Sei sulla pagina 1di 8

L'evoluzione del quadro normativo nazionale

Prima parte

LA PIANIFICAZIONE IN ITALIA PRIMA DEL 1942

Dall’Unità d’Italia alla seconda guerra mondiale i piani regolatori hanno avuto una funzione di
regolazione delle trasformazioni delle parti costruite delle grandi città dovute :
• a esigenze di risanamento igienico ed edilizio;
• alla creazione di spazi adeguati alle nuove funzioni centrali ovvero alla crescita del ruolo delle
“capitali” (in Italia diverse città si sono fregiate del titolo di capitale: Torino, Firenze, Roma); e di
definizione di un disegno di massima delle zone d’espansione.
Dopo la seconda guerra mondiale, e fino a tutti gli anni Settanta del secolo scorso, il linguaggio
del piano regolatore è costituito essenzialmente da due elementi:
• il disegno di massima della rete delle infrastrutture di trasporto (linee ferroviarie e viabilità
automobilistica);
• la definizione dell’assetto delle vastissime zone d’espansione attraverso la suddivisione del
territorio in “zone”, alle quali vengono attribuite particolari destinazioni d’uso e particolari
quantità e tipologie di edificazione.
Fino al 1942 in Italia non c’era una legge che definisse gli istituti, le procedure e i contenuti della
pianificazione urbanistica; per la formazione di ogni piano urbanistico si procedeva secondo
regole e norme stabilite caso per caso; generalmente ogni piano veniva approvato con legge dello
Stato. Nel corso della seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento prevalgono i “piani
di risanamento e ampliamento”, relativi a singole zone d’espansione o alla valorizzazione
attraverso ristrutturazione di aree centrali.

I piani riguardano soprattutto le grandi città:


• Firenze (piano Poggi, 1865);

• Roma (piani Viviani, 1873 e 1892; piano Saintjust-Nathan, 1909);

• Milano (piani di ampliamento; poi il piano Beruto, 1889; piano Pavia-


Masera, 1912);

• Torino (piani di ampliamento; poi il piano regolatore, 1906);

• Napoli (piano di risanamento, 1885; poi il piano De Simone, 1914);

• Palermo (piano di risanamento Giarrusso, 1885) ecc.


Precedentemente alla legge del 1942 l’unica legge che si può considerare di interesse
urbanistico, almeno per la parte relativa alla regolamentazione della città, è la n. 2359 del 1865
sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità.
Il principale obiettivo della legge 2359 del 1865 era stato quello di favorire, attraverso l’esproprio,
la creazione delle principali infrastrutture di trasporto dell’epoca, che mancavano nel nuovo stato
nazionale:
• creazione della nuova rete ferroviaria;

• saldatura delle reti viarie dei diversi stati regionali;

• costruzione di una rete di porti marittimi.


In effetti la scelta dello Stato sarà quella di potenziare soprattutto il traffico su gomma.

Il 21 settembre del 1924 viene inaugurato a Lainate il primo tratto, da Milano a Varese
(attualmente classificato come A8), di quella che diverrà l'autostrada dei Laghi e che sarà la prima
autostrada a pedaggio realizzata in Italia..

Vittorio Emanuele III e l’ingegnere Puricelli partecipano all’inaugurazione.

Nel 1928 viene creata l’Anas (Azienda nazionale autonoma strade) e si dà avvio alla massiccia
asfaltatura di 20.600 Km di strade statali.

Conseguentemente le principali case automobilistiche aumenteranno la produzione di automobili
e autocarri.

Case automobilistiche italiane:


• FIAT (Fabbrica Italiana Automobili) - Torino, 1899

• Lancia - Torino, 1906

• ALFA Romeo (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili), Milano, 1910


• Maserati - Bologna, 1914

Nel gennaio del 1930 viene fondato l’INU (Istituto nazionale di urbanistica) per iniziativa dei
componenti del comitato italiano in occasione del XII Congresso internazionale dell’abitazione e
dei piani regolatori, che si era svolto a Roma. Il nuovo istituto di cultura si proponeva:
“lo studio dei problemi tecnici, economici e sociali, relativi allo sviluppo dei centri urbani e l’esame
delle questioni relative all’organizzazione e al funzionamento dei servizi pubblici di carattere
municipale”.
L’INU, che ha da sempre un carattere di organizzazione di élite, raccoglie all’inizio professionisti e
studiosi in vario modo legati al dominante regime fascista. Dopo la guerra avrà invece forti
connotati di sinistra.
Fondamentale è stato il suo contributo alla redazione della legge urbanistica italiana, ancora oggi
vigente, approvata dalla Camera dei fasci e delle corporazioni il 17 agosto del 1942.
Lo Stato italiano, quasi a suggello del contributo dell’INU alla legge urbanistica , con regio
decreto del 1943, eresse l’INU in ente morale e lo riconobbe come “Istituto di alta cultura”,
riconoscimento che faceva dell’INU l’espressione più autorevole e ufficiale della cultura
urbanistica in Italia.

