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Peter Sloterdijk, formatosi alla scuola della fenomenologia, dell’esistenzialismo e della teoria

critica, è uno degli intellettuali di spicco del panorama contemporaneo, tedesco e non, essendosi
distinto anche a livello internazionale per aver portato il dibattito filosofico alla ribalta
dell’attenzione mediatica. Professore Ordinario di estetica alla Accademia di Belle Arti di Vienna e
rettore all’Istituto di design di Karlsruhe, è inoltre un autore molto prolifico, che da almeno
vent’anni fa uscire almeno uno, se non due, libri l’anno; Sloterdijk è onnipresente sulla scena
mediatica tedesca come ospite di programmi televisivi e radiofonici. Gran parte dell’interesse e
dell’originalità delle sue posizioni sta nel fatto che abbia tentato di uscire dal dilemma che
contrappone fermamente l’umanismo e la tecnica. L’umanismo della tradizione occidentale, è
condannato a occupare una posizione inutilmente ‘reazionaria’ ed anacronistica, afferma Sloterdijk.
Egli tenta una sintesi-analisi tra umanesimo e scienza, nell’urgenza che la filosofia diventi la
dimensione propriamente tecnica di analisi dell’esistenza umana come base ontologica del proprio
discorso. Il suo pensiero viene segnato dall’incontro con testi e autori che egli stesso, in una famosa
intervista, individua come fondamentali per una sua biografia intellettuale, nonché per meglio
definire il suo stile di scrittura, sempre provocatorio e spesso caustico, ma sempre di alto rigore
filosofico: “[…] è stata la fortuna della mia vita intellettuale aver incontrato questi nitzscheani
francesi in un momento in cui era inconcepibile leggere Nietzsche in Germania. Più precisamente, è
l’incontro con il Foucault di Le Parole e le cose che mi ha catapultato in uno spazio di riflessione
che oltrepassava la mia formazione filosofica di origine, tutta impregnata del pensiero del primo
Hegel e marxista soprattutto nella sua versione adorniana. […] ebbene, leggere Foucault, è un po’
farsi strappare il cuore da un prete azteco con una pietra d’ossidiana. Se dovessi caratterizzare il
Foucault di questo periodo della mia storia intellettuale, direi che mi è apparso come qualcuno che
non filosofava più a colpi di martello ma alla lama d’ossidiana. Che l’ossidiana ha delle ragioni che
il cuore non conosce.1” Il dialogo di chi, e con chi, “viene dopo”, come Sloterdijk stesso preciserà in
un suo saggio su Heidegger2, deve aprire alla collaborazione con il presente e i suoi strumenti
cognitivi peculiari, deve essere aperto al parricidio. Vanno obbligatoriamente citati come fonti per
l’autore anche Ernst Bloch, al quale dedica spesso attenzione soprattutto nelle sue vaste ricerche
sulla Repubblica di Weimar3 che lo hanno tenuto impegnato lungo il corso di tutti gli anni ’80 ma,
soprattutto, per ciò che concerne la produzione della teoria più importante di Sloterdijk, ossia la
trilogia che va sotto il nome di Späeren, Nicklas Luhmann al quale è dedicato il saggio del 1999
Luhmann, avvocato del diavolo. Del peccato originario, dell’egoismo dei sistemi e delle nuove
ironie3.

1
La fondamentale intervista rilasciata a Éric Alliez per Moltitude nella quale Sloterdijk chiarisce moltissimi aspetti del
proprio itinerario di ricerca, Cfr. Vivre chaud et penser froid http://mutitudes.samizad.net/article.php3?id_article=209, del
marzo 2000, p.10-11.

2
Peter Sloterdijk, Non siamo stati ancora salvati: Saggi dopo Heidegger. Milano, Bompiani, 2004.

