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Capitolo 4

I centri urbani crescono d’importanza

Tra il IX e il X secolo l'incapacità del potere imperiale di difendere e governare i territori sotto il suo
controllo aveva determinato grandi trasformazioni nelle campagne e favorito fenomeni come
l'incastellamento e l'affermazione delle signorie di banno. Importanti cambiamenti erano avvenuti anche
nelle città. Nelle città vivevano persone di estrazione sociale diversa: famiglie nobili, contadini, mercanti,
artigiani e notai. In Italia centro-settentrionale molte città iniziarono a svilupparsi come organismi politici
autonomi, riuscendo, tra il XII e il XIII secolo, a controllare le campagne a loro circostanti.

Nasce il Comune, patto giurato tra cittadini

Fin dal tempo degli ottoni l'amministrazione e la difesa militare dei centri urbani erano affidate dal
sovrano al vescovo. Egli si occupava di riscuotere i tributi dagli abitanti della città e di garantire l'ordine
pubblico, per fare ciò aveva al suo servizio una clientela di signori cavalieri (milites). Progressivamente gli
aristocratici (signori e milites inurbati) iniziarono a dare consigli al vescovo su questioni di interesse
comune. Tutti cittadini scoprirono di avere molti interessi e ambizioni in comune allora si allearono fra di
loro per governare e difendere in modo autonomo la propria città. Tali alleanze venivano sancite da un
pubblico giuramento ed è questo patto giurato che noi chiamiamo comune. Inizialmente furono
soprattutto le principali famiglie di aristocratici e milites a porsi alla guida del nuove istituzioni comunali,
solo in un secondo momento parteciparono alla gestione del Comune anche i mercanti e i grandi
banchieri.

La città medievale: una selva di torri

Col tempo il gruppo dei milites si accrebbe di nuove famiglie che si trasferivano in città. Molti degli
aristocratici inurbati avevano mantenuto i loro castelli e le loro proprietà nelle campagne, ma
intendevano esibire la loro ricchezza anche in città, abitavano perciò i bei palazzi fiancheggiati da torri.
Queste simboleggiavano la potenza del proprietario e avevano una funzione militare: servivano per
difendersi durante le frequenti lotte cittadine.

Nuovi abitanti nelle città: nascono le Arti o Mestieri

I signori non erano stati i soli a spostarsi dalla campagna. Erano giunti in città anche molti contadini che si
erano trasformati in commercianti, artigiani, uomini d'affari, divenendo spesso assai ricchi. Questi
cittadini per proteggere i loro diritti si riunirono in corporazioni chiamate arti o mestieri. Alle
corporazioni non erano ammessi gli apprendisti né i salariati ma soltanto i loro superiori, i cosiddetti
maestri. Gli iscritti alle arti stabilivano qualsiasi aspetto relativo all'attività della corporazione: i prezzi dei
prodotti finiti, le condizioni di lavoro dei sottoposti. Gli apprendisti e i salariati non godevano di alcun
diritto. Esistevano sette arti maggiori: dei mercanti, dei giudici e notai, del cambio, della lana, della seta,
dei medici e speziali, dei vaia e pellicciai. C'erano poi le cosiddette arti minori, costituite dagli artigiani e
da piccoli negozianti.
Mercanti e banchieri

Il mercante dei primi secoli del medioevo era un viaggiatore, che si muoveva lungo le vie terrestri, fluviali
e marittime. Doveva avere a disposizione somme di denaro ingenti per sostenere i viaggi spesso molto
lunghi e rischiosi. Il mercante doveva conoscere le lingue volgari: in principio la lingua internazionale del
commercio in Occidente fu il francese, in seguito sostituito dall'italiano. Con lo sviluppo delle città
accanto al mercante itinerante, apparve una nuova figura: il mercante sedentario. Costui stabiliva in città
una sede centrale dalla quale gestiva i suoi affari appoggiandosi a una rete di soci ed impiegati che lo
sostituivano negli spostamenti. Il mercante per tenere i contratti di compravendita si faceva aiutare dal
notaio. Adoperava un registro a partita doppia dove annotava su una colonna i crediti e su un’altra i
debiti. Cominciò anche usare le lettere di cambio: invece di far viaggiare grosse quantità di denaro il
mercante depositava presso un banco il suo denaro e in cambio otteneva alcune ricevute che valevano
quanto il denaro depositato. Si formarono con il tempo compagnie di banchieri così ricchi da potersi
permettere di prestare grosse somme di denaro a papi e sovrani. I banchieri guadagnavano prestando
denaro a interesse. Erano anche (i bancheri) cambiavalute. La circolazione di merci di lusso e l'aumento
generale degli scambi commerciali resero necessario avere a disposizione valute di maggior valore e
quindi di metallo prezioso. Firenze, Genova e Venezia iniziarono a coniare monete d'oro: il fiorino, il
genovino e il ducato. I banchieri sul loro banco avevano sempre una bilancia con cui pesavano le monete
per stimarne il valore effettivo e calcolare poi il cambio. Infine i banchieri si assicuravano il carico delle
navi impegnandosi a rimborsare il valore delle merci in caso di naufragio.

