luogo
aveva dedicato un precocissimo saggio apparso nel 1967 in cui queste figure splendono non è quello dispiegato da-
con il titolo Le parole e l’immagine3, dedicato a uno dei gli occhi, ma è quello definito dalle successioni della sintas-
padri dell’iconologia novecentesca, Ervin Panofsky, di cui si (1966a, p. 23).
all’epoca erano apparse due traduzioni francesi. È un
testo che meriterebbe ulteriori approfondimenti per la Tonalità lessinghiane – se si esclude la metafora tutta
sua complessità, non a caso sempre più evidenziata dal- visiva delle “figure che splendono”, argomentazioni che
la critica. Esso è in un certo senso la Urzelle di una teo- oppongono il “coesistente” della pittura al “successivo”
ria che viene sviluppata per tutta una vita. Non si di- della scrittura. E tuttavia – sono parole sue – Foucault in-
mentichi però che il “neofita… entusiasta”4, come ama tende mantenersi “nell’infinito di questo compito” (p.
schernirsi Foucault, ha alle sue spalle già la descrizione 24), prossimo alla pittura e alla scrittura, al visibile e al di-
de Les Suivantes (1965)5, ripubblicata ne Le parole e le cibile. Appaesarsi in questo “linguaggio grigio, anonimo
cose (1966a, pp. 17-30). (…) meticoloso e ripetitivo” (ib.) per “accendere” il chia-
Con Panofsky Foucault scopre la “vita delle forme”, rore dell’immagine.
quella peculiare “organica” che produce la migrazione L’ékphrasis di Foucault è una retorica scaltra, per nul-
delle figure e la loro risemantizzazione nel tempo: così la appiattita sull’ottimismo dell’ut pictura poësis; essa sa che
come i “temi” attraversano i testi, i “motivi plastici” at- le due arti, semmai, sono sorellastre, sempre disposte a
traversano i corpi della figurazione: “Il discorso e la figu- strapparsi il primato l’un l’altra. Anzi è proprio l’ékphra-
ra hanno ognuno il loro modo d’essere; ma intrattengono sis a svelare l’eterna menzogna o utopia di una perfetta
dei rapporti complessi e intricati. È il loro funzionamen- coincidenza di visibile e dicibile. Senza di essa, semmai, ri-
to reciproco che si tratta di descrivere”6. marrebbe l’eterno mutismo e splendore dell’immagine e
Per Foucault dunque l’ékphrasis – che opta per il ver- l’incessante mormorio della parola.
bale si badi bene –, è sempre “descrizione di una batta- Chi cercasse in Foucault le sicurezze dell’ékphrasis clas-
glia”, agonale confronto tra dicibile e visibile nel dicibile, sica sarà totalmente deluso. Essa è per lui piuttosto una
reciproco “funzionamento”, dispositivo diremmo oggi, “terra di nessuno” che si definisce per differenza, in que-
con Foucault. sto sì una forma laica di teologia negativa di quelle che tan-
to affascinavano Foucault e con lui Barthes, Calvino e di
Egli è del resto perfettamente consapevole della so-
recente pure Eco; nello spazio intermedio tra visibile e di-
stanziale impossibilità dell’ékphrasis se non altro nel cele-
cibile è possibile abitare, purché si sappia che il fonda-
bre passo dell’interpretazione di Las Meninas in cui pe-
mento di quello che si dice è altrove e può emergere per
rentoriamente afferma:
contrasto solo sullo sfondo di ciò che si vede, mentre il fon-
il rapporto tra linguaggio a pittura è un rapporto infinito. damento di quello che si vede riluce tra le trame di ciò che
Non che la parola sia imperfetta e, di fronte al visibile, in una si dice.
carenza che si sforzerebbe invano di colmare. Essi sono ir- La riflessione più lucida su questa “terra di nessuno”
riducibili l’uno a l’altra: vanamente si cercherà di dire ciò che Foucault la nasconde tra le pieghe del suo saggio su Ma-
si vede; ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice; altret- gritte quando a proposito della distanza fisica tra il dise-
tanto vanamente si cercherà di far vedere, a mezzo di im- gno della pipa e il disegno della scritta dice: “Ed è anco-
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ra poco dire che c’è un vuoto o una lacuna: si tratta piut- classica (1961). Persino Sorvegliare e punire (1975) si apre
tosto di un’assenza di spazio, di una cancellazione del con un’immagine che questa volta non ha referenti pitto-
“luogo comune” tra i segni della scrittura e le linee delle rici – si tratta infatti dello squartamento di Robert-François
immagini” (1988, p. 37). Damiens – ma che sembra nutrirsi dell’immaginario pit-
Per comprendere fino in fondo questa tesi – che ci torico del supplizio e che comunque si presenta nella sua
piace parafrasare prendendo in prestito dal suo amico Ro- compattezza come un’ipotiposi classica in cui Foucault, fa-
land Barthes (1982) – i concetti reciproci e interdipendenti cendo parlare le fonti, si compiace dell’evidenza e dell’i-
di ovvio e ottuso, sarà utile una ricognizione precisa delle casticità della descrizione.
sue ékphrasis che non si possono comprendere a partire È chiara la funzione retorica di queste straordinarie
dalle questioni teoriche, ma, al contrario, dalla forma spe- descrizioni, come è evidente il dispiegarsi in queste oc-
cifica della sua scrittura. casioni di quel “pensiero pittorico/pitturale” (pensée
picturale) come l’ha recentemente definito Stefano Ca-
tucci (2004) così caratteristico per Foucault, pensiero
2. L’angelo con la spada di fuoco pittorico che costituisce la “strategia narrativa” propria
dell’autore. Si tratta di “immagini-diagrammi” che isti-
Foucault, infatti, non si interroga solo sullo statuto teo- tuiscono il testo, lo fondano, come ebbe a dire acuta-
rico dell’arte antica e moderna. Né si limita a inserire le mente, Michel de Certeau (2006b). Esse sono lo sfondo
pratiche artistiche nelle proprie ricostruzioni genealogiche. ottuso – diremmo noi – su cui può risaltare icastica-
L’arte non è mai, semplicemente, ancilla della filosofia, oc- mente l’ovvio del testo.
