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L'evoluzione del quadro normativo nazionale

Seconda parte

LA LEGGE PONTE E LA SENTENZA 55 DEL '68

Come afferma la stessa commissione Martuscelli, purtroppo Agrigento riproduce in piccolo la


generale situazione italiana.
La “lezione di Agrigento” e i successivi disastri del novembre 1966:
l'alluvione di Firenze l'alluvione di Venezia le frane in Veneto
inducono lo Stato a correre ai ripari attraverso l'emanazione della legge n. 765 del 1967 recante
“modifiche e integrazioni alla legge urbanistica del 1942” subito definita “legge ponte”.

La legge limita la possibilità di edificazione nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici (all'epoca
il 90% dei comuni italiani) e cerca di incentivare la formazione dei piani. Per i comuni inadempienti
è previsto l'intervento sostitutivo degli organi dello Stato.
La legge stabilisce che:
• sono proibite le lottizzazioni nei comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di
fabbricazione;
• spettano ai privati: le spese per le opere di urbanizzazione primaria (strade, fognature, acqua,
luce, verde di vicinato, ecc.),

e parte di quelle secondarie (scuole, parchi, centri sociali, ecc.)
nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico non si possono costruire più:
• 1,5 mc per mq, all'interno dei centri abitati;

• 0,1 mc per mq nelle zone esterne;

• in ogni caso l'altezza non deve superare i tre piani.

L'innovazione della legge-ponte riguarda i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime
di spazio che ogni piano deve inderogabilmente riservare all'uso pubblico, e le distanze minime
da osservare nell'edificazione ai lati delle strade, introdotti con il D.M. 1444 del 1968 (in attuazione
della legge- ponte). Il decreto ministeriale stabilisce che ogni cittadino ha diritto ad un minimo di
18 mq di spazio pubblico (zone A, B, C), così ripartiti:
• 4,5 mq/ab per attrezzature scolastiche (scuola dell'obbligo)
• 2,5 mq/ab per attrezzature di interesse comune
• (culturali, sociali, religiose, sanitarie, ecc.)

• 2 mq/ab per parcheggi pubblici

• 9 mq/ab per verde, sport e gioco


Se le zone C che ricadono in Comuni superiori a 10.000 abitanti sono contigue o in diretto
rapporto visuale con particolari zone del territorio (coste, laghi, corsi d’acqua importanti) o con
preesistenze storico-artistiche e archeologiche, la quantità minima di spazio per verde pubblico è
fissata in 15,00 mq/ab per un totale di 24mq/ab.
Nel caso invece di Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti il totale di superfici da
standard è di 12 mq/ab così ripartiti:
• 4 mq/ab per verde attrezzato;

• 4 mq/ab per istruzione;

• 2 mq/ab per parcheggi pubblici;

• 2 mq/ab per servizi di quartiere.


Il decreto (art. 2) prevede diverse zone territoriali omogenee, e per ciascuna di queste prevede
norme diverse in relazione al conteggio degli standard e ad altre prescrizioni della legge.
Zone A (centri storici): sono le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono
carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le
aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli
agglomerati stessi; (gli standard, cioè le quantità minime di spazio che ogni piano deve
inderogabilmente riservare all'uso pubblico, si possono reperire anche in aree limitrofe al centro
storico).

Zone B (di completamento): sono le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate,
diverse dalle zone A. Si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta
degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e nelle quali la
densità territoriale sia superiore ad 1,5mc/mq;

Superficie fondiaria: corrisponde alla superficie territoriale detratte le aree per le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria. Quindi si può far corrispondere alla superficie dei singoli
lotti edificabili. Densità territoriale: è il volume di edifici esistenti in una certa area e si esprime con
il rapporto mc/mq.

segue - Zone territoriali omogenee

Zone C: le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o
nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla
precedente lettera B;

Zone D: le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi
assimilati; in tali zone deve essere riservato il 20% della superficie fondiaria per verde pubblico,
parcheggi e attrezzature collettive;

segue - Zone territoriali omogenee

Zone E: le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il
carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da
considerare come zone C; in tali zone devono essere riservati:

- 6,0 mq/ab di aree per attrezzature di interesse comune e per l'istruzione; (standard ridotto)

Zone F: le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale; in tali
zone devono essere riservati:

- 1,5 mq/ab di aree per l'istruzione superiore dell'obbligo;

- 1,0 mq/ab di aree per attrezzature sanitarie ed ospedaliere;

- 15 mq/ab di aree per parchi urbani e territoriali.

