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GEOENERGIA 6 CFU

Cap. 1 Energia

L’energia è la capacità di un sistema fisico di fare un lavoro su altri sistemi fisici. Ci sono diversi tipi
di energia tra cui quella meccanica (potenziale e cinetica), termica (stato di agitazione degli atomi),
elettrica, chimica e nucleare. I diversi tipi di energia possono essere convertite in altre forme di
energia per cui possiamo passare da una all’altra con diverse modalità. Esiste poi una distinzione tra
forme rinnovabili e non rinnovabili di energia e questa suddivisione è nata dal fatto che ci siamo
accorti che le sorgenti naturali di energia sono limitate e in particolare sono non rinnovabili le energie
fossili cioè come carbone, gas, petrolio e anche energie che derivano dall’utilizzo delle sostanze
radioattive. Tutte queste energie sono definite non rinnovabili per lo meno alla scala della vita umana.
L’energia non può essere né creata né distrutta o per lo meno noi sappiamo che essa può essere solo
trasformata da una forma all’altra. Quindi in un sistema, l’energia totale rimane costante e nulla viene
perso (se viene persa energia significa che ci sono problemi di misurazione). Molte forme di energia
risultano non direttamente sfruttabili e ciò significa che devono essere trasformate in un altro tipo di
energia affinché possano essere direttamente usate dall’uomo. In genere, l’energia chimica, nucleare
e radioattiva devono essere convertite in energia meccanica, termica o elettrica per essere utilizzate.
Quindi, l’energia può essere immagazzinata e trasportata. Essa può essere immagazzinata in
diverse forme ad esempio olio e gas sono forme di immagazzinamento di energia che derivano dal
sistema solare; inoltre, l’energia deve essere facilmente trasportabile altrimenti il suo utilizzo è troppo
complesso.

Il calore che può essere generato da diverse fonti ad esempio può derivare direttamente dall’energia
solare oppure da altre forme di conversione di energia. Esso può essere immagazzinato in
accumulatori di calore detti anche “Thermal Energy Storage System”; essi possono essere di diverso
tipo e ad esempio si può sfruttare il calore immagazzinato quando l’irraggiamento solare è basso. Ci
sono diversi materiali usati per immagazzinare il calore e tra essi vi sono liquidi (acqua) o solidi
(rocce). L’acqua è una sostanza che è molto comoda per l’immagazzinamento del calore perché ha
un calore specifico elevato.

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Al fine di minimizzare le perdite di calore, è chiaro che ci serve un sistema di isolamento termico e
ciò può essere interessante perché aumenta l’efficienza del sistema che usiamo per immagazzinare il
calore.
Oltre agli accumulatori tradizionali (che operano a T elevate o detti Sensible heat accumulators)
esistono degli accumulatori a calore latente che usano il calore latente associato ad ogni transizione
di fase.
In particolare, gli accumulatori a calore latente
sfruttano il fatto che ad esempio nello scioglimento di
un serbatoio con ghiaccio, il calore è inizialmente
applicato per sciogliere parte del ghiaccio generando
acqua, ma durante questa fase e fino a che il ghiaccio
non è del tutto sciolto, la temperatura non verrà più
aumentata pur continuando a conferire calore al
sistema.
Solo a seguito della completa fusione del ghiaccio la
temperatura può iniziare a crescere. La stessa cosa la
vediamo al passaggio tra liquido e gas (figura).
Ad esempio, nel caso dell’acqua, l’energia che è necessaria per riscaldare l’acqua da 0°C a 80°C è
pari alla quantità di energia necessaria per sciogliere il ghiaccio a 0°C. l’energia che deve essere
consumata per convertire l’acqua a vapore a 100°C corrisponde a circa 5.4 volte il calore necessario
a portare a ebollizione l’acqua partendo da 0°C sino a 100°C con pressione ambientale standard di 1
bar.

Diventa quindi necessario se vogliamo descrivere come avvengono i trasferimenti di energia, definire
le unità di misura e in particolare vengono usate 2 unità di misura e cioè il joule e la caloria. La
caloria corrisponde alla quantità di calore necessario per far aumentare di 1°C la temperatura di 1 g
di acqua. Questa quantità è funzione della temperatura.
L’altra unità che si può usare è il Joule che rappresenta un equivalente in termini di energia
meccanica.

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Tra le conoscenze pregresse, si ha la prima legge della termodinamica o principio di
conservazione dell’energia che è la base della termodinamica. Tale legge ci dice che l’energia in un
sistema termodinamico isolato rimane costante. La seconda legge della termodinamica, invece, ci
dice che è difficile che ci sia una trasformazione di energia che sia perfettamente reversibile. Il
significato di tale legge è vario ad esempio è impossibile trasferire calore da un oggetto freddo a uno
caldo senza l’intervento esterno oppure è impossibile avere una trasformazione ciclica in cui il
risultato sia la trasformazione completa in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente oppure è
impossibile realizzare una macchina termica il cui rendimento sia massimo e pari al 100 %.
In generale, l’efficienza si definisce come il rapporto tra l’energia effettivamente utilizzabile e quella
immessa nel sistema. Ciò è esprimibile anche come rapporto tra il lavoro che può essere fatto e il
calore fornito.

Quindi un sistema completamente efficiente dovrebbe avere un valore pari a 1 o 100%. Esistono delle
forme di conversione dell’energia primaria che è strettamente connesso alla seconda legge appena
vista (è difficile avere efficienza del 100% o difficile trasferire energia senza perdite). In genere,
possiamo dire che per produrre 1 KWh di energia elettrica è necessaria un energia primaria pari a
circa 3 KWh e ciò significa che noi consumiamo più energia primaria di quanta non ci venga restituita
dalla trasformazione.
Quindi il rapporto tra l’energia che si usa netta e l’energia spesa per produrre l’energia netta è
caratterizzata da un coefficiente di efficienza che è inferiore a 1. Quindi, esistono delle perdite nella
fase di conversione.
Il problema della perdita di calore arreca problemi di costo di approvvigionamento energetico sia a
scala globale sia del singolo. Ad esempio, in una casa a basso isolamento, gran parte del calore è
disperso dalla struttura (20L di combustibile per m2 all’anno sono usati, quindi avendo il tempo e
superficie si arriva al consumo medio), mentre in una casa ad alto isolamento si arriva a 1/3 del
consumo cioè circa 7L/m2 per anno. Infine, in case del tutto passive il consumo si riduce a 1/10.

L’entropia è l’altro concetto che è introdotto dalla seconda legge della termodinamica e dice che le
direzioni in cui i processi di trasferimento dell’energia non sono equivalenti. Quindi, tranne in pochi
casi (trasferimento energia meccanica→termica) è difficile avere efficienza dal sistema.

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Per esempio, noi possiamo trasformare tutto il contributo energetico termico in energia meccanica,
ma non il contrario, quindi vuol dire che la seconda trasformazione non è simmetrica rispetto alla
precedente. Quindi si parla di anisotropia o asimmetria.
I processi che sono reversibili nel tempo sono detti ideali e sono quelli in cui l’entropia netta rimane
costante. È possibile, però, avere delle possibili variazioni di entropia e ciò significa che possono
esserci delle variazioni di flusso di calore in funzione della temperatura:

L’efficienza in un sistema ideale in cui la conversione di energia avvenga in entrambe le direzioni


(quindi è un sistema reversibile) è accettabile il concetto di efficienza di Carnot, la quale è definita
in base a due temperature, una Ta cioè la temperatura ambientale entro cui una T maggiore è
distribuita ottenuta per combustione. Entrambi i valori di temperatura sono definiti in Kelvin.

• Perché ci interessa la questione dell’efficienza?

Ad esempio, se noi usiamo uno scaldabagno elettrico, sappiamo che tutta l’energia elettrica è
trasformata in calore per l’acqua. Il problema è che non si tiene conto dell’energia spesa
(dell’inefficienza del sistema) che viene usata per la produzione di energia elettrica. Per questo
motivo, le caldaie a gas sono ritenute più efficienti rispetto a quelle elettriche.

Se accendessimo una lampadina pedalando su una bicicletta a cui è attaccato un generatore: si fa + o


– fatica se la lampadina è attaccata al nostro sistema? Chiaramente siccome se l’energia non è
consumata, nel bulbo della lampadina la richiesta globale sarà minore e quindi si farà meno fatica a
pedalare senza lampadina da accendere.

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• Cosa succede se l’energia non è conservata?

Ciò significa che stiamo lavorando in un sistema non chiuso e quindi ci sono alcune forme di energia
che possono entrare e uscire dal sistema, oppure che non abbiamo considerato una forma di energia
presente nel sistema, errori di misura oppure violazione della legge di conservazione dell’energia.

L’altra definizione che ci può essere utile è quella di potenza che ci dice qual è il tasso di produzione
di consumo dell’energia. Quindi bisogna tener conto della variazione di energia in un dato tempo.

Se vogliamo ottenere l’energia a partire dalla potenza


basta integrare rispetto al tempo come si vede a lato.

In genere, la potenza è descritta in termini di Kilowatts e


l’energia in termini di Kilowatt-ora.

Se vogliamo calcolari l’energia quando la potenza cambia, quello che possiamo fare è rappresentare
la potenza in funzione del tempo e ci calcoleremo l’integrale e cioè l’area al di sotto della curva.

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Normalmente gli impianti di produzione di energia sono descritti in termini di potenza elettrica che
producono (megawatt), ma in generale nelle bollette si ha il consumo trasformato in KWh e quindi
non il tasso diretto a cui l’energia è consumata. Questa energia è comunque molto importante per i
clienti che consumano molta energia perché consumare energia nell’unità di tempo è importante,
perché il costo dell’energia può variare nel tempo.

Qui sopra vi è una cartina che rappresenta i Paesi più energivori classificati per consumo energetico
per abitante nel 2015.

Ai fini del corso è bene sapere i diversi tipi di energia, le modalità con cui essa viene prodotta e quanta
energia viene consumata e specificatamente quanta energia per ogni categoria di classe energetica (o
modalità di estrazione) è distribuita nel tempo e nello spazio. In questo caso, si osservi il grafico sotto
che rappresenta il consumo di energia primaria globale suddivisa in funzione delle diverse fonti
energetiche (fuel, carbone,
petrolio, gas, idroelettrico,
nucleare, eolica, solare). Quello
che si osserva che a partire dal
1800 si ha uno sviluppo crescente
quasi esponenziale nel consumo
di energia.
Il consumo di energia lo
dobbiamo vedere in funzione dei
fattori che lo controllano

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(progresso economico, popolazione, prezzi, tecnologia e meteo) e paesi che lo utilizzano (USA,
Russia e Iran sono i maggiori consumatori di gas naturale; mentre USA, Cina e Giappone sono i
massimi consumatori di petrolio; la Cina è il massimo consumatore di carbone). Altra cosa importante
è vedere le emissioni globali di CO2 con un aumento già netto tra il 2000 e il 2010. L’87% dell’energia
primaria era imputabile ai combustibili fossili. Chiaramente il costo del petrolio, ma anche delle altre
fonti varia nel tempo in funzione di diversi fattori. In generale, si può dire che per alcune aree (Africa,
Medio Oriente) vi è un lento e graduale andamento del fabbisogno energetico, mentre altre aree come
l’Estremo Oriente o Asia vi è un forte aumento con un picco dal 2000, mentre Europa e Nord America
vi è stato un rallentamento nel consumo dell’energia primaria.

Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, fino al 1960 gran parte dell’energia era di tipo organico
legata come carbone, idro, animali; post 1960 invece è aumentato l’uso di petrolio e gas naturale. Per
quanto riguarda l’energia nucleare a partire del 1970 si ha un picco positivo in Francia mentre in Italia
si ha un decremento.

Uno dei grossi fattori di controllo delle modalità di produzione energetica è legato all’emissione di
CO2 a scala globale che è uno dei gas serra più importante sia in termini di quantità emesse sia nel
perdurare dell’effetto nel tempo. Esistono diverse politiche ambientali che incoraggiano la riduzione
delle emissioni e ciò può essere fatto tassando alcuni dei processi che emettono maggiormente CO2
soprattutto nelle industrie e supportando lo sviluppo di alcune tecniche di produzione di energie
rinnovabili con tasse o contributi statali. È quindi importante per tutti i Paesi che vogliono diminuire
nell’impatto dell’anidride carbonica l’uso di fonti rinnovabili.
La fonte primaria di emissione è data dalla combustione di combustibili fossili e si stima che la
quantità di emissione sia circa l’82% del totale immesso in atmosfera. A ciò è imputata anche un forte
contributo climatico.

Per energia rinnovabile si intende qualunque energia prodotta da risorse naturali che sono facilmente
risostituibili in un tempo breve che corrisponde circa al tempo di una vita umana. Le fonti di energia
di questo tipo ci forniscono energia in 4 campi principali:

- Generazione di elettricità
- Aria e acqua per fini di riscaldamento o raffreddamento
- Il trasporto
- Fornitura di energia in aree rurali off-grid

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Tutte queste sono modalità che possono sfruttare delle fonti di energie rinnovabili. Può essere
interessante quale potrebbe essere
il costo delle diverse fonti di
energia elettrica in termini di
costo per MWh. Il grafico sotto
mostra la variazione del costo in $
delle diverse fonti di energia: gas
naturale e carbone hanno un costo
basso confrontabile con quello
dell’energia geotermica che è tra
le più basse; poi crescendo
energia eolica, solare e celle a combustibile. La tabella sopra è riferita alla produzione negli Stati
Uniti.
Nel 2011 l’1.6% delle energie erano rinnovabili (USA, Germania e Cina sono i maggiori
consumatori). Il consumo dell’energia è in costante aumento, maggiormente nei paesi sottosviluppati.

La mappa rappresenta quali sono i paesi che producono energia attraverso fonti rinnovabili: ci sono
paesi sudamericani e africani dove sono maggiori.
Vi è una diretta connessione tra il livello economico di un paese e il consumo di energia elettrica e
sono state fatte 4 ipotesi in relazione a ciò:
1. Ipotesi neutrale: nessuna politica dal punto di vista della crescita economica ha un influenza
sul consumo di energia;

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2. Causalità unidirezionale: ci può essere un ipotesi in cui la crescita economica causa consumo
di energia;
3. Ipotesi di crescita: il consumo di energia può portare a una crescita economica;
4. Teorie feedback (risposta delle sollecitazioni): si ha una causalità bidirezionale.

Ci sono altri problemi per la fornitura di energia elettrica e tra essi il problema della sicurezza e
dobbiamo ricordare l’embargo del petrolio dei Paesi Arabi nel 1973. Ci sono altri fattori rilevanti
come il costo del petrolio, aumento dipendenza dal petrolio come il Giappone, politiche di instabilità,
competizione tra paesi e l’impatto a distruzione sistemi di distribuzione.

ENERGIE RINNOVABILI E SOLARE

Energie alternative o rinnovabili sono energie che derivano da sorgenti naturali come eolica, solare,
geotermica, moto ondoso. Esse possono rigenerarsi alla scala della vita umana. Il confronto tra
combustibili fossili e energie alternative si basa su diversi aspetti e applicazioni: prima di tutto è un
problema di sostenibilità (ambientale ed energetica), poi si basa sulla densità di energia (ovvero
quanta energia si produce per unità di superficie), in basa a possibile fornitura, alla domanda e agli
scenari di consumo futuri.

La prima energia che andiamo a vedere è l’energia solare che è stata da sempre considerata una
energia rinnovabile in quanto compatibile dal punto di vista ambientale, sebbene possa porre dei
problemi che vedremo in seguito. La radiazione che si produce nel Sole e in particolare da una serie
di processi di fusione nucleare è illimitata almeno rispetto alla scala umana; ciò significa che non
dovremmo andare in contro a nessuna interruzione della disponibilità dell’energia solare.
L’energia radioattiva rilasciata dal Sole che arriva sulla Terra può essere trasformata in energia in
diverse modalità: l’elettricità (per trasformazione fotovoltaica) e il calore (solare-termico). Molte altre
energie rinnovabili sono direttamente legate all’energia solare in particolare ad esempio si sa che i
venti sono originati dalla circolazione atmosferica che a sua volta ha come moto principale l’energia
solare. Lo stesso si può dire per l’energia idroelettrica in quanto le precipitazioni nel ciclo idrologico
sono direttamente derivabili dall’azione e disponibilità dell’azione solare. E lo stesso si dice per la
biomassa in quanto tutte le reazioni legate a essa sono legate alla possibilità di avere una radiazione
come le piante per attivare i propri processi di crescita.
Tutte queste forme possono essere limitate dalla quantità di radiazione che raggiunge la Terra sia in
valori massimi sia in quelli minimi.

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L’energia solare si basa sulla radiazione prodotta dal Sole e che in corrispondenza della superficie
del Sole è stata stimata in circa 63 MW/m2. La costante solare si riferisce all’energia che arriva dal
Sole che viene misurata da satelliti e che ammonta a circa 1353 W/m2. La radiazione solare che invece
raggiunge la Terra è una radiazione che si può esprimere anche come densità di potenza ed è
all’incirca 1 kW/m2. Essa sarà controllata dalle condizioni locali, per cui dalla posizione sul globo
terrestre, dalla durata dell’insolazione in tale punto, dall’efficienza del sistema di raccolta delle
radiazioni e poi tutte le condizioni ambientali che possono controllare le radiazioni al punto di raccolta
(ad es. copertura nuvolosa).
Quindi, per quanto la radiazione solare sia pervasiva su tutto il globo terrestre non è semplice
raccoglierla in quantità in modo omogeneo. Nella mappa si vede il potenziale per diverse parti del

globo. Quello che notiamo è che tutte le zone ad elevata insolazione e in cui il cielo spesso è sereno
è possibile riconoscere un notevole potenziale per quanto riguarda la raccolta di energia solare.

L’energia solare ha due fonti principali: il termico solare e il fotovoltaico solare, che si basano sulla
raccolta dell’energia solare in modo diretto, ma soffrono anche del problema che l’energia solare può
essere raccolta durante il dì, mentre diventa importante durante la fase notturna, la parte di raccolta
di stoccaggio dell’energia e ciò deve essere fatto con degli accumulatori di calore. L’altro problema
è che l’energia solare è di tipo diffuso e quindi richiede delle ampie aree di raccolta. Gli impianti
fotovoltaici possono essere di vario tipo: a concentrazione di energia solare, impianti tradizionali (tetti
o campi agricoli o per riscaldamento acqua). Le stazioni a concentrazione di energia solare sono
basate sull’utilizzo di specchi che possono o proiettare su una torre centrale oppure possono
focalizzare le radiazioni su alcuni punti particolari. Questi sistemi sono usati ai fini di riscaldamento
di fluido specifico oppure a fini di cottura per riscaldamento di qualcosa che deve essere cotto
(mattoni).
I Paesi che investono maggiormente negli impianti fotovoltaici sono la Cina, USA, Giappone.
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L’altra modalità di raccolta dell’energia in termini sostenibili è quella dell’impiego dell’energia
geotermica. Essa è rappresentata dall’energia che fluisce nella Terra sotto forma di calore e che è
generata in parte dall’energia gravitazionale e in parte dal decadimento radioattivo di elementi
instabili presenti nel corpo terrestre. Tale energia è rinnovabile, in quanto noi sappiamo che il nostro
Pianeta va in contro ad un raffreddamento di lungo termine, ma ciò avviene su una scala molto più
lunga della vita umana. L’energia geotermica consumata è direttamente generata dalle riserve che
sono interne al pianeta Terra. La possibilità del suo uso è funzione di diversi elementi. La maggior
parte dei Paesi che sfruttano l’energia geotermica sono Paesi in cui si ha attività vulcanica (USA,
Indonesia, Islanda) o si hanno anomalie superficiali termiche. L’Italia è in crescendo soprattutto negli
ultimi anni nel suo utilizzo.

Esistono delle limitazioni alle energie rinnovabili e in genere sono riconducibili alla bassa capacità
totale e ciò significa che l’energia totale che può essere raccolta tramite energie rinnovabili ora è
molto inferiore rispetto al fabbisogno e alla domanda presente. Esistono poi dei problemi nello
stoccaggio dell’energia che è raccolta perché non sempre l’energia rinnovabile può essere disponibile
durante l’arco intero della giornata ad esempio nel caso di quella solare. Inoltre, l’energia rinnovabile
ha dei costi che possono essere relativamente alti ed eventualmente servono dei finanziamenti
particolari sia per la progettazione e sviluppo sia per la sostenibilità economica della tecnologia.
Infine, l’efficienza e l’efficacia possono destare problemi, in quanto le energie rinnovabili sono meno
efficienti e quindi, non tutto ciò che raccolto non può essere trasformato con la massima efficienza.
Intorno al 2010 vi è stato un incentivo nell’uso di tutte le energie rinnovabili in vari paesi.

Guardiamo ora la questione dei prezzi delle energie rinnovabili rispetto a quelli dei combustibili
fossili. Una delle possibilità di confronto è data dall’utilizzo dei costi livellati dell’elettricità che
tengono conto dell’energia che viene prodotta su un intervallo di tempo lungo da garantire il recupero
degli investimenti.

ENERGIA EOLICA
L’energia eolica ha una disponibilità molto alta e si stima sia circa 20 v la domanda di fabbisogno di
energia elettrica attuale ed è anche una delle più antiche. In genere, essa è sfruttata tramite sistemi a
turbina o mulini a vento. Il vento implica il movimento di masse d’aria a seguito di gradienti di calore
e di pressione e ciò è dovuto in gran parte dall’energia solare e al moto di rotazione terrestre. Siccome,
l’aria si muove sotto un gradiente, possiamo sfruttare l’energia cinetica che è direttamente connessa

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a questo moto. Alcuni Paesi tutt’ora stanno investendo sull’installazione di energia eolica e altri
invece sono in fase di debole crescita o stasi in parte anche legati a problemi di crisi economica.
L’energia del vento è la forma indiretta dell’energia solare e quello che si utilizza è il contenuto di
energia cinetica delle masse di aria e quindi la velocità del vento sarà fondamentale dal punto di vista
della progettazione nonché per il dimensionamento degli impianti. In genere, il vento è rilevante in
aree oceaniche o marine dove c’è meno resistenza rispetto alle zone continentali dove la topografia
può in parte controllare la velocità del vento. Le risorse potenziali di energia eolica sono valutate in
termini di potenza del vento * unità di area.

L’energia solare è disponibile ovunque ed è sempre disponibile e quindi anche in paesi dove la
radiazione non è molto elevata comunque può costituire un elemento di interesse. La stessa cosa non
può essere detta per l’energia eolica, ossia in una zona dove il vento soffia solo per periodi ristretti
dell’anno, tale fonte energetica può risultare inutile. Mentre l’energia solare interessa la superficie
terrestre, l’area esposta a un vento è posta perpendicolarmente alla superficie terrestre. Sono quindi
state create delle carte che rappresentano la potenza del vento e le varie aree sono rappresentate in
classi in base alla velocità del vento. Sotto si vede bene la superficie perpendicolare quella su cui
agisce il vento. Quello che ci interessa è definire quanto vale
l’energia eolica e quanto vale la potenza. L’energia eolica è
generata dal moto dell’aria contro un sistema di pale e quindi
l’energia cinetica sarà espressa dalla seguente relazione:

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𝛥𝐸 = 𝑚𝑣 2 = 𝜌𝐴𝛥𝑥𝑣 2
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Dove m è la massa dell’aria e Δx è un tratto dalle pale e esso può essere descritto anche come:
Δx = v*Δt. Ciò è utile poiché siccome l’energia ci dà un’idea della potenza (p = ΔE/ Δt) possiamo
calcolare la potenza incidente sull’area di interesse come:

quello che vediamo da tale relazione è che la potenza varia con il cubo della velocità.

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L’efficienza del sistema non è massima e quindi è necessario introdurre un fattore correttivo detto
coefficiente di potenza (Cp) e che varia tra 0.25-0.45 con un limite massimo teorico legato al fatto
che il flusso di aria incidente sulla sezione è un flusso che cambia progressivamente di dimensione
da monte verso valle.

Uno dei problemi è che il vento varia spazialmente (mappe), ma varia anche nel tempo. Esistono poi
delle zone in cui può essere più o meno facile avere venti costanti. Inoltre, esiste uno strato detto
Bounder Limit in cui si ha una variazione progressiva della velocità e in cui si va da flussi turbolenti
in prossimità della superficie a flussi meno turbolenti a mano a mano che ci alziamo di quote (in
genere sopra 1-2 km di quota). Il nostro problema che tutte le attività umane si svolgono in prossimità
della superficie terrestre e quindi nelle zone dove si ha minor velocità del vento o massima variazione
della sua velocità.
La regola generale dice che le pale dovrebbero essere poste con il punto di minima quota a una quota
di circa 3 v la quota massima a cui si trovano gli ostacoli posti sulla superficie terrestre. Ciò perché
così si evita di stare in zone con ostacoli e quindi
in una zona di turbulenza o di bassa efficienza del
sistema. Normalmente è molto utile porre tali pali
sulle creste di montagne o sui lati appena sotto la
cresta perché qui si raggiungono velocità del
vento decisamente superiori alla media.
L’altro problema che si ha è che se effettuiamo delle misure di velocità in prossimità della superficie
terrestre (10 m), esse sono inficiate dalla presenza di ostacoli o dal contatto con la superficie terrestre.
Quindi le misure bisognerebbe farle a quote maggiori oppure se consideriamo
la legge di Hellmann scritta come potenze in cui la velocità misurata a quota
di 10 m può essere estesa a quote maggiori. Aumentando l’altezza di misura,
la velocità varia in funzione del coefficiente α che avrà valori di circa 0.14 per superfici puliti e via
via cresce per aree fortemente popolate-rugose (0.6). Ciò è importante, perché se consideriamo una
torre alta 10 m o una di 100 m possiamo usare tale relazione per vedere quanto cambia lefficienza del

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sistema al variare dell’altezza della torre. L’altro problema è che se noi facciamo una pala alta 100 m
costruiremo una sezione delle pale superiore (diametro pale 100 m).

Ci sono due modalità di lavoro: onshore e offshore.


Onshore ossia a terra ha come vantaggio il fatto che i
costi per un impianto eolico sono inferiori rispetto ad un
impianto offshore in mare. Altro vantaggio è che gli
impianti in mare hanno vaste aree e piana disponibili e si
hanno anche velocità del vento maggiori rispetto a quelli
terrestri.
Esistono degli svantaggi per quanto riguarda i sistemi di
fondazione e ancoraggio.

ENERGIA IDROELETTRICA

Una delle fonti più funzionali di elettricità e usata per lungo tempo è l’energia idroelettrica in cui
l’energia deriva dal movimento dell’acqua. Ciò implica una grande disponibilità di acqua e un moto
di acqua. Essa è stata la prima fonte energetica che è stata legata alla rivoluzione industriale e solo
successivamente è stata sostituita dai motori a vapore. Esistono tuttora dei Paesi dove l’energia
idroelettrica costituisce una delle fonti di approvvigionamento principale come la Norvegia e il
Paraguay.
Il principio base è che l’acqua si muove e noi vogliamo sfruttare
il quantitativo di acqua espresso come portata (volume nel
tempo). Possiamo calcolare l’energia legata alla posizione da cui parte l’acqua, quindi si descrive
l’energia potenziale mgh (massa d’acqua posta ad una data h che scende); trasformiamo ciò in
potenza p dividendo per il tempo entro cui questo avviene. Le uniche variabili saranno h e V (portata).

Ci possono essere alcuni problemi: molto spesso l’acqua scende su una superficie rugosa per cui vi è
una dispersione legata al contatto con l’interfaccia e poi la caduta è graduale. L’ideale è costruirsi un
serbatoio in zona alta, riempirlo di acqua, e l’acqua la si fa scorrere in tubazioni di condotte forzate
che arrivano ad una centrale. Ciò minimizza l’attrito lungo il percorso e rettilineizza il percorso stesso,
minimizzando i problemi di dispersione.

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Un sistema idroelettrico è qui raffigurato
ed è costituito da un bacino idrologico in
cui è raccolta l’acqua in un bacino
idroelettrico sbarrato da una diga verso la
condotta forzata. Essa porta l’acqua in
caduta in una turbina all’interno della
centrale idroelettrica. La turbina è usata
come sistema di produzione attraverso un
generatore alternatore.
Per arrivare alla generazione di energia elettrica si deve sfruttare l’energia cinetica dell’acqua per
trasformarla in lavoro. Ciò si fa con turbine di tipo impulsivo o a reazione. Le turbine a impulso
sono come le pale del mulino su cui è condotto un flusso di acqua concentrato sulla singola pala che
induce la rotazione delle pale; ciò è trasformato attraverso una serie di ingranaggi in un azione
meccanica. Nei sistemi moderni si usano turbine ad asse orizzontale, che hanno una serie di coppe
che sono colpite da un getto di acqua concentrato e questo consente di fornire un moto di rotazione
alla turbina. Queste tipo di turbine sono dette turbine Pelton. Le turbine a reazione invece sono in
genere del tutto sommerse nel fluido entro cui si muovono; comunemente esse hanno asse verticale,
mentre le altre lo avevano orizzontale.

Le più comuni turbine usate oggi sono, la turbina Francis, in cui


l’acqua entra all’interno del sistema di palette che direzionano l’acqua
verso il centro; in questo caso l’asse è verticale ed è un esempio di
turbina a reazione.
L’altro tipo è la turbina Kaplan, che sono delle eliche dove l’acqua è
fatta cadere attraverso un condotto, le pale ruotano e si ha
funzionamento. Quello che si può fare è gestire l’angolo, la posizione
delle pale dell’elica per lavorare con diverse portate di acqua.

Per scegliere quale turbina utilizzare in genere si utilizza un grafico in


cui si ha su scala bilog il carico disponibile e la portata disponibile. Le
turbine Pelton in genere valgono per carichi molto elevati e portate medie-piccole; viceversa le
Francis e le Kaplan tendono a coprire campi più ampi, per portate grandi.

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Esiste la possibilità di calcolarsi in modo semplice la potenza producibile dal sistema e ciò è fattibile
in funzione del peso dell’acqua (ovvero della densità dell’acqua), della portata, dell’altezza di caduta
e di un coefficiente di conversione legato all’efficienza delle turbine.

Le installazioni idroelettriche non sono necessariamente di grandi dimensioni, ma ci possono essere


sistemi piccoli al di sotto di 10-50 MW, ma si può arrivare a sistemi micro, pico e nano idroelettrici.
In genere, per arrivare a questi mini-impianti si usano delle turbine di tipo Pelton anche se sono
difficile da realizzare in tali situazioni.

ENERGIA DA MOTO ONDOSO

Esistono diverse tipologie di tecniche che sfruttano il moto ondoso per produrre energia elettrica.
L’interesse verso questa fonte naturale sorge dal fatto che il 70% della Terra è ricoperta dagli oceani
e quindi c’è una tendenza a favorire tale produzione. La produzione di energia può derivare
direttamente dal moto ondoso e quindi sfruttare le onde generate dall’interazione del vento con la
superficie delle masse d’acqua; essa è una fonte con elevata densità di potenza ed è disponibile su
grandi aree. L’altra possibilità è quella di produrre energia dal moto di marea e quindi dal fatto e ci
sono cicli di marea costanti che sono dovuti alle
interazioni Sole-Terra-Luna. Infine, esiste la
possibilità di operare estrazione di energia termica
dalla massa oceanica in quanto l’oceano è un grosso
serbatoio di energia.
Quello che si sfrutta nel moto ondoso è l’oscillazione
registrata in superficie. Il moto ondoso ha componenti
sia trasversali sia longitudinali e la combinazione di
tali moti causa la deformazione del moto teorico in
presenza di una sola componente.

Esistono diversi tipi di strumenti, iniziamo a parlare di


quelli riferiti al moto ondoso: possono essere sistemi
che galleggiano e ancorati al fondo del mare, oppure fissati con una fondazione che lo blocca oppure

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con sistemi ormeggiati. I primi due sistemi sfruttano una componente orizzontale, mentre l’ultima
tecnica sfrutta la componete verticale.

Nella tipologia 1 si ha una massa sospesa alla base del corpo fissa e un galleggiante che viene portato
su e giù dal moto ondoso; si ha una pompa e un generatore che sfrutta il moto relativo tra il
galleggiante e il corpo; nella tipologia 2 si ha una configurazione simile, solo che il corpo è bloccato
direttamente al fondo e quindi le profondità non sono eccessive; infine, nella tipologia 3, si hanno
assorbitori di tipo lineare che sfruttano la presenza di giunti tra elementi lineari e rigidi; quindi quando
un’onda arriva contro l’elemento che si orienta perpendicolare alle onde e all’interno di tali giunti si
mettono dei sistemi idraulici che consentono la formazione di energia.

L’ultimo sistema che analizziamo è quello in cui si ha un elemento messo vicino alla linea di costa
che sfrutta l’incameramento all’interno di una gabbia o galleria il moto ondoso che entra ed esce.
All’interno è posta una turbina che può muoversi in 2 sensi e la comodità è che può lavorare sia
quando l’acqua entra (aria è spinta lontano dall’oceano) sia quando esce (aria è spinta verso l’oceano).
Il fatto di avere un doppio funzionamento ha i suoi vantaggi: può aumentare la durata e l’efficienza.

17
Infine, esiste un sistema simile a quello precedente, ma funziona ad acqua; esso è costituito da
strutture galleggianti con una turbina Kaplan (immersa con asse verticale che sfrutta portate di acqua
attraverso l’elemento pale) che può lavorare in due direzioni. Qui si sfrutta il moto ondoso, il moto
di acqua che è buttata nella vasca, poi tende a uscire da essa e quello che causa è un movimento delle
pale dell’elica e si ha produzione di energia.

Il grafico a lato è complesso ma


molto importante: si osserva che
vi è un consumo energetico per
persona (asse y) rispetto alla
densità della popolazione (asse x)
e rispetto alla capacità di
estrazione di energia per unità di
superficie. I Paesi qui sono
rapportati in funzione della loro
superficie e della loro
popolazione. Se consideriamo il
caso del Regno Unito e della Germania, si osserva che essi si trovano appena al di sopra della linea
di 1 W/m2. Questi sistemi se si volesse utilizzare ad esempio l’energia eolica, (con rendimento di 2.5
W/m2 quindi la richiesta è di 1 W/m2) e il 50% della superficie del Paese dovrebbe essere ricoperta
di pale eoliche. Ma ciò è impossibile ed è uno dei motivi per cui tali paesi li costruiscono in mare.

Se invece, consideriamo il Sud Corea e il Giappone, si osserva che essi si mettono al limite di 2.5
W/m2 che è il limite massimo possibile di raccolta dell’energia eolica; ciò significa che questi Paesi
consumano più energi di quella raccolta con copertura totale del Paese. Inoltre, tali paesi sono
ricoperti per il 70% di alberi e quindi l’energia eolica qui non è sostenibile. Inoltre, significa che
l’energia che dovrebbe essere prodotta per soddisfare la domanda in questi 2 paesi, dovrebbe essere
raccolta in modo intensivo e quindi con altre tecniche (solare).

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Cap. 2 Energia geotermica

Il nostro Pianeta presenza una zonazione interna che lo suddivide in nucleo, mantello e crosta.
L’energia geotermica proviene dalla zona interna della Terra. Circa il 99% dell’interno della Terra è
più caldo di circa 1000°C e solo lo 0.1% è più freddo di circa 100°C. La temperatura media della
superficie terrestre è di 14°C. Si ricordi che la
superficie del Sole ha una temperatura di
5800°C.
La Terra è costituita da un guscio esterno
detta crosta terrestre, mentre la parte interna
è costituita dal nucleo suddiviso a sua volta
in interno ed esterno. Il raggio terrestre è di
6370 km, il nucleo interno è ad alta densità
ed è formato da Ni e Fe; invece, il nucelo
esterno è allo stato liquido ed è caratterizzato
da uno strato a bassa viscosità. Le zone più
esterne sono separate dal nucleo, dal mantello
che è spesso (circa 2900 km) ed è
caratterizzato da una composizione magnesio – silicatica. La zona superficiale, cioè la crosta, è
assimilabile a un solido a comportamento rigido, mentre il mantello ha una struttura caratterizzata da
moti convettivi. La struttura stratificata terrestre si è generata per compattazione gravitazione e per
differenziazione durante la fase iniziale di formazione del Pianeta stesso. Lo spessore del mantello
è < allo spessore totale del nucleo. Il nucleo rappresenta il 16% del volume totale terrestre, mentre
possiede una densità che lo porta ad avere circa il 32% della massa totale. A circa 6000 km di
profondità la temperatura interna raggiunge i 5000°C e con pressione applicata di 400 GPa.
Il nucleo esterno ha una lega Fe-Ni è caratterizzato da un movimento che è all’origine del campo
magnetico terrestre. La zona di confine tra nucleo esterno e il mantello è una zona in cui si ha una
variazione netta sia in composizione sia in densità; al di sotto della crosta c’è il mantello superiore
che raggiunge profondità di circa 1000 km. Lo strato limite che fa da contatto tra la crosta e il mantello
convettivo è posto a circa 100-150 km di profondità ed reologicamente poco resistente e fuso. il
mantello in fase solida è sottoposto ad un moto convettivo lento che è condizionato dal calore
trasmesso dal nucleo e arriva nella zona del contatto con il mantello stesso. Una parte del calore che
passa al mantello dipende dall’entalpia di cristallizzazione al contatto tra il nucleo interno solido e
quello esterno fuso. La litosfera è rigida e può essere fratturata.
19
A seguito di indagini geofisiche profonde è possibile caratterizzare le proprietà fisiche nei diversi
strati terrestri. La differenziazione che conosciamo è che nel liquido e solido non vi è la propagazione
delle onde S; le velocità delle onde P ed S sono condizionate dallo stato del materiale e dalla densità.
Il flusso di calore terrestre medio è di 80 mW/m2. Il grafico sottostante mostra sull’asse y l’ecesso
di temperatura in kelvin e sull’asse x le diverse parti in cui
è suddivisa la Terra (distanza dal centro della Terra). Si
osserva che vi sono delle zone a gradiente di temepratura
molto variabile.
Abbiamo detto che la T superficiale media terrestre è di
14°C e al limite nucleo-mantello è di 3000°C. questa
differenza di T tra la crosta esterna e il contatto è
all’origine del flusso di calore che si genera pr eliminare la differenza di temepratura. Il processo
avviene con diverse modalità: la più semplice è quella della conduzione del calore secondo Fourier.
In questo caso, il calore è trasportato in modo continuo dal nucleo interno della Terra verso la
superficie e il flusso di calore terrestre corrisponde alla quantità di energia trasferita attraverso un
unità di superficie (1 m2) per una singola unità temporale (1 s). Il grafico sopra è una rappresentazione
del flusso di calore. La forma generale dell’equazione di Fourier è la seguente e tiene conto delle
proprietà del materiale (λ) e delle differenze di temperatura (ΔT).
La formula generale può essere riscritta in modo che il flusso di
calore q sia funzione delle proprietà del materiale e del gradiente di temperatura verticale. Il flusso di
calore medio è di 65 mW/m2. Il gradiente di
temperatura rappresenta la variaizone della
temperatura in funzione della profondità; si possono avere gradienti diversi in aree diverse oppure
nella stessa area si possono avere gradienti diversi in funzione della profondità.

La conducibilità termica è quella variabile ( varia in funzione del materiale) che controlla il flusso
di calore. Una delle modalità per valutare la conducibilità termica di un materiale può essere definita
con il metodo detto divided-bar-method e cioè quel metodo che
prevede l’inclusione del materiale di cui vogliamo calcolarne la
conducibilità termica tra due elementi di materiale di cui sia nota
la conducibilità termica. Le due parti verdi sono poste a due T
prefissate. Il metodo si basa sull’approccio simile per la misura
della resistività elettrica attraversoun confronto di valori di

20
resistenza standard. Quindi, possiamo definire che il flusso di calore sarà parti ad una conducibilità
termica k * differenza di T sulla distanza L.

Secondo tale equazione il flusso di calore che attraversa il primo campione verde deve essere uguale
a quello attraverso il rosso e al verde sotto, possiamo definire ed esplicitare la kx.

Il gradiente geotermico nella Terra varia in funzione


della posizione all’interno della Terra. Si osserva che
per la parte interna del nucleo è possibile avere delle T
di 1200°C nei primi 1000 km e ciò ci dà un gradiente
medio di 1.2 K/km che è un valore 20-25 v più piccolo
di quello che osserviamo nella crosta terrestre. Quanto
detto è mostrato nel grafico a lato dove la pendenza del
segmento è maggiore nella crosta rispetto al nucleo interno. Questa differenza può essere espressa
con la legge di Fourier e confrontando la conducibilità termica del Fe rispetto a quella delle rocce. La
conducibilità termica del ferro vale 55 W/m*K, mentre per le rocce vale 4 W/m*K. Ciò significa che
la conducibilità delle rocce è 13 v più piccola di quella del ferro.

Se si assume che il flusso di calore in uscita dal nucleo è pari a quello che attraversa la crosta terrestre,
e in base al rapporto tra la conducibilità termica nel nucleo e nella crosta, si osserva che il gradiente
termico dovrebbe essere circa 13 v superiore a quello nel nucleo interno. In realtà, si osserva che il
valore reale è circa 2.

• Come si può spiegare il fatto che ci siano delle variazioni nette di gradiente?

Abbiamo detto che il nucleo interno è rigido e il nucleo esterno è fluido e quindi mentre nel nucleo
solido è possibile avere un trasporto di calore conduttivo, nel nucleo liquido sarà possibile avere un
flusso di calore sia conduttivo sia convettivo. Ciò rappresenta un sistema più efficiente e il gradiente
sarà inferiore.

È evidente che sfruttare il flusso di calore nel nucleo o nel mantello è impossibile per varie ragioni:
innanzitutto, per questioni di distanze e profondità, poi per questione di T molto elevate rispetto a
quelle sfruttabili dal punto di vista tecnologico.

21
Se prendiamo l’esempio di Larderello noteremo che a
profondità di 4 km si raggiungono T molto elevate e già
nei primi 100 m si arrivano a 200°C. Qui si ha un
gradiente eccezionale. Ci sono delle grosse variazioni di
gradiente che sono da imputare a variazioni di tipo
litologico per esempio passando da rocce più conduttive
a rocce meno conduttive. Ad esempio uno strato
sedimentario al di sopra del granito può spiegare
l’intrappolamento del calore nello strato a basse
conducibilità termica.

Abbiamo detto che il flusso terrestre va dall’interno verso la crosta; inoltre, vi è una radiazione che
va dall’esterno (r. solare) verso la crosta terrestre. La radiazione elettromagnetica legata all’attività
del Sole attraverso meccanismi di fusione nucleare arriva sulla superficie terrestre e qui è in parte
immagazzinata, in parte assorbita. Può essere immagazzinata anche sotto forma di altre forme di
energia come carbone, olio e gas, energia eolica, biomassa e idroelettrica. L’energia globale media
generata dal Sole è circa 170 W/m2. Ciò corrisponde a 5.4 Gj per anno per 1 m2 di superficie.
Le misure del flusso di calore alla superficie possono essere fatte in diversi modi e in diverse
posizioni: si osserva che solo una minima parte del flusso di calore dal nucleo e mantello corrisponde
al 30%. Il 70% che arriva da altra sorgente e in particolare essa proviene dal decadimento radioattivo
degli elementi nella crosta (U, Th e K). Questo calore radioattivo produce circa 900 Ej/a. Insieme a
ciò il Pianeta produce e perde 1.2 Zj/a e questa è la quantità di energia che la Terra emana.

Il calore prodotto nella crosta terrestre è un energia termica che è prodotta nell’unità di tempo e per
un volume elementare. La crosta ha spessore e composizione differente e ciò indica che la crosta può
essere di vari tipi (cotinentale → ricca in radioattivi, granitica e spessa e oceanica → povera di
radioattivi, sottile e basaltica).

Il flusso di calore in superficie è dato quindi dal flusso di calore dall’interno e e dal calore prodotto
nella crosta e che varia tra 40-120 mW/m2. Sapendo che la media del flusso è 65 mW/m2 si può dire
che esso corrisponde a una variazione di 3°C ogni 100 m e quindi 30°C ogni km. Se si hanno anomalie
esse possono essere positive (T maggiori) e negative (T minori). In aree dette a bassa entalpia si
osservano flussi di calore associati a fluidi che risalgono nella crosta. Il flusso avvettivo di acqua può
trasportare energia termica rapidamente verso la superficie terrestre.

22
La crosta terrestre granitica è più coduttiva della crosta oceanica basaltica e quindi si ha che se il
valore medio è 65 mW/m2 sulle zone continentali, mentre nelle zone oceaniche si avrà 101 mW/m2.
Il valore medio è quindi 87 mW/m2. Il processo di raffreddamento del Pianeta è lento e si stima che
negli ultimi 3 miliardi di anni la diminuzione della T nel mantello è di 300-350°C. la perdita di calore
per la radiazione termica dall’interno è minima se confrontata con quell acquisita dalla radiazione
solare.
Abbiamo già visto una modalità di trasporto di
calore. È importnte dire che le proprietà delle rocce
e dei terreni che influiscono maggiormente il
trasporto di calore saranno: la conducibilità
termica, il calore specifico e la quantità di calore
prodotta. Oltre a ciò entrano in gioco le proprietà
fisiche come la porosità e permeabilità. Esse
possono connettersi a densità e compressibilità e
possono essere valutate attraverso divers etecniche di laboratorio. In questo caso per la definzione
della onducibilità termica si osservi la figura a) per un materiale solido omogeneo; oppure come in
b) divided-bar-method, oppure in c) con metodi radiale e infine in d) con campioni sottili.

Il trasporto di calore può avvenire per conduzione attraverso le rocce oppure per avvezione attraverso
il movimento dei fluidi. Il flusso di calore è rappresentato con la legge di Fourier → q = - λ ΔT. In
essa il flusso di calore è espresso in W/m2 è generato da un gradiente di T su una lunghezza e il tutto
è legato da una costante di proporzionalità legata alle proprietà del materiale e detta conducibilità
termica, λ. La conducibilità termica rappresenta la capacità di una roccia a trasportare il calore e può
variare da un tipo all’altro. Le rocce del basamento cristallino come gli gneiss hanno valori 2-3 v
superiori rispetto a quelli di un materiale non consolidato come ghiaia e sabbia. Ciò è legato alla
diversa densità, alla presenza di vuoti e ai diversi materiali che compongono la roccia. La variazione
dei valori di condubilità termica sono funzione della composizione mineralogica, del grado di
compattazione, cementazione, porosità o alterazione, ma anche l’anisotropia, la stratificazione.
La conducibilità termica in rocce stratificata o foliate sarà funzione della direzione e ciò ci darà un
comportamento anisotropico.
Essa risulta elevata in rocce saline ed è importante in alcune applicazioni ad es. scorie nucleari. Il
valore dell’aria è 0.02 ed è il minimo.
Tutte le rocce contengono un certo numero di vuoti in termini di porosità o fratture. Se ad esempio
l’aria domina la conducibilità termica scende, se invece si ha acqua (0.59) aumenta.

23
La conducibilità termica può essere misurata con degli elementi ad ago che vengono inseriti in un
foro preesistente all’interno della roccia; l’ago viene riscaldato e poi lasciato raffreddare
progressivamente e la velocità con cui avviene il raffreddamento è usato per rilevare il valore di
conducibilità termica. Quello che è interessante è che la conducibilità dell’aria è 100 v più piccolo di
quella delle rocce e quella dell’acqua è 2-5 v minore rispetto alle rocce. In prossimità della superficie,
variazioni nel grado di saturazione dovuto a precipitazione meteorica o innalzamento della tavola
d’acqua potrebbero portare a una forte variazione nella capacità di trasmettere calore e anche di
estrarre calore dalla superficie terrestre.

Il calore specifico di una sostanza o anche detta capacità termica è un parametro che rappresenta
quanto calore può essere immagazzianto o rilasciato al’interno di un materiale attraverso la variazione
di temperatura ΔT corrispondente a 1 K. La capacità di calore
specifico è quella riferita per unità di massa e cioè la quantità di
calore sarà divis anche per la massa. Quello che
dobbiamo ricordarci è che la capacità termica è
funzione della temeperatura.
Se invece, il calore specifico è normalizzato rispetto al volume, si ha la capacità termica volumetrica
e quindi nella relazione comparirà il volume al posto della massa.
La calore specifico corrisponde alla capacità di calore specifico volumetrica tramite la relazione:
c = s/ρ in cui s corrisponde alla capacità volumetrica, c rispetto a quall per unità di massa e ρ è la
densità del materiale.
Il calore specifico e la conducibilità termica sono funzione della temperatura e della pressione. Per
una roccia i valori tipici variano tra 0.75-1 kj kg-1 K-1. Il calore specifico dell’acqua è 4.19 quindi
significa che siamo intorno a 4 v quella della roccia; ciò significa che l’acqua è in grado di
immagazzinare e rilasciare molto più calore per variazione di T rispetto a quanto possano fare le
rocce.

Quindi, il flusso di calore (q) e la conducibilità termica (λ) riflettono l distribuzione della T in
profondità definendo il gradiente di T; esso è espresso come segue:

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Abbiamo già accennato alle anomalie termiche e ciò significa che la distribuzione della temperatura
all’interno del sottosuolo non è uniforme sia in verticale sia in orizzontale. Se la deviazione è
importante rispetto al valore medio si parla di anomali termiche positive o negative. Un causa di
anomalia termica positiva può essere connessa al trasporto avvettivo di acque idrotermali (upwelling
rapido) per esempio lungo condotti ad elevata permeabilità come faglie. Altre anomalie positive
possono essere ricondotte a rocce con conducibilità termica elevata come un duomo salino che è
costituito da una roccia salina che ha conducibilità elevata e data l’omogeneità e dato il contrasto con
le rocce circostanti può generare un trasporto concentrato verso la superficie. Viceversa rocce a bassa
conducibilità termica rallentano il flusso in uscita.

Esiste la possibilità di avere T eccezionali locale e ciò può essere dovuto ad anomalie geochimiche o
biogeochimiche. Inoltre, tutte le rocce contengono elementi radioattivi che decadono e danno origine
a radiazioni ionizzante che sono assorbite e trasformate in calore. U e Th si presentano con minerali
accessori (zircone e monazite) e sono comuni in tutte le rocce silicatiche. Il K è un elemento comune
ed è presente nei k-feldspati.
Una volta nota la concentrazione di elementi radioattivi, è possibile tramite delle formule calcolare
quale sarà il contributo in termini di produzione di calore in termini di decadimento degli elementi
radioattivi.
Siccome la produzione di calore radiogenico è correlata ai minerali ricchi di K, allo zircone e siccome
ciò li differenzia molto dalle rocce mafiche si può risalire al fatto che queste ultime danno una
produzione di calore limitato. Una parte degli elementi radioattivi possono disciogliersi in acque
idrotermali e quindi molti di esse sono caratterizzate da una forte radioattività. L’equazione del
calore e cioè quella che descrive il flusso di calore in funzione delle variazioni di T nella roccia in
funzione di spazio e tempo è stata proposta da Carlslaw e Jaeger nel 1959. La soluzione è data da
un’equazione differenziale in cui rientrano diverse componenti.

La relazione è costituita da un termine a sx dell’uguale e da uno a dx costituito a sua volta da 4 fattori:


conduzione, sorgente, avvezione, effetto di pressione. α è il coefficiente volumetrico lineare
dell’espansione termica.

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Tale equazione ci permette di descrivere il trasporto di calore nelle diverse direzioni e può essere
risolta al fine di avere la distribuzione della T nello spazio oppure la si può trasformare i situazione
stazionarie e risolverla per tempi infiniti.
Può esserci anche una soluzione analitica ed essa può essere usata per il calcolo della T a diverse
profondità e quindi per il calcolo di un gradiente di T. Da cui T0 è la temperatura a z0, q0 è il flusso di
calore e Δz è lo spessore che stiamo usando.

Questa equazione semplificata può essere usata per costruire il profilo termico attraverso la crosta
terrestre.
La sorgente A varia i funzione della profondità: A = A0*e-z/H. Tale relazione rappresenta il
decadimento progressivo. Ad una profondità di z = H → A = A0/e. In questo caso, la soluzione diventa
più complessa.

Questa soluzione si mantiene valida nelle rocce asciutte e calde con porosità limitata e in queste
situazioni si deve tenere conto che la conducibilità termica varia in funzione della T ed esiste una
relazione che ci permette di calcolare la conducibilità termica nel modo seguente:
dove k è funzione della litologia; l’espressione che include la variabilità della
conducibilità termica è rappresentata nella forma qui sotto.

Abbiamo detto che in prossimità della superficie l’irraggiamento solare è una componente molto
importante per il flusso di calore. È possibile, quindi che in prossimità della superficie ci sia un
influenza diurna e stagionale con delle oscillazioni in
funzione della durata di applicazione del delta di T alla
superficie. Nella figura a dx si vede che vi è una zona di
variazione di T con oscillazioni stagionali; vi è poi una
zona di T costante e in profonditàl’influenza dominante
sarà quella del gradiente geotermico.

