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Inquinamento e Bonifica

Introduzione
La figura a lato ci distingue tra le
riserve idriche (m3): ghiacci,
acqua del mare, l’atmosfera e le
acque sotterranee; e i flussi
(m3/anno) che sono qualcosa che si
muove. Tra le varie riserve idriche
si osserva che l’acqua sotterranea è
la parte minore, ma è acqua dolce e
facilmente utilizzabile. Inoltre, essa
è derivata da pozzi, sorgenti e
fontanili. Nella Pianura Padana
l’80% delle volte viene usata a
scopo idropotabile. Il fiume è
un’altra fonte facilmente
utilizzabile per uso umano che però
scorre, quindi ha delle portate variabili. Quindi i fiumi e le acque sotterranee sono le 2 fonti principali.
Se parliamo di inquinamento, sul fiume, un inquinamento si muove; quindi se io fermo la sorgente di
contaminante il fiume ha una capacità di tornare alle condizioni originarie più rapida, proprio perché
è acqua che scorre. L’acqua sotterranea, invece, quando si muove veloce fa 1 m/giorno. Quindi
un’acqua sotterranea che filtra in un terreno, quando soggetta a contaminazione bisogna intervenire.
Il valore dell’acqua sotterranea assumerà un ruolo strategico crescente nella crescita sociale ed
economica.
La figura a destra rappresenta la
soggiacenza della falda nella Pianura
Padana. Si ha l’alta Pianura quella in
blu scuro che ha quote più elevate e
mano a man che scendiamo si ha la
pianura; all’interno c’è Milano e poi
a sud la bassa Pianura. Le linee che
corrono in direzione E-W sono le
isopieze, che indicano il livello
dell’acqua in metri sul livello del
mare.
Immaginando una superficie diretta
da N verso S come va la superficie
dell’acqua? Se ci muoviamo da E a W si osserva che nella parte centrale vi è un andamento alto-
basso-alto (Milano)-basso; nelle zone di basso vi sono le valli fluviali e in particolare la prima a
sinistra è quella del Ticino e l’ultima a destra è quella dell’Adda. E cosa significa che vicino al fiume,
l’acqua si abbassa? Ciò significa che il fiume drena la falda o la falda alimenta il fiume. I colori nella
mappa rappresentano la soggiacenza (m) che rappresenta la profondità rispetto al piano campagna.
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Per cui la soggiacenza della falda arriva a più di 20 m perché ci sono le colline, ma la falda in quelle
zone tende a salire ma poi diventa sempre più piana verso sud. In alto a destra si osserva un’incisione
che rappresenta la valle del Lambro (esso ha inciso nel conglomerato).
Questa riserva idrica varia nel tempo come si osserva dal grafico in figura che rappresenta il pozzo di
Milano. Si osserva che negli
anni ’50 la quota del piano
campagna è 119 m e quindi si
nota come era vicina la falda
(solo 4 m). Negli anni ’60-75
vi è il boom economico e qui
viene usata tantissima acqua
e la falda si abbassa di
tantissimo (20 m); questo è il
periodo in cui si aveva paura
dei cedimenti del Duomo in
quanto i sedimenti sotto si
schiacciavano non essendoci
la spinta dell’acqua. Poi nel
1976 inizia a piovere
intensamente e la falda risale,
complice anche lo
spostamento delle maggiori
industrie al di fuori delle città. Lo schema sotto mostra come si presenta il sottosuolo: si ha la prima
falda o acquifero libero che è
alimentato direttamente dalle piogge
in relazione con i fiumi; poi si hanno
sotto degli acquiferi confinati
separati da quelli che sono chiamati
acquitardi o acquicludi (cioè
orizzonti di bassa permeabilità che in
tempi lunghi sono in contatto con le
acque superficiali). Man mano che
scendo in profondità le acque sono
sempre più antiche; si hanno anche
acque millenarie. La struttura per cui
si formano gli acquiferi confinati ha
sempre una zona di ricarica e poi delle aree in cui si hanno sedimenti più grossolani e altre dove sono
più fini; così si formano delle falde. Le falde sono in rapporto stretto con le acque superficiali
(infiltrazione, ritenzione del suolo, corsi idrici)  Circolazione idrica.
Cosa succede alle acque millenarie? Esse stanno talmente tanto tempo nel terreno, che sciolgono gli
elementi del terreno soprattutto se si trovano in condizioni prive di ossigeno. Esse quindi si caricano
di concentrazioni di B, Fe, As, che però non sono antropici (non si può considerarli inquinamento) e
si parla in questo caso di contaminazione naturale. Per noi è importante sapere se si tratta di
contaminazioni naturali o antropiche perché se sono naturali ogni tipo di intervento risulta inutile.
Le concentrazioni naturali sono funzione delle caratteristiche geochimiche delle rocce che
costituiscono l’acquifero e cioè da dove vengono i sedimenti, che cosa contengono; delle
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caratteristiche del bacino di alimentazione e cioè da dove viene l’acqua della falda, che rocce hanno
attraversato; dell’età delle acque di falda.
Ci sono poi anche delle concentrazioni naturali indotte: ad es. quando nell’acqua manca l’ossigeno,
nell’acqua si verificano delle reazioni per cui le sostanze ossigenate vengono ridotte; si pensi ad un
acquifero con delle torbe (materiale organico) dove i microrganismi si cibano di essa consumando
ossigeno; quindi questi acquiferi confinati, spesso, con le torbe sono in condizioni ridotte. In tali
condizioni, una volta terminato l’ossigeno i microbi utilizzano l’ossigeno dei nitrati e dei solfati;
accade che sia i nitrati sia i solfati scompaiono; trovo, invece, i solfuri (da solfati), azoto gassoso (da
nitrati), ammonio (da materia organica- torba), il ferro e il manganese nelle particelle di terreno
diventa solubile perché si riduce e infine i minerali di Fe come le piriti o miche rilasciano l’arsenico.
In tutte le aree della bassa Pianura come a Cremona o Pavia nelle acque delle falde confinate io trovo
solfuri, ammonio, ferro, manganese e arsenico. Queste sono contaminazioni indotte dalla presenza
della torba, ma sono naturali.
Ad es. in prima falda nei pressi di un benzinaio si ha uno sversamento di idrocarburi, quindi ho una
contaminazione da idrocarburi. Gli idrocarburi sono sostanza organica quindi è simile alla torba;
dunque i microrganismi sono capaci di utilizzarla per vivere. Nell’area in cui agiscono i
microrganismi consumano ossigeno e mancando esso compaiono i solfuri, ammonio, ferro,
manganese e arsenico. Se l’ambiente torna ossigenato la contaminazione si risolve da sola.
Sempre per contaminazione naturale si possono avere i cloruri (acque profonde e acque millenarie,
più sono vecchie più sono simile alle acque marine).
L’inquinamento per cause antropiche è dato dai cloruri (fognature e sale stradale), solfati
(agricoltura e industria), nitrati, sostanze chimiche varie organiche e inorganiche. Per capire se la
contaminazione è naturale o antropica bisogna saper l’utilizzo delle sostanze sul territorio, la struttura
geochimica ed idrogeologica e la copresenza di altre sostanze.

Esempio: Emilia-Romagna
L’Emilia-Romagna ha gli Appennini a sud con tutti i suoi fiumi, poi si ha la zona di ricarica (falda
acquifera) nei pressi degli Appennini, poi man mano la falda va confinandosi andando verso il Po e
poi abbiamo il mare. L’Appennino ha rocce col gesso perché risale al periodo Messiniano quando si
è prosciugato tutto il Mar Mediterraneo. So che nella zona di Ferrara facendo i pozzi utilizzano
l’acqua calda per il riscaldamento perché il substrato si è sollevato (come una dorsale di materiale più
antico); so inoltre che lungo l’Appennino c’è la via Emilia e ci sono tutte le città (Piacenza, Parma,
Reggio Emilia, Modena, Bologna). Sapendo la situazione della regione, vediamo se riusciamo a
capire se l’elemento che trovo nelle acque sotterranee è naturale o antropico. Il primo elemento che
si osserva sono i Nitrati: la contaminazione è
antropica perché le città che sono a monte della
falda rilasciano inquinanti che sono degradati
via via. Si nota una diminuzione della loro
concentrazione se ci spostiamo verso il mare.
Il secondo elemento sono i Solfati: il gesso è
un solfato, il Secchia a Modena è ricco di

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solfati perché nel suo bacino di alimentazione ci sono le cave di gesso. La contaminazione in questo
caso è naturale.
Il terzo elemento sono i Cloruri: le aree interessate sono quelle di sollevamento e il mare; la maggior
parte dell’impatto è naturale dei cloruri.

Gli ultimi elementi che consideriamo sono lo ione Ammonio, il Ferro e il Manganese: la struttura
iniziale è probabile torba e c’è basso tenore in ossigeno; queste sono contaminazioni naturali.
Siccome in queste aree le concentrazioni di questi elementi sono oltre i limiti per cause naturali
vengono alzate le soglie limite. In base alle concentrazioni di elementi in ogni regione sono stati alzati
i livelli soglie relativi. Ad esempio, in Lombardia sono stati innalzate le soglie di ione ammonio, Fe,
Mn e As; ad es. in Toscana e Campania dove ci sono i vulcani sono tantissimi gli elementi di cui si
sono alzate le soglie limite.
L’inquinamento è un concetto relativo, senza un significato reale; tutte le risorse contengono già
all’origine un certo grado di impurità. La definizione di inquinamento è quindi sempre di tipo
quantitativo. Per definire il concetto di inquinamento o contaminazione dobbiamo stabilire delle
soglie, cioè dare un valore per cui al di sopra di esso l’acqua è ritenuta contaminata. Le soglie relative
all’utilizzo dell’acqua sono diverse a seconda di chi la usa (uomini, animali); inoltre, le soglie sono

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anche momentanee cioè col progredire della ricerca spesso le soglie cambiano. Normalmente esse si
abbassano perché si trova che alcune sostanze sono più dannose s i trovano metodi analitici più
precisi. Questo fa si che le soglie non sono fisse per sempre, ma siano mobili.
Stabilita la soglia, il sito inquinato o l’acqua contaminata è quella che supera quella data soglia. Esiste
una definizione generale di Sito Inquinato che considera alterazioni fisiche, chimiche, biologiche
superficiali o del sottosuolo. Perché in un sito contaminato, in genere non è solo l’acqua contaminata
ma tutto il sistema.
Nella tabella a lato sono riportati alcuni limiti
o valori soglia di alcuni elementi inquinanti.
La prima colonna MIN SS rappresentano le
indicazioni teoriche del Ministero della Salute
(quando non è indicato il limite per una
sostanza si va a vedere questo). Le seconde due
colonne 236/88 e 31/2001 sono l’evoluzione
delle soglie di inquinamento per l’acqua
potabile. Le terze colonne 471/99 e TU-152/06
sono le leggi riferite alle soglie di
inquinamento per l’acqua sotterranea (falda). I
composti della tabella sono i solventi
clorurati che sono gli inquinanti più presenti
attualmente nelle acque sotterranee e sono
anche quelli più difficili da trattare.
Qui si nota che nell’88 è stata fatta una legge
per cui la sommatoria di tutti i solventi
clorurati doveva essere 30 μg/L., ma nel 2001
la sommatoria è stata abbassata a 10 μg/L
perché essi sono cancerogeni. La
contaminazione da solventi clorurati è stata scoperta per caso negli anni ’70 perché una signora
bevendo un bicchiere d’acqua ha notato l’odore strano tipo trielina dell’acqua. Per essere percepibile
all’olfatto la contaminazione deve essere di migliaia di μg/L.
Una sostanza inquinante può essere rilevata solo se vengono effettuate analisi sulle acque mirate alla
sua individuazione; le concentrazioni dei contaminanti sono spesso nell’ordine dei ppb (μg/L). un
inquinante può essere presente ma non essere rilevato, qualora non venga ricercato specificatamente
il contaminante.
La storia dell’Inquinamento la si fa risalire alla Rivoluzione Industriale; essa presenta un grosso
utilizzo di carbone l’inizio dell’utilizzo di coloranti tratti da minerali. Col ‘900 si sviluppano le
acciaierie, le batterie, si comincia a distillare il petrolio, la radioattività (raggi x). I solventi clorurati
e le altre sostanze chimiche vengono fuori con la seconda guerra mondiale quando si sviluppa
l’industria chimica a scopo bellico. Negli anni ’50-’60 si inventa la plastica, le vernici, cromature, le
sostanze per preservare il legno.
Fino agli anni ’70 il concetto di Inquinamento non esisteva, quindi lo smaltimento di tali sostanze
non esisteva. Alla fine degli anni ’70 vengono scoperti i problemi uno dietro l’altro: all’inizio si
scopre il problema delle discariche il cui percolato causa danni (anni ’80); poi nell’85 si scopre che

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tutti i serbatoi interrati perdono; fine anni ’80 si trova l’atrazina (antiparassitario); dagli anni ’90 c’è
il problema dei nitrati.
Quindi i primi interventi che provavano a fare qualcosa sono degli anni ’80-’90; negli anni Ottanta si
metteva un pozzo e pompavano acqua; negli anni Novanta si pompava acqua e la si trattava (pump
and treat). Da quel momento in poi vengono sviluppati interventi sempre più complessi.

La sezione idrogeologica sopra è una sezione N-S in provincia di Milano: si parte da Giussano dove
c’è il Lambro, poi Verano, Carate, Seregno, Desio. Si osserva che i primi pozzi sono molto profondi,
l’acquifero è libero e la falda profonda; a mano a mano che mi sposto verso sud la falda risale perché
diminuisce la conducibilità idraulica. Nella figura sopra il nero è l’argilla, il bianco la ghiaia, il
puntinato è la sabbia e i mattoncini sono il conglomerato. A Verano si sversa qualcosa, che percorso
fa? Quando il contaminante arriva alla falda esso si muove con lei, verso valle e finisce negli acquiferi
confinati.

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Esempio: Provincia di Milano-anno 1997

I colori rappresentano le concentrazioni di inquinanti; tra 10 e 30 μg/L si riferisce ad un livello di


attenzione. Il grosso sversamento nel 1997 era minore di 30 μg/L, ma attualmente il limite è sceso a
10. Poi si è intervenuto; essa è una contaminazione che si è ridotta.
Esistono 2 forme di inquinamento, in una forma possiamo intervenire, ma nell’altra forma no. Noi
possiamo intervenire solo quando l’inquinamento è piccolo e localizzato. Noi possiamo intervenire
negli inquinamenti puntuali, che sono quelli a estensione ridotta, a piccola scala (cisterna,
discarica); essi producono pennacchi ben
identificati. In questo caso si fanno interventi
di bonifica e disinquinamento. L’altra forma è
l’inquinamento areale, che ha grande scala
(agricoltura, piogge, sale stradale); essa
produce contaminazione diffusa originata da
molte sorgenti; l’unica possibilità operativa è
quella di depurazione delle acque e di
provvedimenti di carattere preventivo come
azioni politiche di prevenzione.
La mappa a lato mostra sempre la
concentrazione dei Nitrati nella provincia
milanese nel 2000. Si osserva come tale contaminazione sia presente in alcune zone, meno presente
nella Bassa Pianura dove si hanno le falde confinate. Nella parte centrale idem ho un paleoalveo. La
carta rossa è un inquinamento areale.

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La carta a lato, invece, mostra un
inquinamento puntuale; si osservano
tutti i pennacchi trovati nella provincia
milanese. Dato l’andamento
piezometrico, i pennacchi si
concentrano a Milano città. La zona
del pennacchio rosso del
tricloroetilene è importante.

Nella mappa a lato si vede il tutto ingrandito; la


zona del pennacchio rosso è quella di Pero-Rho
dove c’era l’Edison. Tale zona vi è a 30 m la
zona di solubilità della trielina. Per i pennacchi
giallo, blu e verde, l’idrocarburo disciolto
(nero) si trova in quantità variabile perché esso
si deteriora velocemente.
L’inquinamento antropico è quello che dà i pennacchi di contaminazione e in questo caso riusciamo
a togliere la sorgente e pulire l’acquifero. Ovviamente ci sono dei casi più gravi e dei casi meno gravi.
Questa distinzione è funzione della pericolosità dell’inquinante, della tipologia dell’inquinante
(biodegradato o meno), dell’origine dell’inquinamento (antropico o naturale e/o naturale indotto), dal
tempo e dalle modalità con cui arriva in falda e infine dalla geometria ed estensione della sorgente.
Tutto ciò agisce sul volume dell’acquifero contaminato, sulla densità, sulla dispersione,
sull’ampiezza, sulla tipologia degli interventi di bonifica.
L’inquinante arriva in falda sostanzialmente con 2 metodi: da sorgente a impulso o da sorgente
continua. La tipica rappresentazione dove nell’ordinata vi è la concentrazione (o vera o relativa) e in
ascissa vi è il tempo in questo caso (o spazio). Nella sorgente a impulso il grafico mostra che la
contaminazione avviene per un tempo ridotto, dopodiché non c’è più. Ciò vuol dire che se dell’acqua
arriva a monte, prende tale contaminazione ma dopo un dato intervallo non c’è più. Nella sorgente
continua, invece, la contaminazione inizia e continua nel tempo sempre con la stessa concentrazione
(serbatoio che perde). Tra queste due estreme situazioni si hanno tutte le possibili variazioni e cioè
aumento o diminuzione nel tempo a gradini della concentrazione.
Cosa succede in falda? Nell’immagine seguente i grafici mostrano i due tipi di sorgente e i relativi
comportamenti della concentrazione di contaminante nella falda. Nel primo grafico, al tempo t0 passa
l’acqua pulita che si contamina (A) per un tempo brevissimo; se io ho un piezometro (pallino rosso)
e campiono l’acqua ottengo la curva sotto corrispettiva. La prima curva esprime inizialmente
un’acqua pulita, poi arriva la contaminazione, raggiunge il suo massimo e poi diminuisce. Quindi la
sorgente a impulso dà luogo ad un impulso di contaminazione. Nel secondo grafico si ha la sorgente
che continua nel tempo; al tempo t0 l’acqua pulita si contamina e scorre; ma siccome la sorgente è
continua, l’acqua è contaminata per sempre. Quindi la concentrazione sale, arriva a un livello di C e
rimane costante fino a che non tolgo la sorgente. Questo tipo di rappresentazione è il tipico modo per

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rappresentare cosa succede in falda. Tale curva è detta Curva di Restituzione. Per studiare la curva
dovremo dividerla in due parti: nella prima parte si ha un moto insieme all’acqua e nella seconda
parte si ha una dispersione. Essi sono due fenomeni che avvengono insieme, ma dal punto di vista
matematica bisogna trattarle separatamente.
Quali sono i contaminanti più diffusi? Da un’indagine fatta nel 1990 in US si osserva che il 50% degli
stati (cioè 25 stati) hanno dichiarato come contaminanti principali:
- Nitrati: dal nostro punto di vista ci interessano poco;
- Pesticidi;
- Solventi Organici Volatili;
- Prodotti Petroliferi;
- Metalli;
- Acque salmastre o brine;
- Prodotti Chimici.

Esempio: Provincia di Milano


Tenendo conto dei pennacchi visti in precedenza per la provincia di Milano si osserva che il 54% di
essi sono Solventi Organici Alogenati, il 16% Antiparassitari, il 10% di Cromo Esavalente e l’8% di
idrocarburi. Alla fine, sono sempre gli stessi i contaminanti più diffusi. Nella seconda figura sotto si
vede la diffusione dei pennacchi di Cr che sono legati all’industria galvanica di Brugherio soprattutto.

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Esempio: Piemonte
Anche qui i maggiori contaminanti sono gli idrocarburi come il benzene, i solventi, quelli organici
come il Mn, Fe, Ni, Pb, Cr.

I principali contaminanti Organici e Inorganici sono elencati qui di seguito:


ORGANICI
- Idrocarburi: I. aromatici BTEX;
- IPA
- Ammine: composti alogenati  Tetracloroetilene (o PCE), Tricloroetilene (o trielina o TCE),
Triclorometano (o cloroformio o TCM), Tetracloruro di C;
- PCB;
- Solventi;
- Fitofarmaci: erbicidi (bentazone, molinate, atrazina) ed insetticidi.

INORGANICI
- Metalli pesanti: Cd, Zn, Pb, Ni, Cu, Cr, Mn, Fe e As;
- Fosfati e cianuri;
- Solfati, cloruri, solfuri;
- Nitriti, nitrati, ione ammonio.

È importante ricordarsi da dove vengono certi contaminanti, quindi il loro utilizzo; la tabella riportata
mostra alcuni utilizzi dei principali metalli. Conoscere l’origine dei principali contaminanti è utile

per ricostruire la formazione dei pennacchi. Qualche tempo fa, quando la Provincia trovava una
contaminazione in falda risaliva il pennacchio e trovava quale fabbrica fosse colpevole.

Proprietà importante dei contaminanti che influenza lo stato fisico è la Solubilità, S, che è la quantità
massima di un composto che può trovarsi disciolta in acqua. Se ne metto di più la parte eccedente
non si scioglie. L’unità di misura è il mg/L dove 1 mg/L = 1 ppm. La solubilità dipende dalla
temperatura e dalle caratteristiche del composto. Come esempio, si prenda, il sale da cucina che ha

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una solubilità di 360'000 mg/L che vuol dire che se io in 1L metto 400g di sale non mi si scioglie
tutto (la salamoia). Esistono sostanze a elevata solubilità e sostanze a bassa solubilità. Nel caso di
elevata solubilità se si ha uno sversamento, la sostanza arriva in falda e scompare i quanto va
completamente in soluzione; quindi si ha una fase singola che si muove con l’acqua secondo la legge
di Darcy. Nel caso di bassa solubilità, invece, le sostanze liquide non miscibili rimangono nei pori
come fase separata; in questo caso si ha una parte solubile che si scioglie e un’altra parte insolubile
che si scioglie molto lentamente (perché si scioglie solo quando arriva altra acqua che passa). Quindi
abbiamo 2 fasi: una fase liquida sciolta e una fase non sciolta. Questa parte che non si scioglie è detta
fase liquida non solubile (NAPL). E questo è il grosso problema con i solventi clorurati.
Altra importante proprietà è la Tensione di Vapore che esprime la volatilizzazione di un composto
in fase separata. Essa rappresenta per un composto puro, la pressione corrispondente all’equilibrio
fase separata-vapore; l’unità di misura è atm o mmHg (1 atm = 760 mmHg). L’altra proprietà è la
Costante di Henry che esprime, anch’essa, la volatilizzazione di un composto disciolto in acqua.
Essa è usata per stimare la distribuzione dei contaminanti tra la fase in soluzione e la fase gassosa
all’equilibrio: = . Questa volta l’equilibrio è tra l’aria e l’acqua che contiene il contaminante.
L’unità di misura della costante di Henry è m3 atm /mol oppure è adimensionale. Queste due proprietà
sono importanti perché se io riuscissi a trasformare le mie sostanze in vapore io potrei usare l’aria per
pulirla; quindi se ho sostanza volatile posso usare tecniche diverse.
Quindi la Volatilità indica la proprietà di passare
allo stato gassoso. E le sostanze si dividono in
sostanze volatili o VOCs e sostante semivolatili o
SVOCs. La loro distinzione è funzione della loro
capacità di passare nell’aria; le VOCs sono
composti organici che volatilizzano velocemente a
T e p standard (20°C e 1 atm) con pv > 10 mmHg e
KH > 10-3 atm m3 / mole. Mentre, gli SVOCs sono
composti organici che volatilizzano in modo lento a
T e p standard con pv > 0.5 mmHg e KH > 10-4 atm
m3 /mole. Nelle tabelle a lato sono riportati i valori
di tensione di vapore e di costante di Henry
dei principali composti. Come detto, nel
caso della prima tabella o della tensione di
vapore si devono vede i composti che
hanno pv > 10 mmHg (in viola) e quelli con
pv > 0.5 mmHg (in verde).
Nel caso della seconda tabella o della
costante di Henry si guarderanno i
composti che hanno KH > 10-3 (in viola) e
quelli con KH > 10-4 (in verde).
Quindi si hanno alcune categorie molto
frequenti di contaminanti che hanno una
bassa solubilità e quindi facilmente diventano dei NAPL e hanno però un’alta volatilità sia dalla
sostanza pura sia dalla sostanza in acqua.

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Ultima proprietà da tenere in conto è la Densità che gioca un ruolo importante solo per i NAPL.
Abbiamo visto che la solubilità è bassissima (mg/L) quindi una soluzione che contiene una sostanza
disciolta ha il peso uguale a quello dell’acqua; invece, quando una sostanza si trova in una fase
separata, il fatto che sia più leggera o più pesante dell’acqua è importante. L’acqua ha una densità di
1 g/cm3 e una viscosità di 1 stokes. Nella tabella a sinistra ci sono i contaminanti più leggeri mentre

quelli di destra sono più pesanti dell’acqua. Le


sostanze più leggere appartengono tutte alla
categoria dei BTEX (idrocarburi), poi
cloroetano e cloruro di vinile che sono dei
solventi clorurati (sono gli unici più leggeri).
Tra le sostanze più pesanti si hanno gli altri
solventi, IPA (in arancione).
I NAPL più leggeri si chiamano light e quindi
LNAPL; avendo esso una densità diversa da
quella dell’acqua (maggiore o minore), la fase
separata tende a galleggiare sulla falda o ad
affondare in essa.
Ho la mia sorgente che perde, il NAPL scende e arriva alla frangia capillare dove trova dell’acqua e
ci galleggia sopra; l’acqua che arriva prende in carico tale sostanza e la trasporta; in questo caso si ha
una contaminazione superficiale.

Se fosse invece più denso e quindi un DNAPL, la contaminazione di napl affonderebbe al di sotto
della frangia capillare fino a che ci riesce, cioè fino a che non trova l’orizzonte impermeabile oltre
cui non riesce a passare. E se la sorgente è continua tale orizzonte si allunga sempre di più in funzione
della pendenza. Esempi in questo caso sono i PCB, percloroetilene e tricloroetilene. L’effetto sulla
falda qual è? Il NAPL si ferma nei pori del terreno man mano che lo attraversa e si riempie di particelle

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insolubili di napl che rimangono intrappolate; l’acqua che arriva, passa e scioglie una piccola parte e
la contaminazione in questo caso è su tutto l’acquifero.
In sintesi, i contaminanti organici si suddividono in:
- Volatili non alogenati: BTEX (Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xilene) che sono usati come
solventi nei processi di sintesi chimica e presenti nelle benzine (alta volatilità, bassa sol e
bassa densità);
- Volatili alogenati: Idrocarburi Alogenati (Tetracloroetilene, Triacloroetilene…) che sono un
importante gruppo di inquinanti usati per lavaggi a secco e sgrassanti (alta volatilità, bassa sol
e alta densità);
- Semivolatili non alogenati: Idrocarburi policiclici aromatici (IPA: Naftalene, Antracene) che
sono presenti in atmosfera per processi di combustione (Modestra volatilità, bassa sol e bassa
densità);
- Semivolatili alogenati: PCB che sono utilizzati come fluidi refrigeranti in trasformatori e
come solventi. (Modestra volatilità, bassa sol e bassa densità)

Importante è ricordarsi che quando troviamo un contaminante bisogna andare a ricercare la sorgente
da cui proviene. Le sorgenti di contaminazione possono essere puntuali (depositi sotterranei,
discariche, fosse settiche, serbatoi, pozzi), lineari (oleodotti, canali di scarico, strade) o areali (aree
urbane, miniere).
Riferendosi sempre agli US nel 1990 la metà degli stati dichiarò i tipi di sorgenti di contaminanti
principali: le cisterne sepolte, le fosse settiche, le attività agricole, le discariche, gli impaludamenti
superficiali e i rifiuti abbandonati. Su 460 siti contaminati il 35% sono aree industriali dismesse come
ad es. Bicocca.
Le categorie delle sorgenti sono 10 e sono elencate qui di seguito:
1) Cisterne di Stoccaggio: attualmente sono fatte in vetroresina o con delle strutture attorno, a
vuoto, in cui si va a controllare la depressione. Nonostante ciò il grosso problema di queste
cisterne è che le perdite sono concentrate agli angoli dei canali di collegamento con la
superficie. Le cisterne possono essere in superficie e contenere prodotti petroliferi, sostanze
chimiche per l’agricoltura oppure essere sepolte come i distributori di benzina, cisterne per
gasolio.