Durante il dibattito parlamentare però, per evitare che l'attività edilizia fosse “scoraggiata”, passa
un emendamento del partito liberale che rinvia di un anno l'attuazione della legge (anno di
moratoria della legge-ponte).
Da un'indagine condotta dal Ministero dei Lavori Pubblici e dall'Istituto Centrale di Statistica
risulta che nell'anno di moratoria sono state rilasciate licenze per 8,5 milioni di vani residenziali,
quasi il triplo della media annuale di vani autorizzati nel decennio precedente.
Scaduto l'anno di moratoria, gli effetti della legge-ponte avrebbero dovuto farsi sentire ma la
mobilitazione dei proprietari innesca un'altra battaglia legale destinata a paralizzare l'attività di
pianificazione. Alcuni privati riescono a far dichiarare illegittimo, con Sentenza n. 55 del 1968, l'art.
40 della legge 1150.
Art. 40: nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni e i vincoli previsti dal Prg ...
Motivazione:

“al vincolo di piano non segue necessariamente l'atto concreto dell'espropriazione, e quindi del
pagamento di una indennità: il vincolo ha validità a tempo indeterminato ovvero fino a quando il
comune avrà la possibilità di realizzare l'opera prevista.

Quindi secondo la Corte costituzionale sono di natura espropriativa e perciò illegittimi se non
indennizzati, quei vincoli che individuano gli spazi da destinare a impianti pubblici e di uso
pubblico”.
Il dibattito che innesca la Sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1968 porta nello stesso
anno alla messa a punto di un provvedimento temporaneo:
la legge 1187 subito definita “legge tappo”.
La legge stabilisce che le previsioni di Prg, che comportano vincoli nei confronti dei diritti reali,
aventi contenuto espropriativo, cessano di avere vigore qualora entro 5 anni dall'approvazione del
Prg non siano approvati i relativi piani particolareggiati.

LA LEGGE PER LA CASA


Nel 1971 ci sono in Italia 54 milioni di abitanti ed oltre 63 milioni di stanze.

Il problema della casa avrebbe dovuto considerarsi risolto, ma non è così!
• Nel decennio 1961 - 1971 la popolazione è cresciuta del 6,7% ed il patrimonio edilizio del
33,8%.

• L'indice di affollamento medio nazionale è di 0,85 abitanti/stanza. Ma è un indice teorico perché


quasi un quarto del patrimonio esistente è inoccupato o sottoutilizzato.
Le case ci sarebbero per tutti, solo che costano troppo, oppure sono lontane da dove ormai è
costretta a vivere la maggioranza degli abitanti, oppure sono seconde o terze case.

Nel marzo 1971 il ministro dei lavori pubblici Lauricella presenta alla Camera il disegno di legge n.
3199 contenente

“Norme sull'espropriazione per pubblica utilità, modifiche ed integrazioni alla legge 18 aprile 1962,
n. 167, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale,
agevolata e convenzionata”.

Si avviano l’esame del disegno di legge e le consultazioni con i rappresentanti delle organizzazioni
sindacali, degli imprenditori, degli inquilini, delle associazioni comunque interessate al problema,
e con le neonate amministrazioni regionali (le prime elezioni regionali si erano svolte il 7 giugno
1970). Il dibattito parlamentare si conclude con la definitiva approvazione della legge 865/1971
che affronta organicamente e compiutamente i nodi del problema della casa in Italia.

Il primo titolo riguarda la programmazione e il coordinamento dell'intervento pubblico.


Spetta alle regioni la localizzazione ed il coordinamento degli investimenti pubblici per l'edilizia
stabiliti dal governo sulla base di un “piano di attribuzione” redatto in funzione dei fabbisogni
regionali e alimentato da tutte le risorse pubbliche nazionali destinate al settore.

Il secondo titolo riguarda l'espropriazione per pubblica utilità.