LA LEGGE URBANISTICA 1150 DEL 1942


La legge 1150 del 1942 è ancora oggi la legge fondamentale in materia urbanistica nonostante:
• sia trascorso più di mezzo secolo;
• che dal 1972 le regioni a statuto ordinario hanno piena potestà legislativa in materia;
• le numerosissime “modificazioni e integrazioni” intercorse con successivi atti legislativi.
Finalità della legge è la disciplina de “l’assetto del territorio e l’incremento edilizio dei centri abitati
e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio del Regno” (art. 1).
La legge è articolata su un sistema di piani urbanistici:
• i piani territoriali di coordinamento i piani regolatori intercomunali

• i piani regolatori generali

• i piani particolareggiati

Il piano territoriale di coordinamento dovrebbe indirizzare e coordinare l’attività urbanistica in


determinate porzioni del territorio nazionale ed alle cui direttive dovrebbero uniformarsi i piani
regolatori intercomunali e comunali.
In tal senso si dice che il PTC è sovraordinato rispetto al PRG.
Per quanto riguarda il contenuto del PTC la legge stabilisce che (art. 5):

nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in
rapporto principalmente:
• alle zone da riservare a speciali destinazioni e a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di
legge;
• alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o impianti di particolare natura ed
importanza.
• alla rete delle principali linee di comunicazioni stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti
e in programma.

Il piano regolatore generale rappresenta lo strumento di pianificazione dell’intero territorio


comunale, di cui stabilisce le direttive per l’assetto e lo sviluppo urbanistico.

Il “piano regolatore generale comunale” (PRG) è il fulcro della legge 1150 del 1942 e del sistema
di pianificazione che essa instaura.
Il piano regolatore intercomunale può essere disposto per comuni contermini quando, per le
caratteristiche dei loro aggregati edilizi si evidenzia e si riconosce opportuno il coordinamento
delle direttive riguardanti l’assetto urbanistico territoriale dei comuni stessi.
Ha il medesimo contenuto del PRG.

Il PRG deve indicare essenzialmente (art. 7):


• la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e laddove occorra navigabili,
concepita per la sistemazione e lo sviluppo dell’abitato, in modo da soddisfare alle esigenze di
traffico, dell’igiene e del pubblico decoro;
• la divisione in zone del territorio, con la precisazione di quelle destinate all’espansione
dell’aggregato urbano, e la determinazione dei caratteri e dei vincoli da osservare in ciascuna
zona;
• le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
• le aree da riservare alla costruzione di scuole e di chiese e ad opere e impianti d’interesse
pubblico in generale.


ITER DELLA FORMAZIONE
La formazione del piano regolatore generale è regolata da leggi regionali, ma è comunque sempre
divisa nelle seguenti fasi:
• decisione
• redazione (analisi e scelte)
• adozione da parte dell’organo consiliare (misure di salvaguardia)
• pubblicazione
• osservazioni (e opposizioni)
• controdeduzioni alle osservazioni (e opposizioni)
• trasmissione all’ente sovraordinato
• approvazione ed entrata in vigore

Misure di salvaguardia
Il periodo di tempo che intercorre tra l’adozione del piano regolatore generale o dei piani di
attuazione e la loro entrata in vigore può essere lungo. I privati potrebbero approfittarne per
ottenere concessioni edilizie in conformità con la regolamentazione urbanistica ancora vigente,
ma in contrasto con il piano adottato. Per evitare che succeda, il comune deve sospendere ogni
decisione sulle richieste di concessione edilizia contrastanti con il nuovo piano adottato. La
regione può sospendere l’efficacia delle concessioni edilizie già rilasciate ma contrastanti con il
nuovo piano adottato. Le misure di salvaguardia sono efficaci per 5 anni, chi le viola è soggetto a
sanzioni amministrative e penali.

