Seconda parte
La legge limita la possibilità di edificazione nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici (all'epoca
il 90% dei comuni italiani) e cerca di incentivare la formazione dei piani. Per i comuni inadempienti
è previsto l'intervento sostitutivo degli organi dello Stato.
La legge stabilisce che:
• sono proibite le lottizzazioni nei comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di
fabbricazione;
• spettano ai privati: le spese per le opere di urbanizzazione primaria (strade, fognature, acqua,
luce, verde di vicinato, ecc.),
e parte di quelle secondarie (scuole, parchi, centri sociali, ecc.)
nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico non si possono costruire più:
• 1,5 mc per mq, all'interno dei centri abitati;
L'innovazione della legge-ponte riguarda i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime
di spazio che ogni piano deve inderogabilmente riservare all'uso pubblico, e le distanze minime
da osservare nell'edificazione ai lati delle strade, introdotti con il D.M. 1444 del 1968 (in attuazione
della legge- ponte). Il decreto ministeriale stabilisce che ogni cittadino ha diritto ad un minimo di
18 mq di spazio pubblico (zone A, B, C), così ripartiti:
• 4,5 mq/ab per attrezzature scolastiche (scuola dell'obbligo)
• 2,5 mq/ab per attrezzature di interesse comune
• (culturali, sociali, religiose, sanitarie, ecc.)
Zone B (di completamento): sono le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate,
diverse dalle zone A. Si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta
degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e nelle quali la
densità territoriale sia superiore ad 1,5mc/mq;
Superficie fondiaria: corrisponde alla superficie territoriale detratte le aree per le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria. Quindi si può far corrispondere alla superficie dei singoli
lotti edificabili. Densità territoriale: è il volume di edifici esistenti in una certa area e si esprime con
il rapporto mc/mq.
Zone C: le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o
nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla
precedente lettera B;
Zone D: le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi
assimilati; in tali zone deve essere riservato il 20% della superficie fondiaria per verde pubblico,
parcheggi e attrezzature collettive;
Zone E: le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il
carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da
considerare come zone C; in tali zone devono essere riservati:
- 6,0 mq/ab di aree per attrezzature di interesse comune e per l'istruzione; (standard ridotto)
Zone F: le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale; in tali
zone devono essere riservati:
- 1,5 mq/ab di aree per l'istruzione superiore dell'obbligo;
- 1,0 mq/ab di aree per attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
Durante il dibattito parlamentare però, per evitare che l'attività edilizia fosse “scoraggiata”, passa
un emendamento del partito liberale che rinvia di un anno l'attuazione della legge (anno di
moratoria della legge-ponte).
Da un'indagine condotta dal Ministero dei Lavori Pubblici e dall'Istituto Centrale di Statistica
risulta che nell'anno di moratoria sono state rilasciate licenze per 8,5 milioni di vani residenziali,
quasi il triplo della media annuale di vani autorizzati nel decennio precedente.
Scaduto l'anno di moratoria, gli effetti della legge-ponte avrebbero dovuto farsi sentire ma la
mobilitazione dei proprietari innesca un'altra battaglia legale destinata a paralizzare l'attività di
pianificazione. Alcuni privati riescono a far dichiarare illegittimo, con Sentenza n. 55 del 1968, l'art.
40 della legge 1150.
Art. 40: nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni e i vincoli previsti dal Prg ...
Motivazione:
“al vincolo di piano non segue necessariamente l'atto concreto dell'espropriazione, e quindi del
pagamento di una indennità: il vincolo ha validità a tempo indeterminato ovvero fino a quando il
comune avrà la possibilità di realizzare l'opera prevista.
Quindi secondo la Corte costituzionale sono di natura espropriativa e perciò illegittimi se non
indennizzati, quei vincoli che individuano gli spazi da destinare a impianti pubblici e di uso
pubblico”.
Il dibattito che innesca la Sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1968 porta nello stesso
anno alla messa a punto di un provvedimento temporaneo:
la legge 1187 subito definita “legge tappo”.
La legge stabilisce che le previsioni di Prg, che comportano vincoli nei confronti dei diritti reali,
aventi contenuto espropriativo, cessano di avere vigore qualora entro 5 anni dall'approvazione del
Prg non siano approvati i relativi piani particolareggiati.
Nel marzo 1971 il ministro dei lavori pubblici Lauricella presenta alla Camera il disegno di legge n.