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2) Le discariche: esse possono essere mal progettate o non controllate e ciò provoca una perdita
di percolato in funzione della tipologia della discarica. Le discariche vecchie non prevedevano
nessun tipo di isolamento del rifiuto con l’ambiente circostante, mentre attualmente una
discarica a norma prevede un’area drenante che raccoglie il percolato; le precipitazioni non
arrivano più sul rifiuto perché la parte sovrastante è impermeabilizzata. L’acqua che si forma
all’interno per degradazione è raccolta e smaltita. Chiudendo la parte sotto della discarica si
forma al suo interno un ambiente anaerobico in cui si forma del gas che può essere riutilizzato.
Il problema è che finchè sono costruite magari sono fatte con molta attenzione però attorno
ha avuto un forte evento inquinante (Vizzolo) perché una volta che la discarica viene chiusa
ci deve essere un periodo di gestione (smaltire il percolato).

3) Stoccaggio di materiale all’aperto: è buon norma coprire le sostanze solubili come sale
stradale, fertilizzanti, soggetti a dilavamento meteorico.

4) Fosse settiche: esse sono designate al drenaggio nel terreno di reflui domestici in parte
degradati anaerobicamente (contaminazione da nitrati, nitriti, fosfati). Esse sono fatte in modo
tale che le acque di scarico di una casa passano in una fossa settica in cui la parte solida si
sedimenta e la parte liquida sfiora e viene distribuita in una rete drenante che la lascia
scendere nel terreno.

5) Impaludamenti superficiali: essi sono laghi e stagni di accumulo o trattamento dei liquami
pericolosi e non; essi sono impiegati nell’industria mineraria, chimica, della carta.

6) Spandimenti superficiali: acque reflue industriali o municipali trattate e non, uso di residui
di industrie alimentari e di allevamento (letami, liquami) utilizzati come fertilizzanti.

7) Pozzi di iniezione (brine): essi iniettano in falda rifiuti liquidi (brine di pozzi
petroliferi);tipicamente nei giacimenti di petrolio si ha una trappola, cioè delle rocce
impregnate di sostanza vegetale (oli) ed esse stesse si pressano e si accumulano più
permeabili. Esse si disperderebbero sopra se non ci fosse qualcosa che le intrappola; salgono
incontrando l’acqua sono più leggere quindi galleggiano e risalgono. Al di sopra di esso vi è
il gas. Poi c’è la questione delle pompe di calore di cui si sa poco.

8) Interazioni acque sotterranee e superficiali o acque marine: abbiamo visto che lungo il
percorso dell’olio, a nord ci sono tanti nitrati perché è usato per l’agricoltura; quando l’olio
14
entra in contatto con la falda i nitrati nell’olio aumentano; poi a mano a mano che mi sposto
verso valle l’acquifero diventa ridotto e si forma l’arsenico nell’olio. Il problema è che l’acqua
marina è molto pesante; 1 m di acqua dolce corrisponde a 40 m di acqua salata. Se io
diminuisco il carico di 1 m sotto diminuisce di 40 m. ovvero se io metto un pozzo e prelevo
abbassando il livello, l’acqua salata si alza più dell’abbassamento e quindi i pozzi lungo costa
tirano dentro acqua salata.

9) Trasporto: sorgenti dovute al trasporto di contaminanti sono le condotte (petrolio, gas


naturale, gasolio), le cisterne (via gomma o treno), canali inquinati.

10) Pozzi/piezometri: per fare un pozzo devo perforare il terreno e mettere un tubo e attorno a
esso riprodurre il terreno e cementare (cemento bentonitico-argilla) in superficie; quindi una
contaminazione si ha per mancanza di cementazione della falda freatica. Ugualmente se si
attraversa uno strato impermeabile in profondità devo sigillare con bentonite e anch’esso se
manca porta a contaminazione.

11) Pozzi di resa o ricarica: l’eventuale utilizzo improprio e vietato per smaltimento acqua
contaminata; tuttavia esiste una metodica in cui se io prelevo acqua e la inietto a monte pulita.

Riprendendo il grafico della variazione del livello della falda nel milanese visto in precedenza si
osserva che la parte arancione è il terreno insaturo. La falda scende e nel 1976 risale improvvisamente;
sulla superficie c’è un tot di
contaminanti ed essi attraversano il
terreno e parzialmente sono trattenuti
per ritenzione e un po’ spinti giù
dall’acqua. Il risultato è che il terreno
che sta sopra la falda è una spugna che
contiene tutto quello che l’ha
attraversato. Nel momento in cui la
falda si alza, la sostanza nella parte
insatura viene presa in carico dalla
falda (cuneo arancione scuro); quindi
il terreno viene lavato. Dunque, la
risalita della falda attualmente sta
dilavando i contaminanti trattenuti all’interno dell’insaturo.

15
Ripasso di idrogeologia
Nella figura sotto è rappresentato uno schema del sottosuolo con due falde, la prima è superficiale e
la seconda è confinata; ma in entrambe le falde corre l’acqua in una certa direzione che è funzione
del gradiente i. Il gradiente è la
differenza di quota rispetto alla
distanza. Quindi, in poche parole,
il gradiente è la forza che spinge
l’acqua. In questo modo l’acqua
filtra nel mezzo poroso sotto
l’azione di tale forza. La velocità
del movimento dipende anche da
una resistenza, cioè dalla
permeabilità K. Essa è la facilità
con cui l’acqua riesce a spostarsi
nei pori. Quindi se una K è alta,
l’acqua si muove più velocemente
che con una K bassa. Dunque, la
velocità dell’acqua è data dal
prodotto tra il gradiente e la
permeabilità ( = ∙ i).
La portata che attraversa la falda è
legata anche allo spessore della
falda, cioè alla sezione che è piena di acqua; quindi la quantità di acqua che si sposta è data dalla K e
dallo spessore h. Per semplicità, si utilizza la trasmissività ( = ∙ h) per sapere la portata che si
muove sulla striscia unitaria di sezione si usa il termine trasmissività. Quindi la portata totale posso
dire che è: = ∙ i ∙ ℎ oppure = ∙ i.
Importante è ricordare la distinzione tra due concetti leggermente diversi e che sono quello di
permeabilità e quello di conducibilità idraulica. La permeabilità K è la superficie di vuoti effettiva
che l’acqua può attraversare [m2];la conducibilità idraulica k ( = ∙ ), è la facilità con cui
l’acqua passa attraverso l’area. La conducibilità è legata anche alle proprietà del liquido che sono la
densità ρ e la viscosità μ. Per convenzione, l’acqua ha la densità 1 e viscosità 1; quindi numericamente
permeabilità e conducibilità saranno uguali matematicamente ma non concettualmente.
Altri concetti da ricordare sono quelli di porosità totale e porosità efficace. Nella figura sotto si ha un
terreno con dei vuoti, si ha la
porosità (per capire che ho porosità
basta metterci dell’acqua e si vede
che si riempie). Quant’è la porosità
totale n? Da un certo momento
l’acqua non entra più, quando si
sono riempiti tutti i vuoti. Quindi, se
in questo m3 riesco a fare entrare 0.3
m3 di acqua significa che i vuoti
.
contenuti nel terreno hanno un volume di 0.3 m3. ( = = . = 0.3 )

16
Ma noi sappiamo che l’acqua possiede una proprietà detta Capillarità che fa si che l’acqua aderisca
alle pareti dei granuli. Se sollevo il cubo, l’acqua scende, scende tutta? NO, perché una parte rimane
adesa ai ciottoli. Ne scende in questo caso 0.2 m3, che è la porosità efficace. Quindi 0.2 m3 di acqua
può filtrare mentre il restante 0.1 m3 rimane all’interno del terreno. Quando devo calcolare la velocità
dell’acqua posso calcolarla solo rispetto alla porosità efficace. 0.2 m3 è anche detto coefficiente di
ritenzione o di immagazzinamento.
Il rapporto 0.1 m3 che rimane dentro (capacità specifica) o quello che esce di 0.2 m3 dipende dalla
dimensione delle particelle e quindi dalla superficie delle particelle. Ciò significa che se io ho
un’argilla o un limo o materiale fine, l’acqua
aderisce quasi tutta e ne esce poca e ha una
bassa conducibilità idraulica e una bassa
permeabilità.
Il diagramma a lato mostra come varia la %
di vuoti nei vari tipi di terreno: si osserva che
l’argilla ha tanti vuoti (la linea verde è alta
per le argille). La porosità totale diminuisce
con i massi (linea rossa) perché tra i massi
vuoti non c’è né; però la ritenzione è 0. La
porosità efficace si trova sottraendo la
capacità di ritenzione alla porosità totale
( ! = − #$ ).
Importante è poi ricordare un certo signor Darcy, fa passare una certa quantità di acqua attraverso dei
tubi filtranti di sabbia. Osserva che la quantità totale di acqua che scorre dipende dalla sezione, dalla
lunghezza e dal carico idraulico. Inoltre, nota che a seconda del terreno che ho, la portata Q varia
'( )'*
quindi, q sarà funzione anche di k. (% = ∙&∙ )
+

La formula che divenne famosa fu quella della Velocità apparente o Darciana: = = ∙ ,. in


realtà essa è una portata unitaria [[m/s]/1m2]. Se io voglio calcolare la Velocità effettiva dell’acqua
devo tenere conto che non tutta la superficie è attraversata dall’acqua (porosità efficace). La velocità
vera con cui si muovono le particelle e quindi il contaminante è il rapporto tra la velocità Darciana e
- 0∙1 2 3 4∙0∙1∙
la porosità efficace ( ! =. = ./
= . = 4∙. = 4∙./
).
/ / /

17
Trasporto di contaminanti in soluzione
La figura a lato è identica a quella del
capitolo precedente: si ha l’acqua che
filtra (curva azzurra) e il contaminante.
Esistono 2 tipi di contaminanti:
1. Contaminante non reattivo o
conservativo: esso si muove
con la stessa velocità
dell’acqua; quindi la sua legge è
- 0∙1
! = = . se esso si muove
./ ./
con l’acqua vuol dire che scorre
con essa disciolto e non ha
nessuna reazione né col mezzo
attraversato esso come sostanza
chimica. Questi tipi di
contaminanti sono uguali
all’acqua e subiscono solo
processi fisici.
2. Contaminante reattivo o non
conservativo: esso subisce sia
fenomeni fisici sia chimici; essi interagiscono o con il mezzo attraversato o con altri
contaminanti o hanno reazioni interne. Dunque, questi contaminanti iniziano a muoversi con
la stessa velocità ma queste reazioni li rallentano; essi non viaggiano alla velocità dell’acqua
e sono anche detti ritardati. Su essi agiscono processi fisici come nel primo gruppo però
agiscono anche processi chimici. Ovviamente la stessa legge vale per ogni tipo di falda.
Come abbiamo detto sopra, quando i processi chimici sono nulli la propagazione dei contaminanti è
legata ai soli processi fisici. Esiste un trasporto puro che si indica con la velocità reale dell’acqua
0∙1
( ! = ) e che si chiama Advezione (che è l’unica cosa che posso calcolare per l’acqua e va bene
./
anche per il contaminante); a essa si sovrappone un processo che non si distingue in natura che si
chiama Dispersione o Diffusione. Questi ultimi due processi portano alla diluizione e dispersione
del contaminante nell’acqua. I
contaminanti che subiscono solo questi
processi sono anche detti traccianti
perché sono usati come traccia per
calcolare la velocità dell’acqua; essi
sono stabili, la velocità è uguale a quella
dell’acqua e la massa in falda rimane
costante; come esempi si hanno cloruri
o nitrati.
Si studia qui a lato prima
l’ADVEZIONE, che è semplice, ma
teorica. La figura a lato mostra una
rappresentazione nota con
concentrazione in ordinate e distanze in
18
ascisse; essa mi fa vedere come il contaminante si muova nello spazio. Esso si muove con una data
velocità effettiva in un dato tempo e spazio. Questa rappresentazione significa che il contaminante si
sta muovendo insieme all’acqua; l’advezione è l’effetto sulla forma e posizione del fronte di
avanzamento di una sorgente ad impulso in un orizzonte acquifero confinato.
Si possono misurare contrazioni del flusso lungo una colonna rispetto allo spazio, al tempo e al
volume; prendendo analisi da laboratorio si osserva un serbatoio d’acqua in cui l’acqua passa
attraverso una colonna e la raccolgo in una vasca sotto come si vede in figura a lato. se io misuro la
concentrazione all’interno della colonna di come si muove
posso rappresentare una concentrazione nello spazio; altrimenti
nel tempo o nel volume (acqua contenuta nei pori). Da qui è
possibile ottenere le cosiddette curve di Breakthrough o curve
di restituzione.
Ad esempio, misuro la concentrazione lungo la colonna (in
funzione dello spazio x): immetto concentrazione nella colonna
e smetto (sorgente impulsiva) e creo così un impulso di
concentrazione. Quello che accade è rappresentato nella figura

a destra: cioè al t0 non ho


concentrazione (primo grafico a sx), al
tempo t1 ho una concentrazione Co; al
tempo t2 la concentrazione avanza
verso il basso. Ovvio che se misuro la
concentrazione a diverse profondità,
io avrò all’inizio pulito, ad u certo
spazio avro sporco e al terzo ancora
pulito (linee verdi tratteggiate). Sotto si riporta la stessa figura ma in termini di distanza e si osserva
che sull’asse delle ordinate vi è un rapporto adimensionale di concentrazioni (C/Co) dove Co la
concentrazione iniziale. Questo tipo di grafico mi
permette di rappresentare insieme contaminanti con
concentrazioni diverse. Osservo poi che il contaminante
si muove in modo compatto verso destra mantenendo
sempre la concentrazione originale; ho quindi un fronte
piatto quando si muove.
Nel caso ripetessi lo stesso esperimento con una
sorgente continua di contaminante otterei i seguenti
risultati: al tempo t0 non ho concentrazione di
contaminante, al tempo t1 ho concentrazione Co uguale
alla precdente e al tempo t2 la concentrazione avanza sopra e sotto.

19
Abbiamo detto prima che oltre al calcolo della concentrazione in funzioe della distanza x e del tempo
t, è possibile calcolarla in funzione del volume dei pori V. Il volume dei pori significa il volume
contenuto nella colonna. Un modello semplificato di flusso prevede che l’acqua contaminata presente
nei pori venga sostituita da quella pulita che fluisce nel mezzo poroso. Ad esempio, ho una colonna
e un mezzo sporco che contiene acqua contaminata e mi chiedo quanta acqua devo mettere nella
colonna affinchè l’acqua contaminata esca? Volume di acqua della colonna che è quello contenuto
nei pori. Per le sostanze conservative NVP = 1.
1 78 = 79:; < ∙ !

In una colonna, flusso 1-D:


1)Calcolare il volume dei pori nella colonna sapendo che & = #<=,9 <, ? = :; @ℎ<==A < ! =
B9C9#,Dà <FF,GAG<. (dove il prodotto tra L e A rappresenta il volume della colonna)
78 = ? ∙ & ∙ !

2)Calcolare la portata fluita in un certo periodo di tempo t sapendo che ! =


<:9G,Dà <FF<DD, A < D = , D<C A::9 H, D< B9.
%= ! ∙D∙&∙ !

3)Il numero del volume dei pori è il rapporto tra la portata fluita nel tempo t ed il volume dei pori
nella colonna:
! ∙D∙&∙ !
I78 =
?∙&∙ !
4)Intendendo l’intervallo t come il tempo necessario perché il contaminante esca dalla colonna, il
- ∙J
NVP è equivalente a un tempo adimensionale detto tempo di residenza tr: I78 = /+ = D$ . il tempo
di residenza è il tempo necessario affinché la colonna si svuoti.

Esempio 1
Si suppone di avere tre colonne, tutte lunghe 50 cm
e in tutte le colonne immetto una portata di 500
cm3h-1. Tra le tre colonne cambia il diametro e cioè
la sezione; tra la colonna a) e la colonna b) cambia
la sezione, mentre la c) ha la stessa sezione della b)
ma è piena di sabbia (la cui ne = 0.30). In particolare:

20
- Colonna a)  D = 10 cm;
- Colonna b)  D = 5 cm;
- Colonna c)  D = 5 cm.

Calcolo l’area della sezione [cm2]:


- Colonna a)  A = 78.5 cm2;
- Colonna b)  A = 19.6 cm2;
- Colonna c)  A = 19.6 cm2;  poiché c’è la sabbia vuol dire che c’è solo il 30% disponibile
per l’acqua. La superficie effettiva sarà &! = & ∙ ! = 19.6 ∙ 0.30 = 5.88 G O ;

Calcolo la velocità di trasporto [cm/h] = Q/A


3 P QRS
- Colonna a)  ! = 4 = TU.P QR* = 6.4 G /ℎ;
- Colonna b)  in questo caso poiché il diametro è inferiore alla colonna a) ci si aspetta che la
3 P QRS
velocità di trasporto aumenti, ! = = = 25.5 G /ℎ;
4 X.Y QR*
- Colonna c)  in questo caso la velocità la si aspetta maggiore del caso b) in quanto c’è sabbia
3 P QRS
e c’è solo un 30% disponibile di pori, ! = 4 = P.UU QR* = 85 G /ℎ;

Immaginiamo ora la situazione in cui si immette un impulso di contaminazione all’inizio di ogni


colonna, qual è il volume dei pori che in ogni colonna è necessario per spostare tutto il contaminante
fuori dalla colonna stessa?
Calcolo il volume dei pori:
- Colonna a)  7 = & ∙ ? = 78.5 ∙ 50 = 3925 G ;
- Colonna b)  7 = & ∙ ? = 19.6 ∙ 50 = 980 G ;
- Colonna c)  7 = & ∙ ? = 19.6 ∙ 0.30 ∙ 50 = 294 G . (il 30% della colonna b)) oppure
avremmo potuto fare: 7 = 980 ∙ 0.30 = 294 G .

Ora facciamo alcune domande:


1) Quanto vale 1 volume dei pori nella colonna c)? 294 cm3.
2) Qual è la velocità effettiva con cui esce dalla colonna c)? 85 cm/h.
3) Se viaggia a 85 cm/h e il volume di pori è 294 cm3, in 1 ora quanti volumi dei pori escono?
Posso fare in due modi:
-/ UP QR/'
- = = 1.7 ℎ e 7]!^_`1Ja = 7 ∙ D = 294 G ∙ 1.7 ℎ = 499.8 G ;
+ P QR
-/ ∙J∙4∙./ UP QR/'∙ '
- I78 = +∙4∙./
= P QR
= 1.7 ℎ.
4) Se immetto una concentrazione al tempo t0, dopo 1 ora il fronte di contaminazione arriva, è
già arrivato o deve ancora arrivare, alla base della colonna? Poiché la velocità è 85 cm/h e la
lunghezza è 50 cm.

21
Di seguito gli schemi relativi a come varia la C in funzione di x, t e NVP se la sorgente è impulsiva
o continua. Negli schemi di sx ci sono le 3 curve di restituzione nel caso di una sorgente impulsiva di
come il contaminante si muove nello spazio, nel tempo e nel NVP. Il fronte di contaminazione si

muove compatto; il tempo impiegato perché il fronte raggiunga la base della colonna dipende dalla
velocità di flusso; il volume di acqua defluito prima che il fronte raggiunga la base della colonna
d’acqua è quello necessario per ricambiare l’acqua presente nella colonna.
Il calcolo del flusso di contaminante immaginando un moto di sola Advezione è semplice e viene
usato per valutazioni approssimative. In tal caso il flusso di massa Fx è uguale alla portata specifica
(velocità Darciana) moltiplicata per la concentrazione della sostanza disciolta:
bc = ∙ d dove = ! ∙ !

E quindi avremo: bc = ! ∙ !d

Dove la concentrazione di soluto C si misura in [g/m3] = [mg/l]. Questo flusso di contaminante mi


dice qual è la massa di contaminante che si muove nel tempo su un’unità di superficie, quindi si
esprime [g/m2 s].
Facilmente, nota l’area attraverso cui il contaminante è trasportato, si ricava la massa di soluto
trasportata nell’acquifero per advezione. Infatti, la massa di soluto Mx trasportata nell’acquifero per
advezione è uguale al flusso di massa moltiplicato per la superficie totale attraversata dalla
contaminazione (perpendicolare alla direzione di flusso).
ec = bc ∙ & = ! ∙ !d ∙&
Dove la massa di soluto si misura come: [g/s] oppure [kg/giorno].

22
Sintesi: Flusso e Massa di Contaminante

Lo schema soprastante riassume i concetti di flusso di contaminante e massa di contaminante: in


figura vi è un elemento di acquifero rappresentato dal cubo blu, che è sottoposto ad un gradiente
idraulico i; questo elemento ha delle caratteristiche che sono la permeabilità, la porosità totale e la
porosità efficace. Da Darcy sappiamo che il cubo è attraversato dall’acqua grazie al fatto che c’è una
spinta dovuta al gradiente idraulico e ci passa attraverso in funzione della permeabilità. Questa non è
altro che una portata unitaria q detta anche velocità Darciana v. Dopodiché, dato che esiste una
porosità efficace possiamo trovare la velocità reale ve. Se divido la faccia di sx del cubo in tanti
elementi di lato 1 m come in figura, la velocità Darciana non è altro che q = k i. Essa viene chiamata
velocità per le unità di misura. Per trovare la portata totale attraverso la faccia basta moltiplicare la
portata unitaria per l’area (Q = q A). Consideriamo ora l’ingresso di una contaminazione C dall’alto,
la cui unità di misura è: [mg/l = 1000 mg/ 1000 l = g/m3]. Una volta entrata la contaminazione, l’acqua
prende in carico la C e poi esce dalla parte opposta come acqua contaminata. Dal cubo esce un flusso
contaminato (Fx = q C) la cui misura è: [m/s g/m3 = g/m2]. Il flusso è calcolato solo su un’unità della
faccia, se invece lo calcolo sull’intera faccia ottengo la massa del contaminante: Mx = Q C la cui
misura è: [m3/s g/m3 = g/s]. Infine, se prendessi la portata che entra per unità di altezza o spessore
otterrei la trasmissività (T = k b).
I calcoli di flusso e di massa sono molto semplici perché se io
considero il reticolo di flusso (costituito da linee equipotenziali e
da direzioni di flusso) osservo che il flusso di contaminante viaggia
all’interno di un tubo come mostrato a lato. La conoscenza del
campo di moto dell’acquifero fornisce info per ricostruire il
movimento dell’acquifero.
Ciò è solo teorico o succede anche nella realtà? Ahimè nella realtà
le cose si complicano perché c’è un altro processo che rende più
difficile fare i calcoli; in funzione di quante eterogeneità ci sono
23
nel terreno il movimento sarà più o meno veloce per cui ho un fenomeno che è detto Dispersione. Se
si osservano le curve di restituzione sotto si nota che nella realtà io non ho più un fronte netto, ma ho
delle zone in cui la concentrazione
non è omogenea. Quindi la
concentrazione non viaggia
compatta ma si allarga anche nei
tubi di flusso laterali, soprastanti e
sottostanti. Quindi essa va a
occupare uno spazio maggiore del
previsto e la concentrazione
diminuisce in quanto si diluisce.
Quindi la C non è costante.

Considerando il solo trasporto advettivo comporta che le concentrazioni di soluto si mantengano


uguali a quelle iniziali; essa è un’approssimazione comoda, ma rispetto a quanto accade realmente:
- Risultato a favore di sicurezza  le C restano costanti, mentre in realtà vanno diminuendo;
- Risultato a sfavore di sicurezza  in quanto l’estensione del pennacchio è sottostimata. Il
volume di falda contaminata aumenta nel tempo e nello spazio.

Quindi il fenomeno non è solo advettivo, ma è advettivo e dispersivo. Nella figura sotto è mostrato
come varia la
concentrazione nello
spazio nei due fenomeni;
nella dispersione la C si
disperde attorno ad una
media (linea rossa-
advezione) che
rappresenta il flusso
advettivo. Ovvero,
l’avvezione ci dice il punto in cui è arrivata la contaminazione, ma siccome si è dispersa, alcune parti
sono più avanti e altre più indietro. Inoltre, l’area si allarga come si notta dall’asse x. L’idea della
massa me la dà proprio l’area. I calcoli dell’avvezione fatti prima fanno trovare il baricentro (pallino
rosso). Il primo caso mostra una sorgente impulsiva dove il pallino rosso si sposta sempre più a destra
in funzione dell’avanzamento della contaminazione e la densità delle particelle ci dice che a mano a
mano la C si diluisce nel tempo; inoltre il contaminante occupa spazi sempre più ampi. Il secondo
caso mostra una sorgente continua in cui succede un analogo e forma il cosiddetto pennacchio di
contaminazione.
24
Il punto di avvezione quindi è il pallino rosso o baricentro (punto in cui si ha la C più alta) ed è
possibile calcolarlo. La figura sotto mostra come avanza la C nello spazio: al tempo t0 vi è l’impulso
iniziale, nel tempo t1 si amplia a
gaussiana, al tempo t3 la curva
gaussiana si ampia di più e così
via. Si osserva che la
concentrazione non si disperde
uniformemente da tutte le parti,
ma si disperde lungo la direzione
del flusso. Esiste quindi una
dispersione longitudinale, una
trasversale e una verticale.
Si consideri ora una colonna orizzontale costituita da un mezzo poroso come si vede dalla figura; ad

un certo tempo faccio partire una concentrazione e la mantengo come si vede nel grafico a sx; quello
che succede quando esce l’acqua dall’altra parte è rappresentato dal grafico a dx: l’acqua esce
inizialmente ha una concentrazione bassa poi arriva ad un punto di flesso e poi aumenta la C. in questo
caso il baricentro (pallino rosso) è a metà tra le particelle che arrivano prima e quelle che arrivano
dopo. In questo caso esso è = 0.5. il tempo impiegato perché il baricentro raggiunga la base della
f

25
colonna dipende dalla velocità del flusso. Il volume di acqua defluito prima che il baricentro del fronte
raggiunga la base della colonna è pari al numero di volume dei pori (NVP).

Il grafico sopra, invece, mostra il caso di una sorgente continua, in cui ogni curva di C è la forma
raggiunta dopo un certo tempo. All’inizio ho C0 = 1.0, poi contamino di continuo, la sorgente si
espande in modo diverso in funzione del tempo. Per trovare il baricentro in ogni momento occorre
tracciare la linea del rapporto = 0.5 #;::’A##< h.
f

Il baricentro lo posso sempre calcolare con la formula dell’avvezione, mentre la dispersione mi dice
dove varia il baricentro.
Fenomeni che complicano il calcolo sono anche: la diffusione e la dispersione meccanica. Se io metto
una goccia di inchiostro in un bicchiere di acqua; esso è fermo, l’acqua è ferma, ma la goccia di
inchiostro pian piano diventa uniforme, si distribuisce nell’intero bicchiere. Ciò vuol dire che la
diffusione è un movimento delle particelle che non dipende dal movimento dell’acqua, ma è
influenzata dal moto cinetico delle particelle di contaminante e di acqua. La diffusione non è quasi
mai importante: appena l’acqua comincia a muoversi l’azione della diffusione esiste, ma è minima
rispetto alla dispersione (è importante solo dove l’acqua è ferma o ha un moto molto lento).
Altro fenomeno è la Dispersione Meccanica in cui il movimento del contaminante e la sua
distribuzione è funzione del moto dell’acqua e quindi delle caratteristiche fisiche del mezzo
attraversato.
La figura a lato mostra la sovrapposizione delle
curve che mostrano l’andamento della C nello
spazio e nel tempo. In questo caso il baricentro
è fermo. La diffusione è un meccanismo dovuto
al gradiente della concentrazione e all’attività
cinetica delle particelle. Essa tende ad annullare
le differenze di C. Essa è descritta dalla prima
legge di Fick:
jd
b] = −i]
jk
Dove Fd [mg/m2 s] è il flusso dovuto alla diffusione, che è dato da un gradiente (che è la variazione
della C rispetto alla distanza); il fatto che tale gradiente sia una derivata ci dice che la variazione è
continua. Dd è un coefficiente di diffusione [m2/s]. In sistemi porosi tale coefficiente vale circa 1 ∙
10) O
/#.