casione per dispiegare la complessità delle sue interpreta- Tuttavia è necessario completare queste considerazio-
zioni o, per completare, sul piano specifico di questa pra- ni tenendo conto anche di un aspetto spesso trascurato e
tica discorsiva, i “quadri” sociali che Foucault intende di- che invece è decisivo per la struttura argomentativa dei te-
pingere. Ai fenomeni artistici Foucault è interessato anche sti ricordati. L’angelo della descrizione non apre solo la
per il “potere” che le immagini esercitano sul lettore e per porta del paradiso. La chiude anche.
il “piacere” che essi suscitano. Queste ékphrasis magistrali non stanno solo negli inci-
Fiumi di inchiostro sono stati versati sui dipinti che pit delle opere, ma svolgono anche una funzione di cor-
Foucault pone – davvero come l’angelo con la spada di nice (Gary Shapiro, 2003, pp. 247 sgg., ha giustamente par-
fuoco sulla soglia del paradiso (un’immagine cara a Wal- lato di “frame”!) sulla quale mette conto riflettere.
ter Benjamin, come sappiamo) – all’inizio di alcune delle Las Meninas tornano infatti puntualmente alla fine de
sue opere più importanti. Atti di potere – essi istituisco- Le parole e le cose, nel paragrafo Il posto del re quando
no infatti il discorso – e atti di piacere nel contempo, per- Foucault (1966a, p. 332), per sua esplicita ammissione, si
ché gli danno, letteralmente, corpo. avvia alla conclusione del suo studio e apre il libro al suo
Celeberrimo è il caso della discussione de Las Meninas ideale proseguimento: “qui infatti si conclude il discorso
nell’incipit de Le parole e le cose (1966a), o delle incisioni – scrive Foucault – e inizia forse la ripresa del lavoro”. So-
della Nave dei folli di Sebastian Brant e i folli quadri di Bo- no le pagine in cui entra in scena il protagonista ultimo
sch e Breughel nell’incipit della Storia della follia nell’età della rappresentazione, il “colpo di scena finale”, l’Uomo.
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E la sua probabile disparizione dallo spazio della rap- to sufficiente segnalare il loro “posto” all’interno della
presentazione. struttura argomentativa di questi studi foucaultiani. Po-
Altrettanto cruciale – e con tonalità altrettanto melan- sizione, come abbiamo visto, tutt’altro che ingenua o ir-
coniche – è la descrizione che già concludeva la Storia del- riflessa. Esse aprono e chiudono il “discorso”, rappre-
la follia che, com’è noto, si apriva con il richiamo a Bosch, sentano – nella prospettiva agonale che abbiamo più so-
Bouts, Brueghel e Brant, le cui immagini erano state ad- pra ricordato – proprio il limite “ottuso” che delimita la
domesticate dal “discorso” della follia, e si chiudeva con narrazione all’inizio e alla fine, che la incornicia tra un
l’emergenza di nuove immagini, altrettanto difficili da ad- nulla e un altro nulla.
domesticare nella testualità, che riaprono la trattazione e
la espongono a nuove ricerche. Ancora una volta, nell’ex-
plicit del libro, Foucault colloca delle immagini e scrive: 3. Descrizioni
“Rimandiamo a un altro studio l’esplorazione dettagliata
di queste antinomie (…)” (1961, p. 594). Nelle considerazioni che seguono intendo proporre
Sono immagini di Goya. Della fase più cupa e dispe- una lettura delle descrizioni foucaultiane che s’interroghi
rata del già disperato Goya; le immagini che il pittore di- anche sulla loro sostanza linguistica e sul loro ductus ar-
pinge sulle pareti della cosiddetta Quinta del sordo tra il gomentativo, ponendo in secondo piano – certo appena
1820 e il 1823 (Bozal 2005, vol II, pp. 221 sgg.). per un momento – le implicazioni teoriche che da esse si
Sono immagini che – a molti secoli di distanza dalla Na- dipartono. In questa sede ci interessa infatti rivendicare il
ve dei folli e dalle sue variazioni pittoriche – si dimostrano ruolo di Foucault nella storia tutta particolare dell’ékph-
ancora una volta impenetrabili testualmente. Con esse en- rasis come genere letterario. Non il perché delle sue de-
tra in crisi proprio il modello discorsivo ricostruito da Fou- scrizioni – argomento che mette in discussione lo statuto
cault nel suo libro, l’itinerario che va “da Esquirol a Brous- stesso della rappresentazione in Occidente – ma il come
sais fino a Janet, Bleuler e Freud” (Foucault 1963, p. 594). della descrizione, le modalità della sua ékphrasis in rap-
Quel discorso della follia, nel doppio senso del genitivo, che porto alla tradizione. Argomento tutt’altro che marginale
Goya non condivide più. Anche in questo caso – con bril- e non solo per la posizione che queste descrizioni assu-
lante anacronismo archeologico – Foucault usa Goya con- mono nella sua “narrazione” e a diverse altezze tempora-
tro la tradizione psichiatrica e contro lo stesso Freud. Nel- li, come abbiamo ricordato.