Il campo di applicazione comprende gli immobili (aree ed edifici) necessari:
• per gli interventi previsti dalla stessa legge n. 865;
• per i piani di zona della legge n. 167;
• per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, compresi i
parchi pubblici;
• per le singole opere pubbliche;
• per il risanamento, anche conservativo, degli agglomerati urbani;
• per la ricostruzione di edifici o quartieri distrutti o danneggiati da
eventi bellici o da calamità naturali;
• per l'attuazione di zone di espansione urbana, a norma dell'articolo
18 della legge urbanistica del 1942;
• per la formazione di parchi nazionali;
• per le zone che gli strumenti urbanistici destinano ad impianti
industriali, artigianali, commerciali e turistici.
Le aree espropriate sono assegnate in concessione (per periodi rinnovabili da 60 a 99 anni)
oppure in proprietà.

La legge non riconosce, nell’indennità espropriativa, il maggiore valore acquisito dall'area per
effetto dell'opera che vi si dovrà insediare o della destinazione d'uso stabilita dal piano regolatore.
Il terzo titolo della legge riguarda le modifiche alla legge 167/1962 e raccoglie i perfezionamenti
richiesti da quasi un decennio di esperienza in materia di piani di zona.

Si stabilisce in particolare che l'estensione delle aree destinate all’edilizia economica e popolare
non può superare il 60% del fabbisogno complessivo di edilizia abitativa prevista per un
decennio. Viene disposta l'abrogazione dell'articolo 16 della legge 167/1962, che consentiva ai
proprietari di aree ricadenti nei piani di zona di intervenire direttamente.

In tal modo, la legge per la casa, imponendo ai comuni di acquisire le aree e di assegnarle agli
enti ed ai costruttori privati che si impegnano a realizzare abitazioni economiche e popolari nel
rispetto di determinati vincoli, rappresenta un risoluto passo avanti nel controllo dei meccanismi di
formazione della rendita fondiaria. In sostanza, per la prima volta, viene affermata una netta
separazione fra proprietà fondiaria e attività costruttiva.
Il quarto ed il quinto titolo della legge riguardano aspetti finanziari dell'intervento pubblico in
edilizia e tradizionali agevolazioni per l'edilizia privata.

Si tratta di norme dichiaratamente transitorie, in attesa di quella organica legge di spesa per
l'edilizia residenziale, che sarà approvata dopo sette anni (il cosiddetto “piano decennale” del
luglio 1978).

LA LEGGE BUCALOSSI

La cosiddetta “legge tappo” (1968) stabiliva che le previsioni di Prg, che comportavano vincoli nei
confronti dei diritti reali, aventi contenuto espropriativo, cessavano di avere vigore qualora entro 5
anni dall'approvazione del Prg non fossero stati approvati i relativi piani particolareggiati.
Ma i cinque anni trascorsero senza che venisse assunta nessuna concreta iniziativa e nell'ultimo
giorno utile si dovette approvare un'altra proroga biennale.
Nel 1975 ancora un rinvio di un anno. Questa volta però è accompagnato da un disegno di legge
di riforma del regime dei suoli che finalmente, dopo una proroga di tre mesi è approvato nel 1977.

Si tratta della legge n. 10 del 1977 più nota come "legge Bucalossi" dal nome del ministro dei
lavori pubblici repubblicano Pietro Bucalossi che ne fu l'autore (IV governo Moro).
Gli elementi portanti della riforma sono:
• l'istituto della concessione onerosa

Tale istituto ha come presupposto la riserva pubblica del diritto di edificare.


La legge sancisce il principio della separazione dello ius aedificandi dal diritto di proprietà.
L'onerosità della concessione è parziale cioè non è pari all'intero plusvalore dell'area: il contributo,
infatti, è formato da una quota del costo di costruzione, variabile dal 5 al 20%, e da una quota
afferente agli oneri di urbanizzazione.

• il convenzionamento dell'edilizia abitativa


La legge prevede di esonerare l'edilizia convenzionata dagli oneri di concessione favorendo così
gli imprenditori disposti a concordare con il comune i prezzi di vendita e i canoni di locazione degli
alloggi da destinare alle categorie meno abbienti.
• il programma poliennale di attuazione degli strumenti urbanistici
Tale programma consente ai comuni di definire quali delle opere previste dal piano regolatore si
possono realizzare in un determinato periodo, organizzando per tempo, ed in rapporto delle
proprie disponibilità finanziarie, gli interventi pubblici necessari.

