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Prima parte
Dall’Unità d’Italia alla seconda guerra mondiale i piani regolatori hanno avuto una funzione di
regolazione delle trasformazioni delle parti costruite delle grandi città dovute :
• a esigenze di risanamento igienico ed edilizio;
• alla creazione di spazi adeguati alle nuove funzioni centrali ovvero alla crescita del ruolo delle
“capitali” (in Italia diverse città si sono fregiate del titolo di capitale: Torino, Firenze, Roma); e di
definizione di un disegno di massima delle zone d’espansione.
Dopo la seconda guerra mondiale, e fino a tutti gli anni Settanta del secolo scorso, il linguaggio
del piano regolatore è costituito essenzialmente da due elementi:
• il disegno di massima della rete delle infrastrutture di trasporto (linee ferroviarie e viabilità
automobilistica);
• la definizione dell’assetto delle vastissime zone d’espansione attraverso la suddivisione del
territorio in “zone”, alle quali vengono attribuite particolari destinazioni d’uso e particolari
quantità e tipologie di edificazione.
Fino al 1942 in Italia non c’era una legge che definisse gli istituti, le procedure e i contenuti della
pianificazione urbanistica; per la formazione di ogni piano urbanistico si procedeva secondo
regole e norme stabilite caso per caso; generalmente ogni piano veniva approvato con legge dello
Stato. Nel corso della seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento prevalgono i “piani
di risanamento e ampliamento”, relativi a singole zone d’espansione o alla valorizzazione
attraverso ristrutturazione di aree centrali.
Il 21 settembre del 1924 viene inaugurato a Lainate il primo tratto, da Milano a Varese
(attualmente classificato come A8), di quella che diverrà l'autostrada dei Laghi e che sarà la prima
autostrada a pedaggio realizzata in Italia..
Vittorio Emanuele III e l’ingegnere Puricelli partecipano all’inaugurazione.
Nel 1928 viene creata l’Anas (Azienda nazionale autonoma strade) e si dà avvio alla massiccia
asfaltatura di 20.600 Km di strade statali.
Conseguentemente le principali case automobilistiche aumenteranno la produzione di automobili
e autocarri.
Nel gennaio del 1930 viene fondato l’INU (Istituto nazionale di urbanistica) per iniziativa dei
componenti del comitato italiano in occasione del XII Congresso internazionale dell’abitazione e
dei piani regolatori, che si era svolto a Roma. Il nuovo istituto di cultura si proponeva:
“lo studio dei problemi tecnici, economici e sociali, relativi allo sviluppo dei centri urbani e l’esame
delle questioni relative all’organizzazione e al funzionamento dei servizi pubblici di carattere
municipale”.
L’INU, che ha da sempre un carattere di organizzazione di élite, raccoglie all’inizio professionisti e
studiosi in vario modo legati al dominante regime fascista. Dopo la guerra avrà invece forti
connotati di sinistra.
Fondamentale è stato il suo contributo alla redazione della legge urbanistica italiana, ancora oggi
vigente, approvata dalla Camera dei fasci e delle corporazioni il 17 agosto del 1942.
Lo Stato italiano, quasi a suggello del contributo dell’INU alla legge urbanistica , con regio
decreto del 1943, eresse l’INU in ente morale e lo riconobbe come “Istituto di alta cultura”,
riconoscimento che faceva dell’INU l’espressione più autorevole e ufficiale della cultura
urbanistica in Italia.