3
ibidem
Parte del motivo della sua tiepida ricezione in Italia va attribuito, per correttezza fattuale, più alla
questione mediatica del cosiddetto affaire Sloterdijk che ad una supposta mancanza della filosofia
dal dibattito contemporaneo. O forse andrebbe attribuita ancora più alla distanza che l’autore ha
costantemente fissato tra sé e uno qualunque dei quadri di riferimento culturale accettati
nell’Europa post-bellica. Tale diffidenza è stata sicuramente rafforzata dagli obbligatori riferimenti
alla futile questione mediatica di cui sopra, che sì ha effettivamente aperto il dibattito su tematiche
urgenti per la riflessione filosofico-sociale contemporanea ma il cui svolgimento è stato
quantomeno ambiguo, essendo stati ignorati due elementi fondamentali della diatriba stessa: la
effettiva lettura del testo di Sloterdijk incriminato (se ciò fosse avvenuto, non ci sarebbe stato alcun
affaire) e la possibilità stessa di un effettivo dialogo con il suo principale detrattore, la cui rilevanza
filosofica non può essere ignorata: Jungern Habermas.

Il 17 luglio 1999 in occasione del dibattito internazionale israelo - tedesco dedicato all’eredità di
Heidegger, Sloterdijk tiene una conferenza, in Baviera, dal titolo Regole per il parco umano. Una
risposta alla Lettera sull’ “umanismo” di Heidegger4. É l’occasione per ripensare le basi
dell’Umanesimo europeo delle lettere nel senso di un’Antropotecnica di prima generazione volta
all’addomesticamento dell’uomo5. La cultura in questo senso diventa l’insieme della storia, delle
tecniche e delle convenzioni per la coltura dell’umano. La coltivazione degli aspetti ‘migliori’
dell’essere-uomo lungo il corso della storia del pensiero vennero stabiliti, prima teologicamente, poi
politicamente ed infine scientificamente, così come ci viene chiarito nel corso del saggio, con
freddissima chiarezza riguardo l’esplicitazione di una tecnica dell’essere. Il ‘parco umano ’ sarebbe,
quindi, quella porzione di mondo occupata da non analfabeti che potrebbe avere accesso, mediato,
sempre, all’essere dell’uomo (o umanità). “Falliti come animali”, incalza Sloterdijk, gli uomini
“sono sin dall’inizio esseri condizionati dalla cultura e dalla tecnica 6” ed è su questa base tecnica
che oltre alle cure domestiche e concrete, gli esseri ‘umani vengono coinvolti da un ulteriore che
non sanno ben spiegare, o forse per nulla, ma si accorgono di un potere che, durante l’epoca della
città e dell’impero, cresce fino a quel luogo di spaesamento e di riverenza che in epoca moderna
chiamiamo Spirito.
“Si tratta di una parola che indica la complessa unità di qualcosa che il potere produce, sostiene e
accresce allo stesso modo in cui è analizzato e regolato da esso 7” continua Sloterdijk, che pone in
relazione, il problema dello spirito, tanto del singolo quanto di un’epoca, che diventa adulto e il
venire -al- mondo, che è sempre un trasferimento, uno spostamento che di per sé genera una
dimensione storica. Questa dimensione così ampia sarebbe, secondo Sloterdijk all’origine di una

7
crisi permanente nell’essenza dell’uomo, ovvero l’educazione, definita come: “crisi di
riformattazione dell’essenza dell’uomo8”.
Il problema, tristemente, si definisce quindi come un richiamo al pedigree germanico dell’autore a
convalida delle presunte posizioni ‘neonaziste’ o ‘eugenetiche’ di Sloterdijk, con un evidente caduta
nell’attacco personale dovuto ad una lettura a dir poco superficiale e marcatamente ideologica dei suoi
testi. Rimane da capire se esistano motivi più profondi per un così forte accanimento nei confronti di
una posizione che non piange più solamente la morte della metafisica e che tenta, con la lucidità
necessaria, di affrontare quest’abisso speculativo ed esistenziale. Il corpus della conferenza e di altri
saggi che le coappartengono, e sviluppano il nodo tematico dell’antropotecnica, formano la raccolta
completa, pubblicata in italiano con il titolo Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger 9.