26
Si osserva che le variazioni stagionali possono raggiungere i 20-30 m e ciò è in funzione delle
caratteristiche del mezzo, della conducibilità termica, del calore specifico. Quindi, se sovrapposte alle
variazioni stagionali ci sono delle variazioni di lungo termine (es. glaciazione) questa influenza si
può trasferire a maggiori profondità.

Le risorse geotermiche possono essere classificate secondo 3 classi principali i cui limiti sono
arbitrari:
- Alto → gradiente in eccesso di 250°C/km;
- Medio → gradienti di 150-200°C/km;
- Basso → gradienti minori di 150°C/km.

Un altro esempio di classificazione può essere:


- Ipertermale > 80°C/km;
- Semitermale: 40-80°C/km;
- Normale < 40°C/km.

Uno dei problemi che ci si pone è valutare se una risorsa termica è importante per essere sfruttata e
ciò si basa su alcune assunzioni (gradiente geotermico). Si suppone che z1 sia la profondità minima
necessaria affinchè sia raggiungibile una data temperatura in funzione del gradiente geotermico
locale. Quindi si assume che a z1 ci sia una T = 150°C; z2 è la profondità massima a cui è possibile
perforare secondo le tecnologie disponibili. La quantità di energia termica che sarà immagazzinata
nella massa m costituita da una roccia determinata da un dato calore specifico c, sarà funzione
dell’eccesso di temperatura nella roccia stessa.

A questo punto, la quantità totale di energia termica che può essere immagazzinata entro un dato
intervallo di profondità sarà scrivibile in termini di densità. Inoltre, sappiamo la definizione di
gradiente geotermico: G = dT/dz = (T-T1)/(z-z1).
Ciò ci consente di riprendere la relazione dE e
integrarla e inserendo al posto della differenza di T il gradiente geotermico ed ottenere ciò che segue.

27
Quindi, l’energia totale immagazzinata sarà pari all’ultimo fattore a dx della relazione soprastante.

Si è detto che uno dei limiti principali è la massima capacità di perforare un pozzo in profondità; in
Kola è stato possibile perforare sino a 12.3 km questo perché il gradiente locale è basso e le T quindi
sono contenute cioè inferiori ai 200°C. Il vero limite nel raggiungere profondità elevate consiste nella
massima T a cui si trovano le rocce; si osserva che oltre i 300°C è difficile andare.

Se la T è il fattore limite e se assumiamo che in corrispondenza della superficie si ha una T media


pari a 0°C. Si avrà che a parità di costi di perforazione se la z max fosse funzione solo della T ax
raggiungibile in questo caso si potrebbe arrivare a 12 km di profondità; per il pozzo con un gradiente
di 100°C sarebbe possibile solo arrivare a 6 km. L’area dei due triangoli si differenzia molto, ma a
favore di quello giallo cioè quello dove il gradiente geotermico è inferiore.

Le proprietà che sono rilevanti dei materiali sono quindi la conducibilità termica, il calore specifico,
la densità, la porosità e la durezza (può porre un limite alla perforabilità della roccia). La maggior
parte di queste proprietà è interconnessa tra di loro e si ha che aumentando la densità si ha un aumento
della conducibilità termica ecc. Una roccia ideale dal punto di vista termico dovrebbe essere una
roccia con elevata densità, con elevato calore specifico ed elevata conducibilità termica.

Un’altra condizione particolare è la condizione stratigrafica e cioè se si ha una trappola termica


significa che potremmo avere in superficie uno strato a bassa conducibilità entro cui per mantenere il
flusso di calore si deve avere un elevato gradiente geotermico. Quindi, ciò ci consente di avere al di
sotto valori di T elevati. Un’altra condizione importante è quella di avere rocce con acqua che fluisce
e quindi un acquifero e ciò potrebbe innescare un sistema idrotermale.

Se andiamo a riprendere l’equazione per il calcolo dell’energia totale immagazzianata E (pag. 27) in
un certo volume di acquifero in funzione delle proprietà dell’acquifero, del gradiente geotermico,
della differenza di T e della profondità ci rendiamo conto che la cρ (calore specifico e densità)
28
dovranno tenere conto ad es. della presenza dell’acqua e quindi bisognerà calcolare dei valori mediati
rappresentativi di questo nuovo mezzo. Il metodo più semplice è quello di pesare in funzione delle
proprietà e dei vuoti o del solido, il parametro medio o il prodotto c*ρ.

Un sistema geotermico ideale, quindi, dovrà prevedere una fonte di calore profondo che può essere
o solo fonte di calore (e quindi
trasmissione del calore) oppure
tramite diffusione di fluidi che si
muovono per vie differenziali. Poi si
possono avere delle condizioni di
moto convettivo che può essere
libero (strato permeabile) o un moto
convettivo forzato. Questi fluidi per
differenze di T potranno salire
rapidamente verso la superficie e
originare ad es. i geyser. Il sistema può
essere ulteriormente complicato dal
fatto che ci possono essere acque
metoriche che si infiltrano e che si
vanno a miscelare ad acque profonde localmente oppure possono influenzare la T dei fluidi in risalita.
Ci sono delle zone in cui si ha un flusso di calore più basso e poi delle zone (tra le due faglie) in cui
il flusso di calore è elevato (zona con sistema produttivo). Ci sono anche possibilità di raggiungere T
elevate anche a basse profondità (variazioni di fase in funzione di T e p). Se la roccia è fratturata o
porosa, il flusso potrà essere rapido; se ciò non fosse può essere dovuto a intasamento o fenomeni di
clogging. In questo caso può essere utile facilitare l’estrazione anche in zone in cui la roccia è del
tutto asciutta.
È quindi importante riconoscere la differenza tra il flusso delle acque sotterranee e quello del flusso
di calore ad opera delle acque sotterranee. Ciò ci dice che può esserci una componente diversa rispetto
al flusso convettiva che abbiamo considerato in precedenza.

La convenzione di tipo libera avviene quando si ha un’inversione della densità del fluido dovuta a
una differenza di T per cui si ha espansione termica del fluido. Ciò significa, che in profondità la T è
29
alta e a quella profondità, il fluido si espande e tende ad avere un valore di densità inferiore rispetto
ala fluido che si trova in superficie. Questa differenza di densità dà l’effetto del galleggiamento e
quindi una convezione di tipo libera.
Se assumiamo che la salinità sia costante e che il fluido sia incomprimibile, sarebbe utile trovare una
condizione che ci dica quando poter iniziare la convezione libera. Ciò è fatto attraverso il numero di
Rayleigh che può raggiungere dei valori critici originando l’inizio di un fenomeno di convezione
libera. Esso è un numero adimensionale e può essere espresso in diversi modi in funzione delle
condizioni.
Si assuma un mezzo poroso tra due elementi impermeabili, il numero di Rayleigh è dato dalla
seguente relazione:

Dove αT è il coefficiente di espansione termica per il fluido, g è l’accelerazione di gravità, C è la


capacità di calore specifico, k è la permeabilità, y è lo spessore poroso, γ è il gradiente geotermico, μ
è la viscosità e λ è la conducibilità termica del mezzo poroso.

Quindi, il valore critio di Rayleigh è pari a circa 40; se applichiamo la relazione ad una condizione di
crosta continentale, possiamo calcolarci il valore di permeabilità originario di convezione libera per
superamento del valore critico di Rayleigh.

La convezione libera è calcolabile per valori di spessore e gradienti geotermici diversi in cui si può
trovare la roccia. Questa è un’analisi semplificata in quanto trascuriamo la variazione della densità
del fluido con la profondità a seguito della variazione della salinità. In effetti, in quasi tutte le rocce
serbatoio, si sa che vi è un contenuto salino elevato e funzione di diversi fattori come salinità delle
acque in cui si sono depositati i sedimenti oppure gli effetti legati alla diagenesi, la presenza di altri
fluidi come gas o idrocarburi. L’analisi assumeva che la convezione tra due strati che sono considerati
paralleli e la gravità agente perpendicolare a essi.
Inoltre, il mezzo poroso può non essere orizzontale e se è inclinato rispetto al vettore gravità veticale
e se l’inclinazione del mezzo poroso è > 5° si osserva un fenomeno convettivo al di là del numero di
30
Rayleigh definito. Evidentemente il mezzo poroso deve avere una permeabilità diversa da 0. Quindi,
in quasi tutti i mezzi che hanno una tale inclinazione si può avere un fenomeno di convezione libera
in presenza di fluidi caldi alla base.

SISTEMI GEOTERMICI

Abbiamo già visto in precedenza una classificazione dei serbatoi e una di esse era basata sul gradiente
geotermico. Siccome abbiamo visto che il problema può essere la profondità a cui ci si spinge e quindi
si può suddividere i serbatoi geotermici in funzione della profondità a cui si trovano. Ad es. a
profondità di 400 m e con variazioni di T piccole, possono distinguere tra serbatoi superificiali o
profondi.
I serbatoi profondi sono ulteriormente divisibili in funzione del livello di entalpia (alta o bassa).
Sappiamo che il potenziale entalpico in termodinamica indica il contenuto di calore presente
all’interno del materiale considerato. Il simbolo usato per il contenuto di calore è H e sappiamo che
le unità di misura per esso sono i Joule. H = U (en. interna) + PV (pressione*volume). In genere, la
distinzione tra le due categorie di serbatoi è posta intorno ad un valore di 200°C.

L’energia la possiamo produrre attraverso l’estrazione del calore e attraverso qualcosa che trasforma
il calore in una forma di energia sfruttabile. Una delle possibilità è quella di usare delle turbine a
vapore dove il vapore si associa a un serbatoio geotermico ad alta entalpia in cui le T > 200°C. Questo
valore di T è importante in funzione del fatto che al momento della perforazione sia possibile avere
il passaggio a vapore.
In sistemi a bassa entalpia, invece, è necessario avere qualcosa che faciliti lo scambio di calore e
quindi l’ideale sarebbe qualche fluido con pressione di vapore elevata come ad es. gli ORC (Organic
Rankine Cycle) che sono degli impianti che sfruttano sostanze (pentano) che hanno la capacità di
cambiare di fase da liquido a vapore a T basse. Essi hanno una caratteristica che è quella di avere un
efficienza abbastanza alta tra il 10-15%.

31
I sistemi geotermici profondi possono essere ad alta o a bassa entalpia in funzione della profondità
e della temperatura; essi hanno un contenuto di fluido nella roccia serbatoio che è acqua in fase liquida
oppure vapore e ciò avverrà in funzione delle condizioni di pressione e T. Nel grafico si osserva che
a T < 0°C e a qualunque pressione, l’acqua rimane in fase solida; all’aumentare di T se la pressione
cresce possiamo rimanere nella fase liquida; se invece la pressione rimane bassa si passa alla fase
valore. Esiste poi una T a cui si
arriva a un punto critico e da lì
in poi il fluido è detto
supercritico.
La cosa da sapere è che l’acqua
non è pura, ma è di solito ricca
in anidride carbonica o
idrogeno solforato.
Inoltre, in rocce serbatoio ad alta entalpia, l’acqua è soggetta a moti convettivi importanti perché
considerate variazioni di T, avremo delle variazioni di densità rilevanti. Quindi, ci potranno essere
delle zone di risalita e delle zone di discesa di acqua in funzione che domini il contributo convettivo
dal basso verso l’alto o viceversa.

Nei sistemi dominati da acqua o dalla fase liquida, l’acqua è il liquido che controlla la pressione dei
fluidi nella roccia serbatoio. Ciò non significa che non vi è una fase gassosa, ma che si è al di sotto
delle condizioni di saturazione e quindi, è la pressione del liquido che controlla il tutto. In genere,
questi sistemi geotermici esistono entro un range di T di 125-225°C. Quindi, se si andrà a perforare
tali serbatoi si produrrà acqua calda e/o una miscela di due fasi (liquida-gassosa). Il vapore è un
vapore umido e solo in una piccola % è secco.

Nei sistemi dominati da gas, invece, possono coesistere l’acqua liquida e il vapore come due fasi,
ma il gas è una fase continua e controlla la distribuzione delle pressioni all’interno del serbatoio
geotermico. Tali sistemi sono rari e richiedono T molto elevate e quindi sono tipidi di sistemi ad alta
entalpia in cui esiste la possibilità di produrre un vapore sovra-riscaldato secco ossia un vapore a T
molto più alte del punto di condensazione dell’acqua. Appena si perfora un giacimento di questo tipo,
si ha vapore che rimane vapore e che risale in fase gassosa in superficie. Casi di questo tipo sono
quello di Larderello (Ita) e di Wairakei (Nz).

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Quindi, esistono diversi tipi di giacimenti geotermici e esse saranno posti entro intervalli di
profondità, rocce e litologie, acquiferi differenti. Si potranno avere sistemi in rocce cristalline
fratturate che sono impermeabilizzati al top da rocce a bassa conducibilità termica e poi si possono
avere sistemi più superficiali e così via. A mano a mano che si va in profondità aumenta la capacità
di produzione ed estrazione di energia.

I sistemi superficiali sfruttano approcci semplici per lo sfruttamento e possono essere dei sistemi
aperti o chiusi. Ciò significa che essi possono essere in contatto con la superficie oppure rimanere
isolati. I sistemi possono essere di media-alta profonditàe e richiedono dei pozzi di medio-piccola
lunghezza. Le T (< 25°C) non vanno a valori elevati e quindi richiedono dei sistemi di estrazione di
calore molto efficienti. Tali temperature possono essere usate per diversi scopi: una delle possibilità
sono le gallerie → ad es. gallerie svizzere superificiali (Gottardo, Furka) dove si riporta la portata di
acqua raccolta, la T e il potere termale e quello che si osserva è che esistono delle condizioni in cui
l’estrazione di tali acque potrebbe essere utile.

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Esiste la possibilità di estrarre calore da poche
decine di m di profondità (max 80-120 m)
oppure anche da pochi m (1-2m→
risentimento stagionale di T).
Quindi se riusciamo a sfruttare le variazioni
di calore attraverso una pompa di calore,
possiamo usarle per utilizzo domestico o per
riscaldamento.

In funzione che si trovi aria o acqua nei pori, si avranno delle variazioni della conducibilità termica e
nella capacità specifica. Ciò avrà un’influenza sulla funzionalità del nostro sistema. In genere, un
elevata porosità tenderà a diminuire la conducibilità termica tenendo conto che acqua e aria hanno
una conducibilità termica inferiore rispetto alle rocce. Se la tavola d’acqua è bassa, succederà che il
terreno sarà più secco e quindi ci sarà un maggior riempimento di aria che influirà sulla conducibilità
termica per l’intero sistema.
In terreni molto permeabili, succederà che potranno esserci delle variazioni molto rapide del
contenuto di acqua e anche qui potrebbero esserci dei problemi di estrazione del calore. Inoltre, è
necessario sfruttare ampie superfici di terreno per estrarre il calore e questi sistemi di raccolta non
possono essere estesi in aree di costruzione. Inoltre, se un terreno è asciutto e quindi sfavorevole al
trasferimento di calore, si potrebbe pensare di saturarlo attraverso sistemi di irrigazione.

Dobbiamo quindi progettare dei sistemi di raccolta del calore e per fare questo è indispensabile
avere una cartografia tecnica di supporto delle caratteristiche del suolo, sulla piezometria, sulla
mineralogia dei suoli o delle rocce, in modo da poterli classificare in funzione della conducibilità
termica, della porosità e del contenuto di acqua massimo. Non esistono molte tecniche che consentono
di fare tutto ciò in modo rapido e in condizioni insature. È possibile però adottare delle prove di lab
in cui i terreni possono essere portati nel range di condizioni naturali.
Per alcuni sistemi è possibile realizzare dei test di risposta termica che vedremo in seguito quando
parleremo dei sistemi a bassa entalpia. Inoltre, per la fase di progettazione bisogna tener conto del
fatto che la T può variare giornalmente se siamo in superficie, annualmente se siamo in profondità e
ci saranno ulteriori variazioi indotte dalla circolazione di fluidi.
Se estraiamo calore dal terreno potremmo avere che se il fluido ha un alto punto di congelamento,
ciò potrebbe portare al congelamento o del fluido usato per estrarre il calore e/o dell’acqua nelle

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immediate vicinanze del sistema di estrazione. Inoltre, tutte le variazioni di T e soprattutto quelle
molto negative rispetto alla T ambiente, possono avere un notevole effetto sulle condizioni chimico-
fisiche dei terreni in prossimità del punto di estrazione. Quindi, tutto ciò può essere interessante in
quanto si possono generare degli effetti secondari.
Inoltre, poiché vi sono sistemi posti vicini alla superficie, se durante l’inverno la T scende sotto lo
0°C tali sistemi se si sono riempiti di fluido, si congela il sistema. Quindi, è utile usare dei liquidi
performanti per tutte le stagioni e condizioni.

A noi serve un sistema che vada in profondità dove


ci sia una temperatura > di quella esterna da cui
possiamo estrarre calore e ributtata acqua a T minore
in profondità. Quindi, si ha un circuito chiuso come
si vede a lato, semlicemente estraendo il calore.
In strutture che hanno bisogno di fondazioni
profonde, è possibile usare delle gabbie come
strutture in cui innestare i sistemi di scambiamento di
calore. La potenza termica di tali sistemi varierà in
funzione della dimensione, del numero di tubi che
sono fatti girare nel sistema e quindi la potenza può
raggiungere anche valori di 400 e 1000 W. Dipenderà poi dalle proprietà dei materiali, l’efficienza
del sistema.
Ci sono anche dei sistemi aperti dove si preleva acqua dal sottosuolo e questo lo posso ributtare in
superficie nelle fogne oppure reignettarlo in profondità.

Necessario è che ci sia una pompa di calore ossia uno strumento in grado di prelevare calore da un
fluido per poi trasferirlo ad un altro fluido che sarà quello usato all’interno nel sistema. Essa deve
essere alimentata e quindi causerà un consumo elettrico e avrà bisogno di una potenza elettrica per
funzionare. Con essa si può lavorare sia in raffreddamento sia in riscaldamento. Quindi, l’ideale
sarebbe avere una pompa di calore che possa essere reversibile.

Di tutti questi sistemi sarà importante definire l’efficienza ossia qual è il sistema effettivamente
efficiente o che massimizza la performance del sistema? → ad es. potrebbero essere quelle macchine
che usano il calore latente di condensazione per trasferire il calore dal fluido vettore allo spazio che
necessita riscaldamento. L’efficienza è funzione delle T di utilizzo e può essere calcolata in funzione

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della stagionalità o dell’annualità. I sistemi GSHP o pompe di calore a sonde geotermiche possono
operare in genere, con una performance pari a circa 4 e ciò significa che ogni unità di energia che
viene investita per alimentare il sistema pompa di calore, 4 unità di energia sono estratte.
Si è parlato di sistemi geotermici profondi che
sfruttano T elevate o di fluidi o della roccia stessa.
Per fare ciò, le acque sono estratte tramite sistemi di
pozzi ed è possibile dire che il sistema di pozzi con
uno in emungimento ed uno in iniezione. Se le T
dell’acqua sono basse è possibile sfruttare dei
sistemi come ORC o sistemi di Kalina che hanno
una maggiore efficienza in funzione della
temperatura dei fluidi.
Nel ciclo organico di Rankine (ORC) è un ciclo in
cui il fluido che trasferisce calore è organico e ha un
basso punto di ebollizione. Quindi, ciò significa che
vi è maggior facilità a far passare a fase vapore il
fluido usato per il trasferimento. Invece, nelle
installazioni tipo Kalina si usa una miscela di
acqua e ammonio come fluido di trafserimento.
Il ciclo organico di Rankine è un ciclo termodinamico in cui si prevede di convertire l’energia termica
in energia meccanica ed è molto sistema al sistema della turbina a vapore tradizionale. In questo ciclo,
l’acqua è sostituita dal fluido a basso punto di ebollizione che può essere toluene, butano, pentano,
ammoniaca, fluidi refrigeranti o oli siliconici, che grazie al loro basso punto di ebollizione, cambiano
di fase più facilemnte dell’acqua. In genere, essi sono indispensabili a medie e basse temperature.
La struttura dell’ORC è complessa: si va dai pozzi in cui si estrae l’acqua, la portano nello scambiatore
di calore, da cui si può avere da estrazione il calore usato e poi vi può
essere un sistema di reiniezione e altri sistemi per il riulizzo del fluido
a cascata.

Per tutti questi sistemi esiste la necessità di rimanere in bilancio con tali
sistemi e quindi di non alterare troppo il bialncio idrico-energetico.
Quindi, una delle possibilità è di avere una coppia di pozzi (a lato) in
cui si possa da una parte estrarre e dall’altra iniettare a fine ciclo. Il
calore che viene sfruttato sarà dato dalla differenza di T tra il fluido che

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viene emunto e quello iniettano. In un sistema in cui si lavori con rocce asciutte, la necessità di
reimmettere il fluido è importante.
Quello che ci può arrecare problemi è il dimensionmento del pozzo di emungimento e di iniezione;
in entrambi deve esserci una pompa e un sistema di scarico. Inoltre, durante riscaldamento e
raffreddamento capita che i fluidi vadano incontro a variazioni fisico-chimico che possono incidere
sul chimismo e ad es. possono esserci fenomeni di precipitazione (intasamento sistema di iniezione).

L’altra cosa importante è che se abbiamo una coppia di pozzi, è evidente che uno estrae acqua calda
e l’altro inietta acqua fredda, è evidente che l’acqua fredda non deve andare a intaccare la riserva di
acqua calda. Oppure l’iniezione di acqua fredda deve essere abbastanza lontana da quella dell’acqua
calda.

Abbiamo accennato al problema di precipitazione o deposizione di minerali lungo filtri o tubature o


anche nella roccia sorgente. Le precipitazioni più comuni possono essere quelle di carbonato di Ca
che può essere dovuto a variazioni di T o alla perdita di anidride carbonica attraverso la fase di
pompaggio. Ciò può avvennire sia nelle tubazioni sia nell’intero sistema di scambio.
Per sfavorire tali processi di precipitazione, si potrebbe minimizzare la dissoluzione della CO2.
Inoltre, si può mantenere il fluido nelle tubazioni ad una pressione tale da prevenire sia il
degassamento sia la formazione di precipitati. In alcuni casi può essere utile aggiungere delle sostanze
acide o altre sostanze chimiche.
Nei sistemi a roccia secca può essere importante per evitare fenomeni di occlusione delle fratture e
quindi è necessario mantenere le pressioni alte.
Le pompe che possono essere usate sono di diverso tipo: in linea (LSP) o sommerse (ESP). Esse
devono resistere alle alte T, alle alte pressioni e all’attacco chimico da parte dei fluidi. Inoltre, tali
fluidi possono essere sollevati da profondità elevate e in tali casi se il costo di pompaggio sale troppo,
potrebbe divenire svantaggioso operare con tali sistemi.

Esiste la possibilità di migliorare le caratteristiche di un acquifero profondo e ciò significa che se


non esiste un elevata conducibilità idraulica, essa può essere migliorata tramite sistemi di
fratturazione idraulica. Quindi, con la generazione di fratture e il loro mantenimento, è fatto
tramiteiniezione di opportune sostanze. Si può anche acidificare o dare shock termici o di usare
stimolazione chimica o fisica.

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Un’altra tipologia di sistema idrotermale e geotermico è quello per le terme con uso per salute. Esso
può essere fatto sia per utilizzo ultimo di fluidi ad alta T con particolare attenzione ai solidi disciolti
che a volte possono essere nocivi e altre volte salutari.

I Hot-Dry-System (HDR) sono sistemi che sono anche detti petro-termal che estraggono calore da
rocce secche e con conducibilità idraulica molto bassa. Con essi non è necessario andare ad elevate
profondità e un esempio può essere il sistema EGS (enhanced geotherml system).
In un sistema di questo tipo ci si aspetta di essere in una roccia solida, molto poco fratturata, in assenza
di fluido. Quindi, se estraiamo calore tramite un fluido iniettato tramite una rete di fratture e essendoci
intorno una roccia a basso grado di fratturazione, ci dovremo aspettare che la ristabilizzazione del
potere calorifero del sistema è garantito solo tramite trasporto di tipo conduttivo. Quindi, ciò implica
che la T nell’intorno sia elevata (200°C).

Si potrebbe cambiare il sistema anche passando da un sistema poco fratturato ad uno più fratturato.
La cosa da considerare è che nelle fratture verrà fatto circolare un fluido e quindi il trasporto di calore
sarà per lo più avvettivo rispetto a quello conduttivo che avvien nell’ammasso roccioso intatto. I fluidi
che dovranno essere iniettati dovranno essere in equilibrio con l’ambiente.

In alcuni casi, è possibile realizzare dei sistemi chiusi,


ma che sono estesi su grandi lunghezze. Nel caso
illustrato a lato si ha una sonda geotermica profonda
che arriva sino a 2500 m, dove la T grazie al gradiente
geotermico di 30°C/km srà di 85 °C. Il sistema è
costituito da un foro unico con dei tubi coassiali: il
tubo esterno usato per la spinta verso il basso
dell’acqua fredda e quello c entrale per la risalita del
fluido. Il tutto è fatto per minimizzare la dispersione
di calore. In questo caso non è importante che la sonda
sia all’interno di un ammasso roccioso permeabile.
Questi sistemi possono essere efficienti se si sfruttano
dei pozzi profondi già preesistenti come i pozzi
petroliferi.
Il fluido che gira in tali sistemi può essere un fluido a basso punto di ebollizione e quindi può essere
utile oppure si possono usare più fluidi, uno nel tubo coassiale e uno nella pompa di calore. Le velocità

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di discesa del fluido possono variare in funzione della quantità di calore estratto e hanno valori di 5-
65 m/min.

L’efficienza di un sistema geotermico è già stata definita


quando abbiamo parlato dell’efficieza di Carnot che vale
per un sistea ideale. L’efficienza sarebbe il rapporto tra
quello che esce rispetto a quello che entra. Per il secondo
principio della termodinamica l’efficienza sarà sempre <
1 perché in qualunque processo di trasformazione si perde
parte del calore. L’efficienza di Carnot (pag 4) sarà il
riferimento rispetto cui andiamo a confrontare l’efficienza
del sistema reale.
È possibile, quindi, grazie alle due T andare a calcolare
l’efficienza di Carnot come si vede nel grafico a lato. Ad
es. se abbiamo la temperatura iniziale a 100°C e facciamo uscire l’acqua a 20°C, l’efficienza che
possiamo avere è del 21-22%. Esistono quindi dei limiti massimi a cui si può operare.

SISTEMI DI CONVERSIONE

In un sistema binario si ha un doppio uso dell’energia estratta sia per produzione die nergia elettrica
sia per riscaldamento. A scala globale ci sono diversi sistemi geotermici e la maggior parte di essi
sonoclassificabili ad alta entalpia con alta T
e profondità medie. L’elettricità è generata
con sistemi a vapore secco o flash-steam.
Tutti questi impianti sono a sistema aperto
e ciò significa che il fluido è estratto e poi è
riulizzato e reiniettato in profondità. I
sistemi che usano vapore, sfruttano tramite
decompressione attraverso una turbina pe
rprodurre elettricità. In questi casi, per la
produzione di energia elettrica e soprattutto
per i sistemi flash-steam, la T di riferimento sotto la quale è difficile generare energia è di 175°C. lo
scopo della turbina è quello di convertire l’energia geotermica portata a giorno dal fluido in energia
meccanica e ciò può essere fatto tramite la conversione in una turbina e poi produzione di energia

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elettrica in un generatore. Per tutti questi sistemi bisogna tenere conto nche dell’energia che viene
consumata dai macchinari e pompe.

Il maggior produttore in Europa di energia geotermica è l’Italia che è seguita dall’Islanda. a livello
globle, invece, sono gli USA, Messico, Filippine e Nuova Zelanda. In Islanda, essi sono ad alta
entalpia legati in parte dal plume di mantello e dalle dorsali, ma esistono anche sistemi a medio-bassa
entalpia che sono stati installati recentemente.

Il principio generale dell’impianto


geotermico: vi è un pozzo di produzione che
manda il vapore in un flash-tank poi vi è la
turbina che gira; essa con un asse trasforma il
vapore in azione meccanica che fa funzionare
un generatore da cui è prodotta energia
elettrica.
Ci sono 3 tipologie principali di impianti
geotermici: flash-steam, dry-steam e binary
cycle.

Nel flash-steam si ha estrazione di acqua ad elevata pressione che risale nel pozzo e per
decompressione vi è un flashing ovvero un’evaporazione rapida, poi si ha separazione tra acqua
condensata (che va allo scarico per reiniezione), mentre il vapore entra in una turbina; tramite un asse
viene alimentato un generatore che produe energia elettrica. Il vapore a seguito dell’azione svolta
sulla turbina entra in un condensatore e si trasforma in acqua calda che può essere riutilizzata in
diversi modi (in parte va in una torre di raffreddamento).

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Nel dry-steam si estrae direttamente vapore che viene diretto verso la turbin e tutto si ripete nella
stessa sequenza precedente senza il separatore iniziale.

In un sistema a ciclo binario, invece, il fluido è prelevato, passa attraverso uno scambiatore di calore,
poi può o essere reiniettato una volta che ha perso parte del calore trasferendolo all’altro fluido che
può essere ad es. un fluido OCR ed esso si riscalda e viene fatto circolare, entra nella turbina che va
dal generatore con formazione di elettricità; poi il fluido raffreddato passa anche in un condensatore
e qui può andare verso la reiniezione oppure verso una torre di raffreddamento.

Abbiamo già parlato della zona geotermica di Larderello di alta entalpia e delle elevate T che si
raggiungo a basse profondità. Abbiamo ache detto che l’Italia è uno dei massimi produttori di energia
geotermica in Europa. Nel 2011 a Larderello risale 545 Mwel con T di 220°C. L’installazione preve
la reiniezione di tutta l’acqua usata dopo l’estrazione di energia. Altri sistemi importanti sono quelli
di geyser in California che si basa su un sistema dry-steam a T di 300°C con roccia serbatorio a 600-
3000 m di profondità. Si sono avuti terremoti causati alla produzione di energia o reiniezione del
fluido. Infine, un altro sistema è quello di Cerro Prieto in Messico con una potenza di 720 Mwel con
T di 300-450°C del serbatoio.

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• Qual è la sostenibilità di un impianto geotermico per la produzione di energia elettrica?

Rispetto alla potenza che è estratta dai campi geotermici a scala globale, il decadimento radioattivo
delle rocce della crosta produce un calore maggiore di quello estratto.

Al fine di stimare il periodo di vita di un sistema geotermico, si assuma un numero N di pozzi di


produzione posizionati entro un’area A da cui è estratta energia geotermica con un intervallo di
profondità z. la spaziatura dei pozzi è tale da fare in modo che non ci sia un’influenza tra i diversi
impianti. Si assuma che l’intera risorsa da cui si estrae energia è ad una T fissata e che al tempo
iniziale la temperatura fosse T0. Il campo geotermico è stimolato tramite fratturazione o iniezione di
fluido che è usato per estrazione del calore dalla roccia che ha una densità ρ e un calore specifico pari
a cr:

Questa potenza termica è legata alla quantità di acqua che risale dai pozzi di produzione; se si assume
che non ci sia alcuna perdita o ricarina dell’energia termica dalle zone circostanti si avrà che la
variazione di flusso di calore sarà funzione della variazione della massa di fluido con una variazione
di T (temperatura iniziale e di fine trattamento). Il tutto è uguale e riscrivilibile in termini di flusso.
dove N è il numero di tubi che portano acqua in superficie.

A questo punto si eguagliano le due relazioni precedenti e si ottiene la relazione di seguito:

dove τ di emività dell’impianto geotermico sarà espresso dal rapporto:

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La relazione precedente esprime il tempo medio di vita dell’impianto geotermico. Stiamo
confrontando il calore presente nel serbatoio (numeratore) con il calore estratto dal fluido
(denominatore). Se integriamo la relazione dell’emività in un intervallo di nostro interesse, otteniamo
una relazione che ci dice come rappresentare la variazione di T rispetto all’emività.

Da una relazione di questo tipo si deduce un tempo di dimezzamento o di emivita e cioè il periodo
necessario per raggiungere una T pari a metà di quella iniziale. Inoltre, la potenza estratta varierà
esponenzialmente nel tempo e questa dipendenza è data se si assume una velocità di estrazione
costante.
Se E0 è il contenuto energetico totale che abbiamo a disposizione al tempo t = 0, la potenza estratta
in qualunque istante t può essere calcolata:

Tuttavia, si osserva che il tempo di vita reale dell’impianto è maggiore rispetto al tempo previsto
perché noi abbiamo calcolato trascurando completamente il fatto che ci sia un rifornimento di energia
che riporti il sistema ad una situazione prossima a quella iniziale. Quindi, i valori tipi del tempo di
recupero variano da 1 a 10 v la vità media.

• Come potremmo allungare la vita dell’impianto?

Si supponga di avere una durata prevista di 20 anni e un tempo dir ecupero di 60 anni; se il tempo di
recupero è circa 3 v la vita operativa, l’energia che è recuperata nel tempo di operatività dell’impianto
prevede la spesa di 2/3 dell’energia estratta. Quindi, è possibile pensare a un bilancio tra i due.
potremmo rallentare la potenza estratta e quindi aumentare la vita oppure pareggiare la quantità
estratta rispetto alla potenza recuperata. Se estraiamo 1 potremmo provare a estrarre 2/3. L’altra
possibilità è quella di usare l’impianto solamente nella fase di picco ovvero solo quando si ha la
massima domanda. L’altra possibilità è quella di costruire più pozzi di restituzione e ciò potrebbe
consentirci di estrarre una quantità maggiore di calore nello stesso intervallo di tempo e riducendo
l’estrazione del singolo pozzo a 1/3.

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Cap. 3 Termogeologia

La Termogeologia è la parte del corso che si riferisce a delle risorse di tipo geotermico o che
consentono estrazione di calore da sistemi a media-bassa entalpia (con T < 30°C, prossimi alla
superficie). L’entalpia è il contenuto di calore o contenuto di energia per unità di massa che è
funzione di T, p e del volume. Essa è importante perché ci dà info sul contenuto energetico.
La Temperatura, invece è una misura del potenziale termico presente i un fluido o solido; ma è
anche a manifestazione dell’energia cinetica delle molecole e può essere misurata in gradi Fahrenheit,
Kelvin e Celsius. 0 K = -273,15 °C che è lo zero assoluto, mentre 0°C è il punto di congelamento
dell’acqua; invece, il sistema Fahrenheit è usato in USA dove 32°F congela l’acqua e a 212°C bolle.

La conducibilità termica λ si misura in W*m-1*K-1 ed è definita tramite la Legge di Fourier dove un


materiale con conducibilità termica di 1 K*m-1*K-1 sottoposto a un gradiente di temperatura di 1
K*m-1*K-1 condurrà 1 W di calore attraverso una superficie di 1 m2 .
Il calore specifico (SC) di una sostanza è la capacità termica di una sostanza e indica la quantità di
calore rilasciata per variazione di 1 K ed è misurata in J*kg-1K-1.
La capacità termica volumetrica (SVC) descrive quanto calore si rilascia da un unità di volume di
roccia per variazione di 1 K.
Un “Aestifer” rappresenta un corpo di roccia o terreno con conducibilità termica e una capacità
specifica volumetrica tale da permettere un estrazione economica di calore.
La Legge di Fourier ci cinsente di quantificare il flusso di calore attraverso un materiale solido o
fluido ed è è dato dalla seguente relazione.
In essa vi è un gradiente di temperatura moltiplicato
per la conducibilità termica λ e per l’area della sezione attraverso cui avviene il flusso. L’unità di
misura del calore è il J/s = W.
L’energia geotermale o geotermica descrive l’energia ad alta T che deriva da un flusso di calore
dall’interno della Terra.
La sorgente di calore nel terreno o termogeologia descrive il calore a bassa entalpia che vi è a T
normali a basse profondità.
Tutte queste distinzioni vengono fatte perché in natura è stato riconosciuto un flusso di calore e un
gradiente geotermico.

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Il gradiente geotermico fu descritto già nel 1740 da Gensanne in una miniera francese e
l’osservazione era che andando prossivamente in profondità all’interno della miniera sino a 1800 ft
cioè circa 540 m di profondità, si osservo una T alta nella miniera che poteva causare l’evaporazione
dell’acqua. Conoscendo la profondità e la T in superficie e le condizioni in profondità era possibile
definire come andava ad aumentare la T e quindi il gradiente geotermico. La legge di Fourier si
collega direttamente alla descrizione del gradiente geotermico.

L’altra cosa importante è capire da dove viene tale calore e se la Terra è sempre stata calda.
La prima risposta quantitativa a queste domande è stata data da Kelvin che ha iniziato a studiare il
problema del raffreddamento, della perdita di calore della Terra e la modalità con cui la Terra
progressivamente si è raffreddata a partire da un globo di roccia fusa creando la stratificazione interna
che già si presumeva. Il gradiente geotermico veniva visto come una manifestazione del calore
residuo che rappresenta all’interno della Terra. Siccome il calore andava perso si osservava che si
formanva una crosta litosferica con dato spessore, il quale nel tempo sarebbe dovuto aumentare per
un progressivo raffreddamento.
Thomposn arriva a dare una prima definizione alla Terra combinando la legge di Fourier con
l’equazione monodimensionale della diffusione del calore. Vi è una derivata 2 della temperatura

rispetto alla direzione verticale z che è uguale alla variazione di T nel tempo (tasso di variazione) in
funzione del rapporto SVC/λ.
Thompson fa un assunzione iniziale e cioè i un ipotetica
temperatura terrestre iniziale tra i 3900-4100K e fa delle
assunzioni sulla diffusività termica e sostituendo all’interno
di tale relazione è arrivato a proporre un età della Terra
variabile tra i 20 e i 400 milioni di anni. Uno dei probemi
della soluzione è che facendo variare la T iniziale (3900°C)
e quello che si vede è che al variare delle condizioni è
possibile ottenere dei gradienti di T diversi e in base a ciò
l’età della Terra cambia. L’età della Terra la possiamo ottenere dalle due relazioni precedenti e
integrandole ottenendo la
relazione a lato. Quindi l’età
della Terra è funzione del
calore specifico volumetrico, della differenza di T terrestre e poi è inversamente proporzionale alla

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conducibilità termica e al gradiente geotermico ψ. Se assumiamo un valore per il gradiente e per gli
altri fattori possiamo graficare e calcolare l’età della Terra: all’aumentare della conducibilità termica

diminuisce l’età, all’aumentare del calore specifico l’età della Terra aumenta progressivamente. La
prima assunzione che aveva fatto Thompson era quella di una temperatura costante iniziale nella
Terra. Nel caso sopra si vede una T iniziale variabile, invece, in funzione della profondità con un
aumento lineare a partire da una T superficiale di 700°C, si osserva che vi è una forte dipendenza
dell’età, dall’andamento del gradiente.
Tra le cose da ricordare si ha che la capacità termica specifica dell’acqua (4000 J*K-1*kg-1) è molto
elevata rispetto a quella delle rocce (800).

Se volessimo calcolarci la capacità specifica se si ha una massa di 1 kg e facendo variare la T di 2°C


si osserva una variazione di calore di 1600 J, possiamo calcolare tale ultimo valore dalle propreità
della roccia o viceversa.

La capacità di calore specifico è espressa in J*K per unità di volume e vi è una forte dipendenza dal
metariale. Per 1 m3 di roccia noi possiamo rilasciare circa sino a 10 MJ di energia per una semplice
diminuzione di 4 K. È importante
ricordarsi che il calore specifico è
funzione della T. Al variare della
T si ha dilatazione del volume
unitario e automaticamente vi è
una dipendenza. Mentre la massa
rimane costante al variare del

46
volume, ma può variare la densità. La conducibilità termica per l’acqua tende ad aumentare
all’aumentare della temperatura.
Nelle ipotesi di Thompson vi erano delle cose sbagliate: innanzittutto faceva delle assunzioni sul
gradiente geotermico trascurando la possibile presenza di sorgenti di calore nel globo terrestre, in
particolare il decadimento rdioattivo. Rispetto alla previsione di Thompson la Terra si raffredda molto
più lentamente, in effetti anche l’età della Terra stimata da Thompson era molto più giovane rispetto
a quella reale.
Il gradiente geotermico varia molto all’interno della stessa verticale. Noi parliamo di gradiente
geotermico medio quindi tipo 0.037 °C/m, ma in alcune zone potrebbe essere diverso e variare con
la profondità. In media esso è 3°C ogni 100 m quindi 30°C/km. Associato a esso vi sarà un flusso di
calore medio che è circa 87 mW/m2, ma che varia in funzione del tipo di crosta. Se si hanno tali
valore e cioè un gradiente geotermico e un flusso di calore medio, possiamo usare tali valori per
calcolare una conducibilità termica media delle rocce.

Le correzioni principali alle assunzioni di Lord Thompson furono poste da Perry (suo collaboratore)
e in particolare osservò che la Terra si raffreddava in un modo diverso rispetto a quello che pensava
Kelvin. Se si raffreddava, come mai la
crosta terrestre era poco spessa? Ciò
significa che all’interno della Terra vi era
un modo per trasferire calore, per far
arrivare una quantità di calore nei pressi
della crosta terrestre per mantenerla fusa
abbastanza elevata. Quindi, l’assunzione
di Perry, è che ci sia un flusso di tipo
convettivo sotto la crosta terrestre e che
esso facilitasse il trasporto di calore e facesse stare una zona a T costante. Questa fu una correzione
importante e portò a verificare che con variazioni del gradiente irregolari e legati alla convezione,
l’età della Terra andava verso 2-3 miliardi di anni e quindi più simili a quelli calcolati al massimo
Thompson.

Con l’inizio del ‘900 si scopre l’esistenza della radioattività con Curie e da qui in poi cambia l’idea
di che cosa potesse causare il calore in eccesso: da una parte il moto convettivo e dall’altra la parte
radioattiva.

47
Quello che si osserva è che il nucleo del Pianeta è relativamente piccolo ed è composto da una lega
Fe-Ni che è impoverita di tutti i radionuclidi che possono decadere e generare calore. La crosta
terrestre, invece, per quanto molto sottile e volumetricamente limitata, è abbastanza ricca in elementi
radioattivi. Quindi questi ultimi sono quelli che danno un contributo importante al generazione di
calore. Oltre a ciò si ricordano i moti convettivi nel mantello che consentono di trasferire calore in
modo efficiente verso la crosta terrestre.

Quello che si può dire del flusso di calore e delle variazioni di calore in funzione della profondità lo
vediamo nella relazione sopra. Si ha qui, l’esplicitazione di q in termini convettivi ed esteso e
includere in termini medi: la produzione di calore,la convezione e la quantità di calore immagazzinata
all’interno delle rocce della crosta terrestre. Quindi si hanno i 3 componenti fondamentali; se
assumiamo che il trasporto convettivo sia minimo, esso si annulla e se siamo in condizioni stazionarie
e cioè se non c’è dipendenza dal tempo, non vi è variazione di T, anche la terza componente si annulla.
Quindi, in condizioni stazionarie è la produzione di calore da decadimento radioattivo che controlla
il flusso di calore e il tasso di variazione o gradiente del flusso di calore con la profondità.

Tale relazione è detta equazione di Poisson. Qesto tasso di produzione non è costante, ma varia con
la profondità e diminuisce all’aumentare della profondità perché in genere è in prossimità della crosta
che si hanno elementi radioattivi maggiori.

Quello che rende particolarmente sfruttabile una regione dal punto di vista geotermico sono le
anomalie geotermiche ossia di un flusso di calore più elevato di quello di altre aree. Si assuma un
gradiente di 0.02°C/m (20°C/km) per raggiungere una T di 45°C dovremmo perforare circa 1.75 km
(profondità elevata). Per fortuna esistono aree con gradienti maggiori che permettono di perforare a
basse prondità. Laddove abbiamo flusso di calore maggiore avremo i campi geotermici e queste zone
le si trovano nele zone intraplacca o interplacca in ambiente estensionale (dorsali medio oceaniche)
oppure nei margini convergenti (fosse oceaniche con catene vulcaniche) oppure al di sotto di alcune
placche tettoniche in cui si hanno fenomeni di hotspot. Ci sono anche delle zone ad anomalie
geotermiche minori, ma importanti anche i zone cratoniche come in Australia.

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Se si assume u flusso di calore costante, al variare
della litologia quindi al variare della conducibilità
termica, si ha una variazione di gradiente. Nel
diagramma a lato si osserva che laddove vi è un
materiale a minor conducibilità termica si osserva
un gradiente geotermico che aumenta
notevolmente (più del doppio 4.4). Mentre nelle
sabbie si ritorna ad avere un gradiente intermedio
tra i due precedenti. Ciò ci dice che se abbiamo
una roccia che è sorgente di calore e al di sopra
abbiamo una roccia poco conduttiva, essa fa da ostacolo al raffreddamento e all’interno di esso si ha
un gradiente anomalo. Quindi, sfruttando il rapido gradiente, a parità di incremento di z, possiamo
raggiungere un incremento di T importante.

Gli altri fattori che possono controllare il gradiente anomalo sono: la litologia che condiziona la
produzione di calore per elementi radioattivi e inoltre, il flusso avvettivo delle acque sotterranee
nelle rocce serbatoio, che spesso sono influenzate da elementi strutturali che connettono degli
acquiferi profondi in cui l’acqua è riscaldata con la z anche in funzione di un gradiente geotermico
anomalo e le faglie possono rappresentare un percorso breve che può portare a giorno l’acqua senza
consentirne il rapido raffreddamento.

Ci sono altri fattori che possono controllare il gradiente nella crosta ad es. la subsidenza più o meno
accelerata e il rimbalzo isostatico. Quest’ultimo porta alla superficie rocce che sono in origine a
profondità maggiore e invece la subsidenza porta in profondità sedimenti che si compattano e che
vanno dal freddo al caldo. Ci sono anche degli effetti climatici ad es. se pesiamo ad una glaciazione
che perdura per alcuni migliaia di anni può far avanzare un fronte freddo nei sedimenti e nelle rocce
della crosta superficiale per centinaia di metri e ciò a seguito della deglaciazione permarra per un po’
di tempo. Nell’esplorazione geotermica profonda si assume che l’ambiente sia in condizioni
stazionarie, ma nel medio e lungo termini ciò non può essere vero.

Un campo geotermico importante in Italia è quello di Larderello in Toscana; essa è stata rinominata
a seguito dello scopritore e del primo utilizzatore che sfruttò il calore del vapore che veniva a giorno
per il trattamento del boro che veniva raccolto dal fango vulcanico presente nell’area. Il gradiente
geotermico anomalo e le alte T derivano dalla presenza di un plutone granitico a una profondità

49
ridotta. Tale plutone è ricoperto da rocce metamorfiche e sedimentarie che hanno media-bassa
conducibilità termica e quindi garantiscono di fare una trappola di calore mantenendo il gradiente
geotermico elevato. Le acque della zona erano già state usate a scopi termali dai Romani e solo negli
inizi del ‘900 si fece il primo tentativo di produzione di energia elettrica dall’impianto che fu costruito
e messo in produzione nel 1911. Esso è l’impianto rimasto più importante sino al 1958, dopodichè si
è espanso in tutto il mondo.

I campi geotermici possono essere legati a diversi gradi di entalpia dove il termine “entalpia” è il
metodo per classificare i campi geotermici perché tiene conto sia di T sia della pressione sia del
volume. I sistemi geotermici si classificano a bassa entalpia (50-100°C), media entalpia (100-200°C)
o elevata entalpia (200-300°C), e ognuno di essi è associato un intervallo di temperature. La loro
classficazione sarebbe ideale se includesse anche l’utilizzo e la possibilità di impiego.
Abbiamo accennato al diagramma di fase di seguito fatto per l’acqua dove esiste un punto triplo (dove
coesistono le 3 fasi), una linea detta di
sublimazione (solido-vapore) e poi si ha il
liquidus (liquido-vapore) e poi si ha il solidus
(solido-liquido). Sul liquidus abbiamo diverse
condizioni che possono portarci ad un
serbatoio-sistema ad acqua dominante o a
vapore dominante. Ad acqua dominante
significa che l’acqua una volta che si perfora la
roccia serbatoio, l’acqua si trova a T > 100°C e appena diminuisce la pressione, essa bolle. Quindi si
ha una fase vapore ma anche dell’acqua molto calda; si arriva quindi a dei sistemi di flashing. È
possibile che tali sistemi producano acqua molto calde, del vapore umido e in alcuni casi anche del
vapore secco.
I sistemi a vapore dominante, invece, sono caratterizzati da emissione di vapore secco o vapore
sovrariscaldato, cioè al di sopra del punto critico.

Quando si ha la fase di sviluppo di un pozzo esiste la possibilità che se abbiamo eruzioni e vediamo
il vapore che fuoriesce ad alta portata e velocità, si può riportare il materiale per controllare l’eruzione
in corso.

50
Esistono quindi dei sistemi che funzionano a vapore per il caso
di un sistema ad acqua dominante e sarà necessario un separatore
e il flashing con il vapore andrà a far funzionare una turbina per
la generazione. Qui si hanno T > 150°C.

Oppure esiistono dei sistemi binari in cui si hanno T


inferiori ed è necessario sfruttare un liquido vettore che
abbia un punto di ebollizione inferiore al fluido che è
portato a giorno in modo da far funzionare la turbina che è
collegata ad un alternatore e generare energia elettrica. I
liquidi vettori sono organici come il pentano e sono spesso
riferiti al ciclo di Rankine.

Per T ancora più basse è possibile estrarre l’acqua, passarla


in un scambiatore di calore e poi essere usata per esempio
per il riscaldamento domestico, industriale, spa, piscine o
per scopi di crescite in serre o viticolture. Ciò richiede una
sona geotermica, uno scambiatore di calore, un fluido
vettore e poi un sistema di ridistribuzione e pompaggio.

Siccome in alcuni casi avremo sistemi che funzionano a T elevate, è anche possibile che si usino dei
sistemi a cascata e quindi che in un sistema ad alta entalpia il vapore è secco e viene usato per far
girare una turbina e produrre energia elettrica, ma l’acqua che viene scartata può essere riutilizzata
per altri usi secondari riportati prima. In effetti, se osserviamo sistemi di grandi dimensioni in Islanda,
si osserva che da sx a dx si va da un pozzo che produce sino a 1600 L di acqua con T >200°C a una
pressione di 14 bar. Essa entra nel separatore di acqua e vapore, che va a togliere umidità, in parte va
in una colonna di raffreddamento; il vapore va in una turbina e poi in un generatore dove si produce
energia elettrica. L’acqua può essere mandata verso valle in diversi serbatoi con caratteristiche
diverse in funzione dell’impiego (eliminare brine o far condensare il vapore) per uso urbano.

Inoltre, esistono una classe di sistemi ovvero i sistemi a roccia secca-calda (Hot dry rock) che sono
caratterizzati da ammassi rocciosi che in profondità hanno medio-alta temperatura, ma sono poco
fratturati e in assenza di fluidi naturali. Ne segue che essi potrebbero essere delle fonti energetiche

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interessanti qualora si riuscisse ad aumentare
il grado di fratturazione dell’ammasso stesso
e aumentare la circolazione di fluidi utili ai
fini dell’estrazione. Ciò che serve è una
sorgente di calore profonda, delle rocce di
copertura che possano mantenere un elevato
gradiente geotermico e un sistema di
estrazione efficace.
Il metodo più semplice per estrarre acqua e
calore da questi ammassi sarebbe quello di
perforare sino a una certa profondità laddove la T fosse abbastanza alta e creare artificialmente una
rete di fratture o aumentare la rete di fratture presistenti e creare tali fratture al fine di avere una
superficie maggiore di scambio tra l’ammasso e il fluido iniettato. In questo modo, le fratture che
sono generate possono consentire la circolazione di fluido e più tra loro saranno interconnesse e più
la circolazione sarà rapida. Esistono diverse tecniche per creare artificialmente la rete di fratture:
inizialmente si usavano gli esplosivi a fondo foro, ma poi si è passato a un sistema avanzato che è
detta fratturazione idraulica. A seguito della generazione di fratture, si innesta un altro pozzo usato
per l’estrazione. Quindi avremo un pozzo per iniezione di fluido, che circolerà e prenderà calore dalla
zona fratturata; poi ci sarà unpozzo di estrazione che emungerà tale fluido in superficie e lo sfrutterà.
È evidente che per rompere la roccia dovremmo lavorare a pressioni del fluido sufficienti a contrastare
sia le resistenze della roccia sia lo stato dis forzo in sito.