I Comuni in Italia

Nell'Italia centro settentrionale i cittadini appartenenti alle principali famiglie di aristocratici e milites
cominciarono a collaborare con i vescovi, a consigliarli nel governo delle città fino a sostituirli del tutto.
La riforma gregoriana e la lotta per le investiture avevano provocato una grave crisi nell'organizzazione
amministrativa della chiesa cosicché il vescovo aveva perso la sua capacità di esercitare un dominio
concreto sulla città rispetto al passato. Anche l'imperatore all'inizio non fu in grado di opporsi ai comuni
perché era impegnato a fronteggiare le rivolte dell’aristocrazia tedesca e alla lotta con il papa per le
investiture. Quindi l’imperatore riconobbe le nuove forme di autogoverno cittadino. Pretese che il suo
esercito fosse rifornito dalle città presso le quali giungeva, volle che i comuni pagassero alcune tasse e
che gli assicurassero un certo numero di uomini in armi. Quando però l'imperatore si accorse che le città
stavano diventando autonome ed indipendenti dalla sua autorità, reagì alla nuova situazione con
estrema durezza.

Il Comune consolare

Nei comuni italiani le élite cittadine per governarsi si raccoglievano nell’ arengo, un'assemblea durante la
quale venivano eletti dei consoli. A loro spettava di difendere la città, assicurare la giustizia e far
rispettare le leggi. I consoli erano assistiti dal consiglio degli Anziani, duravano in carica sei mesi o un
anno ed erano quasi sempre scelti fra le grandi famiglie nobili cittadine. L'ordinamento del Comune
escludeva dalla partecipazione al governo i cittadini appartenenti alle classi sociali più umili. All'interno
del comune il ruolo predominante assunto dalle classi aristocratiche generò dei conflitti. Dalle torri
nobiliari si combattevano spesso lotte con lanci di frecce e sassi, per questo motivo chi possedeva una
torre cercava di costruirla più alta di quella del vicino. A volte i comuni intervenivano decretando che
tutte le torri fossero pareggiate alla medesima altezza.

La situazione al di fuori dell’Italia

In altre regioni d'Europa le città medievali erano città nuove, nate come borghi accanto a un castello o a
una piccola città dove risiedeva il vescovo. Erano abitate da mercanti e artigiani i quali in cambio di una
totale sottomissione veniva garantita protezione in caso di guerre o carestie. In queste città mancava una
milizia cittadina, per questo le città francesi o tedesche non divennero quasi mai indipendenti da
sovrani, vescovi o signori. Non riuscirono mai a conquistare il proprio contado (l'area di campagna
intorno alla città sulla quale il Comune pretendeva di estendere il suo potere).

Guelfi, ghibellini e l’ascesa di Federico I Barbarossa

Lo sviluppo dei comuni Italia fu favorito anche dalla latitanza dell'imperatore, alle prese con una lunga
crisi dinastica. In Germania, le casate di Baviera e di Svevia erano da tempo in lotta per eleggere
imperatore uno dei loro. I sostenitori della casa di Baviera si chiamavano guelfi dal nome di Guelfo, duca
di Baviera, gli altri si chiamavano ghibellini da Waiblingen, il nome di un castello dei duchi di Svevia. La
lotta si concluse nel 1152 con l'elezione di un re imparentato con tutte e due le casate: Federico I
Hohenstaufen, detto il Barbarossa. In Italia nella lotta fra impero e papato i comuni favorevoli
all'imperatore furono definiti ghibellini, mentre quelli che si appoggiavano al Papa per difendere la
propria autonomia furono chiamati guelfi. Federico I era intenzionato a rafforzare la sua autorità di
imperatore in Germania. Nell'Italia centro-settentrionale però l'espansione di alcuni grandi città italiane
mise in allarme l'imperatore. Quest'ultime muovevano guerra alle città più piccole e ne conquistavano i
territori. Federico I reagì con grande determinazione. Il Barbarossa riteneva giusto che solo l'imperatore
poteva amministrare la giustizia, proclamare la guerra e riscuotere le tasse. Il progetto di Federico I
riaffermava la volontà di riappropriarsi della gestione del potere pubblico, ma fu osteggiato dalle città
che ormai non volevano rinunciare alla propria autonomia.