Sono obbligati a dotarsi di PRG tutti i comuni compresi in appositi elenchi da approvarsi con
decreto del Ministro per i lavori pubblici.
Ne hanno facoltà tutti gli altri.
I comuni che non sono dotati di PRG devono comunque adottare un Regolamento edilizio, che
costituisce lo strumento minimo di disciplina delle trasformazioni, (semplificato nei contenuti e
nelle procedure di approvazione e di attuazione) che contiene un allegato cartografico
denominato Programma di fabbricazione.

Il piano particolareggiato
è lo strumento di attuazione diretta della pianificazione generale, ed è quindi l’esecuzione in forma
puntuale e particolareggiata del PRG.
Nei piani particolareggiati di esecuzione devono essere indicate le reti stradali e i principali dati
altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati (art. 13):
• i volumi e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade o piazze;
• gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;
• gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione;
• le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano;
• gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare.

Innovazione di notevole rilievo è quella prevista dall’art. 18, che consente ai comuni di
espropriare, dopo l’approvazione del PRG i terreni destinati all’edificazione nell’ambito delle zone
di espansione, ad un prezzo che non tenga conto degli incrementi di valore derivanti dalle
previsioni del piano.
All’atto dell’approvazione della legge si era convinti che l’art. 18 ne rappresentasse “la spina
dorsale”. Invece non è stato quasi mai applicato, anche per il fatto che i comuni non avevano
fondi da destinare all’acquisto delle aree.
A proposito dell’art. 18, il ministro dei lavori pubblici Giuseppe Gorla dichiarò che “esso dà ai
comuni la facoltà di espropriare i terreni compresi nelle zone di ampliamento, al fine di creare un
demanio comunale e di permettere ai comuni di dominare il mercato delle aree e di avvantaggiarsi
del plusvalore che vengono ad acquistare i terreni, in seguito all’esecuzione delle opere di piano
regolatore e alla estensione dei servizi pubblici nelle zone di ampliamento”.

GLI EFFETTI DELLA GUERRA

Alla fine della seconda guerra mondiale, in Italia i danni sono enormi:
• più di tre milioni di vani distrutti o gravemente danneggiati;
• risulta distrutta un terzo della rete stradale e tre quarti di quella ferroviaria;
• i danni sono concentrati nel triangolo industriale e nelle grandi città;
particolarmente drammatico il problema abitativo che già prima della guerra era abbastanza grave
(nel 1931 erano stati rilevati 41,6 milioni di abitanti e 31,7 milioni di stanze).
Mentre in molti paesi europei la ricostruzione è stata utilizzata per impostare su basi nuove e
razionali i problemi dello sviluppo urbano e territoriale , in Italia, viceversa, è stata utilizzata per far
marcia indietro rispetto agli strumenti di cui già di disponeva.

I PIANI DI RICOSTRUZIONE

Con l’alibi dell’emergenza viene accantonata la legge urbanistica e viene varata la legge sui piani
di ricostruzione, disciplinati da norme speciali, estesi solo a porzioni del territorio comunale.
Si tratta di uno strumento urbanistico semplificato e privo di basi analitiche con cui si porta avanti
quella che oggi potremmo definire la concezione della “città per parti”, un tipo di pianificazione
molto criticabile i cui effetti negativi non si sono fatti attendere.
La specifica normativa regolante i piani di ricostruzione è individuata nella legge n. 1402 del 1951
recante “Modificazioni al decreto legislativo 1° marzo 1945, n. 154, sui piani di ricostruzione degli
abitati danneggiati dalla guerra”.
Per facilitare l’attuazione dei piani erano previste:
• procedure abbreviate per le espropriazioni;
• intervento diretto dello Stato che si accollava le spese occorrenti per la formazione dei piani di
ricostruzione;
• particolari facilitazioni fiscali;

• concessione di indennizzi e contributi per la ricostruzione.


Quanto al contenuto, il piano di ricostruzione, avente efficacia di piano regolatore
particolareggiato, doveva indicare:
• le reti stradali e ferroviarie;
• le aree da assegnare a sede di edifici di culto, di uffici e servizi pubblici e a spazi di uso
pubblico;
• le zone destinate a demolizioni, ricostruzioni, riparazioni e costruzioni di edifici e quelle
sottoposte a vincoli speciali;
• le zone fuori del perimetro abitato, destinate all’edificazione perché riconosciute necessarie per
le ricostruzioni dell’aggregato urbano.