le immagini di Goya entra in scena infatti una follia “altra”, Solo di recente – e proprio grazie alla descrizione epo-
quella che può “abolire, nell’uomo, l’uomo e il mondo” (p. cale de Las Meninas – la teoria dell’ékphrasis e di tutte le
596). Una follia che risuona fino al XX secolo nell’esperienza forme a essa connesse di ipotiposi, descrizione, enargheia,
di Artaud e Van Gogh, una follia – come sappiamo – che evidentia che la tradizione retorica ha veicolato sino a noi,
non “s’insinua negli interstizi dell’opera” (p. 602), ma se- ha riconquistato un posto nella teoria letteraria.
gnala proprio l’assenza d’opera, cui Foucault dedica le ul- Lo dobbiamo a Foucault.
time strazianti considerazioni del libro. Negli ultimi decenni del secolo scorso sono infatti ap-
Torneremo sui modi specifici delle descrizioni di parse alcune opere decisive sull’ékphrasis come quelle di
Goya, sulle modalità di queste ékphrasis. Per adesso è sta- Svetlana Alpers (1976; 1983), W. J. T. Mitchell (1986;
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1994), al già citato Murray Krieger e James A. W. Hef- gura”, la piena aderenza di parola e immagine, la “tauto-
fernan (1993). Molti di questi studi riconoscono a Fou- logia” tout court:
cault un ruolo centrale nel pictorial turn contemporaneo,
ma trascurano del tutto il suo ruolo nella storia del- In quanto segno – scrive Foucault (1973a, p. 27) – la lette-
l’ékphrasis. Solo la Alpers, in un altrettanto epocale sag- ra permette di fissare le parole, in quanto linea, essa permette
gio su Las Meninas (1997) riconosce l’“accurata osser- di raffigurare la cosa. Perciò il calligramma si propone di can-
cellare ludicamente le più antiche opposizioni della nostra
vazione” e la forte “motivazione a guardare” che il sag-
civiltà alfabetica: mostrare e nominare; raffigurare e dire; ri-
gio foucaultiano ha imposto ai contemporanei, mentre produrre e articolare; imitare e significare; guardare e leggere.
Michel de Certeau (1987b, p. 126) ha subito ammesso
il carattere eminentemente “visuale” dell’opera di Fou- È ciò che ho chiamato l’utopia dell’ékphrasis. Ma an-
cault e il suo “style optique”. Un tardivo, ma non certo che la trappola mortale in cui l’Occidente è costantemen-
meno importante riconoscimento – oltre al già citato stu- te ricaduto. Giacché noi vediamo la “pioggia scrosciante”
dio di Catucci – viene inaspettatamente da Umberto (si noti la sinestesia!) della celebre lirica di Apollinaire so-
Eco che in uno straordinario saggio sull’ipotiposi inti- lo quando non leggiamo il testo. Il calligramma “dice le
tolato Les semaphores sous la pluie (2002) – apparso tra stesse cose due volte” (p. 30), ma mai contemporanea-
i saggi letterari nel 1996 e ripubblicato sul web nel 20027 mente. Se lo guardiamo esso è muto, se lo leggiamo esso
(un saggio, si badi bene, che si sofferma anche sulla scompare alla vista. “Il calligramma – scrive Foucault –
produzione poetica dello stesso autore) – parla di Fou- non dice e non rappresenta mai nello stesso momento;
cault come di un diretto discendente di Filostrato e Cal- quella stessa cosa che si vede e che si legge è taciuta nella
listrato, com’è noto i due classici dell’ékphrasis occi- visione, nascosta nella lettura” (p. 32).
dentale. Il calligramma ha cercato di essere, per riprendere la
Cercheremo di ribadire questa centralità studiando le metafora barthiana, l’ovvio e l’ottuso insieme. Foucault sa
modalità specifiche di questa scrittura. che questa è stata l’eterna illusione dell’ékphrasis e tutta-
Abbiamo già visto come l’approccio alla descrizione via all’ékphrasis non si sottrae mai nella sua opera. A essa
delle immagini in Foucault sia tutt’altro che ingenuo. Egli dedica invece pagine esemplari, affatto ingenue.