26
A questa legge (legge di Fick) si ispira il movimento della dispersione. Esistono 3 tipi di dispersione:
longitudinale, trasversale e verticale. Nella direzione di flusso la dispersione è maggiore quindi in
quella longitudinale. Ci sono diversi fenomeni che portano alla dispersione longitudinale:
- I movimenti più lenti sono adiacenti alle particelle, quelli più veloci al centro dei pori;
- Pori più grossi dove l’acqua viaggia veloce, mentre in quelli piccoli viaggia lentamente;
- Particelle che fanno un percorso corto o altre ne fanno più lunghi;
La dispersione però avviene anche lateralmente in quanto se immetto del contaminante in un punto,
esso non va in linea retta, ma tende ad ampliarsi. I flussi sono laminari nella maggior parte dei depositi
granulari; le diverse linee di flusso convergono negli stretti passaggi tra le particelle e divergono negli
interstizi più grandi. Questo mescolamento di linee di flusso determina la dispersione laterale.
Fenomeno simile ma ridotto è la dispersione verticale.
Per spiegare la Dispersione Meccanica viene copiata la legge di Fick per il calcolo del flusso Fx
dovuto alla dispersione che è dato da:
j !d
bc = −iR
jk
Dove Fx è il flusso e si misura come [mg/m2 s]; C è la concentrazione [mg/m3]; ne è la porosità efficace
[m3/m3]; Dm è il coefficiente di dispersione meccanica [m2/s].
Per semplicità consideriamo sempre acquiferi uniformi in cui ne è costante e possiamo portarla fuori
dalla derivata e si ottiene:
jd
bc = − ! ∙ iR
jk
Il segno negativo – nell’equazione è dato dal fatto che si ha una diminuzione di concentrazione.

La dispersione meccanica è funzione di ve del flusso idrico (maggiore è la velocità maggiore è la


dispersività) nella direzione di movimento. Per rappresentare l’evoluzione del fenomeno nello spazio
si utilizza una grandezza α [m] detto Coefficiente di Dispersività che ne traduce gli effetti (forma
del pennacchio):
iR = l ∙ !

In un acquifero vi è una parte con l’acqua e una parte solida, quindi α dipende dal percorso delle
particelle, che è a sua volta influenzato dal moto delle particelle.
La velocità è 1, ma io devo trovare le 3 α corrispettive delle 3 dispersioni: longitudinale, trasversale
e verticale.
La Dispersione Totale o Idrodinamica = Diffusione + Dispersione; in formule si scrive nel modo
seguente:
jd jd
b] = −i] + bc = − ! ∙ iR
jk jk

27
Misure sul terreno dimostrano che il valore della dispersività α longitudinale cresce con la distanza
di spostamento del pennacchio inquinante (x), in seguito all’aumento dell’eterogeneità del mezzo.
Indicativamente, per interpolazione lineare, risulta la relazione di seguito che è poi riportata nel
grafico sotto:
l+ = 0.1 ∙ k
Si osserva nel grafico che: a 1 di dispersività corrisponde 10 di
distanza, a 10 di dispersività avrò 100 di distanza; ciò vuol dire
che la dispersività longitudinale è 1/10 della distanza percorsa x
(distanza dalla sorgente alla fine del pennacchio). Più il
pennacchio viaggia, più si allunga.

In realtà, entra in gioco anche il tipo di terreno perché il rapporto tra la longitudinale e la trasversale
cambia; questo cambiamento mi dice le caratteristiche del terreno.
Osservando i casi a lato: la longitudinale è costante
(αL=10 m) e quindi i 4 pennacchi sono lunghi uguali;
nei vari casi aumento quella trasversale e si nota che
ciò che cambia è la forma del pennacchio. Nella realtà,
nel primo caso è quello in cui l’acqua e le particelle
trovano meno eterogeneità nel terreno che è uniforme,
per cui il percorso che fanno è tranquillo. A mano a
mano che il pennacchio avanza, si allarga.
A seconda della scala del fenomeno, si osservano:
- Microdispersione se alla scala dei pori
(dispersione meccanica e diffusione) e matrice
(l’eterogeneità cresce e contribuisce all’aumento della
dispersione (variazioni di k nella matrice, variazioni di
velocità, trasporto differenziale));
- Macrodispersione se alla scala del sistema
(influenza drastica delle strutture geologiche).

In natura, la dispersività non esiste, ma esiste per i nostri modelli (a pc non è possibile riprodurre
l’eterogeneità del terreno e quindi si introduce il parametro di dispersività).
28
Ad un certo punto l’eterogeneità aumenta, ma quando arrivo ad una data grandezza contaminata (ad
es. 1km) è come se il pennacchio avesse sperimentato già tutte le eterogeneità possibili e tende a non
ampliarsi più. Questo fattore si vede dal grafico a
lato: la retta tratteggiata è
l+ = 0.1 ∙ k (vale per distanze di 100 m) che vale
sino ad una data distanza; dopo un po’ la dispersività
va ad asintoto diminuendo. La dispersività è in
realtà data da:
l+ = A ∙ k n
Dove a e b sono due parametri che dipendono dalle
condizioni sperimentali e dalla tipologia di
acquifero: noi facciamo riferimento a quella di
Schroeter del 1984 (l+ = 0.181 ∙ k .UY ).

Esempio: US 1986
A lato vi sono i risultati di un grosso esperimento fatto alla
fine del Novecento in America: qui si ha una discarica
riempita di sabbia uniforme, ampia 100 m per 50 m, la
direzione di flusso è da NW a SE come si vede dalle frecce.
Si ha uno ione cloruro che è stato immesso nella falda per
studiare il suo movimento.
Si nota come si muove il flusso del contaminante: il 1
giorno con flusso (0,0) si h inizio di contaminazione nei
pressi della sorgente; a mano a mano che passano i giorni
il contaminante si sposta seguendo il flusso idrico. Avendo
il tempo (i giorni) e la distanza (x) posso calcolarmi la
velocità. Inoltre, a mano a mano che avanza la dispersione
aumenta; essa è funzione della distanza percorsa x.
Rispetto alle casistiche viste prima siamo nel primo caso
dove il pennacchio è stretto e lungo perché il terreno è
uniforme (sabbia).

A questo punto abbiamo visto i processi fisici che regolano il trasporto, uno advettivo ed uno

dispersivo. Al trasporto per advezione dobbiamo sommare quello dispersivo (ma ha segno – quindi
29
sottraggo). Quindi, avremo le seguenti equazioni per il calcolo del flusso e della massa di
contaminante:
jd
bc = ! ∙ !d − ! i+
jk
jd
ec = ! ∙ !d ∙&− ! i+ ∙&
jk

Inoltre, i+ = l+ ∙ !c + i] ′ dove DL è il coefficiente di dispersione (m2/s).

Per vedere come si muove tutto l’insieme si usano delle equazioni di flusso. La figura sotto mostra
un REV cioè un volume elementare di riferimento; esso a
volume dell’acquifero e con esso io posso fare valutazioni
matematiche sui flussi tra le varie facce se lo metto in un
diagramma xyz. Se il flusso che entra è uguale a quello che
esce, nel cubetto non cambia niente; se il flusso che entra è
maggiore di quello che esce significa che la
contaminazione si accumula nel cubetto; se invece, il flusso
che entra è minore di quello che esce significa che la
contaminazione nel cubetto diminuisce nel tempo.
L’equazione avvettivo-dispersiva si ottiene applicando il
principio di conservazione della massa all’interno del REV
q
ed è: ± ! qJ = . .. l’equazione determina le variazioni temporali della massa di contaminante
contenuta nel volumetto REV. Il segno ± indica se la concentrazione aumenta o diminuisce. Quindi,
il bilancio finale dei flussi mi dice quanto varia nel tempo la concentrazione nell’unità di riferimento.
I flussi che entrano nel REV sono tre quante sono le facce (o direzioni) del cubetto e tutte le
componenti hanno una componente advettiva e una dispersiva:
jd
bc = !c ∙ ! ∙d− ! ∙ i+ ∙
jk
jd
br = !c ∙ ! ∙d− ! ∙ i+ ∙
jh
jd
bs = !c ∙ ! ∙d− ! ∙ i+ ∙
j=
Osservando il cubetto però si nota che ciò che esce non è uguale a ciò che entra ma è maggiore. Il
flusso in uscita da ogni faccia ha un incremento di flusso. Si considera sempre un terreno omogeneo
con k uguale e porosità costante.
Dunque, la quantità di soluto o massa Mx che entra nel volume REV è:
bc ∙ H=Hh + br ∙ HkH= + bs ∙ HkHh  flusso X Area (perpendicolare a quella della direzione
considerata)

30
Invece, la quantità di soluto o massa che esce dal volume REV è:
quv qux quy
tbc + Hkw HhH= + tbr + Hhw HkH= + tbs + H=w HhHk  flusso X Area (perpendicolare
qc qr qs
a quella della direzione considerata)
Se io faccio la DIFFERENZA tra le due masse: massa che esce – massa che entra ottengo che nel
REV ho una variazione dei tre flussi per le tre direzioni e cioè ottengo:
jbc jbr jbs
z + + { HkHhH=
jk jh j=
La differenza tra il flusso che esce e quello che entra dal volume è uguale alla quantità di sostanza
persa dal volume di controllo. Quindi, si ha una variazione della concentrazione o massa nel tempo
q
ed essa è: − ! qJ HkHhH=.

Quindi per il principio di conservazione della massa si avrà:


jbc jbr jbs jd
z + + { HkHhH= = − ! HkHhH=
jk jh j= jD
Noi però consideriamo solo il flusso nella direzione x e quindi semplifichiamo l’equazione a:
jbc jd
=− !
jk jD
L’equazione sopra ci dice che ad un flusso lungo x in entrata corrisponde una perdita (segno -) di
concentrazione. Si sostituisce ora nella formula la definizione di flusso generale
q
(bc = !c ∙ ! ∙d− ! ∙ i+ ∙
qc
) nel modo seguente e si ottiene:

jd jd
− ! = !c ∙ ! ∙d− ! ∙ i+ ∙
jD jk
Semplificando si ottiene infine, l’equazione di trasporto advettivo-dispersivo:
jd jd j Od
=− ! + i+
jD jk jk O
Anche in questa equazione abbiamo una componente advettiva ed una dispersiva (nell’ordine a dx
dell=). La derivata mi dice che la C cambia nel tempo e nello spazio. Nell’equazione di trasporto si
può sostituire il coefficiente di dispersione con la sua definizione ma spesso questo valore risulterà
trascurabile ai fini di un esercizio.

Excursus su USGS software dispersività


La figura a lato mostra come si presenta il software e cioè si
può simulare cosa succede in un terreno. In questo caso si
ha un terreno eterogeneo con linee equipotenziali grigie e di
flusso blu. Questo software simula la dispersione che risulta
da advezione in un campo eterogeneo di conducibilità
idraulica con gradiente idraulico fisso, non considerando la
dispersione trasversale, quella verticale, l’adsorbimento e la

31
degradazione. La dispersione è l’effetto dell’eterogeneità sul flusso advettivo di massa. Durante il
movimento reale si perde il profilo gaussiano; la forma diventa particolare ma il centro di massa del
pennacchio rimane gaussiano. Appare con evidenza la complessa situazione reale; infine, si
comprende come nel corso di un monitoraggio, due piezometri poco distanti possano dare risultati
anche molto diversi.

Composti reattivi
La propagazione di ogni inquinante solubile è dovuta alla somma di processi fisici e di processi
chimici. Nel trasporto di contaminanti non reattivi la riduzione della C avviene per azione meccanica
(dispersione) ma la massa totale rimane invariata. Quando i processi chimici sono possibili
(contaminante non conservativo o reattivo) la propagazione è legata anche a processi chimici. Nel
trasporto di contaminanti reattivi il soluto può subire processi fisici e chimici che controllano
l’evoluzione del fenomeno del trasporto; si osserva quindi una variazione di C di contaminante in
soluzione per uno o più meccanismi che legano o trasformano il contaminante. I tipi di reazione che
possono avvenire o sono reazioni con la matrice solida (contaminante assorbito sulla matrice e
rilasciato) oppure dipende dal contaminante stesso (può trasformarsi da solo, per altri contaminanti,
per mancanza di ossigeno, per biodegradazione). Questi ultimi fenomeni dobbiamo cercare di
calcolarli ed esse sono detti Fenomeni di Attenuazione. Gli effetti di tali fenomeni è di smussare i
picchi di C relativa e di rallentare l’avanzamento del fronte di contaminazione (creando il Ritardo).

Il fenomeno di adsorbimento fa sì che le particelle si assorbano nel terreno e poi vengano rilasciate
perché l’adsorbimento avviene in 2 fasi (adsorbimento e desorbimento). Il contaminante viene
assorbito e poi rilasciato e così via creando un Ritardo che fa sì che la struttura sia la stessa, la C la
stessa, la gaussiana la stessa, ma la velocità è ritardata (x = ve t/R). Invece, la massa cambia sia sul
solido che sul contaminante quando esso degrada.

32
“L’Adsorbimento” descrive l’adesione di molecole o di ioni presenti in soluzione o in fase gassosa
alle particelle solide dell’acquifero. È un fenomeno superficiale determinato dall’attrazione esercitata
tra cariche nei confronti della componente minerale o organica. Il termine Adsorbimento raggruppa
l’effetto complessivo di molteplici processi diversi:
- Scambio ionico
- Adsorbimento fisico
- Adsorbimento chimico
- Complessazione dei metalli.
Questo fenomeno è importante per la percolazione e la propagazione degli inquinanti e inoltre è
importante per gli interventi di bonifica.
L’entità dell’adsorbimento dipende da diversi fattori tra i quali:
• Inquinante: caratteristiche e C;
• Terreno: tipo e composizione;
• Acqua: pH;
• Temperatura;
• Soluzione: presenza e C di altri soluti.
Nello studio del processo, per semplicità si assume che sia reversibile (adsorbimento = desorbimento),
che la reazione avvenga immediatamente, che il terreno sia omogeneo e che non ci siano altri
composti disciolti.
Riassumendo, l’adsorbimento determina nell’acquifero: un aumento della C inquinante nella fase
solida rispetto a quella fluida, una riduzione della massa di contaminante in falda, un aumento del
tempo di residenza del contaminante nel volume, un ritardo nel trasporto del contaminante rispetto
alla velocità dell’acqua. L’effetto complessivo del fenomeno si osserva nell’andamento della curva
di restituzione sotto.

Il secondo grafico a destra mostra la concentrazione relativa rispetto al tempo e quindi si osserva
come la curva di restituzione sia ritardata rispetto a quella semplice di trasporto advettivo e dispersivo.
È necessario quindi un maggior tempo e un maggior numero di volumi di pori perché il contaminante
raggiunga la base della colonna di infiltrazione.

33
Esiste poi una relazione tra la concentrazione della fase adsorbita rispetto a quella nella fase acquosa
del tipo:
d̅ = F(d)
Le due concentrazioni sono direttamente proporzionali e la d̅ è la concentrazione adsorbita e si misura
come [mg/kg] e C è la concentrazione in soluzione e si misura come [mg/L].
La formula generale qui a lato ci dice che la concentrazione
adsorbita cambia nel tempo in funzione del cambiamento
della concentrazione in soluzione nel tempo. Per fare ciò mi
serve la relazione che lega le due concentrazioni. Quando il
processo di adsorbimento è rapido relativamente il soluto
raggiunge una condizione di equilibrio con la fase adsorbita
e la relazione tra concentrazioni è rappresentata da una funzione denominata Isoterma di
Adsorbimento (a T costante).
Le isoterme di adsorbimenti descrivono “modelli” di adsorbimento. In ogni tipo di isoterma
coefficienti diversi rappresentano l’entità e la modalità del frazionamento tra fase liquida e solida.

Le isoterme più comuni sono quelle di Langmuir che assume che esista un valore massimo di
adsorbimento dovuto alla saturazione della superficie adsorbente, l’isoterma di Freundlich che è una
relazione empirica in cui la pendenza della curva è funzione della valenza di ioni scambiati. E infine,
l’isoterma di Henry che assume una distribuzione lineare. La pendenza della retta o il Kd è detto
coefficiente di ripartizione (ci indica in situazione di equilibrio il rapporto tra Csolido/Cliquido).
Tale coefficiente Kd si misura come [l/kg]; si avrà:
} ̅ R•/0•
= ]  d̅ = ] ⋅d [ R•/+ = :/ @]
}

Tale comportamento è molto comune e tipico di basse concentrazioni. Il coefficiente Kd rappresenta


la mobilità del soluto nell’acquifero: alti valori indicano composti adsorbiti dalla fase solida e quindi
poco mobili; bassi valori indicano composti che tendono a spostarsi facilmente.
Tale coefficiente influenza le dimensioni del pennacchio del contaminante nel sottosuolo. Se Kd = 0
vuol dire che il contaminante è tutto disciolto. Dal punto di vista delle bonifiche in questo caso basta
mettere un pozzo che pompa acqua lo elimino tutto col tempo. Se Kd = 10 il pennacchio è corto e
compatto sotto la sorgente e in questo caso i pozzi sono inutili.

34
Il coefficiente di ripartizione lo posso misurare in laboratorio direttamente attraverso una serie di
esperimenti (Batch, in colonna, iniezione in campo) oppure fare delle stime dei valori con tabelle
oppure stimare dei valori di soli composti organici (funzioni di correlazione tra caratteristiche
composti e presenza di Carbonio organico nel terreno).
Test in Batch
Ho un volume noto di acqua e una massa nota di terreno; ho delle bocce al cui interno metto l’acqua
e il terreno. Nell’acqua metto una concentrazione nota C di qualcosa e centrifugo il tutto per 24 h in
modo da far sì che l’acqua aderisca bene con il terreno e si raggiunga un equilibrio. Dopodiché,
riapro, lascio sedimentare e misuro C nell’acqua che è diminuita.

] =
d

Il grafico a lato mostra la


dipendenza di Kd dal pH per
composti metallici.

Per le sostanze organiche il calcolo di Kd è facilitato perché, essendo le sostanze organiche affini alle
altre sostanze organiche (come il carbonio che c’è nel terreno) si può utilizzare una proprietà KOC
che il coefficiente di ripartizione tra acqua e carbonio organico e la fOC che è la frazione di
carbonio organico presente nel terreno. Ovvero i composti organici si legano al terreno o meglio alla
materia organica solida presente. Dunque, la presenza di materia organica nel terreno favorisce
l’assorbimento di queste sostanze. Riassumendo, il coefficiente di ripartizione Kd in questo caso è
dipendente dalla quantità di sostanza organica presente nel terreno, rappresentata dal carbonio
organico; il coefficiente è determinato mediante la relazione:

] = F€ ⋅ €

Dove F€ è espresso in [g/g] e quindi è adimensionale; invece, € è espresso in L/kg.


La frazione di carbonio organico in tabella si trova in forma % quindi noi lo dobbiamo convertire in
g/g negli esercizi. Dal grafico si osserva che tanta più materia organica c’è tanta più atrazina è bloccata
nel terreno.

35
Questo coefficiente di ripartizione KOC è facile da calcolare in quanto è legatissimo ad un altro
coefficiente detto KOW o coefficiente di ripartizione tra acqua e ottanolo La relazione tra il KOC (asse
y) e il KOW (asse x) è lineare ed è mostrata nel grafico a lato. . Il KOW è adimensionale ed è un
parametro che si trova in tutti i testi chimici. In
pratica, viene effettuata una prova, in una boccetta
c’è dell’acqua e dell’ottanolo, il quale galleggia
sopra l’acqua; una qualunque sostanza immessa in
tale miscela è attratta di più dall’ottanolo o
dall’acqua. Quindi, ci dice quanto tale sostanza sia
affine al carbonio. Ciò fa capire come il KOW sia
l’opposto della solubilità ( €• ≈ Fƒ1„#…).

Il coefficiente KOW è sempre espresso in logaritmo decimale ed è tabulato. I coefficienti KOW e KOC
forniscono indicazioni sulla mobilità del soluto: valori alti indicano composti con una elevata affinità
con la frazione organica del terreno, pertanto poco mobili; al contrario valori bassi indicano composti
che tendono a spostarsi facilmente con la fase liquida.
Ci sono poi tanti studi che partendo dalla solubilità trovato il KOC oppure partendo dal KOW trovano
il KOC. Sostanzialmente noi studieremo solo 1 relazione tra queste che è valida per tutti i composti
organici ed è quella di Karickoff:
:9@ € = :9@ €• − 0.21

Abbiamo detto che il fatto che ci sia l’adsorbimento sulla parte solida determina un ritardo nella
propagazione del contaminante. Il valore di Kd può essere usato per calcolare il fattore di Ritardo
R. Esso rappresenta il rapporto tra la velocità del flusso idrico e la velocità del contaminante ed è
quindi un parametro adimensionale che indica di quante volte il flusso inquinante risulta rallentato
rispetto a quello idrico:
!
†=
Q

Il ritardo è sempre ≥ 1: si avrà R=1 se il contaminante viaggia alla stessa velocità dell’acqua. Le
sostanze che non hanno ritardo sono i contaminanti conservativi (cloruro, fluoruro, nitrati, R=1),
mentre i metalli e i composti organici hanno R > 1.
Se vogliamo rappresentare il ritardo in termini di assorbimento, si assume una isoterma di
adsorbimento lineare e il fattore di ritardo R è espresso come:
] ⋅ ˆn
† =1+

Dove Kd è il coefficiente di ripartizione, n la porosità totale e ρb la densità del terreno. In pratica la


relazione dice che il ritardo sarà uguale 1+ quanta materia adsorbita (Kd) e quanto solido (ρb) ci sono
rispetto alla porosità totale.

36
La figur sopra mostra delle curve di restituzione cioè delle curve di concentrazione relativa (da 0 a
1) in funzione della distanza espressa in cm. La curva viola che indica advezione+dispersione (senza
R), mentre le curve verde e gialla hanno R. In questo caso, quanto vale R? per calcolarlo bisogna
individuare il baricentro e tracciare l’orizzontale a 0.5 di concentrazione relativa: ad esempio per la
curva verde il suo baricentro è a 1cm, per la curva gialla è a 2cm e per la curva viola è a 3cm. Il ritardo
quindi è 3 cm.

La figura sopra mostra le curve di restituzione della concentrazione relativa rispetto al tempo e al
volume dei pori. Nella prima figura se la curva viola arriva in 3 ore vuol dire che la curva verde ci
metterà 9 ore. Nella seconda figura, invece, la curva viola arriva in NVP di 1, la curva arancio in 1.5
(il ritardo è 1.5) e la curva verde in 3. Quindi il volume dei pori e cioè il tempo che necessita per
ricambiare l’acqua è uguale al ritardo.

37
La massa totale di inquinante in un acquifero contaminato sarà data dalla somma della massa che si
trova in acqua e della massa adsorbita nel modo seguente:
Š
eJaJ = e‰ + e
Considerando la concentrazione possiamo riscrive la relazione precedente nel mod seguente:
‹‹‹‹∙ ˆn
eJaJ = d ∙ +d
Dove n è la porosità totale [cm3/cm3] e ˆn è la densità apparente del terreno (g/cm3).
Quindi la massa in acqua o Mw è data dalla concentrazione presente nella porosità totale (cioè tutti i
Š è data per il terreno
vuoti riempiti di acqua sia acqua libera sia di ritenzione) e la massa adsorbita o e
e quindi la sua densità.
Se la massa totale è costante, se io cambio qualcosa nella concentrazione in soluzione, cambia
qualcosa in quella adsorbita. Quindi si può scrivere:
−d ⋅ = +d̅ ⋅ ˆn

n
E anche: −Œd = + .
Œd
} } ̅
 Variazione di contaminante disciolto a causa dell’adsorbimento  − }J = •
.
⋅ }J

Sapendo poi la relazione tra la concentrazione in soluzione e quella adsorbita: d̅ = ] ⋅ d,


sostituiamala all’interno dell’equazione precedente e otteniamo:
Žd ˆ• ⋅ ] Žd
− = ⋅
ŽD ŽD
Osservando l’ultima relazione trovata si nota che il secondo rapporto fa parte della relazione che porta
a trovare il fattore di ritardo R. Ho quindi una variazione di concentrazione nel tempo dovuta al ritardo
che nell’equazione di advezione-dispersione trovata precedentemente non era compresa. L’equazione
di trasporto advezione-dispersione è:
jd jd j Od
=− ! + i+
jD jk jk O
A questa relazione aggiungiamo la relazione sopra e siccome ha segno negativo la dobbiamo
sottrarre perché essa si assorbe nel terreno e si fa nel seguente modo:
jd jd j O d ˆ• ⋅ ] Žd
=− ! + i+ O − ⋅
jD jk jk ŽD

Ora però osservo che ho una variazione nel tempo nel primo fattore e un’altra nel secondo fattore,
quindi devo portarli entrambi dallo stesso lato dell’uguale e ottengo:
jd ˆ• ⋅ ] Žd jd j Od
+ ⋅ =− ! + i+
jD ŽD jk jk O
38
A questo punto possiamo raccogliere la concentrazione in funzione al tempo e otteniamo:
jd ˆ• ⋅ ] jd j Od
z1 + {=− ! + i+
jD jk jk O

Il termine dentro la parentesi e cerchiamo mi rappresenta il fattore di ritardo R. tale relazione ci dice
che la variazione di concentrazione nel tempo che comprende il ritardo è data dal moto advettivo e
da quello dispersivo. Sotto vi sono altre equazioni che esprimono lo stesso concetto.