• i piani particolareggiati
•
ITER DELLA FORMAZIONE
La formazione del piano regolatore generale è regolata da leggi regionali, ma è comunque sempre
divisa nelle seguenti fasi:
• decisione
• redazione (analisi e scelte)
• adozione da parte dell’organo consiliare (misure di salvaguardia)
• pubblicazione
• osservazioni (e opposizioni)
• controdeduzioni alle osservazioni (e opposizioni)
• trasmissione all’ente sovraordinato
• approvazione ed entrata in vigore
Misure di salvaguardia
Il periodo di tempo che intercorre tra l’adozione del piano regolatore generale o dei piani di
attuazione e la loro entrata in vigore può essere lungo. I privati potrebbero approfittarne per
ottenere concessioni edilizie in conformità con la regolamentazione urbanistica ancora vigente,
ma in contrasto con il piano adottato. Per evitare che succeda, il comune deve sospendere ogni
decisione sulle richieste di concessione edilizia contrastanti con il nuovo piano adottato. La
regione può sospendere l’efficacia delle concessioni edilizie già rilasciate ma contrastanti con il
nuovo piano adottato. Le misure di salvaguardia sono efficaci per 5 anni, chi le viola è soggetto a
sanzioni amministrative e penali.
Sono obbligati a dotarsi di PRG tutti i comuni compresi in appositi elenchi da approvarsi con
decreto del Ministro per i lavori pubblici.
Ne hanno facoltà tutti gli altri.
I comuni che non sono dotati di PRG devono comunque adottare un Regolamento edilizio, che
costituisce lo strumento minimo di disciplina delle trasformazioni, (semplificato nei contenuti e
nelle procedure di approvazione e di attuazione) che contiene un allegato cartografico
denominato Programma di fabbricazione.
Il piano particolareggiato
è lo strumento di attuazione diretta della pianificazione generale, ed è quindi l’esecuzione in forma
puntuale e particolareggiata del PRG.
Nei piani particolareggiati di esecuzione devono essere indicate le reti stradali e i principali dati
altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati (art. 13):
• i volumi e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade o piazze;
• gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;
• gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione;
• le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano;
• gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare.
Innovazione di notevole rilievo è quella prevista dall’art. 18, che consente ai comuni di
espropriare, dopo l’approvazione del PRG i terreni destinati all’edificazione nell’ambito delle zone
di espansione, ad un prezzo che non tenga conto degli incrementi di valore derivanti dalle
previsioni del piano.
All’atto dell’approvazione della legge si era convinti che l’art. 18 ne rappresentasse “la spina
dorsale”. Invece non è stato quasi mai applicato, anche per il fatto che i comuni non avevano
fondi da destinare all’acquisto delle aree.
A proposito dell’art. 18, il ministro dei lavori pubblici Giuseppe Gorla dichiarò che “esso dà ai
comuni la facoltà di espropriare i terreni compresi nelle zone di ampliamento, al fine di creare un
demanio comunale e di permettere ai comuni di dominare il mercato delle aree e di avvantaggiarsi
del plusvalore che vengono ad acquistare i terreni, in seguito all’esecuzione delle opere di piano
regolatore e alla estensione dei servizi pubblici nelle zone di ampliamento”.
Alla fine della seconda guerra mondiale, in Italia i danni sono enormi:
• più di tre milioni di vani distrutti o gravemente danneggiati;
• risulta distrutta un terzo della rete stradale e tre quarti di quella ferroviaria;
• i danni sono concentrati nel triangolo industriale e nelle grandi città;
particolarmente drammatico il problema abitativo che già prima della guerra era abbastanza grave
(nel 1931 erano stati rilevati 41,6 milioni di abitanti e 31,7 milioni di stanze).
Mentre in molti paesi europei la ricostruzione è stata utilizzata per impostare su basi nuove e
razionali i problemi dello sviluppo urbano e territoriale , in Italia, viceversa, è stata utilizzata per far
marcia indietro rispetto agli strumenti di cui già di disponeva.
I PIANI DI RICOSTRUZIONE
Con l’alibi dell’emergenza viene accantonata la legge urbanistica e viene varata la legge sui piani
di ricostruzione, disciplinati da norme speciali, estesi solo a porzioni del territorio comunale.
Si tratta di uno strumento urbanistico semplificato e privo di basi analitiche con cui si porta avanti
quella che oggi potremmo definire la concezione della “città per parti”, un tipo di pianificazione
molto criticabile i cui effetti negativi non si sono fatti attendere.