Ci sono diversi esempi di tali sistemi: vi è un caso in Alsazia (prime misure del gradiente in miniera
già) dove sono stati realizzati dei pozzi profondi sino a 3500-3800 m raggiungendo T di 165°C
(40°C/km); tramite idrofratturazione del granito profondo la circolazione del fluido in pressione in
una coppia di pozzi separati si è iniziata la produzione di energia.

Ne esistono di altri di tali sistemi in Nuova Zelanda, USA e Giappone, ma quello che è importante è
che la fattibilità di tali sistemi è funzione delle condizioni geologiche locali (incluso il gradiente
geotermico) e dai costi alti dell’impianto stesso.

Per questi sistemi geotermici a roccia secca e calda, è importante che essi rischiano di esaurirsi più
rapidamente rispetto ad altri sistemi in cui si ha circolazione naturale di fluidi, una sorgente di calore
costante. Quindi, è importante definire qual è il tempo di vita o il tempo sostenibile per un impianto

52
e in particolare quale sia il volume o flusso di calore estraibile al massimo dall’impianto per unità di
tempo. Un sistema deve potersi mantenere per 100-300 anni.

La non sostenibilità è dovuta, invece, ad una variazione troppo rapida della T ossia un
raffreddamento accelerato del sistema una volta che iniettano i fluidi; inoltre, in un sistema naturale
ci può essere oltre alla diminuzione di T, la diminuzione dei fluidi che sono estratti, che cerchiamo di
mantenere tramite reiniezione di fluidi di scarto. Inoltre, anche in un sistema di hot-dry rock ci sia il
raffreddamento, ma anche un intasamento nella circolazione dei fluidi in sotterraneo.
L’altra cosa da tenere in cosiderazione sono le modalità con cui il calore può essere scambiato ossia
tramite avvezione di magma, di acque sotterranee e conduzione.

Le fasi per l’estrazione saranno: l’estrazione del calore in profondità tramite o fluido naturale o
iniettato, la reiniezione del fluido scartato raffreddato in profondità non in vicinanza del sistema per
evitare cortocircuitazione dello stesso. Tale reiniezione è importante qualora la ricarica delle acque
sia lenta rispetto al volume che estraiamo.

La reiniezione dei fluidi avviene tramite la


realizzazione di un secondo pozzo a valle dello
sfruttamento. Il sistema a lato, si usa della
pressione per reiniettare del fluido in
profondità, ma in profondità esiste la
possibilità di posizionare dei generatori di
elettricità che possono essere sfruttati a loro
volta nella produzione di energia. Tale
generatore sfrutta il flusso di acqua verso la
profondità per generare energia ulteriore.

Esistono altri problemi di tipo ambientale che possono inficiare le performance di un sistema
geotermico e tra esse si ricordi il rumore dei pozzi di produzione e delle turbine associate e per questo
motivo il boccaforo viene insonorizzato. Ci sono poi problemi legati all’odore per emissione di H2S,
emissione di altri gas come CO2 o CH4, subsidenza o microsismicitaà dovute a estrazione troppo
rapida o reiniezione non adatta; l’ultimo aspetto è che le acque che arrivano a giorno possonoe essere
molto saline e in alcuni casi essa viene spruzzata a bocca foro e avere un impatto negativo sui suoli o

53
vegetazione. Esistono anche dei vantaggi ad es. le acque di scarto possono essere riutilizzate dopo
raffreddamento come spa ad esempio.

L’altro problema è l’immagazzinamento del calore e /o di acqua calda; ciò necessita di sistemi di
isolamento termico. Come ad es. nei boiler l’acqua è riscaldat tramite i pannelli solari poi è portata
nei serbatoi e stoccato in modo da essere usato il calore in fase successiva. In media, i materiali più
convenienti come uso di materiale refrattario sono quelli silicatici che hanno elevata capacità
specifica di calore e possono avere una conducibilità termica modesta. Oltre la conducibilità
termica, l’altro fattore importante è il calore latente cioè il calore rilasciato o immagazzinato non
solo per un cambiamento di temperatura ma anche per un passaggio di fase. Ad esempio per portare
l’acqua alla fase vapore oppure dal ghiaccio-solido al liquido. Il calore latente è di 2 tipi: di
vaporizzaizone (2272 Mj/kg) e di fusione (335 kJ/kg).

Il movimento del calore quindi avviene in 3 modi: conduzione, convezione e radiazione. La


conduzione di calore è descritto come il processo dovuto a interazione tra molecole in solidi, liquid
e gas. Le proprietà che lo controllano sono quelle dei materiali per es. la densità, la porosità, la
composizione mineralogica. Per le rocce si hanno valori che variano in un intervallo limitato da 1 a
3 W/mK. .
Il quarzo è una delle sostanze a conducibilità termica più elevata di circa 7 W/mK. In una roccia con
aumento di quarzo aumenterà la sua conducibilità termica. Inoltre, la conducibilità termica è una
funzione della T e ciò è rilevante anche per l’acqua. Il ghiaccio ha una conducibilità termica molto
più elevata di quella dell’acqua.
La convezione prevede, invece il trasporto di calore per movimento di fluidi. Esiste una legge di
Newton per delle valutazioni generali in cui il flusso di calore da un corpo a un fluido è pari al prodotto
di un coefficiente h (efficienza del sistema) moltiplicato per la differenza di T tra il corpo e il fluido.

Essa è una funzione semplice e può andare bene anche per le condizioni di convezione forzata e in
casi in cui la differenza di T tra corpo e fluido non siano eccessive. La convezione libera, avviene a
causa delle differenze di T che causano a loro volta una differenza di densità. Ci sono delle relazioni
che danno un idea della possibilità di innesco di osservare la convezione libera e questa sotto dice
che h è direttamente proporzionale alla differenza di T tra il corpo
e il fluido elevato ad un esponente n dove esso varia tra 0.25-0.35.

54
Esiste poi l’irraggiamento: qualunque corpo caldo emette delle radiazioni. Stefan e Boltzman per
un corpo ideale e radiante è possibile calcolare l’energia irradiata da tale corpo che è proporzionale
alla quarta potenza della T assoluta in kelvin tramite la costante detta costante di Boltzman.

Corpi più caldi emettono energia elettromagnetica in forma di onde corte, mentre corpi freddi in onde
lunghe. Ciò è tipico della radiazione di fondo dell’universo che ha un background è di 3 K al di sopra
dello zero assoluto e ciò significa che la loro lunghezza d’onda è olto lunga (1.9 mm).
Una forma visibile di irraggiamento è il calore solare. Per quanto riguarda la T del Pianeta quello che
interessa è il discorso sulla diffusività del calore. Ricordando che nell’equazione monodimensionale
della diffusione del calore a pag 45 compariva il rapporto (SVC/λ), il suo inverso è la diffusività
termica. Se si ha un impulso di calore, essa potrà viaggare più o meno velocemente in funzione della
diffusività termica. Quindi, per bassi valori di diffusività termica avremo bassa propagazione. Ciò è
importnte per tutte le variazioni di T per es. in prossimità della superficie.

La diffusività termica α è il rapporto tra la conducibilità termica e la capacità specifica di calore


volumetrica e ha come unità di misura m2/s. quindi, essa rappresenta la velocità, il tasso di estensione
con cui si può propagare un impulso di calore attraverso un materiale.
Ad es. il suolo e la variazione di T alla superficie
del suolo: qui sotto nel grafico sono rappresentati
in cicli stagionali la variazione di T a diverse
profondità all’interno del suolo. L’evidenza
(freccia) è che il picco di temperatura va via via
smorzandosi a mano a mano che ci si
approfondisce nel terreno. Quello che vediamo è
una diminuzione di energia che arriva in profondità
dovuta in parte all’immagazzinamento superficiale in forma di calore; inoltre, si osserva un ritardo
nell’arrivo del picco che è funzione della capacità del calore specifico e della conducibilità termica.
Più è conduttivo il materiale più lo sfasamento diminuisce. Quindi, il segnale termico nel suolo è utile
per caratterizzare le proprietà del suolo stesso.
Variazioni della T del suolo sono causate dalla T dell’aria e in essa sarà funzione delle condizioni
ambientali locali, dell’irradiamento, delle nuvole, dell’orientazione del versante, del numero di ore di
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insolazione, dalla copertura vegetativa e dall’umidità. Quest’ultima è importante perché si è visto che
la conducibilità termica e il calore specifico dell’acqua sono ben diversi da quelli dei solidi. Quindi
un terreno in fase umida o secca porta valori di T in z diversi. Inoltre, è importante la copertura nevos
perché essa ha un alta capacità di riflessione delle radiazioni solari in entrata e diminuisce
l’assorbimento da parte del materiale stesso e del suolo.

Un esempio dell’influenza dell’ambiente e della modalità di esposizione del materiale


all’irradiamento è rappresentato dalle 3 curve sotto. Si osserva che se siamo nello stesso sito e

guardiamo la T media settimanale per l’aria cresce abbastanza sia alla scala a breve periodo sia a
quella annuale; quindi, il delta di T varia tra 20°C e -20°C per l’aria. Per le acque di superficie, essa
può congelarsi in inverso e poi si ha un aumento progressivo in primavera con max in estate e poi
diminuzione in autunno; si osserva quindi uno sfasamento nella crescita delle temperature e una
diminuzione del picco. La terza curva si riferisce all’acqua di falda e si osserva che la T dell’acqua in
corrispondenza del punto è di circa 5°C e la cosa che si osserva è che la linea nera è messa intorno
alla temperatura media dell’aria del sito. Il picco qui è ben sfasato rispetto alle acque nel corso d’acqua
che è ben sfasato dalla zona di T max dell’aria. Quindi in funzione della matrice e in funzione della
profondità o distanza dalla superficie, l’influenza si propaga nel tempo generando un ritardo nei valori
di picco.

Il gradiente geotermico tende a un valore +- costante in funzione delle zone e il valore medio è di
circa 0.03 K/m o 3°C/m. il flusso geotermico associato è tra i 40-100 mW/m2. La radiazione legata
all’insolazione è grande che rispetto al gradiente geotermico è decisamente rilevante. La radiazione
netta varia su valori alti rispetto a quelli del flusso di calore dall’interno all’esterno della Terra.

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Se esprimiamo la legge di Fourier esplicitando la conducibilità
termica rispetto al flusso di calore geotermico, alla sezione A e al
gradiente geotermico, se si assume una proprietà per il calore medio sia circa 60 mW/m2; si ottiene
così una conducibilità termica media.

Esiste un altro campo di interesse e cioè quello dell’energia geochimica in cui le reazioni
esotermiche che rilasciano calore e energia; ciò è tipico dei solfuri (pirite, marcasite, sfalerite e
galena) che durante ossidazione possono generare incrementi di T della zona circostante a seguito
dell’ossidazione. Le reazioni che avvengono sono le seguenti.

Per entrambe le reazioni si ha liberazione di metalli pesanti e di solfati; possiamo inacidire l’acqua,
contaminarla con metalli pesanti e si possono quindi avere anche problemi ambientali.
Questo fenomeno era noto anche in passato perché nelle miniere di solfuri si poteva arrivare anche
per semplice passaggio di umidità nel’aria e contatto col minerale di profondità a T elevate > 50°C e
si arrivava a fenomeni di combustione spontanea.

BILANCIO ENERGETICO

L’immagine a lato rappresenta tutti i termini


rilevanti all’interno di un bilancio: si ha del
calore che arriva alla superficie che fa parte
del’effetto della radiazione solare; si ha poi un
flusso di calore che arriva dal basso e questo
sarà quello geotermico legato al flusso
geotermico: esso è costante nel tempo per una
data area. Si hanno in entrata e in uscita un
flusso di acque sotterranee che saranno caratterizzate da una data T; tale calore fluisce da sx verso

57
dx. se si hanno condizioni di equilibrio quello che entra è uguale a quello che esce. Se invece, vediamo
delle fasi stagionali possiamo vedere delle variazioni (ad es. il flusso di calore potrebbe essere
rovesciato dall’alto in basso).
Inoltre, si ha la possibilità di estrarre e iniettare qualcosa: se estraggo acqua calda quella di scarto è
reiniettata; potremmo estrarre più calore per riscaldamento di quello che iniettiamo e quindi si ha un
schema di riscaldamento netto in cui esso è sopra ma sotto si ha un raffreddamento del sistema. Se
iniettassimo più calore di quello estratto avremmo un sistema detto di raffreddamento netto, in cui
l T in profondità aumenta. Quindi, in funzione delle azioni possiamo influenzare il bilancio termico.
Infine, se portiamo in z in condizione 1 dreneremo più calore dalla superficie e dal sotterraneo,
viceversa nella condizione opposta. Il tutto può essere fatto usando valori medi per capire come
funzione il nostro sistema.

Dal punto di vista analitico possiamo scrivere il bilancio: in condizioni di equilibrio e naturali di
lungo termine si ha: il flusso di calore in uscita + calore in prossimità della superficie è uguale al
flusso di calore di entrata delle acque sotterranee + quello che arriva dal gradiente geotermico o flusso
terrestre. Se parliamo condizioni di equilibrio significa che non vi è variazione temporale.

Se noi estraiamo o iniettiamo calore, possiamo influenzare il bilancio e quindi spostarlo verso dx o
sx. Le diminuzioni di T che induciamo potrebbero causare aumento di flusso dal punto di vista in
entrata della superficie (solare) o
dall’interno della Terra. Se continuassimo
a estrarre e iniettare calore in continuo
potremmo raggiungere condizioni di equilibrio. Se GH è troppo elevato, la T potrebbe continuare a
scendere fino a quando iniziamo a congelare il terreno.

Al contrario, se abbiamo a che fare con uno schema di raffreddamento netto. In caso di errore, le T
nel terreno potrebbero aumentare oltre i limiti di progettazione previsti dal nostro schema. Il sistema
può diventare più inefficiente e infine
inoperabile.

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L’altro problema è che variazioni importanti potrebbero causare problemi geotecnici,
contaminazione.

Cap. 4 Pompe di calore

INTRO. ALLE POMPE DI CALORE, MACC. TERM., FUNZION, E EFFICIENZA

Nella lezione precedente abbiamo introdotto il termine termogeologia, che indica la possibilità di
trarre calore dalla parte più superficiale della crosta terrestre. Quindi, si sta parlando di sistemi a bassa
entalpia e che possono risentire delle condizioni meteo-climatiche. Ci sono 2 tipologie principali che
sono note come GSHP (ground source heat pump) e GWHP (ground water heat pump). Il primo
sisteam è chiuso e quindi vi è un fluido che circola in modo continuo e il secondo è un sistema aperto
invece ha la possibilità di avere un fluido che è prelevato e scaricato per altra via.

Si supponga di essere in un Paese con una T esterna rigida e che durante il periodo invernale le
temperature scendano al di sotto dello zero termico. Una delle prime necessità che potremmo avere è
a parte quella del riscaldamento domestico, per esempio una funzione di deicing cioè di
sghiacciamento di fondo stradale, rampe box. La superficie del suolo è possibile che vada a 0°C, ma
sotto la superficie a una data profondità è possibile che le T siano > 0°C. Per es. nelle aree Scandinave
la T a pochi m sotto il suolo in particolare l’acqua sotterranea è intorno ai 4-7 °C. essa è un T che è
appena al di sopra del valore medio annuo dell’aria. Quindi, si può pensare a un sistema che prende
l’acqua dala falda, la fa circola attraverso un sistema di tubazioni in prossimità della superficie e che
possono grazie al calore trasmesso dall’acqua che fluisce nella tubatura al ghiaccio sulla rampa, può
scongelarla del tutto. Ovviamente bisognerà stare attenti a non far congelare il fluido nelle tubazioni
oppure usare un fluido realizzato appositamente per tale opzione. Ci sono delle condizioni in cui si
può fare del riscaldamento di tipo passivo o libero; quindi, significa far girare dell’acqua a una T > T
ambientale per riscaldare l’ambiente. Viceversa, d’estate potremmo fare l’opposto: per raffreddare
un ambiente, si preleva dell’acqua dal sottosuolo, la facciamo circolare nell’edificio e poi la
reiniettiamo. Ci sarà quindi dell’acqua a bassa T che raffresca e poi lo scarico in sotterraneo porterà
del calore verso il basso.

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Un motore termico converte l’energia potenziale in lavoro; per fare del lavoro abbiamo bisogno di
un gradiente di energia potenziale di natura chimica, gravitazionale, termico o meccanico. Se si hanno
due serbatoi a diversa temperatura e sappiamo di poter realizzare del lavoro. Il motore a vapore è un
motore a calore in cui il vapore è posto ad una T > 100°C e invece i fluidi di scarto da tale motore
sono l’acqua condensata e quindi a T inferiore. I motori a combustione interna, invece, sono dei
motori termici e qui si sfrutta un combustibile che è accesso e si trasforma in un gas caldo, il cui
calore può essere usato per fare del lavoro meccanico e poi viene scaricato a una T minore.

La potenza la misuro in termini di Watt o Kilowatt e rappresenta il tasso con cui l’energia è prodotta,
trasferita o consumata. 1 kW = 1000 J/s. Il kilowatt è un’unità di energia che dice che se continui a
consumare per 1 h una potenza di 1 kW in modo continuo, quello è l’ammontare totale di energia che
ti viene fatto spendere. Esiste la possibilità di passare da megawatt a joules. 1kWh = 3.6 MJ → 1
MWh = 3.6 GJ → 1 GWh = 3.6 TJ.

L’idea generale di un motore termico ideale è stata


stusiata da Carnot seconod cui un motore sfrutta un salto
di temperatura per operare un lavoro ad es. meccanico. Il
lavoro è quindi determinato dalla differenza di T in

particolare tra il lato caldo (entrata, ϑ1) e il


lato freddo (uscita, ϑ2). Lord Kelvinha dimostrato che l’efficienza massima di un motore termico
ideale può essere definita dal rapporto tra il lavoro svolto e l’input di
calore nel sistema. Quindi, ciò può essere scritto nella relazione seguente.

Una pompa è un sistema che lavora come un motore, ma in direzione


opposta. Per es. se abbiamo un motore ad acqua in cui l’acqua fluisce i
direzione opposta e quindi consente di estrarre acqua da un dato sistema.
In una pompa ad acqua, essa si muove contro gradiente e quindi dobbiamo
far fare un lavore al sistema per spostare l’acqua. Una delle prime pompe è stata inventata da
Newcomen ed era una pompa che funzionava a vapore: vi era una sorgente di vapore con dell’acqua
che veniva mandata in ebollizione, la pressione del vapore apriva una valvola spingendo sul pistone,
per raffreddamento si ha diminuzione di volume e pressione e il pistone si riabbassa.

60
Le pompe di calore sono delle macchine che sono progettate
apposta per consentire di fare una trasmissione di calore in una
direzione o nell’altra. Quindi possiamo far fluire del calore da
un ambiente più freddo verso uno più caldo. Ciò è quello che
viene fatto quando raffreschiamo la casa in estate.
Una macchina frigorifera è una macchina che lavora
attraverso una pompa di calore. Essa è una macchina che
funziona da scambiatore, che utilizza una griglia che serve
come radiatore (come strumento per rilasciare il calore) e poi
sfrutta un gas che circola nella parete del frigorifero grazie a una pompa e ad un compressore. Per far
funzionare un frigorifero serve dell’energia elettrica. Si ha che all’interno del sistema di tubi circola
un fluido refrigerante particolare che ha la caratteristica di poter bollire a una T anche < 0°C. Ci sono
4 step del ciclo refrigerante:

1. All’interno dei tubi si ha il refrigerante che circola all’interno del sistema e arriva in
corrispondenza di uno scambiatore di calore che è un evaporatore. Il refrigerante arriva a
contatto con una T maggiore (bottiglia di thè caldo) e siccome ha la possibilità di evaporare
velocemente perché ha un punto di ebollizione molto basso, evaporerà. Esso quindi si sposterà
verso la parte superiore del sistema arrivando al compressore.
2. Il fluido refrigerante raggiunge la temperatura ϑA in corrispondenza del compressore e questo
tramite l’energia elettrica comprime il gas. Comprimendo il gas, la T cresce progressivamente
e quindi il gas viene espulso e arriva a una temperatura ϑB all’uscita del compressore. ΘB sarà
maggiore della T ambientale e quindi avremo un trasferimento di calore verso l’esterno.
3. A questo punto il refrigerante ritorna pur essendo ancora in pressione verso la valvola in basso
che consente un istantanea espansione del fluido vettore. (siccome passiamo da una fase
gassosa ad una liquida, potremmo rilasciare il calore latente di condensazione e ciò ci consente
di rilasciare più calore e mantenere il fluido in pressione).
4. Alla valvola in basso si ha espansione e di colpo si rilascia la pressione nel fluido e il fluido
espandendosi si ha un raffreddamento istantaneo. Quindi ϑD < ϑC < ϑB.

Un ciclo di questo tipo può massimizzare la resa. Ma quello che vogliamo fare è che il consumo di
energia elettrica sia minimizzato.

61
Una pompa di calore utilizza un liquido refrigerante che deve avere una serie di caratteristiche; esso
deve essere termicamente stabile, deve avere un calore specifico sufficiente, deve avere un punto di
ebollizione e condensazione consoni al tipo di utilizzo o all’intervallo di T che usiamo e infine non
deve essere impattante dal punto di vista ambientale. John Sunmer’s che ha creato uno dei primi
sistemi di pompe di calore particolaermente performanti, l’ha realizzato con l’anidride solforosa che
ha un punto di ebollizione appena al di sotto dello zero termico. Questo sistema può lavorare sino al
punto di congelamento. Esistono poi altri fluidi refrigeranti che possono essere usati a grande scala e
sono: l’ammoniaca, il cloro-metano che però possono essere sia tossici sia infiammabili; possono
essere usati i clorofluorocarburi (CFC) che erano usati neif rigoriferi (freon ha un estrema mobilità e
pericolosità) che sono all’origine del buco dell’ozono.

Se vogliamo far assorbire una quantità di calore C dal nostro scambiatore e C è il carico di

raffreddamento perché è la quantità di calore che vogliamo estrarre che è espressa in J/s o in W. Tale
quantità di calore viene assorbita dal nostro sistema di raffreddamento e per fare ciò spendiamo una
certa energia elettrica. Quindi il calore totale che espelliamo dal sistema sarà dato dalla somma del
calore che prendiamo dall’interno della cella frigorifera + la quantità di energia elettrica spesa.
In questa forma, quindi, possiamo prendere il calore da qualunque sorgente per poi trasferirlo verso
un ipotetico punto di recapito e lì può essre usato ad es. per riscaldamento. Inoltre, possiamo fare la
stessa cosa estrendo calore dall’aria o dal sottosuolo e ciò necessita di una sonda geotermica attaccata
a una pompa di calore.
Si pensi di voler estrarre un flusso di calore (Qenv) da un qualche serbatoio che contiene calore e
quindi ha una T > T ambiente. Se estriamo calore da tale sorgente, possiamo sfruttare il calore ed
esercitando un delta di T usare tale calore per un sistema di riscadamento. Il problema è che
l’efficienza del sistema di riscaldamento domestico può consentire o impedire l’impiego di queste
tecnologie. Per es. se si è uin una casa con caloriferi vecchi che sfrutta una caldaia a gas o a
62
combustibile tipo gasolio, la T dell’acqua è alta > 60°C e ciò richiede una fonte energetica rilevante.
Se, invece si hanno radiatori che hanno capacità di irradiamento maggiore si
avranno T tra i 45-55°C. Tale T può scende re ancora se si ha un
riscaldamento sotto il paviento a 30-45°C. infine, si può abbassare ancora la T di esercizio sino a T
di 25-30°C se usi sistemi a circolazione di aria. L’effetto totale di riscaldamento che si può ottenere
sarà pari al calore fatto fluire nel sistema + la quantità di energia per far funzionare la pompa di calore.

L’efficienza di una pompa di calore si esprime a partire dalla definzione già detta che aveva
introdotto Thompsone e poi ripresa da Carnot, che si riferisce a una condizione ideale (pag. 60). Una

pompa di calore ideale rovescia questo processo rappresentato da un moto re terico e quello che fa è
che l’efficienza massima sarà uguale alla quantità di calore che viene restituito (H) rispetto al lavoro
(W ) fatto per arrivare a quel dato valore. Ciò è rappresentato dal ciclo di Carnot

Nelle pompe di calore moderne si sa che il compressore è azionato tramite un motore elettrico così
che il lavoro W che viene fatto è direttamente connesso all’energia elettrica E consumata. L’efficienza
di una pompa di calore è in genere espressa in termini di coefficiente di permormance (di

prestazione) detto COPh dove il termine pedice h rappresenta che lo staimo facendo per fini di
riscaldamento. In pratica, il COPh sarà la quantità di calore generata in funzione dell’energia elettrica
consumata. Dato questo e data la definzione dell’efficienza massima possiamo fare diversi calcoli.

Il COPh in condizioni reali è molto inferiore rispetto a quello ideale e sarà controllato dalla ϑ2 ossia
la T in corrispondenza dell’evaporatore e quella al condensatore ϑ1. La pompa di calore non può usare
un ciclo ideale di Carnot nella fase di compressione. Inoltre, poiché usiamo un fluido organico stiamo
usando un ciclo alla Rankin che è molto più semplice da usare, ma più inefficiente. Per gran parte dei
sistemi a pompa di calore, la COP è in un intervallo tra 3 e 4.

Si ricordi che l’efficienza o COPh varia nel tempo in funzione delle tecnologie oppure che la
performance sarà funzione dell’intervallo di T entro cui lavoriamo.

63
RENDIMENTO IN RAFFRESCAMENTO, COPH, MACCHINE REFRIG., LORO SVILUPPO

Lo schema rappresenta un sistema di


estrazione di calore dal sottosuolo tramite un
circuito di prelievo/restituzione. L’acqua
sotterannea arriva a una pompa di calore, la
quale consente o un utilizzo diretto del calore
estratto dal fluido oppure ci consente di
stoccare parte del calore in un sistema di
accumulo.
Vediamo con un esempio diretto come si fa
ad operare: si assuma di avere l’acqua
sotterranea nel terreno a una T di 11°C. a
questo punto solleviamo l’acqua e il salto di
T che causiamo ammettiamo sia di 5°C.
quindi estraiamo una quantità di calore che è
associato a questo salto di calore. L’acqua che viene restituita si troverà a 6°C (11°C – 5°C). Il calore
estratto è incrementato tramite l’azione della pompa di calore fino a un valore ϑin che sarà il calore
disponibile ad es. per il riscaldamento domestico. All’interno del sistema della pompa di calore
avremo un flusso di calore rappresentato da G e che sarà controllato dl salto di T e dalla portata
dell’acqua sollevata direttamente dalla falda. A questo punto ci calcoliamo l’effetto totale calorifico
(H) come: H = G + E. Quando G è il calore estratto dalla superficie possiamo dire che COPH = H/E.
A questo punto possiamo anche correlare il calore estratto dall’acqua sotterranea tramite la
conoscenza del flusso di calore e la perdita di temperatura che sappiamo essere di 5°C tramite la
conoscenza del calore specifico volumetrico dell’acqua che è pari a 4180 J/L*K.

In questo modo, sapendo la differenza di T (ϑ), il flusso di acqua pompato dal pozzo (z) e poi il calore
specifico volumetrico (SVCwat), sapendo la portata o flusso possiamo sostituire nella relazione nel
modo seguente: se Z = 1 si avrà →
Se abbiamo a disposizione una pompa di calore con un COPH = 4.
Per aumentare la performance potremmo aumentare
la quantità di acqua pompata.

64
Inoltre, il sistema prevede non solo un costo in termini di energia elettrica per il funzionamento del
compressore o pompa di calore, ma anche per tutte le altre fasi come il sollevamento dell’acqua dal
pozzo o pompe per la ridistribuzione. Possiamo anche definire un fattore di performance o di
rendimento stagionale per la pompa di calore e questa concettualmente è simile al COPH, solo che
è un valore calcolato integrando sull’intero tempo di funzionamento. Un'altra cosa che si può fare è
calcolare un fattore di performance su scala stagionale (SSPFH) che tiene conto di tutte le spe
all’interno del sistema (come l’utiizzo di una pompa per il funzionamento).

Così come funziona il sistema in riscaldamento, esso funziona anche in raffreddamento. La cosa
importante è tenere conto che un edificio piccolo come una singola casa ha una superficie grande
rispetto al volume che occupa e ciò significa che è sensibile alle perdite di calore. Viceversa in un
edificio grande la superficie totale tende ad essere ridotta rispetto alla volumetria e quindi tendono ad
avere delle necessità importanti in termini di raffrescamento. Quindi le perdite di calore avvengono
in parte dalle pareti delle case, la pavimentazione, le finestre, dai camini, i tetti.
Quello che si può fare è rovesciare la modalità di funzionamento di una pompa di calore ed essa sia
che funzioni ad aria sia ad acqua può essere usata non solo per il riscaldamento, ma anche per il
raffrescamento. Quindi, invece che estrarre calore dall’acqua dal sottosuolo, si può usare l’acqua per
raffrescare il nostro ambiente, passare calore all’acqua e reiniettarla nel nostro mezzo. In
raffrescamento vi è una differenza notevole qualora si voglia andare a calcolare il flusso di calore
all’interno del sistema. Nella fase di raffrescamento possiamo descrivere un coefficiente di
performance o di rendimento del sistema che viene detto COPC dove C sta per cooling e quindi
raffrescamento. In alcuni casi esso è anche detto EER e cioè energy efficiency ratio e questo è pari a:
EER = C/E, dove C è il calore rimosso dall’edificio per il raffreddamento e E l’energia elettrica. Se
vale la relazione in rosso detta sopra, ciò può essere
riscritto nel modo successivo in rosso. In effetti, il
consumo energetico è qualcosa che andiamo a
perdere, mentre nel riscaldamento era qualcosa
che ci guadagnavamo. L’impiego delle tecniche di raffrescamento tramite sonde geotermiche può
essere ritenuto non del tutto efficiente o comunque un sistema che potrebbe essere poco efficiente
rispetto ad altri sistemi in cui vi è uno sfruttamento migliore dell’energia spesa. Tuttavia, se si usa un
raffrescamento passivo le performance sarebbero superiori di circa il 20-40% in più rispetto alle
soluzioni con cui la circolazione di aria o acqua è usata.
65
Il caso di un sistema UTS prevede la possibilità di immagazzinare calore o estrarre calore in diverse
stagioni con effetti diversi sul suolo e sulla quantità di calore immagazzianto.

I vantaggi di sistemi GSHPs con sorgente terrestre è che sono sistemi a visibilità limitata in quanto
sono nascosti del tutto al di sotto della superficie e gli elementi principali possono essere contenuti in
uno scantinato piccolo. Essendo di piccolo dimensione quindi dal punto di vista strutturale, si può
dire che gli edifici ci guadagnano perché possono essere leggeri e non hanno problemi di carico.
Hanno bassi problemi di incendiabilità e richiedono solo una minima ventilazione per il motore.
Hanno un basso grado di manutenzione e una vita media operatia lunga da renderli economici. Sono
sistemu che non causano inquinamento acustino e hanno costi ridotti e basso impatto di emissioni di
gas serra.

Le pompe di calore possono essere usate per il


raffrescamentoe in effetti uno dei primi motivi
per cui sono state ideate era quello per la
produzione di basse T pe roperare trasporto di
alimenti su medio-lunghe distanze. All’inizio si
operava con Icehouses ovvero le ghiacciaie che
sfruttavano le caratteristiche del terreno e un
parziale isolamento per stoccare ghiaccio e
quindi per avere basse T per medi-lunghi periodi.
In alcuni casi, queste strutture usavano dei
sistemi a muri cavi che garantivano una bassa
conduttività.
Il commercio di ghiaccio è iniziato nel 1800 e uno dei primi tentativi è stato quello di trasportare 100
ton di ghiaccio dal Massachussets a Calcutta con una perdita del 30% di ghiaccio. Nel porto di Londra
erano stati costruiti dei pozzi nelle argille per stoccare ghiaccio e per mantenere a bassa T beni
alimentari.

Una delle prime osservazioni fatte è stata quella che facendo evaporare alcune sostanze volatili si
realizzava un effetto generale di raffreddamento. Vi era un assorbimento di calore durante la fase di
evaporazione. In funzione della quantità di calore o del calore latente di evaporazione, tanto maggiore
è e tanto maggiore è il potenziale di raffrescamento. Ciò era stato formalizzato con appaerecchi che

66
consentivano di bollire a bassa T in un sistema a vuoto in modo da causare un raffreddamento
generale. Inoltre, si era riconosciuto che un gas che va incontro ad espansione si raffredda.
I motori refrigeranti partono come idea dai motori termici che sono rovesciati in pompe di calore.
Esistono diversi prototipi progettati nel
tempo ed uno dei sistemi interessanti è
quello di John Gorrie che prevedeva la
compressione e l’espansione di aria per
produrre ghiaccio. Il sistema iniziava con
la compressione dell’aria che risultava in
un innalzamento di temperatura; poi
l’aria compressa nel serbatoio veniva
raffreddata ad es. facendo circolare
dell’acqua fredda nell’intorno e poi si lasciava espandere rapidaente quest’aria che era stata
raffreddata tramite il contatto con l’acqua che toccava il serbatoio e la rapida espansione abbassava
la T più del valore iniziale e consentiva la formazione di ghiaccio.
Ci sono poi altri sistemi che sono poi diventati industriali e poi altri che usavano acido solforico e
acqua oppure ammoniaca e acqua. Entrambi i metodi consideravano la volatilità della sostanza che
veniva messa a contatto con l’acqua per l’abbassamento della T.
Le prime pompe di calore erano state suggerite all’inizio del ‘900 da Zoelly che aveva fatto un primo
brevetto circa il funzionamento di una pompa di calore. Al di sotto di una tavola d’acqua in un pozzo
di grande diametro vi era una serpentina attaccata ad un compressore e ad un sistema pompa. Nel
1920, invece, Haldane ha iniziato uno studio circa l’installazione di pompe di calore all’interno di
edifici con sistemi attrezzati tramite compressori e alimentati da energia elettrica. Nel 1930-1945
l’installazione pompe di calore è iniziata sia con funzionamento ad aria sia ad acqua.
John Summer fu uno dei primi costruttori di un sistema a pompa di calore di grandi dimensioni e
quello che faceva era quello di usare delle acque di superficie e come fluido vettore o refrigerante il
diossido di zolfo.
Inorno al 2000 in Svezia quasi tutte le abitazioni venivano realizzate con installazioni di pompe di
calore. Le pompe di calore sono state fortemente sviluppate in Svizzera e anche qui a partire dal 2000
un gran numero di case è basata su sonde geotermiche e pompe di calore sia in sistemi chiusi sia
aperti. Inoltre, essa ha anche uno sviluppato sistema di monitoraggio sugli effetti delle sonde sulle
acque di falda.

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I fattori che possono essere critici sull’impiego delle sonde geotemriche nei sistemi a bassa entalpia
sono: la differenza del costo con i combustibili fossili, il costo dell’energia elettrica, la politica di
sussidi per facilitare l’installazione delle sonde, la possibilità di avere soluzioni proproste dalle società
di energia elettrica, aspetti ambientali, valori soglia di emissione a scala del Paese.

La quanttà di calore che può essere richiesta da questi sistemi può variare molto in funzione delle
condizioni ambientali e quindi delle differenze di T utili e richieste al fine del raffrecsamento
dell’edificio. È importante che l’edificio sia isolato sia dall’interno verso l’esterno sia viceversa.
Quindi la conduttanza termica (U) è una delle caratteristiche fondamentali. In genere si dice che la
perdita di calore (Q) da un edificio è data dalla differnza di T e dalla conduttanza termica dell’edificio
stesso.

FABBISOGNO TERMICO DIM. IMPIANTO GSHP; OPEN LOOP E SCARICO ACQUE

È particolarmente interessante definire i gradi giorno ossia fare una stima degli effettivi giorni o della
durata in giorni per cui è necessario fornire calore al sistema in modo da antenerlo almeno alla T
minima considerata confortevole per
abitare. Quindi quello che si può fare
è calcolarsi la perdita di calore
onduttivo totale, U, tramite il valore
del calore perso attraverso le pareti
del mezzo per i gradi giorno. I gradi

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giorno sono i giorni totali in cui sarà necessario fornire una T o calore in modo da mantenerlo al di
sopra della temperatura standard (15°C). Essi saranno quelli che occupano le zone grige del grafico,
in cui la T nel giorno sta al di sotto della T necessaria. La coduttanza e la resistenza termica sono dei

parametri che devono essere correlati alla conduttività o alla resistività termica. La conduttanza è il
rapporto tra la conducibilità termica e lo spessore del materiale di cui vogliamo valutare tale proprietà.

È abbastanza interessante avere un idea del fabbisogno che è in genere in proporzione maggiore per
un piccolo edificio rispetto a un grande edificio, in quanto il rapporto superficie/volume è a sfavore
per il piccolo edificio rispetto a quello grande. Esistono delle regole empiriche che si possono usare.
La domanda di calore per una T interna a
una casa di 20°C e per una T esterna di
0°C è di 36 W/m3; non è detto che sia
importante garantire il delta max di T e
quindi il fabbisogno massimo di
riscaldamento, ma molto spesso ci si
puòrifare ad una frazione della domanda
stessa. Quindi, dobbiamo dimensionare il
nostro impianto; ciò sarà funzione delle caratteristiche geologiche e ambientali, ma anche
dall’andamento delle T. Nel grafico a sx si vedono delle T mediate in 1 annoe vediamo coi punti rossi
quando la T tocca la linea rossa che identifica lo zero termico. Se assumessimo l’intervallo precedente
e cioè progettare tra 20°C e 0°C è evidentemente un eccesso, perché prenderemmo una domanda che
corrisponde a delle fasi di picco e tali picchi sono molto rari. Se dimensionassimo l’intero sistema su

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tali picchi quando la T è decisamente al di sopra della curva rossa, in pratica, avremmo un sistema
sovradimensionato che potrebbe costare troppo.
Un sistema a sonde geotermiche può essere dimensionato al 60% del picco e in questo modo si è visto
che tale sistema potrebbe garantire la copertura del fabbisogno di gran parte del tipo o meglio del 90-
95% del fabbisogno termico. Questa relazione può essere espressa in un paio di modi con la copertura
energetica o l’effetto di copertura.

Nei sistemi che sono sovradimensionati si ha un problema: esso rispetto alla domanda media richiede
una potenza elevata chepuò portare a spegnimenti ed accensioni continui dell’impianto. Ciò potrebbe
essere influenzato anche dalla massa termica o dalla capacità di immagazzinamento termico
dell’edificio stesso. C’è un inerzia termica che può essere tenuta conto e che può influenzare il tempo
e le modalità di funzionamento. Essa è legata alla capacità di immagazzinare calore da parte
dell’edificio. Durante un ciclo diurno-notturno ad es. potremmo avere che durante il giorno il calore
venga immagazzinato dall’edificio e poi esso è rilasciato durante le ore notturne. Ciò può essere utile
anche per generare dei sistemi buffer ossia potremmo immagazzinare il calore nella struttura
dell’edificio e poi nelle ore notturne quando le T sono più basse, l’edificio stesso rilascia calore e può
partecipare al riscaldamento dell’ambiente funzionande da accumulatore. La massa dell’edificio sarà
uno dei fattori dominanti nell’influenzare l’immagazzinamento dell’energia e ciò potrà avvenire
tramite le fondazioni, e ciò può essere sfruttato sia nella fase di riscaldamento sia di raffreddamento.

Se si ha una sorgente a ciclo aperto (open-loop) si ha una condizione diversa perché l’acqua può
essere prelevata dal sottosuolo e poi reiniettata o in corsi d’acqua superficiale o in profondità. In una
modalità di raffreddamento non è detto che sia necessario usare una pompa di calore, perché potrebbe
essere già sufficiente lavorare in modalità libera o passiva. Quindi se abbiamo un impianto di
riscaldamento/raffrescamento con delle tubazioni che passano sotto al pavimento, potremo far passare
dell’acqua a T inferiore a quella ambientale e si avrebbe un effetto di raffrescamento. La quantità di

calore che può essere estratto da un flusso di acqua sarà funzione della portata Z, del delta di T e la
capacità di calore specifico dell’acqua per unità di volume.

70
Se vogliamo vedere il carico termico totale possiamo utilizzare nella kodalità riscaldamento le
formule viste in precedenza e in particolare quella di H.

Invece, per la condizione di raffrescamento si useranno formule simili ma il tutto verrà trattato con
un COP con segno + perché si ha un eccesso di energia che sarà direttamente correlata all’energia
che forniamo al sistema.

La cosa da tenere presente è chein una fase di riscaldamento, il sistema è più efficiente rispetto ad
una fase di raffrescamento proprio perché dobbiamo disporre dell’energia che noi forniamo ed è
sfruttata quella elettrica nel riscaldamento e rimane come un surplus da smaltire nella fase di
raffreddamento.
In questi sistemi open-loop avremo il problema della progettazione del pozzo di emungimento
dell’acqua: sarà necessario progettare la lunghezza o profondità del pozzo, la lunghezza del tratto
filtrante, il diametro del pozzo, la portata di acqua da estrarre o iniettare. Tutto ciò sarà fortemente
condizionato dalle caratteristiche geologiche e litologiche dell’acquifero.
I diversi pozzi che si possono usare sono di diversa natura in funzione che ci si trovi in roccia stabile
o pulita o fratturata. La parte superiore deve essere impermeabilizzata al terreno, mentre la parte
profonda potrebbe essere scoperta senza elementi filtranti. Oppure posso avere un tubo cieco nella
parte sommitale, un tratto filtrante con la possibilità di avere anche dei filtri granulari. Anche qui il
problema srà il calcolo dell’apertura dell’area filtrante rispetto all’area totale delle pareti del cilindro.
Il buon funzionamento dipenderà dalle caratteristiche chimiche dell’acqua (riducenti o ossdianti).
L’acqua quando viene pompata può essere soggetta, poi, alla variazione del contenuto di diossido di
carbonio disciolto e ciò può causare un aumento del pH dell’acqua. Diventando più basica l’acqua si
può avere la precipitazione dei minerali ricchi in CaCO3. L’altro problema potrebbe essere
l’esposizione diretta all’atmosfera e dissoluzione di ossigeno che porta all’ossidazione di molti
metalli disciolti in acqua e i più problematici sono il Mn e il Fe.
Se circolassero quindi fluidi di questo tipo nelle pompe potremmo avere dei problemi di
precipitazione e quindi di intasamento dei filtri; se poi le acque sono saline può avvenire che si

71
possono avere dei fenomeni di corrosione; l’ultima condizione che può essere preocccuante è la
formazione di biofilms oppure di popolazioni batteriche nel sistema.
Per questo motivo sono usati degli scambiatori di calore profilattici che sono usati per evitare che
l’acqua che viene prelevata vada direttamente a contatto col sistema di distribuzione del calore; quindi
ci sono degli scambiatori di calore che sono messi tra l’acqua sotterranea e un fluido vettore. Essi
posso avere diversa geometria e hanno diversa efficienza. Essi possono essere a piastre parallele con
entrata e uscita del fluido in due direzioni opposte oppure in un sistema coassiale.
Per ridurre il rischio di intasamento, precipitazione, occlusione dei filtri o del sistema di
cicrolazione si può filtrare l’acqua, invece per la parte chimica e biologica si può mantenere un elevata
pressione del fluido he viene fatto circolare in modo da impedire la degassazione della CO2, evitare
l’ossigenazione dell’acqua e quindi il contatto diretto con l’atmosfera oppure si può agire in modo
chimico usando sostanze che non permettano lo
sviluppo di batteri e che riducano il contenuto di
sostanze chimiche disciolte. Infine, se non si sta
attenti a queste operazioni sarà necessario avere
una manutenzione regolare e frequente
dell’impianto.

Possiamo quindi definire il coefficiente di


trasferimento di calore totale U per uno
scambiatore di calore come Q = U * A * ϑmean
Dove A è l’area di contatto tra l’acqua di falda e
il fluido vettore.

Si può quindi considerare un sistema di


raffreddamento aperto come in figura a sx: il
tasso di calore trasferito Q lungo lo scambiatore
di calore profilattico è dato da:

slide 70 cap 5

72
Se abbiamo un acqua a una T iniziale di 11°C e poi la raffreddiamo ad es. a 6°C nel caso in cui
estraiamo del calore, possiamo o riutilizzare l’acqua per usi specifici per es. per fini idropotabili,
oppure nelle fogne, canale, sistema idrico, reiniezioni in acquifero o reimmissione in altro acquifero
diverso da quello da cui l’acqua è stata emunta.
La reimmissione dell’acqua nelle fogne crea dei problemi perché possono essere dovuti alla portata
del sistema fognario e a quanto è già prossimo alla portata max ad es. nei periodi di piogge intense.
Molto spesso lo scarico in sistemi fognario richiede il pagamento di una tassa in funzione del volume
scaricato. Per lo scarico in acque superficiali ci sono dei problemi ambientali per cui servono dei
permessi speciali.
Quindi, sarà necessaria fare una valutazione del rischio. Il rischio connesso potrebbe essere che la T
dell’acqua che immettiamo in un corso d’acqua superficiale è troppo alta o bassa da consentire il
mantenimento della fauna ittica o della flora in prossimità del sistema oppure potremmo avere delle
instabilità di tipo geochimico con fenomeni di precipitazione o dissoluzione.

La reiniezione negli acquiferi entro cui l’acqua è prelevata è importante perché può essere un
requisito da parte delle agenzie che controllano queste opere perché si cerca di mantenere il bilancio
idrico dei singoli acquiferi; l’altra possibilità che serve per evitare un rischio è quella di iniettare
acqua in acquifero diverso da quello da cui è emunta. Ciò consente di evitare problemi di
contaminazione, ma non garantisce il bilancio idrogeologico per l’acquifero da cui si preleva. In
alcuni casi, potrebbe esserci la necessità di sterilizzare l’acqua per evitare che essa favorisca la
formazione di batteri in prossimità del pozzo di riniezione. Allo stesso modo è bene ci siano pochi
gas disciolti per evitare intasamento o intrappolamento di bolle di aria e infine che ci siano fenomeni
di corto circuitazione. La figura sotto: se noi immettessimo
acqua fredda a sx e prelevassimo acqua calda a dx in un sistema
in cui il pozzo fosse solo nel primo acquifero → immettendo
acqua fredda mi aspetto una migrazione di tale acqua verso dx
e quindi ci sia una perdita di performance; ciò perché immetto
acqua fredda e prelevo acqua calda quindi la T media scende.
Se invece prelevo dal secondo pozzo in basso acqua pulita e
dopo il ciclo la reimmetto nel pozzo di sx nell’acquifero più
superficiale così se ci fossero dei problemi di contaminazione non li propago nell’aquifero profondo.

Uno degli aspetti importanti è che si può generare o un problema di contaminazione per presa in
carico di sostanze pericolose oppure una contaminazione legata al calore.

73
SI può avere una tubazione
all’interno sospesa nel pozzo da
cui si preleva acqua che arriva e
va a svolgere il suo lavoro
all’interno della pompa di calore;
poi l’acqua che viene restituita è
immessa nell’intercapedine tra le
pareti del foro e del tubo da cui si
emunge. In questo modo l’acqua
mentre scende tende ad acquisire
calore per conduzione attraverso
la zona in cui è reimmessa e
quindi si può miscelare avendo
riguadagnato il delta di T che ha
perso durante la fase di
sfruttamento. Queste sono dette
anche standing column well (SCW) e quello che è interessante è che il grosso volume di acqua nel
pozzo con la propria inerzia termica diminuisce la domanda nelle fasi di picco; la componente
importante è quella detta bleed cioè quanto velocemente l’acqua viene rigenerata e riportata verso il
pozzo dal sistema interno. Quindi, il vantaggio di tali pozzi è che c’è un pozzo solo da fare ed è la
struttura stessa del pozzo che può essere adattata a svolgere sia la funzione di emungimento e sia
quella di reiniezione dell’acqua.

Gli svantaggi dei sistemi aperti (open-loop) sono: dipendono dalla geologia (tipo acquifero),
richiedono un significativo grado di input da un idrogeologo o ingegnere delle acque sotterranee, sono
richiesti pozzi di acqua durevoli, deve essere monitorata la chimica e torbidità dell’acqua. I vantaggi
sono: essi usano un’acqua media che ha T costante in superficie e ha un alto calore specifico (4180
J/L*K); essi estraggono calore dalla convezione forzata dell’acqua sotterranea; il pozzo di estrazione
può fornire una sorgente di acqua potabile.

74
SISTEMI CLOSED LOOP, TIPI E MODALITA’ DI INSTALLAZIONE, POSA E MATERIALI

I sistemi a circuito chiuso prevedono l’utilizzo dello stesso fluido che passa attraverso un sistema di
tubazione che possono avere diverse disposizioni e geometrie e possono interessare profondità
differenti o mezzi diversi all’interno del sottosuolo. Ad es. le tubature possono essere come in figura
prossime alla superficie, con delle serpentine o avvolgimenti, dei sistemi verticali oppure dei sistemi
superficiali che sfruttano acque superficiali. I sistemi possono essere divisi in funzione delle modalità
di circolazione del fluido e di estrazione del calore, in particolare, si può parlare di sistemi a
circolazione diretta e sistemi a circolazione indiretta. I sistemi a circolazione diretta sono quelli più
comuni e semplici, mentre i sistemi a circolazione indiretta sono diventati via via sempre più
importanti.
Questi tipi di sistemi chiusi possono essere costruiti in tutti i tipi di
roccia: graniti, argille, permafrost o miniere abbandonate e
rappresentano un altro metodo di estrazione del calore che non
richiede estrazione e reiniezione di acqua.
Quello che si fa siccome siamo in prossimità del suolo è di sfruttare
delle variazioni di T del mezzo e in funzione dell’oscillazione di
temperatura l’approccio usato sarà diverso. Nel caso del grafico
avremo le oscillazioni di T stagionali in funzione della profondità
nel suolo. Si osserva come l’oscillazione di T sia forte in prossimità
della superficie, mentre ha un valore stabile in profondità. In entrambi i sistemi superficiali e profondi,

75
il fluido viene portato all’interno dell’edificio dove ci sarà un impianto che sfrutterà il tutto per portare
calore all’interno della casa.

Il sistema diretto è un sistema in cui un


fluido refrigerante viene fatto circolare
attraverso un sistema che include un
compressore, una valvola di espansione e
una pompa di calore. In questo caso, si
avrà un fluido a bassa T che entra nel
pozzo, ritorna su ad una temperatura
maggiore rispetto a quella iniziale; la T
esterna è bassa, il compressore comprime
e quindi riscalda il fluido che arriva in
corrispondenza di una serpentina dove
perde calore; il calore perso viene trasferito tramite la condensazione al circuito interno che va a
scaldare l’ambiente. Il sistema è semplice poi si ha un altro espansore che raffredda il fluido che è
rimandato in profondità. Il vantaggio principale di questo sistema è che può funzionare a T anche
molto basse (-15°C). Inoltre, si ha un solo trasferimento di calore e quindi il sistema può essere
relativamente efficiente. Le tubazioni possono essere di diverso materiale sia in plastica sia in metallo.

Nel caso, invece, del sistema a


circolazione indiretta, il fluido vettore
circola all’interno di un loop chiuso. Si
ha un loop chiuso per il fluido che estrae
dal pozzo il calore, poi esso entra in una
pompa di calore in cui vi è un circuito
separato che poi va ad un altro circuito
che porta il calore direttamente
all’interno dell’edificio. In questo caso,
il calore è assorbito per conduzione dal
sottosuolo e quindi sarà l’efficienza del trasporto conduttivo a massimizzare il funzionamento di
questo sistema.

Entrambi i sistemi diretti e non sfruttano le oscillazioni termiche viste nel grafico alla pag 75.

76
I materiali per la costruzione delle tubature possono essere di metallo ome il rame che ha una
resistenza termica molto bassa (conducibilità termica elevata come metallo); invece, si usano sempre
di più i tubi in polietilene (PE) che hanno una conducibilità termica bassa, ma sono estremamente
poco costosi, molto resistenti sia alla corrosione sia ad azione meccanica e sono anche facilmente
gestibili durate le operazioni di messa in posto e realizzazione del foro e del sistema. I diametri ideali
sono tra i 25-50 mm e la cosa importante è che queste tubazioni siano in grado di resistere a delle
pressioni relativamente alte che variano da 10-16 bar anche se poi il fluido usato è pressurizzato a 2-
3 bar.