3199 contenente
“Norme sull'espropriazione per pubblica utilità, modifiche ed integrazioni alla legge 18 aprile 1962,
n. 167, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale,
agevolata e convenzionata”.
Si avviano l’esame del disegno di legge e le consultazioni con i rappresentanti delle organizzazioni
sindacali, degli imprenditori, degli inquilini, delle associazioni comunque interessate al problema,
e con le neonate amministrazioni regionali (le prime elezioni regionali si erano svolte il 7 giugno
1970). Il dibattito parlamentare si conclude con la definitiva approvazione della legge 865/1971
che affronta organicamente e compiutamente i nodi del problema della casa in Italia.
La legge non riconosce, nell’indennità espropriativa, il maggiore valore acquisito dall'area per
effetto dell'opera che vi si dovrà insediare o della destinazione d'uso stabilita dal piano regolatore.
Il terzo titolo della legge riguarda le modifiche alla legge 167/1962 e raccoglie i perfezionamenti
richiesti da quasi un decennio di esperienza in materia di piani di zona.
Si stabilisce in particolare che l'estensione delle aree destinate all’edilizia economica e popolare
non può superare il 60% del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa prevista per un
decennio. Viene disposta l'abrogazione dell'articolo 16 della legge 167/1962, che consentiva ai
proprietari di aree ricadenti nei piani di zona di intervenire direttamente.
In tal modo, la legge per la casa, imponendo ai comuni di acquisire le aree e di assegnarle agli
enti ed ai costruttori privati che si impegnano a realizzare abitazioni economiche e popolari nel
rispetto di determinati vincoli, rappresenta un risoluto passo avanti nel controllo dei meccanismi di
formazione della rendita fondiaria. In sostanza, per la prima volta, viene affermata una netta
separazione fra proprietà fondiaria e attività costruttiva.
Il quarto ed il quinto titolo della legge riguardano aspetti finanziari dell'intervento pubblico in
edilizia e tradizionali agevolazioni per l'edilizia privata.
Si tratta di norme dichiaratamente transitorie, in attesa di quella organica legge di spesa per
l'edilizia residenziale, che sarà approvata dopo sette anni (il cosiddetto “piano decennale” del
luglio 1978).
LA LEGGE BUCALOSSI
La cosiddetta “legge tappo” (1968) stabiliva che le previsioni di Prg, che comportavano vincoli nei
confronti dei diritti reali, aventi contenuto espropriativo, cessavano di avere vigore qualora entro 5
anni dall'approvazione del Prg non fossero stati approvati i relativi piani particolareggiati.
Ma i cinque anni trascorsero senza che venisse assunta nessuna concreta iniziativa e nell'ultimo
giorno utile si dovette approvare un'altra proroga biennale.
Nel 1975 ancora un rinvio di un anno. Questa volta però è accompagnato da un disegno di legge
di riforma del regime dei suoli che finalmente, dopo una proroga di tre mesi è approvato nel 1977.
Si tratta della legge n. 10 del 1977 più nota come "legge Bucalossi" dal nome del ministro dei
lavori pubblici repubblicano Pietro Bucalossi che ne fu l'autore (IV governo Moro).
Gli elementi portanti della riforma sono:
• l'istituto della concessione onerosa
La legge n. 457 del 1978 Norme per l'edilizia residenziale più nota come “piano decennale”
si preoccupa in primo luogo di risolvere i problemi relativi alla programmazione degli interventi
pubblici ed al coordinamento delle competenze e delle procedure, dopo il trasferimento dei poteri
alle regioni in materia urbanistica (dpr n. 616/77) .
La riorganizzazione del ciclo edilizio è basata su tre livelli temporali: il piano decennale, il
programma quadriennale ed il progetto biennale.
• Il piano decennale dovrebbe fissare gli obiettivi di lungo periodo e le linee dell'azione statale nel
settore edilizio.
• Il programma quadriennale dovrebbe rappresentare lo strumento per la realizzazione degli
obiettivi stabiliti con il piano decennale attraverso la ripartizione fra i settori di intervento e fra le
regioni delle risorse finanziarie disponibili.
• Il progetto biennale, infine, doveva rappresentare lo strumento di raccordo tra la
programmazione delle risorse ed il loro effettivo impiego, collegando il settore edilizio agli
strumenti della politica finanziaria dello Stato (legge finanziaria, bilancio annuale e triennale).