conosce benissimo l’abisso che separa l’immagine dal te- Consapevole della tradizione moderna della descrizio-
sto. Lo dice nella maniera più chiara proprio quando par- ne delle immagini – da Winckelmann e Diderot sino a Ro-
la dell’utopia somma dell’ékphrasis di tutti i tempi, il cal- land Barthes – Foucault sa però che nel moderno l’arte si
ligramma, quella forma del tutto speciale di perfetta ade- è resa imprendibile, perché l’opera d’arte ha rinunciato al
renza tra testo e immagine, che oggi noi chiamiamo “ico- suo statuto eccezionale, si è sempre più confusa con il
nismo”8 e che Foucault pone alla base della sua interpre- quotidiano, ha perso aura, sacralità, autorevolezza. Que-
tazione di Magritte. Ceci n’est pas une pipe è per Foucault sto complica enormemente il compito dell’ékphrasis. Se
il “calligramma dissolto”, il calligramma negato, proprio l’opera d’arte è ormai cosa tra le cose, all’ékphrasis si so-
l’incarnazione del suo fallimento. Nel calligramma la poe- stituisce l’ipotiposi, la mera descrizione – vivida quanto si
sia occidentale, dal carmen figuratum ad Apollinaire, ave- vuole – delle cose di natura. Dell’arte, semmai, non rima-
va cercato di trovare una sintesi perfetta tra “lettera” e “fi- ne che il riverbero sullo sguardo dello spettatore. Così
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Foucault, pur tenendo conto di tutte le modalità di de- pagina Foucault c’impone di percorrere: quello tra la te-
scrizione sperimentate dalla tradizione settecentesca (Di- la rovesciata, lo sguardo del pittore, gli strumenti della
derot, Heinse, Winckelmann)9, e recuperando, in extremis pittura, le tele appese sul fondo, lo specchio, la porta
si potrebbe dire, forme antichissime della tradizione oc- aperta, gli altri quadri appesi tra le finestre, le finestre
cidentale, soprattutto greca, è costretto ad andare oltre a stesse, una “conchiglia elicoidale” (p. 25) che acuta-
sperimentare nuove forme. mente Foucault definisce “l’intero ciclo della rappre-
Il Settecento ha mobilitato – com’è noto – un ampio sentazione” (ib.), una veduta di tutti i momenti dell’at-
ventaglio di possibilità di descrizione, laddove innanzitutto to del dipingere, dai pennelli alle cornici, dalla luce al-
centrale fu la nozione di “dinamizzazione/temporalizza- le superfici. Ma a Foucault non basta: egli dinamizza il
zione delle immagini”. Il modello pigmalionico10 di una vi- nostro occhio imponendoci delle griglie rigorose nella
vificazione delle figure aveva fatto sì che la descrizione si lettura della drammaturgia degli sguardi che anima i
avvalesse di formule ben riconoscibili e per certi versi personaggi; ci costringe a disegnare con lo sguardo una
standardizzate. Si pensi alla tradizionale dinamizzazione grande X, quella che s’incrocia sugli occhi dell’infanta
delle immagini che trasforma un quadro in una scena tea- Margherita. Siamo costretti a guardare seguendo questa
trale, facendogli riconquistare la temporalità perduta e al- superimposizione del narratore. L’ékphrasis impone li-
lo stesso tempo inaugurando un dialogo con lo spettato- nee di lettura, irreggimenta il nostro sguardo.
re nel tempo, o alla “dinamizzazione dello sguardo del- Foucault ha tuttavia un’altra opzione rispetto a quelle
l’osservatore nell’immagine”, come nel caso di Diderot classiche della dinamizzazione delle figure e degli sguar-
che letteralmente vaga all’interno dei paesaggi di Vernet di del fruitore all’interno del quadro. Nella sua descrizio-
quando vuole descriverli. ne gli sguardi entrano del quadro e vengono appunto ir-
Sono tecniche su cui si regge la descrizione del ca- reggimentati, mentre lo spettatore reale, noi, ne restiamo
polavoro di Velázquez: “Indietreggiando un po’, il pit- eternamente esclusi, anzi rischiamo di dissolverci al mar-
tore si è posto di fianco all’opera cui lavora (…). Pos- gine del quadro nella sovrapposizione di pittore-modello-
siamo vederlo adesso, in un istante di sosta, nel centro spettatore.
neutro di questa oscillazione” (1966a, p. 17). Tutto ac- Non a caso Defert (2004, p. 73) ha insistito molto sul-
cade sotto i nostri occhi. Laocoonte viene sbranato qui, la complementarietà dell’ékphrasis di Las Meninas e quel-
adesso. Las Meninas ci guardano, ora, e noi restituiamo la del Bar aux Folies-Bergère. Quest’ultima tela “sposta” ad-
gli sguardi. Sono sguardi che si muovono, che ci “affer- dirittura il corpo dello spettatore, lo costringe a gettare
rano”, che ci “costringono ad entrare nel suo quadro” sguardi diversi nel tempo e nello spazio in una sorta di se-
(p. 19), sguardi che “tracciano” triangoli, disegnano li- quenza cinematografica in cui a muoversi non è l’imma-
nee curve nell’aria. Anche la luce si muove, penetra dal- gine ma lo spettatore appunto (De Duve 2004). Del resto
la finestra, illumina la tela rovesciata, “percorre la stan- le lezioni su Manet ci dimostrano con limpida chiarezza
za da destra a sinistra” (ib.) e anch’essa ci “trascina”. Né che ormai l’ékphrasis deve riferirsi ai “margini” del qua-
il nostro sguardo è immobile o passivo; come in Dide- dro, alla sua periferia, a quelle “proprietà materiali” del-
rot esso è costretto a muoversi all’interno del quadro, l’immagine che escludono qualunque fiducia nell’imma-
percorrerlo, come nel circuito che in una straordinaria gine stessa e si rivolgono ad altro. Nel caso di Manet, ap-
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

punto, al “supporto”; al recto e al verso della tela, alla lu- quaestio dell’ambiguità materiale del quadro (Tafel-
ce esterna che su di essa si proietta e che noi, con il nostro gemälde vs Fenstergemälde) per leggerla come un’im-
sguardo in un certo senso proiettiamo sulla tela. magine che fonda e sfonda la soglia tra il divino e l’u-
Di questa periferia, forse solo di questa, ormai si può mano, lo spazio in cui Maria e il Cristo ad-vengono agli
fare ékphrasis. umani, presentandosi in chiesa attraverso l’abside. Qua-
Per il narratore si tratta di descrivere il proprio incon- dro che è, nel suo supporto, anche rivelazione. Non sia-
tro con il quadro, con la materialità del quadro e non con mo molto lontani dai fremiti delle avanguardie che Fou-
ciò che vi è rappresentato. La storia non riguarda più gli cault intravede già nelle esperienze di Manet. (Ci sia
sguardi, né le immagini, coinvolge e mobilita semmai i consentito – solo di sfuggita – anche far notare il fatto
corpi che si muovono intorno al quadro: una sorta di “di- che questa insistenza sulla materialità dell’immagine,
namizzazione del corpo del fruitore” intorno alla tela, es- che in quanto tale sfugge alla logica della mera rappre-
senziale nel Novecento se solo pensiamo alle materializ- sentazione, è forse sostenuta dalla teologia dell’icona
zazioni e spazializzazioni delle immagini nelle installazio- che certamente influenza Dostoevskij e Heidegger e che
ni moderne. sarebbe non del tutto impudico applicare, magari solo
Del resto l’avevano ben capito autori decisivi per Fou- da un punto di vista storico-filosofico, allo stesso Fou-
cault. Basti citare – senza poter qui approfondire – il Do- cault. Ma questo è un altro discorso.)