La specifica normativa regolante i piani di ricostruzione è individuata nella legge n. 1402 del 1951
recante “Modificazioni al decreto legislativo 1° marzo 1945, n. 154, sui piani di ricostruzione degli
abitati danneggiati dalla guerra”.
Per facilitare l’attuazione dei piani erano previste:
• procedure abbreviate per le espropriazioni;
• intervento diretto dello Stato che si accollava le spese occorrenti per la formazione dei piani di
ricostruzione;
• particolari facilitazioni fiscali;
Nell'immediato dopoguerra la legge sui piani di ricostruzione risultò essere una legge funzionale a
quelli che erano gli interessi dominanti, ovvero alla scelta di fondo di assegnare all’edilizia un ruolo
trainante dello sviluppo.
La ripresa economica aveva posto subito il problema del ruolo trainante dello sviluppo, che non
poteva essere interamente affidato all’industria del nord a causa:
• dei gravi danni subiti dagli impianti;
All'inizio degli anni '60 la mutata scena socio-economica del paese favorisce l'apertura del
dibattito sulla riforma urbanistica.
• si consolida lo sviluppo industriale del paese;
La proposta dell'INU riceve l'adesione dei partiti di sinistra e degli ambienti progressisti; si inizia a
parlare di riforma urbanistica anche in sede ministeriale.
Benigno Zaccagnini, ministro dei lavori pubblici del governo Fanfani, insedia una commissione
per la riforma urbanistica (membri della commissione, come rappresentanti dell'INU, sono
Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà).
La proposta di riforma è resa pubblica nel settembre del 1961 e non si distacca da quella
elaborata dall'INU e resta nel solco dei principi ispiratori della legge del 1942 pur proponendo
notevoli perfezionamenti di carattere tecnico e procedurale.
Con la costituzione del terzo governo Fanfani, Zaccagnini viene sostituito dal democristiano
Fiorentino Sullo (febbraio 1962), che ricostituisce la stessa commissione integrandola con giuristi,
economisti, sociologi. La proposta di riforma è resa pubblica nel giugno del 1962 e risulta
impostata su basi completamente nuove e originali.
A Fiorentino Sullo, che ha pagato duramente la propria coerenza politica, resta comunque il
merito dell’approvazione di un’altra importante legge la
L. n.167 del 1962 “per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e
popolare”.
Nel luglio del 1964 durante le trattative per la formazione del secondo governo Moro il
comandante dei carabinieri Giovanni De Lorenzo tenta un colpo di stato (come si scoprì, solo in
parte, alcuni anni dopo) probabilmente sperando che tale iniziativa avrebbe trovato sostegno negli
ambienti moderati in cui il terrore delle riforme, soprattutto quella urbanistica, aveva alimentato un
clima politico torbido. Sempre nel 1964 il nuovo ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini,
presenta un nuovo progetto di legge che segna ancora un passo indietro:
• l’indennità di esproprio viene valutata in base alla legge del 1865 che lascia ai privati gran parte
dei plusvalori;
• ampie le possibilità di esonero dall’esproprio.
Neanche la proposta Mancini arriverà mai in parlamento.
LA FRANA DI AGRIGENTO
Nel corso degli anni '60 la speculazione edilizia soprattutto nel Mezzogiorno riesce ad alimentare
una rete di collusioni sempre più fitta e sedimentata, anche gli scandali edilizi si susseguono a
ritmo serrato. La “cultura urbanistica” si disimpegna; l'INU e gli urbanisti più noti, passano la
mano ai politici sul tema della riforma, abbandonano il campo dell'impegno civile e si rifugiano nel
campo delle ricerche morfologiche. Il suolo italiano, intanto, viene lottizzato.
Da un'inchiesta del Ministero del Lavori pubblici emergono dati impressionanti: solo in un quarto
dei comuni italiani (poco più di 2000) sono state autorizzate lottizzazioni per circa 115 mila ettari,
per oltre 18 milioni di vani, quanti sarebbero sufficienti per colmare l'intero fabbisogno nazionale
di alloggi fino al 1980.