La legge n. 457 del 1978 resta una legge fondamentale soprattutto per le norme a favore degli
interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente.
Le innovazioni legislative introdotte sono:
• nuove modalità operative per il recupero del patrimonio esistente;
• una terminologia specifica per questi interventi;
• dai comuni:
- per gli interventi che intendono eseguire direttamente (di rilevante e preminente interesse
pubblico);
- per inerzia dei proprietari privati (il comune interviene con l'esproprio se il privato è
inadempiente).
Art. 30: "Piani di recupero di iniziativa dei privati"
I proprietari di immobili rappresentanti i tre quarti del valore di un'area compresa nelle zone di
recupero possono presentare proposte di piani di recupero.
Art. 31: "Definizione degli interventi"
Gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente sono
così definiti:
- interventi di manutenzione ordinaria
La 457/78 doveva essere intesa come una legge di indirizzo, in grado di promuovere una nuova
politica della casa basata sulla riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente. Così non è stato e
la schematicità, le insufficienze del titolo IV non solo hanno determinato l'insuccesso delle
strategie di recupero proposte per l'intervento privato ma si sono riversate senza approfondimenti
e integrazioni nel repertorio della legislazione regionale.
La prima omissione riguarda la mancata individuazione del contenuto dei piani di recupero del
patrimonio edilizio, che la 457 identifica con i piani particolareggiati (piani che la legge del '42
aveva però ideato per attuare le previsioni urbanistiche nelle zone di espansione), differenziando
solo i tempi di validità: 10 anni i per i piani particolareggiati e 3 anni per i piani di recupero.
Ma le insufficienze più evidenti della legge risiedono nella individuazione dei soggetti cui erogare
contributi per il recupero e nei meccanismi di finanziamento.
Il dispositivo della legge prevede infatti l'erogazione di contributi a privati in possesso di un
alloggio, tramite mutui a tasso agevolato. Il finanziamento è relativo solo all'unità immobiliare,
rimanendo escluse le parti condominiali delle unità edilizie come fondazioni, corpi scala,
coperture, ecc.
La normativa sul recupero emanata in attuazione della legge n. 219 del 1981 per le zone colpite
dal terremoto in Campania, ha permesso la messa a punto di elaborazioni progettuali che hanno
reso espliciti la qualità e le problematiche specifiche dei tessuti urbani storici delle città
meridionali, profondamente diversi da quelli coevi delle città del centro nord.
• di nuova edificazione
• di riqualificazione
• di recupero
In particolare gli ambiti di riqualificazione e recupero riguardano gli interventi sul patrimonio
edilizio esistente; i primi sono realizzati integralmente mediante l'intervento pubblico che fa capo
al Commissario straordinario di governo, attraverso la normativa della 167/62, con procedura
spedita di esproprio e acquisizione di immobili e di aree.
Gli ambiti di recupero, invece, dovranno essere realizzati dai privati, che troveranno un opportuno
quadro di convenienze a intervenire in aree urbane già qualitativamente bonificate e
rifunzionalizzate. Negli ambiti di riqualificazione si attua un vero e proprio recupero urbano, basato
sul recupero dell'impianto urbano e dei tipi edilizi che lo caratterizzano, oltre che
sull'ammodernamento delle necessarie reti infrastrutturali e sulla realizzazione dei servizi e delle
attrezzature pubbliche mancanti.
In tale normativa vengono inoltre modificate e arricchite le categorie d'intervento proposte dalla
457/78 e viene abolita la ristrutturazione urbanistica giustamente ritenuta incompatibile con
obiettivi di conservazione e recupero dei tessuti urbani storici.
Le modalità di intervento previste sono:
• la nuova edilizia;
• la conservazione, che comprende le tradizionali categorie della manutenzione (ordinaria e
straordinaria), del risanamento e della ristrutturazione;
• la sostituzione, sia puntuale, sia estesa a intere unità tipologiche;
• il completamento, da realizzare nelle aree non edificate strettamente connesse al tessuto edilizio
esistente;
I criteri e i vincoli definiti per la progettazione degli interventi di sostituzione e di completamento
riconoscono un valore primario alle preesistenti tipologie urbanistiche. Si richiede perciò il rispetto
dei lotti che compongono il tessuto insediativo, delle loro caratteristiche tipologiche (edifici a
corte), distributive e dimensionali.