stoevskij dei Demoni che descrivendo un’icona dell’ékph- Concentriamoci ancora sulle altre modalità dell’ékph-
rasis sette-ottocentesca come la Madonna Sistina, sa che or- rasis foucaultiana. Moderna e antichissima, a un tempo, co-
mai il senso di quell’opera, alle soglie dell’Impressionismo me abbiamo ricordato. Antichissima se si pensa che Fou-
e dell’Espressionismo, non è più dato dal soggetto reli- cault fa costantemente ricorso alla tecnica retorica della
gioso, ma dalla sua consistenza materiale (Cometa 2004, “prosopopea” e dell’“integrazione sinestetica”. Ad esem-
pp. 132 sgg.). Ed è per questo che per lui si tratta di de- pio, quando nel libro su Magritte dà costantemente “vo-
scrivere non la Madonna ma “quel vile schiavo,… quel fe- ce” alle immagini, le fa letteralmente parlare.
tido e corrotto servo che per primo si arrampicherà sulla Dapprima, al margine del quadro Les deux mysteries,
scala con le forbici in mano e straccerà il divino volto del tarda variazione di Ceci n’est pas une pipe, egli introduce
grande ideale, in nome dell’uguaglianza, dell’invidia e... la figura di un impacciato maestro che a voce alta si con-
della digestione” (Dostoevskij 1871-72, p. 348). Una for- traddice proprio indicando il dipinto “alla lavagna” (la
ma “perversa” di ricezione, ma pur sempre un investi- deissi è pure forma tradizionale dell’ékphrasis, anzi ne ha
mento di senso ai margini del quadro. Forse l’unico pos- costituito storicamente il limite estremo, l’entropia). Ci tro-
sibile per ridare valore a un’icona che si è ormai degrada- viamo dinnanzi a una scena eminentemente teatrale:
ta nella società di massa, come dimostrano le innumere-
Le negazioni si moltiplicano, la voce si imbroglia e soffo-
voli riproduzioni ai limiti del kitsch, ma anche la trascri- ca; il maestro confuso, abbassa l’indice teso, volta le spal-
zione blasfema che ne fa Andy Wahrol attribuendogli un le alla lavagna, osserva gli alunni che si torcono dalle risa-
valore di 6,99 dollari. te e non si rende conto che essi ridono così forte perché so-
Non diversamente Heidegger, nel suo dimenticato pra la lavagna e sopra il maestro che farfuglia le sue smen-
saggio sulla Sistina (1983), partirà proprio dalla vexata tite si è appena alzato un vapore che ha preso forma a po-
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

co a poco, e che ora disegna con molta precisione una pi- tutto il saggio su Magritte è anche, in fin dei conti, una ri-
pa (…) (Foucault 1973a, p. 39). flessione sul “questo” (ceci), un pronome dimostrativo
della deissi di cui Magritte, e con lui Foucault, registrano
L’immagine classicamente si anima, il fumetto della pi- la crisi definitiva, in una sfida epocale alle potenzialità
pa s’invola sotto i nostri occhi, la voce del maestro scolo- dell’ékphrasis.
ra mentre s’inaspriscono le grida degli alunni. Un’inte- Il ricorso alla prosopopea e a tutte le forme di integra-
grazione sinestetica come mai ve ne furono. Poi, secondo zione sinestetica, per quanto “inattuale”, ovviamente si
la tecnica della prosopopea, si leva una polifonia straor- spiega. Esso costituisce ancora una volta l’antefatto della
dinaria: parla la Pipa in basso, le risponde l’enorme Pipa scesa in campo dell’osservatore/spettatore che non rima-
sospesa nel vuoto, poi entra in scena l’Enunciato in per- ne più passivo ricettore, manipolato dalle emissioni del-
sona e parla di ciò che è scritto, infine parla il Quadro-La- l’immagine o del supporto materiale, ma deve fare “espe-
vagna che denuncia il fallimento di ogni rappresentazio- rienza” dell’immagine in prima persona, con tutti i sensi
ne: “Sette discorsi in un solo enunciato” (p. 73), scrive e i sentimenti. È il caso delle fotografie di Duane Michals
Foucault, necessari per distruggere una rappresentazione cui Foucault dedica un piccolo e simpatetico capolavoro
che si vuole basare sulla somiglianza. (1982c). Si tratta di una forma classica di ékphrasis che de-
Un’ulteriore forma di integrazione sinestetica sono in- finiamo “integrazione ermeneutica”.
fine le “esortazioni/istruzioni al lettore” da parte del nar- Anche Umberto Eco nel già citato saggio (2002, p.
ratore, là dove la deissi diviene in qualche modo guida 208) sull’ipotiposi la individua come una delle forme tra-
esplicita dello sguardo dell’osservatore nei meandri del- dizionali e la definisce “descrizione con richiamo ad espe-
l’immagine. Foucault fa largo uso di questa modalità re- rienze personali e culturali del destinatario”. Si tratta in fin
torica. I suoi testi sono – si potrebbe dire winckelman- dei conti dell’attivazione verbale di “ciò che l’autore sa”,
nianamente – costellati di istruzioni per il lettore come di “ciò che egli anticipa nella descrizione” rispetto alla nar-
“Guardate”, “Considerate”, “Vedete”, alle quali vanno razione nel suo complesso, e di “ciò che egli associa al-
aggiunte tutta una serie di domande retoriche (al lettore?) l’immagine”.