Nell'immediato dopoguerra la legge sui piani di ricostruzione risultò essere una legge funzionale a
quelli che erano gli interessi dominanti, ovvero alla scelta di fondo di assegnare all’edilizia un ruolo
trainante dello sviluppo.
La ripresa economica aveva posto subito il problema del ruolo trainante dello sviluppo, che non
poteva essere interamente affidato all’industria del nord a causa:
• dei gravi danni subiti dagli impianti;

• dell’arretratezza di quelli funzionanti;

• della dequalificazione della manodopera in conseguenza della


pausa forzata.

Il settore edilizio invece si prestava ottimamente al ruolo trainante


• sia perché non richiedeva né impianti costosi, né imprenditori esperti, né mano d’opera
specializzata, né materiali d’importazione;
• sia perché rispondeva ad un’esigenza sociale molto sentita che era quella della ricostruzione
fisica della città e della dotazione individuale di una dimora sicura come bisogno primordiale.
Sono quindi gli stessi organi di governo a ritardare l’applicazione della legge 1150.
Il primo PRG, redatto secondo la 1150, sarà quello di Milano, approvato soltanto nel 1950.

GLI ANNI DEL DIBATTITO SULLA RIFORMA URBANISTICA

All'inizio degli anni '60 la mutata scena socio-economica del paese favorisce l'apertura del
dibattito sulla riforma urbanistica.
• si consolida lo sviluppo industriale del paese;

• si assiste soprattutto al nord alla fioritura di innumerevoli


iniziative di pianificazione.
Nel dicembre del 1960 l'INU presenta in occasione dell'VIII Congresso nazionale una proposta di
riforma il cosiddetto Codice dell'urbanistica in cui si auspica:
• Istituzione delle regioni a statuto ordinario come enti territoriali (che avverrà solo nel 1970);
• Integrazione della pianificazione urbanistica con la programmazione economica;
• Istituzione di un Comitato nazionale di pianificazione (formato da ministri e presidenti delle
regioni);
• Istituzione di un Consiglio tecnico centrale (a livello di alta burocrazia e di esperti urbanisti).

La proposta dell'INU riceve l'adesione dei partiti di sinistra e degli ambienti progressisti; si inizia a
parlare di riforma urbanistica anche in sede ministeriale.
Benigno Zaccagnini, ministro dei lavori pubblici del governo Fanfani, insedia una commissione
per la riforma urbanistica (membri della commissione, come rappresentanti dell'INU, sono
Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà).
La proposta di riforma è resa pubblica nel settembre del 1961 e non si distacca da quella
elaborata dall'INU e resta nel solco dei principi ispiratori della legge del 1942 pur proponendo
notevoli perfezionamenti di carattere tecnico e procedurale.

Con la costituzione del terzo governo Fanfani, Zaccagnini viene sostituito dal democristiano
Fiorentino Sullo (febbraio 1962), che ricostituisce la stessa commissione integrandola con giuristi,
economisti, sociologi. La proposta di riforma è resa pubblica nel giugno del 1962 e risulta
impostata su basi completamente nuove e originali.

La proposta di riforma stabilisce:


• che l'indirizzo e il coordinamento della pianificazione urbanistica debbono attuarsi nel quadro
della programmazione economica nazionale;
prevede inoltre una profonda modifica del regime di proprietà dei suoli:
• il comune promuove l'espropriazione di tutte le aree inedificate, e di quelle edificate che
presentano usi sensibilmente difformi dalle destinazioni del piano;
• acquisite le aree, il comune provvede alle opere di urbanizzazione primaria;
• con il mezzo dell'asta pubblica, il comune cede il Diritto di superficie sulle aree destinate ad
edilizia residenziale, che restano di proprietà del comune.
L'indennità di espropriazione è determinata:
• per i terreni non edificati e non aventi destinazione urbana prima delle previsioni del piano in
base al prezzo agricolo;
• per i terreni non edificati ma aventi già destinazione urbana, in base al prezzo dei più vicini
terreni di nuova urbanizzazione aumentato della rendita differenziale di posizione;
• per i terreni edificati in base al prezzo di mercato della costruzione.
Il 14 luglio del 1962, la Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui Sullo aveva trasmesso il
disegno di legge, comunica di condividere in linea di massima i criteri informatori della nuova
disciplina urbanistica. Sullo in più occasioni parla del suo disegno di legge ma nessuna reazione
si ha da parte dell’opinione pubblica.
E’ nell’aprile del 1963 (le elezioni sono fissate per il 28 aprile) che si scatena lo “scandalo
urbanistico”, una furibonda campagna di stampa contro il ministro dei lavori pubblici accusato di
“voler togliere la casa agli italiani”.
Con una nota del 13 aprile la Dc dissocia la propria responsabilità dall’operato del ministro Sullo.