All’interno della raccolta Sloterdijk ha deciso, per motivi che egli stesso definisce ‘estrinseci’, di
ripubblicare pressoché immutato il discorso e la sua chiarificazione che andrà a costituire la parte
centrale del testo La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung. Come egli stesso
suggerisce nella prefazione si deve contestualizzare il discorso adempiendo al compito di ascolto più
volte richiamato dalla filosofia degli ultimi anni. Ma per il filosofo di Karlsruhe bisogna, innanzitutto,
saper fuggire tanto ai fantasmi biologisti che alle paure, metafisiche o non, degli umanisti, poiché
gli uni e gli altri procedono nel compiere gli stessi errori. L’autore, denunciando l’ormai obsoleto
umanismo-illuminista, che egli associa al contesto che è proprio ad Habermas, cerca di aprire la
strada a un umanismo moderno, in grado di adattarsi sia alle temperature sempre più alte registrare
sul pianeta, sia alla qualità sempre più bassa dell’aria, cosciente e diffidente come mai prima nella
storia della razionalità. In questo modo egli si autopone sul fronte dell’evoluzione “dove iniziano gli
13
anni della non-devozione” ai paradigmi totalitari di una qualunque metafisica.

14(rivedi cit)
Nel 1983 Sloterdijk ha esordito con Critica della ragion cinica . L’accoglienza accordata
alla sua prima uscita nel dibattito contemporaneo, ben prima della polemica riguardo alla
conferenza del 1999, fu piuttosto calorosa.
In questa sua prima fase del pensiero Sloterdijk cerca di postulare, una “posizione che rendesse la
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sinistra tedesca ed europea compatibile con gli impulsi della filosofia heideggeriana” , tale
compito reso arduo dalla diffidenza che ancora si nutriva a causa delle scelte politiche operate dal
17
filosofo negli anni del suo rettorato .
19(rivedi)
La trilogia delle Sfere, che inizia ad essere integralmente tradotte in italiano , è invece lo
strumenti attraverso il quale Sloterdijk cerca di utilizzare l’apparato tecnico a nostra disposizione,
sviluppato attraverso la totalità della storia e soprattutto, per la civiltà occidentale, lungo l’epoca
della metafisica, per costruire una sorta di monumento contemporaneo alle capacità
antropotecniche, di adattamento, dell’uomo. Sloterdijk allora adotta uno stile combattivo, quasi
brandisse una spada, connotato da una macabra seriosità e ad una affliggente constatazione continua
8
ibidem pag.33.

9
Cfr. op. cit. Peter Sloterdik, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, Studi Bompiani.
della mancanza di senso anche nelle cose rese più comuni nelle società contemporanee. Quella che
egli chiama “la battaglia del reale” non è, a suo dire, ancora finita e anzi assume, nel tardo XX
secolo e nei primi decenni del XXI, un carattere spiccatamente marcato di urgenza. E non è con un
gesto eroico-moralizzante dello spirito che egli tenta questa impresa di un pensiero vivo, ma per
tentativi, per saggi che sono la forma definitiva del provvisorio-senza-aggiungere; del resto in
questo momento storico “raggiungere qualcosa di concreto” sembra essere diventato un obiettivo
decisamente utopico. Sloterdijk ha come obiettivo polemico l’ala accademica che origina una
mascherata dietro un atteggiamento anticonformista il cui obiettivo è dissimulare schemi di
elitarismo culturale e tecniche di esclusione politica vecchi, obsoleti e mortiferi tanto per la vità
quanto per il pensiero. Questo compito è in prima istanza politico, se per politico s’intende non la
21
semplice sopravvivenza di principi duri (realistici, cinici) ma l’abbandono dei ‘baldacchini ’
immunitari idealistici e il porsi a guardia di spazi climatizzati da una critica senza compiacenze.