• la normativa contro l'abusivismo


Si prevede, nei casi di maggior gravità:
- l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera abusiva;
- la demolizione quando l'abuso contrasta con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali.
Nel gennaio del 1980, a tre anni dall'approvazione della legge Bucalossi, la Corte costituzionale
dichiarerà illegittime le norme contenute nella legge che regolano gli espropri per pubblica utilità.

LA LEGGE 457 DEL '78

La legge n. 457 del 1978 Norme per l'edilizia residenziale più nota come “piano decennale”
si preoccupa in primo luogo di risolvere i problemi relativi alla programmazione degli interventi
pubblici ed al coordinamento delle competenze e delle procedure, dopo il trasferimento dei poteri
alle regioni in materia urbanistica (dpr n. 616/77) .
La riorganizzazione del ciclo edilizio è basata su tre livelli temporali: il piano decennale, il
programma quadriennale ed il progetto biennale.
• Il piano decennale dovrebbe fissare gli obiettivi di lungo periodo e le linee dell'azione statale nel
settore edilizio.
• Il programma quadriennale dovrebbe rappresentare lo strumento per la realizzazione degli
obiettivi stabiliti con il piano decennale attraverso la ripartizione fra i settori di intervento e fra le
regioni delle risorse finanziarie disponibili.
• Il progetto biennale, infine, doveva rappresentare lo strumento di raccordo tra la
programmazione delle risorse ed il loro effettivo impiego, collegando il settore edilizio agli
strumenti della politica finanziaria dello Stato (legge finanziaria, bilancio annuale e triennale).

Si può insomma affermare che è stato progettato un meccanismo complesso, teoricamente


perfetto. Esso nei primi tempi sembra destinato ad una puntuale attuazione.
Il C.i.p.e. (Comitato interministeriale per la programmazione economica) infatti, impartisce direttive
che hanno il pregio di disegnare, in poche parole e per la prima volta nella storia dell'intervento
pubblico nel settore, un quadro di riferimento sufficientemente preciso per indirizzare l'azione
degli organi ai quali è affidata l'attuazione di tale intervento.
Ma gli altri protagonisti, il C.e.r. (Comitato per l’edilizia residenziale) e le regioni, cominciano ad
accumulare ritardi e inadempienze che portano allo spreco delle pur rilevanti risorse finanziarie di
cui è dotata la legge e al fallimento delle nuove procedure.

La legge n. 457 del 1978 resta una legge fondamentale soprattutto per le norme a favore degli
interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente.
Le innovazioni legislative introdotte sono:
• nuove modalità operative per il recupero del patrimonio esistente;
• una terminologia specifica per questi interventi;

• la destinazione ad essi di una quota minima inderogabile dei


finanziamenti pubblici;

• l'indicazione di strumenti urbanistici ad hoc.


La disciplina del recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dal TITOLO IV "Norme generali
per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente".
Art. 27: "Individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente"
I comuni procedono, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, all'individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio esistente.
Le zone di recupero sono individuate:
• all'atto della formazione dello strumento urbanistico generale per i comuni non ancora dotati di
Prg;
• con deliberazione del consiglio comunale per i comuni già dotati di Prg.
All'interno delle zone di recupero si distinguono:
• gli immobili e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei
piani di recupero;
• gli immobili e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato solo al rispetto delle
previsioni di Prg.
Art. 28: "Piani di recupero del patrimonio edilizio esistente"
Ai piani di recupero si applicano le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente
legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale.
I piani di recupero sono attuati:
• dai proprietari singoli o riuniti in consorzio;

• dai comuni:
- per gli interventi che intendono eseguire direttamente (di rilevante e preminente interesse
pubblico);

- per l'adeguamento delle urbanizzazioni;

- per inerzia dei proprietari privati (il comune interviene con l'esproprio se il privato è
inadempiente).
Art. 30: "Piani di recupero di iniziativa dei privati"
I proprietari di immobili rappresentanti i tre quarti del valore di un'area compresa nelle zone di
recupero possono presentare proposte di piani di recupero.
Art. 31: "Definizione degli interventi"

Gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente sono
così definiti:
- interventi di manutenzione ordinaria

- interventi di manutenzione straordinaria

- interventi di restauro e di risanamento conservativo d) interventi di ristrutturazione edilizia

- interventi di ristrutturazione urbanistica

interventi di manutenzione ordinaria


quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici
e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
interventi di manutenzione straordinaria
le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici,
nonchè per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino
i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni
di uso;
interventi di restauro e di risanamento conservativo
quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo
stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli
elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi
estranei all'organismo edilizio;

interventi di ristrutturazione edilizia


quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la
eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
interventi di ristrutturazione urbanistica
quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un
insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale.