Il fluido è una soluzione a base di acqua con del anti-congelante più o meno concentrato che consente
di poter raffreddare la soluzione a T ben al di sotto dello zero termico. I sistemi di questo tipo sfruttano
soluzioni anti-congelanti che sono a base di glicolo etilenico, etanolo o soluzioni saline. Il fluido deve
avere una punto di congelamento basso per consentire un gradiente di T elevato. Inoltre, al variare
delle temperature ci possono essere delle variazioni di proprietà fisico-meccaniche e la
concentrazione della soluzione anti-congelante consente di raggiungere T diverse.
Dal punto di vista delle autorità che possono concedere l’uso di tali sostanze vi è una preoccupazione
laddove ve ne sono molte o dove non vengano realizzate con attenzione o dove si rischi di rilasciarli
in acquiferi sfruttati ad uso idropotabile. Dall’altro punto di vista, esse sono sostanze che hanno una
biodegradabilità spinta sono meno preoccupanti. La portata nei tubi deve essere elevata da aver un
portamento turbolento che risulta più efficiente nel trasporto di calore. Il fluido invece, deve essere
sottoposto a una portata specifica che varia tra i 3-3.5 L/min per kW di calore trasferito. Nelle
condizioni tipiche il fluido vettore viaggia a T media di -2°C e può essere fatta variare in funzione
del calore che si estrae.

Abbiamo detto che variano le proprietà fisiche-chimiche del fluido che circola nelle tubazioni e
bisogna tener conto che al diminuire della T aumenta la viscosità e quindi a parità di viscosità per
mantenere la stessa portata si può consumare più energia. In funzione che vi sia in raffreddamento o
in riscaldamento, ci possono essere diverse performance del sistema.

I sistemi a ciclo chiuso (closed-loop) e a sviluppo


prevalentemente orizzontale, sono tra i più economici
perché lo scavo sarà superficiale, più o meno ampio, ma
hanno la necessità di avere una superficie abbastanza
ampia da coprire con serpentine o con le tubazioni. Inoltre,

77
queste serpentine devono essere abbastanza profonde per evitare di risentire delle basse T in inverno
e delle alte T in estate. La profondità deve essere tale da essere facilmente scavabile, non troppo
profondo in modo che comunque ci sia abbastanza capacità di immagazzinamento ma non di
risentimento e sensibilità alle variazioni di T durante la stagione in cui è impiegato. Questi sistemi
sfruttano un intervallo di profondità piccolo che è posto tra 1-2 m di profondità.

Per massimizzare la superficie di contatto per metro di scavo realizzato, una delle possibilità è quella
di stendere delle serpentine elicoidali che sono svolte ll’interno dello scavo. Per dei sistemi lineari
per una tubazione in PE a stesa singola si ha una resa di 15-30 W/m. Inoltre, se il terreno è asciutto,
l’output in potenza sarà più basso; nel caso di una spirale elicoidale, il diametro delle stese deve essere
tale da ottimizzare la distanza tra le tubazioni in modo da minimizzare le possibili interferenze. In
genere le spire di 0.6-1 m di diametro sono funzionali. Quando, invece, si lavora in raffrescamento è
possibile che siano richieste delle lunghezze superiori e ciò significa che il sistema deve essere
reversibile in due direzioni e quidi deve essere opportunamente dimensionato.

Se si installano delle tubazioni in trincea: le trincee devono essere spaziate a sufficienza in modo da
non interferire (3-5 m). La prim configurazione a sx è costituita da due sistemi di stesa lineare in cui

si ha acqua fredda e calda che vanno ad un unico collettore; l’acqua fredda è immessa in molteplici
elementi lineari e con un unico elemento di raccordo in basso. La seconda figura, invece, è una
rappresentazione con un tubo unico in cui si ha un avvolgimento a spirale e mano a mano che l’acqua
scorre, aumenta di T. Nella terza figura, si ha acqua fredda con andamento a zig-zag e il tubo di
ritorno che fa lo stesso percorso e quindi anch’esso aiuterà a riscaldare l’acqua. Ci sono delle cose da
ricordare per le trincee: profondità di 1-2 m, separazione tra i tubi sia in verticale sia in orizzontale.

78
Inoltre, si può fare un altro tipo di applicazione in cui si ha una trincea, si stendono le tubazioni con
armatura e poi la trincea è riempita di materiale utile dal punto di vista termico. I tipi di installazione
possono essere quindi: superficiali (metodo A) con uno scavo a bassa profondità, la stesa dei tubi
con stesa di sabbia e rinterro superiore; in trincea (metodo B) che si fa con mezzi piccoli oppure
tramite aratri che scavano e riempiono (metodo C). Infine, per scavi lunghi (metodo D) si usano
delle seghe a coppelle (nastro che scorre sega) per rotazione continua si ha scavo e svuotamento.

Ci sono anche le possibili configurazioni dei tubi sopra in figura: tubo singolo, doppio, quadruplo
ecc.

Esempio metropolitana minuto 24 (video closed loop)

79
Se si hanno delle gallerie nel sottosuolo con eccesso di
calore potremmo estrarre parte di calore e portarlo agli
edifici all’esterno per efficientamento termico. Si può
trattare i rivestimenti di una galleria, come ad es. in
figura si ha un anello di una galleria scavata tramite fresa,
in cui all’interno dei singoli conci possono essere inserite
delle tubazioni entro cui circola fluido vettore per estrarre
il calore. Le singole tubazioni dovranno poi essere
raccolte e portate verso l’esterno al recapito.
Il sistema potrebbe lavorare sia in riscaldamento sia in
raffrescamento. Se il terreno immagazzina calore tra estate e inverno, il sistema diventa più efficiente
se l’interno della galleria è isolata termicamente. Ciò perché, se vogliamo immagazzinare calore
vogliamo far rimanere esso nella parte esterna se ciò non è fatto, la T nella galleria tenderà a salire e
quindi potrebbe creare dei problemi (T eccessive in galleria in estate). Se invece, lavoriamo in
raffrescamento vogliamo immettere calore all’interno del tereno circostante. Si prenderà calore dalla
superficie, si abbassa la T.
Se i tunnel sono caldi,l’energia rilasciata nel tunnel può essere direttamente usata (come non avere
isolamento). In estate, il calore estratto dal rivestimento e da terreno ci dà condizione di bassa T e
raffrescamento all’interno.

80
L’altra possibilità è quella di fare degli stendimenti all’interno di acque superficiali tipo laghetti. La
profondità deve essere abbastanza da garantire un isolamento termico dalle condizioni esterne e
capacità di immagazzinamento e rilascio calore ampio. Noi estraiamo calore da un mezzo con fauna
e flora e le specie acquatiche sono sensibili a variazioni di T, variazione gas disciolti e ciò può
influenzare anche l produttività ad es. delle alghe.
Il calore può arrivare nel sistema da corsi di acqua → estrarremo calore con serpentine → vi è scambio
di calore conduttivo e convettivo in funzione del mescolamento delle acque nel lago → ci potrrà
essere del calore dal sottosuolo verso il lago controllato da T, condizioni geologiche, conducibilità
termica e calore specifico dei materiali e poi ci sarà l’irraggiamento di superficie.

I sistemi verticali sono più efficienti perché richiedono meno spazio, si distanziano dalla superficie e
la T che si sfrutta tende a essere costante durante l’anno. Le condizioni del sottosuolo saranno poi
importanti. Un sistema profondo arriva sino a 4-6 m e ha le spire stese in pozzetti di grande diametro
metrico (vertical slinky). Essi sono avvolgimenti elicoidali all’interno del singolo pozzo, in cui si
avrà una tubazione che scende nel foro, l’acqua diviene via via più calda e poi ci sarà un tubo che
porta a giorno alla tubazione principale. Le caratteristiche fisiche del suolo controllano il
funzionamento del sistema e sono la granulometria, contenuto di acqua, conducibilità, densità e calore
specifico. I sistemi possono essere realizzati con diversi approcci ad es. assemblati all’esterno →
scavo → calati all’interno → immissione materiale con lavaggio per aumentare contenuto di acqua e

81
facilitare assestamento del materiale → verifica connessioni e non ci siano perdite di fluido →
riempito foro e le uniche tubature che verrano a giorno saranno di mantenimento delle condotte.

DIMENSIONAMENTO SISTEMI, POTENZA PER SONDA, CEMENTAZIONE, FLUSSO TURB.

Tuttavia, quando abbiamo una certa domanda di


calore da soddisfare quello che ci serve è avere
un idea di massima di quanti pozzi, di quale
lunghezza o di quale potenza è estraibile per
unità di lunghezza di pozzo. Può esserci una
certa proporzionalità tra flusso di acqua uscita da
un pozzo e il carico termico che può essere
estratto da tale flusso. Inoltre, è importante
stimare la lunghezza dei pozzi e delle sonde e
che per es. ciò può variare in funzione se
dobbiamo soddisfare una fase di riscaldamento
o raffrescamento. In genere, ci dovrebbe essere
una relazione diretta tra la lunghezza totale che viene perforata e il carico calorifero che può essere
estratto. Nel diagramma a lato si hanno due serie di punti: quadratini che rappresentano i metri totali
perforati, i triangolini sono il numero di pozzi perforati e sull’asse x si ha la potenza totale installata.
Esistono poi degli altri punti quelli vuoti che rappresentano dei sistemi a circuito aperto, mentre gli
altri sono per le sonde geotermiche. Ciascuna delle linee tratteggiate, invece, rappresenta un valore
di potenza che può essere estratta sull’intera perforazione o per metro lineare. Si osserva che esiste
una capacità calorifica per pozzo che viaggia tra i 2-17 kW per foro; inoltre, se lavoriamo con tali
valori e li dividiamo per la lunghezza in metri, possiamo ottenere un valore minimo e massimo o
medio per la quantità di calore estratta per unità di lunghezza. Ciò è rappresentato coi punti neri dove
si nota che essi sono meno dispersi di quanto non lo siano i valori totali in basso per pozzo intero. I
valori di potenza estraibile sono tra i 35-73 W/m lineare e il valore medio è circa 53 W/m.
La stessa cosa la possiamo fare per i sistemi di tipo slinky con tubazione arrotolate o elicoidali in
modo che i singoli giri della disposizione in una trincea orizzontale ci possa dire il valore di potenza
per unità di lunghezza.

Ci sono dei limiti nella realizzazione di sonde geotermiche verticali correlate alla logistica quindi alla
movimentabilità della macchina perforatrice, al tempo, ai costi di realizzazione del pozzo, ai sistemi

82
di connessione pozzo-pozzo, velocità di perforazione che diminuiscono all’approfondirsi dei pozzi e
quindi anche il costo aumenta. Si osserva che gran parte delle sonde geotermiche si approfondiscono
tra i 70-120 m.

I problemi sono dovuti a diversi fattori: siamo in condizioni eterogenee, condizioni asciutte o bagnate
o stagionali (proprietà del terreno), l’intervallo di T in cui si opera cambia, può variare anche la
modalità di estrazione del calore per tempi diversi; inoltre, molti edifici possono essere complessi dal
punto di vista termico e quindi avere delle zone che hanno bisogno in ore diverse di temperature
diverse.

Il posizionamento nei fori di tubazioni a U o a ciclo


chiuso sono funzione di una serie di elementi. Per es.
in genere se si usano delle tubazioni in polietilene ad
alta densità (HDPE) tra i 25-50 mm di diametro può
accadere che le due tubazioni (in entrata e in uscita)
non devono essere troppo vicine perché ci potrebbero
eesere dei fenomeni di cortocircuitazione. È necessario operare con degli spziatori o cercare di
mantenere delle distanze minime tra i tubi. Ciò sarà importante se si hanno 2 tubi ciascuno di 40 mm
di diametro significa che si hanno 80 mm occupati nel foro; se è necessaria avere una separazione
fisica tra i due tubi significa che avremo 40 + 40 + 50 (spaziatura) = 130 mm; ciò significa che in
media un foro deve avere un diametro di 125-130 mm. l’elemento terminale a forma di U è un
elemento prefabbricato in modo sia più semplice la loro realizzazione e il loro innesto. Questi tubi
sono in genere pesanti ma devo essere anche
zavorrati per calarli all’interno del foro o
riempiti di fluido in modo che non si vada
incontro a effetti di galleggiamento.
Esiste anche la possibilità di mischiare tale
sistemi con sistemi di fondazione. Il problema
è la lunghezza, la disposizione.

Esistono diverse tipologie di pali come ad es


gli hollow spun piles che sono pali a corona
circolare e quindi vuoti internamente che sono
spinti e infissi in profondità nel terreno. Poi si

83
tagliano alla quota del piano campagna e poi calato il sistema di tubi per circolazione del fluido vettore
e si opera la cementazione, poi si attaccano i tubi principali che vanno nell’edificio o nella pompa di
calore.

Un altro sistema prevede l’infissione di pali


prefabbricati con già il sistema di distribuzione
dei fluidi all’interno del palo stesso. Si richiede
attenzione nella posa e l’interconnessione con
le linee centrali di raccolta. Per tutti questi pali
occorre fare delle prove di tenuta del sistema
per verificare che il sistema non abbia perdite.

L’ultima tipologia è visibile nella figura


sotto ed è quella di un palo che viene
perforato e infilata un armatura in tondini
che sarà funzione della portanza
strutturale che dovrà mantenere tale
elemento; all’interno ci saranno i tubi
che potranno avere diverse disposizioni
per es. potranno essere longitudinali o
spirale.

Per tutte tali tecnologie deve essere previsto ce i tubi di andata e ritorno siano protetti e isolati in
modo da minimizzare la perdita di calore lungo il percorso.

Abbiamo già detto che l’edificio ha una sua inerzia, così anche le fondazioni e possiamo usarla in 2
modi: 1) per prelevare calore dal sottosuolo 2) per buttare calore nel sottosuolo. Quindi durante
l’estate si può raffrescare l’edificio buttando calore nel terreno con sonde che verrà riscaldato e in
inverno si fa l’opposto cioè estrarre il calore dal sottosuolo e mandarlo nell’edificio.

84
I tubi sono calati nel pozzo e potrebbero essere sospesi in acqua e funzionare ancora ma avrebbero
probemi di stabilità o galleggiamento o perdite. Invece l’altra possibilità è quella di cementarli e per
fare ciò è necessario un tubo detto tremie pipe e bisogna tenere conto che i tubi devono resistere a
pressioni di 10-12 bar: noi caliamo i tubi, ma la colonna esterna di fluido presente o calcestruzzo
prima della presa possono esercitare una forte pressione sul tubo da schiacciarlo e quindi perde di
funzionalità. Quindi a volte può essere utile mettere in pressione i fluidi in modo he dall’interno si
eserciti una pressione verso l’esterno che controbilanci la pressione dei fluidi esterni durante la fase
di posa e cementazione.
Il completamento sarà diverso in funzione se il pozzo si può autosostenere oppure si sostiene ma
filtrante oppure se si ha un isolamento completo dalle pareti. In tutti i casi il materiale intorno alle
tubazioni deve essere efficiente dal punto di vista termico.

Se fosse sospeso in acqua, l’acqua farebbe da elemento di contatto termico tra roccia e terreno e il
tubo immerso. In questo caso, ci possono essere delle condizioni particolari che possono favorire la
circolazione di calore dove il trasporto di calore avviene per convezione nell’acqua che riempie la
colonna oppure se l’acqua tendesse a congelare potremmo avere una maggior conducibilità del
ghiaccio e quindi una migliore performance.

L’altra possibilità è quella della cementazione che è quella che consente isolamento, stabilità
meccanica, maggior sicurezza ambientale. I materiali usati sono cementi ricchi in sabbie quarzose e
bentonite; ciò perché il quarzo è conduttivo e favorisce la circolazione di calore e allo stesso tempo
la bentonite ci consente di avere la tenuta.

Quindi abbiamo bisogno di un alta conducibilità termica, ma di una bassa conducibilità idraulica
perché essa garantisce una maggiore sicurezza dal punto di vista della possibile perdita di fluidi nel
sistema e quindi eventuale contaminazione della falda circostante. Quindi si usano dei cementi
termici. Quando si usa la bentonite bisogna fare attenzione perché ci possono essere delle bolle di
acqua che si concentrano in alcuni punti particolari che si possono trasformare in tasche di ghiaccio
che possono essere pericolose in quanto per cristallizzazione del ghiaccio si hanno pressioni elevate
e forte aumento di volume e danneggiamento della struttura.
In genere, dal punto di vista ambientale, le autorità che regolamentano l’uso di tali sonde preferiscono
dei sistemi che garantiscono una certa impermeabilizzazione per evitare problemi di contaminazione.

85
L’altra osa che può essere importante è la velocità del flusso nelle tubazioni: è importante mantenere
un flusso turbolento perché esso garantisce una maggior capacità di scambio tra la sorgente di calore
e il fluido vettore e quindi garantisce un maggior flusso di calore finale. Se vogliamo portare una

quantità sufficiente di calore alla pompa di calore in funzione della domanda, occorre specificare il
salto di T su cui andremo a lavorare e ammettiamo sia di 4-5°C e inoltre è importante definire la
portata del flusso o lvelocità del fluido per unità di sezione del tubo.

Per avere un flusso di tipo turbolento dobbiamo assicurarci che il fluido sia caratterizzato nel suo
moto nel flusso delle tubazioni da un flusso turbolento e ciò significa che il numero di Reynolds
deve essere superiore ad un dato valore limite (> 3000). Invece se < 2000 si assume un flusso

laminare. Nel caso di flusso laminare si ha un andamento parabolico con valore max di veocità al
centro del tubo, mentre mano a mano che ci si sposta verso un flusso turbolento ci si sposta verso
geometrie semi circolare. La differenza sarà data anche dalla rugosità del tubo.

Nel caso di un flusso turbolento si stabilisce un gradiente di T netto lungo le pareti e quindi si
massimizza il trasporto di calore. Quindi in questo caso il contatto con le pareti è maggiore e quindi
si massimizza.
I punti interessanti sono:
- Maggior performance del flusso turbolento nei tubi posti nel sistema die strazione di calore
dal sottosuolo, mentre nei tubi di arrivo alla sonda il flusso dovrebbe rimanere laminare perché
se ci manteniamo in tali condizioni si ha minor perdita di calore alle pareti. Per mantenere le
condizioni laminari basta aumentare il diametro del tubo, la velocità scende e diminuisce Re.

86
- Essere in grado di isolare per evitare le perdite di calore e per fare ciò i vari pozzi saranno
dotati di valvole di isolamento individuali sul collettore in modo che chiunque possa essere
messo fuori servizio senza influire sul resto del sistema.
- Ottenere flussi bilanciati e ciò può essere fatto regolando le valvole sul collettore o regolando
ogni circuito del foro a una lunghezza simile aggiungendo delle bobine.
Bisogna poi tenere conto che la viscosità cambierà in funzione delle condizioni della soluzione che
andremo ad usare nel sistema.

Bisogna stare attenti alle T di esercizio perché esse possono creare dei problemi nel caso in cui siano
usate per usi domestici-sanitari. Casi tipici è la Legionella che vive bene tra i 20-45°C nei sistemi ad
acqua, ma può essere eliminata con T > 60°C.

Limitazioni ulteriori sono date dalla distanza tra pozzi di estrazione/iniezione, la velocità con cui le
acque fredde immesse possono ritornare nel pozzo ad elevata T e poi la necessità di massimizzarne
la durata.
I problemi comuni sono: in un sistema aperto la progettazione del pozzi di iniezione è più difficile
rispetto a quello di estrazione perché esso deve tenere conto della possibilità di reiniettare acqua che
causa clocking del sistema, per particolato sospeso oppure per carico batterico chimico pesante.
Inoltre, il punto di iniezione deve essere abbastanza lontano dal pozzo di prelievo.

PARAMETRI E PROVE UTILI PER LA PROGETTAZIONE DI UN SISTEMA APERTO,


DIMENSIONAMENTO DI FILTRI, COPPIE DI POZZI E INTRODUZIONE AI PROBLEMI DI
INTERFERENZA

Vediamo ora quali sono i parametri che ci possono interessare per la realizzazione di sistemi a ciclo
aperto o open-loop. I parametri idraulici che ci possono interessare sono quelli che ci consentono
di caratterizzare il mezzo poroso e sono la conducibilità idraulica K, la trasmissività T, la portata
(Darcy), trasmissività di un sistema di fratture (espressa con legge cubica → perché è Dirett. Prop. al
cubo delle aperture delle discontinuità → una piccola variazione di apertura causa una forte variazione
di trasmissività).
Altri parametri importanti sono i coefficienti di immagazzinamento e cioè per un acquifero non
confinato entra in gioco lo svuotamento dei pori per cui la capacità specifica (o coeff. di immag) per
acquiferi liberi corrisponde alla porosità efficace; mentre per gli acquiferi confinati il coefficiente di

87
immagazzinamento può essere moltiplicato per lo spessore per avere l’immagazzinabilità di acqua
sull’intero spessore a a seguito della variazione di pressione unitaria.
Delle cose del corso di idrogeologia generale si usano le soluzioni dello stato stazionario e transitorio
del flusso verso un pozzo: per la soluzione di Theis ci ricordiamo l’impiego della funzione pozzo
W(u) che è una funzione complessa, un integrale risolto tramite una serie: s = ((Z/4πT) W(u).
Invece, Cooper e Jacob hanno proposto una semplificazione di tale formulazione per eliminazione di
tutti i termini della serie al di là del primo e del secondo. Ciò comporta di arrivare ad una soluzione
analitica della funzione degli abbassamenti.
Infine, la soluzione stazionaria è semplice e rappresenta gli abbassamenti s secondo Thiem.

Se noi ponessimo r2/rw pari a un valore fisso, questo ln() si annullerebbe e ci rimarrebbe la portata e
quindi diventerebbe più semplice la stima della trasmissività in base a misure di abbassamenti in 2
punti e la portata che conosciamo.
In particolare, Logan ha assunto un rapporto pari a circa 2000 (r2 o raggio di influenza), egli
proponeva che il coefficiente di proporzionalità diventi pari a 1.22; in questo modo diventa semplice
calcolarsi la T che dipenderà direttamente dall’abbassamento e da Z portata.

Infine, si potrebbe trovare lo spessore necessario D affinchè tale portata sia estraibile data la
conducibilità idraulica del mezzo.

A questo punto avevamo visto che è possibile calcolarsi gli abbassamenti reali una volta fatte delle
prove a gradini tramite una relazione che ci dice che gli abbassamenti sono direttamente proporzionali
alla portata (per quanto riguarda le perdite laminari, BZ) e ad una componente CZn (dove n = 2). Se
ci basiamo su quanto aveva detto Logan, allora, questo prodotto BZ è riscrivibile come 1.22/T (cioè
perdite laminari acquifero) + B’ (perdite laminari nel pozzo); il tutto moltiplicato per Z (proporzionale
alla portata) e poi sommato a CZn (termine per perdite turbolenti, con esponente variabile).

88
Logan ci dice che se 1.22 vale per perdite lineari, siccome è possibile avere delle perdite non lineari
allora l’abbassamento nel pozzo sw sarà = (1.22 + 0.78) in modo da portare n = 2 per avere un effetto
maggiore della portata emunta sugli abbassamenti.

Conosciamo poi le prove di pompaggio per la caratterizzazione del pozzo e del mezzo poroso. Le
diverse tipologie di prove possono darci parametri diversi: esistono prove a gradini, a portata costante;
le misure fatte riguardano: gli abbassamenti e/o innalzamenti, la durata (24-72 h), la portata
emungibile dal pozzo e monitoraggio acque in uscita dal punto di vista chimico-fisico per previsione
di problemi nel funzionamento nonché nell’utilizzo delle acque.
La prova a gradini consiste in un aprova in cui si fanno diverse prove a portate diverse aumentando
progressivamente per poi arrivare ad
una fase di risalita che conviene
monitorare. È possibile ottenere una
curva caratteristica che ha una certa
curvatura e può essere usata per la
definizione dell’efficienza. In
genere, dove vi è massima variazione
della pendenza si decide di porre tale
valore come portata limite o
caratteristica, perché al di sopra di
tale valore, l’abbassamento procede troppo rapidamente e il funzionamento diventa poco efficiente.

89
Noi abbiamo visto anche un'altra soluzione che era funzione del rapporto tra l’abbassamento teorico
e l’abbassamento reale, ossia l’abbassamento alla Theim rapportato all’abbassamento con la funzione
che implica la presenza della turbolenza che abbiamo appena visto sopra (termine alla n) oppure con
misure dirette in sito.
Abbiamo poi accennato alle durate tra le 24 e le 72 h e già sappiamo i problemi sulle proprietà
chimico-fisiche: in base alle problematiche le proprietà che possono essere misurate in campagna
sono il pH, la T, la conducibilità elettrica (dirett. prop. alla concentrazione salina), l’ossigeno
disciolto, l’alalinità e torbidità. Per le prove di laboratorio si possono fare analisi completi per i
maggiori cationi e anioni per avere un bilancio ionico completo, la presenza di metalli (corrosione),
la microbiologia.
Il grafico mostra una curva cumulata
della frequenza che serve per utilizzare
i dati disponibili per un acquifero con
data area e date litologie per prevedere
quale potrebbe essere la portata
disponibile da un pozzo. Essa può
essere anche normalizzata in funzione
della lunghezza e quello che si vede
sono i valori di portata in termini di
frequenza (cioè quanto spesso sono
ritrovati i valori di portata di questo
tipo). Ciò significa per es. che il 95%
dei pozzi perforati in date litologie ci
danno una portata inferiore ai 5000
L/h.
Uno dei problemi che si hanno sia nei pozzi per acqua per uso idropotabile o industriale sia per la
realizzazione di pompe di calore a ciclo apero con pompaggio di acqua dal sottosuolo, è quello della
possibile interferenza tra pozzi posti in prossimità. La performance sarà data dal fatto che i pozzi
potranno interferire tra loro oppure che i pozzi pescano dallo stesso acquifero ma con litologie diverse
oppure che l’emungimento possa inficiare l’equilibrio idrico dell’acquifero stesso. Molto spesso per
i sistemi aperti è necessario lavorare con delle coppie di pozzi dette anche “well doublets” e ciò
significa che avremo un pozzo in emungimento e poi un pozzo di reiniezione; nel primo pozzo
richiamerà acqua da tutte le direzioni (zona di cattura ampia). Quello che vogliamo vedere è che tipo

90
di interferenza può nascere da questa configurazione che è in figura sotto. Uno degli approcci più
semplici è quello di Cooper e Jacob che ci consente di considerare l’effetto di un pozzo in pompaggio
e di un pozzo in reiniezione; la differenza è che si
avrà un cambio di termini e bisogna tenere conto del
tempo trascorso dall’inizio del pompaggio.

I pozzi di iniezione avranno delle caratteristiche


particolari perché prevedono iniezione forzata che
sarà controllata dalla capacità di recepire l’acqua da
parte dell’acquifero e ciò potrà avvenire in pressione.
La parte dei filtri rappresenta uno degli elementi
importanti: se ricordi quando avevamo visto la
realizzazione di pozzi per es. con filtri a luce continua o ad avvolgimento tramite filo su armatura
centrale, si usavano degli elementi triangolari (filo avvolto) che consentono di minimizzare l’entrata
di particelle e quindi aumentare la capacità di ritenzione delle particelle. Se si usasse tale filtro in
direzione opposta, il processo sarebbe l’opposto e ci sarebbe un sistema con forte entrata di acqua dal
pozzo verso l’acquifero con sezione che diminuisce progressivamente quindi con forte incremento di
velocità e possibilità di occlusione non appena una particella è trasportata dall’interno del pozzo v
erso l’esterno.

Inoltre, le caratteristiche dell’acqua possono creare vari problemi tra cui l’intasamento di cui abbiamo
appena parlato. Se sono attive dal punto di vista microbiologico, esse possono generare biofuring
ossia la formazione di patine di microrganismi sui filtri. In genere, in funzione del tempo di
funzionamento e quindi all’aumentare del tempo la patina aumenta e quindi si ha peggioramento delle
caratteristiche del filtro con occlusione e quindi un incremento degli abbassamenti nel tempo. La
stessa cosa può avvenire per precipitazioni di ossidi di ferro e manganese; altra cosa possono essere
la presenza di bolle di aria che possono intasare il sistema.

91
COPPIE DI POZZI INIEZIONE-PRELIEVO, INTERAZIONE, BREAKTHROUGH IDRAULICO
E TERMICO, EQUILIBRIO TERMICO FLUIDO-SOLIDO

In questa lezione andiamo a esaminare quello che succede in una coppia di pozzi messi vicini tra loro
e che possono incorrere il rischio di interagire tra di loro dal punto di vista termico e idraulico.
Assumiamo di essere in uno schema di una
coppia di pozzi per un problema di
raffrescamento quindi con estrazione
dell’acqua ad una T segnata come ϑgout (dove g
sta per ground) e con una portata Z. L’acqua
viene utilizzata per scambiare calore con un
edificio, quindi esso manda calore nel sistema
di scambiamento e l’acqua viene reiniettata a
una temperatura ϑginj a valle del pozzo di presa
ad una distanza L; tale temperatura sarà
maggiore rispetto a quella di prelievo. La
portata di reiniezione per mantenere l’equilibrio la assumiamo uguale a quella di emungimento e
quindi Z. A questo punto possiamo calcolarci la quantità di calore che viene immessa nel sistema.
Questa quantità di calore sarà proporzionale alla differenza delle due T moltiplicata per il calore
specifico dell’acqua prelevata e moltiplicata per la portata di prelievo e iniezione.

A questo punto possiamo calcolarci il carico di raffrescamento che è inviato verso l’edificio e questo
sarà dato dalla differenza di T moltiplicato per il calore specifico volumetrico dell’acqua moltiplicato
per z; il tutto viene diviso 1 + (1/SPFc). In questo caso, invece, di usare il COP, si usa il SPF per

tenere conto dell’intero comportamento stagionale. Esso dovrebbe essere abbastanza elevato per un
sistema di raffrescamento, mentre per il sistema in riscaldamento dovrebbe essere pari a 2-3. A questo
punto, quello che si fa è capire se è possibile prevedere se il pennacchio termico che viene generato
dall’immissione di acqua calda nel secondo pozzo se andrà a cortocircuitare il sistema, ovvero se
l’acqua calda arriverà in corrispondenza del pozzo 1 e quindi non saremmo più in grado di emungere
acqua fresca ma piano a piano in un tempo t l’interferenza potrebbe incrementarsi.

92
Clyde e Madabhushi (1983) hanno proposto una prima formulazione che ci dice che la distanza L
diventa critica se è < della portata […]. Se i due pozzi sono più vicini di L vi è interferenza, se sono

più lontani, essa potrebbe non avvenire. Lo schema è sempre lo stesso, con 2 pozzi uno in
emungimento e uno in iniezione, dove vi è la possibilità di avere un pennacchio termico che si estende
sino a prendere il pozzo in emungimento con un breakthrough ovvero l’arrivo del fronte caldo in
corrispondenza del pocco di emungimento. Se la distanza tra i due pozzi è appena inferiore al valore
critico, ci sarà un’area di interferenza piccola (solo nel piano che unisce direttamente i due pozzi) e
quindi sarà poco rilevante; viceversa, se la distanza L è molto più piccola del valore critico si avrà
che la zona di interferenza è più grande e quindi ci sarà un peggioramento nel sistema.

Una coppia di pozzi, quindi, è formata da un pozzo in iniezione ed uno in estrazione; il plume termico
nella condizione sotto è totatlmente incluso nella zona di influenza del pozzo di estrazione dell’acqua.
Questo rappresenta il pennacchio termico e in questo caso con tale geometria e condizioni sarebbe
una forma perfettamente chiusa.

La sostenibilità di un impianto è valutabile in funzione del tempo necessario affinchè il pennacchio


arrivi a contaminare il pozzo di prelievo. Ciò significa che la contaminazione non sarà istantanea, ma
avverrà dopo un dato intervallo di tempo. Questo è importante perché significa che dobbiamo
calcolarci un tempo di transito del fronte termico. Inoltre, non tutta l’acqua emunta può andare a finire
93
nel pozzo di reiniezione e l’altra cosa è che noi possiamo avere dei sistemi reversibili, quindi
stagionalmente possiamo invertire il regime.

Le leggi che ci possono interessare sono quella di Darcy che ci dà la velocità media nel mezzo poroso,
la velocità lineare (V. di darcy/ porosità eff.) e il tempo di breakthrough idraulico (ossia il tempo
necessario per cui ci sia il tempo per il fronte di calore di raggiungere il pozzo di prelievo). Si può
partire da un’assunzione che è quella di
assenza del gradiente idraulio
regionale. Si ha che il flusso tra una
coppia di pozzi, sono archi di cerchio e
ciò dà la possibilità di calcolarsi la
lunghezza dei diversi percorsi
semplicemente e in particolare il
percorso lungo la linea retta che
rappresenta l’interconnessione più
breve tra il pozzo di emungimento e
quello di iniezione. Diversi autori
hanno utilizzato la relazione
successiva che tiene conto della
porosità efficace, dello spessore reale
dell’acquifero D, della distanza tra i pozzi e della portata di em = portata di iniez.
In questo modo, è possibile determinare per una condizione
molto semplice di una coppia di pozzi, a pari portata, in
assenza di disturbi e di gradiente regionale, il tempo idraulico
di arrivo (o di breakthrough). Se si hanno più pozzi, si cambia il tipo di approccio e diventa più
complesso.
In un step successivo, è stata considerata la possibilità di calcolarsi il tempo idraulico di breakthrough
in presenza di un gradiente idraulico regionale non trascurabile e quindi di una falda inclinata. Se il
gradiente non è trascurabile, allora Lippmann-Tsang hanno proposto una modifica della relazione
precedente in cui il tempo è dato dal contributo della distanza tra i pozzi, dalla porosità, dalla
conducibilità idraulica, da un parametro α negativo come i.

94
Quando si usano queste equazioni bisogna tenere conto che il tempo idraulico è direttamente
proporzionale alla porosità efficace e ciò è interessante soprattutto in sistemi fratturati dove se la
porosità efficace è limitata (perché limitata solo alle fratture) il tempo idraulico può essere breve.
Nella relazione precedente quelli che non entrano in gioco sono i parametri idro-dispersivi (coeff. di
dispersione).

Inoltre, il calore può muoversi all’interno del mezzo acquifero con 3 modalità: conduzione tra grani
minerali e acqua, trasporto avvettivo attraverso il flusso dell’acqua e tramite scambio di calore per
conduzione-convezione tra l’acqua in movimento e la matrice dell’acquifero.
In questo caso, entra in gioco un fattore importante ovvero il tempo di equilibrio termico: se faccio
fluire dell’acqua ad una data T a contatto con una particella, in funzione dell dimensione della
particella ci sarà un tempo necessario transitorio affinchè il granulo vada in equilibrio termico con il
fluido che gli passa affianco. Se è una particella piccola come sabbia, il tempo sarà dell’ordine dei
minuti; se, invece la particella è grossolana come un ciottolo, il tempo potrebbe essere prolungato
sino ad alcune ore.
Ciò significa che, non è facile definire un valore di T univoco a un qualsiasi tempo t per un punto
qualunque dell’acquifero, perché vi è un’interazione continua tra la matrice e l’acqua in movimento
in falda. Spesso. Si fa un assunzione di equilibrio termico istantaneo, quindi che non ci sia un ritardo
(delay) tra l’istante del contatto e la variazione di T del granulo.

L’equazione del trasporto di calore è un’equazione simile a quella vista in idro. Applicata: si ha un
termine 1 di tipo conduttivo che tiene conto della conducibilità termica λ e la derivata seconda delle
T nello spazio, un termine 2 di tipo convettivo in cui si ha la velocità*gradiente di T e un termine 3
che ci dà il tasso di variazione della T nel tempo * calore specifico volumetrico dell’acquifero
considerato in saturazione totale.

Se si ha un fronte di acqua calda che si muove nell’acquifero lungo una data sezione A e il mezzo ha
una porosità efficace e il flusso avviene con portata Z, allora si può calcolarsi quanta parte del volume

95
sarà stata contaminata termicamente dal plume dopo un dato t. Ciò ci dirà qual è la distanza percorsa
dal punto di vista idraulico all’interno dell’acquifero.

La T dell’acqua in arrivo è ad una T maggiore di quella presente


nell’acquifero prima della sostituzione e quello che si può fare è calcolarsi la quantità di calore che
entra al temp t in corrispondenza del punto. Per fare ciò si deve moltiplicare la portata Z * il tempo t
* calore specifico volumetrico acqua * temperatura.
Se l’acqua che iniettiamo è in equilibrio termico istantaneo con il mezzo, la
soluzione è semplice e se ciò è possibile possiamo calcolare il calore che riempierà il volume termico
influenzato dal calore introdotto e otterremo la relazione successiva.

In questo modo possiamo definire la lunghezza del percorso xhyd (percorso dall’acqua) e possiamo

confrontarlo con xthe (percorsa dal fronte termico a seguito del riequilibrio della matrice solida). Se
facciamo il rapporto tra essi otteniamo la relazione seguente.

In questo modo possiamo calcolarci il coefficiente di ritardo R che è simile a quello riferito ai
contaminanti. Qui il ritardo è funzione della porosità e del calore specifico dell’acquifero (acqua-
solido) e della sola acqua. Esso ci dice di quanto è sfalsato il fronte termico rispetto al fronte idraulico.
Anche in questo caso R > 1.

Il breakthrough termico quindi può essere calcolato a partire dal breakthrough idraulico che
abbiamo visto prima, con una formula precedente in cui sparisce la porosità efficace ed entra in gioco
il rapporto tra il calore sp. Volumetrico dell’acquifero e il calore sp, per acqua.

La cosa che ci interessa è prevedere quale sarà la T nel tempo in corrispondenza del punto di arrivo
(pozzo di prelievo). Durante la propagazione del plume termico la T andrà evolvendosi
progressivamente. Quindi, Lipmann e Tsang hanno fornito una relazione che in funzione della
differenza di T tra l’acqua prelevata e quella iniettata e anche la T ambientale iniziale è in grado di
96
prevedere come varia la temperatura nel tempo una volta che è calcolato il tempo di breakthrough
termico.

Questa equazione sottostima l’evoluzione della temperatura rispetto a quanto osservato nella realtà
però può essere un notevole aiuto. La stessa equazione implica che non ci sia un gradiente idraulico
iniziale. Se ci fosse un gradiente id. iniziale Lipmann e Tsang propongono di aggiungere alla relazione
di prima il rapporto tra il calore specifico dell’acquifero e quello dell’acqua.

Le assunzioni del metodo sono state: si ubbidisce alla legge di Darcy, non si tiene conto degli effetti
idro-dispersivi, si assume una condizione di equilibrio termico istantaneo tra acqua nei pori e nel
mezzo intorno (porta a sovrastima del tempo termico) e non c’è trasferimento di calore in direzione
verticale.

Questo metodo può essere usato per: si assuma di avere un acquifero di sabbia quarzosa,
completamente saturo e la porosità totale è 0.23. il calore specifico del quarzo è 740 J/kg*K e la
densità del quarzo è 2620 kg/m3. Noi vogliamo stimarci SVCaq ossia il calore specifico volumetrico
dell’acquifero che deve tenere conto sia della fase solida sia di quella liquida.

Se cambiassimo le condizioni e se l’acquifero fosse del tutto secco basterà sostituire al calore specivo
v dell’acqua quello dell’aria.

Slide 172 a 177 esempio

97
UTILIZZO SISTEMI REVERSIBILI, SISTEMI ATES WRAP UP, PROPRIETA’ FLUIDO
VETTORE E CARATTERISTICHE TECNICHE, GEOMETRICHE E COSTRUTTIVE

Il pompaggio non sarà unidirezionale per un intervallo di t perché il raffrescamento è richiesto in


estate mentre il riscaldamento in inverno. 9 anni sarebbe un funzionamento in continuo, ma il
funzionamento reale sarebbe 6 mesi e 6 mesi alternati. Ciò comporta una variazione notevole nei
tempi di sopravvivenza dell’impianto o di operatività.
Inoltre, in genere la durata del periodo di raffrescamento
e di riscaldamento sono diversi in funzione dell’annualità;
infine, noi potremmo far circolare l’acqua nelle diverse
direzioni in funzione delle nostre richieste. Quindi
avremo che in estate preleveremo acqua fredda che si
scalderà e inietteremo acqua calda che scalderà il mezzo
e in inverno se la conducibilità idraulica e il gradiente del
mezzo non sono troppo elevati per cui il flusso advettivo
non è rilevante, il calore reiniettato in estate all’intorno
del pozzo potrebbe essere riutilizzato. Nella stagione
invernale si hanno dei residui della bolla di calore inserita
in estate e nella fase invernale noi preleviamo acqua da
quello di iniezione avremo un vantaggio in quanto almeno
all’inizio avremo acqua più calda rispetto alla T standard
media dell’acquifero. Avremo quindi un eccesso di calore
prelevabile, operare riscaldamento e reinitteremo invertendo il flusso acqua fresca. Questa ultima
sarà disponibile per l’estate successiva e così via.
Tale modalità di funzionamento può inficiare il breakthrough in quanto ci ridà un vantaggio.
Ciò prevede anche che i due pozzi siano realizzati con attenzione perché devono funzionare sia da
pozzi di emungimento sia da iniezione alternati.

Questo concetto viene anche sviluppata dai sistemi ATES o Acquifer Thermal Energy Storage che
prevedono l’uso di coppie di pozzi separati (evitando problemi di breakthrough) e che consentano
l’immagazzinamento di acqua calda durante l’estate ed estrazione in inverno. Ciò può essere invertito
in alcune zone con immissione di acqua fredda e prelievo in estate. Quindi, si usa l’acquifero come
un serbatoio di immagazzinamento di calore da cui prelevare o immettere calore in stagioni alternati,
ma ciò si fa solo nel caso in cui il mezzo non è eccessivamente permeabile. Se fosse troppo

98
permeabile, iniettiamo calore in un punto si rischierebbe calore espanso diventerà via via sempre
minore e diventerà minima in prossimità del pozzo dove la volevano accumulare per un rimpiego
nella stagione invernale.

L’altra cosa importante è capire la spaziatura tra i due pozzi e poi vi è il problema se lo schema deve
essere fisso o meno (pozzo di iniezione a monte o a valle).
Ci sono diversi pattern per l’efficientamento di questi sistemi a coppie, multi coppie nel caso in
figura a maglia quadrata in cui vi è un alternanza tra pozzi di
iniezione e estrazione in modo che non siano direttamente
allineati due pozzi dello stesso tipo.
Se usiamo delle trincee e quindi degli elementi superficiali
messi in trincee a 1-2 m di profondità; tali trincee devono essere
controllate per disposizione tubature in modo tale ci sia
isolamento dall’oscillazione di T stagionali di breve termine (1-
2 m); se ci spingiamo a profondità lievi è necessario avere
estese tubazioni e trincee con estese spire elicoidali o lunghe
lineari. Inoltre, in funzione che vi sia in raffrescamento o in riscaldamento la lunghezza delle
tubazioni e trincee deve cambiare (per raffrescamento si ha una L maggiore).
All’interno di trincee e pozze verticali è fatta circolare una soluzione di anti-congelante di cui è
importante il punto di congelamento e il punto di ebollizione (fondamentale per performance in
estrazione). Ci serve poi il calore specifico del fluido vettore, la conducibilità termica perché ci dice
sia quanto calore possa essere stoccato per unità di volume o massa sia quanto velocemente lo
possiamo trasmettere, poi la densità e la viscosità dinamica che varia al variare della concentrazione
della soluzione.

99
Al variare della T dell’acqua (5-35°C): il punto di congelamento rimane lo stesso (0°C), la viscosità
si dimezza all’aumento di T, la densità varia poco, la portata minima necessaria in funzione delle
dimensioni del tubo per avere un flusso turbolento (per tubi interrati la turbolenza deve essere evitata).
La viscosità è importante in correlazione alla concentrazione della soluzione.
Inoltre, la pofondità deve essere tale da evitare le oscillazioni di T diurne-notturne o stagionali ma si
deve stare nella fasce media con onda termica ritardabile che può essere sfruttabile.

Avevamo parlato di oscillazioni termiche e nel caso sopra si ha che a 0°C l’oscillazione termica è
quella dell’aria a 10-20-30 cm di profondità. Quindi a 30 cm siamo stabili e quindi ciò è importante;
inoltre si nota come si sposta il picco della T e in questo caso è un oscillazione nell’arco delle 24 h.
Si vedrà quanto velocemente si propaga il fronte termico nel terreno. Ciò sarà funzione della
conducibilità termica, del calore specifico e del grado di umidità del terreno. A profondità più elevate
la T sarà maggiore e con oscillazioni minori e tenderà ad essere quella più influenzata da andamento
stagionale.

Riassunto slide 189-197

100
Cap. 5 Conduzione di calore in superficiee sistemi chiusi

SISTEMI CLOSED-LOOP, TRASPORTO DI CALORE PER CONDUZIONE E STUDIO DEL


FLUSSO DI CALORE NELL’INTORNO DI UNA SONDA GEOTERMICA, VARIAZIONE DI T
DEL FLUIDO VETTORE NEL TEMPO E CONDIZIONI STAZIONARIE

Abbiamo già definito che é importante per tutti i sistemi qual è la capacità termica che possiamo
installare e l’aspetto principale che abbiamo visto per i sistemi chiusi è quello di dire quale potrebbe
essere la capacità termica per metro lineare di opera che viene realizzata. Quindi, quello che si assume
che per una lunghezza ad es. di perforazione possiamo fornire un certo potere calorifico. Ciò è spesso
rappresentato da range di valori di 35-75 W/m; ciò implica che ci sia un certo range di conducibilità
termica. I circuiti chiusi hanno un range di valori molto piccolo. La stessa cosa l’avevamo vista per i
circuiti aperti in cui invece che per lunghezza lineare del pozzo si parlava di calore estraibile per
portata di acqua estratta.
In genere, come regola empirica si può adottare un valore compreso tra i 60-100 W per metro lineare
e a questo valore si può aggiungere un piccolo fattore di sicurezza per la progettazione del sistema.
Se si assume che la litologia abbia un effetto dominante, cambiando la litologia avremo una diversa
conducibilità termica e quindi a parità di lunghezza saremo in grado di estrarre quantità diverse di
calore.
Per diverse nazioni esistono studi e dataset disponibili, è possibile osservare quali siano le capacità
termiche installate per metro lineare di sonda: si osserva un range di 60-80 W/m in USA e Svizzera,
in Austria si va da 35 W/m in sedimenti asciutti a 70 W/m in graniti, in Germania si ha per terreni
a bassa conducibilità termica valori di 20-25 W/m, per terreni a media conducibilità 50-60 W/m e per
terreni ad alta conducibilità termica valori di 70-84 W/m. Esiste, poi, una dipendenza che è funzione
del periodo di impiego (di funzionamento) in cui si possono differenziare fra 2400 h/a e le 1800 h/a.
quindi, in media a scala europea si ha un valore di 62 W/m per sistemi che lavorano tra le 1600 e le
2400 h/a. Quindi, la performance del sistema sarà funzione di diversi elementi come la conducibilità
termica, ma anche del calore specifico e della temperatura del terreno; poi è funzione del pattern di
operatività annuale.
La T di funzionamento nel sistema a circuito chiuso è importante e sarà funzione della T del terreno,
dalla normativa e dal tipo di ciclo (riscaldamento o raffreddamento) oppure in base alla durata anno.

101
Per progetti di dimensione maggiore si sa che i requisiti di raffrescamento sono dominanti e i più
importanti. In queste condizioni il numero di sonde da utilizzare cresce notevolmente e quindi diventa
importante considerare una serie di fattori come l’interferenza termica tra le diverse sonde messe
più o meno vicine tra loro, le condizioni di riscaldamento o raffrescamento (in quanto i valori di
COP variano nelle pompe di calore).
Quindi, per grandi progetti tali stime sono deboli e possono creare dei problemi nella progettazione e
in alcuni casi dove devono essere fatti molti fori di sondaggio anche solo una piccola differenza di
calore specifico o nella conducibilità termica di un materiale possono portare a una variazione
notevole dei costi.

L’altra cosa da tenere conto è che soprattutto per i grandi progetti, è probabile che il funzionamento
sia di tipo reversibile e in questo caso l’impatto termico deve essere considerato e soprattutto
l’interferenza termica perché se esiste la possibilità di lavorare in modo reversibile è possibile arrivare
a dei buoni risultati. Se ci sono problemi di installazione in termini di logistica (spazio disponibile),
in genere, è difficile scendere sotto i 10 m di spaziatura; con spaziature inferiori c’è il rischio che non
sia garantito il funzionamento o che nell’arco del’anno ci siano dei problemi di performance del
sistema. Inoltre, i sistemi che lavorano in raffrescamento (GSHP) hanno bisogno di sistemi lunghi
rispetto a quelli in riscaldamento e ciò significa che bisogna tener conto sia del carico medio di
raffrescamento/riscaldamento, della durata in modo da ottimizzare le performance.

Sappiamo che la conducibilità termica è legata ad una conduzione del calore (legge di Fourier →
monodimensionale vista in precedenza). Ma si può anche tenere conto delle tre dimensioni in cui
entrerà in gioco il volume del mezzo entro cui si ha scambio di calore e le proprietà termiche (isotrope
o meno). La legge di flusso di calore ci consente di verificare se abbiamo accumulo o rilascio di
calore da un elemento e facendo la differenza tra calore in entrata e in uscita si avrà ciò che segue.

102
Nel problema 3D avremo la stessa formulazione nelle coordinate x, y e z e poi avendo il flusso di
calore si arriva all formula generalizzata nel volume del mezzo poroso a seguito delle proprietà
termiche e in particolare del calore specifico, una variazione di T nel tempo.

Può essere interessante vedere le analogie tra il flusso di calore e il flusso delle acque sotterranee,
quindi tra legge di Darcy e legge di Fourier. Vi è un importante differenza tra l’idrogeologia e la
termogeolgia ed è legata alle condizioni al contorno per un acquifero e un aestifer. Per un acquifero
non confinato la base dell’acquifero è di solito a bassa permeabilità e il top dell’acquifero è la
superficie dell’acqua che può ricevere annualmente una quantità di acqua o ricarica.

Nel caso dell’idrogeologia si ha un pozzo che è realizzato in un acquifero libero e si ha un


abbassamento del livello dell’acqua e un flusso radiale verso il pozzo; si hanno diverse soluzioni che
ci consentono di analizzare il deflusso (Cooper e Jacobs) in diverse condizioni. Le condizioni al
contorno è che si può avere al top un flusso in entrata o di uscita e poi dalla base sia un flusso nullo.
Nel caso, invece, della termogelogia si ha una sonda geotermica nel terreno che ha effetto che si
manifesta nella curva degli abbassamenti delle T all’intorno della sonda in quanto estraiamo calore e
reiniettiamo acqua fredda, si ha una condizione al contorno controllata dalla T dell’aria all’esterno e
dall’irraggiamento solare e poi alla base si ha un flusso geotermico (ψ) pari a una certa quantità. Il
flusso geotermico è costante nel tempo e invece la Ta può variare in funzione della stagione.

103
L’altra differenza è che nell’acquifero di solito sia un piccolo gradiente verticale prima del pompaggio
o assente, mentre nel secondo caso si ha un gradiente di T verticale corrispondente al gradiente
geotermico.
Inoltre, si ha la similitudine tra la geometria della superficie piezometrica e l’andamento del campo
di temperatura all’intorno del mezzo: si ha un diagramma lineare (curva di abbassamento nel tempo)
e la seconda la stessa curva ma in scala semi-log.

L’andamento della T del fluido vettore è rappresentata in funzione del tempo in scala lineare e in
scala semilog. Si osserva una prima fase di variazione rapida di T del fluido e ciò è legato al fatto che
si preleva il calore direttamente dalle zone circostante alla sonda; a questo punto la T nella zona
all’intorno della sonda inizia a scendere e potrà scendere anche in funzione della T esterna e quindi
ci sarà perciò un flusso di calore q portato verso l’interno. Ciò continuerà con il funzionamento della
sonda in prossimità della superficie e ciò potrebbe portare a una condizione di tipo stazionario che è
l’ultima fase che si vede nel grafico.
Ciò è anche quello che è rappresentato nel secondo grafico in cui si vede la T del fluido che varia
linearmente per un certo intervallo di tempo e poi nella realtà quello che si osserva è che la T tende a
stabilizzarsi perché ci si stabilizza a seguito dell’estrazione di flusso dalla superficie verso l’interno.
104
Dal punto di vista teorico, invece, l’idea sarebbe che dovrebbe continuare. Esiste un tempo che è
quello per cui inizia il processo di stato stazionario in cui si assume che si passi da una fase transitoria
ad una fase stazionaria con T costante.
L’altra curva quella tratteggiata è la differenza di T nel tempo del fluido vettore e l’altra è la variazione
di T in corrispondenza delle pareti della sonda.