Questo compito è in prima istanza politico, se per politico s’intende non la semplice
sopravvivenza di principi duri, ed ancor meno il raccapricciante gioco di interessi personali dei
21(rivedi)
politici, ma l’abbandono dei ‘baldacchini ’ immunitari (in senso biologico esteso: contro
tutto ciò che è considerato esterno ad una società) idealistici per porsi a guardia di spazi immunitari
propriamente moderni, segnati da una critica senza compiacenze. Un pensiero che si ponga senza
etichette è, nella contemporaneità, assolutamente politico: esso fa si che si possano azzardare ipotesi
sulla creazione non tanto degli oggetti, il cui discorso è irrimediabilmente intriso, che lo si ammetta
o meno di capitalismo, ma piuttosto quanto degli esseri umani. che si possa accogliere l’irruzione
del non - filosofico, del taciuto o non ancor detto. Se accettiamo la proposta di Sloterdijk per il
quale il lascito più importante dei grandi pensatori del reale degli ultimi duecento anni è
quest’attenzione, mai manifesta prima della modernità, per le lotte sociali, per la follia, per il
dolore, le politiche, gli incidenti, le arti, le cliniche e le tecniche, allora, una nozione saggistica di
22
filosofia (“elevata al suo massimo grado” ) diventa non solo plausibile ma già presente nella
scrittura filosofica della modernità feconda dopo Heidegger dopo Nietszche dopo Marx dopo Freud
23
dopo Luhmann . La sua opera tanto polemica quanto brillante, ha fatto sì che nonostante la sua
24
feroce e kinica critica ai media egli si trovasse, grazie a una potenza metaforica messa al servizo
25
delle sue audaci teorie, proprio al centro della scena . Senza avere a cuore uno sviluppo del suo
pensiero legato ai ‘dogmi’ del post-modernismo, al quale si sente sicuramente appartenere,
Sloterdijk si serve di una smisurata quantità di pagine e aneddoti, digressioni storiche, disvelamenti
estetici della nostra modernità, degni di una rinnovata visione sintetica dei fatti e dei sistemi sociali
perché la filosofia, dopo la fine dei grandi sistemi, potesse ancora avere la necessaria ampiezza di
sguardo sull’evento della contemporaneità. Ecco perché “dopo la sedicente ‘fine dei grandi sistemi’,
della quale si parlava al crepuscolo del marxismo, due correnti si sono sviluppate” continua
Sloterdijk, “la prima è stata il moralismo della quale l’umanitarismo è la versione applicata. La
seconda è stata la micrologia, la scoperta del quotidiano e delle piccole cose della vita, lo studio
approfondito d’oggetti rimasti fin là inoffensivi e marginali. Il tornante micrologico è stato
prefigurato dall’elogio delle questioni dietetiche di Nietzsche – e nella sua arte dell’aforisma, questa
26
forma paradigmatica di guerriglia letteraria. Io mi sono ritrovato dalla parte dei micrologi ”.

Sphäeren è una storia, narrata sotto forma di un’odissea, dell’essere attraverso le diverse fasi della
civilizzazione umana. Sloterdijk parte dal concetto spaziale della Sfera per formulare una filosofia
del luogo all’interno del quale gli uomini vivono specificatamente. mai totalmente ‘nel mondo’, mai
totalmente fuori. “Ho iniziato a integrare la psicanalisi, la storia delle idee e delle immagini, la
sistemica, la sociologia, la teoria dell’urbanismo, ecc…, in un paradigma che chiamo Immunologia
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Generale, o ancora Teoria delle Sfere ”così introduce la stesso Sloterdijk i suoi lavori più recenti e
complessi che vanno sotto il nome di Sferologia. A più riprese si definisce un teorico dello spazio
umano, concetto per il quale “non si deve intendere niente altro che un’isola nello spazio del non -
umano”. In Sphäeren egli cerca di raccontare ex novo la storia del divenire umano avvalendosi di
figure concettuali come Bolle, Globi, Schiume (sottotitoli della trilogia apparsa tra il 1999 e il
2005). La sua tesi è che questi contenitori siano i migliori descrittori possibili di un mondo che,
persa tanto la sua solidità idealistico-metafisica quanto il suo realismo di massa, si fa sempre più
fragile ed insopportabile da sostenere. Secondo il filosofo di Karlsruhe è ‘urgente’ riformare il
vocabolario del pensiero reintroducendo la spazialità tra le priorità analitiche. ecco perché figure di
pensiero come ‘involucro’ e ‘immunizzazione’ rinnovano il loro senso allargandolo dalla placenta
materna fino al welfare state, parabola lungo il corso della quale la storia umana, sin dal Pleistocene
e sin dalla rivoluzione stanziale del neolitico è dominata dalla ricerca di sicurezza e comfort.