Federico I, re d’Italia e imperatore

Federico dopo essere stato eletto re di Germania nel 1154 decise di scendere in Italia per essere
incoronato imperatore a Roma. Al suo passaggio alcuni comuni ghibellini come Lodi, Pavia e Cremona,
gelosi della potenza dei comuni vicini, lo accolsero con entusiasmo. A Pavia Federico fu incoronato re
d'Italia. Negli altri comuni fu ricevuto con ostilità. A Roma era scoppiata una ribellione contro il pontefice
Adriano IV; nella città si trovava il riformatore religioso Arnaldo da Brescia, che con la sua predicazione si
scagliava contro i costumi dell'alto clero. Lo strato del popolo più povero di Roma aderì alla ribellione
antipapale. Barbarossa sottomise la città, catturò Arnaldo e lo fece impiccare. Il Papa incoronò in San
Pietro Federico imperatore. Il Barbarossa ritornò successivamente in Germania.

La dieta di Roncaglia

In una venuta in Italia del 1158 Federico I, nella piana di Roncaglia, convocò una dieta (assemblea del
clero). Qui Federico I espose un programma di riordinamento dell’impero (costitutio de regalibus).

Il diritto di fare la pace o la guerra era dato dalla volontà dell’imperatore, che nominava un suo podestà il
quale governava insieme ai consoli. Si dovevano rispettare i diritti imperiali (le regalie), l’imperatore
poteva imporre pedaggi, riscuotere tasse ecc.

A ribellarsi fu la città di Milano così Federico I dopo due anni di assedio prese la città e la distrusse
(1162). I Milanesi sopravvissuti furono costretti all’esilio e deportati nei sobborghi vicino la città.

La lega lombarda e la battaglia di Legnano

Il problema della sottomissione all’imperatore fece nascere le leghe, delle alleanze tra comuni, la più
importante era la lega Lombarda (creata dal giuramento di Pontida 1167)

Papa Alessandro III espresse il suo dissenso nei confronti di Federico I, successivamente sale come papa
Adriano IV che inizia un’aspra lotta contro Federico I.

In onore ad Alessandro III nacque una città vicino la val di Susa, Alessandria. Quest’ultima sbarrava il
passaggio dell’imperatore. Quando Federico I arrivò in val di Susa svenne bloccato dalla città e sconfitto
poichè l’esercito aveva poche scorte di cibo.

Lo scontro tra imperatore e comuni avvenne con la battaglia di Legnano nel 1176, i fanti della lega
ebbero la meglio sulla cavalleria di Federico I.

Dopo una tregua di sei anni (pace di Costanza) del 1183, Federico I concludeva la pace con i Comuni
riconoscendo la loro indipendenza (diritto di fare guerra, amministrare la giustizia, avere delle
magistrature autonome).

I progetti di rilancio dell’Impero

Federico I era stato piegato ma non aveva rinunciato al progetto di riunificare tutti i territori dell'impero
sotto il suo scettro. Aveva pensato di vincere con le alleanze matrimoniali. Tre anni dopo la pace di
Costanza riuscì a far sposare il figlio Enrico con Costanza d'Altavilla, figlia del normanno Ruggero II.
Costanza era la zia di Guglielmo II il Buono, re di Sicilia, e Federico Barbarossa sperava che Guglielmo II
non generasse figli, in tal modo alla sua morte Costanza sarebbe rimasta l'unica erede del regno
normanno: cosa che accadde nel 1189. Federico sognava adesso di aggiungere alla corona di Germania
quella di Puglia e di Sicilia. Nell'ottica di riaffermare il prestigio dell'impero Federico I volle partecipare
alla terza crociata ma trovò la morte prima di raggiungere la Terrasanta.

