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Il caso Napoli

Nei decenni precedenti al terremoto del 1980, a Napoli si sono determinate condizioni,
economiche e sociali così come politiche ed istituzionali, tali da favorire il progressivo degrado di
gran parte dell’area urbana:
• sia dei quartieri del centro storico
• sia delle periferie coincidenti con i centri annessi a Napoli negli anni ’20
• sia delle nuove periferie edificate a partire dall’ultima guerra mondiale.

1939. Il Prg di Piccinato


Il Piano regolatore generale redatto da Luigi Piccinato è senza dubbio il migliore strumento
urbanistico che Napoli abbia mai avuto. Di lucida impostazione razionalista, si rivela ben presto un
piano assai “scomodo” per le diverse amministrazioni comunali che si succedono dal '39 in poi.
Nel tempo tale piano verrà infatti giudicato non più rispondente “alle moderne esigenze” ed “alle
mutate realtà cittadine”.
1953. Il completamento del rione Carità

La trasformazione dell’area compresa tra piazza Carità e le vie Toledo, San Giacomo e
Monteoliveto era iniziata nel decennio fra il '30 e il '40 con la demolizione del tessuto storico e la
costruzione di alcuni edifici pubblici ed altri destinati in parte ad uffici ed in parte ad abitazioni. Poi
i lavori furono sospesi, e sui quattro lotti su cui non si era ancora intervenuti mette le mani nel
1953 l’amministrazione Lauro che autorizza lo sventramento e la costruzione del nuovo quartiere:
il più raccapricciante esempio in Europa di edilizia speculativa in centro storico con densità di
duemila stanze per ettaro.

Il protagonista: Achille Lauro

1958. Il nuovo Prg


Viene adottato un nuovo Prg (amministrazione Lauro). E’ un allucinante programma di
sfruttamento che prevede l’edificabilità diffusa su tutto il territorio comunale con indici che vanno
da 22 mc/mq nelle zone centrali a 0,25 mc/mq in quelle agricole, autorizza la distruzione del
centro storico e il massacro del verde della città.

Nello stesso anno una sentenza della magistratura riporta in vita il piano del 1939.
L’amministrazione comunale dimentica però la legge sulle misure di salvaguardia, che non
consente di operare in difformità del vecchio piano fino alla definitiva approvazione del nuovo, ed
il massacro del territorio comunale continua.

1962.
Il piano Lauro viene definitivamente bocciato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Le motivazioni:
• eccesssiva densità e continuità di fabbricazione;
• mancanza di un serio studio dei problemi del traffico;
• insane previsioni relative al verde e alle aree di interesse
paesaistico;

Si comincia con la devastante politica delle varianti. A rendere possibile il dilagare del cemento su
tutto il territorio comunale, senza neanche dover ricorrere alle varianti, provvedono “mani ignote”
che cambiano il colore giallo, che nella legenda del piano Piccinato indicava la zona agricola, con
il colore verde: un verde che però non esiste nella tavola di piano; mentre il giallo, che indicava la
zona agricola, non comparendo più in legenda, ma essendo ancora presente nelle tavole di piano
si ritiene possa rappresentare una zona edificabile.

1972. Approvazione di un nuovo Prg


Il piano assume come obiettivo prioritario la decompressione della città attraverso la
ridistribuzione della popolazione nell’ambito regionale per ottenere il riequilibrio tra le zone
interne, soggette a esodo, e la fascia costiera ad altissima congestione, ponendo il limite
invalicabile di 1.100.000 vani a cui corrisponde un uguale numero di abitanti.
Il piano prevede conseguentemente solo interventi di riqualificazione urbana mediante la
dotazione di attrezzature e di servizi in tutti i quartieri della città.
Ma relativamente agli insediamenti esistenti, il piano utilizza una classificazione diversa da quella
definita dall’art. 2 del D.I. 1444/68, definendo le aree di edilizia recente come zone A –
conservazione del tessuto urbano esistente, ed il centro storico come zona B – risanamento
conservativo. Conseguentemente per il centro storico, l’originaria stesura del piano, poi
modificata dal Ministero dei Lavori pubblici, prevedeva la “completa ristrutturazione della realtà
esistente” da attuarsi attraverso la creazione di spazi liberi a verde e servizi, nel rispetto degli
edifici di carattere monumentale e dei valori ambientali.