La 457/78 doveva essere intesa come una legge di indirizzo, in grado di promuovere una nuova
politica della casa basata sulla riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente. Così non è stato e
la schematicità, le insufficienze del titolo IV non solo hanno determinato l'insuccesso delle
strategie di recupero proposte per l'intervento privato ma si sono riversate senza approfondimenti
e integrazioni nel repertorio della legislazione regionale.
La prima omissione riguarda la mancata individuazione del contenuto dei piani di recupero del
patrimonio edilizio, che la 457 identifica con i piani particolareggiati (piani che la legge del '42
aveva però ideato per attuare le previsioni urbanistiche nelle zone di espansione), differenziando
solo i tempi di validità: 10 anni i per i piani particolareggiati e 3 anni per i piani di recupero.

Ma le insufficienze più evidenti della legge risiedono nella individuazione dei soggetti cui erogare
contributi per il recupero e nei meccanismi di finanziamento.
Il dispositivo della legge prevede infatti l'erogazione di contributi a privati in possesso di un
alloggio, tramite mutui a tasso agevolato. Il finanziamento è relativo solo all'unità immobiliare,
rimanendo escluse le parti condominiali delle unità edilizie come fondazioni, corpi scala,
coperture, ecc.

LEGGI SPECIALI IN MATERIA DI RECUPERO

Tra le leggi che costituiscono un notevole avanzamento metodologico e normativo dell'intervento


nei centri storici derivante dall'evoluzione e dalla maturazione culturale del tema in riferimento agli
aspetti progettuali, economici e gestionali si possono citare :
• La normativa sul recupero emanata in attuazione della legge n. 219 del 1981 per le zone colpite
dal terremoto in Campania.
• La legge speciale per Venezia n. 798 del 1984

• La legge speciale per i Sassi di Matera n. 771 del 1986

La normativa sul recupero emanata in attuazione della legge n. 219 del 1981 per le zone colpite
dal terremoto in Campania, ha permesso la messa a punto di elaborazioni progettuali che hanno
reso espliciti la qualità e le problematiche specifiche dei tessuti urbani storici delle città
meridionali, profondamente diversi da quelli coevi delle città del centro nord.

Nell'art. 2 vengono individuati gli ambiti di intervento:

• di nuova edificazione

• di riqualificazione
• di recupero
In particolare gli ambiti di riqualificazione e recupero riguardano gli interventi sul patrimonio
edilizio esistente; i primi sono realizzati integralmente mediante l'intervento pubblico che fa capo
al Commissario straordinario di governo, attraverso la normativa della 167/62, con procedura
spedita di esproprio e acquisizione di immobili e di aree.

Gli ambiti di recupero, invece, dovranno essere realizzati dai privati, che troveranno un opportuno
quadro di convenienze a intervenire in aree urbane già qualitativamente bonificate e
rifunzionalizzate. Negli ambiti di riqualificazione si attua un vero e proprio recupero urbano, basato
sul recupero dell'impianto urbano e dei tipi edilizi che lo caratterizzano, oltre che
sull'ammodernamento delle necessarie reti infrastrutturali e sulla realizzazione dei servizi e delle
attrezzature pubbliche mancanti.

In tale normativa vengono inoltre modificate e arricchite le categorie d'intervento proposte dalla
457/78 e viene abolita la ristrutturazione urbanistica giustamente ritenuta incompatibile con
obiettivi di conservazione e recupero dei tessuti urbani storici.
Le modalità di intervento previste sono:
• la nuova edilizia;
• la conservazione, che comprende le tradizionali categorie della manutenzione (ordinaria e
straordinaria), del risanamento e della ristrutturazione;
• la sostituzione, sia puntuale, sia estesa a intere unità tipologiche;
• il completamento, da realizzare nelle aree non edificate strettamente connesse al tessuto edilizio
esistente;
I criteri e i vincoli definiti per la progettazione degli interventi di sostituzione e di completamento
riconoscono un valore primario alle preesistenti tipologie urbanistiche. Si richiede perciò il rispetto
dei lotti che compongono il tessuto insediativo, delle loro caratteristiche tipologiche (edifici a
corte), distributive e dimensionali.
Tale impostazione rende di fatto, sostanzialmente indifferente la scelta fra conservazione e
sostituzione. Prevale l'ultima modalità quando ragioni di costo, o irrimediabili condizioni statiche
degli immobili, rendono impraticabile la conservazione.