Riassumendo la velocità del contaminante è data dal rapporto tra la velocità dell’acqua e il ritardo R:
-/
Q = •

Quindi io posso esprimere l’equazione in 2 modi possibili:


nel primo modo uso la velocità dell’acqua e inserendo R nel primo fattore per ricordare che tale
reazione è ritardata:

nel secondo modo calcolo la concentrazione nel tempo usando la velocità del contaminante:

La conoscenza del coefficiente di ripartizione Kd consente anche di determinare la frazione di


contaminante dissolta e/o adsorbita in un determinato volume di acquifero. Quando c’è un ritardo
vuol dire che vi è una massa adsorbita e una massa che viaggia in acqua. Dal punto di vista della
bonifica è utile sapere quanto contaminante è legato al terreno e quanto viaggia in acqua. La massa
totale di contaminante sarà data dalla somma della massa in acqua (Mw) e della massa adsorbita (eŠ)
come si vede nella relazione sotto:
Š =d∙
e‘€‘ = e‰ + e + d̅ ⋅ ˆn = d ∙ + ] ∙ d ∙ ˆn
Inoltre, posso trovarmi la massa del solido rispetto a quella totale:
e’ d ∙ ] ⋅ ˆn ⋅ ˆn
= F̅ =
]
=
e‘€‘ d ∙ +d ∙ ] ⋅ ˆn + ] ⋅ ˆn

39
Š ) e al denominatore ho la massa totale.
In questo caso, al numeratore ho la massa adsorbita (e
Una formula importante da ricordare è la relazione che lega la densità del terreno, quella dei granelli
alla porosità totale:

Esercizio 28
Dato un valore di Kd di 8 l/kg, una porosità n = 0.30, calcolare la frazione di contaminante adsorbita
dalla matrice del terreno (fs), sapendo che la densità apparente è legata alla porosità dalla relazione
sopra detta. (sapendo che ˆ’ = 2.65 @/G )
Soluzione
Applicando la formula sopra detta si ottiene la densità del terreno:
ˆn = (1 − ) ⋅ ˆ’ = (1 − 0.30) ∙ 2.65 @/G = 1.86 @/G

Dopodiché, calcolo la frazione solida:


U _/0•∙ .UY •/QRS
F̅ =
“” ⋅ • –.UU
= = = 0.98(frazione adsorbita)
. •“” ⋅ • . •U _/0•∙ .UY •/QRS P. U

F‰ = 1 − 0.98 = 0.02 (FCA=,9 < Gℎ< ,A@@,A , AG ;A)

Supponiamo ora che il contaminante non sia ancora arrivato in acqua e quindi si trova ancora nel
terreno insaturo. Mentre la distribuzione tra solido e liquido è data dal coefficiente di ripartizione Kd,
quella tra acqua e aria è data dal coefficiente di Henry KH (adimensionale). È quindi possibile
determinare la frazione di contaminante dissolta, adsorbita e volatilizzata in un dato volume. In questo
caso la massa totale sarà data dalla somma della massa in acqua, della massa adsorbita e della massa
nell’aria attraverso la seguente relazione:
Š + e— = d ∙
e‘€‘ = e‰ + e ‰ + d̅ ⋅ ˆn + d— ∙ — =d∙ ‰ + ] ∙ d ∙ ˆn + d∙ —

In questo caso mi posso calcolare la massa adsorbita rispetto a quella totale considerando 3 fasi
presenti nell’acquifero insaturo:
Š
e d⋅ ˆn ⋅ ˆn
= F̅ =
] ]
=
e‘€‘ d ‰ + d ] ⋅ ˆn + d ∙ — ‰ + ] ⋅ ˆn + ∙ —

40
Esercizio 29
In un sito contaminato è stato individuato TCE nella zona insatura. È stato prelevato un campione di
terreno su cui sono stati determinati i seguenti parametri: porosità totale di 0.35, porosità occupata
dall’acqua di 0.1, densità apparente di 1.6 kg/l. il valore di Kd per il TCE è di 0.7 l/kg e la costante di
Henry del TCE è di 0.44. Determinare le frazioni di contaminante distribuite nelle tre matrici del
terreno.
Soluzione
∙ ˆn
] 0.7 :/ @ ∙ 1.6 @/:
F. = = = 0.84
‰ + ] ⋅ ˆn + ∙ — 0.1 + 0.7 :/ @ ∙ 1.6 @/: + 0.44 ∙ 0.25
Il valore di 0.84 corrisponde alla frazione di contaminante presente nel solido e il valore della porosità
dell’aria si calcola come differenza tra la porosità totale e quella dell’acqua (na = n – nw).
‰ 0.1
F‰ = = = 0.08
‰ + ] ⋅ ˆn + ∙ — 0.1 + 0.7 :/ @ ∙ 1.6 @/: + 0.44 ∙ 0.25
∙ — 0.44 ∙ 0.25
F— = = = 0.08
‰ + ] ⋅ ˆn + ∙ — 0.1 + 0.7 :/ @ ∙ 1.6 @/: + 0.44 ∙ 0.25

In questo caso l’84% di TCE è adsorbito, l’8% è volatilizzato e l’8% è disciolto in acqua.

Decadimento e degradazione
L’ultimo processo chimico che si deve studiare è la degradazione o decadimento. Essi sono processi
di progressiva trasformazione o mineralizzazione delle molecole che, per similitudine, possono essere
considerati come un unico fenomeno. La degradazione viene condizionata da numerosi parametri
legati a:
- Instabilità della molecola (es. sostanze radioattive);
- Temperatura;
- Presenza di ossigeno;
- pH;
- densità e attività della popolazione microbica.
Quindi questo processo dipende solo dalla sostanza e o si trasforma in altra sostanza o scompare.
Ad esempio, le sostanze radioattive decadono e hanno un tempo di emivita o dimezzamento, nel quale
la concentrazione si dimezza. Quindi i radionuclidi decadono con una velocità dipendente dal tempo
di emivita dell’elemento. Inoltre, si hanno i metalli che degradano per variazioni del pH oppure gli
idrocarburi che scompaiono per biodegradazione o i solventi clorurati che degradano in condizioni
varie, anch’essi tramite biodegradazione.
Ritornando agli schemini di pag. 32 si osserva l’ultimo grafico in basso dove vi è la distanza sull’asse
x e la concentrazione sull’asse y. In questo grafico si osserva l’effetto della degradazione dove l’area
sottesa la curva diminuisce perché vi è una diminuzione della massa del contaminante.
41
La degradazione determina nell’acquifero:
 una riduzione della massa di contaminante in falda;
 una riduzione della massa di contaminante adsorbita.
Le reazioni si distinguono in 2 tipi:
1. reazioni che procedono alla stessa velocità;
2. reazioni che procedono ad una velocità dipendente dalla concentrazione di uno o più reagenti.

La legge generale ci dice che la concentrazione cambia nel tempo, o meglio diminuisce con il passare
del tempo (segno -). Essa diminuisce secondo una velocità di decomposizione del reagente λ per la
concentrazione rimasta elevata alla n.
jd
− = ˜ ⋅ d.
jD
Dove n è l’ordine di grandezza. Da qui si hanno 2 casi:

Caso 1
q
Se n = 0  − =˜
qJ

Ciò significa che la decomposizione del reagente procede alla stessa velocità λ (1/s) sino alla sua
scomparsa. Tale velocità è rappresentata dalla pendenza della retta della figura sotto. Λ è detta
costante di degradazione. Osservando il grafico a lato, si
osserva che una volta che la concentrazione è ridotta a metà si
ha un tempo di emivita. Se in c/2 la concentrazione è la metà,
essendo n = 0 in 2 c/2 la concentrazione sarà 0.

In natura, in realtà queste reazioni hanno ordine 1 quindi con


n=1.

Caso 2
q
Se n = 1  = −˜ ∙ d
qJ

Ciò significa che la velocità con cui diminuisce la concentrazione è


funzione della concentrazione rimasta che è al secondo termine.
Osservando il grafico a lato, si nota che in un t/2 la concentrazione diviene
la metà. Al secondo tempo di emivita è c/2 a dimezzarsi e diventa c/4 e così
via. Quindi la velocità della reazione è proporzionale alla quantità di
reagente rimasto = al procedere della reazione la velocità deresce.
L’andamento è di tipo esponenziale.
42
Si dice, inoltre, che:

dJ = d ⋅ < )™J  = < )™J  : š


= −˜ ⋅ D oppure : = ˜⋅D

Queste ultime due equazioni corrispondono a un grafico riportato sotto.

Qual è la relazione tra ˜ e il t1/2? Per trovarlo basta risolvere


l’equazione sopra nel seguente modo:
.YX
: = ˜ ⋅ D : =˜⋅D „O : 2 =˜⋅D „O  ˜= oppure
∕O J „O

D 1„2 =
.YX

La degradazione determina nell’acquifero una riduzione della massa di contaminante. Questa


q
diminuzione deve essere aggiunta nell’equazione del trasporto di massa.  = −˜ ∙ d
qJ

Per quanto riguarda i tempi di dimezzamento, non esiste un valore unico per una sostanza in quanto
la degradazione è funzione di diversi parametri. Negli esercizi noi considereremo un valore ideale. A
grandi linee, si può osservare che per i BTEX serviranno dai giorni ai mesi per dimezzare mentre per
i solventi serviranno degli anni.
Una forma di degradazione è la Biodegradazione. Essa avviene sempre in quanto la popolazione
microbica è sempre presente sia nel terreno sia in falda. La reazione di trasformazione del
contaminante viene catalizzata da enzimi. Questi tipi di reazioni sono a carico dei microbi per cui la
massa microbica controlla la velocità della reazione. Generalmente si verifica un rapido adattamento
della popolazione microbica al contaminante. Ne risulta che tutti i composti organici vengono
biodegradati o biotrasformati.
La velocità della biodegradazione dipende dalla struttura
molecolare del contaminante, dalla sua concentrazione, dal
tipo della popolazione microbica, dall’adattamento della
popolazione e dalla disponibilità di ossigeno e nutrimento. In
ambiente naturale, dove la biomassa è relativamente elevata
rispetto alla concentrazione del contaminante, la velocità della
degradazione segue una reazione di primo ordine. Tuttavia,
variazioni consistenti della massa della popolazione possono
complicare la valutazione del fenomeno.
Si hanno 2 tipi di degradazione:
- AEROBICA: situazione in cui degradano bene gli idrocarburi (BTEX) in quanto i microbi se
ne cibano catturandone l’energia e produco acqua e CO2. Le reazioni chimiche che richiedono
il bilancio degli elettroni fanno si che per creare tale energia, il microbo prelevi gli elettroni
dei BTEX, li ossida; essi hanno bisogno di qualcosa che prenda gli elettroni che deve essere
ridotto; cosa viene ridotto? L’ossigeno è ridotto. Quando termina l’ossigeno, sono ridotti tutti
43
gli altri composti che hanno ossigeno come nitrati, solfati, ferro e manganese e infine
l’anidride carbonica è trasformata in metano.
La degradazione limita l’estensione del pennacchio.

Le reazioni di biodegradazione avvengono quindi usando degli accettori di elettroni


disponibili in sequenza, creando un passaggio graduale tra zona aerobica e anaerobica.

- ANAEROBICA: situazione in cui i solventi clorurati degradano bene. Nei siti contaminati la
maggior parte della degradazione avviene per declorazione riduttiva. Si tratta di una reazione
ad opera di microbi in cui gli atomi di cloro sono sostituiti da atomi di idrogeno. Durante tale
processo l’idrogeno agisce come donatore di elettroni e il composto alogenato agisce come
accettore di elettroni.

La declorazione riduttiva è un processo sequenziale di degradazione di primo ordine, in cui un


composto precursore è soggetto ad una degradazione di primo ordine e si trasforma in un
composto a sua volta soggetto a degradazione di primo ordine e così via.
[PCETCEDCETCADCA]
La reazione di de-alogenazione
riduttiva del tetracloroetilene
avviene con 2 reazioni:

- reazione ultimata: formazione di


etilene o completa
mineralizzazione;

- reazione non ultimata:


formazione
di cloruro di vinile.
La figura sopra mostra la cosa detta
sopra cioè la degradazione
sequenziale. E ciò è riportata nella
figura sotto dove è mostrata la
fisionomia del pennacchio.
In acqua, invece ciò che aumenta è
il cloro, il ferro in soluzione.

44
Importante è poi conoscere il problema del vinilcloruro: esso è molto ritardato e quindi più mobile,
è fortemente cancerogeno ed è più persistente degli altri eteni perché la sua degradazione richiede
condizioni particolari. Esso in ambienti anaerobici fa fatica a degradarsi.
L’entità e la distanza raggiunta dal contaminante dipendono dalla combinazione di adsorbimento
(ritardo) e degradazione (persistenza). Un composto che si degrada velocemente non rimarrà nel suolo
e/o acquifero abbastanza a lungo per essere trasportato lontano; un composto che viene fortemente
adsorbito non viene trasportato anche se molto persistente. Il fatto che un contaminante sia ritardato

e adsorbito implica che se un contaminante si muove e deve arrivare in un dato punto: o si degrada
velocemente e non ci arriva o è ritardato e ci arriva dopo un dato tempo oppure se si degrada
lentamente ed è ritardo può essere che riesce a degradarsi prima di arrivare nel punto suddetto
(attenuazione). (pesticidi esso deve agire con un certo ritardo ma deve anche degradarsi
velocemente)
Tanto più il trasporto è ritardato, tanto maggiore è il tempo disponibile per la degradazione.

A questo punto, devo inserire nell’equazione di trasporto di massa generale la parte di massa
degradata o meglio devo sottrarla. Sapendo che la massa totale è:

e‘€‘ = d ⋅ + d̅ ∙ ˆn

Sappiano che c’è una diminuzione della concentrazione nel tempo espressa così:

jd ˆn ∙ d‹
− =˜∙d−˜
jD
E a questo punto si ottiene l’equazione finale di trasporto di massa:

Finora abbiamo visto quello che succede quando il contaminante è in falda (advezione, dispersione,
adsorbimento e degradazione), ora vediamo cosa accade durante un’immissione di contaminante o
estrazione (uomo).

45
Cioè in cubetto di volume unitario entra ed esce qualcosa definito W o sink/source term.

’ ⋅ d’
œ=±

Dove qs è il flusso della sorgente di contaminazione [m/s], Cs è la concentrazione della sorgente di


contaminazione [mg/l] e n la porosità totale [cm3/cm3].
W dipende dal pompaggio, infiltrazione, sversamenti, percolazione e infiltrazione.

A questo punto, posso finalmente terminare l’equazione di trasporto della massa del contaminante:

In sintesi oltre alle sorgenti e alle estrazioni, per studiare la propagazione degli inquinanti occorre
conoscere:
• Parametri idrogeologici degli acquiferi [trasmissività, conducibilità idraulica, gradiente
idraulico, porosità efficace, densità apparente];  IDROGEOLOGIA
• Parametri idrodispersivi degli acquiferi [dispersività e coefficiente di diffusione molecolare];
 studi precedenti, test di campo e prove di lab
• Parametri chimici degli acquiferi [carbonio organico]; ANALISI CHIMICHE
• Parametri fisico-chimici degli inquinanti [mobilità (Kd) e persistenza (tempo di emivita)];
studi precedenti, prove di lab e test di campo.

46
Esempio Borden, Ontario, 1980
In questa località, nei pressi di una ex cava piena di
sabbia è stato fatto un test di tracciamento molto
importante. Dalla figura a lato si nota che sulla linea
di flusso (AA’) l’hanno riempita di piezometri
(puntini). Essi sono molto fitti all’inizio e poi più radi.
Ognuno di tali piezometri non è esattamente sulla
linea di flusso perché calcola la dispersione laterale
allargandosi; esso non sta solo in superficie, in
profondità ogni piezometro pesca a profondità
diverse, quindi analizza anche la direzione
longitudinale, trasversale e verticale.
L’obiettivo del test era quello di analizzare il
movimento complessivo del pennacchio. Essi
iniettarono 10 m3 di acqua con diversi composti:
-bromuri e cloruri  ci dicono la velocità dell’acqua;
- bromoformio
- tetracloroetilene
- tetracloruro di carbonio
- esacloroetano

Lasciamo poi passare quasi 700 gg e poi sono fatte


tantissime misure.

Le immagini sopra mostrano l’andamento della concentrazione relativa dei contaminanti nel tempo:
nella figura a sx si osserva che il cloruro ha un picco e poi una dispersione dopo verso destra; posso
dire che il cloruro ha percorso 5 m in profondità in 75 gg (questi sono piezometri posti a 5 m di
profondità). Come secondo contaminante arriva il tetracloruro di carbonio, arriva ritardato con una
concentrazione relativa minore e ha fatto 5 m in 120 gg; infine il terzo contaminante che è il
tetracloroetilene è ancora più ritardato, è ancora più disperso e ci mette 180 gg per arrivare il picco.
Nella figura a dx, invece, ci sono altri 3 contaminanti ed è mostrato un diverso andamento della
concentrazione relativa nel tempo. Si osserva che il terzo contaminante non ha massa in quanto è

47
stato biodegradato: esso non è riuscito ad arrivare a 5m in profondità (200 gg) che era già
biodegradato.

Le figure sopra mostrano la stessa cos dei grafici sopra ma mettono in evidenza bene il ritardo, la
dispersione. Ho i baricentri e posso calcolare tutto.

48
Soluzioni analitiche dell’equazione differenziale di trasporto
In questo breve capitolo introduciamo un metodo analitico per risolvere le equazioni differenziali
del trasporto advettivo - dispersivo. Partendo dalla relazione generale del Trasporto
Advettivo/Dispersivo già studiata ed analizzata:

questa equazione può essere trascritta utilizzando la funzione complementare dell’errore o efrc (x)
nel modo seguente:

Flusso Advettivo

Flusso Adve+Disper

Flusso Advettivo-
Dispersivo
+Degradazione

Dove CO è la concentrazione iniziale [mg/l], C è quella finale [mg/l], x è la distanza in direzione del
flusso idrico [m], t è il tempo dall’inizio della contaminazione [s], ve è la velocità dell’acqua senza
ritardo [m/d], vc è la velocità del contaminante con
il ritardo [m/d], α è il coefficiente di dispersività
longitudinale [m], λ è la costante di degradazione
[1/d].
Osservando la funzione erfc (x) si nota che al
numeratore viene espressa la differenza tra la
distanza x e il moto advettivo (ve t); mentre al
denominatore ho la dispersione (α ve = DL).
La distribuzione delle concentrazioni dovuta al
fenomeno di diffusione e di dispersione può essere
considerata di tipo gaussiano. Una distribuzione
gaussiana o normale comporta l’84 % dei valori sia inferiore a media − la deviazione standard e il 16
% superiore alla media + la deviazione standard. La deviazione standard della curva è una misura
della dispersività:

• = ž2l+ k

Dove per x si sostituisce il moto advettivo x = ve t.


49
Una simulazione gaussiana viene simulata analiticamente mediante l’utilizzo di una funzione
denominata Funzione Complementare dell’Errore erfc (x). Tale funzione introduce la componente
gaussiana nella risoluzione. Il significato di usare tale funzione è quello di indicare che nella soluzione
dell’equazione la grandezza C presenta una distribuzione normale, come atteso dai processi di
diffusione e dispersione.
Si consideri la formula per il caso di sola advezione:
se siamo sul fronte advettivo in x = ve t avremo C (x,t) = CO/2
se siamo prima del fronte advettivo in x < ve t avremo C (x,t) = CO ed efrc (x) è negativo
se siamo dopo il fronte advettivo in x > ve t avremo C (x,t) = 0 ed efrc (x) positivo

50
Trasporto multifase
La situazione che finora abbiamo studiato può essere riassunta nella parte azzurra dello schema sotto;

la parte rossa, invece, ci ricorda che nella falda e nel sottosuolo oltre all’acqua (e all’aria nella zona
non satura) possono essere presenti altre fasi liquide che per le loro caratteristiche fisiche non si
miscelano con l’acqua: sono i cosiddetti NAPL (Non Acqueous Phase Liquids). Quello che andiamo
a considerare in questo capitolo è la macchia rossa che viene ingrandita nella figura a lato: cioè le
gocce rosse nel mio terreno fatto di granuli (neri), ne studierò il loro moto e i metodi per toglierle dal
terreno. Quindi in questa parte di studio sono fondamentali le proprietà fisiche del NAPL. Le
caratteristiche fisiche principali che ne influenzano il movimento sono la densità e la viscosità. In
presenza di queste particolari sostanze in fase liquida, il problema
di trasporto diviene multifase, perché io ho due fasi entrambe
liquide diverse; nel caso a lato che è nella zona satura è bifase
(acqua+NAPL), se invece, mi trovassi nell’aria e quindi nella zona
non satura sarebbe trifase (aria+acqua+NAPL).
Una piccola frazione di NAPL è solubile cioè può entrare in
soluzione nella fase acquosa e migrare secondo il flusso idrico
sotterraneo e far parte del trasporto advettivo-dispersivo; una
piccola frazione di NAPL è volatile e può ripartirsi nell’aria in fase
di vapore. La frazione di NAPL non solubile rimane, invece,
separata dall’acqua e dall’aria e si muove in funzione delle
differenze di densità,
viscosità e tensione superficiale che caratterizzano i fluidi
presenti nei pori del terreno.
A lato ho lo schema di quanto detto sopra: in giallo ho la parte
volatile del NAPL, in rosso ho la fase non acquosa NAPL
assorbita dai pori; la parte rossa mi contamina sia l’acqua sia
l’aria.

51
Grado di saturazione

Si ha un terreno e dei pori in esso, qualunque sostanza che sta in questi pori ha un grado di
saturazione che va da 0 a 100 in funzione di quanto volume dei pori occupa. Se la sostanza ai pori è
assente il grado sarà 0 (terreno asciutto), se invece sono tutti pieni sarà 100 (terreno bagnato). Nel
caso in cui ho due fasi presenti nel terreno, il grado di saturazione delle due fasi è diverso; il grado
rispettivo è relativo al volume che ognuna occupa rispetto ai pori disponibili. Il grado di saturazione
è importante per determinare il comportamento della fase e gran parte delle proprietà (come la
permeabilità) saranno espresse in termini di grado di saturazione.

Tensione di interfaccia e capillarità

Si hanno due fluidi diversi a contatto tra loro e quindi entra in gioco anche la forza che si crea tra la
superficie di un liquido e la superficie dell’altro. Questa forza che c’è all’interfaccia tra due fluidi si
chiama tensione di interfaccia. Essa è rappresentata dimensionalmente da una forza/cm ed è la
quantità di lavoro necessario per separare l’area unitaria di una sostanza dall’altra. Questa tensione è
importante perché noi abbiamo due fluidi che si trovano in contatto con il solido del terreno: ho una
tensione di interfaccia tra il fluido 1 e 2, ma ho
una tensione di interfaccia anche tra ogni fluido
e la parte solida. Queste 3 tensioni fanno si che
il punto di contatto tra i due fluidi non sia mai
perpendicolare, ma crei un angolo.
Dalla figura si osserva che il fluido 1 ha una
preferenza a bagnare la superficie quindi si dice
fluido bagnante e questo concetto è importante
perché il fluido si muove aderendo alla
superficie, mentre il fluido 2 ha una pressione
maggiore che lo favorisce a muoversi per gravità.
Qui entra in gioco il concetto di capillarità: i fluidi bagnanti possono muoversi secondo delle forze
capillari perché sono capaci di aderire alle superfici solide; i fluidi non bagnanti con pressione
maggiore si muovono più facilmente per gravità.

Le due figure sopra mostrano come si comportano le gocce di acqua e DNAPL al contatto con un
solido se avvolte rispettivamente da LNAPL e acqua. In una condizioni in cui uno dei due fluidi è
l’acqua, essa sarà bagnante (fa un angolo acuto); mentre LNAPL o l’aria che non sono bagnanti fanno
angolo ottuso. A destra, ho immersa in acqua, una goccia di DNAPL che fa un angolo ottuso e l’acqua

52
tende a bagnare il solido sotto il DNAPL. Quindi, i qualunque terreno l’acqua tende ad aderire ai
granuli lasciando un NAPL come delle gocce all’interno.

Le forze capillari sono determinate dalle tensioni interfacciali e infatti la pressione differenziale
applicata da ognuno dei due fluidi immiscibili determina il potenziale capillare. In un tubo capillare
di raggio r a contatto con una superficie di acqua libera, l’acqua risale nel tubo. La pressione capillare
è rappresentata dall’altezza della risalita e questa dipende dal raggio del tubo. Tanto più piccolo è il
tubo, tanto più riale l’acqua perché aderisce alle pareti; l’altezza che l’acqua raggiunge nel tubo mi
dice la forza capillare cioè quella forza che si muove contro la gravità. Essa si alza tanto più è la
tensione di interfaccia e tanto più è piccolo il raggio del tubo.

Se consideriamo un terreno come a lato: si


ha l’aria (non bagnante), l’acqua che tende a
bagnare. Tanto più è grande il raggio, tanto
più la forza capillare diminuisce. A mano a
mano che tale raggio diventa piccolo, la
capillarità cresce perché l’acqua rimane
trattenuta con più forza dalla superficie. La
forza capillare dipende dal diametro dei pori
e dal grado di saturazione. Il raggio dipende
dal diametro dei pori e dalla quantità di ogni
liquido presente e decresce con l’asciugarsi
del terreno.

Lo schema sotto fa vedere la frangia


capillare con sotto terreno e sopra pori
(tubetti neri), probabile sia un terreno
sabbioso. L’acqua risale maggiormente nei
pori più piccoli; a destra vi è un grafico in cui sull’asse x ho la saturazione (%) e in ordinate l‘altezza
cui sale l’acqua che mi rappresenta la forza di risalita e cioè la forza capillare. Sulla falda non ho

forze capillari. Nel primo intervallo tutti i pori sono saturi (grado di saturazione 100%); a mano a
mano che si alza l’altezza dell’acqua, il grado di saturazione inizia a diminuire gradualmente fino a
divenire un asintoto perché rimane una piccola parte di pellicola di acqua che rimane sempre
sottoforma di umidità. Quindi da qui si vede che esiste una relazione per ogni terreno che lega il
potenziale capillare e il grado di saturazione. Tale curva si dice curva caratteristica del terreno.

Se consideriamo ora un terreno limoso con pori molto più piccoli e la risalita sarà maggiore e quindi
il grafico si modificherà. Un terreno fine ha più forze capillari e drena molto lentamente e con più
53
costanza. Quando si ha un terreno di questo tipo e ci si costruisce una casa sopra, ci si deve ricordare
che l’acqua può risalire e quindi esserci umidità.

Se sono presenti due fluidi, uno di essi predomina e ricopre la superficie solida soggetto a forze
capillari. L’acqua è bagnante rispetto all’aria; l’acqua è bagnante rispetto al NAPL; il NAPL è bagnate
rispetto all’aria.
Quando si infiltra olio nel terreno in elevate quantità e/o in condizioni di elevata pressione può vincere
le forze capillari dell’acqua e penetrare in profondità. Se invece le quantità sono modeste, le forze
capillari dell’acqua agiscono da ostacolo alla sua infiltrazione ed esso si muove solo orizzontalmente.
Se consideriamo un terreno con 2 fluidi (acqua e NAPL), l’acqua bagna il terreno aderendo e il NAPL
si trova costretto come gocce nei pori; a mano a mano che l’acqua aumenta il NAPL rimane sempre
più isolato. Se prendiamo un terreno asciutto, il NAPL risulta bagnante (situazione rara alle nostre
latitudini). Il gioco del grado di saturazione di un fluido rispetto all’altro è un gioco anche di un
movimento di un fluido rispetto all’altro, perché il NAPL si muove per gravità e l’acqua lo ostacola
per capillarità. Quindi il NAPL per muoversi deve riuscire a vincere le forze capillari dell’acqua.
Riuscirà a vincere queste forze capillari quando il grado di saturazione è sufficiente a dargli un peso
per cacciarlo (più acqua c’è, meno si muove il NAPL).

Drenaggio e Imbibizione

La prima figura mostra un terreno con olio (petrolio) e acqua alle


due estremità: l’acqua scende più velocemente nel tubo grosso di
sx dove le forze di capillarità sono minori. Una volta che l’acqua
è scesa del tutto il tubo si è riempito totalmente di olio. Quindi la
falda è scesa e i pori sono pieni di LNAPL.

La seconda figura mostra la stessa


cosa, ma in questo caso la falda
risale nel tubo a diametro più
piccolo in quanto le forze di capillarità maggiori. Continua a salire e
arriva a uscire all’altra estremità. La frazione di LNAPL rimasta nel
capillare a diametro maggiore rimane intrappolata sottoforma di
goccia di olio.

Quindi, in questi movimenti di desaturazione e saturazione di un liquido bagnante, il liquido non


bagnante ci rimane perennemente intrappolato. Ciò accade per il NAPL, per l’aria.

54
La curva a lato è la curva di ritenzione classica:
si ha un grado di saturazione da 0 a 100 sull’asse
delle ascisse e la capillarità sull’asse delle
ordinate. Si hanno due liquidi S1 e S2, se uno
aumenta di saturazione, l’altro diminuisce.
Supponiamo che si aria: il liquido in questo caso
l’acqua inizia a drenare, i poro drenano, il
potenziale capillare cresce e si ha una quantità di
acqua che rimane attaccata alle pareti (quantità
di ritenzione)-frecce blu. Poi, torna indietro-
frecce arancio (curva isteresi cioè non segue lo
stesso percorso a ritroso), si risatura e arriva in
una posizione che non raggiunge più il 100% di
saturazione perché parte delle bolle di aria
rimangono intrappolate. Ho parlato di aria ma in
egual modo posso parlare di NAPL. Quindi
diminuisce la quantità di acqua presente perché
aumenta la quantità di NAPL, aumenta la
quantità di acqua e diminuisce la quantità di
NAPL.