A Fiorentino Sullo, che ha pagato duramente la propria coerenza politica, resta comunque il
merito dell’approvazione di un’altra importante legge la
L. n.167 del 1962 “per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e
popolare”.

I contenuti informatori della legge possono così sintetizzarsi:


• inquadramento dell’edilizia economica e popolare nell’ambito di piani inseriti e coordinati in uno
strumento comunale di pianificazione urbanistica (piano regolatore o programma di
fabbricazione);
• facoltà ai comuni di costituirsi patrimoni di aree da urbanizzare e rivendere ai privati per lo
svolgimento di attività edilizie di tipo economico e popolare;
• possibilità di acquisizione delle aree mediante esproprio, attraverso un meccanismo che
avrebbe dovuto assicurare una parziale eliminazione delle plusvalenze formatesi in dipendenza
dell’espansione delle città ed un’azione calmieratrice sul mercato di suoli (pari al prezzo
agricolo);
• coordinamento degli interventi realizzati dagli enti operanti nel settore dell’edilizia economica e
popolare, con gli interventi realizzati dai privati, al fine di assicurare la formazione di quartieri
socialmente equilibrati.

La Corte costituzionale con la Sentenza n. 22 del 1965 dichiarerà illegittimo il meccanismo


previsto per l’acquisizione delle aree dalla legge 167, in quanto la dissociazione del momento in
cui viene determinata l’indennità da quello dell’espropriazione può condurre ad una liquidazione
in misura solo simbolica. Secondo la Corte l’indennità deve costituire, invece, un serio ristoro del
danno patrimoniale subìto.
In sostituzione degli articoli dichiarati illegittimi, verrà promulgata la legge n. 904 del 1965 con la
quale, per determinare l’indennità di espropriazione si fa ricorso alla “legge per Napoli” del 1885.
Nel 1963 con la costituzione del primo governo Moro (di centro- sinistra) Sullo viene sostituito dal
socialista Pieraccini che elabora un nuovo disegno di legge sulla riforma urbanistica:
si conserva il principio dell’esproprio generalizzato, l’indennizzo però non è più pari al prezzo
agricolo ma è rapportato al valore di mercato del 1958;
è abolito il diritto di superficie e sono esonerate dall’esproprio le aree interessate da progetti
presentati prima del 12 dicembre 1963.
Mentre la proposta cadeva insieme al governo in tutta Italia vengono rilasciate una valanga di
licenze edilizie.

Nel luglio del 1964 durante le trattative per la formazione del secondo governo Moro il
comandante dei carabinieri Giovanni De Lorenzo tenta un colpo di stato (come si scoprì, solo in
parte, alcuni anni dopo) probabilmente sperando che tale iniziativa avrebbe trovato sostegno negli
ambienti moderati in cui il terrore delle riforme, soprattutto quella urbanistica, aveva alimentato un
clima politico torbido. Sempre nel 1964 il nuovo ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini,
presenta un nuovo progetto di legge che segna ancora un passo indietro:
• l’indennità di esproprio viene valutata in base alla legge del 1865 che lascia ai privati gran parte
dei plusvalori;
• ampie le possibilità di esonero dall’esproprio.

Neanche la proposta Mancini arriverà mai in parlamento.