La legge speciale per Venezia n. 798 del 1984 stanzia 600 miliardi di lire in tre anni per interventi di
salvaguardia dell'ambiente naturale, di riconversione industriale e di recupero del patrimonio
edilizio pubblico e privato, prevedendo la competenza statale, quella regionale e quella comunale
dei comuni di Venezia e Chioggia.
L'aspetto innovativo riguarda il meccanismo dell'intervento privato e soprattutto la previsione di
ammettere al finanziamento gli interventi di consolidamento e di recupero delle parti condominiali
degli edifici.
Questi non soltanto vengono individuati per la prima volta come propedeutici agli interventi sulle
singole unità immobiliari, ma vengono anche finanziati dal 50% all'80% con contributi in conto
capitale (detti anche contributi a fondo perduto in quanto non è richiesta la restituzione né del
capitale né degli interessi).

I finanziamenti per il recupero dei singoli alloggi vengono invece erogati tramite mutui a tasso
agevolato da contrarre, sino alla misura del 100% della spesa ritenuta ammissibile, ma vengono
concessi solo se gli appartamenti fanno parte di unità edilizie che presentino uno stato di
conservazione accettabile delle parti condominiali.

Gli aspetti fortemente innovativi introdotti nella legge speciale per Venezia sono stati
successivamente inseriti nella legge speciale per i Sassi di Matera n. 771 del 1986 per la
salvaguardia e il recupero urbanistico ambientale del Sasso Barisano, del Sasso Caveoso e del
prospiciente altopiano murgico.

I contributi in conto capitale sono erogati dal Comune di Matera, in favore dei soggetti privati
proprietari e sub-concessionari (interessati ad ottenere in sub-concessione l'uso degli immobili di
proprietà dello Stato trasferiti al Comune), che ne fanno domanda, per l'esecuzione degli
interventi per la conservazione e il recupero dei rioni Sassi.
I contributi sono concessi per gli interventi concernenti:

• le strutture portanti delle unità edilizie;

• gli intonaci ed i paramenti esterni, nonché i provvedimenti necessari per evitare la formazione di
umidità sulle murature;

• i manti di copertura, nonché le sottostanti strutture, se degradate, e le sovrastrutture;

• i serramenti esterni;

• l'adeguamento funzionale ed igienico-sanitario, comprensivo


della sistemazione delle superfici esterne scoperte, valutate al 40%.

Rispetto a Venezia, nel caso di Matera, la differenza si riscontra negli esiti operativi, con riguardo
ai tempi e alle modalità di attuazione: infatti mentre a Venezia la legge ha funzionato abbastanza
bene, incentivando e incrementando notevolmente il recupero del patrimonio edilizio, a Matera,
invece, per ragioni ascrivibili al contesto socio- economico i 100 miliardi di lire della legge speciale
non sono stati tutti utilizzati.

(Art. 3) Il comune, nel quadro delle previsioni generali di recupero in termini di residenze, servizi,
attrezzature pubbliche, nonché dei vincoli ambientali e paesaggistici, definisce l'articolazione degli
interventi in programmi biennali. Tali programmi di attuazione degli interventi previsti nei rioni
Sassi definiscono tra l'altro:
• le aree e gli immobili, pubblici e privati, sui quali saranno effettuati gli interventi di restauro
conservativo e di recupero urbanistico ed edilizio;
• le aree e gli immobili da acquistare;

• per ciascuno degli immobili, le categorie d'intervento ammissibili in relazione alla


legge 457/78, nonché le destinazioni d'uso ammissibili;
• le opere di urbanizzione primaria e secondaria, ivi comprese quelle da realizzare all'interno dei
rioni Sassi, finalizzate all'allestimento di sedi sostitutive, temporanee o definitive, necessarie per
il trasferimento di residenze o attività presenti negli immobili oggetto degli interventi.
(Art. 6 ) Una quota non superiore al 5 % delle risorse previste (100 Miliardi di lire) può essere
destinata dal comune alla predisposizione, all'interno dei rioni Sassi, di alloggi-parcheggio e di
sistemazioni provvisorie per attività economiche interessate dagli interventi di recupero.