“ Con Bolle ho cercato di descrivere lo spazio diadico di risonanza tra le persone così come lo
troviamo nelle relazioni simbiotiche – madre e figlio, Filemone e Bauce, psicanalista e paziente,
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mistico e Dio, ecc… ” volendo così tematizzare l’evidenza per la quale la natura delle relazioni
umane, sia in un senso antropologico che propriamente politico, sia sempre bipolare. A partire da
una teoria dello spazio su basi psicanalitiche o da una teoria dello spazio interiore egli dimostra
come gli uomini innanzitutto dei prodotti di “qualcosa” e che questo “qualcosa” sia sempre un
interno, un destino che condividiamo con gli altri mammiferi e che viene argomentato soprattutto a
partire dalla costituzione dell’essere all’interno della madre. Questo legame con la madre - tutto
costituirebbe la matrice di riferimento della memoria umana divenendo una vera e propria “utopia
30
biologica” che ci porterebbe a pretendere anche al di fuori dell’involucro materno, un certo
31
comfort: “è per questo che gli esseri umani sono creature naturalmente portate al lusso” .
Il secondo volume sviluppa le conseguenze pubbliche e politiche degli assunti di base circa la vita
‘intima’ dell’uomo proiettato su una sfera dalle pareti planetarie, globali. “Nel secondo volume di
Sfere, votato alle macro sfere o ai Globi (non bisogna dimenticare che la sfera fisica ha portato nella
vecchia Europa, durante più di duemila anni, il bel nome di Cosmo, e che la sfera di tutte le sfere
mentali o vitali si chiamava Dio) - ho rischiato la proposizione para- nitszcheana: La Sfera è
32
morta ”. L’esperienza della prima sortita degni uomini europei verso l’incognito mare è la cesura
temporale con quel ‘dopo’ che è il mondo esteso della globalizzazione, che si definisce prima come
fenomeno filosofico e solo poi relativo alla sfera commerciale legata al capitalismo come lo
conosciamo oggi. L’oltrepassamento della soglia, qualsiasi soglia, pone, innanzitutto, nella lettura
di Sloterdijk, ciò che è il punto di partenza per la comprensione dello sgomento e delle strategie di
reazione che hanno dovuto attuare uomini che si trovarono per la prima volta davanti all’assoluto
Altro. Ciò che è in gioco da ora in avanti è una nuova condizione epistemologica che, per la natura
delle culture, con un linguaggio non più esclusivamente biologico, determina delle verità di primo
ordine come dei sistemi immunitari simbolici condannati “ad uno sforzo permanente volto a
preparare i loro scudi morfo-immunitari contro le invasioni microbiologiche e le lesioni semantiche
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(noi intendiamo : le esperienze) alle quali sono esposte” . Per questa ragione la perdita della
regionalità rassicurante determina, secondo Sloterdijk, una sorta di transfert immunitario dalla
piccola sfera locale al maxi-globo (la città, l’impero) che diventerà omnicomprensivo, come mai lo
era stato fino ad allora, nell’età moderna.