Enrico VI

Nel 1194 costanza ed Enrico VI (incoronato imperatore a Roma) ebbero un figlio. Il bambino fu chiamato
Federico, e sarà il futuro imperatore Federico II. Enrico VI pensava di allargare l'impero anche alle coste
dell'Africa, della Spagna e verso Costantinopoli, ma morì a soli 32 anni. Poco dopo di lui morì anche
Costanza che affidò la tutela del figlio di soli tre anni a Papa Innocenzo III. Federico era stato incoronato
re di Sicilia.
Dopo la pace di Costanza: il Comune podestarile

Con la pace di Costanza i comuni si dotarono di leggi proprie (statuti). Si cominciarono a costruire
appositi edifici pubblici nei quali operava l'amministrazione cittadina. Tuttavia la necessità di porre fine
alle continue guerre fra le famiglie aristocratiche ed avere rappresentanti che trattassero con giustizia gli
interessi cittadini nel XIII secolo si sostituirono i consoli con un podestà che doveva essere forestiero. Il
podestà non avendo legami o interessi con i potenti della città che era chiamato a dirigere si sarebbe
comportato con imparzialità. Il podestà era spesso un miles esperto di diritto, che arrivava con la sua
familia (notai fidati e polizia personale). I podestà di maggior prestigio concluso il loro mandato dopo un
anno si trasferivano in un'altra città a continuare lo stesso lavoro. La mobilità di questi uomini contribuì
alla diffusione di una nuova cultura politica.

Il “popolo” rivendica rappresentanza: il Comune popolare

Nel XIII secolo in città erano in molti a essere esclusi dal governo, come artigiani, mercanti di più recente
fortuna, intellettuali laici ecc. A partire dalla seconda metà del 200 questi cittadini si riunirono nelle
“società di popolo”. Il “popolo” funzionò come una vera e propria grande associazione politica,
attraverso cui lottare contro i gruppi che governavano la città, rappresentati spesso dai milites. Lo
scontro fra milites e populares divenne assai violento. Il “popolo” riuscì ad arrivare al governo della città
e a eleggere un “capitano del popolo” che si affianco al podestà. Nel comune popolare i provvedimenti
dovevano essere approvati sia dal Consiglio del Comune sia dal Consiglio della “società di popolo”; il
“capitano del popolo” si occupava della difesa dell'ordine pubblico, mentre il podestà amministrava la
giustizia e curava il funzionamento degli uffici comunali.

“L’aria delle città rende liberi”

Il governo comunale aiutò il processo di liberazione dei contadini. Il Comune tendeva ad ampliare la sua
autorità sulle campagne circostanti sottomettendo i signori rurali rimasti ad abitarvi. Le autorità
comunali a volte versavano loro un pagamento in denaro in cambio della liberazione in massa dei
contadini servi. I contadini affrancati erano liberi di scegliere se andare ad abitare in città, dove c'era
sempre grande bisogno di operai per le manifatture. Accrebbe il numero dei contribuenti del comune
cittadino. I contadini infatti, finché erano in una condizione servile, non pagavano le tasse perché erano
considerati proprietà del signore. per consolidare la sottomissione del contado furono creati dei borghi
franchi, insediamenti fortificati dove gli abitanti godevano di facilitazioni fiscali e aiuti da parte del
Comune. Quest'ultimo era meglio difeso dagli attacchi esterni e aumentava l'estensione delle terre
coltivate.

CAPITOLO 5
La lotta per le investiture tra Papato e Impero aveva avuto il suo momento più drammatico con Gregorio
VII e Enrico IV. In seguito, nonostante il concordato di Worms del 1122 il rapporto tra i due poteri non
ritornò come prima. Alla fine del XII secolo il progetto teocratico di Gregorio VII fu ripreso da Innocenzo
III, il quale si definì vicario di Cristo, (non vicario di dell’apostolo Pietro come tutti i vicari precedenti a lui
si definivano) in questo modo voleva sottolineare che la sua autorità poteva sostituire quella di Cristo.
Innocenzo III riteneva che il suo potere derivasse direttamente da Dio e per questo tutti compresi i
sovrani dovevano ascoltarlo. Per chiarire il suo pensiero fece ricorso al paragone del sole (che
simboleggiava il papa) e la luna (che simboleggiava l’imperatore). La luna è piccola e brilla solo di notte
ed è per questo che è inferiore al sole e dipendeva da quest’ultimo.