LA BOTTA-FERRARINI

Il parlamento nazionale torna ad occuparsi del tema del recupero in riferimento all'ambito
nazionale solo nel 1992 con la legge n.179, consistente in un aggiornamento della 457/78. La
nuova legge denominata “Norme per l'edilizia residenziale pubblica ” è conosciuta
comunenemente come Botta-Ferrarini.
La legge risente dell'evoluzione della tematica del recupero e della necessità di prendere in
considerazione l'obiettivo più complesso della riqualificazione urbana.
Il capo IV di questa legge è dedicato al recupero e introduce le seguenti novità:
• si dovrà riservare non meno del 30 % dei finanziamenti per l'edilizia sovvenzionata al recupero
(percentuale ancora ben al di sotto del necessario, considerato che si prevede di finanziare il
recupero anche di edifici non residenziali, ma funzionali alla residenza e l'acquisizione di
immobili da recuperare).
• all'art. 12 la legge prevede la possibilità di finanziare gli interventi sulle parti comuni degli edifici
e successivamente istituisce la formazione di Programmi integrati d'intervento miranti a
riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale, con la partecipazione contestuale di
soggetti pubblici e privati.
La formulazione dell'articolato lascia però intendere che tali programmi non sono finalizzati solo
alla conservazione e alla rivitalizzazione dei tessuti storici, in quanto i campi di applicazione
possono consistere indifferentemente in aree in tutto o in parte edificate o da edificare ex novo.

LE CATEGORIE D'INTERVENTO NEL DPR 380/01

A distanza di quasi 30 anni dall'emanazione della 457/78 il legislatore nel predisporre il “Testo
unico per l'edilizia” relativamente al tema delle categorie d'intervento, dimostra di non tenere
conto degli avanzamenti metodologici e normativi dell'intervento nei centri storici.
Il Dpr 380/01 ripropone infatti al Titolo I (art. 3) una casistica di categorie d'intervento ammissibili
quasi identica a quella contenuta nella 457, con l'aggiunta di una sola nuova categoria ovvero
quella della “nuova costruzione”.
Titolo I

Art. 3 : Definizione degli interventi edilizi (in blu le aggiunte rispetto alla 457)

Ai fini del presente testo unico si intendono per:

• interventi di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento


e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in
efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

• interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e


sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonchè per realizzare ed integrare i servizi igienico-
sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità
immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;

• interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo


edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel
rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano
destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il
ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori
e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei
all'organismo edilizio;

• interventi di ristrutturazione edilizia, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato
identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica.

• interventi di nuova costruzione, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

1) la costruzione di nuovi edifici fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti
all'esterno della sagoma esistente;

2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

3) la realizzazione di infrastrutture di impianti, anche per pubblici esercizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

4) l'installazione di torri e tralicci per impianti rice-trasmittenti e di ripetitori per i servizi di


telecomunicazione;

5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali


roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e siano diretti a soddisfare esigenze durature nel
tempo;

6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla
zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di
nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20 % del
volume dell'edificio principale;

7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività


produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione
permanente del suolo inedificato.

• interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-


edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la
modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