Mobilità – Conducibilità Idraulica

Noi siamo abituati a dire almeno per l’acqua, che numericamente la conducibilità idraulica è uguale
alla permeabilità, ma i due concetti sono estremamente diversi. La conducibilità idraulica di ogni
singola fase in condizioni di saturazione del 100% è direttamente proporzionale alla densità e
inversamente proporzionale alla viscosità. Essa è anche direttamente proporzionale alla permeabilità
che in termini di misura risulta un area = è la sezione che il fluido può attraversare. Tale sezione è
attraversata tanto meglio quanto più denso è il terreno e tanto peggio quanto è più viscoso il liquido.
In un fluido multifase i 2 fluidi immiscibili occupano ciascuno una parte di volume dei pori e la
sezione attraverso cui avviene il flusso di ciascuno è inferiore alla sezione totale dei pori. La
permeabilità totale del terreno K non cambia, però se io ho due fluidi, per ogni fluidi K cambia in
funzione del grado di saturazione. La conducibilità diminuisce in funzione del grado di saturazione.
Quindi il grado di saturazione controlla la frazione di permeabilità concessa ad ogni fase la cosiddetta
permeabilità relativa.

Essa ci dice quanto un fluido si sposta rispetto ad un altro; quindi è il rapporto tra la permeabilità
intrinseca per un fluido ad un dato grado di saturazione e la permeabilità intrinseca totale. Questo
concetto di mobilità espresso in termini di permeabilità relativa bisogna unirlo alle curve di
ritenzione: si consideri acqua con grado saturazione 100% e permeabilità relativa 1; a mano a mano
che il suo grado di saturazione diminuisce prende posto il fluido non bagnante. Lo spazio che l’acqua
usa per attraversare il terreno diminuisce e arriva in un punto in cui la permeabilità è 0. Quindi non è
mobile e abbiamo tutto il settore in cui non c’è moto piano (settore azzurro). Qui però ho una grande
quantità dell’altro fluido che è al 100% e quindi il NAPL qui ha la massima mobilità. Ovviamente
all’aumentare dell’acqua la sua mobilità decresce.

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Ciò è interessante perché se si suppone di voler recuperare da una situazione di questo genere: si ha
una falda con l’80 % in NAPL e 20% in acqua. Se metto un pozzo e pompo: ottimale per levare
NAPL. Al contrario se ho 80% di acqua e 20% di NAPL nella pompa sale acqua contaminata di
NAPL però tiro su solo acqua. Nelle situazioni intermedie recupero acqua e NAPL in quantità diverse.
Se sono nella situazione azzurra, 10% acqua e 90% NAPL, il pozzo recupera NAPL ma man mano
che lo tiro fuori il grado di saturazione in acqua aumenta e comincio a tirar fuori NAPL+acqua fino
ad arrivare in cui tolgo solo acqua contaminata.

LNAPL – Light Non Acqueous Phase Liquids


I LNAPL se immesso nel terreno comincia a scendere superando la saturazione residua della zona
insatura come in figura, e si appoggia sulla frangia capillare. Il suo movimento a questo punto è legato
al su e giù della falda. Il LNAPL non ha un moto proprio ma scivola sulla falda. Tuttavia, l’acqua lo
tocca e crea dispersione. Al LNAPL fanno parte i BTEX, gasolio, benzina, carburanti, kerosene.

Dal suolo migra verticalmente nella zona insatura (gravità e forze capillari); se il LNAPL ha un grado
di saturazione tale da superare la saturazione residua può raggiungere la sommità della frangia
capillare. Quello in saturazione residua rimane intrappolato nella zona insatura e passa alla fase
gassosa. Il LNAPL che raggiunge la frangia capillare si distribuisce ed espande seguendo
l’inclinazione della superficie freatica. Da qui la frazione solubile trasportata si discioglie nella falda
e viene trasportata. Se la superficie freatica scende, scende lo strato di LNAPL in galleggiamento e
nella zona insatura rimane LNAPL in saturazione residua; se la superficie freatica risale, anche il
LNAPL risale e nella zona satura rimane LNAPL in saturazione residua (immobilizzato). Possono
anche rimanere sacche di LNAPL intrappolate in falda.
Nella zona insatura rimane una frazione residua. Una parte si ripartisce in fase di vapore ed una parte
entra in soluzione nell’acqua d’infiltrazione ed arriva alla falda. Ciò in funzione della volatilità e della
solubilità del NAPL. La presenza di BTEX in falda indica la presenza di benzina nel terreno. I
composti NAPL presenti in fase vapore possono migrare e accumularsi in spazi confinati con rischio
di intossicazioni ed esplosioni.

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DNAPL -Dense Non Acqueous Phase Liquids
I DNAPL hanno densità
superiore a 1 g/cm3 e quindi sono
più pesanti dell’acqua; una volta
che il contaminante esce dalla
tanica sepolta ad esempio, si
muove attraverso i pori del
terreno abbastanza facilmente in
quanto trova pori pieni di aria e
arriva alla frangia capillare dove
inizia a trovare una resistenza al
suo moto verso il basso perché le
forze capillari sono forti. Quindi
esso deve riuscire a vincere tali
forze e crearsi un percorso; se la
quantità è sufficiente (si ha una
continua immissione) prosegue e
raggiunge la base dell’acquifero;
qui posso avere una lente a bassa permeabilità tipo un argilla (con pori molto piccoli e quindi
sappiamo che la forza capillare è fortissima) esso non riesce a vincere le forze qui e si accumula.
Questa sostanza pesante si muove in funzione della pendenza della base e se ci sono concavità vi si
accumula dentro. Poiché rimangono intrappolate le bolle di DNAPL tutta l’acqua della falda è
contaminata. Ai DNAPL fanno parte i clorurati.
Riassunto:
Dal suolo migra verticalmente nella zona insatura (gravità e forze
capillari).
• Se il LNAPL ha un grado di saturazione tale da superare la
saturazione residua può raggiungere la sommità della frangia
capillare.
• Quello in saturazione residua rimane intrappolato nella zona
insatura (15%-20% in funzione del tipo di terreno e del
composto). Passa alla fase gassosa.
• Quando il DNAPL raggiunge la frangia capillare si accumula su
di essa fino a raggiungere una massa sufficiente per contrastare le
forze capillari che trattengono l’acqua nei pori • Se raggiunge tale
forza, espelle l’acqua dai pori e migra verticalmente
nell’acquifero saturo, sprofondandovi.
• Il DNAPL si ferma sui livelli impermeabili dove i pori sono
talmente piccoli che gli è impossibile eguagliare le forze capillari
che vi trattengono.
Nella figura in giallo la parte in soluzione, in verde quella che si
volatilizza, in rosa NAPL in ritenzione.

57
Esempio 1
1988, esperimento con sfere di vetro e DNAPL colorato di rosso, si osserva che esso si accumula in
superficie ma non riesce a entrare perché non riesce a vincere la capillarità, ma nel momento in cui
riesce a entrare in un grosso poro comincia a crearsi il suo percorso.

Esempio 2
La prima foto mostra in alto palline più piccole e sotto più grosse; è stato fatto infiltrare del DNAPL
che è filtrato e poi è stata cessata l’immissione. Dove ho i pori più piccoli si formano più isole di
DNAPL dove l’acqua è ferma. La seconda foto presenta due diametri diversi e la capillarità è
maggiore dove è minore: il DNAPL scende e trova un terreno più fine quindi si blocca e a mano a
mano che si accumula e il suo peso aumenta e comincia a scendere.

Esempio 3
Se creo una circolazione idrica, parte del DNAPL è spostato e finisce nei punti interni in cui
intrappolato tra la capillarità dell’acqua e la situazione è quella che trovo nella colonna contaminata.
Gli interventi di bonifica che
tratteremo riguarderanno la
bonifica del pennacchio quindi
della parte in soluzione però in
esso c’è una piccola quantità di
contaminante perché più del 90
% del contaminante è in
concentrazione come DNAPL o LNAPL.

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Bonifica di un sito contaminato
Per la buon riuscita di una qualsiasi attività di bonifica è fondamentale la conoscenza approfondita
delle caratteristiche della sorgente contaminante, dei meccanismi di contaminazione delle acque di
falda e delle caratteristiche idrogeologiche del sito; inoltre, è importante conoscere la definizione
dello stato qualitativo del terreno e delle acque di falda, della distribuzione dei contaminanti e delle
modalità di propagazione dei contaminanti.
Queste cose dette sopra sono la base per costruire il Modello Concettuale cioè la conoscenza dei
requisiti per la Bonifica.

Per ricostruire il modello concettuale bisogna prima eseguire un’indagine idrogeologica e cioè:
- Ricostruire la continuità degli orizzonti (alta e bassa permeabilità);
- Individuare gli acquiferi e le falde individuate (freatiche, confinate);
- Esistono fenomeni di drenanza tra le falde?
- Esistono rapporti con i corsi idrici superficiali (fiumi, laghi o canali)?
- Direzione di flusso principale ed oscillazioni temporali per ogni falda;
- Se esistono falde sospese, loro caratteristiche;
- Parametri idrogeologici (spessore, K, T, velocità di flusso);
- Distribuzione dei prelievi (pubblici o privati) nell’area modificano la piezometria?

Poi, bisogna fare un’indagine idrogeochimica e cioè analizzare le acque (contaminazione delle falde
e variazione x-t), l’acquifero (caratteristiche mineralogiche e acquifero), il contaminante
(caratteristiche e proprietà).
La ricostruzione del modello concettuale avviene in 2 fasi:

1. MODELLO CONCETTUALE PRELIMINARE  in cui si ha l’elaborazione dei dati


esistenti raccolti con ricostruzione idrogeologica preliminare, parametrizzazione del terreno e
degli acquiferi, analisi dei dati fisici e chimici del suolo e delle acque. Qui si fa un’indagine
di dettaglio di suolo e acqua. Dopodiché, si fa un’elaborazione dei dati risultanti dalle indagini
per ottenere la seconda fase.
2. MODELLO CONCETTUALE DEFINITIVO (seconda fase).

I metodi di indagine per la caratterizzazione idrogeologica e idrochimica dell’area di studio sono vari
e vengono usati vari strumenti tra cui: perforazioni, carotaggi, campionamenti, prove in sito e in lab
(penetrometri), log geofisici in pozzo (elettrici), prospezioni geofisiche, installazione di piezometri,
59
misura di livello di falda, determinazione parametri idraulici (trasmissività, immagazzinamento),
esecuzione di analisi di gas nel suolo (soil gas survey), determinazione dei parametri geochimici,
idrochimici, definizione dei parametri caratteristici dei contaminanti.

Ricordiamo che per trovare il gradiente idraulico ci possono essere 3 casi: se la componente è
prevalentemente orizzontale si fanno misure piezometriche, se si ha componente prevalente verticale
si usa il reticolo di flusso, se infine, si hanno cambiamenti di gradiente si usano i prelievi in pozzo.

Invece, la conducibilità idraulica si ottiene con lo Slug


Test a carico variabile (bassa k) o a carico costante (alta
k). Nel primo caso si aggiunge acqua nel pozzo e quindi
si controlla la velocità di abbassamento del livello fino a
quello iniziale. Nel secondo caso, invece, si immette
acqua nel pozzo per alzare il livello dell’acqua e si misura
la portata di acqua necessaria per mantenere il nuovo
livello.

Esiste poi un metodo speditivo per stimare la Trasmissività nota la portata specifica del pozzo, il
cosiddetto Metodo di Cassan. Noti anche le caratteristiche geometriche del pozzo, la portata
specifica del pozzo e il gradiente della falda si può
determinare:

1. Il valore sigma;
60
2. Noto sigma si ricava il valore di teta dall’abaco;
3. Si calcola T.

Metodi di perforazione

Essi devono arrecare il minimo disturbo possibile all’acquifero e alle caratteristiche qualitative delle
acque: rotazione con fluidi di circolazione (con fango, acqua o aria) e carotaggio (con fango, acqua e
aria). Il metodo più comune per il diametro medio-piccolo (4” -10 cm-consente misure e
campionamento mediante comuni strumentazioni comuni) è la rotazione, in quanto veloce ed
economica; tuttavia, l’utilizzo di fango a base di bentonite o di polimeri organici può falsare la
determinazione analitica del campione di acqua. Inoltre, l’utilizzo di aria compressa può determinare
una riduzione locale nelle concentrazioni dei contaminati volatili e un loro trasporto veloce verso
l’alto con rischi per gli operatori. Infine, l’utilizzo di acqua può ostacolare l’individuazione della
falda, dilavare le contaminazioni e determinare instabilità del foro.

Nei siti sottoposti a bonifica è spesso necessario indagare la litologia del terreno e effettuare
campionamenti per definirne la contaminazione.

Si fa in tal caso un carotaggio a rotazione con avanzamento a secco. Il metodo richiede tempi più
lunghi, è più difficile e costoso. Sono raccomandati diametri idonei e lente procedure di avanzamento,
per evitare fenomeni di surriscaldamento.

La ricostruzione della stratigrafia e il campionamento degli orizzonti può essere effettuato tramite
carotaggio secco (infissione e rotazione).

61
Piezometro
La figura a lato mostra come sia fatto un
piezometro. Per costruire un piezometro
prima si deve fare la perforazione
(metodo, diametro perforazione in
funzione di quello della tubatura,
campioni eventuali e prove in foro a che
profondità).

Dopodiché, si fa il completamento con


(tubatura cieca e fenestrata, pompa,
intercapedine sufficiente per il dreno,
dreno [ghiaietto siliceo, con diametro
secondo il terreno], sigillatura con
bentonite sodica, riempimento con
materiale di perforazione e infine
cementazione con miscela di cemento e
bentonite almeno 1 metro).

I principali materiali usati per i


piezometri sono: PVC, acciaio inox per evitare processi di degradazione da parte del contaminante o
alterazione del campione prelevato. Il PVC rappresenta il miglior compromesso per il monitoraggio
di composti sia organici sia inorganici ed è il meno costoso; i tubi non devono mai essere giuntati con
collanti (che possono alterare le caratteristiche chimiche delle acque) ma filettati; il PVC deve essere
evitato in presenza di alcune sostanze LNAPL che possono scioglierlo
(chetoni, aldeidi, ammine).

Concetto importante è quello di prevalenza che è una grandezza fisica


che è definita come la differenza di altezza a cui la pompa è in grado
di spingere l’acqua rispetto all’altezza da cui l’ha aspirata o rispetto al
punto in cui si trova la pompa stessa.

La prevalenza si lega direttamente alla portata con curve


caratteristiche di alcune pompe. All’aumentare della prevalenza
aumenta la portata della pompa.

62
A noi i piezometri servono sia a sapere lo spazio di contaminazione sia a sapere la direzione del flusso
idrico. Rispetto ad un’area indagata devo posizionare dei piezometri a monte e a valle dell’area
contaminata, perché devo controllare rispetto all’area, se l’eventuale contaminazione arriva da altrove
o meno. Quindi mi è utile valutare la qualità dell’acqua a monte della zona d’indagine e a valle per
valutare l’apporto di contaminante nella zona di analisi. L’altro scopo utile dei piezometri è che se
siamo in un’area contaminata, la loro presenza serve a verificare l’efficacia della bonifica ossia
controllare l’estensione e l’entità del fenomeno di contaminazione. Infine, il terzo scopo dei
piezometri è he saranno proprio loro a dirci quando la bonifica sarà finita e avremmo ottenuto una
buona qualità delle acque.

La distanza tra i piezometri e il numero di piezometri per sito deve tenere conto delle caratteristiche
del terreno, del contaminante (se è ritardano o meno), dalla dispersività attesa, dall’incertezza, dalla
velocità di falda e dalla possibile evoluzione 3D del fenomeno di contaminazione.

La scelta della lunghezza dei filtri dipende dalle finalità del monitoraggio. Filtri corti  la misura
piezometrica e il campione rappresentano le caratteristiche dell’acquifero; Filtri estesi  la misura
piezometrica e il campione rappresentano le condizioni medie della sezione di acquifero attraversata
quindi il campione ottenuto è diluito ma aumenta la probabilità di intercettare la contaminazione.

La figura sopra mostra un pennacchio in pianta e in


sezione e si vede come la concentrazione in
superficie sia maggiore che in profondità. A lato
invece la curva blu mostra la concentrazione in
profondità del sito in esame. Se io faccio un piezometro con la fenestratura dall’inizio della falda fino
in fondo io campiono un acqua mista; quindi la concentrazione che ottengo è quella data dalla retta
rossa. Ciò per dire, che se ho i filtri poco estesi posso valutare con una certa precisione la
concentrazione però è più difficile da individuare; se invece, i filtri sono molto estesi la
contaminazione si individua facilmente, ma ho una valutazione di una concentrazione media. Un
esempio è dato dalla figura successiva in cui si ha un area contaminata in superficie che rilascia

63
contaminante in profondità (parte grigia). L’acqua si muove da sx verso dx verso il fiume e ho 4
piezometri:

A) Piezometro fenestrato dall’inizio alla fine: ho quindi maggiori probabilità di intercettare la


contaminazione, ma la
concentrazione misurata è
inferiore a quella del
pennacchio (perché
l’acqua è una miscela di
pulita e contaminata);
B) Il piezometro è
fenestrato solo nella parte
contaminata e qui ottengo
la concentrazione esatta del pennacchio;
C) e D) hanno fenestrature corte e quindi non rilevano alcuna contaminazione.

In relazione alla conducibilità dell’acquifero per finalità di indagine occorre fenestrare l’orizzonte
maggiormente permeabile e per verificare la raggiunta bonifica non è corretto fenestrare l’orizzonte
più permeabile.

Molte volte si fa un foro solo e si mettono più piezometri al suo interno, in questo caso parleremo di
piezometri multilivello che se messi in prossimità di una sorgente di contaminazione permettono di
valutare la variazione in profondità della concentrazione. Se però la contaminazione è molto lontana,
oltre i 200-300 m, dalla sorgente, la dispersione fa si che tali piezometri siano inutili in quanto
potrebbero captare solo la zona a bassa concentrazione.

Bisogna sapere, inoltre, che la profondità e lunghezza delle fenestrature sono in funzione anche del
tipo di contaminante ricercato (NAPL). Nel caso di un
LNAPL la fase di galleggiamento è rilevata solo da tratti
fenestrati che interessano l’interfaccia saturo-insaturo
tenendo conto delle oscillazioni stagionali della falda; nel
caso di DNAPL la fase in soluzione interessa tutto lo
spessore dell’acquifero quindi anche i tratti fenestrati
devono interessare tutto lo spessore dell’acquifero per
individuare la contaminazione; la fase di DNAPL

64
separata è individuata da tratti fenestrati nella parte basale dell’acquifero. Nella figura vi sono 3
piezometri di lunghezza diversa: la linea tratteggiata indica il livello della falda durante l’anno. Il
piezometro A stagionalmente non campiona eventuali sostanze galleggianti; il piezometro B invece
non è capace di campionare tutto l’anno; infine, il piezometro C funziona per tutto l’anno ma la
differenza con il piezometro A è nulla se non ci fosse alcun LNAPL, ma se ci fosse un sub natante il
tipo A non lo vede perché LNAPL galleggerebbe sopra la linea tratteggiata della falda alta.

Nel caso a lato si vede un flusso idrico O-E e ho


una superficie freatica relativa ai piezometri
superficiali e una piezometrica relativa alla falda
più profonda. I piezometri a monte della
discarica sono più distanti rispetto a quelli a
valle, perché quando vado a fare il
campionamento e uso delle pompe, rischio di
tirare indietro il contaminante che c’è a valle.
Inoltre, i piezometri di monte e di valle sono
fenestrati alle stesse quote. La falda freatica ha
maggiore pressione rispetto a quella sottostante e quindi è più probabile una filtrazione attraverso lo
stato semi- impermeabile dall’alto verso il basso.

Nel caso 2 a lato anche qui ho due falde, una


superficiale freatica ed una profonda
piezometrica in pressione. L’osservazione è
che non è detto che due falde una sopra l’altra
abbiano la stessa direzione e nemmeno le
stesse caratteristiche.

Un'altra osservazione è che nel corso


dell’anno in alcuni casi, la direzione della falda cambia e ciò è un problema ad esempio per
disinquinare e bonificare una barriera idraulica.

Misure di livello e campionamento

Il livello piezometrico e le caratteristiche chimico-fisiche delle acque devono rappresentare le reali


condizioni della falda:

65
• livello piezometrico in condizioni statiche;
• campionamento delle acque esente da alterazioni chimico-fisica esterna.

Bisogna ricordarsi di spegnere la pompa quando si effettua la misura del livello per fare in modo che
il livello raggiunga quello di
staticità; la misura di livello si
effettua prima della fase di
campionamento e in presenza di
LNAPL il livello misurato deve
essere corretto in funzione del peso
dello spessore di LNAPL presente.
Quando rompo la frangia capillare
con il piezometro il LNAPL scende
e va tutto nel piezometro. Quindi lo
spessore che trovo nel piezometro di
LNAPL è maggiore di quello che
c’è naturalmente sulla falda.

Ma di quanto si deprime il carico piezometrico nel piezometro? Qui ci sono le forze idrostatiche, nella
figura questa depressione è indicata con W. La colonnina in rosso mi dice lo spessore del mio
LNAPL. Se c’è equilibrio, lo spessore del NAPL * densitàNAPL è uguale a alla depressione
dell’acqua*sua densità perché hanno raggiunto l’equilibrio.

Abbiamo detto che per avere un’analisi corretta devo far si che l’acqua che vado ad analizzare sia
effettivamente quella della falda. Quindi un campione rappresentativo deve evitare che ci sia
dell’acqua di ristagno in pozzo tra un prelievo e l’altro, l’influenza del materiale di cui è fatto il
campionatore e il disturbo di impurità dall’esterno e/o alterazione.

Quindi la prima operazione che posso fare è lo Spurgo con cui si elimina l’acqua che ristagna nel
pozzo e nel dreno; questa operazione si attua prima di procedere alla fase di campionamento fino alla
stabilizzazione dei parametri chimico-fisici e a chiarificazione dell’acqua. Il volume di acqua estratto

66
è 4-6 volte quello presente nel pozzo e l’eventuale fase LNAPL deve essere asportata prima di
procedere allo spurgo. A controllo dello spurgo si usano spesso anche strumenti tipo conduttimetro,
quindi lo spurgo termina quando la conducibilità e il pH diventano costanti e quando l’acqua è pulita
senza sabbia. Questa operazione può essere fatta anche con delle portate rilevanti poi però il
campionamento deve essere fatto a portate basse.

La seconda operazione che posso fare è il Controllo


delle impurità cioè cerco di tenere gli strumenti puliti
a ogni riutilizzo, oppure metodi di campionamento che
evitino il formarsi di turbolenze o campionare i pozzi
prima a monte e poi a valle. Ad esempio, nella figura a
lato sono numerati i piezometri nell’ordine utile di
campionamento.

Allora, la contaminazione potrebbe essere anche dovuta


ad una concentrazione di fondo. Quindi, di solito.
Nell’area si prendono dei campioni ma poi nell’area attorno si prelevano 2 o 3 campioni per valutare
qual è la concentrazione della zona in cui sto lavorando. Quindi, la presenza di tracce di soluti nei
campioni è il risultato di: presenza di valori di fondo, metodiche di campionamento utilizzate e
metodiche di analisi utilizzate. I primi sono anche detti Campioni di bianco. Essi sono utilizzati per
verificare l’efficacia del programma di campionamento.

A questo punto entra in gioco l’ARPA, ma essa usando fondi pubblici preleva 2 campioni (su 10
totali della ditta) e li analizza. Dei campioni che si fanno se ne fanno 3 (uno analizzato da azienda,
uno per arpa e uno di riserva) quindi se io faccio 10 campionamento *3 sono in totale 30 campioni.
L’Arpa di questi 30 ne sceglie solo 2 e li analizza. La cosa importante in queste situazioni è farsi che
il laboratorio di analisi dell’Arpa e il nostro utilizza le stesse metodologie di analisi.

La scelta della tecnica di campionamento è strettamente dipendente dal diametro del


pozzo/piezometro, dalla soggiacenza della falda, dall’economicità del metodo e dalla finalità dello
studio. Le tecniche sono essenzialmente 2:

- pompe a pressione in acciaio inox con controllo di flusso regolabile  pompa centrifuga, a
immersione; la pompa è sospesa nel pozzo mediante un cavo in acciaio. Maggiore è la portata,
maggiore è il disturbo sul campione e campioni di buona qualità sono ottenibili a basse
portate.

67
- campionatori in resina e/o acciaio inox equipaggiati con singola o doppia valvola di controllo
e dispositivo di svuotamento di fondo detto bailers  tubi di metallo con dentro una pallina
che quando calo il tubo con corda, sale perché l’acqua tende a salire e quando mi fermo e
quando la tiro verso l’alto la pallina chiude la base e quindi porto su il mio litro di acqua. I
baylers sono adatti per campionamenti a quote diverse e a basse temperature, sono in teflon e
acciaio inox.

La medesima pompa si può usare per la fase di spurgo e per quella di campionamento se la portata è
regolare. Generalmente le pompe sommerse ad azionamento elettrico sono le più comuni ed offrono
la maggior versalità d’impiego: diametri di 2 o 4 pollici che arrivano anche a portate basse di 0.1-1.0
l/s e prevalenze tra i 10 e i 90 m.

Nel caso siano presenti fasi volatili è necessario usare modalità di campionamento che evitino il
formarsi di turbolenze nell’aria.

Facciamo ora una parentesi su un altro metodo di indagine che è il Soil Gas Survey in cui si analizza
il gas presente negli interstizi del terreno non saturo. Con esso si ricavano indicazioni circa la presenza
di suolo o acque sotterranee contaminate che rilasciano nel terreno una fase vapore. Tale tecnica rileva
i composti organici volatili (VOC) e i semivolatili (SVOC). Il sistema è costituito da un tubo di

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metallo infisso nel terreno che aspira aria e tale aria è campionata e analizzata. Il metodo è molto
semplice e poco costoso. L’applicabilità delle tecniche è condizionata dai fattori chimico-fisici come
la volatilità dei composti (pressione di vapore > 0.5 mmHg) e dalla tendenza di partizione tra acqua
e vapore (costante di Henry > 0.1); dai fattori geologici come la presenza di acqua nel sottosuolo
(grado di saturazione < 80%) o dalla permeabilità del sottosuolo; e da fattori antropici e naturali come
percorsi preferenziali per i gas nel sottosuolo naturali o antropici. Le unità di misura in questo caso
si esprimono sempre in ppm o ppb del gas.

Le analisi su gas interstiziale possono essere anche fatte in laboratorio su fialette a carboni attivi,
oppure on site semi-quantitative mediante fialette colorimetriche, oppure dirette on site in laboratori
mobili dotati di gascromatografo portatile, oppure mediante strumenti portatili in grado di analizzare
i vapori organici totali quali foto ionizzatori (PID) e ionizzatori alla fiamma (FID). Le determinazioni
in sito hanno il vantaggio di consentire una mappatura in tempo-reale dello stato di contaminazione.

per l’acqua queste (ppmv o ppbv) coincidono con la concentrazione in massa su volume (mg/l o µg/l),
ma per l’aria no. Per calcolare la massa estratta occorre usare la legge dei gas perfetti. • 1 litro di gas,
a 21.1°C, 1atm, contiene 0.041 moli.

Si hanno due metodi per campionare l’aria: metodo attivo e metodo passivo. Nel primo caso viene
effettuata una perforazione di piccolo diametro all’interno della quale viene immessa una sonda con
una punta forata per il passaggio dell’aria; dopodiché, si crea una depressione per pompare un volume
di gas al di fuori del terreno insaturo; il gas può essere analizzato in sito mediante fialette
colorimetriche o gascromatografo da campo oppure può essere raccolto un campione da trasportare
in laboratorio per le analisi. L’operazione dura poco tempo e si possono avere più analisi in un solo
giorno.

Nel secondo caso viene messo in posto un apposito materiale (es. carbone attivo) all’interno di una
sonda campionatrice e si attende il tempo sufficiente perché i composti organici presenti nel non
saturo vengano adsorbiti selettivamente (da qualche giorno a una settimana); la sonda contenente il
materiale adsorbente viene prelevata e i composti analizzati in laboratorio.

69
Oppure se sono in campo posso usare un metodo più veloce ma meno preciso che sono le fialette
Drager colorimetriche (fai passare l’aria dentro e so il colore che ha preso che mi dà un idea di quanto
contaminante c’è).