Durante il Concilio Lateranense IV del 1215, il papa aveva affrontato i problemi della chiesa. Inoltre
Innocenzo III promosse anche la quarta crociata che non si concluse con la liberazione della Terrasanta,
ma con l’impero latino d’Oriente.

Dopo la morte di Enrico VI di Svevia, essendo suo figlio Federico troppo piccolo per governare (aveva 3
anni); Innocenzo III incoronò imperatore nel 1209 Ottone di Brunswick (Ottone IV), però dato che
quest’ultimo dimostrò poca lealtà venne scomunicato. A questo punto Innocenzo III nominò Federico di
Svevia imperatore nel 1215. Una volta morto Innocenzo III, Federico riuscì nel 1220 a farsi incoronare
imperatore da papa Onorio III, con il nome di Federico II. Dopo Onorio III ci fu Gregorio IX il quale era
molto preoccupato del potere di Federico II, così nel 1227 bandì una nuova crociata spingendo
l’imperatore ad andare per due motivi; liberare Gerusalemme e tenere lontano il più possibile Federico
II. Quest’ultimo esitò a lungo e per questo venne scomunicato fino a quando non decise di prendere
parte alla sesta crociata (1228-1229), dove lo stesso Federico tornò poco tempo dopo, riuscendo a
liberare Gerusalemme per via diplomatica e senza l’uso delle armi.

Il termine teocrazia deriva da theos ”dio” e kratos “potere” quindi “potere divino”. Il termine fu coniato
dallo storico ebreo Giuseppe Flavio per indicare l’ordinamento politico instaurato nel regno di Israele al
ritorno dall’esilio di Babilonia, in cui l’autorità suprema era il sacerdote.

PARAGRAFO 2 CAPITOLO 5

Con la dieta di Capua nel 1220, Federico II, ordinò di abbattere tutti i castelli abusivi e si occupò di fare
anche una revisione generale dei privilegi. Poi per avere un pieno controllo del territorio costruì castelli e
nominò dei suoi funzionari.

Fra il 1222 e il 1224 Federico II affrontò e vinse i Saraceni di Sicilia deportandoli a Lucera (Puglia
Settentrionale), per i quali ebbe anche un atteggiamento di tolleranza siccome gli permise di vivere
secondo le loro leggi e la loro religione, guadagnandosi così la devozione dei Saraceni di Lucera, i quali
divennero la sua fedele guardia del corpo.

Dopo esser tornato dalla crociata, nel 1231 a Melfi in Basilicata emanò il Liber Augustalis (“libro
dell’imperatore”), ovvero le “Costituzioni del regno di Sicilia”, note come costituzioni melfitane, nel quale
vi erano scritti i principi con il quali intendeva governare. Inoltre fece coniare anche una nuova moneta
d’oro detta augustale, sulla quale vie era rappresentato il suo volto da una parte e dall’altra l’aquila
imperiale.

Federico II non stabilì mai una capitale e non ebbe una dimora fissa ma viaggiava sempre (accompagnato
dalle sue concubine) per i vari castelli che aveva fatto costruire, uno di questi à il Castel del Monte in
Puglia. Inoltre egli era un uomo colto ed amante di animali esotici e persino feroci.

PARAGRAFO 3 CAPITOLO 5

Federico II con la dieta di Cremona nel 1226 revocò tutte le concessioni che avevano ottenuto i comuni
con la pace di Costanza nel 1183. Allora molti comuni appoggiati dal papa, costruirono una lega guelfa
che venne sconfitta da Federico e i comuni ghibellini nel 1237 a Cortenuova. Da questa battaglia Federico
II si impossessò del carroccio di Milano (grande carro a quattro ruote usato in battaglia, tirato dai buoi
che portavano le insegne del Comune), che poi venne spedito a Roma perché fosse conservato sul
Campidoglio. Allora Gregorio IX spaventato dalla potenza dell’imperatore lo scomunicò nel 1239.

Dopo Gregorio IX fu eletto Innocenzo IV, il quale nel concilio del 1245 a Lione in Francia scomunicò per la
terza volta l’imperatore, inoltre bandì contro quest’ultimo anche una crociata mandando ovunque
predicatori che lo definivano l’Anticristo. Nel 1250 Federico II morì.