con funzione descrittiva, come nel caso del quadro di Nella descrizione di Las Meninas il narratore fa, ad
Magritte: esempio, ipotesi sul passato e sul futuro dei personaggi
coinvolti nel quadro, ci offre i possibili sviluppi narrativi
Caduta imminente? Crollo del cavalletto, della cornice, del- che dinamizzano il dipinto, aprendolo temporalmente
la tela o del pannello, del disegno, del testo? Legno spezza- nelle due direzioni. Esemplare è il caso di Josè Nieto y
to, figure in frantumi, lettere separate le une dalle altre fino Velázquez, il doppio del pittore, che compare sulla por-
al punto che le parole, forse, non potranno più ricostituirsi ta in fondo:
– tutto questo guazzabuglio per terra, mentre lassù la gros-
sa pipa, sensa misura né riferimento, persisterà nella sua im- Su questo sfondo vicino e illimitato a un tempo, un uomo si
mobile inaccessibilità di pallone aerostatico? (p. 19). stacca nella sua alta figura; è di profilo; con una mano trat-
tiene il peso di un tendaggio; i suoi piedi sono posti su gra-
Vi è, per altro, un livello secondo nelle deissi di Fou- dini diversi; ha il ginocchio piegato. Forse entrerà nella stan-
cault che non va trascurato. Non si dimentichi infatti che za; forse si limiterà a spiare ciò che in essa accade, contento
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

di sorprendere senza essere osservato. Non diversamente manger o a Maximilian Defert – Foucault, proprio per sot-
dallo specchio egli fissa il rovescio della scena; e, al pari del- tolineare il carattere esperienziale di quelle costruzioni di
lo specchio, non gli presta attenzione alcuna. Non si sa don- immagini faccia ricorso alla tecnica retorica della “dina-
de viene; si può supporre che seguendo malcerti corridoi ab- mizzazione del processo compositivo dell’immagine” se-
bia aggirato la stanza ove i personaggi sono riuniti e in cui
lavora il pittore; anch’egli forse era, poco fa, sul davanti del-
condo una formula che risale allo scudo di Achille di
la scena nella regione invisibile che contemplano tutti gli oc- Omero e che si estende sino a Heinse il quale, per descri-
chi del quadro (Foucault 1967, p. 24). vere i “movimenti” dei quadri di Rubens, applica una va-
riante dello scudo di Achille ricostruendo la sequenza del-
Noi sappiamo che, se i reali fossero davvero davanti al la composizione (genesi) dell’immagine nelle mani del pit-
quadro, Josè Nieto, summiller de cortina, dovrebbe stare tore. Ogni fotografia di Michals, come ogni immagine di
con loro, precederli, sollevare le tende. Fromanger e Defert, viene infatti ricostruita sotto gli oc-
Né mancano in Foucault quelle forme di “integrazio- chi del lettore, alludendo al processo compositivo, alla
ne ermeneutica” che Umberto Eco (2002, p. 208) ha de- sua artificialità.
finito “descrizioni con richiamo ad esperienze percettive Anche sul fronte della mera “denotazione” Foucault
del destinatario”. Non quello che lo spettatore sa, dunque, applica a 360 gradi le tecniche tradizionali dell’ékphrasis,
o può sapere, ma ciò che effettivamente esperisce sul pia- sia quando marca gli oggetti sulla tela con i loro nomi
no della sensibilità e della percezione visiva al contatto con propri (esemplare il caso di Las Meninas anche se lì deci-
l’immagine. Nel bellissimo saggio sulla pittura-fotografia de di rinunciare a essi dopo averli pronunciati), sia quan-
di Duane Michals Foucault (1994c, p. 244) scrive: do, nel più tardo saggio su Magritte, si rende conto che an-
che la forma più elementare di ékphrasis, la mera denota-
Non sono in grado di parlare delle foto di Duane Michals, zione – che spesso si traduce in un’elencazione di nomi –
dei loro processi, della loro plasticità. Esse mi attirano co- non è più possibile, perché i titoli delle opere di Magritte
me esperienza. Esperienze che non sono fatte che da lui; ma hanno perso ogni nesso con il referente e spalancano piut-
che… scivolano verso di me – e, io penso, verso chiunque le tosto lo spazio di un’inquietudine.
guardi –, suscitando piaceri, inquietudini, modi di vedere,
sensazioni che ho già avuto o che io prevedo di dover pro-
Magritte procede semmai per “dissociazioni” tra nome
vare un giorno, e dunque mi domando continuamente se so- e figura, una prassi che ha implicazioni semantiche ma an-
no sensazioni mie o sue, pur sapendo che le devo a Duane che implicazioni retoriche, giacché anche in questo caso
Michals. all’ékphrasis non resta che descrivere lo spazio, anzi l’abisso
che si è spalancato tra immagine e testo. Persino le dida-
Tutto il saggio su Michals è costruito sulla ripetizione scalie delle foto di Duane Michals non denotano nulla, so-
di esperienze che il fotografo ha fatto al momento dello no come un “soffio” che fa navigare l’immagine in altri ma-
scatto o della messa in posa. Sono esperienze non mera- ri, pensieri che la spingono al largo, discorsi immemoria-
mente visive, ma che coinvolgono tutti i sensi, non esclu- li che affiorano nella mente del fotografo e possono tra-
sa ovviamente la sessualità. È significativo che proprio in smettersi agli altri per vie misteriose.
questo saggio – come spesso negli scritti sugli artisti mo- Come si vede nessuna delle tecniche tradizionali del-
derni a lui più cari, come quelli dedicati a Gérard Fro- l’ékphrasis antica e moderna è estranea alle descrizioni di
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

Foucault, dalla “dinamizzazione” all’“integrazione”, dal- lizzare le famose pinturas negras, una galleria di cupi ca-
la “prosopopea” alla “associazione” di immagini. pricci che Foucault “espone” nel suo testo.