Un altro tipo di campionamento in presenza di acqua e argilla è usare il goretex o meglio la tecnica
del Gore-Sorber. Esso è costituito da guaine in goretex e all’interno vi sono piccole sezioni separate
tra loro di materiale assorbente; queste sonde le posso infilare nel terreno e ottenere un analisi 3D.

70
Normativa sull’inquinamento delle Acque Sotterranee
Decreto Legislativo del 3 aprile 2006  regolamento recante criteri, procedure e modalità per la
gestione delle acque, dei rifiuti e dell’aria e della messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale
dei siti inquinati. Ci sono 5 Allegati a questa legge:

1. Allegato 1  Criteri generali per l’analisi di rischio;


2. Allegato 2  Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati;
3. Allegato 3  Criteri generali per la selezione e esecuzione degli interventi di bonifica e
ripristino ambientale;
4. Allegato 4  Criteri generali per l’applicazione di procedure semplificate;
5. Allegato 5  Tabelle con valori di contaminazione limiti accettabili nel suolo.

Il decreto del 2006 interessa le fonti d’inquinamento puntuali, fornisce le definizioni di sito inquinato,
sito potenzialmente inquinato, sito con attività in esercizio, messa in sicurezza d’emergenza, messa
in sicurezza operativa, messa in sicurezza permanente, bonifica, ripristino ambientale, inquinamento
diffuso, concentrazione soglia di contaminazione (CSC) e concentrazione soglia di rischio (CSR).
Inoltre, esso fissa i criteri e le procedure amministrative con cui debbono essere condotte le bonifiche
dei siti contaminati e i rispettivi controlli; infine, esso stabilisce le concentrazioni soglia di
contaminazione dei suoli e acque sotterranee nonché le procedure per il prelievo e l’analisi dei
campioni di suolo e acque.

Nell’Allegato 5 vi sono due tabelle una per i terreni e una per le acque: la tabella dei terreni presenta
i valori di concentrazione soglia riferiti a suolo e sottosuolo e sono riferiti a tutta la profondità tra la
superficie e la frangia capillare; la tabella per le acque, invece, mostra i valori di concentrazione soglia
nelle acque sotterranee.

Il confronto tra i valori misurati nel sito e quelli limite di riferimento (CSC) contenuti nella normativa
evidenzia lo stato di potenziale inquinamento di un sito. In tal caso si avviano le operazioni necessarie
(Caratterizzazione ed Analisi di rischio) necessarie per verificare se tali concentrazioni siano anche
superiori alla CSR.

Modello concettuale

Modello Concettuale del Sito (MCS) - risultato delle indagini mirate alla Caratterizzazione del sito
contaminato (Allegato 2) Obiettivo: Individuazione e parametrizzazione dei 3 elementi principali:
- la sorgente di contaminazione, i percorsi di migrazione degli inquinanti attraverso le matrici
ambientali e i bersagli o recettori della contaminazione nel sito o nel suo intorno.
71
Analisi di rischio
Strumento di supporto alle decisioni per valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana
connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali (Allegato 1). Si fonda sulla definizione
preliminare del Modello Concettuale del Sito. Si effettua nei siti in cui siano state rilevate
concentrazioni superiori alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) (Tabelle in Allegato
5) e quindi “potenzialmente contaminati”. Conduce alla definizione della Concentrazione Soglia di
Rischio (CSR), il cui superamento determina lo stato di contaminazione del sito e l’adozione di
misure di bonifica. Le CSR definite rappresentano i livelli di contaminazione accettabili e gli obiettivi
di bonifica per il sito in esame.

Esistono 3 livelli di approfondimento: primo livello dove si fa un confronto delle concentrazioni con
le CSC; secondo livello con utilizzo di codici analitici basati su dati sito specifici e tratti di letteratura;
terzo livello con uso di modelli numerici e probabilistici basati su dettagliata caratterizzazione del
sito in esame.

Concentrazione punto di esposizione

Calcolo dell’attenuazione (effetto dei fenomeni che possono determinare una attenuazione della
concentrazione al punto di esposizione:

- Rilascio nel mezzo non saturo;


72
- Attenuazione nel mezzo non saturo;

- Diluizione nella zona di miscelazione con la falda;

- Diluizione ed attenuazione in falda;

- Diluizione in un corso d’acqua;

- Volatilizzazione di vapori in ambienti aperti;

- Volatilizzazione di vapori in ambienti confinati.

Calcolo del fattore di attenuazione complessivo (NAF=Natural Attenuation Factor) • Calcolo della
concentrazione nel punto di esposizione (Cpoe=Csor/NAF) • Valutazione del rischio (tossico o
cancerogeno) • Decisione della concentrazione alla sorgente

Punto di Conformità delle Acque Sotterranee


Rappresenta il punto fra la sorgente ed il punto di esposizione, dove le concentrazioni delle sostanze
contaminanti nelle acque sotterranee devono essere minori delle concentrazioni soglia di rischio
(CSR) calcolate con l'analisi di rischio. Il Decreto correttivo interviene su: UBICAZIONE: “fissato
non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica”. OBIETTIVI: “la relativa CSR di ciascun
contaminante deve essere fissata equivalente alla CSC.

73
Progetto di Bonifica
Definisce nel dettaglio l’estensione e il grado d’inquinamento del sito e gli acquiferi interessati dalla
contaminazione ed individua le aree ed i volumi di suolo sottosuolo ed acque cui applicare gli
interventi di bonifica; inoltre, definisce gli obiettivi della bonifica in relazione alle caratteristiche del
sito e analizza le diverse tecniche di bonifica adottabili, stabilendone l’efficacia nelle condizioni
specifiche locali ed i relativi costi, comprensivi delle misure di sicurezza e dei controlli da effettuare
nelle diverse fasi della bonifica. Seleziona la tecnologia di bonifica da adottare e, nel caso, effettua
un test di verifica dell’efficacia della tecnica ed eventuali sperimentazioni di laboratorio; definisce
l’impatto dell’intervento sull’ambiente e le eventuali limitazioni d’uso e definisce in dettaglio gli
impianti e le operazioni richieste, la tempistica degli interventi, il relativo costo, il piano dei controlli
e di monitoraggio in corso d’opera e post operam, le procedure di controllo e la loro tempistica per il
collaudo dell’opera.

Tipologie di Bonifica Previste


MESSA IN SICUREZZA D’EMERGENZA - interventi necessari ed urgenti
effettuati nelle prime fasi d’individuazione della contaminazione per rimuovere le fonti
inquinanti, contenere la diffusione degli inquinanti e impedire il contatto con le fonti
inquinanti presenti nel sito. Devono essere attuati tempestivamente in seguito di
incidenti o di chiara situazione di pericolo d’inquinamento dell’ambiente per
intercettare ed isolare liquidi inquinanti sversati.

NON SOSTITUISCE LA BONIFICA - INTERVENTO TEMPORANEO IN ATTESA


DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA E RIPRISTINO AMBIENTALE

BONIFICA E RIPRISTINO AMBIENTALE - riduzione dei valori di


concentrazione di sostanze inquinanti dell’area influenzata dalla fonte inquinante al di
sotto delle Concentrazioni Soglia di Rischio di contaminazione.

DEVE ASSICURARE IL RAGGIUNGMENTO DEGLI OBIETTIVI PREVISTI


CON IL MINOR IMPATTO AMBIENTALE E LA MIGLIORE EFFICACIA, IN

74
TERMINI DI CONCENTRAZIONI RESIDUE E PROTEZIONE DELL’AMBIENTE
E DELLA SALUTE PUBBLICA

Gli obiettivi sono definiti: in base all’analisi di rischio (CSR) direttamente da tabelle (CSC) (Allegato
5) (procedure semplificate).

MESSA IN SICUREZZA OPERATIVA - interventi necessari ed urgenti effettuati in caso di


individuazione di una contaminazione a rischio in un sito con attività produttiva in esercizio, al fine
di minimizzare o ridurre il rischio e contenere la diffusione degli inquinanti. Devono essere attuati
dopo la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio, con tecniche idonee a garantire il
proseguimento dell’attività produttiva.
NON SOSTITUISCE LA BONIFICA - INTERVENTO TEMPORANEO IN ATTESA DELLA
CESSATA ATTIVITA’

MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE - pur applicando le migliori tecnologie disponibili a


costi sostenibili, non è possibile raggiungere le Concentrazioni Soglia di Rischio.
Interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali
circostanti.
DEVE ESSERE PRIVILEGIATA LA RIDUZIONE DEI VOLUMI DEI RIFIUTI

Certificazione di Avvenuta Bonifica


Collaudo della bonifica: valutazione risultati progetto in termini di:
• Raggiungimento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) o delle concentrazioni soglia
di rischio (CSR), in caso di bonifica;
• Efficacia delle misure di sicurezza in caso di messa in sicurezza permanente, in particolare quelle
adottate per impedire la migrazione degli inquinanti al di fuori dell’area oggetto d’intervento;
• Efficienza dei sistemi, tecnologie, mezzi utilizzati durante l’esecuzione e al termine delle attività
(bonifica e ripristino ambientale-messa in sicurezza permanente);
• Elemento di giudizio finale è la produzione da parte della Provincia di una certificazione di avvenuta
bonifica e ripristino ambientale (o di avvenuta messa in sicurezza permanente);
• La certificazione contiene anche i risultati del collaudo della bonifica e i risultati ottenuti in termini
di raggiungimento degli obiettivi della bonifica e ripristino ambientale e di protezione della salute
pubblica e dell’ambiente.

75
Recupero di un sito contaminato
Ci sono 2 passi fondamentali:
1. Bonifica: intervento sulla sorgente di contaminazione per eliminarla o controllarla al fine di
prevenire il continuo rilascio di contaminante in falda;
2. Disinquinamento: intervento sulle acque sotterranee per ridurre la concentrazione delle
sostanze inquinanti in falda.

Gli interventi possono essere di 3 tipologie:


- OFF SITE  la contaminazione è estratta e trasportata altrove per stoccaggio o trattamento;
- ON SITE  la contaminazione è estratta e trattata sul posto;
- IN SITE  la contaminazione è trattata sul posto senza rimozione.

Criteri dettati dalla normativa


- Privilegiare le tecniche che riducono la concentrazione nelle diverse matrici ambientali, gli
effetti tossici e la mobilità degli inquinanti;
- privilegiare gli interventi atti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito, mediante trattamenti in
site o on site, riducendo la movimentazione del materiale (rischi derivanti dal trasporto e dalla
messa in discarica del terreno inquinato);
- evitare ogni rischio aggiuntivo di inquinamento (aria, acque sotterranee e superficiali, suolo e
sottosuolo), nonché ogni inconveniente derivante da rumori ed odori;
- evitare rischi igienico sanitari per la popolazione durante lo svolgimento degli interventi;
- operare la scelta delle tecnologie anche sulla base di aspetti economici, che devono
comprendere i costi di gestione a lungo termine connessi alle eventuali misure di sicurezza ed
ai relativi controlli e monitoraggi.

76
Criteri per la selezione delle tecnologie

77
Barriere Idrauliche
La metodologia consiste nel creare una depressione piezometrica in grado di catturare i flussi idrici
inquinati. In genere, la barriera è formata da una linea di pozzi di estrazione a valle del pennacchio
perpendicolare alla direzione di flusso. I pozzi barriera consentono di raggiungere profondità elevate
e rappresentano il sistema di bonifica più diffuso, più economico e veloce da mettere in opera.
L’obiettivo di tali barriere idrauliche è duplice:
1. Contenimento del flusso contaminato rispetto le aree a rischio (interruzione della migrazione
del pennacchio a valle);
2. Decontaminazione delle aree sorgente  pump & treat (sono estratte le sostanze contaminate
e poi trattate prima dello scarico).

Le funzioni di contenimento e di disinquinamento si sovrappongono, prevalendo l’una o l’altra in


funzione della distanza e della solubilità dei contaminati e dello scopo dell’intervento. La
realizzazione di una barriera idraulica, per la rapidità di messa in opera e le elevate profondità
raggiungibili, si attua frequentemente come intervento di messa in sicurezza d’emergenza di un sito
contaminato in attesa dello sviluppo di un progetto di bonifica e della realizzazione dei lavori.
Le barriere idrauliche vengono anche
utilizzate durante le fasi operative delle
bonifiche per mantenere un presidio di
sicurezza (cioè quando attuo una
bonifica a rischio posiziono una barriera
a valle in modo da attivare nel caso che
qualcosa non funzioni correttamente o
anche per usare due tecniche di
bonifica).
Quindi, le acque sono pompate e
raccolte in superficie in serbatoi di immagazzinamento e successivamente convogliate a impianti di
trattamento per separare o abbattere i contaminanti, fino a raggiungere concentrazioni conformi ai
limiti di accettabilità per le acque, prima della loro reiniezione nel sottosuolo, del loro riutilizzo,
oppure dello scarico in corpi idrici superficiali (limiti inferiori) o in fognatura (limiti superiori). C’è
anche il caso di reiniezione in falda, ma ciò deve essere finalizzato all’intervento di bonifica. La
tecnica si presta alla rimozione di inquinanti miscibili con l’acqua o della frazione solubile di una
contaminazione da NAPL. Non è invece efficace per rimuovere NAPL come saturazione residua.

78
A lato si possono vedere alcune
modalità operative: ci sono 3 scenari
in cui io posso trattare una zona
contaminata:
A) barriera: il pozzo arresta la
propagazione verso valle (semplice
contenimento);
B) barriera parziale: il pozzo
interrompe i flussi inquinati entro
una certa distanza dalla sorgente,
lasciando a meccanismi di
attenuazione naturale il risanamento della porzione residua delle acque sotterranee;
C) risanamento: i pozzi estraggono completamente le acque contaminate inviandole al trattamento.

Abbiamo detto che tale sistema si presta a trattare inquinanti solubili, ma è importante sapere anche
le caratteristiche dell’acquifero. Ho 4 casi:

a) Acquifero omogeneo permeabile con sabbia e ghiaia  il contaminante è grigio, le linee nere
rappresentano la zona di influenza del pozzo, il contaminante è chiamato verso il pozzo e in
breve tempo le concentrazioni scendono e ho la fine della bonifica. In questo caso ho buone
possibilità di intervento.

b) Acquifero stratificato permeabile con sabbia e ghiaia - sabbia  qui il pozzo è fenestrato su
tutto l’acquifero richiama acqua da quello a maggior conducibilità idraulica che si pulisce
prima; quello a minor conducibilità idraulica si pulirà in un tempo più lungo.

79
c) Acquifero omogeneo con sabbia – ghiaia e lenti di argilla  questi orizzonti argillosi hanno
capacità di assorbimento del contaminante e hanno la conducibilità idraulica ridotta (il flusso
idrico privilegia le zone a maggior conducibilità e pian piano la lente rilascia la sua
contaminazione un po’per diffusione e dispersione; in questo caso avremo una tailing molto
lunga. Se si allungano i tempi di bonifica, si allungano i costi della fase di monitoraggio, costo
energia elettrica e depurazione.

d) Acquifero omogeneo con sabbia – ghiaia con lenti di argilla e NAPL  in questo caso non
posso arrivare alla fine della bonifica ma posso solo contenere il NAPL; la concentrazione
diminuisce e poi rimane costante perché arriva il flusso idrico; se fermo il pozzo la
concentrazione risale perché il flusso di acqua va più lenta ed entra in equilibrio con le fasi
separate e diluisce il NAPL.

In alcuni acquiferi, per alcuni composti molto adsorbiti e in presenza di alcuni fasi separate di NAPL,
la decrescita delle concentrazioni è lenta (tailing) e la decrescita è asintotica fino a concentrazioni
residue superiori ai
limiti di qualità delle
acque sotterranee. I
tempi di
disinquinamento sono
lunghi. Interrompendo
il pompaggio è possibile
la presenza di
concentrazioni di
“rimbalzo” (rebound) con una nuova comparsa degli inquinanti. La figura sopra mostra i 2 casi, il

80
primo di un trattamento che arriva a termine (curva azzurra) e il secondo caso dove la concentrazione
diminuisce più lentamente e vi è un rimbalzo appena spengo il pozzo (curva arancio)  ciò vuol dire
che vi sono delle lenti che assorbono contaminante oppure saturazione residua in NAPL che a contatto
con l’acqua rilascia contaminante.
Ricordiamoci che la fase di NAPL in fase libera è il 64%, in fase residua il 35% e disciolta è l’1%;
se andiamo a vedere il volume di acque contaminante l’1% corrisponde al 79%, il 35% corrisponde
al 20% di bollicine e il 64% all’1%.
Quindi le cause del tailing e del
rebound sono da ricercare nella
presenza di fasi separate in
ritenzione di NAPL; la bassa
velocità di desorbimento dei
contaminanti in relazione alla
velocità del flusso idrico e di
rimozione degli inquinanti. Il grafico
sotto mostra la relazione tra la
concentrazione disciolta di
contaminante e il tempo di contatto.
Più l’acqua diminuisce la sua
velocità, più le concentrazioni
salgono. Quando la velocità è alta e il pozzo è attivo abbiamo un opera di diluizione e le
concentrazioni decrescono. Quindi, le variazioni di concentrazione nelle acque sono dovute alla
variazione di velocità delle acque e alla diffusione da
corpi poco permeabili a corpi permeabili durante il
prelievo di acque da pompaggio.
Qui a lato sono visibili 4 casi: a) caso di tranquillità
in cui ci sono le isopiezometriche, b) linee di flusso
da NE a SW, c) effetto di depressione particolarmente
evidente a monte, d) visibile in azzurro la zona di
cattura. La zona di influenza del pozzo mi rappresenta
la portata che io sto estraendo. La zona di cattura a
monte è maggiore di quella a valle.

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La figura sopra mostra un reticolo di flusso in cui le portate in un tubo di flusso sono uguali per
definizione, quindi tutte le variazioni che si vedono sono date dal pozzo. Il tubo di flusso largo ha una
portata molto ridotta. Il fronte di richiamo F all’altezza del pozzo è dimezzato. La linea blu è lo
spartiacque. Importante è ricordare la distanza dal punto di stagnazione e il pozzo.
Il prelievo del pozzo, e quindi l’azione di disinquinamento, interessa il solo volume di acquifero
compreso nella zona di cattura del pozzo, tridimensionale. Partendo dalla formula del fronte F = Q/Ti,
ribaltiamo la formula e otteniamo che la portata che entra Q = F Ti dove T è la trasmissività (K*b), F
è la larghezza e i il gradiente. Quindi si ha il fronte e b che ci dà l’area e K*i che mi dà la portata
unitaria; quindi abbiamo la portata unitaria attraverso l’area. Ciò significa che la portata Q cambia in
funzione della variazione del gradiente o di K. Se aumento il gradiente per avere la stessa Q il fronte
si riduce. Il fronte può essere espresso con diverse formule come si vede dallo schemino sotto.

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Se cambia il gradiente idraulico i cosa succede ? la sua variazione significa che la velocità portata
aumenta a parità di flusso. Se la portata aumenta il fronte si chiude. Quindi, nella figura sotto con
i=0.01 (nella quarta immagine) e ho 5 pozzi che
con i relativi fronti e posti uno accanto all’altro
mi fanno la barriera idraulica. Durante l’anno
capita che la portata Q cambia e se aumenta il
fronte si chiude e la distanza tra i pozzi della
barriera diventa troppo grande e la barriera
inizia a perdere. Se aumenta il gradiente cosa
succede alla linea di cattura ? si stringe.
In genere le barriere sono fatte con pozzi
completi che arrivano a un livello permeabile di
base.

Con un pozzo di resa monte del pozzo di presa(con reimmissione dell’acqua depurata) è possibile
ottenere un lavaggio più rapido del terreno inquinato (aumenta il gradiente idraulico e quindi la
velocità del flusso). Lo spartiacque sotterraneo assume la forma di un ellisse con n.2 punti di
stagnazione, indicando un funzionamento a circuito chiuso. Pozzi di resa devono essere posti al di
fuori del pennacchio inquinato, per non generare una zona da cui l’inquinante non viene più estratto.
La posizione dei pozzi deve essere ben disegnata, eliminando interferenze, e il sistema ben
monitorato.
L’influenza del richiamo del pozzo in regime transitorio si amplia nel tempo fino a stabilizzarsi,
raggiungendo condizioni di regime stazionario. Il regime stazionario deve essere considerato per la
progettazione. In regime stazionario le dimensioni dell’area interessata sono:

- L’influenza verso valle si trasmette fino al punto di stagnazione distante dal pozzo xs;
- La larghezza del cono d’influenza all’altezza del pozzo è data da E;
- A monte, a distanza infinita dal pozzo, la larghezza massima del fronte di alimentazione è F;

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Le caratteristiche della barriera sono: l’ubicazione e spaziatura dei pozzi (direzione e gradiente, carte
idrogeologiche, misure piezometriche), ubicazione dei tratti fenestrati (escursione stagionale del
livello di falda, monitoraggio livello piezometrico, soggiacienza e spessore falda) e portata di
esercizio (parametri idraulici, raggio di influenza, prove di pompaggio, localizzazione pozzi
limitrofi).
Gli strumenti per il dimensionamento delle barriere idrauliche sono 2: modelli analitici e modelli
numerici. I modelli numerici sono i più complessi e comprendono (acquifero eterogeneo e anisotropo
variabilità campo di moto, limiti al contorno, variabilità dei termini sorgente e pozzo); i modelli
analiti, invece, riguardano acquiferi omogenei e isotropi, falda cilindrica e limiti al contorno che non
influenzano il campo di moto. I metodi analitici usano semplici calcoli per localizzare il punto di
stagnazione e la zona di cattura. I metodi grafici usano grafici per definire il numero di pozzi e la
portata necessaria a produrre una zona di cattura sufficiente a contenere il pennacchio. Entrambi i
metodi consentono l’analisi di una configurazione di 2 o più pozzi; per determinare la distanza
minima tra i pozzi si usa un’analisi algoritmica.
È possibile utilizzare lo schema della zona di cattura.

- Si delimita il pennacchio inquinante (tracciando l’isocona corrispondente alla CSC o CSR);


- Si determina la larghezza massima L (m) del fronte inquinante (misurata perpendicolarmente
ad una linea di flusso);
- Si attribuisce il valore di L ad F;
- Si ricavare il valore di Q (m³/s) da assegnare al pozzo.

Il pozzo può essere avvicinato al pennacchio di contaminazione, in teoria fino al


limite estremo (non praticabile in quanto eccessivamente rischioso) di attribuire il
valore di L ad E.
In tal caso si riesce a estrarre acqua con concentrazioni maggiori, ma le portate necessarie sono anche
maggiori.

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In caso di elevata estensione della zona contaminata, o di elevata portata Q da prelevare, o di bassa
trasmissività T, l’abbassamento nel pozzo può essere eccessivo, quindi la barriera deve essere quindi
costituita da più pozzi.

Metodi grafici
Javandel nel 1986 costruì dei grafici in cui si hanno curve adimensionali che rappresentano il fronte.
L’asse x è un’area che in questo caso va da 1000 a 1000 e quindi sono 2000 m. Le linee del fronte ci
dicono come varia F in funzione dell’area. Questi abachi li uso se li sovrappongo alla mia situazione
purché le scale coincidano; se io conosco il fronte e le caratteristiche dell’acquifero posso ricavare la
posizione e la portata del pozzo.

Il procedimento per l’utilizzo di tali curve è semplice:


- Delimitare il pennacchio inquinante tracciando l’isocona della CSC o CSR;

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- Sovrapporre all’abaco il pennacchio in scala e in modo che la direzione del flusso coincida
con l’asse x dell’abaco;
- Individuare lo spartiacque (Q/T*i) che racchiude perfettamente la zona inquinata;
- Moltiplicare il valore Q/T*i per il valore T, i della falda;
- Il risultato è il valore di Q della portata necessaria per il pozzo.

La teoria è formulata assumendo un acquifero omogeneo, isotropo e con flusso bidimensionale; in


falda freatica è valida se l’abbassamento dei pozzi di pompaggio è piccolo rispetto allo spessore della
falda. Non considera la dispersione idrodinamica. Utilizzando le equazioni relative al pozzo artesiano
in una falda freatica si compie un errore che deve essere di volta in volta valutato.
In caso di elevata estensione della zona contaminata, o di elevata portata Q da prelevare, o di bassa
trasmissività T, l’abbassamento nel pozzo può essere eccessivo, quindi la barriera deve essere quindi
costituita da più pozzi.
- Se il pozzo non è in grado di fornire la portata determinata si ripete la sovrapposizione col
grafico relativo a 2 pozzi;
- Si determinano le portate singole dei pozzi tenendo presente che i pozzi si influenzano
reciprocamente e che quindi non si può emungere da ognuno la portata che essi darebbero
singolarmente con il medesimo abbassamento;
- In caso le portate siano ottenibili, l’ubicazione dei pozzi corrisponde a quella nell’abaco, ma
la distanza ottimale dei due pozzi dipende dalla curva tipo prescelta e deve essere determinata
con la relativa equazione;
- In caso le portate non siano ottenibili si riprova con gli abachi relativi a 3, 4, 5 pozzi in
successione.

Qui sopra le formule per trovare rispettivamente a o distanza massima


tra ogni coppia di pozzi e il punto di stagnazione. I valori A e B sono tabulati.
Se invece la prova a gradini non è disponibile esiste una soluzione grafica per la falda libera per
calcolare la relazione tra portata e abbassamenti nel pozzo.

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Il grafico sopra per utilizzarlo si parte da sinistra con il calcolo del rapporto h0/H poi mi trovo i/(H/r0)
che andrà a intersecare la curva che mi ero trovata prima, poi riporto sull’asse y e mi trovo la portata
Q massima per quel pozzo.

Vediamo ora le situazioni complesse che vengono risolte con modelli numerici. Costruzione di un
MODELLO DI FLUSSO che simuli in regime permanente (condizioni cautelative) l’effetto dei
prelievi sulla morfologia della falda, considerando anche le condizioni esterne quali la ricarica
dell’acquifero e la presenza di limiti idrogeologici. Considera più correttamente il contesto
idrogeologico e la presenza di più pozzi, disposti in modo irregolare e/o con portate di pompaggio
differenti. Evita un eccessivo sfruttamento delle risorse idriche e la diminuzione di efficienza di
pozzi per interazione nel reciproco raggio d’influenza. I metodi in uso sono WHPA, MODFLOW,
MODPATH e MT3D.
I modelli numerici si dividono in semi-analitici e numerici: i primi ottengono simulazioni
dell’andamento delle linee di flusso e della zona di cattura utilizzando modelli di flusso potenziale
(WHPA, RESSQ, DREAM). I risultati forniti da questi modelli dipendono fortemente dalla veridicità
delle ipotesi iniziali e ipotizzano condizione di acquifero omogenee e isotrope. I modelli numerici,
invece, sono usati per ottenere analisi tridimensionali interessanti in condizioni eterogenee degli
acquiferi con disposizione varie dei pozzi (MODFLOW). Il prodotto di questi modelli numerici di
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flusso è elaborato tramite software di tracciatura delle particelle (MODPATH, PATH3D) per
determinare le linee di flusso e le zone di cattura di sistemi presso siti a configurazione complessa; I
modelli di trasporto, abbinati a quelli di flusso, come PATH3D ed MT3D permettono di simulare
anche le variazioni di concentrazione dei contaminanti che si possono registrare ai pozzi-barriera in
funzione.
La limitazione del dimensionamento con procedure informatizzate è che i pozzi li dobbiamo inserire
noi nel reticolo di flusso.
I fattori di influenza sono vari.
- Corretta determinazione dei parametri idraulici (T, i);
- Andamento delle oscillazioni piezometriche in quanto determinano: Variazioni stagionali
del gradiente idraulico (normalmente del 100%); Variazioni della direzione del flusso idrico;
- Raggiungimento del regime stazionario;
- Pozzi incompleti;
- Eterogeneità e anisotropie dell’acquifero;
- Caratteristiche del contaminante.
Il flusso non è più radialpiano, ma è deviato dal richiamo del pozzo: la profondità della zona di
richiamo è ridotta ed è anche influenzata dal gradiente, dall’anisotropia verticale e dallo spessore
dell’acquifero.
Prima di raggiungere la situazione stazionaria lo spartiacque assume forme via via in espansione; nel
periodo di regime transitorio parte dell’acqua inquinata continua a passare a valle della barriera e
rilevata nei piezometri. Il controllo dell’efficienza della barriera deve essere fatto a regime
stazionario raggiunto. Aumentare la portata non riduce i tempi di regime transitorio (doppia
portata=doppie distanze =tempi doppi).