Il figlio di Federico, Corrado IV succedette il padre però morì nel 1254, allora un figlio illegittimo di
Federico II, Manfredi, riuscì ad essere incoronato re di Sicilia. Nel 1260 nella battaglia di Montaperti,
combattuta fra i guelfi e i ghibellini, Manfredi aiutò i ghibellini. Urbano IV iniziò ad avere paura di
Manfredi allora decise di chiamare Carlo d’Angiò (fratello del re Luigi IX), il quale si scontrò con l’esercito
di Manfredi nel 1266 a Benevento. Manfredi morì sul campo di battaglia e Dante Alighieri lo descrive nel
Purgatorio. L’anno dopo il figlio di Corrado IV, Corradino di Svevia, tentò di riconquistare il regno nel
1268 ma venne decapitato.

Il dominio angioino in Sicilia non durò molto. Dopo la vittoria Carlo d’Angiò doveva pagare vari debiti
allora alzò le tasse dei sudditi. Il malcontento era tale che a Palermo il lunedì di Pasqua del 1282 un
episodio fece scoppiare una rivolta nota come guerra del Vespro. I nobili siciliani per liberarsi dal
dominio angioino ei rivolsero a Pietro III sovrano del regno d’Aragona. La lotta tra angioini e aragonesi
duro per circa 20 anni e si concluse nel 1302 con la pace di Caltabellotta, dove Pietro III promise di tener
annessa la Sicilia al suo regno solo finché fosse vissuto e alla propria morte l’isola sarebbe tornata agli
Angioini. La Sicilia rimase in mano agli aragonesi mentre l’Italia meridionale agli Angiò.

PARAGRAFO 4 CAPITOLO 5

In Inghilterra, nella penisola iberica e in Francia i regni di tipo feudale si trasformarono in Stati nazionali
(re governava direttamente sul territorio, aveva un esercito con soldati mercenari e imponeva tributi). In
Francia Ugo Capeto riuscì a rendere la monarchia ereditaria e non elettiva (in una monarchia ereditaria il
re era molto più libero). Nella metà del XII secolo il re inglese Enrico II ereditò il ducato di Normandia da
parte materna e la contea di Angiò da parte paterna; inoltre sposò nel 1152 Eleonora d’Aquitania (erede
di uno dei più grandi feudi della Francia meridionale).

Il 27 luglio 1214 si svolse presso il ponte di Bouvines in Francia una battaglia tra il re di Francia, Filippo
Augusto, e il re inglese, Giovanni d’Inghilterra alleato con Ottone IV. Nonostante l’esercito francese
fosse meno numeroso vinse, poiché Filippo II utilizzando l’astuzia, dispose i soldati in modo che avessero
il sole alle spalle, così da far avere al nemico il sole negli occhi. I francesi affrontarono anche i cosiddetti
Brabantini, soldati mercenari originari del Brabante. Dopo la vittoria Filippo II Augusto iniziò a farsi
chiamare per la prima volta re di Francia e non re dei Francesi.

La monarchia francese venne rafforzata anche grazie a Luigi IX, il quale dopo aver concluso la crociata
contro i catari, annesse ai domini della corona i feudi del sud, riorganizzò il territorio e partecipò a due
crociate. Inoltre nel 1297 venne canonizzato santo. Però dato che non tollerò che il clero si rifiutasse di
pagare le tasse e pretendesse di essere giudicato da un tribunale ecclesiastico, si aprì una disputa.

In Inghilterra Enrico II Plantageneto, intenzionato ad acquistare il pieno controllo non solo sui feudatari
laici ma anche sulla Chiesa, decise che il clero dovesse essere giudicato da un tribunale regio. Thomas
Becket, duca di Canterbury, non era d’accordo con Enrico, così nel 1170 quattro cavalieri lo uccisero
all’interno della cattedrale.
Nel 1215 venne istituita la Magna Charta Libertatum “grande carta della libertà”, un documento che
limitava i poteri del re sulla chiesa e sui nobili. il clero ottenne di essere giudicato da un tribunale di loro
pari e il re si impegnò di non imporre tasse senza anche l’approvazione del clero e delle nobiltà. Questi
privilegi erano garantiti solo a determinati gruppi sociali. Nel XIII secolo si ebbe la nascita di un primo
parlamento, ovvero di un’assemblea, che controllava l’operato del sovrano.

Le tensioni che caratterizzarono il regno di Giovanni Senzaterra contribuirono alla leggenda di Robin
Hood.

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