E a proposito di quella forma peculiare di “integra- Cosa ci dicono quelle pitture? Cosa ci dicono di diverso
zione” che è l’“associazione di immagini” ci sia consen- rispetto alla storia della follia così come l’ha delineata
tito, in conclusione, ritornare a quel vortice ékphrastico Foucault nel suo studio poderoso? È una follia certo com-
che si trova nelle ultime epocali pagine della Storia del- pletamente diversa da quella dipinta dallo stesso Goya
la follia. In queste pagine si intrecciano perfettamente i nel Cortile dei folli (1812-14) un dipinto che con tutta
percorsi che abbiamo delineato nella nostra analisi: da un probabilità si riferisce all’ospedale di Nuestra Señora de
lato la funzione retorica delle ékphrasis nel testo di Fou- Gracia di Saragoza, dove si misero in pratica le dottrine
cault, dall’altro la retorica specifica, le modalità di tali de- di Philippe Pinel? Con il solito intuito storiografico e una
scrizioni. profonda conoscenza della pittura di Goya, Foucault in-
L’assunto iniziale dello studio sulla follia avrebbe do- dica questa relazione. Ma non gli interessa la follia gioio-
vuto scongiurare una ripresa delle immagini. Foucault in- sa e in fin dei conti liberata del Cortile dei folli. Un’altra è
fatti spiega che le immagini della follia, esemplificate nei la sequenza che preme ai margini del libro. Che esplode
quadri di Bosch, Breughel e Bouts, vengono storicamen- attraverso un’èkphrasis di molteplici immagini.
te superate dai discorsi della follia nella tradizione psi- Si tratta di una descrizione parecchio compatta: solo
chiatrica francese ed europea. Su questo “superamento” due pagine per ben 8 immagini di Goya, più alcune cifra-
Foucault (1961, p. 45) sembra essere apodittico: te e non nominate come l’inquietante Disperate ridiculo
(1813-23) (“Quale albero sostiene il ramo su cui stridono
Da una parte Bosch, Brueghel, Thierry Bouts, Dürer e tut- le streghe?”) (p. 596). Tra di esse Foucault evoca ancora
to il silenzio delle immagini. È nello spazio della pura visio-
una volta Le tentazioni di Sant’Antonio (1505-1506) di
ne che la follia dispiega i suoi poteri (…) dall’altro, con
Brandt, con Erasmo, con tutta la tradizione umanistica, la fol- Bosch che aveva visto al Museo Nacional de Arte Antiga
lia è accolta nell’universo del discorso. Essa viene raffinata, di Lisbona e la Dulle Griet (1562) di Breughel del Museo
sottilizzata, ma anche disarmata. Mayer van den Bergh di Anversa. Dunque le immagini
principali dell’incipit del libro integrate da quelle di Goya.
Ma, allora, si dirà, perché dopo più di cinquecento pa- Si può capire la scelta di Foucault. Essa si basa ancora una
gine dedicate alla “verbalizzazione” della follia, alla sua ela- volta – come sappiamo da un’intervista inedita citata da
borazione discorsiva nelle forme della clinica e della so- Defert – sull’esperienza fondamentale della visita al Pra-
cietà, Foucault sente il bisogno di citare, in una serratissi- do dove le pinturas negras sono esposte dal 1873. È una
ma sequenza associativa, alcuni dipinti di Goya? sequenza impressionante che Foucault arricchisce con
Cosa emerge in queste immagini nonostante la “chiac- un’immagine dei Capricci, la celeberrima Il sonno della
chera” durata alcuni secoli? E perché proprio Goya? ragione produce mostri (1797) e con l’enigmatica litogra-
Si tratta, come sappiamo, di un Goya effettivamente fia dell’Idiota (1824-28) che costituisce quasi il testamen-
escluso dalla parola, ormai sordo, un pittore che si è fat- to spirituale di Goya.
to simbolico strumento della “pura immagine”, che si iso- Qui con una sapienza mai più superata in seguito Fou-
la nella sua casa di campagna, la Quinta del sordo, per rea- cault applica quella peculiare retorica della descrizione che
 MICHELE COMETA MODI DELL’ÉKPHRASIS IN FOUCAULT 

si nutre dell’associazione/giustapposizione delle immagi- taud, come Van Gogh. Alla fine del libro Foucault esibi-
ni, una tecnica che nella tradizione critica novecentesca si sce un atlante di immagini.