Esistono delle soluzioni presentate da Claesson e Eskilson che hanno investigato sia soluzioni
numeriche sia analitiche e hanno trovato soluzioni semplici per problemi analitici e soluzioni
complesse per problemi nuemerici. Le assunzioni del loro modello è che il gradiente geotermico può
essere trascurato e quindi si assume che l’acquifero o il terreno da cui estraiamo calore abbia una T
uniforme che è uguale alla T media calcolata sull’intera lunghezza della sonda. Quidi si assume che
ci sia una temperatura media rappresentativa iniziale dell’acquifero ϑ0. Nella fase iniziale non si
considera il flusso di calore che è innescato tra la superficie e la sonda e quindi si simula solo un
flusso radiale verso il pozzo/sonda. In altre parole, si estrae calore solo per flusso radiale e quindi
dall’immagazzinamento del mezzo.
Quello che si può fare è risolvere l’equazione di flusso del calore precedente e ciò lo si fa in coordinate

radiali e quindi tenedo conto della distanza dalla sonda e al tempo t = 0 la T è uguale a quella
circostante, ad una distanza infinita, la T rimane quella iniziale. La soluzione corrisponde a quella
vista per Theis. Infatti, per Theis la soluzione derivava da quella di un problema termico con

estrazione di calore da barra fredda da una piastra calda dove la T era fissa. Quindi, la variazione di
T tra la temperatura media iniziale e quella del pozzo sarà uguale alla soluzione scritta da Theis.

105
Nelle soluzioni di tipo idrogeologico avevamo visto che la funzione di Theis può essere semplificata
grazie all’approssimazione di Cooper-Jacob e si avrà la relazione seguente in cui la variazione di T

sarà uguale al termine costante della relazione di Theis e poi si ha la riscrittura della funzione pozzo;
qui entra in gioco il log naturale di u sottratto ad una costante. Questa equazione implica che nella
fase iniziale la T del fluido vettore cambia con il log del tempo. Questa approssimazione vale solo
per valori di t in un range seguente, dove ts è il tempo per arrivare alla condizione stazionaria.

Se la T è troppo alta, la relazione log lineare tra tempo e temperatura inizia a divergere e tende a non
essere più lineare e quindi la soluzione tende a non essere corretta.

Claesson e Eskilson hanno proposto anche una formulazione per il calcolo del tempo di
raggiungimento delle condizioni stazionarie scritta sotto.

La T del fluido vettore in condizioni stazionarie può essere calcolata dalla relazione e in particolare
essa ci dà la differenza tra la T iniziale e la T stazionaria che è funzione dei soliti parametri + il raggio
del pozzo Rb.

Questa seconda formula è valida quando la profondità è molto maggiore del raggio della sonda.
Teniamo sempre presente che noi possiamo estrarre calore che reimetterlo e quindi potremmo avere
un flusso di calore in uscita o in entrata e dovremmo tenere conto dell’eventuale performance
stagionale.

106
RESISTENZA TERMICA DEL FORO E COMPLETAMENTO TENENDO CONTO DELLE
DIVERSE RESISTENZE E VALUTAZIONE DELLA VARIAZIONE DELLA T DEL FLUIDO
VETTORE, DEL FORO CEMENTATO E ALL’INTORNO

Ora andremo a vedere come potremmo considerare


l’effetto dell’interconnessione tra la sonda e il
terreno; ciò deve avvenire attraverso la
realizzazione della cementazione del foro. Quindi
bisognerà tener conto della cementazione, del
terreno circostante e delle proprietà delle tubazioni.
Abbiamo già visto che la resistenza termica può
essere calcolata per un materiale composito
facendo la somma dei diversi termini; quindi,
possiamo dimostrare che a partire da uno dei tubi a
U attraverso cui passa il fluido vettore, tale tubo ha
una parete con un certo spessore (grigio scuro), poi
si ha la cementazione (concrete) che blocca le
tubazioni nel foro di perforazione e poi si ha il
terreno (ground). All’interno del tubo avremo il
fluido vettore che potrà circolare in entrambe le
direzioni. L’acquisizione di calore dal terreno
verso la sonda o viceversa sarà controllata dalla
resistenza termica di questo sistema. Nella tubazione si avrà un flusso che sarà in condizioni
convettive forzate, con turbolenza in modo da avere una maggiore capacità di estrazione di calore e
inoltre qui si avrà trasporto conduttivo di calore.
Per quanto riguarda la convezione, per il flusso di calore si usa la legge di Newton che si basa sulla
differenza di T tra il fluido all’interno e la T del tubo all’esterno, mentre h è una costante che deriva
dalle caratteristiche del fluido e dalla dimensione del tubo entro cui scorre il fluido vettore. Per avere
condizioni di flusso turbolento il numero Re deve andare verso un valore di 3000.

107
All’esterno la resistenza è legata ad un problema di conduzione del calore e quindi con la legge di
Fourier. La resistenza al trasferimento di calore si calcola come la differenza di T rispetto al flusso
di calore oppure come il rapporto tra L e la conducibilità. Infine, la resistenza totale sarà data dalla
somma delle diverse componenti di resistenza.

Le equazioni usate in questo caso se si vuole tenere conto anche delle caratteristiche del foro e si
esclude un contatto diretto tra le tubazioni e il terreno, si deve prendere la soluzione (Theis) per flusso
radiale attorno alla sonda (eq. 1 dopo il +) e quella riferita al flusso di calore attraverso il sondaggio
(eq. 1 prima del +). In questo modo è possibile calcolarsi la variazione di T rispetto a quella iniziale

a diverse distanze radiali (eq. 2 equivalente alla soluzione Cooper-Jacob) e poi si ha l’eq 3 che
consente di arrivare alla definizione della T per condizioni stazionarie con l’aggiunta del contributo
delle pareti (qRb).
Shonder e Beck hanno proposto una formulazione per calcolare la resistenza del foro e vengono
coinvolti: il raggio del sondaggio, il raggio delle tubazioni a U, la conducibilità termica della
cementazione.

Esiste poi una relazione che ci dice che la resistenza totale è data dal contributo delle tubazioni a U +
quella della cementazione (grouting).

108
Per quanto riguarda il grouting esiste un ulteriore formulazione che vale nel caso in cui la tubazione
a U non sia a contatto con le pareti del foro e le due siano separate tra loro i modo che non ci sia una
corto circuitazione; in tale caso, è possibile arrivare a determinare la resistenza del grouting e ciò ci
consente di risolere alcuni problemi.

Se miglioriamo o rendiamo più efficiente il sistema vuol dire che minimizzeremo la resistenza e
quindi usaremo materiali più conduttivi. Ciò è importante perché se si assume un sondaggio di 100
m di lunghezza che contiene una sonda chiusa che estrae 4.5 kW di energia (rendimento di 45 W/m):
la resistenza termica del foro è 0.14 K/m*W e ciò significa che la resistenza termica causa una
variazione ulteriore della T rispetto a quella indotta solo dall’estrazione di calore nella pompa di
calore. In particolare, per un flusso di calore specifico di 45 W/m con una R di 0.14 otteniamo un
valore di T di 6.3°C. Essa è la variazione di T che avviene tra il fluido che circola nella tubazione e
le pareti del foro. Se noi miglioriamo la R dei materiali, possiamo lavorare con differenze di T minori
e quindi avere un minor dispendio energetico.
Quello che possiamo
migliorare è il materiale
cementante e si osserva che la
resistenza termica del foro
cambia molto al variare della
conducibilità termica del
materiale usato per il
riempimento, in funzione che
sia un materiale sciolto,
ghiaioso, miscela bentonite e
acqua oppure un calcestruzzo. Ci possono essere dei problemi nell’uso dei cementi e uno di essi può
essere il ritiro o l’aumento della T durante la fase di presa. La variazione di volume può causare una
perdita di contatto tra le tubazioni e il cemento e invece, il ritiro può causare un infiltrazione dalla
superficie e una maggiore probabilità di contaminazione. Infine, se la T del cemento durante la presa
sale molto si può avere una deformazione o un rammollimento del tubo che può essere anche
schiacciato dalla pressione.

109
Nei grafici sopra si osserva come varia la resistenza termica (a noi interessa che essa diminuisca) al
variare della spaziatura degli elementi delle tubazioni a U (grafico in alto a sx: se i tubi sono a conttato
avremo cortocircuito e avremmo peggioramento rex e quindi saremmo a valori alti; se invece sono
lontani avremo valori minori), al variare della conducibilità termica dei materiali (grafico in basso a
sx), al variare dello spessore (grafico in alto a dx: incremento spessore significa incrementare
dimensione media cementazione e quindi aumentare la R) e infine al variare che ci sia una condizione
di flusso laminare o turbolento (grafico in basso a dx).

L’altra cosa a cui si deve pensare è come il trasporto di calore avvenga all’interno del terreno. Si
hanno delle particelle solide e in funzione delle caratteristiche del terreno e della granulometria
(insaturo e saturo) il
trasporto di calore avviene in
modo diverso. Nel grafico a
lato si notano 6 tipi di
trasporto di calore in cui in
funzione della grana e del
grado di saturazione si
possono realizzare nel
mezzo. Nel campo 1 si ha
110
ridistribuzione termale dell’umidità che avviene per permeabilità bassa (grana fine o terreni limosi) e
per gradi di saturazione non massimi. Quindi, ci può essere una migrazione dell’umidità che può
consentire un trasporto termico. Nel campo 2 si ha invece, la diffusione di vapore perché il grado di
saturazione è molto basso e la permeabilità all’aria è bassa; nel campo 3, invece, si hanno materiali
molto permeabili e gradi di saturazione molto elevati e quindi ci si aspetta che ci sia una convezione
libera in acqua ossia la differenza di T consente di avere differenze di densità e di circolazione del
fluido. Nel campo 4 si hanno condizioni quasi asciutte del terreno e quindi la circolazione sarà
prevalentemente in aria con convezione libera; nel campo 5, si hanno terreni permeabili a basso grado
di saturazione e si ha un trasporto radioattivo; infine, nel campo 6 che è il più vasto e domina la
conduzione.

Per la cementazione si posso usare delle miscele di bentonite, quarzo sabbioso e acqua e tali miscele
possono avere una conducibilità termica di 1.5 W/m*K; invece, se si aggiungono delle ceneri da
combustione e del cemento si può arrivare a valori di 0.8 W/m*K. Queste miscele possono, però,
avere dei problemi e in genere sono problemi di resistenza; altrimenti si possono usare dei cementi
avanzati opportunatamente dimensionati per uso geotermico. Essi possono contenere piccole quantità
di sabbia quarzosa, bentonite sodica e di naftalena che servono questi ultimi a rendere plastico il
comportamento del materiale. E in questo caso si arriverebbe a 2.1 W/m*K.
Il grouting o riempimento viene fatto attravreso un “tremie pipe” in cui la cementazione è fatta
progredire dal basso verso l’alto.
I fattori che ci consentono di massimizzare il trasporto di calore sono la formazione di ghiaccio (che
ha conducibilità termica maggiore dell’acqua), convezione forzata tramite pressione del flusso fluido,
convezioni libere nella colonna d’acqua che riempie il sondaggio e gli effetti “termosifone”.

Le altre limitazioni che si possono avere sono quelle economiche legate alle caratteristiche della
pompa di calore usata, delle limitazioni geotecniche oppure limiti sulla T del fluido che facciamo
circolare nel mezzo.

In genere, se non si è in richieste di picco, la T del fluido possono non scendere molto al di sotto dello
0°C e quindi evitare problemi di congelamento o abbassamento eccessivo della temperatura. Si
assume che non dovremo andare ad abbassare troppo la T nelle condizioni di fabbisogno standard
dell’edificio e la T media del fluido vettore in fase operativa non dovrebbe essere molto al di sotto di
-2°C. La T minima del fluido vettore sarà controllata da eventuale normativa. La normativa tedesca

111
ci dice ad es. che non devono esserci più di 11°C di differenza tra la T iniziale del terreno e quella
base oppure non più di 17°C per il caso di condizioni di picco (che avranno breve durata).

Slide 50 → 60 esempio

SISTEMI A PIU’ SONDE, SISTEMI UTES E SISTEMI A POZZO SINGOLO CON RICIRCOLO

Vediamo ora cosa può avvenire se più sonde geotermiche sono i prossimità tra di loro e in funzione
non solo della complessità spaziale, ma anche dal punto di vista dell’utilizzo temporale. Vedremo poi
anche quali prove possono essere impiegate per caratterizzazione sia dei materiali del mezzo poroso
circostante sia per la caratterizzazione della sonda stessa.

Una delle cose che possiamo vedere è un grafico che ci rappresenta la variazione della T del fluido
vettore nel tempo che ciclicamente in funzione delle diverse domande di richieste termiche calcolate
sul valore di picco minimo (quindi di max variazione di T) o sul carico di base. Ciò è calcolato su un
periodo di 25 anni per una serie di
15 sonde geotermiche che sono
poste una accanto all’altra con
carico totale di 95 kW. Le tre
curve inviluppo mostrano
oscillazioni annuali della T del
fluido vettore in funzione delle
diverse domande.
La posizione delle curve di
inviluppo variano in funzione
della spaziatura tra i pozzi e mano a mano che la spaziatura aumenta la T del fluido vettore aumenta
perché vuol dire che sono poste in vicinanza tra loro aumenta l’effetto di interazione tra esse e quindi
siamo costretti a diminuire la T per continuare ad estrarre calore, se invece, non ho questa
interferenza, la distanza mi consente di mantenere a differenze di T più basse. Ciò vale sia per il base
load massimo sia per quello minimo sia per il picco. L’altro fattore che influenza la posizione delle
curve è la disposizione delle sonde che può essere lineare, a rettangolo o aperta (a C); la performance

112
migliore si ha nella geometria lineare perché si minimizza l’interferenza e quella meno performante
è la disposizione rettangolare.
Le soluzioni possibili sono di diverso tipo e possono essere studiate sia in previsione per un’iniezione
sia di una presa. In alcuni casi sia una geometria lineare con sonde divergenti per minimizzare
l’interferenza tra le due; in questo modo si massimizza il volume di terreno con cui si viene in contatto
da cui si estrae o si immette. Un altro sistema esagonale i pozzi sono ravvicinati e il sistema può
essere usato per sistemi a immagazzinamento di calore ossia durante l’estate ed estrazione di calore
in inverno.

Si parla di Sistemi UTES (undergroun thermal energy storage) che fanno tale operazione di
immagazzinamento e riutilizzo del calore immagazzinato in funzione delle stagioni. In genre, si deve
verificare se la domanda in raffrescamento e riscaldamento sono le stesse per bilanciare il sistema ed
andare verso una condizione di stato stazionario.
L’evoluzione della T del fluido vettore nel sistema in 25 anni può essere calcolato in funzione di
diverse geometrie e se il carico è più o meno bilanciato. In inverno e in estate il fluido avrà T minore
o maggiore rispetto a T ambientale del terreno. Quello che si osserva è che si raggiunge un trend di
T stazionario dopo un periodo breve di circa 1-2 anni dall’inizio del funzionamento del sistema e con
domanda tipica di circa 16°C in estate e di 5°C in inverno. Mentre le domande di picco saranno per
25°C in estate e -1°C in inverno. Le T non sono esattamente stabili ma vi è una minima diminuzione
nel tempo.

Gli elementi principali di un sistema bilanciato UTES sono che si può accettare di lavorare con T
alte o basse e in funzione di ciò si lavora con più o meno sonde e quindi fori di perforazione.
Nonostante ciò, è possibile mantenere il sistema entro i limiti accettabili per il suo funzionamento.
Siccome noi estraiamo e immettiamo calore con un ciclo annuale, si può dire che siamo preoccupati
113
dal punto di vista della migrazione del fronte di calore alla scala breve (del singolo anno), ma
possiamo trascurare quella sul lungo-medio periodo in cui le T tenderanno a uniformarsi. Quindi,
siccome il periodo di attenzione sarà limitato a 1 anno, il problema della spaziatura può non essere
sempre rilevante per lo meno in condizioni standard e quindi si può ridurre abbastanza la spaziatura
tra le sonde geotermiche.
Quindi, le T evolvono nel lungo periodo in una condizione stazionaria. Se si hanno degli schemi con
grossa superficie esposta, essi favoriranno una variazione del trasporto di calore dalla superficie e
verso l’esterno e viceversa in funzione delle stagioni. In questi casi, potrebbe essere importante anche
l’interferenza tra i singoli fori. Una geometria lineare è meglio performante rispetto ad una geometria
chiusa e stretta di pozzi poiché favorisce lo scambio di calore.
Le T nel sistema raggiungono uno stato stazionario velocemente nonostante possono variare nel ciclo
annuale. L’interferenza tra i fori può essere trascurabile. Per evitare perdite di calore un sistema
chiuso è preferibile a quello aperto o lineare. È preferibile, inoltre usare una disposizione esagonale
o cilindrica per minimizzare il rapporto area della geometria/volume. Se vogliamo minimizzare la
perdita di calore occorre che non ci sia flusso idraulico sotterraneo e la conducibilità idraulica deve
essere bassa e con gradiente piccolo.
Se siamo in un sistema UTES e quindi di immagazzinamento di calore in sotterraneo, è utile verificare
quale sia la quantità di calore che possiamo immagazzinare e ciò può essere data dalla dimensione
dell’array di sonde (π*r2) ce in questo caso è un area circolare. L’immagazzinamento di calore

dovrebbe essere tale da non consentire al calore di essere disperso lateralmente troppo velocemente.
Dell’ulterior calore può essere immagazzinato
in sotterraneo attraverso pannelli solari, motori
che producono calore.

Avevamo già visto che è possibile usare dei


sistemi a pozzo aperto in cui si può scegliere
di far circolare un fluido (acqua o altro) in una
condizione di bleeding ossia che parte del
fluido che viene pompato a giorno, dopo essere
passato nella pompa di calore, può essere
mandato a uno scarico che non richiude del
tutto il circuito. Quindi, parte del fluido può

114
essere persa lateralmente e questa è la modalità di funzionamento di quelle che sono definite Standing
Column Wells che sono pozzi aperti in cui si fa circolare fluido proveniente dalla pompa di calore e
quindi che per es. ha ceduto calore tra il tubo di ritorno e le pareti del foro in modo da acquisire
direttamente calore per conduzione e per poi risalire nel tubo centrale per arrivare alla pompa di
calore.
Tali sistemi aperti coassiali che possono raggiungere una configurazione di sistema chiuso sono
applicabili in fori stabili e medio bassa permeabilità, quindi dove non vi è la parte avvettiva rilevante.
Quello che è interessante è che possiamo estrarre calore per conduzione sempre se la conducibilità
termica è buona; se le formazioni sono molto permeabili dobbiamo porre attenzione perché l’unico
fluido che potremmo far circolare è un fluido tipo acqua o comunque non tossico (e quindi niente
anticongelante). Ciò può essere un problema perché minimizza la T del fluido e ciò non può andare
sotto lo 0°C ad es. in iniezione perché diventerebbe troppo viscoso e freddo.

Se si lavora, invece, con un sistema Standing Column Wells attraverso un fluido che è fatto circolare
e sia una soluzione anticongelante vuol dire che il pozzo deve essere completamente rivestito anche
sulle pareti in modo da renderlo impermeabile a perdite laterali. È possibile, che l’avvezione diventi
importante e se accade, vuol dire che ci sarà del flusso che entrarà all’interno del pozzo e quindi
siccome noi mandiamo acqua calda verso l’alto, estraiamo calore e reiniettiamo acqua fredda, il
problema che ad un certo puno se il sistema è chiuso, il pozzo si potrebbe raffreddare troppo a meno
che ci sia un contributo avvettivo dell’acquifero che causi una miscelazione. In questo caso, in uscita
parte dell’acqua ferdda è persa e si reinietta meno in modo che ci sia un contributo di acqua di moto
avvettivo che ridia calore al fluido che pompiamo nel foro. La % di bleeding o perdita controllata di
acqua a seguito dell’estrazione di calore può essere realizzato in modo da mantenere delle T costanti
nel pozzo.
Quindi, potremmo avere 2 condizioni limite: sia se è caldo sia se è freddo sarà necessario per
ottimizzare il funzionamento in funzione del flusso idrico circostante, perdere dell’acqua tramite
bleeding. Se la % di bleeding diventa 0 vuol dire che abbiamo un sistema chiuso e quindi non è
necessario far entrare acqua dalla zona intorno e questa sarebbe la condizione ideale per lavorare con
soluzione di anticongelante. Viceversa, se si ha un bleedind del 100 % e quindi buttiamo tutta l’acqua,
si va alla condizione del ciclo aperto. Tutte le soluzioni intermedie che si basano su un bleeding del
30-50% sono dette ibride.

Le variabili per tale sistema sono 4: la profondità del pozzo, la conducibilità termica del mezzo, la
conducibilità idraulica del mezzo e la bleeding rate (quantità di flusso che vogliamo perdere).

115
I meccanismi di estrazione di calore sono: conduttivo, convettivo al contatto pareti pozzo/tubazioni,
convezione forzata e avvezione all’intorno del pozzo a seguito del flusso nell’acquifero e infine, vi
una piccola variazione di flusso forzato o libero per variazioni di densità.
Anche per tali opere è stato proposto l’uso di modelli matematici in funzione delle caratteristiche
dell’acquifero e delle T che si vogliono usare (approfondimento).

Esistono poi altre tipologie di pozzo dette Jacob Doublet Well e cioè
sono dei pozzi che sono isolati in settori tramite dei packer e i settori
si possono usare in modo fisso o alternato per estrazione di acqua e
reimmissione di acqua usata. Dalla parte superficiale si prende
l’acqua, la si usa nella pompa di calore, sistema di bleeding e il resto
dell’acqua è buttata a T maggiore e minore in profondità. Essa può
essere riciclata e ripompata in superficie. Jacob aveva pensato tale
sistema con tripla struttura per la miscelazione di acqua in zone di
acquiferi costieri per non usare troppo le risorse e non far risalire
troppo il livello dell’acqua.
La conducibilità termica è uno degli elementi base per il controllo della
T nell’intorno del pozzo e in questo caso vediamo come varia con un flusso dalle tubazioni, attraverso
il pozzo e attraverso il mezzo acquifero al variare della conducibilità termica. Ciò significa che in
funzione della litologia avremo delle variazioni importanti soprattutto nella zona marginale o in
prossimità del pozzo.

116
TRT TEST PER LA CARATTERIZZAZIONE DEL MEZZO E DEI PARAMETRI DI
FORO/SONDA

Qui introduciamo una tipologia di test che può servire per la caratterizzazione delle proprietà termiche
del mezzo entro cui mettiamo la sonda geotermica nonché per la caratterizzazione della sonda stessa
(quali sono le performance della sonda e quali saranno le proprietà del mezzo all’intorno).

Per ottenere tali proprietà ci si può basare su alcuni diversi approcci: avere un idea della resistenza
ttermica del materiale e quindi attribuire delle proprietà medie sia alla sonda sia al materiale, oppure
lavorare attraverso prove di lab e quindi prelevare dei campioni di terreno e fare misure di
conducibilità termica sotto diverse modalità, oppure fare prove in sito di tipo termico.
Per questo motivo si pensa ad un sistema che è costituito da pochi elementi: si basa su un minimo di
equipaggiamento che prevede delle pompe e dei sistemi di carico, riscaldamento, misuratori di
portata, la sonda e i tubi. Il risultato sarà quello di avere un grafico dell’andamento delle T nel tempo.

L’equipaggiamento quindi, è costituito da: circuito chiuso completo, una pompa di circolazione del
fluido vettore, una sorgente di calore costante per riscaldare il fluido vettore, sensori di T che devono
essere montati in diverse posizioni sia in entrata sia in uscita al sistema (T1, T2 e T3) e dei sistemi di
misurazione di portata e pressione.

117
La prova è molto semplice: si fa il foro e si inserisce il tubo a U, si sistema il tutto e si cementa, si
infila nelle tubazioni il fluido vettore in modo che lavi le tubazioni e le riempia del tutto; poi, si lascia
il stema fermo in modo che la T del fluido si stabilizzi nelle tubature a U e si fanno delle misure di T
iniziale. Se la sonda è profonda si possono fare dei profili di temperatura con dei microtermometri
che sono spinti in profondità e fatti poi risalire. Poi si impone un flusso di calore sul fluido e quindi
si ha un sistema di riscaldamento acceso, la pompa di calore che lavora e il misuratore di T. la risposta
di T può essere usata per il calcolo di diverse proprietà.

Le misure sono: la T in entrata e in uscita, il flusso in entrata e in uscita, la portata e velocità di flusso
devono essere verificate per flusso turbolento, input di potenza per riscaldamento che dovrebbe
rimanere stabile per garantire assenza di oscillazioni nel sistema di riscaldamento, la durata totale
deve essere di almeno 50 h, la T ambiente.

Per prima cosa ci si può calcolare una T media del fluido prendendo la T in entrata e in uscita nel
modo seguente. Poi si può calcolare il tasso di calore che è prelevato dal terreno usando la portata del
fluido F moltiplicata per il clore specifico del vettore per la variazione
di T diviso la profondità totale del loop.

Se vogliamo ottenere dei valori di resistenza del foro, dobbiamo essere sicuri che il flusso sia
mantenuto in condizioni turbolente in modo da ottimizzare il flusso di calore. Si deve anche
selezionare una differenza di T tra salita e ritorno che sia funzionale anche al sistema pompa di calore
e che è circa 5°C. Il fluido vettore dovrà essere un fluido che poi sarà quello usato nella fase operativa
definitiva e poi se invece che in riscaldamento, lavoriamo in raffrescamento, potremmo pensare di
lavorare con dell’acqua visto che essa ha una viscosità inferiore rispetto alle altre miscele.

Ci siamo calcolati la T media del fluido vettore e d qui possiamo calcolarci la variazione nel tempo
di tale T in funzione della relazione che abbiamo usato e cioè la soluzione che prevedeva la relazione
di Cooper-Jacob + contributo della resistenza del pozzo. Θ0 è la T iniziale prima della prova, mentre

𝜗0 − 𝜗𝑏 è la variazione di T.

118
Se lavoriamo in iniezione di calore a un tasso q e se prendiamo la relazione precedente e convertiamo
ln in log10 moltiplicato per una costante (2.303) ed estraiamo il tempo, si ottiene una formulazione
che ci dice come sia possibile calcolarci la variazione di T in funzione di tre termini: un termine
costante per il pozzo, un termini costante per il mezzo e un termine variabile in funzione del tempo.

Quindi, quello che possiamo fare è che se conosciamo q e λ e facciamo delle misure di variazione di
T in funzione del tempo, possiamo calcolarci è la conducibilità termica. Il termine costante
rappresenterà un intercetta e il termine variabile (2.303q/4πλ) una pendenza. Il modello ci dice che la
relazione dovrebbe avere un andamento lineare e il gradiente sarebbe definito dal rapporto in cerchio.
Quindi, se mettiamo i dati in un diagramma semilog, esplicitiamo rispetto alla λ, e rispetto a essa e
quindi alla pendenza, possiamo calcolarci la conducibilità termica.
Con queste equazioni possiamo anche
calcolare la resistenza termica del foro
della sonda purchè si abbia una stima del
calore specifico volumetrico. Qui a lato vi
è un esempio di un plot di dati
sperimentali di T rispetto al tempo e si
osserva che i valori sono lineari in alto e
se prolunghiamo il tratto lineare possiamo
determinare la conducibilità se si ha il
gradiente termico.

Possiamo, poi calcolarci l’intersezione con l’asse coi dati (-6.7 K nel grafico) e possiamo riarrangiare
la relazione per il termine costante dell’intercetta, estrarre la resistenza termica del foro e ottenerla a
partire dalla λ, dalla dimensione del foro e una stima del SVC. Se sostituiamo i vaolori nell’equazione
iniziale, possiamo far variare solo il
tempo e ottenere la variazione di T
nel tempo sapendo le altre variabili.

119
Ci sono una serie di incertezze che possono invalidare le prove e tra esse vi sono le qualità delle
misure che facciamo, i valori di alcune proprietà come il calore specifico (ma esso varia poco), la
qualità del modello se effettivamente rispecchia l’andamento rettilineo.
L’altro problema è quello che i dati del primo intervallo di tempo sono fortemente disturbati da mlti
fattori e non sono fittabili. Il disturbo può derivare dal fatto che all’inizio nel sistema a U si ha una
quantità di fluido non ancora omogenizzato con la distribuzione della T all’interno del suolo e ciò
può dipendere dalla stratificazione, poi in una fase iniziale noi estraiamo calore dal cemento e solo
successivamente dalla roccia o terreno. Quindi bisognerà scartare le prime misure. L’equazione vista
in precedenza è valida solo per alcuni intervalli di tempo (circa 6 ore).

Ci possono poi essere fattori esterni che possono essere per es. l’assunzione di flusso radiale del
calore, ma in alcuni casi può esserci la componente avvettiva. Ciò potrebbe comportare variazioni di
T rapidamente nel tempo e quindi dare una non linearità alla risposta.

Esistono degli standard per le prove: american society of heating (ASHRAE, 2002) e Sanner et al.,
2005.

Slide 105-106 riassuntive descrittive

La risposta T/t è espressa nel grafico a


lato dove è riportata la T iniziale (T in)
cioè quella con cui è spinto il fluido e la
T (T out) con cui esso ritorna alla
superficie, poi vi è la portata (q) e la
potenza data al sistema (p). Si osserva
che viene fatta una parte in
riscaldamento poi è spento il sistema e
si misura il rientro di T alle condizioni
normali. Il problema della seconda fase
che però è molto utile anche dal punto di vista della qualità del dato che esso può richiedere un tot
numero di ore e quindi un monitoraggio che prosegue per un dato intervallo e poi che potremmo avere
un minimo di disturbo in quanto in tale fase dobbiamo continuare a far circolare il fluido nel tubo a
120
U. C iò significa che uso una pompa che immette anche lei dell’energia (infatti la line azzurra
continua anche una volta spento il riscaldamento).

Per quanto riguarda le T si nota che in una prova con riscaldamento, se il terreno ha una bassa
conducibilità termica quello che si osserva è che la T tende a crescere perché si fa fatica a trasferire
calore al terreno; viceversa, se la conducibilità termica è elevata si ha una restituzione rapida e la T
tende a rimanere più bassa a seguito della risalita del fluido. In una prova di raffreddamento quello
che si avrà sarà l’opposto (la seconda curva in basso) ossia avremo una curva con diminuzione della
T ossia inseriremo un fluido a T minore rispetto alla T ambientale.

121
Cap. 6 Pond and Lake-based ground source heat system

SISTEMI A CICLO APERTO E CHIUSO IN ACQUE SUPERFICIALI, LAGHI, CANALI

In questa lezione parleremo di sistemi a ciclo chiusi posti in prossimità della superficie qui parleremo
di sistemi con sviluppo prevalentemente orizzontale e che possono essere in prossimità della
superficie e sfruttare la presenza di acque superficiali. Per quanto riguarda i sistemi posti a terra, ci si
pone a 1-2 m di profondità lungo delle trincee oppure lungo scavi aperti. Le singole trincee possono
essere separate tra loro dal terreno in modo che non ci sia un effetto di disturbo tra le singole stese; le
stese possono essere a serpentina, rettilinee o con delle spire. Poi tutte le tubazioni sono raccolte verso
un singolo punto. Tali sistemi si trovano a bassa profondità e quindi in zona soggetta alle oscillazione
delle T esterne. Non si deve essere troppo vicino alla superficie perché altrimenti potremmo avere
problemi di raffreddamento o riscaldamento eccessivo. In questo secondo caso, potremmo avere un
flusso verso la superficie e quindi tornare verso condizioni di equilibrio. In alcuni casi, si deve
considerare la T a cui il fluido circola nelle tubazioni, perché se funzionasse a basse T potremmo
osservare fenomeni di congelamento in corrispondenza delle venute a giorno (umidità che si congela
sulle tubazioni o fenomeni di brinamento).

È possibile usare anche dei serbatoi di acqua superficiale che


possono essere dei corsi di acqua, piccoli laghi (laghi di cava
ad es.). il vantaggio di questi impianti è che si usa l’acqua
come mezzo di trasferimento del calore ed essa ha un elevata
capacità di calore specifico e una buona conducibilità
termica. In tutto ciò, dobbiamo tenere conto la fisica dei
bacini superficiali: la T delle acque superficiali viaggia in
modo sfasato rispetto a quella dell’aria (lo sfasamento è
funzione dello spessore dell’acqua, della miscelazione). In
genere, un lago non può essere considerato un bacino del
tutto omogeneo e allo stesso momento non è un elemento
statico; all’interno del lago si ha una distribuzione di T che
ci seziona la profondità in diverse aree; se il bacino è molto
sottile, esso andrà in equilibrio con le condizioni esterne in
tempi brevi. Inoltre, nei laghi possono esserci dei moti di tipo convettivo che sono tipici della
stratificazione che si genera nel lago. Noi sappiamo che la densità max dell’acqua la si raggiunge a
122
4°C e quindi le acque che si dovrebbero trovare a maggiori profondità all’interno di un bacino
abbastanza profondo, dovrebbero essere a T di 4°C. Durante l’autunno e la primavera, si ha un
rimescolamento delle acque. In autunno si ha un rimescolamento di acque più calde e la T media
sarà lievemente più alta, mentre in primavera si risente del rimescolamento delle acque invernali
fredde e la T tende ad essere minore. In inverno e in estate, si ha una stratificazione in cui la T, se il
bacino è abbastanza profondo, di irca 4°C in prossimità del fondo e la T più bassa in prossimità della
superficie (anche ghiaccio) oppure nella fase estiva T calde. Esiste poi una zona centrale detta
termoclino.

Tutto ciò comporta anche una stratificazione chimica in particolare di contenuto di ossigeno nelle
acque lacustri. Durante le fasi di rimescolamento si osserva un mixing più o meno completo in
funzione delle caratteristiche locali e quindi un omogenizzazione di ossigeno disciolto; mentre in
inverno e in estate si osservano delle stratificazioni
con valori minimi nelle acque più profonde e
avvicinandosi alla superficie si ha un arricchimento
in ossigeno; in funzione della densità dell’acqua si
possono avere zone più o meno ricche di ossigeno.

La tipica distribuzione delle T è quella caratterizzata


da un equilinio nella parte supericiale, un
termoclino e metalimnio dove si ha la max
variazione di T e poi un ipolimnio i profondità.
Durante i mesi la T media si mdodifica e soprattutto il profilo di T media nei bacini di acqua; inoltre,
i fattori che entrano in gioco sono l’insolazione, la presenza di T basse in superficie sino a formazione
di ghiaccio e l’eventuale presenza di venti.
Nei laghi, quindi, si osserva un termoclino e un chemoclino ossia una variazione forte del contenuto
di alcuni elementi importanti come ossigeno e gas riducenti come H2S e solfati. Esistono dei fattori
locali che possono controllare ciò ad es. un influenza del deflusso delle acque superficiali o
precipitazioni o acque di ruscellamento che possono avere diverse T.
I profili di T e delle caratteristiche chimiche danno l’idea delle oscillazioni e della posizione del
termoclino, epilimnio e ipolimnio.

Esistono delle regole empiriche che si possono usare per valutare le caratteristiche di distribuzione di
T e di fattibilità al punto di vista chimico-fisico per l’impiego di piccoli laghi ai fini di estrazione e

123
accumulo di calore. Per piccoli schemi, in genere, è consigliato che un lago deve essere profondo
almeno 3-4 m e il carico ax in raffreddamento o riscaldamento devono essere rispettivamente inferiori
a 17.4 W/m2 e a 8.7 W/m2. Nell’altro caso, invece, deve esserci un rifornimento continuo di acqua
che possa garantire afflusso di calore o di acque più fresche per smaltire eventuali eccessi di
temperatura.

Il bilancio termico di un piccolo bacino è dato da diversi fattori: dall’esterno si ha il Sole e quindi
irradiamento solare con radiazioni incidenti (piccola lungh. Onda) e riflesse (grande lungh. Onda) e
alcune assorbite dal lago; tale radiazione varia nel corso dell’anno e nel giorno e anche in funzione
della copertura nucolosa. Poi si possono avere delle precipitazioni che ricaricano il bacino, input da
ruscellamento superificiale, perdite di calore date da fenomeni evaporativi e convettivi in prossimità
dell’interfaccia aria-acqua. Altri fattori sono il deflusso sotterraneo verso il lago e in uscita da esso,
scavi conduttivi con substrato terreno che forma il fondo lago (iò può essere importante per laghi con
spessore rilevante in cui si ha ricambio termico o dove vi è un gradiente geotermico rilevante). Infine,
si hanno uscite dal bacino e le opere che estraggono o reiniettano calore con pompe di calore.

Se si assume che si ha un trascurabile contributo


delle acque sotterranee e delle acque superficiali,
ci rimanngono pochi termini nel bilancio; si
assuma anche, che il calore convettivo causi delle
perdite limitate e quindi trascurabile. A questo
punto rimangono solo alcuni termini tra cui quelli
della radiazione solare, riflessa e restituita dal lago
all’atmosfera, il calore di evaporazione e quello eventuale di sorgenti calde sotterranee. Si sa che la
radiazione riflessa è funzione della legge di Stefan-Boltzmann che implica un irradiamento con T
124
superficiale dell’acqua che controlla il flusso di calore emesso. Se si considerano tempi lunghi
(condizioni stazionarie) si guarda la prima equazione e quindi le differenze devono essre uguali a 0.
Da qui si possono calolare i singoli termini (eq. 2) dove introduciamo alcune costanti che ci dicono
la quantità di calore assunta o dispersa dalle diverse fonti o sorgenti.

Per quanto riguarda l’evaporazione, il tasso di evaporazione è calcolato da diverse funzioni e quelle
più semplici sono correlate alla T, ma esistono anche altri parametri come la pressione di vpore (che
dipende da T), la velocità del vento (importante per remixing e diminuzione umidità relatica alla
superficie) e sono formule empiriche legate a caratteristiche locali, ambientali e alla tipologia di uso
del suolo. Queste equazioni mettono in relazione il tasso di evaporazione E con la velocità del vento
e con la pressione di vapore. Il tasso di evaporazione è espresso in mm/giorno, la pressione di vapore
in condizioni sature e0 in mmHg. Il valore di pressione di vapore ea è anche posto = pressione di
vapore aria satura in corrispondenza del punto di rugiada o condensazione. La velocità del vento vw
in km/h che è pesata con parametri a, b e c che sono costanti che variano in funzione delle zone
geografiche.

L’andamento della pressione satura in funzione della T è esponenziale e aumenta con la T.


l’evaporazione è misurata dalla disponibilità di piccoli bacini superficiali e spesso si usano dei
contenitori cilindrici a base piatta con piccolo volume di acqua che essendo piccolo tende a diventare
caldo e quindi si ha un eccesso nella stima dell’evaporazione. Si calcola la perdita di calore dovuta
all’evaporazione di acqua da una superficie di un lago, moltiplicando il calore latente di vaporazione
per la denistà dell’acqua per il tasso E e per l’area del lago.

I sistemi open-loop possono essere realizzati in un lago con cui pescheremo acqua da esso ad
unaprofondità che ci interessa per le caratteristiche fisiche-chimiche che ha e la reinietteremo nel lago
o nelle acque superficiali. Tale sistema è ben adattato sia a schemi in raffrescamento sia in
riscaldamento soprattutto in climi temperati. Uno dei problemi è che negli inverni freddi, l’acqua
potrebbe essere prossima a T basse e quindi tra 1-4°C portando a congelamento. L’altro problema, è
che siccome abbiamo a che fare con acque libere superficiali, non possiamo aggiungere degli anti-
congelanti e quindi il margine di estrazione del calore è limitato.

125
L’altra cosa importante è dove andare a
prendere l’opera di presa e il punto di
reiniezione. Se preleviamo acqua fredda ci
conviene prenderla in profondità in modo
da sfruttare la stratificazione dell’acqua e
essa sarà molto evidente in alcuni mesi
dell’anno. Nel caso di restituzione di acqua
calda, invece, essa sarà resitituita in
superficie erchè ci sarà una maggior
possibilità di ricambio con l’atmosfera e
quindi riequilibrio con le condizioni locali.
L’altra cosa è che se prendiamo delle acque
in profondità, poi esse si ritroveranno in un
ambiente riducente (ossigeno poco e alto
H2S) e ciò significa che portiamo in superficie delle acque fredde, ridotte e le portiamo in contatto
con atmosfera oppure le possiamo rigettare nelle acque superficiale dove vivono organismi che
riescono a vivere perché c’è abbondanza di ossigeno e quindi potremmo causare dei problemi dal
punto di vista della sostenibilità ambientale.

I sistemi cloosed-loop nelle acque superficiali sono realizzati tramite delle spire che sono stese e che
sono disposte nel bacino. In esse è fatto circolare un liquido anticongelante. Le tubazioni sono pesanti
in HDPE (perché garantisce maggiori caratteristiche dal punto di vista meccanico, resistente a
radiazioni solari, minor galleggiamento e resistenza ad azioni meccaniche per instabilità o azione del
ghiaccio). Il sistema a ciclo chiuso ha dei vantaggi rispetto a quello a ciclo aperto, perché ad es. evita
i problemi di mixing chimico, di contaminazione delle acque nel bacino e la T del fluido vettore è dai
2-7°C inferiore rispetto a quella dell’acqua del lago.

Ci sono diversi modi per installare i circuiti chiusi in HDPE e si parlerà di stese parallele che possono
essere realizzate con spire parallele tra loro, poi si possono avere loose coil bundles e cioè delle stese
poco stese ma concentrate e alcune di esse sono attaccate a sistemi che le tengono equispaziate tra
loro.
Le regole per l’impiego di essi è che si possono usare tra i 20 e i 40 m di tubo in HDPE per produzione
di 1 kW in riscaldamento o raffrescamento. Essa è una regola generale e varierà in funzione delle
condizioni locali. I coil bundles possono contenere delle lunghezze di tubazioni lunghe sino a 150 m

126
e possono essere fatte in avvolgimenti a distanza fissa tra loro in modo da non avere un interazione
termica. Una regola di massima è che ci sia una lunghezza di circa 33 m per la produzione di 1 kW.

Siccome vogliamo raggiungere la max efficienza dobbiamo garantire che il fluido vettore viaggi in
flusso turbolento e ciò è importante perché anche nel caso delle sonde verticali, si garantisce il
massimo scambio di calore. In genere, per le lunghezze usate di tubi, una portata di circa 3.2
L/min*kW garantisce una condizione turbolento con T di scambio tra i 4-5°C. Ciascuna stesa di spire
è poi connessa in parallelo alle altre in modo che tutte appartengano ad un unico circuito. Esiste un
numero massimo di sistemi o avvolgimenti che possono essere realizzati e ciò è funzione della portata
di fluido vettore rispetto alla portata che consente di mantenere le condizioni trubolente. La seconda
è funzione del diamtero interno del tubo in HDPE e dalle caratteristiche del
fluido come densità, viscosità e le caratteristiche chimiche.

L’andamento parabolico del profilo delle velocità in condizioni di flusso laminare con velocità max
al centro o nell’asse della tubazione, mentre nel flusso turbolento il profilo di velocità è piatto e la
velocità max tende ad essere quasi uguale alla velocità osservabile per gran parte della sezione. Ciò
è controllato dall’attrito alle pareti del tubo e dalle proprietà del mezzo. Le condizioni di flusso
laminare per lunghezza idrodinamica caratteristica (cioè la distanza in corrispondenza della quale si
ha un completo sviluppo del flusso) cambierà in funzione del tipo di flusso. Quello che si osserva, è
che per il flusso laminare la distanza a cui il flusso si stabilizza è pari a circa il 5 % del diametro del
tubo*Reynolds in corrispondenza della transizione laminare. Per il flusso turbolento, invece, è
difficile trovare un esatta soluzione per la lunghezza caratteristica a cui si stabilizza il flusso
turbolento, ma in genere è stimato sia tra le 10 e le 60 volte il diametro del tubo.

Ci possono poi essere dei problemi di formazione del ghiaccio e ciò è importante quando si usano
soluzioni anticongelanti che circoli nelle tubazioni a T al di sotto dello 0°C. La formazione di ghiaccio

127
può essere un vantaggio perché aumenta la conducibilità termica nei pressi della tubazione, ma è
svantaggioso perché può peggiorare il trasferimento convettivo che è quello che avviene quando si
ha acqua a contatto con le tubazioni. Se si hanno poi accumuli di ghiaccio grossi, siccome esso ha
densità minore di quella dell’acqua, si ha galleggiamento e quindi a spira può galleggiare in
prossimità della superficie dove l’acqua è a T sfavorevoli o dove si hanno problemi ambientali.

L’HDPE è una soluzione conveniente in quanto poco costosa e robusta; però se si vuole massimizzare
la conducibilità termica si possono usare tubolari o scatolari metallici e cioè sono scambiatori di
calore che riescono ad essere molto più efficienti.

Sopra vi è l’evoluzione dei profili di temperatura nel flusso laminare al variare delle condizioni al
contorno. Nel caso a) si ha flusso di calore costante al margine e nel caso b) con T costante al margine.
Stessa cosa in c) e d) per il flusso turbolento. La condizione cambia al variare delle condizioni al
contorno nel caso del flusso laminare, mentre cambia poco per il flusso turbolento.

Nel caso di un profilo di T completamente sviluppato, esso non sarà solo funzione del flusso
turbolento, ma anche delle condizioni di T al contorno. Quindi, sarà funzione delle condizioni del
bacino entro cui si trova il sistema. Per il flusso laminare, il profilo di T è non uniforme per la
condizione del flusso costante al contorno, mentre per la condizione di T costante alle pareti si ha un
flesso che cambia la geometria della distribuzione. Nel caso del flusso turbolento, l’andamento tende

128
ad essere più difficile da definire anche se la variazione è comunque debole con appiattimento della
geometria.

129
Cap. 8 Petroleum Geoscience

BENZINE FOSSILI, FORMAZIONE DEL CARBONE E CLASSIFICAZIONE, PRODUZIONE DI


ENERGIA, TERMOELETTRICA, IMPATTO AMBIENTALE

Iniziamo qui la terza parte del corso che rigurda le risorse convenzionali e non che si rifanno a tre
tipologie di prodotti che possiamo usare (riserve di carbonio, petrolio e gas).

Sappiamo che i combustibili fossili derivano da materia organica che è stata deposta in ere
geologiche passate ed è rimasta intrappolata nei sedimenti per tempi sufficientemente lunghi da
consentirne una trasformazione. Quasi tutte le sostanze che chiamiamo combustibili fossili sono di
tipo biogenico, cioè di derivazione da materia organica naturale. Esistono però ad es. come per il
metano possibilità di
avere un origine non
organica.
Il consumo di
combustibili fossili è
iniziato in un intervallo di
tempo ristretto dal ‘700-
‘800. Oggi i processi di
formazione del carbone
sono attivi negli oceani e
nelle aree paludose ad es.
nelle torbiere. Una distinzione all’interno delle nostri risorse è quello tra riserve e risorse. Nel caso
in cui le risorse siano note e siano facilemnte recuperabili si parlerà di riserve; viceversa, le risorse
implicano tutto ciò che può essere estraibile e di cui si sospetti l’esistenza. Inoltre, si assume che una
risorsa trovata (>90% di trovarla), mentre probabile se è 50%.
Tutto ciò che vedremo sarà funzione del ciclo del carbonio in quanto si è detto che tali sostanze fossili
sono funzione della materia organica e in tutte le molecole organiche vi è carbonio. Il C può essere
presente nelle diverse matrici ambientali in diverse forme (atmosfera come CO2, biosfera, idrosfera
e nei sedimenti). Il più grande serbatoio di C sono gli oceani profondi e si stima che ci siano catturati
negli oceani circa 38.000 Gton. È presente del carbonio anche sulla superficie terrestre come
combustibile fossile e la maggior parte è contenuta all’interno delle foreste. Inoltre, negli oceani si ha
lo stoccaggio principale di CO2 e ciò significa che deve esserci un equilibrio tra l’atmosfera e la
130
massa oceanica (la CO2 è disciolta nell’oceano, qui dà acido carbonico (acidificazione), esso si
scompone in ione bicarbonato e ione idrogeno). Poi si ha tutto il ciclo di vita di animali a scheletro di
carbonato di calcio che si può combinare con l’idrogeno e dare ioni carbonato. Questo è anche il
principio su cui si basa l’acidificazione degli oceani.
Al variare della CO2 in atmosfera varia anche il pH e in particolare all’aumentare della CO2 in
atmosfera si osserva una diminuzione del pH e quindi si verifica una acidificazione degli oceani.
Inizialemente, tale acidificazione si basava su un quantitativo di CO2 in atmosfera basso e ciò dava
una leggera acidificazione ma limitata e infatti il pH si manteneva a 8.2. Comunque si aveva
abbondanza di ioni idrogeno, ma anche di ioni barbonato e gli organismi con struttura di carbonato
di Ca si sviluppavano abbondantemente. Attualemente con la diminuzione del pH e quindi con
acidificazione, è più complesso avere disponibile il carbonato di calcio a parte degli organismi.

Il carbone è una delle fonti di combustibile fossile più antica e il suo uso è iniziato da circa 4000 anni
ed è stato usato via via sempre di più sino alla scoperta di nuove risorse di tipo fossile. L’energia che
si pensa essere presente all’interno del globo terrestre è enorme. Il problema che la maggior parte di
tali risorse è difficilmente estraibile. Il consumo del carbone è iniziato a fine ‘700, l’inizio del petrolio
nel ‘900 e poi il gas più tardi. Attualmente carbone e olio a scala globale hanno lo stesso tipo di
consumo in termini di produzione di energia.
La composizione del carbone deriva dai materiali vegetali disponibili in origine e dalla modalità di
trasformazione a cui il materiale è stato sottoposto. I debositi di carbone variano da contenuti < 46%
(lignite), 46-60% (sub-bituminosi), 60-86% (bituminosi) e 86-98% (antracite). Oltre al carbonio sono
presenti altri elementi come zolfo, ossigeno, idrogeno, azoto e altri minori elementi.

Se si ha del carbone, è possibile fare una stima di massima del contenuto energetico che si può
ottenere o presente in funzione della composizione chimica: in partiolare si avrà una relazione ce
esprime il contenuto E in termini di % di massa del C, dell’H, dell’ossigeno e dello zolfo.

Ciò ci dice che con una descrizione della massa del carbone, riusciamo a stimare il contenuto
energetico. In genere, la massima densità di energia richiede che ci sia abbondanza di H e scarsità di
ossigeno.
La formazione del carbone è legata a periodi storici particolari caratterizzati da foreste tropicali
sviluppate che sia per la tipologia di pianta sia per il tipo di ambiente, esse vivevano in zone paludose
in prossimità di zone costiere dove in seguito della caduta alberi, essi potevano essere ricoperti di
131
sedimento e veniva rallentata la decomposizione che avveniva quindi in condizioni anaerobiche e tali
condizioni consentivano di trasformare progressivamente la massa organica. La maggior parte del
carbone si è formata nel Carbonifero (359-300Ma) e la produttività di sostanza organica che poteva
essere trasformata in carbone era più alta rispetto all’attuale. Durante queste fasi, l’oceano era
soggetto a fasi di regressione e ingressione e nelle fasi in cui entrava verso il continente i sedimenti
colmavano e coprivano i depositi organici di queste foreste e a sua volta aumentava il contributo dalle
zone continentali. Il sedimento chiudeva il contatto tra materia organica e atmosfera e si aveva una
trasformazione progressiva detta coalification
passando dalle torbe → lignite → sub bitume →
bitume → antracite. Per questa trasformazione era
necessario il trascorrere del tempo e l’applicazione di
un carico che consentisse di trasformare per
espulsione di acqua e di calore che consentiva di
trasformare la sostanza organica sino ad arrivare alla
formazione dei livelli carboniosi. Questi livelli sono
in genere con limiti netti e spessori anche notevoli in
cui a volte è possibile ritrovare delle forme della flora
che hanno originato tali depositi; mano a mano che si
va in profondità nella sequenza aumenta il grado del
carbone (dalle torbe all’antracite). Il limite estremo
che potremmo porre è quello della grafite in cui si ha
carbone puro, ma essa non risulta utile per la
produzione di energia essendo puro.

Ci sono circa 50 nazioni che estraggono e sfruttano carbone: USA, Cina, Russia, Australia, India e
altri; essi sono i paesi con le riserve maggiori di carbone. Allo stesso modo questi paesi sono tra i
grani consumatori di carbone. Inoltre, è interessante vedere l’andamento del consumo di carbone nei
vari Paesi dove la Cina ha un trend crescente costante dagli anni ’70, mentre il Regno Unito era uno
dei più grandi produttori ma ora è in decrescita costante per nascit di nuove risorse. Solo gli USA
sono al livello della Cina nel consumo di carbone. Per la produzione di energia elettrica il carbone
ancora domina rispetto al gas, al petrolio, nucleare, idroelettrica.

Gli impianti a carbone sono costituiti da una fornace alimentata in modo continuo da carbone che
arriva via treno o nave; nella fornace si ha un sistema con delle serpentine in cui è fatto circolare

132
acqua e quindi si ha vaporizzazione. Tale
vapore ad alta pressione è immesso nella
turbina che è collegata ad un generatore e
produce energia elettrica. Il vapore poi si
condensa e l’acqua può essere riutilizzata
nel processo.
L’efficienza di un impianto che brucia a
carbone (centrale termoelettrica) può
essere calcolata in funzione della
differenza di T in e out (ambientale-27°C e di combustione-450°C). Si può calcolare con la legge di
Carnot vista in precedenza.