Tale impostazione rende di fatto, sostanzialmente indifferente la scelta fra conservazione e
sostituzione. Prevale l'ultima modalità quando ragioni di costo, o irrimediabili condizioni statiche
degli immobili, rendono impraticabile la conservazione.
La legge speciale per Venezia n. 798 del 1984 stanzia 600 miliardi di lire in tre anni per interventi di
salvaguardia dell'ambiente naturale, di riconversione industriale e di recupero del patrimonio
edilizio pubblico e privato, prevedendo la competenza statale, quella regionale e quella comunale
dei comuni di Venezia e Chioggia.
L'aspetto innovativo riguarda il meccanismo dell'intervento privato e soprattutto la previsione di
ammettere al finanziamento gli interventi di consolidamento e di recupero delle parti condominiali
degli edifici.
Questi non soltanto vengono individuati per la prima volta come propedeutici agli interventi sulle
singole unità immobiliari, ma vengono anche finanziati dal 50% all'80% con contributi in conto
capitale (detti anche contributi a fondo perduto in quanto non è richiesta la restituzione né del
capitale né degli interessi).
I finanziamenti per il recupero dei singoli alloggi vengono invece erogati tramite mutui a tasso
agevolato da contrarre, sino alla misura del 100% della spesa ritenuta ammissibile, ma vengono
concessi solo se gli appartamenti fanno parte di unità edilizie che presentino uno stato di
conservazione accettabile delle parti condominiali.
Gli aspetti fortemente innovativi introdotti nella legge speciale per Venezia sono stati
successivamente inseriti nella legge speciale per i Sassi di Matera n. 771 del 1986 per la
salvaguardia e il recupero urbanistico ambientale del Sasso Barisano, del Sasso Caveoso e del
prospiciente altopiano murgico.
I contributi in conto capitale sono erogati dal Comune di Matera, in favore dei soggetti privati
proprietari e sub-concessionari (interessati ad ottenere in sub-concessione l'uso degli immobili di
proprietà dello Stato trasferiti al Comune), che ne fanno domanda, per l'esecuzione degli
interventi per la conservazione e il recupero dei rioni Sassi.
I contributi sono concessi per gli interventi concernenti:
• gli intonaci ed i paramenti esterni, nonché i provvedimenti necessari per evitare la formazione di
umidità sulle murature;
• i serramenti esterni;
Rispetto a Venezia, nel caso di Matera, la differenza si riscontra negli esiti operativi, con riguardo
ai tempi e alle modalità di attuazione: infatti mentre a Venezia la legge ha funzionato abbastanza
bene, incentivando e incrementando notevolmente il recupero del patrimonio edilizio, a Matera,
invece, per ragioni ascrivibili al contesto socio- economico i 100 miliardi di lire della legge speciale
non sono stati tutti utilizzati.
(Art. 3) Il comune, nel quadro delle previsioni generali di recupero in termini di residenze, servizi,
attrezzature pubbliche, nonché dei vincoli ambientali e paesaggistici, definisce l'articolazione degli
interventi in programmi biennali. Tali programmi di attuazione degli interventi previsti nei rioni
Sassi definiscono tra l'altro:
• le aree e gli immobili, pubblici e privati, sui quali saranno effettuati gli interventi di restauro
conservativo e di recupero urbanistico ed edilizio;
• le aree e gli immobili da acquistare;
LA BOTTA-FERRARINI
Il parlamento nazionale torna ad occuparsi del tema del recupero in riferimento all'ambito
nazionale solo nel 1992 con la legge n.179, consistente in un aggiornamento della 457/78. La
nuova legge denominata “Norme per l'edilizia residenziale pubblica ” è conosciuta
comunenemente come Botta-Ferrarini.
La legge risente dell'evoluzione della tematica del recupero e della necessità di prendere in
considerazione l'obiettivo più complesso della riqualificazione urbana.
Il capo IV di questa legge è dedicato al recupero e introduce le seguenti novità:
• si dovrà riservare non meno del 30 % dei finanziamenti per l'edilizia sovvenzionata al recupero
(percentuale ancora ben al di sotto del necessario, considerato che si prevede di finanziare il
recupero anche di edifici non residenziali, ma funzionali alla residenza e l'acquisizione di
immobili da recuperare).
• all'art. 12 la legge prevede la possibilità di finanziare gli interventi sulle parti comuni degli edifici
e successivamente istituisce la formazione di Programmi integrati d'intervento miranti a
riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale, con la partecipazione contestuale di
soggetti pubblici e privati.