1980
Nella primavera di quest’anno viene adottata una variante al PRG il cosiddetto Piano delle
periferie, un rilevante
piano di riqualificazione urbana approvato dal Consiglio comunale all’unanimità pochi mesi prima
del terremoto che interessa tutti i quartieri periferici della città.

La suddetta variante utilizza contemporaneamente il piano di zona della legge 167/62 e il piano di
recupero ex lege 457/78. Nell’autunno del 1980 l’intera Campania è colpita da un rovinoso
terremoto che agisce sul territorio come un potente acceleratore di secolari processi di
degradazione.

Legge 167/62
“Per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare”.
... la legge inquadra l'edilizia economica e popolare in piani inseriti e coordinati in uno strumento
comunale di pianificazione urbanistica (prg o programma di fabbricazione)

1981
Viene emanata la legge speciale 219/81 per gli interventi a favore delle zone colpite dal terremoto.
La legge prevede la predisposizione e l’attuazione, con procedure speciali, del PSER (Programma
straordinario di edilizia residenziale).
La scelta è stata quella di non accantonare i programmi e i progetti urbanistici disponibili – come
spesso succede sotto l’urto dell’emergenza – ma di organizzare la ricostruzione a partire dagli
strumenti e dalle proposte che l’amministrazione aveva messo a punto in situazione ordinaria.

Il PSER quindi localizza gli interventi all’interno delle previsioni del Piano delle periferie ed è
completato da interventi nelle 167 di Ponticelli e Secondigliano e da circa 50 interventi nel centro
urbano .
Dal punto di vista operativo, i lavori sono stati dati in concessione a Consorzi di imprese; si è
adoperata anche per gli interventi sul costruito la 167/62, acquisendo attraverso l’esproprio la
disponibilità immediata delle aree e degli immobili.

Le previsioni del PSER

Il piano prevede opere di nuova edificazione, di recupero, e la realizzazione di attrezzature e


servizi:
• Circa 7000 nuovi alloggi da realizzare oltre i confini comunali di Napoli nei comuni limitrofi;

• Circa 13.000 alloggi da realizzare nel comune di Napoli di cui 3.000 da recuperare;
• 35 scuole dell'obbligo e superiori, 34 scuole materne, 30 asili nido (per un totale di 26 mila posti
alunno);

• 95 sedi per attrezzature collettive, culturali e sociosanitarie;

• Parcheggi per 20 mila posti auto;


• 9 piscine e oltre 20 Ha per attrezzature sportive;

• 19 parchi per un totale di oltre 100 Ha .

Il Programma straordinario per Napoli, gestito da un Commissario straordinario di governo, oltre a


costituire un’esperienza di notevole valore sotto il profilo urbanistico, rappresenta
quantitativamente una delle più vaste operazioni di recupero pubblico intrapresa in una città
italiana. L’incontestabile merito del Programma straordinario è stato quello di avere saputo
coniugare l’esigenza di dare risposta a consistenti fabbisogni quantitativi con quella di produrre,
contemporaneamente, nuove qualità fisiche e spaziali ad una scala urbanistica di maggiore
dettaglio.
I risultati più notevoli provenienti da tale esperienza riguardano la precisazione scientifica della
metodologia progettuale e gli approfondimenti delle problematiche della gestione. Per la
comprensione dei meccanismi storici di formazione e crescita dei tessuti edilizi l’amministrazione
pubblica ha saggiamente preferito avvalersi dell’aiuto di alcuni consulenti che già lavoravano al
tema del recupero urbano. Si è così dato avvio ad una serie di riflessioni e di elaborazioni per la
decodificazione delle caratteristiche costitutive dei tessuti edilizi del centro storico e dei Casali
interessati dagli interventi di recupero, passaggio necessario per definire successivamente una
metodologia d’intervento unitaria.