LA CONTRORIFORMA

La controriforma corrisponde a quella fase storica iniziata negli anni Ottanta quando, in Italia
come nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, si affermano le teorie e le pratiche del cosiddetto neo-
liberismo.
In urbanistica, la fase è caratterizzata, in particolare:
• dalle sentenze costituzionali che, dal 1980 in poi, smantellano la precedente legislazione
urbanistica (legge Bucalossi, espropri);
• dall’approvazione di tre leggi di condono edilizio in diciotto anni: 1985, 1994, 2003;
• dall’approvazione di provvedimenti che consentono di operare in deroga alla disciplina
urbanistica con il ricorso all’accordo di programma. Di seguito sono elencati alcuni degli
strumenti (che potrebbero definirsi eversivi) che consentono di operare in deroga.
Protagonisti della controriforma:
• Giovanni Prandini, ministro dei Lavori pubblici dal 1989 al 1992. Ha dato l’avvio allo
smantellamento sistematico delle leggi che ne regolavano l’attività. Insignito del premio “Attila”
dal Wwf. Travolto da Tangentopoli è uscito di scena;
• Bettino Craxi, presidente del consiglio, Franco Nicolazzi, ministro dei Lavori pubblici (dal 1979 al
1987), autori della prima legge di condono del 1985;
• Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, Roberto Radice, ministro dei lavori pubblici, autori
della seconda legge di condono del 1994;
• Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, Giulio Tremonti, ministro dell’economia, Pietro
Lunardi, ministro dei lavori pubblici, autori della terza legge di condono del 2003.

IL DIBATTITO URBANISTICO NEGLI ANNI ’90

L'avvento della stagione della programmazione pone con forza una questione: l'urbanistica, non
si fa solo con i piani. A partire dagli anni '90 si fa infatti esplicito ricorso a termini fino ad allora
ritenuti solo tangenti all'ambito di competenza: politiche e programmi che insieme ai piani
diventano le tre componenti dell'azione del governo del territorio.
Tali componenti sembrano combinarsi diversamente nelle differenti situazioni locali:

più programmi e meno piani nei contesti di maggiore fiducia nel liberismo, più piani e politiche in
quelli più “garantisti” e orientati al controllo pubblico.

Si intende per POLITICHE gli atti o gli insiemi di atti di tipo normativo-regolamentare attraverso i
quali uno o più soggetti istituzionali promuovono o disincentivano, mettendo o meno a
disposizione risorse pubbliche, pratiche e azioni di soggetti sociali (singoli, famiglie, imprese,
gruppi strutturati, ecc.) correlate alla soluzione di un problema collettivo, cioè di un bisogno o di
una opportunità generalmente considerati di interesse pubblico.
Si intende per PROGRAMMI gli atti con i quali la pubblica amministrazione, in particolare i
Comuni, definiscono finalità specifiche, modi e tempi di riferimento ed utilizzo di risorse finanziarie
pubbliche e private. Si tratta dunque di documenti formali nei quali sono predominanti, una volta
stabiliti gli obiettivi, la dimensione finanziaria e temporale delle operazioni da compiere (trascurati
invece negli strumenti di pianificazione veri e propri).

In particolare i PROGRAMMI COMPLESSI sono strumenti di intervento e di trasformazione urbana


che al loro interno raccolgono tendenzialmente elementi di pianificazione urbanistica, ma anche di
programmazione e di progettazione degli interventi, nonché di gestione delle attuazioni.
Nei programmi complessi si ritiene di trovare adeguata risposta alle esigenze di trasformazione di
realtà urbane sempre più complesse, nelle quali appare ormai imprescindibile per le
amministrazioni operare in cooperazione - anche finanziaria - con il privato.
Si registra quindi un passaggio fondamentale: cambia il ruolo del comune che da “controllore”
dell'attività dei privati diventa “promotore” di investimenti.
Per quanto riguarda invece il ruolo del PIANO REGOLATORE COMUNALE, negli anni '90 il
dibattito urbanistico si concentra sulla necessità di scindere i contenuti del PRG tra componente
STRUTTURALE (relativa alle grandi scelte del piano) e componente OPERATIVA, legata alla
gestione della trasformabilità ordinaria.

Il PIANO STRUTTURALE (PS) ha un carattere interpretativo e programmatico generale del


territorio; non prescrittivo e non conformativo dei diritti proprietari; la sua durata è a tempo
indeterminato.
Il PIANO OPERATIVO (PO) riguarda le trasformazioni urbanistiche; è prescrittivo e conformativo
dei diritti proprietari; ha una scadenza (solitamente quinquennale) per le previsioni pubbliche e per
quelle private; mette a sistema gli elementi positivi dell'esperienza condotta con i “programmi
complessi”.
Il REGOLAMENTO URBANISTICO EDILIZIO (RUE) riguarda la gestione dell'esistente,
insediamenti storici compresi; il Regolamento è prescrittivo e conformativo (diritti esistenti) e ha
validità a tempo indefinito.

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