Gli impianti possono sfruttare anche un Ciclo Rankine: l’impianto è realizzato con circolazione di
fluido fatto entrare nella fornace, si ha vaporizzazione, poi si va nella turbina e infine condensazione
e si chiude il ciclo. Quindi si hanno 4 fasi distinte che possono essere riassunte in un digramm T-
entropia, dove l’entropia è la rappresentazione dell’energia interna e contributo di pressione e volume.
Si parte dal punto 1 in cui si ha T minma, si ha
pompa che inizia a svolgere un lavoro e fa
aumentare T fluido; poi tae fluido è riscaldato
nella serpentina e la T cresce progressivamente e
crescono anche la pressione e l’energia interna
del fluido fino a che inizia l’ebollizione (260°C)
pressione di contenimento. L’ebollizione non si
ferma fino a che l’acqua non si è trasformata
tutta. Si arriva quindi nel punto 3 e qui si ha il
lavoro della turbina e si ha un raffreddamento del fluido con condensazione e si ritorna alle condizioni
iniziali. L’area occupata dal Ciclio è rappresentativa dell’energia che puà essere estratta.
È possibile, migliorare le performance del sistema se ad es. si continua lungo una traiettoria divers di
quella che si ferma al punto 3. Ad es. alla pressione di 50 bar potremmo continuare a aumentare la T
portando il fluido i corrspondenza del punto critico. La possibilità di arrivare tramite pressioni elevate
a T elevate è legato al fatto che nel tempo si sono sviluppati dei materiali e leghe che consentono di
lavorare a pressioni elevate e T alte.
133
Esiste poi la possibilità di convertire il carbone in un combustibile utile per il trasporto e ciò può
essere fatto tramite dei combustibili gassosi (syngas) sintetici che sono una miscella di monossido di
carbonio e di idrogeno. Essi possono essere ottenuti direttamente a una reazione che richiede la

presenza del carbone, dell’ossigeno e del vapore acqueo. L’energia del Syngas è molto minore
rispetto al gas naturale; ma la cosa buona è che esso può essere trasformato in una benzina che ha un
contenuto energetico maggiore. Ciò può essere fatto con diversi processi tra cui il Fischer-Tropsch
scoperto nel 1920 che fu poi usato per la preparazione di benzina alla fine della 1 guerra mondiale
per scarsità di altri combustibili.

L’estrazione di carbone per molto tempo veniva fatto sia in superficie sia in sotterraneo. Laddove il
carbone si trova a profondità non elevate di max 50 m si scava dalla superficie. L’impatto delle
miniere si riperquote sull’ambiente per le emissioni sia durante l’estrazione sia in fornace con
combustione. Il carbone può avere un netto impatto nelle emissioni di CO2, SO2, Nox e termini di
particolato (10.000 v superiore del gas).
L’altro problema sollevato negli ultimi decenni è che nella combustione si liberano molti isotopi
radioattivi nella roccia. È stato stimato che il rilascio di ceneri di combustione di carbone possono
portare a circa 100 v la radiazione emessa da elementi radioattivi per la produzione della stessa
quantità di energia.
Inoltre, i gas serra possono essere rilasciati nella combustioni o formarsi a seguito di essa e sono
esafluoruro, CFC, freon, ossido nitroso, metano e CO2. Ciò ha portato nel tempo ad un incremento
della T media globale del Pianeta.
Si possono poi avere effetti per contaminazione atmosferica che si riperquote sulle acque perché a
seguito di precipitazioni, la contaminazione
atmosferica può essere riportata al suolo
con la pioggia, ma il problema è che data la
presenz di zolfo e del particolato rilasciato
si ha produzine di acido solforico quindi
piogge acide. Tutto ciò impatta anche sulle
acque superficiali dove la SO2 in presenza
di vapore si trasporma in acido e precipita come pioggia facendo soffrire la flora.

134
Si è accennato al fatto che vi è un eccesso di CO2 in atmosfera e il serbatoio principale sono gli
oceani: quindi in prossimità della superficie dell’oceano si avrà maggior dissoluzione nella zona di
scambio con la superficie e ciò comporta una variazione del pH negli oceani.
Infine, in molti casi se i filoni di carbone si trovano in prossimità della superficie conviene scavare
con escavatori. Anni fa si attaccava direttamente il fronte del carbone e non togliendo da sopra la
terra. Questa ultima tecnica è molto usata in diversi stati in USA (kentuchy, virginia, tenessee) si è
sviluppata la tecnica MTR e cioè Mountain Top
Removal mining (tolgono la cim delle monatgne per
raggiungere il carobone). Il problema essenziale che si
riempiono gli invasi o fondi valle di materiale che si
toglie dal top (es. stati uniti).

INTRODUZIONE ALLA GEOSCIENZA PER IL PETROLIO, RISERVE


DURATA/EVOLUZIONE

Nel termine Petroleum Geoscience entra tutto quello che può essere presente nella conoscenza
geologica attuale e in più entrano aspetti come l’ingegneria delle rocce serbatoio, dei giacimenti e la
petrofisica. Si deve avere una conoscenza geologica approfondita della stratigrafia (o biostratigrafia),
geologia strutturale, modellazione fisico-numerica di circolazione fluidi o addensamento o fenomeni
meccanici che portano a diagenesi o fenomeni chimici e migrazione di fluidi; ciò dovrà essere legato
alle condizioni al contorno presenti all’intorno dell’elemento che si va ad analizzare (T, p, tipo di
fluidi, densità fluidi e tempo di azione). I risultati vanno poi confrontati con le osservazioni di
campagna che possono essere realizzate tramite perforazioni o indagini geofisiche. Lo studio della
litologia delle rocce sedimentarie che sono iserbatoi naturali di petrolio e gas e tra essi anche le
argilliti.
Sia per la costruzione di un modello sia per la sua verifica occore interagire con i dati raccolti ad es.
con quelli geofisici che possono essere acquisiti durante la fase di studio o dopo una fase esplorativa.
Metodi geofisici sono riconosciuti come essere quelli fondamentali per la ricerca del petrolio sia a
terra (onshore) sia a mare (offshore) che prevede modalità di esplorazione estese perché sono più
facili da realizzare per assenza di ostacoli logistici ma allo stesso tempo molto utili perché abbassano
i costi rispetto ai costi di perforazione a terra.

135
Le tipologie di misure che possono essere fatte con tali metodi geofisici includono la gravimetria,
magnetometria; i sondaggi sismici a terra costano di più in quanto i geofoni sono da mettere in griglie
e spesso vi sono ostacoli logistici, mentre a mare non ci sono.
L’altra cosa è il logging ovvero l’indagine geofisica in foro per realizzare delle analisi a profondità
notevoli con osservazioni per contenuto di idrocarburi, porosità, il peso di volume.
Esiste, poi, una serie di tematiche che riguardano la modellazione del giacimento dal punto di vista
idraulico e meccanico e fisico e quindi vi sono le conoscenze di geologia applicata, geotecnica,
geomeccanica e idrogeologia.
L’ingengneria del petrolio e lo studio delle rocce serbatoio è molto influenzato dalle caratteristiche
sia fisiche sia chimiche dei materiali e fluidi contenuti (T, p, composizione).

Le osservazioi di venute a giorno di un liquido organico con odore molto forte era ben noto in passato
ed era stato osservato che tali pozze si potevano incendiare e infatti sono state usate come olio grezzo
sia per accendere il fuoco e mantenre le fiamme costanti oppure come armi incendiarie. Prima del
1859, il grosso del petrolio era raccolto tramite venute di olio alla superficie.
Nel 1859, fu perforato il primo pozzo sino a 25 m da cui si sono estratti 8-10 barili di petrolio al
giorno dove 1 barile sono circa 60 L. In pochi anni, mentre la produzione al di fuori degli Stati Uniti
la produzione massima era di 5000 barili annuo, furono perforati una serie di pozzi e nel 1970 si passò
a 5 milioni di barili estratti. Le osservazioni degli anni successivi erano che si potevano riconoscere
dei caratteri geologici di massima che erano associabili alla presenza di petrolio come strutture a
duomo o anticlinale. Quindi si iniziò una mapatura di tali strutture comprese le faglie.
Mano a mano, nel IXX secolo si espanse la tecnologia soprattutto si iniziarono a fare dei log elettrici
in foro per avre stratigrafie dettagliate. I primi log erano di misure di resistività che davanno
indicazione sul tipo di fluido, ma anche dei gamma log che davano info sulla tipologi di rocce
attraversate.
Nel 1930-1940 l’attenzione si spostò verso le analisi nel Medio Oriente e negli anni ’50 si arrivò alle
piattaforme continentali (onshore) e quindi con mezzi e costi più elevati. Attualmente, lo stato di
conoscenza a grande scala, è buono ed è arduo trovare dei nuovi grandi giacimenti. Però vi è un
interesse via via crescente per delle riserve non convenzionali come gli oli pesanti, sabbie bituminose,
oli da argillite e gas.

A metà degli anni ’50 Hubbert ipotizzò che la distribuzione o la curva di produzione di combustibile
fossile e in particolare di olio avrebbe seguito una curva a campana e in base a ciò tento di fare delle

136
predizioni sul possibile esaurimento delle risorse di idrocarbuti e per quanto riguarda il petrolio fece
una stima con una chiusura intorno agli anni 2000.
Nel tempo sono state molte analisi di tali dati, ma quasi sempre si commettono degli errori in quanto
vi sono tanti elementi che possono controllare la performance di tali relazioni.

Il picco dell’olio che Hubbert aveva definito come una curva a campana si ebbe nel 1956. Esso si
basa sul fatto he nella fase iniziale si scopre una riserva e la si inzia a sfruttare, quindi l’estrazione
cresce rapidamente, si estraggono nuovi pozzi, aumenta la produzione fino ad un certo punto tutto
quello che era da scoprire è già in fase di produzione e quindi si arriva al picco; da quetso momento
in poi Hubbert ha introdotto la curva di esaurimento che è speculare che diminuisce per esaurimento
delle risorse e non scoperta di altre fonti. Più tardi, Hubbert disse che la curva non era gaussiana
quanto una curva con funzione logistica e ciò consente di avere delle curve asimmetriche. Inoltre, se
si applica tale curva a risorse e riserve diverse alla scala della Norvegia o degli US si osserva che la
performance è molto buona. L’eventuale andamento può essere controllato dalla scoperta di nuovi
giaicmenti prima inaccessibili, fattori di domanda e offerta, costi alternative energetiche in
competizione col petrolio.

MODALITA’ DI DEPOSIZIONE DELLA SOSTANZA ORGANICA NELLA COLONNA DI


ACQUA OCEANICA; PROCESSI DI TRASFORMAZIONE E RELAZIONE CON IL TASSO DI
SEDIMENTAZIONE E PRODUTTIVITA’

In questa lezione apprenderemo la modalità di formazione dei depositi di combustibili fossili a partire
dalla deposizione di sostanza organica. Essa necessita di processi di fotosintesi che sono possibile
grazie all’irradiamento solare. Quindi, l’energia solare e l’irraggiamento solare sono immagazzinati
in termici energetici nei combustibili fossili. La radiazione solare ha diversi termini in budget dove
parte dell’energia è riflessa, parte assorbita e cambiano le lunghezze d’onda e si sa anche che l’energia
solare è alla base del ciclo idrogeologico, idrologico e quindi anche dei fenomeni di evaporazione,
generazione di venti e fenomeni di fotosintesi in prossimità della superficie terrestre. Essa permetterà
la formazione di materia organica che verrà deposta in prossimità del suolo e qui si avrà accumulo e
possibile trasformazione della sostanza organica. La gran parte della sostanza organica che forma
depositi di petrolio sono di natura algale e quindi legato direttamente ai processi di fotosintesi. Lo
zooplancton e tutti gli altri organismi fanno parte di una catena in cui vi è dipendenza indiretta dalla

137
fotosintesi. A ogni step successivo della catena, la quantità di materia organica che rimane usata si
riduce del 10%; quindi il 90% della produzione di materia organica è associata alle alghe.

L’energia che è rilasciata in un fenomeno di combustione è un energia solare immagazzinata


all’interno del combustibile. Siccome a noi interessa conservare questa energia, ci interessa verificare
come questo processo possa avvenire e in base a che cosa. La produzione di materia organica a scala
globale degli oceani è circa 5 x 1010 tonnellato/anno e i nutrienti arrivano dall’erosione delle rocce e
dalle zone continentali.
La produzione biologica è massima nelle zone superficiale delle acque oceaniche e ciò è legato al
fitoplancton e avviene perché vi è una radiazione diretta che può penetrare tanto più le acque sono
limpide. Già raggiungendo i 100-150 m di profondità, la luce solare diminuisce per cui diviene
difficile attivare processi di fotosintesi. Il fitoplancton fornisce una forma di alimentazione per molti
degli organismi negli oceani e lo zooplancton si alimenta di fitoplancton. Gli organismi che poi
muoiono nella parte superficiale delle acque oceaniche tendono a precipitare all’interno della colonna
d’acqua e in funzione delle condizioni di circolazione, di acidità dell’acqua e dell’eventuale presenza
di correnti oceaniche, si potranno ritrovare in diverse posizioni o dovranno sparire dal ciclo.

Un esempio sotto è in una zona in cui vi è un bacino chiuso da una barriera corallina di carbonati; si
vede la possibilità dell’irraggiamento solare nei livelli superficiali, la risoluzione di CO2 nelle acque
con formazione di molecole organiche e
grazie all’apporto di nutrienti ricchi in
fosforo e azoto, si ha lo svliluppo della
vita nella colonna d’acqua. A seguito
della ridotta circolazione in profondità e
della lontananza dalla superficie
interfaccia con atmosfera, si arrivano a
condizioni riducenti e quindi con
possibilità di immagazzinare la sostanza
organica che non viene più ossidata. Una volta che questa situazione si “congela” nell’ambiente
profondo avviene che la sostanza organica si trasforma in idrocarburo che si muove nella sequenza
stratigrafica in funzione delle caratteristiche del mezzo. Un'altra cosa importante nelle acque
oceaniche è che vi è la possibilità di avere dei fenomeni di upwelling con cui si ha una ripresa di
organismi e uno sviluppo forte nella crescita di micro-organismi.

138
Inoltre, vi è la possibilità di avere deposizione di sostanza organica in zone paludose o costiere a
basso spessore di acqua per es. nelle zone di delta e qui la materia organica rappresentata da materiale
legnoso (lignite→ da piante in zona costiera) si ha la possibilità di produrre carbone.
Se si ha una pianta che muore in prossimità della superficie ed essa va incontro a prodotti di
biodegradazione in corrispondenza della superficie, tutto l’ossigeno generato o tutta la CO2 assorbita
nella vita dalla pianta viene rilasciata durante la fase di ossidazione e quindi non vi è un contributo
netto, a meno che la pianta venga ricoperta in qualche modo e si trasformi lontano dalle condizioni
di ossidazione.
L’olio e il gas prodotto in sotterraneo possono accumularsi all’interno della sequenza geologica
oppure venire a giorno in diverse forme tramite zone di debolezza o percorsi connessi a una
permeabilità e caratteristiche granulometriche e di forza capillare che consentono la migrazione verso
l’alto dell’olio. Quindi si possono ritrovare delle venute di olio che possono realizzarsi sia sulla
superficie di aree continentali sia in aree marine sul fondale. Molti depositi di petrolio sono spariti a
causa del sollevamento tettonico e dell’erosione connessa: le rocce sono state smaltite e la sostanza
organica riossidata in superficie. Questi oli che si osservano possono essere connessi alla presenza di
rocce madre in prossimità della superficie con sistemi più o meno fratturati che possono consentire
la movimentazione preferenziale oppure la vicinanza alla superficie e l’erosione che avvicina alla
superficie questi elementi, la brecciatura in superficie d parte dell’erosione di trappole di idrocarbuti
oppure infine connesse a pressioni generate dall’intrusione di corpi salini.

La sostanza organica che è prodota negli oceani, è poi ossidata o in modo diretto o tramite un’azione
mediatrice di tipo micro-biologica. L’ossigeno che è presente in atmosfera e nelle acque può causare

la trasformazione di una sostanza organica tramite produzione di diossido di C e acqua. Ciò ci dice
che tutta la produzione potrebbe rigenerare della CO2. Quando l’ossigeno è disponibile, la sostanza
organica reagisce rapidamente e vien ossidata in breve tempo. Se invece, la sostanza organica entra
in una zona a basso contenuto di ossigeno, si avrà una conservazione della sostanza organica e una
trasformazione. Ciò deve però prevedere l’assenza di alcuni micro-organismi che possono
trasformare ulteriormente la sostanza.

Se la sostanza raggiunge il fondo del bacino oceanico, arriva a contatto col sedimento e qui se vi è
ossigeno, la parte più superficiale dei sedimenti può ancora essere ricca in ossigeno e quindi ossida
la sostanza organica sia in superficie sia nella colonna dei sedimenti. Ciò in genere, avviene, per
139
spessori ridotti centimetrici. Al di sotto dell’interfaccia redox ossia dove non si ha più ossigeno libero,
vi sono dei batteri solfato risucenti che continuano a operare una trasformazione della sostanza
organica usando solfati e
idrogeno + la sostanza
organica producendo H2S e
nitrati e acqua.
L’acido solfidrico H2S è liberato e produce l’odore di “uova marce” e se si ha un ulteriore
denitrificazione si avrà liberazione di azoto, CO2 e acqua. Quando il tasso di accumulo della sostanza
organica supera il tasso di disponibilità dell’ossigeno in corrispondenza del terreno oppure dell
superficie se nell’acqua non c’è più ossigeno, il limite redox può essere all’interno della colonna
d’acqua.

Tutti gli organismi che vivono nella massa oceanica entrano nella catena alimentare e nella parte
superficiale vi è lo sviluppo maggiore dello zooplancton e mano a mano che si vain profondità diventa
sempre più difficile. Tutti i residui organici emessi dagli organismi andranno a depositarsi
progressivamente verso il fondale del bacino. Quindi sia il plancton sia i pellets che sono più grossi
e quindi raggiungono il fondale in tempi minori. Alla base della colonna e quindi in prossimità della
superficie si può avere trasformazione. Sul fondo del bacino si avranno degli organismi che
rimaneggiano il sedimento e essi si nutrono della materia organica presente all’interno del sedimento.
Quindi, la presenza di tali bioturbazioni è indicazione della possibile ritrasformazione della sostanza
organica. Essa poi ha un'altra funzione cioè quella di smuovere i sedimenti che potevano essere entrati
all’interno della zona redox e quindi allontanati dal conttato con l’ossigeno. Il risultato è che
l’ossidazione rinizierà a seguito della bioturbazione.

Le condizioni di acque stagnanti o anossiche quindi con un contenuto di ossigeno < 0.5 ml/l di acqua,
possono essere delle zone ideali per i batteri solfato riduttori. Essi possono usare la materia organica
e possono far precipitare dei solfuri (pirite). Se il sedimento non contiene abbastanza ferro disciolto,
gran parte dello zolfo è incorporato nella sostanza organico e ciò è importante perché potrebbe
contribuire o arricchire in zolfo gli idrocarburi in profondità.

A questo punto quello che ci interessa è vedere cosa succede dopo che la sostanza organica ha
raggiunto il fondo. Quindi a noi interessa che la sostanza venga isolata dall’ambiente esterno che
essendo ossidante può causare una trasformazione. Noi possiamo avere condizioni ambientali a basso
tasso di sedimentazione e quindi la sostanza rimarrà per lungo tempo in corrispondenza alla superficie

140
e nel frattempo potrebbe essere ossidata o trasformata da azione batterica; se si ha sedimentazione
rapida, invece, la sostanza organica è ricoperta e separarta dall’azione dei processi di ossidazioni e
dai micro-organismi bioturbatori. Il problema è che mentre nel primo caso, la sostanza organica
potrebbe rimane reoncentrata, nel secondo caso essa viene dispersa all’interno dei sedimenti. Quindi
la condizione ideale è quella intermedia in cui la sostanza organica venga preservata, ma allo stesso
tempo non sia diluita fortemente dall’abbondanza dell’apporto terrigeno. Quindi, l’accumulo netto
della sostanza organica non è solo funzione della produttività nella colonna d’acqua oceanica, ma
sarà anche funzione dell’isolamento a cui la sostanza organica è sottoposta.

Appena sotto la superficie dei sedimenti, si ha isolamento e condizioni riducenti e ciò sarà più rapido
se si è in ambiente di sedimentazione con abbondanza di argille e meno rapido (perché il terreno è
più permeabile e quindi facilmente attraversabile da acqua e ossigeno) fino a 5-20 cm di profondità.
La trasformazione legata a razioni aerobiche o anaerobiche è rapida ed efficiente; ciò puà essere
evidente nei terreni grossolani. Mentre le reazioni anaerobiche avvengono per trasformazione di
batteri e alcuni altri batteri nella colonna di sedimenti. I prodotti che si avranno saranno metano e
diossido di carbonio. Il metano è l’unico idrocarburo he può essere prodotto con modalità biogenica
quindi da una popolazione batterica a basse T.

Riassumendo, si ha una colonna di acqua con molti micro-organismi che finito il loro ciclo di vita in
funzione del livello a cui si trovano nella catena trofica andranno a depositarsi sul fondo dell’oceano.
141
Qui potranno essere o trasformati per ossidazione o presenza di batteri; poi si ha copertura da parte
di sedimenti e quello che andremo a prelevare sono i prodotti in profondità.
Il trasferimento di materia organica avviene attraverso la colonna d’acqua e se essa è ricca in ossigeno
in superficie e per un buon tratto del percorso e quindi si può avere trasformazione della sostanza
durante la caduta; per deposizione si avrà trasformazione se ci sarà ancora ossigeno e ad un certo
punto si avrà isolamento completo della materia organica che è quello che ha portato alla formazione
degli idrocarburi.

I processi a cui va incontro la materia organica a seguito della sedimentazione sono: compattazione
generata da incremento del carico in superficie che potrà far espellere acqua dallo scheletro solido;
poi si ha l’attività batterica che causa prima trasformazione e poi si ha cessazione dell’attività
batterica. A questo punto seguirà una fase di trsformazione che potrebbe portare alla mineralizzazione
della sostanza organica. Infine, mano a mano che andiamo a sedimentare si avrà un incremento di T
che in parte sarà legato a delle reazioni, ma in parte legato al flusso geotermico e all’isolamento del
volume di terreno rispetto alla superficie.

142
KEROGENE, FORMAZIONE, TIPO E CLASSIFICAZIONE, TRASFORMAZIONE PER
DIAGENESI, KATAGENESI E METAGENESI, CLASSFICAZIONE DEI COMPOSTI DEL
PETROLIO

La lezione di oggi riguarda la trasformazione della sostanza organica una volta che essa viene
catturata nei sedimenti e come viene trasformata progressivamente sino a produrre idrocarburi. Il
kerogene è uno elemento di passaggio tra le molecole organiche che sono presenti nei depositi di
materia organica ad es. quelli oceanici e queste molecole complesse possono essere spezzate o ridotte
in amminoacidi e carboidrati; esse, poi possono essere ricombinate in molecole di composti più grandi
e questa può essere una reazione interessante di polimerizzazione che porta a una diminuzione di
composti semplici solubili. Quello che rimane è il kerogene che è una struttura organica molto
cmplessa che raccoglie l’insieme di tutte le sostanze organiche insolubili i solventi non organici e che
sono poco solubili in solventi inorganici. Ciò è interessante, perché lo rende particolarmente stabile.
La cosa che ci interessa, per differenziarlo dal bitume (che può essere una fase solida, organica e
solubile in solventi organici).
Quindi, il kerogene deriva dalla trasformazione di molecole di amminoacidi, crboidrati, acidi umici
che sono trasformati e ricombinati; ciò è ottenuto con la rimozione del gruppo acido, aldeidi e chetoni.
In genere, quello che succede durante la trasformazione in kerogene è la perdita progressiva di
ossigeno, azoto, acqua e diossido di carbonio. Queste perdite portano a rapporti caratteristico alto per
H/C e basso per O/C.
Tali polimeri se vanno incontro ad un riscaldamento pronunciato a T elevate si 350-450°C in
atmosfera inerte, si ha un fenomeno di idrolisi che consentirà la riduzione e frammetazione di
molecole grossolane in più piccole.
Il percorso che porta alla formazione del kerogene è complesso e in parte deriva dalle proprietà di
solubilità e insolubilità del kerogene e della possibile transizione da kerogene a bitume e a composti
organici più leggeri o più pesanti.

Le particelle organiche che caratterizzano il kerogene possono essere riconosciute perché in funzione
che siano state formate o da materiale algale o legnoso, i primi saranno ricchi in liptinite e i secondi
in vitrinite. Ciò è importante perché poi questi elementi possono essere estratti e concentrati a partire
dalla roccia tramite dissoluzione in ambiente acido (HCl e HF) della roccia. Quindi, è possibile
separare il kerogene (materiale più leggero) da altri minerali che non sono attaccati dalla reazione
acida. Il concentrato ricco in kerogene, può poi essere analizzato tramite microscopio a luce riflessa

143
o a luce trasmessa o tramite tecniche di fluorescenza. Queste fasi di materiale organico che possono
essere alterate sono dette “macerali”.
La vitrinite è interessante perché diventa sempre più luminosa o riflette di più la luce all’incrementare
della T a cui è sottoposta; quindi l’indice di vetrinite diventa un parametro utile per definire le T a cui
il kerogene è stata sottoposto durante la storia di sedimentazione e uplift tettonico.

Sulla base dei due rapporti


caratteristici identificati (H/C e O/C)
possiamo vedere che è possibile
classificare il kerogene in funzione
della tipologia di rapporti e in
particolare sarà poi utile
all’identificazione delle fasi di
idrocarburi che si originano da questi
resti di sostenza organica.
Qui a lato si vede un grafico che è il
diagramma di Van Krevelen che si
usa per la classficazione per le
tipologie di kerogene e per
rappresentare i processi che portano
dal kerogene agli idrocarburi. In
particolare, questi processi sono: diagenesi (metano), katagenesi (olio e wet gas) e metagenesi
(metano). Essi sono messi in ordine in grafico al diminuire dei due rapporti. In funzione dei valori
dei rapporti si differenzia tra: kerogene di tipo sapropelico e il kerogene di tipo umico; essi sono i due
all’estremità e poi vi è il kerogene di tipo II che è di tipo intermedio. Il kerogene sapropelico (oil
shales) è rispetto agli altri più ricco in idrogeno ed è formato da materiale ad alto contenuto di
molecole alifatiche a lunga catena; gli organismi che hanno generato tale tipo di kerogene sono alghe
planctoniche e spore e in parte sostanza organica animale. Il rapporto H/C varia da 1.3 a 1.7 (per il
sapropelico), mentre il rapporto O/C è basso < 0.15. Si osserva che in ogni fase di trasformazione
(diagenesi, katagenesi e matagenesi) sono eliminati o espulsi delle frazioni di materiale. All’inizio
viene espulsa acqua, poi diossido di C e infine il metano.
Il kerogene di tipo II è una miscela fatta di microrganismi marini e alghe e di resti organici di piante;
la sua composizione quindi varia in funzione della % di tali componenti algali o animali. Il tipo II ha
una composizione intermedia tra il tipo I e il tipo III. Quello che si osserva è che esso ha valori

144
intermedi del rapporto H/C e O/C. Le catene alifatiche ed estere sono quelle tipiche di questo
composto; questo tipo di kerogene è all’origine del petrolio.
Infine, il kerogene umico ha un basso rapporto H/c e un elevato O/C e quindi è ricco in ossigeno.
Durante la maturazione questo kerogene può eliminare grandi quantità di acqua e i CO2. Mentre, ha
una quantità minore di metano in quanto parte già impoverito di H. la gran parte dei carboni ha questa
tipologia di composizione e essi possono generare anche gas e olio.
Esiste poi una IV classe di kerogene che fa parte di una decomposizione di materia organica in PHA
(idrocarburi aromatici policiclici). La loro caratteristica è che hanno un molto basso rapporto di H/C.

La trasformazione del kerogene avviene con l’aumento della pressione e della T. Se si assume che
la formazione dell’olio sia legata a una reazione del primo ordine, il tasso con cui tale reazione
avviene è una funzione exp del tempo.
4 sono i fattori dominanti che controllano la trasformazione e sono: la T, la p, il tempo per cui la
materia organica è sottoposta a certi valori di temperatura e pressione e le fasi minerali presenti.
In genere, con l’aumentare della T le molecole di kerogene possono andare incontro a fenomeni di
rottura e si originano delle molecole più piccole e leggere; esse saranno quuelle che formeranno
petrolio e gas. Le T per operare questa trasformazione devno essere 80-150°C su un periodo geologico
lungo 1-100 milioni di anni.
La conversione del kerogene in petrolio o gas può iniziare quando ci sia un’energia disponibile
sufficientemente alta (l’energia di attivazione è di 50-60 kcal/mol). Quindi, è necessario che ci siano
delle T per iniziare la trasformazione e sono circa 80-90°C (30°C/km quindi siamo a 3k in z) e la T
ideale per la maturazione degli idrocarburi è però compresa tra 80 e 150°C. se manteniamo il
gradiente geotermico normale si arriva aprofondità di 3-4 km.
A seguito della rottura di queste molecole, si può arrivare a molecole più leggere; questo processo di
rottura delle molecole “cracking” è anche lo stesso processo che verrrà usato in altri processi di
raffinamento. La rimozione del gas (metano) ci lascia una fase residua di kerogene ricca in carbonio.
La trasformazione diagenica avviene a T 70-80°C dove si vede espulsione di acqua e diossido di
carbonio, poi si separa anche il metano e quando esso inizia a essere rimosso succede che si ail
rapporto H/C cambia rapidamente e le curve diventano infatti ripide appena il metano veniva espulso,
mentre il rapporto O/C diviene basso a T di 150-180°C.
Se le T sono più alte di 170-180°C si passa alla metagenesi cioè si ha una trasformzione totale in gas
e tutte le molecole a catena lunga sono rotte in catene più corte di metano.
Infine, l’ultimo step ci può portare alla grafite ovvero C puro.

145
Quindi, la composizione del petrolio che deriva dal kerogene sarà anche funzione della
composizione iniziale del kerogene e dei processi a cui esso è stato sottoposto. Gli idrocarburi più
importanti sono gli alcali che sono anche detti “paraffine”, i gas sono metano, etano, propano e
butano. Le paraffine con numeri di C di 5 a crescere sino a 15 includono dal pentano al pentadecano
e sono sostanza liquide a T ambiente.
Esse sono importanti perché possono costituire una parte delle benzine che derivano dal petrolio;
invece, quelle che hanno numero atomico di C elevato soo cerose o solide a T ambiente.

I composti del petrolio si suddividono in idrocarburi (saturi come alifatici-aliciclici, insaturi come
alkeni-alkini-acetilene, aromatici come benzeni) e non idrocarburi (composti eterotomici come N-
O-S, metalli come Cu-Ni-V-Fe, acqua).

I nafteni che sono anche delle cicloparaffine sono caratterizzati da idrocarburi saturati
ciclici dove i principali sono ciclopentano e cicloesano che sono i composti comuni nel petrolio. Il
naftene con basso numero di atomi di C sono in fase gassosa; essi sono il 7-30% del petrolio e il
petrolio ricco in nafteni è detto “asphalt based crude” e quindi ha un punto di ebollizione e viscosità
elevato.

146
Gli alkeni o le olefini sono idrocarburi con stessa composizione degli alkani, ma contengono uno o
più legami doppi nella molecola.
Poi si hanno gli idrocarburi aromatici come il benzene, toluene, etilbenzene e xilene (BTEX) sono
quelli più importanti dal punto di vista di uso per il trasporto. Essi formano il 10-39% del petrolio
grezzo.
Le altre sostanze accessorie nella molecola sono rappresentate da quelle dette asfalti che sono delle
miscele solido-semi solido, altamente viscose, che contengono sia composti aromatici sia nafteni, ma
sono anche molto ricchi nei gruppi NSO. Lo zolfo nell’olio grezzo può variare tra 1-6% ed è
indesiderato perché può causare dei residui a seguito della combustione e inoltre cause corrosione
che causano problemi sia nella fase di utilizzo sia nella raffinazione. Poi come accadeva anche per il
carbone, tale zolfo è rilasciato come biossido di zolfo in atmosfera provocando acido solforico e
acidificazione dell eprecipitazioni. In genre, quello che si osserva per tutti gli idrocarburi, è che
all’aumentare degli atomi di C presenti nella molecola, il punto di ebollizione cresce
progressivamente.

MODELING PETROLEUM, T, STORIA, GRADIENTE. FRAZIONE DI DISTILLAZIONE E API.

In questa lezione parleremo della modellazione di formazione del petrolio in profondità in funzione
del controllo delle variabili ambientali più rilevanti, che sono la pressione e la T. dopodichè una volta
che l’idrocarburo si è formato nella roccia serbatoio, vedremo come questo andrà incontro a eventuali
trasformazioni e come la produzione di petrolio potrà dipendere dalle caratteristiche che l’idrocarburo
ha assunto nella roccia madre.
La modellazione della formazione del petrolio dovrà sfruttare una relazione del primo ordine; si
assume che il tasso di trasformazione in idrocarburo potrà
seguire una funzione tipo quella di Arrhenius che è
caratterizzata da un valore di energia di attivazione Ei, la costante dei gas R, la T a cui la sostanza è
sottoposta e poi una costante che sarà funzione della tipologia di kerosene da cui partiamo per la
generazione dell’idrocarburo. Poiché la T non è stabile nel tempo e nello spazio perché avremo il
sedimento che via via sottoposto a pressioni maggiori perché si approfondisce nella sequenza e le T
seguiranno una storia complessa. Tale dipendenza dalla T e la dipendenza della T dal tempo può
essere espressa in diverse forme. Una delle forme proposte è tramite l’indice di tempo temeratura

147
(TTI) che rappresenta una funzione semplice in cui si integra
una funzione in un intervallo di tempo in cui una T è applicata.
Tale relazione ci dice che i tassi di reazione possono raddoppiare
ogni volta che vi è un aumento di circa 10°C di T. Inoltre, tale parametro F può variare molto perché
varia in funzione del tipo di composto e della roccia madre. Se invece, si assumono T costante o
applicate sul lungo periodo il tutto diventa più semplice.

Un parametro di maturità può essere espresso e scritto in una forma simile a quella della relazione
di prima. Se si ha un delta di T di 10°C significa che avremmo 10/10 e quindi ogni volta che T
aumenta di 10 v, si ha un raddoppio del parametro di maturità
P. Quando la T raggiunge dei valori alti di 130-140°C, la
maturazione avviene rapidamente.
Quindi, diventa importante definire la storia di T e quando tale T raggiunge dei valori rilevanti per la
maturazione. Questa legge “dei 10°C” è di scarso utilizzo oggi perché crea dei problemi nella stima
soprattutto quando si applica a bacini sedimentari in aree con gradiente geotermico elevato.

La trasformazione di sostanza organica è controllata dalla temperatura, ma la T varia con la profondità


e durante la sedimentazione può cambiare la profondità, ma anche la posizione nello spazio del
sedimento non solo perché viene ricoperto, ma anche perché si ha subsidenza. Quindi possiamo dire
che il tasso di riscaldamento è uguale a dT/dz (gradiente geotermico)* dZ/dt (tasso di subsidenza).
𝑑𝑇 𝑑𝑇 𝑑𝑍
= ∙
𝑑𝑡 𝑑𝑧 𝑑𝑡
Tale relazione ci aiuta a calcolare il tasso di riscaldamento all’interno del sedimento in funzione del
gradiente geotermico e della variazione del tasso di subsidenza.

La relazione che converrebbe dal punto i vista della


produttività o della trasformazione è stare più tempo
possibile a T elevate. Quindi, il caso C in figura a lato,
è quello che ci darà maggior maturità perché nel
tempo minore si ha massima profondità e massima T.
Ciò significa che la curva t/T-z ci controlla
l’evoluzione della trasformazione e quindi anche la
maturità del sedimento.

148
Sia il gas, ma soprattutto il petrolio che viene
estratto, poi viene trattato al fine di raffinarlo ovvero
di estrarre dei composti che siano utili o adatti ad
alcune operazioni particolari. Ciò sfrutta la volatilità
di tali sostanze attraverso un processo di
frazionamento o distillazione frazionata.
L’approccio è semplice: si inietta in un sistema di
riscaldamento in una fornace attraverso una
serpentina il petrolio grezzo, che viene riscaldato ed
entra in un sistema entro cui i composti più volatili
vanno verso l’alto e sono selezionati
progressivamente al diminuire progressivo del
punto di ebollizione. Ci sono delle sostanze che
possono essere dei residui come gli NSO.

Esiste una classificazione degli oli in funzione al valore dell’unità API che indica il contributo di
densità di tali oli.

149
RESERVOIR FLUIDS, WATER, OIL, GAS, DIAGRAMMI DI FASE, PV E PT,
CLASSFICAZIONE DEI FLUIDI DI CRONQUIST CON PT DIAGRAMS.

Con questa lezione andiamo a discutere quello che è la disposizione e le caratteristiche dei fluidi
all’interno di giacimenti idrocarburi e rocce serbatoio. Ci sono dei fluidi di diversa tipologia e il primo
che dobbiamo considerare è l’acqua ovvero le acque di formazione che riempiono i pori o aseguito
di fenomeni di filtrazione sotterranea o anche acque connate già presenti fin dall’inizio della fase
deposizionale di sedimenti. Queste acque sono importanti per la produzione di idrocarburi.
Po si ha un’iniziale suddivisione che ci dice che possiamo avere dei gas naturali e del petrolio grezzo,
ma questa prima distinzione è poco significativa in quando non ci dà info sulle potenzialità di
sfruttamento della risorse dal punto di vista ingegneristico o della possibilità di estrarre oil&gas con
determinate caratteristiche. La classificazione convenzionale a cui si può far riferimento è quella di
Cronquist che è stata proposta nel 1979 e che fa una differenziazione in oli neri (petrolio pesante),
oli volatili, gas condensati, gas umidi e gas secchi. Quindi, si hanno 5 classi di cui le prime due sono
idrocarburi liquidi e avranno caratteristiche diverse rispetto alle altre 3 classi gassose.
Esiste anche un ulteriore classe detta “near-critical-fluid” che è intermedia tra gli idrocarburi volatili
e i gas condensati.
La cosa interessante è che per ciascuna di queste categorie possiamo definire delle proprietà e ci sono
dei comportamenti direttamente correlati a esse. Le proprietà fisiche più semplici sono l’indice API,
la viscosità, il colore una volta estratto.

Per usare questo tipo di classificazione dobbiamo passare attraverso una descrizione di tipo fisico dei
componenti. Partiamo dal caso più semplice e cioè quello dove abbiamo un unico componente puro
il cui comportamento dipenderà solo da esso. Si assume di avere un sistema semplice con T che non
varia (condizioni isotermiche) e con p variabile (aumenta da sx → dx). Si ha una fase liquida iniziale

150
presente ad una pressione elevata (A). A questo punto iniziamo a diminuire la pressione e
diminuendola ad un certo punto si svilupperà una prima

bolla di gas (punto B); in effetti tale punto B è in corrispondenza della pressione di vapore, cioè da
qui in poi togliendo carico e facendo espandere il fluido avremo la separazione di vapore. Dal punto
B al C ci spostiamo in orizzontale nel grafico sopra e non si osserva una variazione di pressione
perché ogni volta che deprimiamo, è rilasciato del vapore che mantiene la pressione a un valore
costante. Ad un certo punto quando arriviamo al punto C che chiamiamo Dew point che sarebbe il
punto di condensazione si ha tutta fase vapore; se continuiamo nell’espansione (cioè se continuiamo
a tirare il pistone verso l’alto) osserviamo una variazione di volume con una diminuzione progressiva
di pressione. Tale sistema è perfettamente reversibile e ciò è un vantaggio dal punto di vista teorico.
Il fatto che si assuma che la variazione T sia 0 ossia che siamo in condizioni isotermiche è interessante
perché gran parte dei giaicmenti di idrocarburi sono talmente grandi da avere un inerzia termica spinta
e quindi è difficile nel breve termine osservare una variazione di T.

Si assuma ora di far variare la T sempre per un


composto puro e in questo caso invece di avere
un'unica curva, avremo un fascio di curve. Inoltre, si
avrà un bubble point (B) e dew point (C) che
varieranno in funzione della T. All’aumentare della
T potremmo raggiungere una temperatura critica
in cui abbiamo tangenti al vertice della curva rossa
che non è altro che il luogo dei punti che appartengono al bubble point sul lato sx e al dew point sul
lato dx. quindi, l’unione di queste due curve ci isola un campo che è quello al di sotto della curva
rossa che è lo spazio entro cui due fluidi sono contemporaneamente presenti all’interno del serbatoio.
Quindi, esse sono tutte condizioni entro cui abbiamo una pressione volume per cui possiamo
osservare ad una data T, un interfaccia gas-liquido. Al di sopra, esiste una T o comunque un punto
critico in cui non ci sarà più la possibilità di avere un interfaccia liquido-gas. Ciò significa che il

151
vapore si addensa progressivamente, acquisendo un comportamento che diventa via via prossimo a
quello di un liquido (un vapore denso che si comporta come un liquido).

Dunque per una componente pura possiamo rappresentare un grafico p-T che ci rappresenta il grafico
precedente. Quindi, bubble point e dew point sono stati ritrovati nel grafico pressione-temperatura
sotto e corrispondono in
termini di pressione per uan
data T. Possiamo sistemarli
uno in fila all’altro e ottenere
il grafico a lato e cioè si
osserva che aumentando la T,
si aumenta la pressione e
siavranno due campi: sopra la
zona liquida e sotto la zona a
vapore. Nella zona “partially
supercytical liquid” si
comporta come un liquido
con proprietà di un gas, nella zona “partially supercytical vapour” si ha vapore che si comporta come
un liquido e nella zona “fully supercrytical fluid state” si è in uno stato supercritico. Tutto ciò vale se
il componente è unico e puro.

Noi sappiamo però che gli idrocarburi sono delle miscele e quindi si assuma di avere delle miscele
multi-componente e ciò significa che tra i vari composti ce ne sarà qulcuno che condenserà prima
oppure che libererà prima la fase vapore disciolta. Quindi il bubble point e il dew point non sono più
alla stessa pressione (non sono più
orizzontali). Quindi, si ha lo stesso
comportmento con la leggere espansione
(la prima fase di espansione nel primo
pistone è legata solo alla fase liquida), poi
si ha diminuzione di p con rilascio di gas
con comportamento controllato dalla
miscela presente. Quando si arriva al dew
point si avrà diminuzione di pressione a
parità di T con una variazione continua di volume a gradiente maggiore rispetto a quello precedente.

152
A questo punto si ha una sostanza multi-componente e quindi non abbiamo più un'unica curva, ma
abbiamo più curve diverse per bubble point e dew point che si uniscono al punto critico. La diversa
geometria è importante perché si avrà un campo molto esteso che ci rappresenta la separazione tra il
bubble point e il dew point (che nel caso precedente coincidevano). In questo grafico, essi saranno
separati e descritti da due curve distinte. Tale grafico di fase p-T presenta un campo liquido e uno
vapore. All’interno della zona bianca, si hanno tutta la possibile gamma di esistenza delle interfacce
liquido-gas; quindi, si vede che si ha una % di liquido del 100, 90 e così via e il resto sarà occupato
dal gas come valore complementare.
Ci sono altri due elementi caratteristici che devono essere rappresentati qui: uno il cosiddetto
“Cricondebar” che è una linea che passa per il valore max di pressione sull’inviluppo delle due curve
e “Cricondetherm” che è la linea che passa per il valore max di temperatura sull’inviluppo delle due
curve. Il primo rappresenta la max pressione per qualunque intervallo di temperatura per cui sia
possibile osservare due fasi liquido e vapore che coesistano; mentre la seconda è la massima T a cui
possono esistere insieme i due fluidi.
Inoltre, nel campo verde si ha un fluido non saturo e quindi non si ha del gas libero, mentre nell’area
bianca vi è del gas libero e sulla linea di bubble point inizia a osservarsi la saturazione del fluido.

Abbiamo quindi visto il diagramma di fase p-T riferito ad una miscela e si pensi ora di essere in un
giacimento in cui il
fluido si trova nella
roccia ad una data p e
T; buchiamo col pozzo
e iniziamo a estrarre e
quindi si ha una
reazione esotermica
nel serbatoio con una
depressione mentre
fluisce nelle rocce
serbaotio, poi entrerà
nel pozzo e durante la risalita nel pozzo potrebbe esserci una leggera variazione di T (in verticale le
due linee rosse). Si arriva poi nel separatore dove arriva in parte gas e in parte olio. Siccome siamo
in un sistema multi-componente, la fase gassosa è legata ad un composto diverso da quello della fase
liquida, quindi si osservino i grafici p-T delle due fasi. I due diagrammi sono diversi perché si
riferiscono a due componenti puri. Se è un gas, al dew point tutto sarà gassoso ma sarà in equilibrio

153
con l’olio; viceversa, per l’lio saremo al bubble point dove si è in equilibrio col gas ed esiste la
possibilità che ci sia inizio di rilascio del gas. È quindi importante per un giacimento riuscire a usare
questi principi per riconoscere cosa succede in termini di risorsa e sfruttamento della risorsa.

La classifcazione del petrolio grezzo si rifà a quella di Cronquist e le 5 classi sono ridefinite con nomi
specifici:

- Oli a basso ritiro (black oil): idrocarburo che a p e T ambientali contiene > 80% di fluido e
una piccola quantità di gas;
- Olio a forte ritiro (volatile): a p e T ordinarie si ha % minore di liquido e maggiore di
gassosa.;
- Gas condensati: gas che a seguito di diminuzione di pressione diviene un ibrido ed essendo
dei condensati da gas hanno una densità bassa;

Dal punto di vista dei diagrammi di


fase, si considerino dei multi-
composti, si ha un campo delimitato da
un inviluppo dato dalla curva di bubble
point e dew point (curva rossa). La
prima sarà 100% satura in liquido, ma
con la possibilità di rilasciare gas e
l’ultima sarà con 0% di liquido e tutto
nella fase gassosa. Al punto critico vi
è la separazione dei due campi, a sx
liquido e a dx gassoso. Si assuma di essere nel giacimento nel punto A, tra i due punti A si avrà una
diminuzione di pressione a T costante sino ad arrivare il bubble point. Quando si arriva al punto di
saturazione si avrà dissoluzione del gas dalla fase liquida e quindi piano piano ci arricchiremo di gas.
Quindi, a seguito del passaggio da Asat → A’ si ha la liberazione di gas progressiva e una riduzione
della fase liquida, e quindi si ha un restringimento della fase liquida (ritiro). Tae ritiro è limitato
perché si ha solo qui un 30-35% di gas.

Nel caso di elvato ritiro invece, il punto A si trova più vicino al punto critico, con diminuzione di p
nella fase di produzione si ha per passare da Asat alla condizione di sfruttamento teorico si arriva ad

154
una condizione in cui si ha solo il 30% di liquido e il 70% di gas e quindi si ha un forte restringimento
della fase liquida perché si ha un netto rilascio della fase gassosa.

Riassumendo, nel caso di riro basso, nella fase inziale di decrescita della pressione si avrà una
variazione che è inizialmente rapida, poi rallenta e poi torna a crescere rapidamente dal punto E ad F
(dove la perdita grossa è nella fase iniziale).
Nel caso di un near-critical-crude oil la curva è ripida perché siamo vicini al puto critico in quanto
le curve convergono in tale punto si ha in corrispondenza del primo punto una forte variazione della
contenuto del primo liquido.

Un dry gas è un gas che durante la fase di produzione rimane sempre in fase gassosa; ciò è tipico per
il metano perché è stabile a T elevate. Il wet gas, invece, che nella fase di produzione si ha comparsa
di una fase liquida a p e T ordinarie. Sottosaturo crude è sopra la curva nel campo del liquido e
quindi si ha un idrocarburo che contiene meno gas di quello che è disciolto, mentre in condizioni
sature si ha la quantità di gas max disciolta a quella combinazione di p e T.

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Vediamo ora la differenza nei diagrammi di stato per un dry e un wet gas: se siamo in un dry gas, si
è in condizioni isotermiche e si scende verticalmente dal punto 1 e non intercetteremo mai la dew line
e non avremo mai un liquido condensato. Se siamo, invece in un wet gas, si avrà che il percorso sarà
diverso in quanto nel
separatore la T scende e
avremo un condensato.
(minuto 35.24 3 lucidi
con spiegazione
dettagliata).

Riassumendo, per il dry gas si osserverà che tenderanno a essere costituiti da gas a basso numero di
carbonio (ricchi di metano), nel wet gas il gor (gas oil ratio) diminuisce e aumenta la % di composti
con più di 7 atomi di carbonio e la densità specifica di tali composti è bassa, il gas condensate invece
un aumento progressivo di composti a elevato numero di atomi di C e una diminuzione di metano; il
petrolio volatile e nero (spostandosi a dx aumenta il contributo di composti pesanti e quindi numero
di atomi di C elevato) diminuisce % di gas sia perché non siamo in condizioni ottimali sia perché
siamo in un giacimento tutto liquido e non saturo. Inoltre, si osserva che andando da sx a dx la gravità
specifica per composti di 7 atomi di C cresce progressivamente e quindi aumenta la densità dei fluidi.

TIPI DI GIACIMENTI, MIGRAZIONE IDROCARBURI, PRESSIONE CAPILLARE E


GALLEGGIAMENTO, DIREZIONI DI MIGRAZIONE

In questa lezione andiamo a vedere quali potrebbero essere le rocce madri degli idrocarburi, come
avviene la migrazione e quali sono i meccanismi che controllano la migrazione sia dal punto di vista
geometrico, geologico che fisico.
Definiamo come rocce sorgenti o rocce madri di idrocarburi, rocce che vengono classificate in
funzione della materia organica che contengono e della storia termica a cui esse sono state sottoposte.
Quindi, una roccia sorgente potenziale è una roccia che contiene materia organica in quantità
sufficiente da generare idrocarburo, tanto da espellerlo dalla roccia stessa e che tale roccia sia stata a
una T tale da rendere maturo l’idrocarburo. Una roccia sorgente effettiva, invece, è una roccia che
contiene materia organica e sta generando idrocarburo in modo da poter formare giacimenti sfruttabili
dal punto di vista economico. Delle rocce serbatoio relitte, sono quelle che hanno smesso di generare
idrocarburi a seguito di diversi fenomeni tra cui un raffreddamento termico conseguente a

156
sollevamento, erosione che hanno agito prima dell’eventuale consumo della materia organica
disponibile alla trasformazione. Infine, le rocce sorgenti spent, che sono stati sede di materia organica
trasformata in idrocarburi che però sono stati del tutto espulso o rmai in uno stato non sfruttabile
perché sovra maturato.

La migrazione degli idrocarburi all’interno delle rocce e dei sedimenti avviene passando da rocce
a bassa permeabilità verso rocce a maggior permeabilità. La forza che guida tale migrazione è il
galleggiamento ossia una differenza di densità tra la densità del fluido organico e la densità
dell’acqua. Le forza che agiscono in direzione opposta alla migrazione sono quelle di capillarità e di
resistenza al flusso. Queste ultime diventano importanti a basse permeabilità. Quasi sempre la
migrazione degli idrocarburi avviene nelle rocce in direzione verticale.
Si distingue tra una migrazione primaria in cui l’uscita degli idrocarburi dalla roccia madre in cui
si sono formati a partire dalla sostanza organica in cui si è depositata e la migrazione secondaria
ossia la migrazione verso le strutture che costituiscono poi delle trappole o forme di raccolta e
concentrazione dell’idrocarburo.
Se la roccia madre è quella in rosso
in figura, la migrazione primaria
vede la fuoriuscita seguendo le da
tale corpo sorgente
dell’idrocarburo che migrerà verso
i corpi a maggior permeabilità
verso l’alto e poi verso il basso; poi
si avrà una migrazione secondaria
(vedi frecce) all’interno del corpo
della roccia serbatoio sino ad
arrivare all’accumulo in una trappola. La mobilità delle sostanze organiche sarà funzione anche della
solubilità. Inoltre, all’aumentare della pressione, la migrazione cresce.