Ottimizzazione del sistema


Obiettivo  Raggiungere una configurazione delle captazioni che garantisca la minor portata da
prelevare con la massima efficacia d’intervento sulla zona contaminata (massima estrazione del
contaminante) in modo da ottimizzare i costi di investimento e di gestione del sistema.
Variabili da monitorare  Le altezze idrauliche (caratterizzano il flusso idrico sotterraneo) devono
garantire il confinamento del pennacchio; le concentrazioni(definiscono il trasporto dei contaminanti)
devono subire la minima diluizione durante il funzionamento del sistema massima efficacia
idrodinamica e massimo rendimento di recupero).

88
La rete di monitoraggio viene progettata sulla base del modello idrogeologico e consente di
controllare periodicamente i livelli piezometrici e la qualità delle acque in afflusso da monte ed in
transito a valle rispetto a quelle prelevate dalla barriera.

Piezometri di monitoraggio a monte


• Devono rilevare le caratteristiche chimiche delle acque in arrivo
• Localizzazione deve essere al di fuori di eventuali fonti di contaminazione locali poste all’esterno

Piezometri di monitoraggio all’interno del pennacchio contaminato


• Devono valutare l’estensione dell’area contaminata e la sua progressiva riduzione
• Posizionati all’interno ed alla periferia del pennacchio
• Spesso in parte installati in fase di caratterizzazione, successivamente ottimizzati
• Forniscono indicazioni sulla gestione della bonifica, per esempio sulla distribuzione delle portate
delle singole captazioni.

Piezometri di monitoraggio a valle


• Devono dimostrare la tenuta della barriera idraulica e dimostrare la decrescita dei valori di
contaminazione (se la sorgente è stata rimossa).

Pozzi di approvvigionamento potabile a valle


• Devono considerarsi punti di monitoraggio

Il funzionamento della barriera si deduce dalle misure effettuate sui piezometri della rete di
monitoraggio e sui pozzi.
Efficienza idraulica: estensione della depressione piezometrica ed esistenza dell’interferenza tra i
pozzi barriera;
Efficacia idrochimica: qualità dell’acqua a monte della barriera (in entrata nel sistema), qualità
dell’acqua nei pozzi barriera (acqua inquinata estratta), relazione tra: massa di inquinante estratta e
volume di acqua estratto nello stesso periodo di tempo e confronto tra la massa di contaminante
originariamente presente e quella rimossa.
Efficienza della bonifica: progressiva riduzione dell’estensione del pennacchio.
Qualità dell’acqua a valle: verifica della tenuta della barriera e della decrescita delle concentrazioni
(se barriera rimossa).

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Efficienza idraulica: rapporto tra ampiezza della contaminazione e del fronte di cattura; si esclude
l’ottimizzazione del sistema per L>F.

Efficacia idrochimica: rapporto tra la massa di inquinante rimossa in un dato intervallo di tempo e
il volume di acqua estratto nello stesso tempo.

Efficacia idrochimica relativa (%): percentuale della massa rimossa rispetto alla massa iniziale Mo
al tempo t.

Per raggiungere la massima efficienza ed efficacia della bonifica, si può:


1 -costruire per fasi i pozzi: si crea un sistema iniziale e, tramite un monitoraggio frequente, si
osservano le variazioni indotte sull’acquifero dal sistema; in base a queste variazioni si decide se e
dove collocare il pozzo successivo e quali aliquote di portata prelevare;
2 -in fase operativa, una volta installati e messi in funzione i pozzi, si tara il sistema sul campo,
modulando le portate prelevate e misurando gli abbassamenti nei pozzi e nei piezometri di
monitoraggio

FASE DI MONITORAGGIO IDROGEOLOGICO-IDRAULICO

ADATTAMENTO DEI REGIMI DEI PRELIEVI PER L’OTTIMIZZAZIONE DEL


FUNZIONAMENTO DELLA BARRIERA

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FUNZIONE DI CONTENIMENTO

• Barriera idraulica in funzione con sorgente di contaminazione


attiva
• Trend costante nel pozzo di estrazione
• Efficacia della barriera: diminuzione dei livelli di
contaminazione a valle.

FUNZIONE PUMP & TREAT E


SORGENTE BONIFICATA (a lato)
- Barriera idraulica in funzione con
bonifica della sorgente di contaminazione
- Rapida diminuzione del contaminante nel pozzo di estrazione
- Efficacia della barriera: rapida diminuzione dei livelli di
contaminazione a valle.

Tempistica del Monitoraggio


La cadenza temporale del monitoraggio è definita in base al tempo di migrazione dei contaminanti
nell’acquifero, in quanto deve essere inferiore al tempo che il contaminante impiega a raggiungere la
zona di cattura esercitata dalla barriera idraulica. Le misure saranno più frequenti all’aumentare della
solubilità dei composti e della conducibilità idraulica. Il tempo di migrazione della contaminazione
può essere stimato indicativamente con la formula:

La durata del monitoraggio è diversa per ogni specifica situazione. Analizzare anche le modalità di
alimentazione e deflusso delle falde (escursioni piezometriche, influenza dei prelievi idrici limitrofi.

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Tempo di Funzionamento della Barriera
Le acque contaminate devono essere completamente sostituite da altre non contaminate provenienti
dall’esterno (NB a sorgente rimossa!).
Il volume dei pori relativo al pennacchio contaminato è: VP = ne*Z*A.
Il risanamento della concentrazione iniziale C0 fino alla finale Cf è necessario il seguente numero N
di volumi dei pori VP: NVP = N*VP.
Noto NVP, il tempo necessario si ricava dalla portata del
pozzo.

Qualunque sia la portata ottimale risultante per il pozzo di emungimento, il tempo necessario per la
bonifica è sempre lungo, a meno che non si intervenga con una ricarica a monte di acqua pulita. Non
è consigliabile aumentare la portata:
– si va ad interessare un settore con acqua pulita
– si estrae acqua poco o niente inquinata
– si ha la falsa convinzione di avere migliorato la situazione (in quanto la diluizione riduce la
concentrazione).

Raggiungimento degli obiettivi della bonifica


1-valutazione della necessità dell’intervento e degli obiettivi
2-sistema di disinquinamento in opera
3-fine dell’intervento, dopo aver monitorato C < CMA per intervallo temporale idoneo
4-campionamenti a posteriori per analizzare il ristabilirsi del flusso idrico
5-monitoraggio di controllo del mantenimento dello standard raggiunto
6-dichiarazione di acquifero pulito, o ancora contaminato, sulla base dei risultati raccolti.

La decrescita delle concentrazioni osservata deve stabilizzarsi asintoticamente perché la bonifica


venga considerata a termine. Nell’interpretazione dei dati occorre considerare anche le escursioni dei
valori di concentrazione. Le concentrazioni finali devono essere valutate in relazione agli obiettivi.
Interpolazione dei dati con una funzione polinomiale per la verifica dell’andamento generale (analisi
deterministica) oppure interpolazione di dati con una funzione delle variazioni statistiche delle
concentrazioni (analisi statistica).
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- Raggiunte concentrazioni inferiori agli obiettivi della bonifica per un periodo sufficiente di
tempo si conclude il trattamento;
- Il monitoraggio continua fino alla ristabilizzazione del flusso originario delle acque
sotteranee.
- Un campionamento di verifica del raggiungimento degli obiettivi si effettua dopo almeno 6-
12 mesi dal raggiungimento dell’equilibrio idrodinamico;
- La durata del monitoraggio, conclusa la bonifica, è funzione di: regime
idrologico/alimentazione della falda; tipologia dei contaminanti (REBOUND) uso delle
acque. Esso deve comprendere almeno la massima escursione della falda.

Nel caso le concentrazioni tendano a stabilizzarsi su valori superiori a quelli obiettivo, sono
necessarie strategie diverse:
1. Appofondimento d’indagine
2. Ripresa del pompaggio
3. Pompaggio impulsivo
4. Attenuazione naturale ed analisi di rischio

Pompaggio impulsivo: si opera a tempi alterni di funzionamento/riposo.


Durante il periodo di riposo, per i fenomeni di diffusione, dissoluzione e desorbimento, aumenta la
concentrazione dei contaminanti nelle acque e il trattamento di acque ricche di contaminanti ad ogni
accensione del sistema rende più efficace
il periodo di funzionamento E’
necessario che la fase di riposo abbia un
intervallo di tempo inferiore a quello
necessario alla contaminazione per
migrare a valle del punto di stagnazione,
onde garantire il contenimento idraulico
degli inquinanti.

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Soil Vapor Extraction (SVE)
Essa è una tecnologia di bonifica in situ per la rimozione di inquinanti volatili (VOC) e semivolatili
(SVOC) dal terreno insaturo, nota anche come soil venting.
Esso è un sistema che usa la circolazione dei gas per strippare cioè per volatilizzare le sostanze
trattenute nel terreno: si opera con pozzetti fenestrati nell’insaturo ai quali viene applicato una
depressione rispetto al valore atmosferico; il gradiente di pressione determina un flusso di aria nel
terreno ed il ricambio dei gas interstiziali, la volatilizzazione ed il ricambio di aria induce fenomeni
di diffusione e desorbimento dei contaminanti che volatilizzano; la ventilazione induce la
volatilizzazione degli inquinanti dalla fase solida e liquida nel terreno e da eventuali NAPL, i
contaminanti d’interesse devono essere volatili e poco solubili per diffondere facilmente nell’aria dei
pori, i gas estratti devono essere trattati con modalità dipendenti da tipo di contaminante e dalla massa
estratta.Le sostanze per essere estratte devono avere alcune caratteristiche (tipo benzene, toluene,
TCE e PCE):
- Pressione di vapore > 0.5 – 1 mmHg
- Costante di Henry > 0.001 atm*m^3/mol

Il terreno deve essere permeabile all’aria (perme. Relativa  grado di sat. Basso): K > 10-8 cm3
L’umidità del terreno impedisce la circolazione di aria e inoltre determina l’estrazione di aria e acqua
quindi è richiesto un grado di saturazione < 50%; la presenza di acqua impedisce l’estrazione di aria,
ed essa è possibile solo se la soggiacenza > 1m; tuttavia, una bassa soggiacienza determina
l’estrazione di aria e acqua e rende necessario predisporre un impianto di depurazione dell’acqua,
quindi è preferibile avere una soggiacienza > 3m; occore quindi valutare l’escursione della falda.
Il sottosuolo deve evare limitata anisotropia ed eterogeneità; la presenza di anisotropieed eterogeneità
(es. stratificazioni) può determinare flussi preferenziali di aria. In particolare, opere di sottoservizio
possono costituire vie preferenziali che
interferiscono con la zona d’influenza del SVE.
Nella figura a sx ho una zona contaminata al di
sopra del livello della falda, il pozzetto 3 di
aspirazione è dentro nell’area contaminata e ho
in alto un compressore che aspira aria dal
terreno; poi vi è un separatore di acqua e infine
l’aria viene depurata. Ho poi un sistema di
monitoraggio attorno con dei piezometri che servono a prendere delle misure. La riga rossa è la

94
superficie impermeabilizzata, perché altrimenti l’aria che arriva sarebbe quella superficiale, invece
qui vogliamo quella profonda.
La varietà di parametri che influenzano i meccanismi base del sistema rende indispensabile effettuare
la determinazione dei parametri dimensionali del SVE mediante test pilota. Il test pilota ci dirà se il
sistema si può usare, se funziona ed è efficacie, quanto costa e quali saranno i tempi di bonifica.
I parametri da determinare per dimensionare gli impianti sono 2: la permeabilità del terreno al gas
e il raggio d’influenza dei pozzi; quelli invece per dimensionare il sistema di trattamento sono
sempre 2: concentrazione nel gas estratto e flussi di massa d’inquinante attesi.

L’impianto è quindi costituito da 1 o più pozzi di aspirazione nella zona contaminata, con fenestratura
limitata allo spessore contaminato e sistema di aspirazione di aria (misure: depressione con
vacuometro, portate estratte con flussimetro, campionamento gas); almeno 3 piezometri (spesso
multilivello) di monitoraggio dell’instauro disposti a raggiera a diverse distanze (misure:
depressione).
Riassumendo, quindi le finalità del test pilota sono:
- Valutazione della permeabilità al gas e del raggio d’influenza;
- Valutazione delle concentrazionid’inquinante nel gas estratto (per SVE);
- Valutazione del temponecessario a raggiungere condizioni stazionarie nel sottosuolo.

E, l’esecuzione del test pilota si riassume con i seguenti steps:


- Si estrae una portata costante di aria dal pozzo e si misurano le depressioni indotte nel tempo
nei punti di monitoraggio;
- la durata della prova è di giorni, fino al raggiungimento di condizioni stazionarie.

Interpretazione dei dati


Permeabilità del terreno all’aria: la misura delle variazioni di depressione rispetto alla distanza dal
pozzo di aspirazione consentono il calcolo di T mediante relazioni simili a quelle adottate nelle prove
di pompaggio dei pozzi per acqua.

Raggio d’influenza: si ottiene dalle misure fatte durante il test pilota, graficando la depressione in
funzione della distanza (forma del cono). Esprimendo la distanza in forma log, R è determinato su un
grafico lineare alla distanza alla quale la depressione si avvicina a zero (< 1 mbar).

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Massima distanza dal pozzo a cui è possibile indurre una variazione di pressione: R cresce al crescere
della portata di aria, della profondità dei pozzi, dell’anisotropia del terreno; R diminuisce al crescere
della permeabilità della superficie e del grado di saturazione. La determinazione di R consente la
progettazione della spaziatura dei pozzetti di aspirazione. Il numero di pozzetti che devono essere tra
loro coalescenti, è deciso in funzione del raggio di influenza R, parametro fondamentale per la
progettazione.

Quindi, la progettazione del sistema SVE – BV si avvale dei dati ottenuti dal test pilota: si individua
il numero e l’ubicazione dei pozzi necessari per la copertura della zona da trattare, mediante
sovrapposizione delle aree che rappresentano la zona d’influenza di ogni pozzo. Inoltre, definisce l
portata complessiva di aria da estrarre.
È importante la taratura dei sistemi in campo sulla base dei successivi dati di monitoraggio.

UBICAZIONE E N. POZZETTI
Le aree d’influenza dei pozzi di estrazione devono in parte sovrapporsi e garantire la copertura totale
dell’area contaminata.

PORTATE DI INTERVENTO
Il tasso di ricambio dell’aria presente nei pori è generalmente di 1-3 volte al giorno. La portata
complessiva necessaria viene ottenuta con uno o più pozzi di aspirazione, in funzione del sito e del
contaminante; il numero totale dei ricambi di aria necessario al raggiungimento della bonifica è
strettamente legato alla specificità del sito e varia tra 200-400 e 2000-5000.

96
Le finalità del monitoraggio sono:
- taratura dei parametri di funzionamento del sistema;
- verifica dell’efficacia ed efficienza del sistema installato (raggio d’influenza effettivo e entità
del contaminante estratto);
- determinazione della chiusura del trattamento.

VERIFICA ANDAMENTO BONIFICA


La progressiva diminuzione della concentrazione in falda, raggiungimento di un livello asintotico,
composizione dei gas interstiziali; l’ordine di volatilizzazione è da quelli più leggeri e volatili a quelli
meno volatili, esecuzione del bilancio di massa (Massa estratta/Massa sversata nel suolo); massa
estratta prossima o uguale a massa sversata (definita nel modello concettuale). Non sono previste
dalla Legge concentrazioni soglia dei gas interstiziali come indice di contaminazione del terreno, per
cui per il collaudo della bonificaviene in genere richiesto un campionamento diretto del terreno, da
effettuarsi al termine dell’intervento per la determinazione della soglia di contaminazione sul terreno.
Possibile anche effettuare un confronto delle concentrazioni dell’aria estratta con valori soglia
(normativa straniera) per il gas interstiziale. La figura sotto mostra l’andamento delle C osservate in
un intervento SVE e calcolo
della massa rimossa dal terreno.
Nel grafico sono rappresentata 2
curve: la prima è quella cumulata
ottenuta aggiungendo massa
ogni gg, la seconda sono misure
verticali singole per ogni gg. I
primi gg sono importanti e
all’inizio devo fare tante misure
e poi man mano diminuiscono.
97
Le azioni da effettuarsi nella fase finale, per assicurarsi che non siano presenti residui di contaminante
nel terreno (effetti rebound), e quindi procedere al campionamento del terreno, sono:

• raggiunto un valore asintotico di risanamento (= assenza di variazioni significative nella


concentrazioni e composizione dei gas), si procede allo spegnimento del sistema.
• si attende un periodo di tempo (da 30 a oltre 100 giorni in relazione alla mobilità dei contaminanti)
e si procede di nuovo al campionamento.
• se viene confermata la situazione si ritiene superato il controllo e si può procedere al prelievo di
campioni di terreno per le analisi;
• se non viene confermata la situazione, si creano configurazioni di immissione ed estrazione di aria,
alternando i pozzi nel tempo.
• si alternano periodi di pompaggio a periodi di spegnimento del sistema e si prelevano campioni di
gas all’inizio di ogni fase di pompaggio fino ad osservare un decremento di concentrazione dei
composti volatili.
• quando le concentrazioni si saranno attestate su valori stabili, si considera concluso l’intervento e si
procede al campionamento del terreno.

98
Bio Venting (BV)
Se avessi gasolio che è costituito da parti sono più volatili e parti meno volatili, come posso fare a
levare la parte non volatile??  posso fare la biodegradazione come? immetto aria calda o fredda
favorisco la biodegradazione del contaminante residuo non eliminato dallo strippaggio  detto
bioventing.
Esso è simile per configurazione del sistema alla tecnologia SVE, ma la ventilazione indotta nel
terreno è finalizzata alla biodegradazione dei composti. Si presta quindi per la rimozione di inquinanti
organici biodegradabili per via aerobica, anche se poco volatili.

Metodologia
Si opera con pozzetti fenestrati nell’insaturo ai quali viene applicata una pressione di aria in modo da
determinarne la ventilazione • I gas interstiziali vengono sostituiti da gas ricchi in O2 o da aria
ambiente con tenore di O2 a saturazione, adottando modalità atte ad ottimizzare la biodegradazione
aerobica dei contaminanti • I sistemi SVE e BV possono essere utilizzati nel medesimo impianto in
sequenza (es. nel caso di un’alta concentrazione di composti volatili biodegradabili che richieda un
abbattimento iniziale consistente) potenziando l’uno o l’altro dei due differenti meccanismi di
rimozione (fisico SVE e biologico BV).

Differenze tra SVE e BV


EFFICACIA
SVE sui composti volatili e BV sui composti biodegradabili;
TRATTAMENTO CONTAMINAZIONE
SVE avviene in superficie e BV avviene nel sottosuolo;
VENTILAZIONE
SVE finalizzata allo strippaggio (portate elevate per determinare
rimozione advettiva dei vapori) e BV finalizzata alla biodegradazione
(portate ridotte, per evitare migrazione dei vapori fuori dell’area da
trattare).

Rispetto al SVE acquista importanza la: BIODEGRADABILITA’ IN AMBIENTE AEROBICO

99
La valutazione di un intervento di bioventing richiede la determinazione della quantità di
contaminante volatilizza rispetto a quella biodegradata. La presenza di elevate concentrazioni di CO2
e la scomparsa di O2 sono un segnale della degradazione in atto.

Test pilota: Test Respirometrico in situ


Finalità: valutazione delle potenzialità
biodegradative degli inquinanti nel sito;
Esecuzione: viene ossigenato il terreno insufflando
aria per un tempo adeguato (circa 24 h) • si spegne il
sistema e si misurano le concentrazioni di CO2 e di
O2 dell’aria nei pozzi di monitoraggio TEST
• Si segue il decremento di O2 nel tempo fino a valori
del 5% v/v • dal segmento rettilineo della relazione
O2-tempo si determina il tasso di consumo di O2
(kO) e di incremento
di CO2.
Una pendenza della
retta kO >
1.0%/giornoindica la
possibilità di
applicazione del
BIOVENTING.
Utilizzando kO è possibile calcolare il tasso di biodegradazione degli inquinanti kB(mg/kg/giorno).

Tasso di biodegradazione  massa di contaminante


degradato per kg di terreno al giorno;

100
Risultati conseguiti dalla prova
- applicabilità del metodo;
- quantità totale dei contaminanti degradabile;
- portata di progetto ottimale (dipende da: tasso di consumo di O2, volume del terreno da
trattare, porosità);
- tempo necessario alla bonifica.

TEMPO NECESSARIO ALLA BONIFICA

101
Air sparging
L’air sparging è una tecnologia che usa aria per il disinquinamento dell’acqua; il termine “Air
Sparging” significa spargere aria al di sotto della
superficie piezometrica: cioè si inseriscono dei pozzetti
in acqua nella zona contaminata, spingendo aria
nell’acquifero, l’aria si trova a risalire perché più leggera
dell’acqua e risalendo fa uno strippaggio cioè volatilizza
il contaminante disciolto in acqua. Questa tecnica
aumenta la concentrazione dell’ossigeno in acqua
favorendo la biodegradazione. I contaminanti che
possono essere eliminati con questa tecnica sono quelli
volatili, i VOC. I gasi liberati nel sottosuolo vengono poi
estratti
con un sistema di Soil Vapor Extraction cioè pozzetti
che aspirano l’aria. Quindi l’aria che è liberata dalla
zona satura e va nell’insatura deve essere catturata dal
soil venting e portata in superficie per essere eliminata.
Anche in questo caso come nel venting, qui esiste un
air sparging ed un bio sparging: la riduzione dei flussi
favorisce l’ossigenazione e la biodegradazione dei
contaminanti meno volatili. Come si vede nel grafico a lato, la % di rimozione è molto alta tramite
strippaggio nel caso di sostanze volatili e man mano che diminuisce la volatilità è più efficiente la
biodegradazione.

Riassumendo l’air sparging può agire su un pennacchio di modeste dimensioni, su composti VOC o
disciolto escluso il LNAPL. Tale tecnica risulta molto efficace per i solventi organo-alogenati e
idrocarburi aromatici, risulta efficace per diesel, jet fuel e acetone e risulta poco efficace per oli
lubrificanti e fluidi idraulici. Inoltre, questa tecnica è applicabile solo a falde NON confinate, perché
nelle falde confinate l’aria non riesco a catturarla. Per quanto riguarda la profondità di utilizzo della
tecnica non deve essere superiore a 12-15 m in quanto la pompa oltre tali profondità non riesce a
iniettare aria (inietta max 1 atm). L’acquifero deve essere permeabile perché deve far circolare l’aria
verticalmente, deve essere omogeneo, isotropo, una conducibilità alta verso l’alto e assenze di vie
preferenziali; eterogeneità nella stratificazione possono causare l’espansione laterale del pennacchio.

102
Infine, la zona vadosa (insatura) devono esserci terreni permeabili, possibilità di installare soil vapor
extraction e controllo dei percorsi dei gas (vale per il soil venting).

Anche in questo caso l’iniezione di aria avrà dei raggi di influenza, quindi io dovrò far si che diversi
pozzetti siano tra loro coalescenti per intervenire sulla contaminazione. Qui sopra vediamo il caso di
una sorgente con dei pozzetti e la finalità in questo caso è rimuovere la sorgente oppure è il
contenimento del pennacchio oppure posso fare pozzetti su tutta l’are acontaminata operando
contemporaneamente su tutto il pennacchio.
Se immetto aria in un acquifero creo la situazione di 2 fluidi immiscibili tra loro: ho i pori occupati
di aria e acqua, la permeabilità diminuisce quindi anche la conducibilità idraulica. L’acqua che da
monte arriva in questa zona, trova una zona a minor conducibilità e quindi la raggira. Se io faccio una
barriera che diminuisce la conducibilità idraulica, l’acqua trovo una zona a minor conducibilità,
oltrepassa la barriera e si ha contenimento più largo quindi.

Quindi l’air sparging si usa per bonificare la zona sorgente facendo un contenimento della
contaminazione disciota favorendone la biodegradazione; bonificare il pennacchio con una griglia di
pozzi a iniezione dell’intero pennacchio; contenimento del pennacchio con pozzi ortogonali al flusso
e immobilizzazione contaminante con trasformazioni chimiche (alterazione redox, riduzione
concentrazioni pe rprecipitazione chimica come ossidazione arsenico). Da ricordare che l’iniezione
di aria diminuisce la permeabilità all’acqua e quindi della conducibilità idraulica.

103
La prima cosa che devo fare è iniettare aria in pressione tale che deve riuscire l’aria a uscire in basso
e questa pressione la devo calcolare perché se immetto una pressione troppo forte riesco a fratturare
il terreno e far si che ci siano delle vie preferenziali di aria e il sistema non funzionerebbe più. La

pressione che io devo iniettare sarà dovuta alla colonna d’acqua quindi il peso della colonna d’acqua
PG quindi la profondità (pressione idrostatica). Nella terza figura poi entrano in gioco le forze capillare
perché siamo in una zona dove le forze capillari agiscono sui filtri, sul terreno e sul dreno; quindi la
pressione che io esercito deve essere sufficiente a vincere le forze capillari del filtro, del dreno e del
terreno. Quindi a ciò si aggiunge la pressione di ingresso dell’aria. Dopodichè l’aria una volta rrivata
nel terreno, viaggia verso l’alto trasportando i contaminanti. I terreni che avranno pressione di
ingresso maggiore saranno i terreni fini che hanno forze capillari maggiori. Questo concetto ci fa
capire perché il sistema non funziona sotto i 15 m che è il peso della colonna d’acqua.

Come funzione il sistema ?  io inietto aria che tende a risalire verso l’alto, ma man mano che è nel
terreno si ha una colonna di acqua sopra cioè una resistenza e tende a spingere l’acqua verso l’alto,
ma ci riesce solo in parte; quindi, succede che verso l’alto vi è un innalzamento dell’acqua
(innalzamento transitorio del livello freatico) detto Mounding; l’aria siccome non riesce a spingere
verso l’alto tende ad allargarsi occupando spazi maggiori sino a che l’area del pozzetto si libera e
raggiunge la superficie. Risalendo in superficie, l’aria sale lungo percorsi a bassa resistenza (pieni di
aria) prossimi al pozzetto, mentre le aree laterali si saturano in acqua. Dopodichè l’innalzamento si
dissipa e la situazione si stabilizza.

Quindi ci sono 2 fasi: una in transitorio in cui l’aria incontra la resistenza dell’acqua, la spinge verso
l’alto e si allarga al punto d’immissione; allargandosi cerca percorsi su un raggio più ampio e l’area
di influenza si espande. Dopo si ha una fase stazionaria in cui l’aria riesce a trovare le sue vie verso

104
la superficie utilizzando questi percorsi liberi di acqua per risalire, l’onda di superficie prodotta
scompare e il cono collassa; infine, il flusso di aria diventa stazionario e non riesce a volatilizzare il
contaminante presente in acqua.

1. Il sistema riesce a catturare maggior contaminante nella fase transitoria o stazionaria ?  nella
fase transitoria perché ho una superficie maggiore e quindi coinvolge una area maggiore di
acquifero e contaminante, ma anche perché è maggiore la miscelazione con l’acqua perché
quando si è in fase transitoria ho delle bolle di aria a contatto con l’acqua (l’aria riesce a
prendere per diffusione una buona quantità di contaminante), ma quando si arriva in fase
stazionaria e l’aria risale in pori saturi, il contatto con l’acqua contaminata è molto ridotto.
2. Il raggio di influenza che considero è quello in transitorio o in stazionario ?  in Transitorio
perché è l’unico che agisce.
3. Se il sistema fa cicli transitorio – stazionario, come faccio a far funzionare il sistema sempre
in transitorio ?  accendo e spengo il pozzo
4. Come faccio a valutare quando finisce lo stato transitorio ?  quando l’onda superficiale si
annulla.