Nel terzo volume di Sfere l’autore definisce il Modello-Schiuma come la condizione, pienamente
moderna, che porta a formare dei centri di senso basati su questo quasi-niente, che è portatore di
una forma sì, ma estremamente fragile. Seguendo la paronomasia spesso esplicitata dagli scrittori
tedeschi tra schiuma e sogno (Träume sind Schäume), Sloterdijk ritorna sulle immagini e le angosce
della modernità, per abbozzare una afrologia - dal greco aphros, la schiuma - che vuole essere una
teoria dei sistemi affetti dalla fragilità tipica del contemporaneo. Lontano dal voler fare discorsi
dalla valenza esclusivamente metaforica, ciò che scrive l’autore è strettamente legato agli sviluppi
nel campo dell’urbanesimo e dell’architettura. All’interno di tali strutture urbanistico-sociali, le
social foam, dove non si è mai proprietari né delle mura domestiche né di quelle del proprio
pensiero, e che sono sempre confinanti per costrizione con le celle del vicino, per assurdo: “non c’è
‘comunicazione’ – anche questa è una parola di fronte ad un’apocalisse – ma solo relazioni inter-
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acustiche e mimetiche ”.
Questo compito è in prima istanza politico, se per politico s’intende non la semplice
sopravvivenza di principi duri, ed ancor meno il raccapricciante gioco di interessi personali dei
21(rivedi)
politici, ma l’abbandono dei ‘baldacchini ’ immunitari (in senso biologico esteso: contro
tutto ciò che è considerato esterno ad una società) idealistici per porsi a guardia di spazi immunitari
propriamente moderni, segnati da una critica senza compiacenze. Un pensiero che si ponga senza
etichette è, nella contemporaneità, assolutamente politico: esso fa si che si possano azzardare ipotesi
sulla creazione non tanto degli oggetti, il cui discorso è irrimediabilmente intriso, che lo si ammetta
o meno di capitalismo, ma piuttosto quanto degli esseri umani. che si possa accogliere l’irruzione
del non - filosofico, del taciuto o non ancor detto. Se accettiamo la proposta di Sloterdijk per il
quale il lascito più importante dei grandi pensatori del reale degli ultimi duecento anni è
quest’attenzione, mai manifesta prima della modernità, per le lotte sociali, per la follia, per il dolore,
le politiche, gli incidenti, le arti, le cliniche e le tecniche, allora, una nozione saggistica di
22
filosofia (“elevata al suo massimo grado” ) diventa non solo plausibile ma già presente nella
scrittura filosofica della modernità feconda dopo Heidegger dopo Nietszche dopo Marx dopo Freud
23
dopo Luhmann . La sua opera tanto polemica quanto brillante, ha fatto sì che nonostante la sua
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feroce e kinica critica ai media egli si trovasse, grazie a una potenza metaforica messa al servizio
Le riflessioni
consolidamento leintorno
dei a queste
gruppi relazioni
umani come cheportano
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sotto laper auna
definire
tensione iilgiochi
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sostengono,
cioè di un
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posizioni Le suesiacontrario,
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partenza,
ideologiche, ontologicamente
proposte
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atteggiamento interpretative
politico
libero
esplicitata
siano volto antropologicamente),
circa
a- sistemiche,
dalla necessità
fare si condizione
avvalgono
dialettica
fenomenologicamente,
esse quelle della sinistra diun
dell’autoreferenzialità
critica verso
economica,
di ‘un’epochéquale
appunto,
contrapposizione
del
rilancio
che sistema
quelledeldella di
pensiero ricerca
destra alle
seconda didell’invidia
eterna
economico làtra
di che laIle
rituale
generazione’
poli.
pensiero
delle
conservatrice.
Al fine di continuare l’avventura epistemologica dell’uomo moderno, Sloterdijk si munisce di una
nuova terminologia dell’antropologia filosofica. Ricercare una nuova ‘grammatica’ è non solo
un’operazione estetica, ma è il fondamentale tentativo di costruire un pensiero del movimento
(Heidegger) senza più la macchia logico - morale della contraddizione così cara alla vecchia
Europa.
Essere un uomo nel XXI secolo vuole dire per Sloterdijk vivere una vita che sia calda di emozioni e
esperienze formative, allo stesso tempo essere freddi e disillusi pensatori sempre pronti all’abisso,
ora che l’umanità non può più assumere principi metafisici come proprio paracadute.

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