Abbiamo detto che all’interno dei sedimenti e rocce madri, si ha acqua e idrocarburo. Possiamo avere
un grado di saturazione diverso dei due liquidi. Nella prima figurina sopra
vi è una saturazione elevata nell’idrocarburo in blu che costituisce una
fase continua nei pori e poi vi è velo di acqua che si comporta da bagnante
ed era acqua connata; mentre nel secndo caso, vi è una saturazione
insulare in cui si ha una gocciolina di idrocarburo in mezzo al poro. La

157
mobilità del primo idrocarburo è maggiore rispetto al secondo essendo il primo intrappolato dalle
forze di capillarità dell’acqua. Vediamo ora un modello che spiega come una goccia di idrocarburo
si muove nei pori: si vede una goccia di oil caratterizzata da densità propria e un certa dimensione r;

si osserverà che la goccia essendo più leggera dell’acqua tenderàa muoversi nel mezzo dal basso
verso l’alto passando attraverso i pori. Il problema è che ci sono delle strozzature nei pori che possono
controllare la movimentazione; quindi, il galleggiamento spinge verso l’alto la goccia finchè arriva
contro a contatto con i grani; qui inizia ad agire la tensione capillare espressa dal rapporto della tensioe
di interfaccia e il raggio della particella. A questo punto, la goccia grazie alle forze di galleggiamento,
tenderà a penetrare all’interno del capillare. Qui se calcoliamo la pressione capillare, essa a parità di
intensità di interfaccia sarà maggiore in corrispondenza della gola del poro rispetto a quella della
massa di olio che rimane al di sotto della gola del poro. Quindi, si ha una distorsione della goccia
progressiva controllata dalla tensione capillare e ad un certo punto se il galleggiamento è sufficiente,
la goccia salirà ulteriormente (3 caso in figura) e avremo 2 gocce unite
da strozzatura hanno i raggi in equilibrio, la capillarità è la stessa ma
l’azione del galleggiamento agisce nella stessa direzione della forza capillare per cui tenderà a risalire
più velocemente la goccia. La relazione che si usa è una condizione di equilibrio in cui si ha la forza
di galleggiamento che è data dalla differenza delle pressioni capillari sulla dimensione dell goccia
(z0) rispetto al rapporto tra la tensione di interfaccia γ e il raggio r.
In questo modo noi potremmo vedere la risalita attraverso dei pori della goccia di olio. Essa sarà una
migrazione che potrà continuare e sarà tanto più maggiore tanto lo sarà il galleggiamento.

Quando si ha espulsione di idrocarburo da una roccia madre verso uno strato di roccia più porosa
entro cui il materiale può propagarsi velocemente, si avrà all’inizio si avranno delle gocce molto
piccole e quindi l’idrocarburo sarà finemente disperso e le forze di galleggiamento saranno
158
relativamente minori; a mano a mano che l’idrocarburo è espulso dalla roccia madre nella formazione
più permeabile, le gocce aumentano di dimensione e aumenta la tendenza al galleggiamento e quindi
aumenta la possibilità di risalita verso l’alto. Quindi, le gocce continueranno a crescere e muoversi
verso l’alto fino a che troveranno una barriera impermeabile; a questo punto la pressione capillare
sarà così forte da impedire la migrazione dell’idrocarburo. Se la superficie fosse inclinata si potrebbe
avere una migrazione laterale dell’idrocarburo seguendo il tetto della formazione.

La tensione capillare che si esercita in seguito lla tensione di interfaccia tra liquido oleoso e liquido
acqua presente nel giacimento e l’spressione per la risalita capillare che è funzione della differenza
di densità, del raggio del poro, dell’angolo di contatto e della tensione di interfccia.
La tensione di interfaccia per una miscela gas-acqua è pari a circa 30-70 dynes/cm, mentre per l’olio
è di 5-35 dynes/cm. L’angolo di bagnabilità dipende dalla sostanza stessa e dalla matrice solida. In
genere, le arenarie sono prevalentemente umide o bagnate in acqua. Se siamo in presenza di olio, esso
può essere più o meno in grado di inumidire le superfici minerali; i carbonati, invece, tendono ad
essere umidi in olio rispetto alle arenarie. La capillarità ci controlla anche la distribuzione del gas,
olio ed acqua nelle rocce serbatoio.

L’altra cosa importante è quanto vale la pressione


capillare mano a mano che ci si sposta all’interno di
una formazione al di sopra della zona di contatto olio-
acqua. Nel grafico si osserva che passando dall’acqua
alla zona di contatto olio-acqua, la pressione capillare
dell’olio cresce e lo stesso quella del gas. Ciò
controllerà fortemente la movimentazione sia dell’olio sia del gas.

A seguito della morfologia di un bacino sedimentario potremmo avere che la mobilità dell’olio che
si trova ad es. nella zona del depocentro sarà diversa in funzione delle condizioni di simmetria
(gradiente topografico).
All’interno di mezzi stratificati complessi si possono avere modalità di trasporto e di intrappolamento
dell’idrocarburo varie sia per la fase gassosa sia per la fase liquida.

La forza che guida maggiormente la migrazione dell’idrocarburo è la differenza di densità tra i due
fluidi e l’altezza di colonna di fluido che esiste al di sopra del punto di rilascio. Quindi, quello ci
controlla è la tensione capillare o di interfaccia. La pressione capillare agisce in favore della forza di

159
galleggiamento in funzione della posizione con cui a goccia si muove nel terreno. La formazione di
idrocarburo controlla la mobilità in quanto avendo una maggiore quantità possiamo avere gocce
maggiori e quindi maggior velocità di risalita. Quindi, la storia termica, di carico e il volume di
sostanza organica trasformata in idrocarburo ha un controllo notevole sulla mobilità.
In caso di alterazione spinta, la mobilità può
diminuire e l’alterazione può essere dovuta a diversi
fattori. Una cosa he controlla la mobilità è la storia
di trasformazione della sostanza organica da
sostanza kerogene a idrocarburo o gas. Quello che
sappiamo è che il kerogene si trasforma in olio
tramite espulsione di acqua, CO2 nelle fasi iniziali e
poi metano in una finestra di T dagli 80 ai 130°C;
mentre il gas inizierà a svilupparsi tra i 120°C sino a
150°C e qui si va direttamente verso la metagenesi.
L’ordine di maturazione di un determinato
idrocarburo implica la diversa migrazione prima o
diversi gradi di saturazione. L’altra cosa che avevamo visto è l’indice della riflettanza della vitrinite
che varia in funzione della T max a cui la materia organica è stata sottoposta e quindi può essere
indice della presenza di idrocarburi sfruttabili.
Per profondità molto basse possiamo avere che dei micro-organismi possono produrre metano di
origine biogenica.

DEFINIZIONE DI TRAPPOLA, CLASSIFICAZIONE TRAPPOLE, STRATIGRAFIE, PAY/NON


PAY ZONES, VARIAZIONI DEPRESSIONE DURANTE PRODUZIONE

In questa lezione andremo a vedere quali sono le trappole geologiche che possono contribuire alla
concentrazione di idrocarburi che migrano per migrazione secondaria entro formazioni più permeabili
rispetto a quello dove si sono formate.
Una trappola è un qualunque elemento geologico che consente di catturare e quindi di concentrare
grossi volumi e masse di idrocarburi che si muovono dal punto di rilascio. Esse avranno una capacità
di contenimento controllata dalla loro geometria. Si avrà quindi una spill point dove si avrà perdita
di idrocarburo e una closure che è lo spessore max di idrocarburo che può essere trattenuto nella
trappola. Per trattenere l’idrocarburo nella trappola è necessario ci sia una cap rock ossia un tappo

160
dal punto di vista della permeabilità in modo che l’idrocarburo sia trettenuto in posizione. Si potrà
parlare genericamente di trappole strutturali e trappole stratigrafiche. Le prime sono legate a una
caratteristica strutturale specifica (faglie e pieghe), mentre le seconde saranno legate ad una sequenza
sedimentaria che può costituire un elemento di raccolta dell’idrocarburo.
Le trappole strutturali possono essere legate a elementi come pieghe o a faglie e possono essere legate
anche a diverse tipologie di pieghe (anticlinali di compressione e anticlinali di compattazione); poi si
possono avere trappole legate a strutture diapiriche di rocce saline o di fango, trappole stratigrafiche
legate alla diagenesi, trappole idroinamiche causate dl flusso idrico e infine, delle combinazioni date
da molteplici fattori.

Lo schema sopra mostra una rappresentazione di una struttura anticlinale in cui sono definiti i termini
prima descritti: lo spill point ossia il punto da cui l’eventuale idrocarburo potrebbe defluire o sfuggire
dalla trappola, la closure che è lo spessore totatle di idrocarburo contenuto in una struttura. Sono poi
indicate le superfici di contatto olio-acqua e gas-olio dove la stratificazione è dovuta alla densità dei
3 fluidi. Si avrà quindi un gas cap sommitale, una oil zone e infine una water zone. La bottom water
è quella che sta sotto il giacimento di oil e la edge water è quella che sta ai limiti esterni del
giacimento.
Le strutture che possono formare delle trappole sono diverse: stratigrafiche e strutturali. Si può avere
una superficie di erosione su cui giace un cappellaccio di roccia impermeabile → si hanno molti
elementi e rocce permeabile che possono funzionare da roccia serbatoio e la migrazione va dalla
roccia madre verso a roccia serbatoio e da qui nella direzione controllata da capillarità e
galleggiamento. Le strutture possono essere disturbate da elementi strutturali come faglie. Si possono
avere, poi, delle strutture particolari che possono essere selettive rispetto al fluido intrappolato, cioè
delle trappole di pari geometria messe in sequenza e si ha stratificazione data da acqua nella roccia

161
serbatoio, nella trappola 1 gas, trappola 2 gas e olio, trappola 3 olio. Se si ha uno strato inclinato, si
avrà che il gas tenderà a migrare al fronte dell’olio e l’olios egue e può rimanere intrappolato da delle

variazioni di faces laterali che cotituiscono delle barriere alla migrazione dello stesso. Infine, nel caso
di una piega interna ad una struttura inclinata, accade che la closure e lo spill point possono cambiare.

Le trappole strutturali più semplici sono legate alla presenza di strutture anticlinali o domiformi-
antiformi; la closure può essere totale nelle 4 direzioni laterali come nella struttura a duomo o solo in
2 direzioni prevalenti come nella piega. Poi possiamo avere una tipologia legata a una faglia normale
che causa una dislocazione di unità permeabili rispetto a quelle che non lo sono. In questo caso si ha
una faglia che taglia la roccia
madre in modo da mettere a
contatto la formazione
serbatoio permeabile con la
roccia madre poco permeabile.
Un altro caso è una faglia
inversa in cui si possono
formare due trappole
sovrapposte tra loro, una sotto
nel blocco a tetto e una a letto.
Infine, si ha una struttura

162
stratigrafica con superficie di erosione e deposizione di formazione che costituisce una cap rock per
la roccia serbatoio.

Le anticlinali di compattazione
invece sono legate al fatto che
se si hanno spessori diversi di
materiale, quello che possiamo
osservare è che nelle zone di
massimo approfondimento si
osserva un max di subsidenza o
di compattazione, mentre un
minimo di compattazione sarà nelle zone di alto. Ciò genera delle strutture anticlinali di
compattazione. La stessa cosa
avviene se si hanno degli
andamenti regolari del
bedrock e una deposizione
lungo un piano; quello che
cambierà è lo spessore e ciò
causerà un maggiore
schiacciamento della
formazione in vari punti assumendo una forma antiforme.

Inoltre, si può avere un diverso grado di compattazione legata a diversa litologia ad es. una più
grossolana (sabbia in giallo) o carbonati su cui si depositano argille e in questo caso avendo un corpo
più rigido nella zona centrale, si hanno delle traiettorie di sforzo che si concentrato al centro che
causeranno addensamento maggiore che nelle zone circostanti. In questo caso avremo una
compattazione differenziale che comporta una variazione della geometria dei sedimenti in
corrispondenza della parte più superficiale.

163
Nel caso dei duomi salini, la cosa interessante che si
possono formare delle strutture sia plicative come delle
pieghe sia delle faglie con andamento normale e
inverso; ciò avviene perché il sale ha una densità
minore a quella delle rocce circostanti e quindi tende a
galleggiare. Prima dell’effetto del galleggiamento si
avrà il piegamento e poi di punzonamento delle
formazioni. I minerali salii sono vari e la densità varia in funzione della tipologia (gesso, alite, mentre
le anidriti hanno densità spinta). La tendenza a risalire è legata alla differenza di densità, viscosità e
alla presenza di imperfezioni o irregolarità nel carico su tali corpi salini.
Le trappole possono essere create al di sopra del duomo, lateralmente al duomo per effetto congiunto
dell’impermeabilità relativa del sale rispetto alla roccia serbatoio.
La cosa interessante è che con tali strutture, le trappole possono essere multiple con elevata variabilità
laterale.

Un altro tipo sono le anticlinali di crescita che sono strutture legate


a piegamento a seguito di scorrimento dato da diversi tipi di
moviemntazioni per faglie inverse o normali. Tali strutture possono
essere generate anche per formazione di un bacino durante il
movimento lungo una faglia normale listrica e il riempimento lungo
la faglia stessa.

Un altro tipo sono le trappole da faglie normali o inverese: oltre a mettere


in contatto strati a diversa permeabilità, la faglia stessa può comportarsi
come un elemento impermeabile oppure come un elemento ad elevata
permeabilità. In funzione di ciò sarà possibile o meno formare una trappola.
Ciò può essere
correlato anche
alla circolazione di fluidi sotterranei,
alleventuale profondità e di cementazione
tramite faglia. Esistono 8 configurazioni
suddivise per tipologie di faglie normali e
inverse.

164
Le trappole stratigrafiche, invece,
come qui a lato si ha una isola
sabbiosa o carbonatica che è ricoperta
da uno strato argilloso. In questo caso
si forma una tasca di sabbia con cap
rock argillosa e l’idrocarburo tende a
migrare da rocce madre verso quella
serbatoio (gialla).
Altre trappole stratigrafiche possono
essere in tasche e depositi di arenarie
di origine fluviale oppure dei canali
sottomarini o torbiditiche, in depositi
di reef legati a carbonati e infine delle
trappole legate a dele superfici di
eriosione.

Poi esistono altre tipologie di trappole


come ad es. quelle di tipo
idrodinamico: le rocce serbatoio possono essere collegate con l’abiente esterno e ciò significa che ci
può essere una ricarica e un alimentazione di acqua all’interno della roccia. Se si ha una trappola, ci
sarebbe poca possibilità di immagazzianre idrocarburo in quello
spazio nero in figura. Ciò
perché lo spill point e la
tangente coincidono, quindi la
fuga sarebbe facile. Se però
esiste un flusso di acqua sx
verso dx con velocità
sufficientemente spinta
potrebbe succedere che gli idrocarburi vengano spinti nella
direzione di flusso idrico.

165
Quando si va a cercare un giacimento è necessario realizzare dei pozzi esplorativi e poi dei pozzi di
ricerca della risorsa in termine diffuso. In parte ciò può essere risolto con indagini geoofisiche e
ulteriormente serve a caratterizzare le caratteristiche del giacimento. Il volume totale di olio
all’interno della roccia serbatoio è una delle info importanti da ricostruire e in particolare è quello che
definiamo Volume of oil in place (Vp) ovvero la dimensione della riserva che possiamo sfruttare. La
% di quell’olio che può essere prodotto è detto recupero o fattore di recupero. L’OWC water
contact-oil che è importante perché ci dice dove è la posizione di equilibrio tra l’olio e l’acqua e come
potremo agire durante la fase di produzione.
Poi avremo delle zone dette “pay zone or no pay zone” che sono le zone effettivamente produttive
cioè le zone in cui si ha una permeabilità e una porosità tale da rendere fattibile il pozzo in modo da
garantire una produzione rilevante. A basse permeabilità e porosità, è molto difficile operare
l’estrazione. Nelle rocce fratturate o nei carbonati è possibile produrre olio anche da porosità basse.
Vi è poi un rapporto definito Net to gross (N/G) tra il volume delle rocce serbatoio che possono
produrre una quantità significativa di olio rispetto al volume totale.

Da questi parametri si può calcolare il Vp o il volume di gas o oil in posto tramite la relazione sotto
dove il Vp sarà funzione del grado di saturazione, della porosità, della quantità effettivamente mobile

di materiale e rispetto al volume totatle di roccia serbatoio. Con questi parametri andiamo a definire
esattamente il volume di olio o gas in posto anche in funzione della capacità di recupero. Bisogna
tenere conto che la superficie di contatto olio-acqua può non essere orizzontale attraverso l’intera
struttura e ciò può causare delle geometrie complesse e poi la porosità media alla scala dell’intero
serbatoio è difficile da valutare. In genere, si osserva che per le arenarie con porosità inferiore al 10-
12% queste hanno una permeabilità troppo bassa per essere considerate facilmente sfruttabili e la
quantità di olio prodotto che è il recupero e essa può variare dal 20-30% al 60-70%.

La cosa che ci può interessante sono le variazioni di pressione che sono presenti nel serbatoio durante
la fase di produzione. Quello che sappiamo è che aumentando la produzione creiamo una depressione
nel sistema. Tali pressioni andranno a favorire il movimento degli idrocarburi all’interno della
trappola e roccia serbatoio. La velocità con cui i fluidi verrano reintegradi a seguito dell’estrazione
potranno essere alla base della stabilità della produttività anche del giacimento. In effetti, se si ha una
connessione con un ambiente esterno potrebbe esserci come in figura un deflusso di acqua che va a
reintegrare il volume dei fluidi estratto dal giacimento e inoltre, se estraiamo dell’olio e diminuisce

166
la pressione potremmo avere espansione del gas-cap
sommitale ed eventualmente se interviene una certa
depressione potremmo avere anche un rilascio di gas che
è presente in soluzione nella fase olio a garantire un
ulteriore aumento di pressione. Essi sono tutti fattori che
possono entrare in contatto uno con l’altro.

Sotto vi è un diagramma di fase già visto in precedenza in


cui si ha il campo liquido (a sx) e quello gassoso (a dx).
La zona viola rappresenta l’area in cui si ha interfaccia
tra gas e liquido. Il punto critico per l’acqua è di circa
22.1 Mpa (221 bar) e a 374°C. Per gli idrocarburi sarà
funzione della composizione e quindi della miscela di
composti presenti nella roccia. Inoltre, la roccia
serbatoio può essere considerata perfettamente elastica
e quindi legata solo a deformazione per carico/scarico
e inoltre, se la roccia è poco compattante e quindi non debole, si pensa che il volume dei vuoti
disponibile a recepire dei fluidi rimanga costante nel tempo. Le variazioni di volume eventuali
possono essere calcolate con l’equazione di stato e siccome la T è costante, si
può descrivire è che le variazioni di volume dei fluidi possono essere
direttamente correlate alle variazioni di pressione e quindi il volume degli
idrocarburi che è prodotto deve essere rimpiazzato da altri fluidi che devono
fluire nella roccia serbatoio oppure essre collegati a variazioni di volume legata
all’espansione delle fasi presenti.

MECCANISMI DI SPINTA E DI RECUPERO PRIMARIO, SECONDARIO E TERZIARIO

In questa lezione andremo ad esaminare quali sono i meccanismi per recuperare l’idrocarburo dal
giacimento della roccia serbatoio. Il principio su cui ci si basa è che la roccia serbatoio deve restituire
quanto più idrocarburo possibile e quindi massimizzare la % di recupero. Esistono diversi meccanismi
di supporto o spinta all’interno del serbatoio e possono essere legati al gas disciolto, al gas cup ossia
al gas top al di sopra dell’olio, a uan spinta idrodinamica dovuta alla presenza dell’acqua, a un
drenaggio gravitativo oppure da una combinazioni di tutti questi. La cosa interessante è che questi

167
diversi metodi consentono diverse % di recupero dell’olio in posto che in media non sono altissime e
possono essere aumentate quando è possibile garantire una spinta sufficiente.
La spinta può garantire il recupero primario che è basato sulla spinta dell’acqua, sulla spinta dal gas
nel top della trappola oppure dalla dissoluzione di gas.

Per quanto riguarda la spinta dovuta all’acqua si ha che si potrebbe avere una minima spinta legata
alla compressibilità dell’acqua per aumento di volume (ma ciò sarebbe troppo piccolo rispetto alla
compressibilità dell’olio e del gas), ma in particolare è importante la possibilità che l’acqua si muova
nella roccia serbatoio e possa andare a rifornire di fluidi i volumi che sono stati deleti per estrazione
di olio. La variazione di volume è una funzione del volume di petrolio estratto – il volume dell’acqua
che rientra nella roccia serbatoio che è anche definita come la spinta dovuta all’acqua. Così possiamo
calcolare il volume totale V come differenza tra i due.

Durante la fase di produzione ci sarà una fase di perdita di calo di pressione e ciò sarà funzione di
diversi fattori come la compressibilità dei fluidi che sono presenti. Quindi, l’olio che ha un basso
contenuto di gas può avere una compressibilità bassa e quindi la pressione una volta abbssata è
difficile recuperarla in quanto manca il contributo del gas in espansione. Se invece, vi è del gas libero
in fase separata e al di sopra dell’olio, allora esso sarà altamente compressibile e quindi a seguito di
diminuzione di p il gas tenderà ad espandersi. Se l’olio è saturato con gas questo formerà un gas che
si separa dalla fase pura dell’idrocarburo liquido quando si ha riduzione di pressione. L’altro fattore
è dato dal fatto che può esserci una ricarica di fluido dall’esterno del serbatoio. La cosa interessante
è data dai trend possibili della variazione di pressione nella produzione di olio e nel caso sotto è il
GOR (gas-oil ratio in rosso) che si mantiene costante per il caso di un water drive.

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L’altra possibilità è che ci sia un rifornimento di acqua da aree che sono prossime all’acquifero
stesso. Ciò è funzione di un flusso di acqua che si instaura a seguito di una diminuzione della
pressione e variazione del campo di potenziale. Questo volume di acqua può essere in parte fornito
da formazioni a bassa permabilità che entreranno in gioco in ritardo rispetto a formazioni più
permeabili con elevata capacità di deflusso. Se queste rocce che fanno da cup o isolanti o argille sono
troppo poco permeabili, non sarà possibile riuscire a controbattere a queste variazioni di pressione.
Se si ha il contributo delle acque meteoriche e quindi che l’acquifero è connesso all’esterno, ci
potrebbe essere una minima variazione di pressione durante la fase di produzione e quindi ciò
garantirebbe un deflusso rapido e in alcuni casi si potrà avere che il flusso dell’acqua legato a una
compattazione della formazione sarà di ordine basso e quindi trascurato. In un sistema chiuso si avrà
che la pressione diminuirà associata al fenomeno di produzione e la risposta sarà funzione solo della
compressibilità dei fluidi (acqua, olio, gas). Ci sarà anche la possibilità di avere una compressione
dello scheletro solido dovuto alla siminuzione delle pressioni dei fluidi e quindi un aumento degli
sforzi efficaci. Tale risposta è relativamente limitata rispetto ai volumi estratti. L’altra cosa che
potrebbe entrare in gioco è una compattazione forzata in rocce deboli che potrebbe causare un grain
crashing e ciò potrebbe variare sia il volume dei vuoti disponibile e potrebbe controbilanciare la
diminuzione di pressione.

L’altra possibilità è quella di avere l’espansione dei gas nella gas cup e ciò significa che durante il
prelievo e a causa dell’elevata compressibilità del gas si ha espansione del gas, spinta di esso sull’olio
per mantenere il ciclo attivo. La perdita di pressione sarà funzione del volume di olio prodotto e
siccome la compressibilità del gas è elevata potrebbe essere un sistema che funziona in modo
performante.

L’altra cosa è il compaction drive che si rifà alla particolarità del contribuo ulteriore per variazione
di p e di assenza di alimentazione dell’acqua da parte dell’acquifero in sistema chiuso. Essa significa
che durante la fase di estrazione, gli sforzi efficaci salgono
molto e possono causare compattazione, riduzione del volume,
grain crushing che causa una diminuzione della porosità. Esso
può complicare la produzione in quanto se si formano delle
bande di materiale compattato per collasso posso creare delle
barriere di impermeabilità al flusso.
Esiste poi la possibilità di usare un drenaggio per gravità che
sfrutta la differenza di tendenza al galleggiamento per differenza di densità tra il gas e l’olio; quindi,

169
andando in estrazione di olio, il gas tenderà a risalita nella roccia serbatoio per andare a riposizionarsi
laddove l’olio è stato prelevato. In genere, non è un metodo utilizzato accoppiato ad altri, ma se è
accoppiato funziona in zone in cui lo spessore dell’olio è grande e dove le permeabilità verticale sono
spinte in modo da garentire una facile movimentazione del gas l posto dell’olio. Nel caso di usi
accoppiati e su lunghi periodi di tempo può arrivare a % alte di recupero di olio in posto. Infine, è
possibile usare tecniche miste in cui più sistemi sono tenuti in conto e ciò può essere funzione dello
spessore della zona di olio, della quantità di gas nel cup e dalla capacità di recupero dell’acquifero.

Nelle fasi successive, il recupero primario tenderà a crescre sino al top di performance e poi arriverà
ad uno stato costante di produzione dell’olio e ad un certo punto la produzione dell’lio ricrescerà. Ma
con solo il recupero primario non siamo in grado di recuperare tutto l’olio. In genre il recupero è del
10-30%. Quindi, una volta che si perde spinta dell’oelio nella fase di recupero occore cercare di
favorire l’uscita con altre tecniche. Entra qui in gioco i metodi di produzione con recupero secondario
e poi terziari. Quello che può accadere è che diminuisce la spinta che porta l’olio a giorno, il gas che
si muove nei pori può diminuire la permeabilità e la caduta in p e dissoluzione dei gas aumenta la
tensione di interfaccia e la viscosità dell’olio.

Il recupero secondario cerca di rendere più performante il serbatoio mantenendo la pressione


all’interno del sistema. Ciò può essere fatto con diverse tecniche per es. di iniezione di acqua o altri
fluidi e anche di acque di formazione che sono state estratte durante la produzione. In alcuni casi, si
può usare gas che viene rilasciato durante la fase di
recupero primario e quindi esso può essere
reiniettato in modo da rendere meno viscoso l’olio
e in genere ciò lo si fa qualora sia non economico
impiantare dei sistemi di trasformazione e trasporto
del gas in superficie.
L’opzione più semplice è la reiniezione di acqua
nella roccia serbatoio in modo da sostituire il
volume di olio estratto mantendo in questo modo la
pressione. La pressione sarà tale da mantenere il
flusso verso il pozzo in produzione. L’acqua
iniettata tenderà a muoversi negli strati permeabili
e l’acqua tenderà a spostare l’olio o il gas e quindi
a rimpiazzarli.

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La distribuzione verticale della permeabilità e della porosità potrà controllare la produttività. Nel
primo caso avremo aumento di grana andando verso l’alto e quindi si avrà una permeabilità maggiore
verso l’alto (curve rosse). La curva blu rappresenta la resistenza capillare allo spiazzamento: nel
secondo caso la resistenza sarà max nelle zone fini e min nelle zone grosse. Con questa tecnica
possiamo avere una difuniformità di spiazzamento a seguito della distribuzione granulometrica.

L’altra possibilità è l’iniezione di gas ovvero avere un


sistema di pompaggio in pressione e con gas prodotto in
fase di produzione primaria che va a disciogliersi nella fase
liquida. Così diminuendo la viscosità si riesce a
movimentare ancor di più l’olio che rimaneva fermo.
Inoltre, può far variare la densità facilitando la
movimentazione per il galleggiamento. Il gas potrà anche
andando a sostituire l’olio andando a mettersi nelle zone
più interne della trappola e favorire eventuali perdite dallo spill point. Attualmente, si penda alla
possibilità di iniettare CO2 come sistema di rimedio effetto gas serra. Anche in questi casi può esserci
una dipendenza dalla permeabilità del mezzo.

Il recupero terziario entra in gioco come ultima fase una volta che lo spiazzamento con acqua o gas
si sia reso poco performante. Esso è la soluzione più costosa e richiede sia sostanze sia strumentazioni
di iniezioni onerose per la produzione.
I metodi di recupero avanzato o terziario sfruttano dei processi di tipo termico quindi con
riscaldamento dei fluidi o tramite iniezione di vapore o tramite combustione in sito (se aumenta la T
dell’olio in posto e quindi si va a diminuire la viscosità del fluido che circola più velocemente), di
tipo chimico con iniezione di sostanze chimiche che riducono la tensione di interfaccia e quindi
favoriscono la mobilità dell’olio oppure tramite iniezione di polimeri che sono iniettati in acqua e che
aumentano la viscosità dell’acqua per prevenire che essa entri velocemente nell’olio nel pozzo; infine,
esistono altri tipi di iniezione di gas per favorire la miscibilità.

Una delle possibilità è quella di fare combustione in sito che è innescata pompando aria nel serbatoio
e favorita aggiungendo ossigeno; in questo modo gli idrocarburi che non bruciano diventano caldi e
meno viscosi e tendono a fluire sotto la spinta del gradiente di pressione. La combustione può
produrre anche dei gas e contribuire con la loro pressione a favorire la produzione. Per iniettare aria
e produrre combustione sono necessari pozzi di tipo particolare e costituire dei costi eventuali. Inoltre,

171
la combustione può aumentare la porosità della roccia serbatoio. La procedura è schematizzata sotto
e con essa l’olio sarà in parte bruciato e in parte spinto verso il pozzo in uscita a destra.

L’altra possibilità è quella di usare del vapore iniettato che è utile e sfrutta degli impianti a costo
minore e lo scopo è quello di diminuire la viscosità. Bisogna stare attenti per evitare ossidazione di
idrocarburi in profondità. Per essere in grado di produrre olio, la differenza di p tra olio e pozzo deve
essere superiore alla resistenza al flusso esercitata dalle tensioni superficiali e dalla viscosità. Quindi
si ha un pozzo che genera vapore a testa pozzo, lo si inietta e grazie al gradiente di pressione prodotto
dal pozzo di produzione, il vapore si muove nella roccia serbatoio, si trasforma in acqua calda,
diminuisce per contatto la viscosità dell’olio e infine viene recuperato in uscita. La stessa tecnica può
essere applicata in zone con biodegradazione e quindi in giacimenti poco profondi. Esistono molti
esempi in cui l’iniezione di vapore in p si riduce p dell’olio da 300 a 10 cP. L’iniezione può essere
ripetuta nelle fasi successive a intervalli regolari.

Infine, esiste la possibilità di iniettare dei solventi o polimeri che possono consentire di cambiare le
caratteristiche chimiche e fisiche dei fluidi presenti (diminuire viscosità e tensione di interfaccia olio
o aumentare la viscosità dell’acqua). In condizioni di saturazione residua, si avrà saturazione insulare
nei pori dell’olio che non sarà rimovibile e per farlo si sfrutta un incremento di T oppure l’aggiunta
di polimeri o tensioattivi, solfatanti, soluzioni saline.uno dei problemi è che le sostanze chimiche
possono essere assorbite dalla roccia e quindi può sminuire la funzionalità del sistema soprattutto se

172
vi è una certa % di particelle fini. Inoltre, si possono anche pompare in diversi istanti temporali. I
polimeri, invece sono iniettati per il controllo della viscosità dell’acqua e per evitare che ci sia
mobilizzazione più rapida rispetto a quella dell’olio. I polimeri possono anche causare dei fenomeni
di rimpiazzo di tipo piston flow e ciò può risultare utile in vari casi. Anche i polimeri possono essere
assorbiti sulla fase solida o scheletro della roccia serbatoio e potremmo perdere funzionalità del
sistema. L’altra possibilità è quella di aggiungere delle sostanze chimiche alcaline NaOH che
possono ridurre la tensione superficiale della fase acquosa facilitando la miscelazione tra olio e acqua
e quindi maggiore mobilità dell’olio stesso. Le sostanze chimiche più usate sono gesso o anidrite,
soda. Queste tecniche sono usate soprattutto in rocce serbatoio arenacee.
Infine, esiste la possibilità di iniettare altri gas di diversa natura e origine e possono anche essere
legati a gas prodotti nello stesso giacimento. Si può iniettare propano come gas per espulsione della
miscela di olio e CO2 che ha T critica di 30°C e quindi è un gas che funziona a qualsiasi p di serbatoio.
Aumentando il contenuto di CO2 si osserva una riduzione della viscosità e della densità dell’olio e
quindi una più facile mobilità.

Queste 3 tecnologie sono facilmente utilizzabili per idrocarburi liquidi o oli pesanti sino a sostanze
bituminose.
Infine, durante la fase di compattazione della roccia serbatoio osserveremo lo sviluppo di alcune
strutture che possono causare danneggiamento del cup rock o riattivazione di strutture presenti come
si vede nello schema sotto.

173
GIAC. CONVENZIONALI E NON, POROSITA’, PERM, DARCY, PERM RELATIVA, POZZI

Finora abbiamo parlato di risorse petrolifere convenzionali cioè giacimenti che hanno caratteristiche
geologiche che contengono greggio e che hanno proprietà fisiche che consentono al greggio di fluire
da un punto all’altro del serbatoio.
Esistono però molti casi in cui non vi è tale libertà di muoversi da parte dell’idrocarburo entro un'unica
roccia serbatoio. In quetso caso, parleremo di giacimenti non convenzionali, quelli che saranno in
rocce poco permeabili come carbonati, carbone, argille. Nelle rocce serbatoio di questo tipo, l’olio e
il gas possono derivare dalla roccia stessa e quindi può non esserci mai stato un meccanismo di
migrazione al di fuori della roccia madre. Quindi, l’unico modo per estrarre olio e gas da una roccia
di questo tipo è quello di aumentarne la permeabilità e questo è fatto con operazioni tipo Hydraulic
fracturing. Ci sono 3 tipi base di risorse non convenzionali e sono i tight gas, coal bet natural gas e
shale gas.

La porosità è il rapporto tra il volume dei vuoti e quello totale di una roccia. Possiamo parlare anche
di indice dei vuoti che è il rapporto tra il volume dei vuoti e il volume del solido.
La conoscenza della porosità ci può consentire di arrivare a derivare per es. il peso di volume di u
sedimento o la sua densità tenendo conto sia del contributo del solido sia del contributo del fluido. I
tipi di porosità sono quelli primario e cioè intergranulare (tra i granuli) e intragranulare (nei granuli)
e quella secondaria che è connessa a fenomeni di fratturazione o dissoluzione delle particelle.
Ci sono poi delle cavità che si possono formare e possono essere dovute alla dissoluzione
preferenziale di alcuni granuli oppure di fossili.

La permeabilità è direttamente connessa alla porosità ed è data dlla relazione successiva in cui
entrano in gioco diverse variabili. Esiste anche la conducibilità
idraulica che è funzione della permeabilità intrinseca e di una serie di
parametri che sono funzione del fluido presente (densità, viscosità e permeabilità).
la permeabilità viene espressa nel campo petrolifero in
termini di Darcy. Le permeabilità che superano 1 Darcy sono
molto elevate e sono sa attribuire a delle arenarie molto ben selezionate e a grana grossolana. Valori
tra i 100 e i 1000 Darcy sono considerati buoni. 10-100 mD sono rocce serbatoio di buone
caratteristiche e da 1 a 10 mD sono calcari molto porosi ed è questo il campo delle tight reservoir
ovvero quelle rocce poco permeabili. Inoltre, la permeabilità varia in funzione della direzione di
misura e della granulometria. Inoltre, densità e viscosità possono cambiare in funzione di T e p, per

174
cui ciò ci rende meno semplice l’uso della conducibilità idraulica, ma più semplice l’uso della
permeabilità intrinseca. Esistono delle relazioni che ci aiutano a stimare la permeabilità a partire dalla

porosità e nel caso in figura per diverse tipologie di serbatoi, al variare della relazione K/PHI ossia
permeabilità/porosità. Ci sono delle relazioni che sono non lineari (log) e che ci danno un idea della
variazione in funzione della porosità. Si ha un
progressivo aumento della permeabilità con
la porosità tendente a un valore più o meno
massimo. Le rocce serbatoio che possono
essere disposte all’interno del diagramma
sono le argilliti (a bassa K e bassa PHI), i
chalk (a basa K e alta PHI), serbatoi arenacei,
fratturati e carbonati.
L’altra cosa importante da ricordare è il
concetto di permeabilità relativa in quanto
all’interno dei giacimenti siamo in presenza
di diversi fluidi (acqua, olio e gas). Tutti i
fluidi insieme possono interagire e in genere

175
nella condizione più semplice facciamo interagire due fluidi iversi ad es. olio e acqua e poi gas e
acqua. Nel grafico è espressa la permeabilità relativa in funzione del grado di saturazione. Inoltre,
quando la saturazione dell’acqua diminuisce a 0.2 rimane dell’acqua connata ossia quella irriducibile
che non può essere spostata. Stessa cosa esiste una saturazione irriducibile per l’olio o il gas e la
permeabilità relativa dell’acqua non potrà raggiungere il valore max in quanto l’olio fa da ostacolo in
saturazione residua.
Inoltre, spesso quando l’olio viene espulso, l’acqua va a spiazzare l’olio e quindi durante la fase di
produzione si osserva una fase di
imbibizione ossia di movimentazione
dell’acqua ed essa può essere iniettata al
fine di aumentare e garantire
maggiormente l’intrusione. Infine,
possiamo definire il punto di incrocio tra le
curve per il fluido bagnante e non che è
detto crossover e potremmo avere due sistemi uno oil wet (bagnato d’olio) e water wet (bagnato
d’acqua) in funzione che il punto di crossover sia a un grado di saturazione inferiore a 0.5 o superiore
a 0.5 in acqua.

Le perforazioni in genere dovendo andare a grandi profondità, sono realizzate a distruzione tramite
dei triconi che consentono di frantumare finemente la roccia e questo comporta che raramente si ha a
disposizione dei campioni di carota. Ciò consente di avere dei cutting in superficie che poi sono usati
per l’identificazione e la datazione delle formazioni attraversate.
Inoltre, a seguito della scoperta di un giacimento si può far dei pozzi “wildcat” ossia fatti sullo stato
di conoscenze indirette, poi vi saranno dei pozzi di stima “appraisal wells” che sono realizzati per
stimare l’estensione laterale e in profondità del campo del giacimento e infine, i pozzi di produzione
da cui si va a estrarre gran parte dell’idrocarburo. I pozzi stratigrafici, invece, sono fatti per avere il
massimo delle info.
Le perforazioni possono essere fatte a terra e a mare: a terra il costo è inferiore di quello a mare e le
perforazioni possono essere verticali, slnt-hole con foro inclinato oppure orizzontali. Quello che
cambia è la lunghezza del tratto esplorato tra le diverse geometrie.
A mare, invece, la tecnologia cambia e si usano delle piattaforme ormeggiate e fissate al fondo che
però costano molto. Infine esse a mare lavorano con molti pozzi a direzione variata in modo da
massimizzare la zona di indagine e serbatoio sfruttata rispetto a quella possibile con un unico foro.

176
Le perforazioni vanno a mare realizzate a profondità di 1-3 km e i diamteri sono da 50-70 cm sino a
1-15 cm.
Normalmente, il prelievo di carote è un operazione costosa e lunga da realizzare e quindi sono fatte
con carotieri opportuni a corona diamantata.
I pozzi verticali e orizzontali, poi, possono essere ulteriormente attivati tramite dele azioni di
idrofratturazione più o meno spinte. I vantaggi di usare dei pozzi orizzontali o deviati è eche si
possono andare a catturare o intersecare delle trappole multiple oppure permanere all’interno di un
serbatoio su dei lunghi tratti oppure andare a prendere dei serbatoi compartimelizzati o tratti molto
fratturati per aumentarne il rendimento. Esiste anche una possibilità di andare in rocce serbatoio molto
sottili o con doppia direzione di movimento e possibilità di migrazione idrodinamica dell’idrocarburo.
Per quanto riguarda i meccanismi di recupero o di spinta esiste uno primario ossia quando il
movimento del fluido avviene in condizioni naturali o per spinta del gas o dell’acqua, secondario in
cui si inietta acqua o gas per facilitare il movimento dell’olio oppre terziario che viene stimolato con
composti chimici opportune o iniezione di gas.

Le formazioni non convenzionali sono formazioni in cui queste tecniche hanno poco successo. Si
deve cambiare e andare direttamente al recupero terziario, cioè a qualche tecnologia di stimolazione
del serbatoio che consenta di aumentare sia la permeabilità sia la porosità che la mobilità dell’olio.
Quindi, andremo a parlare di formazioni non convenzionali che saranno costituiti da rocce a grana
fine oppure con forte cementazione e ciò contrasta molto con quello che abbiamo visto per i
giacimenti convenzionale.
Quello che vedremo è che i giaicmenti non convenzionali si trovano spesso in profondità o anche in
superficie ma in formazioni poco ricche e poco permeabili, mentre i giaicmenti convenzionali saranno
mlto strutturati e semplici sia da ricercare sia da sfruttare.

177
GIACIMENTI NON CONV DI GREGGIO E GAS; FORMAZIONE, CLASSI, RILEVANZA
ECON; PERFORAZIONE

Le rocce dei giacimenti non convenzionali possono essere le rocce madri da cui l’idrocarburo non se
n’è mai andato fisicamente. Si parla di 3 tipologie particolari per quanto riguarda il gas e l’olio e ossia
i tight gas nel caso in cui si abbia a che fare con formazioni arenacee-carbonatiche a bassa porosità
tali da farli considerare poco sfruttabili in condizioni naturali rispetto ad un serbatoio di tipo
convenzionale. In questo caso, il gas naturale migra nel serbatoio in funzione del tempo, ma molto
lentamente. Le tecniche di perforazione sono quelle orizzontali e fratturazione idraulica. Poi si ha il
coal bed natural gas (CBNG) che prevede l’estrazione di gas naturale dagli strati ricchi in carbone.
Il gas naturale può essere dovuto sia ad una trasformazione termogenica del carbone sia dall’azione
di microbi già presenti nel carbone. In gran parte dei casi, i pozzi che sono perforati sono in rocce in
cui vi è dell’acqua e ciò costituisce in parte un problema. La gran parte di queste rocce serbatoio sono
a media-bassa profondità perché il carbone non ha una resistenza a compressione molto alta per cui
avendo una porosità medio-alta per trattenere il gas, essa non può reggere a dei carichi eccessivi.
Infine, si hanno le shale gas, che sono dei gas che vengono trovati all’interno di formazioni
argillitiche e con porosità primaria bassa, ma che può avere una causa di permeabilità elevata in
presenza di microfratturazione, micropori o di altre piccole fratture che si possono generare per motivi
tettonici-strutturali.
L’idrocarburo può essere sia presente direttamente all’interno della roccia madre oppure può avere
subito una piccola migrazione in formazioni che rimangono a bassa permeabilità. A questi possono
esserne aggiunti altri tra cui il coal bed methane ossia il metano legato a depositi di carbone, biogas
ossia serbatoi di piccola entità oppure avremo degli idrati. In prossimità della superficie, vedremo che
178
ci sono anche delle altre riserve non convenzionali ed essendo molto prossime alla superficie tali
materiali saranno molto densi perché le fasi volatili possono essere perse oppure ci potrebbe essere
una certa ossidazione del deposito.

Le fonti non convenzionali di olio e gas sono molto interessanti e circa l’82% delle riserve non
convenzionali sono nell’emisfero occidentale (Americhe), mentre nell’emisfero orientale vi è l’85%
delle risorse convenzionali (Europa). Ciò è funzione della geologia, ma anche di quanto esse siano
state ricercate.

Una classe di materiali che non abbiamo parlato sino ad ora è quella dei depositi di tar sand (pece o
catrame) ossia materiale bituminoso in prossimità della superficie. Esse sono delle rocce sedimentarie
tra il non consolidato e il debolmente consolidato che contengono grandi quantità di bitume e cioè
idrocarburo allo stato semi-solido e quindi molto densi e pesanti e che hanno bisogno di essere
rimobilitati. La collocazione spaziale di queste tar sand è focalizzata in aree particolari in Russia e
Nord Aemerica.
Se guardiamo il diagramma ternario (aromatici, saturati, resine) notiamo che le tar sand si concentrato
in basso a dx e ciò significa che sono idrocarburi pesanti e stato semi-solido o solido.
Questi materiali sono definiti con diversi nomi tra cui pece, catrame, asfalti nativi o bitumi; il bitume
è in genre solido e semi-solido ed è una fase molto densa che può contenere zolfo, metalli e composti
non idrocarburici; la sua viscosità è elevata e l’estrazione sarà quindi laboriosa.
Nella zona dell’Alberta in Canada vi sono i più grandi accumuli di tar sand e le tecniche possono
variare in funzione della profondità di esposizione di questi giacimenti. Se essi sono in prossimità
della superficie oppure a piccoli spessori di copertura si può procedere all’escavazione dello strato
confinante per poi andare
direttamente a prelevare il tar
sand, ma sarà comunque
necessario separarle dalle sabbie.
Nei casi, invece, in cui il
giacimento vada più in profondità
è necessario arrivarci tramite la
perforazione di pozzi in cui si
impiega iniezione di vapore per
disciogliere l’idrocarburo locale e

179
renderlo recuperabile nello stesso pozzo o da pozzi di iniezione e recupero separati ma a piccola
distanza in modo da massimizzare l’estrazione.

L’oil shale è presente all’interno di mezzi a porosità ridotta e quindi è considerato un giacimento non
convenzionale. Qui l’olio è estratto tramite tecniche particolari di rimobilizzazione e ciò è importante
perché ci fa pensare che dobbiamo spendere maggior energia per l’estrazione eventuale di tali
depositi. L’oil shale si può essere deposto come materia organica in condizioni ambientali diverse
dalle zone costiere a bacini lagunari o laghi e quindi in tutte le condizioni in cui si ha forte accumulo
di sostanza organica, ma anche presenza di abbondanti materiali fini → shales.
La classificazione delle oil shales varia in funzione della tipologia dell’idrocarburo che possiamo
trovare tra cui carboni umici, oil shale, bitume. E questi possono essere suddivisi in funzione
dell’ambiente in cui sono stati deposti.

Esistono delle aree in cui il gas shale e oil shale sono prevalentemente ubicati e sono all’interno di
formazioni specifiche ad es. molto nota è la Marcellus shales che costituiscono uno dei giacimenti
dominanti dal punto di vista dello sfruttamento ed estensione e della capacità di produzione. Dal
punto di vista economico, lo sfruttamento di queste riserve di gas e olio permettono delle economie
molto forti come ad es. Usa dove il costo dell’energia è molto basso.
È interessante anche vedere quali siano i Paesi riforniti dalla Russia in quanto è il maggior produttore
di gas. La ricerca degli shale gas in Europa è diffusa e soprattutto in centro europa ad es. in Polonia.

180
La sezione soprastante è fatta in UK e rappresenta la maturazione di idrocarburi a bassissima
permeabilità e porosità e quindi nelle argilliti. Tale sezione attraversa l’Inghilterra e le argilliti
(arancioni) si trovano in geometria poco disturbata e con forme a bacino che si trovano a profondità
differenti. È interessante che esiste un gradiente di p e T e quindi mano a mano che andiamo in
profondità il gradiente di T cresce e porta le argilliti entro zone di maturazione prima dell’olio e poi
di gas. Ciò significa che ad es. nelle zone del Derbyshire Hight (a sx) non c’è possibilità di trovare
idrocarburi, mentre mano a mano che ci si sposta a dx nella sezione si osserva un incrementare
progressivo delle fasce ad olio o a gas shale.

Il coalbed methane è il metano che può essere estratto da giaicmenti di carbone in filoni o masse
diverse. Esso è sfruttabile se si trova a profondità relativamente basse (800-1200 m) altrimenti la
porosità del carbone costringerebbe a collassare al carbone e la riserva di gas sarebbe ridotta. Il
riconoscimento del metano presente all’interno delle miniere di carbone è ben noto per questioni di
auto combustione ed esplosione e inoltre, in molte miniere di carbone, il metano viene grazie a
ventilazione forzata, immesso in aria e sfruttato come risorsa energetica. In genere, il gas da queste
formazioni è meno energetico e quindi ha meno potere calorifico rispetto al gas umido delle shales.
Inoltre, si è detto che all’interno di
questi depositi vi è anche
dell’acqua e quello che è
importante è che durante la fase di
pompaggio o estrazione, il gas può
essere assorbito sia sulla fase
solida sia in quela disciolta
(acqua). Se si causa un
abbassamento della pressione dell’acqua nel serbatoio, si avrà un incremento del degassamento dalla
fase assorbita sugli strati di carbone e anche dalla fase acqua. Questo porta a raggiungere un picco di
produzione e fase di diminuzione ed esaurimento successivo.

181
Gli shale gas sono caratterizzati in campi e giacimenti non ben definiti, ma sono presenti come sacche
o zone disperse a maggior concentrazione. Nelle shale il gas ha un potere calorifico maggiore e ha
una composizione più umida e quindi dei gas che quando sono depressi si può avere condensazione.
Ciò significa che sono formati da una miscela e non da solo metano. La produzione avviene con
risalita rapida, con flussi rilevanti e a pressioni elevate.
Inoltre, la profondità dei pozzi non deve essere troppo elevata e lo sfruttamento può continuare a tasso
via via decrescente per circa 40-50 anni. In molte condizioni non sarebbe vantaggioso perché la durata
è prevista per tempi lunghi e le riserve sono contenute, ma in alcuni paesi come gli Usa ciò diventa
vantaggioso perché le grandi compagnie tendono a non sfruttare piccole risorse ma le lasciano a quelle
piccole che riescono a fare economie di spesa e l’altro antaggio che spesso il proprietario del terreno
è anche qullo dele risorse sotterranee.

Qundi, lo scenario di produzione in genere è di profondità ridotte per gas biogenico o derivati dal
carbone oppure può andare a maggiori profondità nelle formazioni non permeabili con localizzazione
maggiore dove si hanno fratture che possono connettere il sistema oppure in rocce che a causa del
grado di cementazione sono poco permeabili.

Le rocce serbatoio dette di tight gas sono classificate in due modi: una è ad alta porosità e l’altra a
bassa porosità e bassa ermeabilità. Nel primo caso è un vantaggio, ma avviene in rocce tipo chalk,
arenarie o siltiti molto fini e con basso grado di interconnessione e quindi hanno una alta porosità ma
bassa permeabilità in sito < 0.1 mD. Per alta porosità si intende tra il 10% e il 40%. Gli accumuli di
gas in queste condizioni possono essere di origine biogenica.
Il secondo caso (low porosity LP) sono legati alla presenza di shales e si trovano in diverse condizioni,
bassa porosità e bassa permeabilità e localizzate in zone con grado di interconnessione maggiore. La
sporadicità dei depositi fanno si che siano più difficili da trovare e quindi le riserve sono limitate.
La porosità varia tra il 3% e il 12% e si associano una serie di caratteristiche geologiche sia tecniche
per lo sfruttamento che possono condizionarne la fattibilità ad es. la saturazione di gas, la presenza di
acqua nelle formazioni, la geometria nel contatto con formazioni permeabili, il range d permeabilità
e porosità, l’eventuale presenza di pressioni.

Tutto ciò può creare dei problemi nel momento in cui si vanno a movimentare queste formazioni e i
gas presenti all’interno. Se siamo all’interno di formazioni che li immobilizzano, se non li
rimobilizziamo essi possono prendere delle vie preferenziali di uscita di tipo naturale o meno e
sfuggire. In particolare, se sfuggono al sistema di cattura e possono creare anche dei problemi

182
ambientali. L’estrazione viene fatta con una serie di fori concentrici in cui si ha un rivestimento cieco
di superficie, un rivestimento che imposta il pozzo e dei tratti
intermedi per l’approfondimento sino ad arrivare alla zona
di produzione. Il conductor casing serve a stabilizzare il
pozzo e fa da fondazione eserve a mantenerlo stabile e
prevenire qualunque instabilità locale e laterale; poi si ha il
surface casing che si estende all’interno in modo da
garantire l’isolamento degli acquiferi superficiali. Al di sotto
vi è un intermediate casing che serve per isolare il pozzo
da zone che sono presenti acque profonde che non sono
acque potabili e prevalentemente sono acque ad elevato
contenuto salino e a pressioni elevate sia per la profondità
sia per stati di sforzo anomali. Infine, vi è il casing della
zona di produzione che entra in tale zona sino a cambiare
direzione e dentro esso ci saranno anche ulteriori opere che
consentiranno una migliore estrazione. I rischi sono 3 e per
primo si può avere il blowout ossia un esplosione rapida non controllata con fuga di fluidi dal pozzo
verso l’esterno con emissione di gas o olio, oppure annular leak ossia perdite anulari
nell’intercapedine tra il rivestimento e il foro e infine è possibile avere delle radial leak ossia delle
perdite radiali il che significa che deve essere danneggiato il rivestimento che lasci uscire
orizzontalmente l’olio o il gas.
In genere, è necessario una serie di approcci per prevenire queste fughe trmite saldatura dei
rivestimenti e uso della cementazione.

FRATTURAZIONE IDRAULICA, FRACKING, TECNICHE E PROBLEMI AMB E DI REALIZZ.