LA FRANA DI AGRIGENTO

Nel corso degli anni '60 la speculazione edilizia soprattutto nel Mezzogiorno riesce ad alimentare
una rete di collusioni sempre più fitta e sedimentata, anche gli scandali edilizi si susseguono a
ritmo serrato. La “cultura urbanistica” si disimpegna; l'INU e gli urbanisti più noti, passano la
mano ai politici sul tema della riforma, abbandonano il campo dell'impegno civile e si rifugiano nel
campo delle ricerche morfologiche. Il suolo italiano, intanto, viene lottizzato.
Da un'inchiesta del Ministero del Lavori pubblici emergono dati impressionanti: solo in un quarto
dei comuni italiani (poco più di 2000) sono state autorizzate lottizzazioni per circa 115 mila ettari,
per oltre 18 milioni di vani, quanti sarebbero sufficienti per colmare l'intero fabbisogno nazionale
di alloggi fino al 1980.
Se nei primi anni del dopoguerra il fenomeno dell'abusivismo trova giustificazione nella necessità
di dotarsi di un tetto, negli anni del "miracolo economico" subentra un'attività speculativa senza
precedenti sull'intero territorio nazionale che, soprattutto nelle regioni meridionali, si traduce in
devastanti lottizzazioni, nella realizzazione di edifici residenziali multipiano, ma anche di interi
quartieri, contravvenendo alle vigenti norme edilizie ed urbanistiche.
Intorno alla metà degli anni Sessanta il fenomeno dell'abusivismo edilizio subisce quindi
un'evoluzione, divenendo fenomeno trasversale a tutte le fasce sociali, nel senso che a
commettere l'abuso non sono più soltanto i ceti disagiati ma anche le classi medio-alte con ampie
disponibilità economiche.

In quegli anni l'abusivismo edilizio assume connotazioni fortemente speculative dando risposta,
da una parte, a quella domanda di alloggi economici ancora insoddisfatta dall'offerta pubblica,
dall'altra, al mercato della seconda casa in forte espansione. A favorire la diffusione delle seconde
e terze case per le vacanze contribuisce la possibilità di poterle realizzare a costi particolarmente
contenuti – considerando i prezzi dei terreni non urbani, quelli dei materiali da costruzione e della
manodopera – che si abbattono ulteriormente quando i terreni sono teoricamente inedificabili e la
manodopera non in regola. La seconda casa non è più quindi un bene elitario ma alla portata di
una larga fascia della popolazione, che ambisce a costruire nelle zone di maggior pregio
paesaggistico, in particolare costiere.

Le zone investite dalle lottizzazioni sono quelle di massima concentrazione abitativa:


• il triangolo industriale;

• la piana veneta;

• l'area romana e napoletana;

• molte aree di interesse paesaggistico, soprattutto le coste.

Il 19 luglio 1966 una frana di inconsuete dimensioni, miracolosamente incruenta, lascia senza
casa migliaia di abitanti di Agrigento. La frana è stata causata dall'enorme sovraccarico edilizio:

ben 8500 vani costruiti negli ultimi anni in contrasto con tutte le norme esistenti.
Il ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini nomina una commissione d'inchiesta presieduta da
Michele Martuscelli. Sotto accusa è la DC che amministra la città da vent'anni. Un aspro dibattito
si accende nel Parlamento e nel paese.

Ad avere ben compreso e ricostruito i passaggi essenziali di quel connubio tra Dc e malaffare a
cui è imputabile, in massima parte, il saccheggio urbanistico di Agrigento è la relazione della
Commissione d'inchiesta istituita dal ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini all'indomani
della frana del 1966 e presieduta dal direttore generale dell’Urbanistica Michele Martuscelli.
Nelle pagine della relazione emerge con chiarezza il perverso meccanismo che aveva fatto
convergere interessi di soggetti diversi verso «una concorde azione di erosione delle norme e di
distruzione della città».
In riferimento ai casi più gravi di illegalità, viene spiegato che molte deroghe e sanatorie, anche a
voler prescindere dall'enormità delle infrazioni, sono state concesse in base ad un procedimento
tortuoso e contraddittorio, attraverso modalità palesemente favorevoli ai costruttori; che in alcuni
casi, il comportamento degli amministratori e degli uffici tecnici ha debordato dai limiti dell'illecito
amministrativo per invadere il campo dell'illecito penale.
Il meccanismo prevede che «dopo una prima licenza rilasciata, non sempre, peraltro, in
conformità alle norme, il costruttore chiede la licenza per una maggiore altezza e la ottiene;
successivamente supera i limiti autorizzati ed il Comune accorda la sanatoria e così di seguito, in
un circolo vizioso di corresponsabilità».

Nella parte conclusiva della relazione, con un accento commosso, che solitamente non si
riscontra nei documenti amministrativi, si afferma «Gli uomini, in Agrigento, hanno errato,
fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni
tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di
questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e
subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è
incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben
difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l'aspetto sociale,
civile ed umano».

Potrebbero piacerti anche