è inverata innanzitutto negli atlanti delle immagini (Bil- La sequenza di Goya, la giustapposizione delle sue im-
deraltlas) concepiti da storici dell’arte e della cultura co- magini, prova – se ancora ce ne fosse bisogno – che il vi-
me Aby Warburg e da artisti come Gerhard Richter11. Ma sibile e il dicibile in Foucault entrano in competizione
è un genere non estraneo anche ai diretti interlocutori di con l’invisibile e l’indicibile. In questo senso Foucault
Foucault a cominciare dal Bataille di Le lacrime di Eros porta a compimento l’opera di Merleau-Ponty12 che ne co-
(1961). Non è questo il luogo per discutere le virtualità co- stituisce lo sfondo polemico e nel contempo l’humus, co-
municative di queste giustapposizioni che – come nel Ber- me molti interpreti da Jay a Shapiro hanno opportuna-
ger di Ways of Seeing (1972) – pretendono in sostanza di mente ribadito. Nel saggio sulla fotografia di Duane Mi-
emancipare le immagini dal discorso verbale. La serrata se- chals, prendendo spunto dagli ectoplasmi che costellano
quenza, l’archivio/galleria che Foucault espone in queste le sue foto, Foucault sostiene che “certe composizioni
pagine lascia pensare a un atlante personale, così come un mettono insieme l’evanescenza del visibile e l’apparizione
atlante personalissimo è quello messo insieme con le foto dell’invisibile” (1994c, p. 246).
di Duane Michals. Solo che per Foucault non sono in gioco solo i limiti del
Le immagini parlano per giustapposizione: e questo visibile e la sua straordinaria potenza nel mostrarci l’invi-
Foucault lo sa benissimo. Il Goya del Cortile dei Folli – sibile. Anche sul fronte del dicibile Foucault opera lo stes-
lo abbiamo visto – risponde ancora alla logica di Pinel. so sfondamento. Non a caso quando parla della follia di
Ben diverso è il Goya della Quinta del Sordo che incide Artaud e di Van Gogh, la stessa follia di Goya, sa che è la
sulle quattro pareti della casa di campagna un’“altra fine d’ogni “opera”, d’ogni scrittura e d’ogni pittura. Quel
follia”, una follia affatto diversa, non solo da quella di “fondo oscuro” non può essere nè detto né visualizzato,
Pinel, ma anche da quella di Bosch e Breughel. Una fol- può solo emergere lì dove parola e immagini si scontrano.
lia che non viene dal mondo e non abita il mondo, una Per questo l’ékphrasis è essenziale, pur nella sua indecidi-
“notte” della ragione che non lascia intravedere alcuna bile tragicità.
Nel suo campo di battaglia qualcosa comunque si ri-
ragione: “La follia – scrive Foucault in una chiusa che
vela. L’ovvio e l’ottuso conflagrano rovinosamente e in
ricorda da vicino altre conclusioni, come quella di Le pa-
questa rovina si manifestano.
role e le cose – è diventata la possibilità di abolire, nel-
Certo si tratta di un campo di battaglia.
l’uomo, l’uomo e il mondo” (Foucault 1963, p. 596). Per
Nella sua polvere il volto di sabbia dell’uomo rischia ad
questo la visione dell’Idiota – che tanta letteratura ave- ogni momento di venir cancellato.
va potuto interpretare come profetica – è in Goya, co-
me in Foucault “l’ultimo soprassalto dell’ultimo mo-
rente” (p. 597).
Alla follia addomesticata della psichiatria Goya oppo- 1
Per una storia del “pictorial turn” e dello sviluppo disciplinare della “vi-
ne una follia altra, inaddomesticabile, inquietante, per- sual culture” cfr. adesso Dikovitskaya 2005.
2
Cfr. il fondamentale saggio Defert 2004.
turbante, dis-umana. E per farlo deve opporre di nuovo 3
Ora Foucault 1994b.
l’immagine alle parole. Foucault gli è solidale. Come Ar- 4
P. ???.
 MICHELE COMETA

5
6
Pp. ???. Michel Foucault filosofo dell’urbanismo
P. ???.
7
U. Eco, Les sémaphores sous la pluie: Stefano Catucci
http://www.golemindispensabile.it/Puntata18/articolo.asp?id=919&num=1
8&sez=263&tipo=&mpp=&ed=&as = 2002).
8
Per un abbozzo di sistematica dei rapporti tra testo e immagine rimando
al mio Cometa 2005.
9
Per le quali mi permetto di rimandare ancora al mio Cometa 2005, passim.
10
Cfr. sul tema di Pigmalione almeno il recente studio di Stoichita 2006,
nonché Rueda 1998.
11
Cfr. sulla forma dell’atlante postwarburghiano Flach, Münz-Koenen,
Streisand, a cura, 2005 e Coles, a cura, 1999.
12
Le pagine su Goya rappresentano anche un dialogo a distanza con un al-
tro grande interprete francese, André Malraux, anche lui ossessionato dalla
pittura tragica dello spagnolo.

1. Il riferimento alla città compare due volte già nel-


la pagina d’apertura di Storia della follia (1961). Si par-
la dell’espulsione della lebbra “ai margini della comu-
nità, alle porte della città”, e dell’istituzione di nuove
“città maledette”, i lebbrosari, che si moltiplicano sul
territorio europeo fino a raggiungere la cifra di circa di-
ciannovemila al termine dell’epoca delle Crociate (Fou-
cault 1961, p. 11). D’altra parte l’immagine della cinta
muraria e delle porte, ovvero della possibilità di chiudere
e aprire la città, regolando gli accessi e le ammissioni, vie-
ne richiamata lungo tutta la prima parte del libro per de-
signare le tecniche di esclusione con le quali, lungo un
arco di tempo che va molto al di là del Medioevo, le so-
cietà europee hanno definito e protetto la propria iden-
tità. Il bordo oltre il quale l’alterità viene isolata, fissa-
ta e relegata somiglia molto, e non solo per metafora, a
una cinta muraria che con la sua solidità divide il den-
tro dal fuori, il lecito dall’illecito, ma anche il vero dal
falso, se si amplia il sistema degli interdetti a quello de-
scritto nell’Ordine del discorso (1970). Eppure, nono-
stante la sua presenza autorale, e nonostante le continue
apparizioni nei lavori successivi a Storia della follia, l’im-
portanza del tema urbano in Foucault non è ancora sta-
ta messa sufficientemente in rilievo dagli studi critici.

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