La fase transitoria è quella di massima miscelazione aria – acqua perché vengono raggiunte aree
laterali altrimenti escluse in stato stazionario. L’iniezione di aria ad impulsi facilita la miscelazione;
la durata e frequenza dell’impulso è stabilito sulla base della durata della fase transitoria
d’innalzamento misurata.
Se si ha un LNAPL libero è meglio non usare questo sistema perché quando inietto aria, si ha
innalzamento e LNAPL scivolerebbe ai lati espandendosi e andando a inquinare zone più grandi.

Anche qui vi è un test pilota su cui misurare una serie di parametri come la zona d’influenza, la portata
di aria da iniettare, la pressione dell’aria e la concentrazione di VOC nell’insaturo (serve per lo SVE).
Le condizioni per effettuare un test pilota è che sia effettuato in una zona con concentrazione
105
intermedia di contaminanti, ci sia assenza di LNAPL in superficie e che ci sia un test pilota di soil
vapor in contemporanea.
L’impianto del test pilota sarà costituito da un pozzetto che inietta aria, un venting che aspira,
monitoraggio nell’acqua e nell’insaturo: tutto ciò in 3 pozzetti laterali per ogni monitoraggio a
distanze diverse. I pozzetti sono dei piezometri con filtri al massimo di 30 cm di lunghezza; il filtro
lo metto sotto la zona contaminata perché deve essere catturando durante la risalita.
Prima della prova il sistema SVE deve funzionare fino alla stabilizzzione delle concentrazioni
rilevate. Per valutare il raggio di influenza esistono 2 metodi:
- misuro tenore di ossigeno perché l’aria ne aumenta il tenore;
- se io sigillo il piezometro e metto un manometro in superficie, misuro la pressione
atmosferica.

Ci sono misure AS e SVE:


- AS  misure delle portate, pressioni di iniezione aria, livello piezometrico, concentrazione
contaminante, ampiezza distribuzione aria in falda;
- SVE  concentrazione del contaminante con valutazione efficienza di rimozione VOC,
misurare raggio di influenza che è più ampio in genere di quello dello sparging.

Tutto ciò fa si che io riesco a impostare il progetto di bonifica. Quindi utilizzando i dati del test pilota
(portate e numero pozzi di iniezione) tra cui portata/raggio, portata/recupero VOCs e portata/O2 in
falda. Si individuano i pozzi necessari per la copertura della zona da trattare mediante sovrapposizione
delle aree che rappresentano la zona di influenza di ogni pozzo; si definisce una portata complessiva
di aria da iniettare.
Quindi nella progettazione del sistema AS avrò dei pozzi di diametro 1-4’’, in PVC, sigillati; avrò la
portata dell’aria, pressione di iniezione, distanza tra i pozzi che dipende dalla zona d’influenza,
lunghezza dei filtri al max 30 cm, profondità di iniezione che dipende dalla distribuzione del
contaminante. In genere nella zona contaminata la messa in opera dei pozzetti è focalizzata a tale

zona.
106
I pozzi AS e SVE in funzione fanno parte integrante della rete di monitoraggio. I parametri da
monitorare sono la portata e prssione dell’aria in entrata (SVE), la frequenza degli impulsi di aria
imposti, livello piezometrico, la concentrazione di ossigeno in aria e in acqua, l’andamento delle
concentrazioni del VOC in aria e in acqua.
In base ai dati monitorati si modificano i parametri di funzionamento e i dati guidano un eventuale
passaggio da AS a BS (ottimizzazione sistema).

Per capire se il sistema funziona devo vedere la decrescita delle concentrazioni in falda, decrescita
VOC nei sistemi di recuperio di aria, diminuzione della concentrazione di anidride carbonica e
aumento delle concentrazioni di ossigeno, riduzione della concentrazione dei VOC in falda dopo lo
spegnimento del sistema. A questo punto si possono chiudere i lavori.

NB. La valutazione della massa estratta è ancora la somma nel tempo della concentrazione nell’area
per la Q.

In genere, questo sistema funziona molto bene per pennacchi modesti e se valuto la % rimossa nel
venting rispetto a quella in fald si hanno % di recupero del 95 % per i BTEX e un pochino più basse
per le sostanze pesanti.

Generalmente i tempi di bonifica con Air Sparging va da 6 mesi ai 2-4 anni, che sono variabili in
funzione degli obiettivi di risanamento, estensione e fasi della contaminazione (presenza o assenza di
DNAPL, estensione fase disciolta), della volatilità, solubilità, condizioni geologiche. I costi sono di
circa 15 – 120 euro al metro cubo estratto.

107
Barriere reattive permeabili – BRP
Essa è una tecnica di bonifica recente dal costo alto di messa in opera che è stata sperimentata a
Torino, detta anche PRB. Essa è un muro reattivo che viene impostato trasversalmente al flusso idrico,
a valle rispetto alla contaminazione e agisce in modo tale che l’acqua contaminata attraversandolo si
depuri. Quindi è un sistema in situ, senza bisogno di energia elettrica, che è sepolto, ed è passivo. I
processi chimici e fisici permettono al contaminante di degradarsi.

La BRP può avere 2 configurazioni diverse:


- Barriera permeabile continua  avere un muro continuo che attrvaersa la falda, dove il
plume è intercettato del tutto dal materiale reagente, senza che si abbia un alterazione del
campo di flusso normale; si utilizza per aree contaminate poco estese.
- Funnel e gate  prevede uso di una barriera a bassa permeabilità a forma di imbuto (funnel)
per indirizzare il flusso di acqua dalla regione contaminata ad una zona di trattamento
permeabile contenente il materiale reagente (gate).

Poiché questi materiali reagenti costa moltissimo, per contaminazioni estese si preferisce usare la
seconda configurazione ad esempio. Inoltre, sia la barriera continua sia il funnel possono essere
costituiti da una barriera in serie (cioè più reagenti che possono decontaminare un pennacchio
costituito da sostanze diverse). Va evitato che il flusso passi sopra o sotto la barriera, quindi in genere

108
la sua altezza deve essere superiore all’oscillazione del livello e sotto deve esserci un orizzonte
impermeabile. Alla stessa maniera non deve essere raggirata lateralmente.

Riassumento, le barriere reattive permeabili devono avere una larghezza sufficiente a trattare la zona
contaminata, è molto costosa, è difficile da rimuovere (barriera continua); nel caso del funnel in
genere si hanno zone rettive piccole e il criterio idraulico di progettazione è dato dal numero,
posizione e dimensione dei gate, coducibilità idraulica e materiale reagente.

Il materiale reagente deve essere consono a fare reagire determinate sostanze; c’è quindi una scelta
del materiale; per fare reazioni veloci devo avere un elevata superficie reattiva, deve essere fine ma
non troppo perché più fine significa minore conducibilità idraulica. Deve essere del materiale che non
si degrada nel tempo, deve essere disponibile e avere un costo rlativo e non deve contaminare
l’acquifero. I materiali vanno in funzione di quello che devo fare e i più comuni sono i carboni attivi,
zeoliti per i composti organici, ma è molto usato anche il ferro 0 valente.
I meccanismi chimici, fisici e biologici dipendono dalla caratteristica del contaminante e dal materiale
reattivo e portano alla rimozione o all’immobilizzazione del contaminante (precipitazione, ossido –
riduzione, volatilizzazione, biodegradazione, scambio ionico e adsorbimento).

il Fe zero valente agisce su molti solventi clorurati ma anche su metalli come nichel e piombo sono i
composti trattabili dove per i primi si ha degradazione e per i secondi si ha precipitazione. Tra i
composti non trattabili si hanno cloro e perclorato e tra quelli di trattabilità non nota si ha ad esempio
il mercurio e i PCB.

109
Il meccanismo di degradazione può essere riassunto così: si ha ferro zero valente macinato, quindi
polvere di ferro (la si derica ad es. macinando le carcasse delle auto) in acqua. Dall’atra parte si ha il
contaminante che una molecola composta da atomi di carbonio legato al cloro. Succede che il ferro
man mano, si ossida e determina la riduzione del contaminante affinchè liberi uno ione cloruro e si
leghi allidrogeno. In questa sequenza, i solventi clorurati si degradano fino ad arrivare all’etilene che
non ha cloruri. Ogni composto ha costanti di degradazione diverse. Quando i solventi si degradano
uno dopo l’altro, la barriera deve essere tale per cui il tempo di residenza della barriera consenta la
degradazione di tutta la catena. Per tempo dir esidenza si riferisce anche allo spessore della barriera.

Il chimismo della falda all’interno della


barriera cambia in seguito alle reazioni
chimiche: il pH aumenta per le azioni di
corrosione del ferro; è influenzato anche
dal tipo di sostanze organiche che si
formano; il potenziale di redox Eh
diminuisce a valori negativi e l’alcalinità
decresce per la precipitazione di carbonati
e idrossidi.

Nella barriera accade che vi sono dei fenomeni di precipitazione. Se le particelle di ferro 0 valente e
la mia barriera è strutturata in modo tale che il tempo di residenza sia sufficiente a far degradare tutta
la sequenza, quindi avendo una velocità delle particelle ho il tempo di residenza. Se però vi sono dei
fenomeni di precipitazione sulle particelle di ferro, ho un doppio fenomeno. Uno diventano meno
reattive perché hanno l’incrostazione, due il volume dei pori diminuisce. Se la velocità aumenta vuol
dire che il tempo di residenza diminuisce. La barriera ha un tempo di vita perché queste reazioni
fanno si che dopo un dato tempo la barriera non sia più efficiente. Quindi per costruire una barriera
devo conoscere il tempo di degradazione dei contaminanti, devo sapere con quali metalli reagiscono
i contaminanti e devo sapere la durata di vita della barriera. Dopodichè calcolo lo spessore della
barriera e determino le caratteristiche geometriche. Questi dati chimici (tempo di degradazione di una
sostanza nel materiale reattivo o il tempo di vita e quindi la velocità con cui avvengono tali processi)
si analizzano con una prova pilota in laboratorio.
In laboratorio si usano delle colonne in cui si ha il ferro 0 valente, ho un flusso, le velocità devono
essere simili a quelle dell’acquifero, le uniche correzioni sono fatte sulla temperatura. La prova viene
fatta contro flusso in modo che le particelle di aria risalgano verso l’alto.

110
La progettazione della barriera può determinare la localizzazione e la configurazioneideale della PRB
in relazione al deflusso sotterraneo e alla disposizione del plume inquinante, deve stimare la zona di
cattura, deve valutare la possibilità che si generino fenomeni di overflow, underflowo di aggiramento
della PRB (oscillazioni piezometriche e variazione direzione di flusso), determinare la larghezza della
barriera, o del gate e del funnel, stimare la velocità dell’acqua all’interno della PRB e quindi il tempo
di permanenza, stimare lo spessoredella barriera o del gate in relazione alla cinetica del contaminante,
determinare il volume di materiale di riempimento della PRB, determinare la localizzazione
appropriata dei punti di monitoraggio, valutare le conseguenze di perdite di porosità, e quindi di
conducibilità idraulica, della PRB su lungo periodo.

Si arriva cos’ alla fase modellistica di supporto: se ho situazioni in cui varia la permeabilità con
materiale eterogeneo e variazione di gradiente e flusso vengono usati modelli matematici e chimici
che simulano la degradazione. I parametri principlai sono la larghezza dell’area di cattura e il tempo
di permanenza. Uso dei modelli numerici di flusso e trasporto come MODFLOW ma anche modelli
geochimici (degradazione).

Esempio Torino
Vi è una portata che entra con una velocità, che è funzione della
porosità del gate, quindi è maggiore di quella dell'acquifero. Il tempo
di residenza dipende dalla C iniziale a monte della barriera rispetto a
quella che voglio che ci sia a valle e dipende dalla velocità con cui
degrada. Trovo a questo punto lo spessore e posso calcolarmi le
tonnellate di Fe che mi servono. A favore di sicurezza
non si considera né dispersione né ritardo del
contaminante.

111
La realizzazione ha degli elementi che sono:
• profondità dello scavo;
• caratteristiche dei terreni e vincoli geotecnici;
• smaltimento di eventuali terreni contaminati risultanti dallo scavo;
• accessibilità e spazio per la realizzazione del cantiere di lavoro;
• costi.

Mentre le tecniche per la realizzazione del gate sono:


- tecniche di scavo convenzionali;
- trincee continue mediante fresatura;
- tecniche di scavo mediante manufatto (cassone);
- installazione mediante mandrino.

La decisione finale sulle tecniche di costruzione dipende da: condizioni e caratteristiche del suolo,
lunghezza e profondità massima della barriera.

Piezometri a monte, valle ed interni alla PRB. Devono dimostrare:


• adeguata cattura e trattamento del plume (raggiungimento di concentrazioni in falda inferiori ai
limiti previsti);
• assenza di prodotti intermedi tossici;
• assenza di fenomeni di underflow, overflow ed aggiramento;
• correttezza della previsione delle modalità di cattura del plume e dei tempi di residenza all’interno
della cella.

Analisi su prelievi di campioni nella zona permeabile di reazione. Devono indicare e controllare:
• la longevità della barriera;
• eventuali problemi di occlusione dei pori del materiale reattivo;
• esaurimento delle capacità di adsorbimento.

112
Per quanto riguarda i pozzi, tale tecnica costa molto di più rispetto agli altri interventi di bonifica e
presenta numerosi vantaggi e svantagi che sono riassunti nella tabella seguente.

113
Ci sono poi infine 2 tecniche integrative volte alla bonifica e sono: le barriere fisiche e le zone reattive
in situ.

Barriere Fisiche Reattive


La barriera fisica è un muro, cioè è costituita da delle paratie che bloccano perpendicolarmente il
flusso idrico e possono interessare tutto l’acquifero. Il diaframma è interrato e incastrato su un
substrato impermeabile in modo che non lasci passare il flusso idrico. La struttura della barriera
dipende dallo scopo di utilizzo della barriera stessa: ci sono le barriere semplici ad es. quelle della
metropolitana che fermano il flusso idrico (sono barriere a bassa permeabilità in cemento);
ovviamente se io tratto sostanze altamente pericolose questo tipo di barriera non può essere usata, ma
bisogna utilizzare le barriere che al loro interno hanno una barriera molecolare. Nell fig. a è

rappresentata una barriera semplice, nella fig. b una barriera con all’interno una molecolare e nella
fig. c una barriera con quella molecolare e il dreno. In pratica le barriere in b e c sono 2 membrane
con un vuoto in mezzo.

POSIZIONAMENTO
1)Se io ho una discarica a valle di un flusso idrico oppure una zona
contaminata creata da un flusso idrico che crea un pennachio io
posso mettere una barriera a valle per bloccare il flusso
contaminante e mettere dei pozzi di emungimento che tolgono la
contaminazione.

2)Un altro sistema può essere quello di proteggere a monte della


discarica e quindi evitare che il flusso idrico arrivi e magari drenare le
acque più a valle.

114
3)Un'altra tecnica può essere quella di circondare interamente una
contaminazione con una barriera dove sopra viene interamente
impermeabilizzato e sotto confina con un orizzonte argilloso.

4)Se io voglio evitare che dell’acqua tocchi il fondo della


discarica potrei mettere un pozzo di emungimento per
consentire un abbassamento a valle inferiore al livello in modo
che non raggiunga l’acquifero.

Zone Reattive in Situ


Le zone reattive consistono nella creazione di una zona sotterranea in cui il pennacchio in movimento
viene intercettato e permanentemente immobilizzato oppure degradato da composti chimici. La loro
efficacia dipende dalla corretta definizione e dall’ottimizzazione delle reazioni che avvengono tra
reagenti iniettati e contaminanti trasportati dal flusso idrico e tra reagenti iniettati e ambiente
sotterraneo. L’equilibrio che si determina è sitospecifico. Particolarmente importante è la
progettazione di un sistema di monitoraggio locale per il controllo dei processi in atto. Alcune
reazioni usate sono: l’ossidazione chimica, la nitrificazione, la precipitazione dei metalli pesanti, la
degradazione.

REQUISITI
La cosa importante è la reazione che avviene e i tempi i cui avviene: le reazioni dipendono dalle
masse in gioco e dalla velocità della falda che agisce sul tempo di contatto. Importante è poi la corretta
selezione dei reagenti che devono essere efficaci e non tossici; deve esserci l’uniformità della
miscelazione del reagente iniettato nel pennacchio e limitate reazioni collaterali.

FASI
• 1) ricostruzione delle caratteristiche idrogeologiche, chimiche e geochimiche;
• 2) creazione e mantenimento dell’ambiente redox e di altri parametri biogeochimici (pH, O2,
T°C,…);
• 3) selezione della reazione appropriata e dei reagenti da adottare;
• 4) progetto: liberazione e distribuzione dei reagenti nel pennacchio con omogeneità laterale e
verticale.

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CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE
Importante è conoscere le caratteristiche idrogeologiche a scala micro e macroscopica per ottenere
una uniforme miscelazione acqua – reagenti.

REAGENTI
I reagenti sono dei prodotti iniettabili nel sottosuolo per il trattamento in situ di contaminanti nelle
acque sotterranee in funzione della loro degradabilità.
Citiamo qui 4 tipologie di reagenti:
- HRC o “Hydrogen Release Compound” che è un liquido viscoso direttamente iniettato nel
sottosuolo; al contatto con l’acqua si idrolizza rilasciando acido lattico trasformato, per azione
microbica in idrogeno. Si instaura così una declorinazione riduttiva dei solventi clorurati.
- HRC – X che è una variante viscosa di HRC adatto ad approfondirsi nella falda per
raggiungere e trattare gli accumuli “sorgenti” DNAPL
- MRC che libera composti organo solfurati che reagiscono con i metalli (es.:Cromo, Uranio)
formando complessi organo solurati fortemente adsorbiti nel terreno. Col tempo il complesso
diventa parte della matrice del terreno come solfuro. La contemporanea azione riducente
determina anche la degradazione di eventuali composti clorurati (pennacchi complessi).
- ORC o “Oxygen Release Compound” che libera ossigeno determinando condizioni
ossidanti.

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MODALITA’ DI INIEZIONE
La sostanza reagente in falda la si immette con 2
modalità: per gravità o iniezione in pressione.
L’iniezione per gravità è usata per
contaminazioni superficiali; i reagenti tendono a
distribuirsi sulla superficie della falda
ampliandosi lateralmente e la miscelazione nella
zona reattiva avviene per diffusione. La sostanza può essere iniettata con un pozzo ma anche con una
trincea perpendicolare al flusso idrico.
L’iniezione in pressione, invece, è usata per contaminazioni profonde
e si usano pozzi multipli con tanti filtri corti che si susseguono in
profondità detti cluster. Il reagente viene immesso in pressione alla
base di ogni filtro; esso è diluito per evitare ogni migrazione verticale
legata a differenze di densità tra acqua e reagente. La miscelazione
avviene sia per diffusione sia per advezione. La zona di miscelazione in pianta risultante può essere
molto stretta:
- Si diminuisce la spaziatura tra i pozzi (aumento costi);
- Si effettuano cicli di estrazione – iniezione in pozzi limitrofi appaiati; l’acqua estratta può
essere usata per la diluizione del reagente.

ZONE REATTIVE – SISTEMA VYREDOX


Tale sistema è stato messo a punto nelle zone di Cremona, zona caratterizzata da aquiferi ridotti
perché confinati e ricchi di Fe e Mn. La tecnica prevede di mantenere nelle vicinanze del pozzo un
ambiente ossidante tale da arrestare il flusso dei composti inquinanti. In pozzi concentrici al pozzo di
prelievo, prima che il flusso arrivi al pozzo, io immetto acqua ossigenata che porta alla precipitazione
del ferro e del manganese. Quindi l’acqua che risale dal pozzo è priva di metalli.

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ZONE REATTIVE – RICIRCOLO SOTTERRANEO
In questa tecnica le sostanze necessarie vengono immesse in un pozzo in cui si determina un ricircolo
di acqua; una pompa determina un flusso in uscita da filtri alla base del pozzo e l’acqua rientra dai
filtri più superficiali. La tecnica evita l’estrazione di acqua in superficie e la sua reiniezione dopo il
trattamento e le barriere di pozzi sono perpendicolari al flusso. Si ha aumento significativo della
velocità di flusso idrico e garanzia del contenimento del pennacchio.

ZONE REATTIVE – POZZI DI INIEZIONE


L’iniezione può avvenire anche senza creare una circolazione chiusa dell’acqua e servono un numero
sufficiente di pozzi; sono poi possibili diverse configurazioni con solo pozzi di iniezione e l’efficacia
dell’intervento è maggiore in caso di utilizzo di iniezione e di ricarica.

ZONE REATTIVE – GALLERIE DI INFILTRAZIONE


Esse sono gallerie orizzontali al di sopra della falda con estensione sufficiente ad interessare l’intera
area contaminata; va bene per contaminazione superficiale.

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ZONE REATTIVE – BIODEGRADAZIONE SEQUENZIALE ANAEROBICA E AEROBICA
Questa tecnica la si usa per i solventi clorurati perché essi si riducono in condizioni riducenti mentre
il vinilcloruro preferisce condizioni ossidanti e tende a rimanere in falda. Tali barriere di pozzi sono
poste nella direzione del flusso determinando segmenti sequenziali di trattamento anaerobico e
aerobico come ad es. la dealogenazione.

SVANTAGGIO  è che i certe zone tipo Cr6+ se creo una situazione di precipitazione, di blocco di
massa, la conducibilità idraulica diminuisce.
VANTAGGI  Tecnologia in situ: – elimina le costose infrastrutture necessarie per il pump and
treat – non produce fluidi o materiali da smaltire; bassi costi di installazione – semplici pozzi
d’iniezione; bassi costi di gestione – basse concentrazioni dei reagenti iniettati – richiesto solo il
monitoraggio delle acque sotterranee – nessun costo di smaltimento; idoneo anche per inquinamenti
profondi – iniezioni mediante pozzi cluster; una volta messo in opera non impedisce l’utilizzo
dell’area; degradazione di composti organici (reazioni idonee); immobilizzazione di contaminanti
(capacità dei terreni di adsorbire, filtrare o trattenere i contaminanti inorganici).

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Recupero di LNAPL – DNAPL
Il recupero di NAPL non può mai essere completo in quanto resta comunque una saturazione residua.
Col procedere della rimozione diminuisce la capacità di recupero a causa dell’aumento di saturazione
in acqua.

TRINCEE – LNAPL
Il NAPL libero può essere recuperato inducendo una depressione della superficie freatica con pozzi
di pompaggio o trincee drenanti. Il recupero di LNAPL in galleggiamento riduce la massa presente
nel sito e facilita le operazioni di bonifica; un sistema di confinamento sul lato a valle della barriera
idraulica ad es. un telo in HDPE può favorire l’estrazione di acque contaminate.

POZZO E POMPA – LNAPL


Il pozzo di pompaggio deve avere filtri che si estendono anche sopra la sommità del prodotto libero
per permettere al NAPL di entrare; l’acqua è miscelata al LNAPL e deve essere trattata con recupero
della fase libera e trattamenti delle acque con estrazione dei vapori in contro – corrente o assorbimento
su carboni attivi.

DUAL – PUMPING – LNAPL


Lo scopo di questa tecnica è quello dir ecuperare il LNAPL esente da acqua e quindi può essere visto
come un minimo intervento in superficie per separare il prodotto libero. L’emungimento crea un
cono di abbassamento della superficie piezometrica che determina il richiamo di LNAPL; l’area
d’influenza e l’afflusso di LNAPL sono stimabili dalle caratteristiche del pozzo, dell’acquifero e del
contaminante (µ). Segu, poi, il posizionamento della pompa del NAPL e la determinazione della
portata ottimale per un recupero continuo; il posizionamento della pompa dell’acqua deve essere
ottimizzato per evitare turbolente e trascinamento LNAPL.

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VACUUM ENHANCED RECOVERY (VER) – LNAPL
Questa tecnica è detta anche multi phase extraction in quanto consente la contemporanea estrazione
di acqua contaminata, di vapore e di NAPL. L’applicazione del vuoto a un pozzo in pompaggio
aumenta l’abbassamento effettivo ed incrementa il recupero di fluidi. Tale metodo è efficace in terreni
a conducibilità idraulica medio – basse per i quali l’unica alternativa sarebbe l’escavazione. È poi
efficace in terreni con spessore saturo limitato.
La zona di cattura dei pozzi dipende dalle proprietà idrogeologiche (T e i) e dalla portata emunta Q.
Il cono di pompaggio è più profondo e meno esteso al decrescere di T e più profondo e più esteso al
crescere di Q. Il limite per l’incremento di Q è lo svuotamento del pozzo.

Essa riduce i tempi di bonifica (aumento del tasso di rimozione di liquido e di contaminanti residui),
rimozione di sorgenti di contaminazione in siti a bassa permeabilità o con falda di spessore ridotto e
il movimento dell’aria nella zona desaturatafavorisce la volatilizzazione e la biodegradazione della
contaminazione residua.

La scelta della tecnica di recupero per il LNAPL è complessa e legata a molti fattori (anche logistici
come l’accessibilità all’area).
Considerando la tipologia del prodotto:
• bassa viscosità, più mobili(benzine, cherosene, gasolio): VER si presta con messa in opera di
numerosi pozzetti afferenti a un sistema centralizzato; volatilità e solubilità richiedono il trattamento
di aria e acqua estratte.
• elevata viscosità, meno mobili: dual-Pumping(con recupero discontinuo) presenta maggior
efficienza ma richiede trattamento di considerevoli portate d’acqua.

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Considerando le prestazioni generali:
VER si presta a molteplici varietà di situazioni ma richiede la valutazione delle concentrazioni limite
dei vapori (LEL) e l’approntamento di sistemi di sicurezza.

RECUPERO DI DNAPL
Una saturazione relativa indicativa del 30% consente al DNAPL il movimento verticale in falda anche
se lento. Durante il movimento attraverso l’acquifero parte rilevante del prodotto libero rimane in
saturazione residua nell’acquifero; una frazione più o meno rilevante può raggiungere la base
impermeabile e formare accumuli che possono evolvere nel tempo. Il movimento orizzontale del
DNAPL accumulatosi segue la pendenza dell’orizzonte impermeabile.

POMPAGGIO SELETTIVO – DNAPL


Si hanno pozzetti penetranti totalmente nell’acquifero con pompa pescante al fondo. Tale metodo è
utilizzabile se lo spessore di DNAPL è di una certa entità es. avvallamenti; i risultati però sono poco
soddisfacenti.
La tecnica consiste in un sensore che determina l’arresto della pompa quando l’abbassamento
raggiunge il livello di pescaggio della pompa. La riattivazione ad avvenuta risalita dopo opportuno
periodo di tempo (determinato con test sperimentali e sulla base delle caratteristiche acquifero).

AIR SPARGING – DNAPL


In questo caso i requisiti per svolgere tale tecnica sono: la volatilità del DNAPL (VOC), l’elevata
permeabilità dell’acquifero, l’abbinamento a un sistema di recupero del vapore in superficie (SVE).
Può causare un aumento concentrazione dovuto a mobilizzazione (quindi è necessaria una barriera
idraulica di presidio a valle).

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TECNICHE DA CAMPO PETROLIFERO – DNAPL
Una di esse è l’iniezione di vapore e acqua calda (steam iniection) dove il vapore facilita il
movimento verso il pozzo di recupero e la risalita del vapore interrompe il movimento del DNAPL
verso il basso.

ALTRE TECNICHE – DNAPL


Un ultima tecnica per il recupero di DNAPL può essere l’iniezione di emulsionanti APPUNTI

RECUPERO DELLA FASE LIBERA


Casistica di recupero dei LNAPL: favorevole
Casistica di recupero dei DNAPL: limitatae con esito abbastanza incerto.

• Il recupero non può mai essere completo (saturazione residua)


• La quantità prodotto recuperato è funzione della tipologia e della viscosità del prodotto

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