IL PSER e gli studi sui tipi edilizi


Le analisi sviluppate in particolare sui Casali dell’agro napoletano hanno consentito di individuare
il tipo edilizio-base “a corte” plurifamiliare, originato a sua volta dall’aggregazione di tipi edilizi più
antichi, che Gianfranco Caniggia definisce “domus elementari” monofamiliari, nelle quali la parte
edificata era limitata al solo lato del recinto che consentiva la migliore insolazione. Nel corso del
tempo il tipo a corte si è però lentamente adattato al mutamento della domanda sociale ed
economica, subendo ulteriori trasformazioni.
Un secondo stadio dello stesso tipo vede la nascita di un secondo piano, che provoca una
destinazione specialistica, anche se ancora domestica, del piano terreno come stalla, deposito
attrezzi e derrate, ed il trasferimento della casa al piano superiore con accesso da ballatoio e
scala esterna. In questo stadio gli incrementi della domus originaria servono ancora le esigenze
proprie del primo nucleo familiare.
Quando l’insediamento comincia ad acquistare caratteri proto-urbani, intervengono due diversi
meccanismi di crescita:

la tabernizzazione, ovvero l’occupazione parziale con botteghe del lato su strada, che dà luogo
tra l’altro a successive sopraelevazioni;
l’insulizzazione, ovvero l’intasamento progressivo del recinto della corte con altre case di
consistenza monocellulare, a due piani, monoaffaccio.

Presenza di ballatoi e scale a profferlo. Solo in casi più rari il corpo scala, in seguito ad interventi
di ristrutturazione più pesanti, si trova inserito all'interno dell’edificio.

IL PSR
L’inglobamento dei casali nella periferia napoletana segna di fatto l’inizio del loro degrado,
causato principalmente da intasamenti e impoverimento sociale. La riqualificazione di questi
insediamenti ha richiesto pertanto:

• sia interventi di regressione con l’eliminazione delle parti meno significative e in peggiori
condizioni di esposizione nelle corti;

• sia interventi con limitati incrementi volumetrici, nonchè l’aggregazione di più unità edilizie che
compongono una corte per conseguire standard abitativi adeguati.
Ciò ha comportato la ricerca di un delicato equilibrio tra la volontà di salvaguardare la struttura
tipologica delle corti e le modifiche che si rendevano necessarie nelle unità edilizie.

IL PSER

L’approccio assunto nell’impostare i documenti normativi contenuti nella L. 219/80 è stato


sostanzialmente di tipo sperimentale.
Tra le interessanti innovazioni che questa legge propone, si prevede una diversa articolazione
delle categorie di intervento al fine di reinterpretare al meglio le regole storiche e insediative,
superando così la rigida casistica di categorie applicabili prevista dal Titolo IV della L.457/78.
Alla scala edilizia, il rispetto delle caratteristiche peculiari del tipo “a corte” consente di ridefinire la
possibilità di intervento in tre categorie:
• la conservazione
• la sostituzione
• il completamento


La categoria della conservazione che apparentemente sembrerebbe appiattire la più ricca
articolazione presente nella legge 457/78, (in cui gli interventi previsti vanno dalla manutenzione
ordinaria alla ristrutturazione edilizia) diventa una scelta obbligata, infatti sia i livelli di degrado del
patrimonio edilizio, sia la necessità di adeguamento antisismico escludono di fatto la possibilità di
semplici interventi manutentivi; inoltre gli insediamenti storici oggetto di studio non posseggono
caratteristiche di pregio tali da giustificare, se non in rarissimi casi, la categoria del restauro.

Gli interventi di sostituzione individuano come riferimento e regola principali non l'immagine del
preesistente, costituita dall'involucro esterno, ma le caratteristiche fondamentali del tipo edilizio
anche se filtrate da una loro reinterpretazione compositiva e dalla necessità di adeguamento agli
standard e alle esigenze abitative attuali.
Nessuna suggestione mimetica o filologica quindi, ma l'obiettivo di
realizzare progetti di architettura moderna che possano prevedere
l'utilizzo di tecnologie costruttive non tradizionali.

Alle stesse logiche di progettazione risponde anche il completamento, inteso come intervento in
aree di bordo non edificate ma strettamente interconnesse con il tessuto edilizio esistente.

Quindi sia nel caso della sostituzione che del completamento la regola alla base della
progettazione è stata quella di garantire la conservazione del tipo edilizio “a corte” che
contraddistingue la formazione e la crescita dei Casali, con le sue caratteristiche di autonomia, di
orientamento e di passo strutturale. All'interno di queste regole i progettisti sono stati liberi di
realizzare le nuove abitazioni secondo il proprio linguaggio compositivo e architettonico.

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