Se nei primi anni del dopoguerra il fenomeno dell'abusivismo trova giustificazione nella necessità
di dotarsi di un tetto, negli anni del "miracolo economico" subentra un'attività speculativa senza
precedenti sull'intero territorio nazionale che, soprattutto nelle regioni meridionali, si traduce in
devastanti lottizzazioni, nella realizzazione di edifici residenziali multipiano, ma anche di interi
quartieri, contravvenendo alle vigenti norme edilizie ed urbanistiche.
Intorno alla metà degli anni Sessanta il fenomeno dell'abusivismo edilizio subisce quindi
un'evoluzione, divenendo fenomeno trasversale a tutte le fasce sociali, nel senso che a
commettere l'abuso non sono più soltanto i ceti disagiati ma anche le classi medio-alte con ampie
disponibilità economiche.
In quegli anni l'abusivismo edilizio assume connotazioni fortemente speculative dando risposta,
da una parte, a quella domanda di alloggi economici ancora insoddisfatta dall'offerta pubblica,
dall'altra, al mercato della seconda casa in forte espansione. A favorire la diffusione delle seconde
e terze case per le vacanze contribuisce la possibilità di poterle realizzare a costi particolarmente
contenuti – considerando i prezzi dei terreni non urbani, quelli dei materiali da costruzione e della
manodopera – che si abbattono ulteriormente quando i terreni sono teoricamente inedificabili e la
manodopera non in regola. La seconda casa non è più quindi un bene elitario ma alla portata di
una larga fascia della popolazione, che ambisce a costruire nelle zone di maggior pregio
paesaggistico, in particolare costiere.
• la piana veneta;
Il 19 luglio 1966 una frana di inconsuete dimensioni, miracolosamente incruenta, lascia senza
casa migliaia di abitanti di Agrigento. La frana è stata causata dall'enorme sovraccarico edilizio:
ben 8500 vani costruiti negli ultimi anni in contrasto con tutte le norme esistenti.
Il ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini nomina una commissione d'inchiesta presieduta da
Michele Martuscelli. Sotto accusa è la DC che amministra la città da vent'anni. Un aspro dibattito
si accende nel Parlamento e nel paese.
Ad avere ben compreso e ricostruito i passaggi essenziali di quel connubio tra Dc e malaffare a
cui è imputabile, in massima parte, il saccheggio urbanistico di Agrigento è la relazione della
Commissione d'inchiesta istituita dal ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini all'indomani
della frana del 1966 e presieduta dal direttore generale dell’Urbanistica Michele Martuscelli.
Nelle pagine della relazione emerge con chiarezza il perverso meccanismo che aveva fatto
convergere interessi di soggetti diversi verso «una concorde azione di erosione delle norme e di
distruzione della città».
In riferimento ai casi più gravi di illegalità, viene spiegato che molte deroghe e sanatorie, anche a
voler prescindere dall'enormità delle infrazioni, sono state concesse in base ad un procedimento
tortuoso e contraddittorio, attraverso modalità palesemente favorevoli ai costruttori; che in alcuni
casi, il comportamento degli amministratori e degli uffici tecnici ha debordato dai limiti dell'illecito
amministrativo per invadere il campo dell'illecito penale.
Il meccanismo prevede che «dopo una prima licenza rilasciata, non sempre, peraltro, in
conformità alle norme, il costruttore chiede la licenza per una maggiore altezza e la ottiene;
successivamente supera i limiti autorizzati ed il Comune accorda la sanatoria e così di seguito, in
un circolo vizioso di corresponsabilità».
Nella parte conclusiva della relazione, con un accento commosso, che solitamente non si
riscontra nei documenti amministrativi, si afferma «Gli uomini, in Agrigento, hanno errato,
fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni
tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di
questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e
subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è
incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben
difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l'aspetto sociale,
civile ed umano».