La formulazione dell'articolato lascia però intendere che tali programmi non sono finalizzati solo
alla conservazione e alla rivitalizzazione dei tessuti storici, in quanto i campi di applicazione
possono consistere indifferentemente in aree in tutto o in parte edificate o da edificare ex novo.
A distanza di quasi 30 anni dall'emanazione della 457/78 il legislatore nel predisporre il “Testo
unico per l'edilizia” relativamente al tema delle categorie d'intervento, dimostra di non tenere
conto degli avanzamenti metodologici e normativi dell'intervento nei centri storici.
Il Dpr 380/01 ripropone infatti al Titolo I (art. 3) una casistica di categorie d'intervento ammissibili
quasi identica a quella contenuta nella 457, con l'aggiunta di una sola nuova categoria ovvero
quella della “nuova costruzione”.
Titolo I
Art. 3 : Definizione degli interventi edilizi (in blu le aggiunte rispetto alla 457)
• interventi di ristrutturazione edilizia, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato
identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica.
• interventi di nuova costruzione, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
1) la costruzione di nuovi edifici fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti
all'esterno della sagoma esistente;
2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
3) la realizzazione di infrastrutture di impianti, anche per pubblici esercizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla
zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di
nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20 % del
volume dell'edificio principale;
LA CONTRORIFORMA
La controriforma corrisponde a quella fase storica iniziata negli anni Ottanta quando, in Italia
come nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, si affermano le teorie e le pratiche del cosiddetto neo-
liberismo.
In urbanistica, la fase è caratterizzata, in particolare:
• dalle sentenze costituzionali che, dal 1980 in poi, smantellano la precedente legislazione
urbanistica (legge Bucalossi, espropri);
• dall’approvazione di tre leggi di condono edilizio in diciotto anni: 1985, 1994, 2003;
• dall’approvazione di provvedimenti che consentono di operare in deroga alla disciplina
urbanistica con il ricorso all’accordo di programma. Di seguito sono elencati alcuni degli
strumenti (che potrebbero definirsi eversivi) che consentono di operare in deroga.
Protagonisti della controriforma:
• Giovanni Prandini, ministro dei Lavori pubblici dal 1989 al 1992. Ha dato l’avvio allo
smantellamento sistematico delle leggi che ne regolavano l’attività. Insignito del premio “Attila”
dal Wwf. Travolto da Tangentopoli è uscito di scena;
• Bettino Craxi, presidente del consiglio, Franco Nicolazzi, ministro dei Lavori pubblici (dal 1979 al
1987), autori della prima legge di condono del 1985;
• Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, Roberto Radice, ministro dei lavori pubblici, autori
della seconda legge di condono del 1994;
• Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, Giulio Tremonti, ministro dell’economia, Pietro
Lunardi, ministro dei lavori pubblici, autori della terza legge di condono del 2003.
L'avvento della stagione della programmazione pone con forza una questione: l'urbanistica, non
si fa solo con i piani. A partire dagli anni '90 si fa infatti esplicito ricorso a termini fino ad allora
ritenuti solo tangenti all'ambito di competenza: politiche e programmi che insieme ai piani
diventano le tre componenti dell'azione del governo del territorio.
Tali componenti sembrano combinarsi diversamente nelle differenti situazioni locali:
più programmi e meno piani nei contesti di maggiore fiducia nel liberismo, più piani e politiche in
quelli più “garantisti” e orientati al controllo pubblico.
Si intende per POLITICHE gli atti o gli insiemi di atti di tipo normativo-regolamentare attraverso i
quali uno o più soggetti istituzionali promuovono o disincentivano, mettendo o meno a
disposizione risorse pubbliche, pratiche e azioni di soggetti sociali (singoli, famiglie, imprese,
gruppi strutturati, ecc.) correlate alla soluzione di un problema collettivo, cioè di un bisogno o di
una opportunità generalmente considerati di interesse pubblico.
Si intende per PROGRAMMI gli atti con i quali la pubblica amministrazione, in particolare i
Comuni, definiscono finalità specifiche, modi e tempi di riferimento ed utilizzo di risorse finanziarie
pubbliche e private. Si tratta dunque di documenti formali nei quali sono predominanti, una volta
stabiliti gli obiettivi, la dimensione finanziaria e temporale delle operazioni da compiere (trascurati
invece negli strumenti di pianificazione veri e propri).