Le tecniche di fratturazione idraulica sono diventate da vari decenni le tecniche di maggior impiego
e hanno un origine che risale al 1940 ed erano già usate per stimolare le rocce serbatoio in cui
progressivamente si andava a incontro ad una fase di esaurimento e diminuzione della produzione.
Le tecniche sono andate via via migliorande e diventando sempre più performanti e meno distruttive
per la stabilità del foro. Ciò ha un ruolo importante sia nei costi di sfruttamento, di realizzazione
impianti sia nel creare problemi ambientali. la tecnica è semplice e prevede l’iniezione ad alta

183
pressione di una miscela fluida nela roccia ad una pressione tale che consenta di raggiungere la
resistenza a trazione ma anche al taglio della roccia in modo da generare una rete di fratture che
consenta di migliorare l’interconnessione tra fratture o diminuisca la distanza massima che l’olio o il
gas devono percorrere per arrivare al pozzo di estrazione. I fluidi iniettati sono una miscela dove il
94% è acqua e il 5% di sabbia; a essi si aggiunge una minima % di addittivi (inibitori per evitare
fenomeni di precipitazione e occlusione, acidi per dissoluzione, biocidi, riduttori di attrito per ridurre
la fluidità della miscela iniettata e dei solfattanti che consentano di diminuire la tensione di interfaccia
tra i fluidi). La sabbia e gli addittivi nella miscela vengono detti proppant e servono a favorire
l’iniezione ed estrazione. La sabbia ha uno scopo particolare che è quello di aumentare e mantenere
la permeabilità delle fratture. Ossia noi iniettiamo ad alta p, spacchiamo e generiamo una frattura e
essa se togliessimo pressione si chiuderebbe, invece con iniezione di sabbia essa riempie tale cavità
e ne consente il mantenimento anche sotto carico una volta che la pressione di iniezione viene tolta.
Allo stesso tempo, alcuni addittivi possono creare dei problemi perché possono rimanere nella
porosità e quindi possono creare un ostacolo alla filtrazione di altri fluidi. Inoltre, queste acque
iniettate torneranno a giorno insieme alle acque di formazione. Quindi ci sarà una parte detta
flowback cioè l’acqua che ritorna dalla quota iniettata e acque di produzione che includeranno anche
quelle già presenti nella formazione. L’alta pressione di iniezione è esercitata spesso sezionando il
foro ed iniettando ad alta pressione tra le due sezioni e aprendo un reticolo di fratture. Poi in
arrettramento si può continuare a fare la stessa operazione. A questo punto, durante la fase di
fratturazione si avrà che ci saranno dei piccoli sismi che verrano generati dalla fratturazione della
roccia a seguito della pressione esercitata. Le fratture se il foro suborizzontale è vicino a una roccia
permeabile potrebbero svilupparsi sino a esse e far scappare verso l’alto per galleggiamento i fluidi.

In genere, il 10-50% dei fluidi iniettati sono restituiti nel tempo di pochi gg e ciò fa parte del flowback
water che contiene in parte i fluidi disciolti all’interno, in parte si miscelerà con le acque connate e
quindi il tutto potrà tornare a giorno come acque di produzione. Le acque di riflusso, sono
caratterizzate da concentrazione di solidi disciolti molto alte e queste possono includere sia
concentrazioni saline sia metalliche o particelle argillose. Dopodichè, le acque di produzione che già
si saranno miscelate con le acque di flusso di ritorno verranno a giorno come acqua ad elevato
contenuto salino come brine e con solidi disciolti che arrivano sino a 280.00 mmg/L. le acque di
produzione possono contenere costituenti di rocce come bario, calcio, ferro, magnesio oppure
idrocarboni e radioattivo.
Il fluido di iniezione dovrà avere una viscosità opportuna e dovrà avere una resistenza allo
scorrimento e all’attrito a seguito della pressione immessa basso per consentirne l’infiltrazione rapida.

184
La composizione chimica dei fluidi può essere a base di acqua o olio o acida e ciò dipende dalla
tipologia di formazione che si va ad attraversare. I fluidi a base acqua sono quelli più impiegati e ciò
significa che verrà richiesta una grossa quantità di acqua da pompare in pressione all’interno
dell’ammasso roccioso. E questa acqua deve essere o disponibile in sito o trasportata in prossimità al
punto di iniezione e quindi deve essere immagazzinata. Quindi, possiamo avere fratturazione indotta
e ciò può richiedere grossi volumi di acqua e in alcuni casi essa può essere persa se si va a intersecare
fratture. Può essere anche necessario fare una fase di rifratturazione ossia di ristimolazione della
roccia al fine di continuare ad avere un rendimento costante nel tempo.

I problemi che ne possono conseguire dall’uso di tali tecniche possono essere dati
dall’approviggionamenro di acqua, delle emissioni gassoso e in alcuni casi rischi di esplosione,
possibili perdite radiali, fenomeni di infiltrazione dalla superficie per le acque brine estratte, rischi di
perdita da acque trattate a seguito delle operazioni di fracking; ci potrebbe essere il problema di
sversamenti in superficie oppure uso improprio di acque a scopo irrigativo e infine, è la possibilità di
innescare dei sistemi di fratture che possono raggiungere delle formazioni più permeabili o faglie che
funzionano da via di fuga e portando a giorno ad es. negli acquiferi potabili e quindi arrivare a
problemi di contaminazione.

185
GAS IDRATI, AMBIENTI E COND DI FORMAZIONE, STRUTTURA CRISTALLINA E GAS
OSPITI

I gas idrati sono miscele di gas concentrate allo stato solido e sono stati scoperti pochi anni fa e sta
diventando uno dei possibili risorse future di estrazione di gas. Le risorse stimate sono molto grandi
anche se le stime reali sono diminuite col passare del tempo. I gas idrati sono dei composti cristallini
che derivano la loro struttura alla presenza contemporanea di acqua e molecole che sono catturate
all’interno dello scheletro (cage) delle molecole di acqua. Il nome chimico corretto per questi
composti cristallini sono dei gas clatrati idrati dove clatrato vuol dire un composto formato da un
insieme di molecole che sono catturate all’interno di un reticolo cristallino di un altro elemento.
Idrocarburi leggeri che potranno essere trovati all’interno delle gabbie di acqua sono il metano,
l’etano e il propano, ma anche diossido di carbonio e idrogeno solforato. Quando si formano gli idrati,
l’acqua si cristallizza formando un reticolo cristallino ben netto che fomr adelle gabbie entro cui
rimane uno spazio vuoto che può ospitare le molecole di interesse gassose senza che ci sia un legame
chimico tra la gabbia e le molecole interne.
Inoltre, i gas idrati hanno una struttura non stechiometrica e ciò significa che il rapporto tra le
molecole ospitate e quello dell’acqua varia in funzione delle condizioni di formazione del gas idrato.
L’altra caratteristica fondamentale di interesse è quella che in unità di volume di gas idrato ci sono
circa 164 unità di volume di gas a pressione e T standard (0°C e 1 bar = 100 kPa); ciò ci dice che in
una unità di idrato ci sta una gran quantità di gas e quindi può essere un modo interessante per poter
immagazzinare questo gas.
L’altra caratteristica è il contenuto energetico in termini di quanta energia è disponibile per unità di
volume e per il metano è 37706 kJ/m3 mentre per il metano idrato è circ 100 v questo valore.
La densità del metano idrato è in genere simile a quella del ghiaccio e si avvicina a 0.91 g/cm3.
Anche qui ci possono essere delle variazioni di densità che possono essere controllate dalle condizioni
di p e T e da eventuali ospiti che possono essere inclusi nelle gabbie di molecole di acqua. Esistono
intervalli di p e T particolari che consentono la formazione di gas idrati e ciò ci consente di capire
che la loro formazione si realizza sia in prossimità della superficie terrestre sia nei bacini oceanici.
Nel permafrost terrestre il controllo dominante sarà dato dalle basse T, viceversa nei bacini oceanici
ci sarà una componente di pressione data dalla profondità della colonna di acqua sovrastante e poi
una bassa T funzione della profondità e latitudine. L’altra possibilità è che i gas idrati potranno essere
trovati entro un certo intervallo dal fondo oceanico. Il limite inferiore in cui si possono sviluppare i
gas idrati è controllato dal gradiente geotermico (se si ha un flusso di calore alto e una variazione

186
rapida di T all’approfondimento, i metani idrati diventeranno presto instabili; se abbiamo invece un
gradiente medio di 3°C ci saranno spessori importanti nei sedimenti).

Le tipologie di comparsa di gas idrati è varia e può essere in lenti o piccoli straterelli intercalati al
sedimento, oppure come grossi corpi unici oppure come dei mound o scerescenze sul fondo marino.

L’origine dei gas idrati è in gran parte di origine


biogenica anche se non si esclude che ci sia una
parte di origine termogenica profonda con della
filtrazione di gas in prossimità del fondo oceanico.
Per le zone di permafrost è evidente perché siamo in
prossimità della superficie e l’attività dominante è
biogenica e lo stesso per gli strati appena al di sotto
del fondale marino e ciò grazie all’azione di batteri
che sono metanogenici.

I gas idrati sono stati scoperti e studiati in fasi


succesive e diverse problematiche. Già a inizio
‘800, si scopri che alcuni gas in presenza di acqua
potevano formare dei composti solidi e rimanere
stabili purchè la p e la T rimanessero a certi valori.
Una seconda fase di studio fu nel 1930 quando si
osservò che si formavano delle occlusioni di gas
idrati nelle condutture che portavano dei gas e ciò perché si usavano elevate pressioni per spingere
gli idrocarburi all’interno dei gasdotti e quando c’erano delle T molto basse si iniziavano a formare
degli idrati e ciò causava l’occlusione dei tubi. Dagli anni ’60 in poi, essi sono stati scoperti al di sotto
delle zone di permafrost e al di sotto del fondale oceanico all’interno dei sedimenti.
Le prime osservazioni furono fatte da Sir Joseph Piestly che scoprì che l’anidride solforosa poteva
formare in presenza di acqua delle strutture cristalline a T basse all’intorno di circa -8°C. Inoltre, si
osservava che quando il ghiaccio si scioglieva progressivamente questo tendeva ad approfondirsi
all’interno di uno strato di acqua (mentre il ghiaccio normale galleggia sull’acqua, questo
approfondisce).
Poi dagli anni ’60 sono diventati importanti perché si riconoscevano in zone di permafrost e sui
fondali oceanici e in particolare dal 1967 in Russia si scoprirono dei metani idrati nel permafrost

187
siberiano e nel giro di pochi anni è stato sviluppato un giacimento gassifero di Messoyakha da cui
si estraggono gas idrati. In questo caso, il gradiente geotermico e le T esterne sentivano la formazione
di gas idrati a profondità sino a 700-800 m.
Nelle fasi successive furono invece scoperti anche nelle aree oceaniche, di delta in Alaska e poi nella
zona del Golfo del Messico, in Guatemala e anche in Sud America.

Il trasporto e lo stoccaggio di gas idrati costituiscono un altro aspetto interessante perché potrebbe
essere anche una delle applicazioni possibili come metodo di trasporto. Infatti, si è osservato che i
gas idrati e soprattutto i metani idrati, hanno una condizione di metastabilità tra i -40°C e gli 0°C. In
particolare, tra -8°C e 0°C si osserva che la dissociazione dei gas idrati rallenta di molto anche in
condizioni di p atmosferica e ciò significa che nella forma di gas idrato purchè si mantenga una T
intorno ai -8°C è possibile trasportare del gas in forma sicura e co elevata efficienza.
Infine, si è osservato che si possono formare anche dei gas idrati da CO2 e in particolare essa si
concentra nei gas idrati e può essere utilizzato in sostituzione di altri gas estratti. Quindi, essa potrebbe
essere iniettate nel permafrost o nel fondale marino con scambio col metano.

La struttura dell’acqua è quella dominante che controlla la formazione del reticolo cristallino ed è la
modalità di interazione delle molecole di acqua che conferisce proprietà particolari in termini di punto
di ebollizione, viscosità e tensione superficiale. È possibile quindi che tali molecole si organizzino
dando una struttura particolare. Un atomo di H da una molecola di acqua può formare un secondo
legame a H con un ossigeno di un’altra molecola di acqua e questo legame può essere abbastanza
stabile. Tale legame è circa 1/10 della resistenza rispetto a un legame covalente.
Ci sono delle altre proprietà dell’acqua, una è che la densità massima dell’acqua è a 4°C e sappiamo
che quando solidifica aumenta di volume e che mentre si solidifica, le molecole si possono
188
organizzare in una forma geometrica esagonale molto regolare. Ciò è dovuto in parte alla presenza
del legame a H che stabilizza le molecole. Inoltre, l’acqua è in grado di funzionare da solvente per
molti soluti soprattutto per gli elettroliti e il gas come la CO2 e H2S possono particolarmente solubili
in acqua. Inoltre, si sa che molti idrocarburi sono insolubili in acqua essendo sostante organiche non
volatili e la solubilità in acqua di essi può aumentare con l’aumento della pressione e diminuire con
l’aumento della T. inoltre, la salinità può influenzare la solubilità perché si osserva che laddove
abbiamo delle soluzioni saline, esse hanno un contenuto in gas minore che non nell’acqua pura.
La formazione dei gas idrati inizia al congelamento dell’acqua
e durante esso si ha una riorganizzazione delle molecole di
acqua che sono riorientate in funzione della formazione di
legami a idrogeno. L’acqua costituisce delle gabbie in cui le
molecole si distribuiscono a formare tale gabbia cristallina e
all’interno di essa vi è uno spazio sufficiente a contenere delle
molecole di gas. La gabbia non ha un legame diretto con il gas
contenuto e quindi la molecola all’interno è libera di muoversi e di riorientarsi anche in funzione delle
cariche e tutto ciò rimane stabile in condizioni di p e T definite.
Le condizioni di formazione di gas idrato, quindi, sono la presenza sufficiente di acqua, la presenza
di un gas da rendere idrato e condizioni di p e T che devono garantire una zona di stabilità del gas
idrato e quindi delle T basse o p alte (va d’accordo con il carico in z). Il contenuto di acqua nei gas
naturali è funzione di p e T.
La struttura cristallina dei gasi idrati varia in funzione delle condizioni di formazione e quindi quste
gabbie che si formano con le molecole idrate rendono stabile l’intera struttura cristallina.
Generamente, si ha che una singola gabbia di idrato contiene una molecola di gas ospite. Esistono
anche delle occupazioni multiple nelle gabbie, ma ciò avviene solo in presenza di p elevate che
riescono ad addensare la fase gassosa. Il rapporto di acqua rispetto alle molecole di gas è detto
numero di idratazione. Le strutture più comuni sono dette struttura I (SI) o II (SII).
La struttura SI è la più piccola che possiamo avere ed è basata su una struttura cristallina cubica, è
composta da 46 molecole di acqua che formano 6 gabbie principali
e 2 piccole gabbie. Le piccole gabbie hanno una geometria
dodecaidrica a 12 facce pentagonali. La notazione normale che si
utilizza è 512 che indica che si hanno 5 gabbie con 12 facce. L’altra
possibilità è quella di avere delle gabbie grandi formate da un
tetrakaidecaedro con 12 facce pentagonali e 2 facce esgonali (2
basi). Quindi, queste strutture a gabbia possono occupare un certo

189
spazio e all’interno può esserci un numero di idratazione che ci rappresenta la capacità di
immagazzinare metano che è pari a 5.75 (46 molecole di acqua e 8 di gas idrato). La possibilità di
formare gas idrati con altri gas come metano, etano, CO2 e H2S si realizza perché le diverse molecole
possono andare ad occupare diversi tipi di gabbie. Ad es. l’etano che ha una molecola grande non
riesce ad occupare le gabbie di piccole dimensioni e quindisi potrà mettere solo in quelle grandi; la
CO2 tende ad occupare solo il 50% di esse; l’etano fa ancora più fatica (n 7.9) e il metano arriva a
circa n 6.0 e si dispone sia in quelle piccole sia in quelle grandi.
La struttura SII può essere doppia, ma formata da una struttura cristallina cubica centrata sulle facce
con 136 molecole di acqua che contengono 8 gabbie grandi e 16 di piccole dimensioni. Le gabbie
piccole sono uguali a quelle precedenti e quindi 12 facce pentagonali, mentre le grandi sono fatte da
12 facce pentagonali e 4 facce esagonali. Il numero di idratazione che si raggiunge è pari a 5.37 e
quindi 136 molecole di acqua su 24 di gas
catturato nela struttura.
in genere, siccome le SII hanno
dimensioni maggiori si adatteranno a dei
gas ospiti di dimensione maggiore come il
propano e il butano. Ciò risulta anche nella capacità di avere dei
numeri di idratazione elevati perché ci saranno poche molecole
grandi rispetto a quelle necessarie a formare l’idrato. Inoltre,
possono essere anche catturati idrogeno, elio e azoto nelle strutture SII.
Per capire quali sono le possibili molecole dobbiamo confrontare il diamtero della molecola
dell’ospite rispetto al diametro della gabbia. Da esso si capisce se la molecola è maggiore o minore
della gabbia.
Esistono, anche, delle strutture comuni che sono ancora più grandi detta sH; essa ha una struttura
esagonale con 34 molecole di acqua e ha 3 tipologie di gabbie (3 piccole 512 cubica, 2 medie e 1
grande). Esse scontengono delle molecole grandi come metilcicloesano. Inoltre, tali strutture si
possono formare solo quando è presente un altro gas che consente di stabilizzare le gabbie minori
(metano). Esistono anche altre strutture cristalline ma che per noi sono trascurabili.

190
DIAGRAMMI DI FASE P-T PER I GAS IDRATI, REAZIONI DI FORMAZIONE E
DISSOCIAZIONE, ESOTERMICHE E ENDOTERMICHE, PROPRIETA’ FISICHE E
MECCANICHE DEI GAS IDRATI; CLASSIFICAZIONE DEI DEPOSITI DI GH; MESSA IN
PRODUZIONE

Se si vuole studiare bene il comportamento dei gas idrati si può costruire un diagramma di fase P-
T e in questo caso si ha un diagramma di questo tipo che definisce una zona di stabilità di gas idrati
rispetto ad una zona di instabilità o
possibilità di formazione di gas
idrati. In corrispondenza della
curva di stabilità, si avrà la
possibilità di avere più fasi
concomitanti e formazione del gas
idrato. Inoltre, ci sono dei punti
quadrupli nel diagramma in cui si
ha copresenza di più fasi sino a 4
fasi insieme: in particolare in Q1
l’acqua libera, ghiaccio, idrato e
idrocarburo gassoso; in Q2 si avrà
acqua liquida, idrao, idrocarburo vapore e liquido. La curva tratteggiata è detta curva pressione-
vapore della miscela e significa che al transito di essa si avrà la possibilità di passare dall’idrocarburo
gassoso a quello liquido in presenza di idrato. Nela fase sotto alla curva si avrà idrocarburo + ghiaccio,
poi a T maggiore si avrà idrocarburo gassoso + acqua vapore e poi in alto avremo idrocarburo liquido
+ acqua liquida (p aumentata). Infine, l’ultimo tratto di curva
verticale ci definisce il limite di T per la formazione di idrati e
quindi al di là di questa T anche se a pressioni elevate, avremo
difficoltà a generare idrato.

Ogni gas che avremo per noi ha un suo diagramma di fase e nel
grafico successivo si vede che i 5 gas (metano, etano, propano,
butano, esano) hanno diverse caratteristiche di stabilità. Le curve
di stabilità sono fatte come quella precedente e cioè 2-2’-2’’ con
i due punti quadrupli. Nel caso del metano non si ha un punto
superiore rispetto agli altri gas. A mano a mano che ci si sposta

191
verso il basso, i campi di stabilità si restringono e sono necessarie T minori ed è più semplice
raggiungere T a cui non è possibile generare un idrato.

Se abbiamo una miscela e esiste una fase liquida


dell’idrocarburo, il diagramma di fase diventa complesso
perché avremo sia una curva di bubble point sia una di dew
point. Esiste quindi una zona rossa in cui sarà possibile avere
3 fasi insieme.
La
stessa
cosa
può essere fatta con la CO2 e si sa che
possiamo avere un campo di formazione di
idrati al passaggio o da fase gassosa o da fase
liquida.

I gas idrati si possono poi studiare in laboratorio con un metodo semplice che usa dei serbatoi in
pressione e in controllo di T; si parte dall’acqua e da presenza di gas oppure da ghiaccio e acqua in
presenza di gas. Qui è possibile studiare la formazione del gas idrato, controllando p e T. ciò è
importante perché se osserviamo il prossimo grafico si capisce cosa accade. Tale grafico è realizzato
all’interno di questi contenitori e quello che si osserva è la formazione di un metano-idrato a partire
da una miscela di acqua e metano. La curva ross
rappresenta la temperatura e la curva blu
l’andamento della pressione. La prima fase è il
raffreddamento del gas e diminuzione della
pressione; si arriva alla pressione di nucleazione
e si forma la nucleazione del gas idrato. La T non
si abbassa, anzi rimbalza perché il processo di
formazione del gas idrato è esotermico e quindi
si libera calore e la T risale. Ciò controlla
l’eventuale continuazione della fase di formazione del gas idrato e anche la reazione inversa. Dopo
la prima caduta di pressione, si ha restituzione di calore dalla reazione di nucleazione e parte del
metano si dissolve anche in acqua. Si ha quindi, sia una fase gassosa sia una fase di saturazione

192
dell’acqua. Quindi si ha raffreddamento (gas cooling) e parte del metano si discioglie in acqua e a
questo punta si nuclea e durante essa si ha un ulteriore decrescita di pressione (perché il gas è
inglobato nello scheletro solido delle gabbie) e un leggero aumento di T. poi continua la formazione
con stabilizzarsi della T e a lungo andare una diminuzione della pressione della CO2.

Le propreità fisiche dei gas idrati sono la densità, il calore specifico, la conducibilità termica,
l’espansione termica e il calore di dissociazione. Poi esistono altre proprietà di tipo meccanico ed
elettrico.
La densità può essere valutata dal peso diretto di un certo volume di sostanza oppure calcolato in
funzione della struttura cristallina e alla concentrazione di molecole di gas-olio ospite all’interno delle
gabbie. Quindi, il metodo più semplice è quello di usare una cella di volume unitario che in funzione
della struttura SI, SII e sH; inoltre esse possono essere definite tramite un analisi difrattometrica al
variare di T e p. I valori dimensionali per la cella possono essere dell’ordine degli Armstrong. Per
calcolarsi la densità bisogna tener conto che possiamo avere un certo numero di molecole di acqua e
un certo numero di molecole di gas (per ognuno considerare il peso molecolare); il tutto diviso sul
volume dell’idrato* il numero di molecole acqua

Il calore specifico non è una costante, ma vaia con la temperatura e i metanoidrati mostrano un
aumento che va da 0.87 a 2.08 J/mg di idrato/K all’interno del range di T tra 95 e 270 K. Essa è molto
inferiore e circa 1/5 di quella del ghiaccio puro e ciò porta a un comportamento anomalo in alcuni
casi. La conducbilità termica è bassa perché si pensa che le gabbie creino una discontinuità a livello
di flusso (la molecola di gas ospite è sospesa nella cella e quindi non ha capacità di trasmettere calore).
Per un idrato di metano puro, al conducibilità termica è pari a 0.5-0.6 W/(m K).

193
L’espansione termica è un'altra proprietà che differenzia il ghiaccio dagli idrati e ciò è importante
per capire quale sia la tendenza all’espansione delle molecole. Quello che si osserva è c’è una
differenza tra ghiaccio e idrati perché si pensa che all’interno della struttura a gabbia, la molecola di
gas eserciti una leggera pressione sulla gabbia circostante e quindi diminuisca la resistenza del legame
a idrogeno della gabbia e quindi forzi ad espandersi la cella.

La formazione di reazione di dissociazione del gas idrato richiede in un caso energia e nell’altro lo
cede. Quindi, la dissociazione dell’idrato e cioè la variazione di stato dell’idrato è una reazione
endotermica e quindi deve essere alimentata da energia, mentre la formazione dell’idrato è una
reazione esotermica che libera energia. Ciò è importante durante le fasi di produzione perché se,
smettiamo di alimentare con calore la reazione di dissociazione, essa tende ad assorbire energia e
quindi tende a riformarsi dell’idrato bloccando la reazione di dissociazione. Ciò è importante perché,
quando si entra in fase di produzione, il processo endotermico estrae calore e quindi abbassa la T
circostante; abbassando la T ricrea dell’idrato nella zona circostante e quindi spegne la reazione.

Per quanto riguarda le proprietà meccaniche si


vede che l’idrato che sia puro o di miscela di
sedimento, ha una resistenza meccanica maggiore
del ghiaccio puro o a quella di ghiaccio con miscela
di quarzo. Quindi, significa che l’idrato crea un
legame coesivo forte con i sedimenti e ciò può
garantire una stabilità maggiore dei sedimenti
soprattutto se ci troviamo in prossimità del fondo
marino. Per ultima cosa, i gas idrati così come il
ghiaccio, si comportano come degli isolanti elettrici
con conducibilità elettrica inferiore perché si hanno molecole di gas che sono in gabbia e creano una
discontinuità nel sistema.

Quello che ci manca da definire è dove li possiamo trovare questi gas idrati e normalmente si parla
di Gas Hydrate Stability Zone o GHSZ in quanto essi esistono a T e p definite. In genere si trovano
ad alte pressioni e basse T. I depositi di idrati contengono all 99% metano + idrocarburi pesanti, CO2
e H2S.
Quindi, quello che si fa è quello di considerare il metano come il gas di riferimento e in funzione che
siamo in condizioni di permafrost (grafico a sx) o in condizioni oceaniche (grafico a dx) possiamo

194
confrontare il gradiente geotermico (linea trattehggiata) con la curva di stabilità del methane-hydrate,
che è una curva in termini di pressione e temperatura. La pressione corrisponderà al carico esterno e
quindi alla colonna di sedimento e la T sarà controllata dal gradiente geotermico e dalla T esterna. A
273 K corrisponde lo 0°C in grafico. Quindi da sottozero a una data T (2 punti arancio a sx) si avrà
stabilità e quindi con il gradiente geotermico saremo all’interno della zona stabile dei metane-hydrate.
Al di là del punto arancio non si avranno più gas idrati. Stessa cosa la si vede nel grafico a dx dove
nella colonna d’acqua, a mano a mano che ci si sposta dalla superficie in profondità, la T dell’acqua
diminuisce sino ad arrivare alla T di riferimento di 4°C a massima densità. A questo punto inizia
l’effetto del gradiente geotermico che però per la pressione esistente si rimane sotto la curva di
transizione tra idrato e gas o vapore. Quindi, all’interno del sedimento di sicuro possiamo trovare il
gas idrato e la stessa cosa può essere sopra la superficie del fondo oceanico in funzione del gardo di
saturazione dell’acqua oceanica in idrati.

Normalmente mano a mano che si approfondisce il bacino oceanico, ci si aspetta che le T


diminuiranno, le p aumenteranno e lo spessore della zona di gas idrato aumenterà (dx). Ciò ci dice
che in alcune posizioni particolari potremmo trovare dei giaicmenti nelle zone al di là della scarpata
195
continentale di spessore interessante. Lo spessore dell GHSZ dipende anche dalla T dell’acqua, dalla
sua salinità, gradiente geotermico e dalla profondità.

Può essere però importante verificare quanta


sostanza organica abbiamo e quanto gas
abbiamo a disposizione. Gran parte del gas in
queste condizioni, una volta che sedimentiamo
sostanza organica si ha una zona di
ossidazione e respirazione anaerobica sortto
dove i batteri possono generare metano e far
precipitare solfuri. Quindi, gran parte del
metano prodotto in questa zona è di tipo
biogenico. Se non c’è abbastanza sostanza
organica o se i batteri non hanno abbastanza
sostanza organica, non creeranno abbastanza
gas e quindi esso potrà rimanere disciolto in
acqua e non ci sarà un eccesso che invece
potremmo ingabbiare all’interno delle
strutture a gabbia degli idrati. I microrganismi
unicellulari detti archea sono quelli che
possono produrre durante il loro metabolismo del metano. Quindi, in funzione della quantità di massa
organica e dalla quantità di gas che producono, sarà possibile o meno avere degli idrati.

La distribuzione del Carbonio nelle masse oceaniche è determinante e si ha una distribuzione che va
in funzione della latitudine e delle correnti oceaniche e T (Artico, america ovest, siberia).

Una cosa che non possiamo escludere è la presenza di un gas di origine termogenica e quindi se
abbiamo della sostanza organica accumulatasi e che arriva a profondità tali da consentire l’innesco di
fenomeni di tipo catagenetico con T dai 50°C ai 200°C; in questa situazione, avremo formazione di
metano per termogenesi. Per la formazione dei metano-hydrates avremo bisogno della migrazione
del gas verso il fondale oceanico e per fare ciò occorrono delle vie di fuga e questo consentirà al gas
di raggiungere delle zone a bassa T e alta p e formazione di gas idrato. Anche in alcune zone di
permafrost è stata osservata la presenza di methan-hydrates di origine anche termogenica.

196
Esistono delle classificazioni delle rocce serbatoio di gas idrati dove Moridis e Collett hanno
suggerito una classifcazione in 4 sottocategorie che hanno alcune categorie di secondo ordine. La
prima classe è caratterizzata da una
stability zone degli idrati all’interno
di una massa di sedimenti e alla base
di essa vi presenza o co-presenza di
acqua e gas libero nei pori. Esistono
2 ulteriori sotto categorie 1G (dove
si ha gas che riempie i pori) e 1W
(dove l’acqua riempie i pori). La
seconda classe si ha alla base della
zona di stabilità solo acqua nei pori
e nella terza classe si ha sedimenti
che possono esser considerati del
tutto impermeabili. Nella quarta
classe, invece, si ha che i gas idrati
sono presenti come masse sconnessi e sparse.

Per estrarre metano dai gas idrati ci sono 3 tecniche che sono:

1. Circolazione di acqua a T elevata da causare la dissociazione;


2. Depressurizzazione e quindi diminuire la p localmente in modo da consentire al gas di
sciogliersi o liberarsi dalle celle tramite buco del serbatoio (abbassare p che sarà funzione
dell’altezza della colonna di acqua);
3. Iniezione di CO2 che va a sotituire nelle celle il gas metano e ciò è importante perché le
molecole di acqua possono avere un legame stretto con le molecole di CO2 e quindi si avrà
un legame stabile tra la molecola di CO2 e l’acqua che forma la gabbia.

197
Esistono dei problemi come la liberazione di metano che potrebbe sciogliersi nelle acque marine e
causare problemi di stabilità per grossi rilasci anche della struttura di pozzo. Per questo motivo è
indispensabile un monitoraggio in continuo delle acque in prossimità della zona di campionamento.

Cap. 9 Immagazzinamento sotterraneo di gas CO2 e liquidi

IMPIANTI DI REINIEZIONE E RIUSO GAS, UGS, CRITERI DI DIMENSIONAMENTO E


OPERATIVITA’, PERDITE DI PRESSIONE NEL SISTEMA DI ESTRAZIONE,
TRASFORMAZIONE, STOCCAGGIO IN CAVITA’ SOTTERRANEE

La prima parte della lezione riguarda la possibilità di stoccare dei gas o fluidi all’interno delle rocce
serbatoio che sono già state sfruttate a qualche scopo. Vediamo prima di tutto quali sono i problemi
connessi alla fortnitura di gas o di combustibili durante la singola annualità e che influenza possono
avere sull’impiego delle risorse sotterranee. La funzionalità di
un sistema di immagazzinamento o di estrazione di gas è
dipendente dalla modalità di uso stesso. Se
l’immagazzinamento o l’utilizzo sono fondamentali significa
che dobbiamo prima analizzare la domanda ovvero il
fabbisogno. Questo è fatto con la Load Duration Curve
(LDC) o curva di durata del carico o durata della domanda;
tale curva è semplice che si svolge nell’arco dell’intera
annualità da 0 a 365 gg sull’asse x e sull’asse y la domanda di
fornitura di gas per il fabbisogno energetico. Si osserva che
per pochi giorni all’anno la domanda è molto elevata e a mano
a mano che aumentano i giorni hanno richiesta minore.
Inoltre, si hanno 3 curve diverse nel grafico in alto (a sx in ordine dall’alto in basso 1, 2 e 3) che
hanno forma simile, ma minimi e massimi diversi e si incrociano in un punto detto di crossover. La
dipendenza della forma delle curve è un fattore di carico o domanda che si definisce come la domanda
media annua divisa per la domanda massima oraria. Ciò ci dice quanto dureranno i picchi di richiesta
e quando avremo dei valori bassi. La linea orizzontale, invece, ci rappresenta quella che è la capacità
di fornitura standard e quindi al di sopra e al di sotto avremo delle aree che ci rappresentano la
necessità di fornire gas al di sopra della media e periodi in cui ne avremo meno. Quindi, dove ne
avremo meno avremo la possibilità di stoccare gas all’interno del sistema, viceversa dove ne avremo
198
di più dovremo cercare di provvedere con intensità alla fornitura di gas. Quidi, deliverability è il
valore massimo, mentre injectability è quello minimo. La capacità o la flessibilità di fornire gas non
è una misura esatta della velocità con cui noi possiamo dare gas ala sistema. Quello che abbiamo è
che diverse modalità di stoccaggio
o tipo di giacimento potrebbero
dare gas con portate diverse e
quindi soddisfare fasi diverse.
Quindi, quello che diventa
importante, è la portata con cui lo
possiamo fornire e il tempo di
reazione del sistema. Quindi, le
possibilità di fornitura di gas
includono: l’aumento di
flessibilità nella fornitura rapida,
usare diverse fondi o punti di
stoccaggio (acquiferi, campi di
gas, caverna, gas naturale
liquefatto, line packing e ontratti di vendita discontinui). Tra essi quello che cambia è la durata oppure
la velocità con cui possiamo dare gas a chi lo domanda. Quindi, sarà più lento dai sistemi di acquifero,
un pochino più rapido se il gas è all’interno delle rocce serbatoio. Nella figura colorata a dx vi è un
acquifero in cui il gas si discioglie (tempo lungo di rilascio), al centro una cavità sotterranee progettata
in cui inietta del gas (tempo di rilascio instantaneo) e infine a sx si ha una vecchia roccia serbatoio
(con t medio di rilascio). Linepacking è rappresentato nella figura a sx della colorata: se si ha una
rete di metanodotti che portano il gas dalla stazione di pompaggio al cliente, si avrà un metanodotto
di una data dimensione e lunghezza entro cui si inietta un certo volume di gas e tenerlo a una data
pressione; se si aumenta la pressione, impacchettiamo più gas grazie alla sua compressibilità
all’interno del volume delle tubazioni e avremo uno stoccaggio importante. Quindi, queste soluzioni
hanno una diversa durata in termini di impiego e una diversa capacità di fornire volume in un tempo
relativamente breve.
Fino ad adesso abbiamo detto che, essa può venire da un serbatoio già esistente oppure da una roccia
serbatoio depleta cioè svuotata, di cui abbiamo già sfruttato la risorsa, ma che riutilizziamo per lo
stoccaggio. Quindi, i questo sistema si ha reiniezione di gas in profondità per poterlo poi riutilizzare.
Anche nell’area milanese esistono più sisti in cui questa operazione è fatta ogni anno ciclicamente.

199
Nel diagramma sopra si ha sull’asse y la gas rate e quindi la portata di gas fornita e si ha una curva
che ci fa vedere in funzione della stagionabilità come varia il gas rate che viene distribuito. Esso
oscilla anche i funzione delle ore del giorno o dei giorni festivi/feriali. Poi si ha la deliverability che
ha un suo valore max e qui siccome consumiano progressivamente la riserva, essa diventa via via
sempre più lenta. Quando scendiamo al di sotto della domanda media, si entra in una zona in cui
potremmo iniettare facilmente del gas nel sistema. Quando invece il sistema tende ad essere riempito
nella fase tardo-estiva l’iniettabilità diminuisce progressivamente e aumenta la deliverability ancora.
Questa diminuzione e aumento progressivo possono essere tollerati nei sistemi che lavorano in modo
stagionale. L’altra possibilità è che noi possiamo usare altre soluzioni per limitare i problemi nella
fase di soddisfacimento dei picchi o detto anche peakshaving.

Quindi, quello che si può fare è usare delle rocce serbatoio che sono state sfruttate del loro contenuto
di gas. Possiamo iniettare del gas e estrarlo in altro pozzo oppure possiamo usare pozzi unici con 2
funzioni. Quello che andiamo a riprenderci è
lo spazio che era occupato dal gas rimettendo
del gas in pressione. Quello che facciamo è
noi abbiamo il sistema di di gasdotti che
portano il gas, che va nel sistema di
compressione il quale ci consente di andarlo
a stoccare o nelle rocce serbatoio deplete o
nelle cavità sotterranee come nelle caverne.
Questi compressori devono aumentare la
200
pressione del gas in quanto essi devono respingere il fluido che ha occupato la parte da cui è stato
estratto il gas precedentemente. Nella fase di sfruttamento, il gas è liberato e prende un percorso
opposto, va in sistemi di trattamento che lo asciugano o lo separarno e poi va nel compressore che va
a distribuire nella rete per il consumatore locale.
Quindi noi useremo serbatoi naturali o artificiali con diverse caratteristiche per immagazzinare dentro
e fuori il gas. Durante il processo di immagazzinamento e stoccaggio, la pressione cresce
progressivamente nelle rocce serbatoio o cavità in funzione del volume di gas iniettato. Durante la
fase di estrazione, occorre separare l’eventuale acqua che può essere estratta insieme al gas o eventuali
condensati. In alcuni casi, si manttengono pressioni elevate anche all’interno della rete di
distribuzione e ciò consente di lavorare a pressioni diverse nel sistema. Durante ciscuna di queste
fasi, accadrà che il sistema è soggetto a perdite di pressione e quelle più semplice sono legate
all’attrito cioè alla resistenza dello scorrimento del gas.
Queste perdite di pressione avverrano nella roccia serbatoio per effetto della permeabilità ridotta del
serbatoio, ma ciò non è vero per le caverne perché esse possono essere in rocce saline che risultano
essere stabili o poco permeabili, nei pozzi con perdite statiche (pozzo con colonna di fluido con
pressione persa nella fase di produzione in pompaggio) o perdite dinamiche (che dipendono da
profondità e diametro del pozzo); perdite per attrito nelle tubature superficiali e perdite nei sistemi di
trattamento.

Il grafico a) mostra sull’asse y la pressione e sull’asse x la portata nel tempo: partiamo dalla linea
tratteggiata in alto che rappresenta quella di pressione iniziale all’apertura del serbatoio e quindi
appena si inizia a sfruttarlo si ha una perdita statica istantanea ridotta dovuta al peso della colonna di
201
gas; poi, mentre si ha lo sfruttamento e uscita del gas dal sistema, in funzione della portata, si avranno
delle perdite per attito non lineari che crescono con la portata e ci fanno diminuire la pressione. Dalla
parte opposta si ha una condizione al contorno legata alla pressione nel gasdotto e in questo caso si
avrà lo stesso problema e cioè durante il flusso del gas si avrà all’aumentare della portata si avrà una
perdita di pressione e ciò avverrà sino all’impianto di trattamento del gas; la perdita sarà tanto
maggiore tanto più forte sarà la portata del gas nel sistema. Ciò è espresso dalla curva di pressione di
entrata del sistema e ciò significa che se aumentiamo la pressione di entrata si avrà una variazione
non lineare del trend. Quindi, l’incrocio tra la curva che rappresenta la pressione a cui noi operiamo
all’entrata dell’impianto e la curva che rappresenta la variazione della pressione all’uscita dalla roccia
serbatoio ci dà il valore della portata di gas che risulta essere utilizzabile per il sistema.
Abbiamo detto che vi sono delle perdite non lineari che vanno in funzione della portata all’uscita dal
pozzo e quelle legate al flusso verso l’impianto → a mano a mano che passa il tempo, la roccia
serbatoio perde di pressione e quindi si avrà una diminuzione e uno spostamento della curva p-gas
rate si sposta verso l’origine come nel grafico b). Esiste quindi un limite imposto che sarà
rappresentato dalla linea nera verticale che ci dice la quantità max di gas che può essere consegnata
in fase di esaurimento della risorsa all’impianto di trattamento (ossia il limite di progettazione delle
strutture esterne).
I criteri che imponiamo per la progettazione sono quelli che possono prevenire dei problemi come ad
es. velocità troppo elevate di movimentazione del gas con effetti di erosione o pressioni alte per cui
si ha formazione di idrati nelle tubature e poi l’eventuale necessità di rimanere in prossimità del punto
di condensazione. Queste considerazioni, ci dicono che non possiamo lavorare alla portata teorica
massima, ma siccome abbiamo una serie di limitazioni dobbiamo porre attenzione per cui la portata
max è quella data dalla linea verticale nera nel grafico b). Ciò ci conviene perché stiamo limitando la
portata in uscita e stiamo considerando anche la possibilità di coprire un ampio spettro di portate dalla
roccia serbatoio.
L’intersezione tra la linea vericale e la curva di pressione a testa pozzo è detto valore di pressione
critica del serbatoio: a pressioni più alte avremo che la deliverability del sistema è controllata dalla
massima portata in uscita dall’impianto, mentre a pressioni inferiori essa decresce ed è controllata
dalla performance del pozzo.

Per quanto riguarda le cavità, esse sono in rocce saline e sono ottenute per dissoluzione di rocce
saline in posto attraverso il flusso di acque o di brine oppure cavità sotterranee di altra natura. La
possibilità di operare in rocce saline è che la cavità può essere creata appositamente o per estrazione
di sale a z prefissat e anche la geometria può essere studiata a hoc. I parametri sono z, margine suff.

202
di sicurezza sotto il limite della roccia entro cui apriamo la cavità, la dimensione della cavità per
stabilità, una cap rock che possa consentire la perdita di gas.
I fattori a cui dovremo fare maggiore attenzione: il comportamento della roccia entro cui tale cavità
andranno realizzate (esplorazione, modellazioni rocce in sito o lab, modelli numerici costitutivi, così
si definirà la geometria della cavità o la volumetria e criteri di sicurezzape uso), una fase di
simulazione numerica per verificare tutti gli scenari, monitoraggio del sito e abbandono del campo
(chiusura caverne per evitare ad es. in rocce saline e pozzi che mettono in comunicazione la sup→
allargamento cavità).

INTRAPPOLAMENTO DI CO2 IN SOTTERRANEO, SEQUESTRATION STRATIGRAFICA, IN


ACQUIFERO IN FASE RESIDUA, SOLUZIONE E PRECIPITAZIONE MINERALE; ASPETTI
DI SICUREZZA, PROBLEMI, SOLLEVAMENTO E INCREMENTO DEGLI SFORZI
ORIZZONTALI

Qui parleremo delle stesse rocce serbatoio


ma adottate per stoccare fluidi pericolosi e
studieremo il suo comportamento. Quindi
parleremo di immagazzinamento di CO2
in sotterraneo. Quello che sappiamo che
l’anidride carbonica è un prodotto della
combustione di combustibili fossili e ha un
grosso impatto come gas serra. Come gas
serra, che per durata, quantità di emissione
e durata di emissione, essa è quello che sta
impattando di più a livello globale sul
clima. Per la produzione di 1KWh ho
bisogno di 800 kg di anidride carbonica. La
tecnica prevede un sistema di cattura, di
contenimento della CO2 in superficie e poi
di reiniezione in profondità attraverso o dei
pozzi preesistenti, o pozzi nuovi, all’interno
di acquiferi o formazioni che possono
essere usate per lo stoccaggio. Questo

203
stoccaggio prevede sistemi di iniezione, un sistema eventuale di produzione (caso particolare se
pensiamo che la CO2 possa essere usata come fluido di spinta per l’estrazione di altri fluidi dal
sottosuolo).
I meccanismi di immagazzinamento della CO2 possono essere di diverso tipo: uno può essere una
Trappola Straigrafica e quindi si inietta da un pozzo la CO2 in profondità, essa arriva in un mezzo
poroso con acquifero e acque saline al suo interno → la CO2 si propaga come un pennacchio di CO2
in stato supercritico (cioè il gas è così denso da essere un liquido, ma si comporta come un gas); la
CO2 in questo caso sarà meno densa della brina che occupa i pori, quindi la spiazzerà parzialmente e
soprattutto nella parte sommitale ossia quella più prossima al top dell’acquifero che confina il
sistema; per questo motivo, essa tenderà a muoversi verso l’alto e poi lateralmente in funzione anche
delle geometrie presenti.
Poi, vi è il Residual Trapping che è una tecnica particolare in cui si inietta la CO2, essa si muoverà
e muovendosi verso l’alto, la brina viene prima spiazzata e poi, mentre la CO2 si muove, la brina
seguirà il flusso della CO2 e i questo modo succederà che ci saranno delle bolle di CO2 che rimarranno
catturate in stato residuo nei pori con la brina che gli circolerà intorno; a questo punto avremo uno
stoccaggio di medio-lungo termine di bolle di CO2 intrappolate dalle forze capillari all’interno della
porosità.
La terza metodologia è detta Trappola per Solubilità e il concetto è che la CO2 entra nel mezzo e
piano piano si discioglie nella brina con cui è in contatto; la dissoluzione nella brina può generare
acido carbonico e quindi si ha una possibile acidificazione della soluzione; la presenza di CO 2
supercritica e di minerali carbonatici può tamponare leggeremente il pH delle brine che va intorno a
valori di 5 (acidi).
L’ultima soluzione è il Mineral Trapping ossia che a bassi pH la CO2 che è in equilibrio con la
brina, causa l’alterazione dei minerali silicatici e in questo modo, libera degli ioni metallici (Ca, Mg
e Fe) e essi si possono combinare con la CO2 per formare dei minerali carbonatici. Quest’ultimo è lo
stato più stabile per la CO2 che viene portato all’interno del mezzo.
Quindi, si hanno 4 soluzioni possibili, ma non è detto che esse siano separate; in effetti, può accadere
che tutte e 4 avvengano in contemporanea o in zone diverse del mezzo.

Ci sono degli aspetti di tipo idrologico che sono importanti durante la fase di iniezione e di
movimentazione dell CO2. Si è detto che essa viene sequestrata e intrappolata tramite iniezione nelle
formazioni in cui vi è un contenuto in acqua fortemente salino; inoltre, si è detto che essa viene
iniettata a p elevate i condizioni di gas denso supercritico e in parte può andare a finire nell’acqua e
poi si potrà immobilizzare sulla fase solida. La frazione di pori che può essere disponibile per

204
l’intrappolaamento della CO2 varia dal 2% al 6% come minimo sino ad un valore massimo del 20-
30%. Quindi, si ha che il range di anidride carbonica che può essere immagazzinata varia abbastanza,
quasi di un ordine di grandezza, ma ciò può dipendere molto dalla saturazione della brina.

Le caratteristiche di un fluido supercritico è quella di essere compresso e a T tali da rendere le


molecole molto vicine tra loro con una densità simile a quella di un liquido, ma con proprietà di un
gas e quindi con elevata mobilità rispetto al liquido. Il raggiungimento di tali condizioni, prevede che
le T e le p di lavoro consentano di raggiungere questo stato.
Se siamo sotto al limite di pressione o di temperatura critici, ci troviamo o nella fase gassosa o nella
fase liquida. Ciò significa, che se si hanno variazioni anche durante la fase di iniezione o nel serbatoio
potremmo avere locali variazioni dello stato.
La densità della CO2 varia molto in funzione della pressione e anche in funzione della profondità al
di sotto della superficie topografica (il volume diminuisce in z).

L’immobilizzazione della CO2 nelle formazioni minerali è un processo molto lento e può avvenire
con le diverse tecniche e ciò sarà funzione della profondità di stoccaggio, della densità della CO 2 a
quella specifica profondità e della pressione, della viscosità della miscela che andremo ad originare.
La quantità di CO2 che si può immagazzinare o nella fase disciolta o nella fase gassosa o in quella
solida sarà data dalla combinazione di questi diversi termini sopra. I mezzi geologici che sono più
adatti sono delle rocce serbatoio che sono ormai deplete del loro contenuto di gas o altri idrocarburi,
impiego di CO2 a fini di recupero avanzato (x stimolazione) di idrocarburi, immagazzinamento in
acquiferi salini, iniezione in
filoni di carbone profondo,
uso della CO2 a fini di
estrazione in superficie di
metano da formazioni
carboniose e poi ci sono altre
opzioni come
l’immagazzinamento della
CO2 in rocce basaltiche,
argilliti o cavità.

205
I sistemi di recupero facilitato (EOR – Enhanced Oil Recovery) o stimolato tramite l’iniezione di
CO2 si basano sul fatto che essa abbassa fortemente la viscosità dell’olio entro cui entra e allo stesso
tempo può funzionare come il gas che mantiene la pressione nel serbatoio.
In questo modo, l’olio è spinto verso il pozzo che lavora in aspirazione e all’uscita ci sarà una
separazione tra l’olio e il gas in modo da portare l’olio con l’oleodotto in produzione e la CO2 può
essere reiniettata.

Ci sono diversi aspetti che sono importanti per garantire la possibilità di iniettare sufficienti quantità
di CO2 e sono: la conoscenza netta e precisa del sistema idrologico, geochimico e meccanico e dei
processi che sono connessi; i metodi di caratterizzazione dei siti di intrappolamento, la parte di
ingegnerizzazione dei pozzi anche per ottimizzare i costi; tecnologie di recupero, monitoraggio, di
rimedio x problemi di contaminazione, limitazioni con enti di controllo e garanzia.
L’altro problema rilevante che ci può essere è quello di andare ad innescare degli eventi sismici che
risultino risentibili dalla popolazione o strutture prossime agli impianti di iniezione. Essi poi
potrebbero inficiare la stabilità delle rocce serbatoio in medio-lungo termine e quindi causare
problemi sino anche alla completa chiusura dei progetti stessi.
Gli aspetti interessanti sono: l’identificazione delle formazioni sedimentarie profonde, la
caratterizzazione geomeccanica, gli aspetti di modellazione geomeccanica (stress-strain) per
microsismicità indotta e stabilità dei pozzi, caratterizzazione della caprock cioè della copertura
impermeabile della roccia serbatoio e infine, attività sismica rilevante per fratturazione o riattivazione
faglie.

Le formazioni tipiche sono quelle di rocce serbatoio deplete per olio o gas e l’utilizzo e fattibilità è
già stata testata in alcuni siti di prova e rimangono associati una serie di problemi già detti. Per
caratterizzare i siti di maggiore interesse saranno quelli con elevata capacità di immagazzinamento,
un elevata iniettibilità o capacità di assorbire una portata rilevante di CO2 e poi la garanzia del
confinamento → deve precludere alla CO2 nel lungo termine di sfuggire.
Le formazioni più tipiche, quindi, saranno arenarie e carbonati in quanto hanno una buona porosità
da indurre una buona capacità di immagazzinamento e permeabilità. Esse devo avere bassa
permeabilità in superficie ma alta in profondità; in alcuni casi, è possibile immagazzinare in rocce a
medio-bassa permeabilità. Le iniezioni avvengono a profondità che devono essere maggiori degli 800
m per avre una pressione sufficiente da garantire la trasformazione della CO2 iniettata in CO2
supercritica. Siccome abbiamo detto che essa si comporta come un gas a bassa densità, ma ha densità

206
elevata che comunque è inferiore a quella dell’acqua e delle brine, avrà una movimentazione molto
particolare nel mezzo poroso.
In alcune formazioni sedimentarie profonde, la CO2 può essere immagazzinat con meccanismi di
trappola fisica o chimica. Le trappole fisiche includono trappole statiche in strutture stratigrafiche o
strutturali oppure trappole residuali nei pori; le trappole chimiche includono la dissoluzione della
CO2 e intrappolamento ioni metallici (cose dette prima).

I processi geomeccanici che possono essere coinvolti sono vari e sono processi di iniezione che causa
un espansione della roccia serbatoio per l’incremento delle pressioni dei fluidi e quindi una riduzione
dei pissibili sforzi efficaci. Ci sono poi degli sforzi di deformazione legati direttamente all’iniezione
e questi possono causare dei micro-sismi nell’immediata vicinanza della roccia serbatoio (figura B)
e quindi in zone vicine al punto di iniezione; la propagazione potrà poi continuare sino a raggiungere

dei piani di faglia e se questi sono permeabili, la CO2 supercritica a bassa viscosità tenderà a fluire
lungo questi piani e a portarsi verso l’alto e quindi potrebbe sfuggire e portarsi in serbatoi più
superficiali. A questo punto, si avranno alcuni problemi come una diminuzione degli sforzi efficaci
intorno al piano di faglia in figura C e quindi si può avere una riattivazione sismica; poi, avvicinandosi
alla superficie potrebbero esserci degli ulteriori sistemi di fratture aperti e perdita potenziale di CO 2
verso l’esterno.

207
Quindi, la migrazione del pennacchio può causare una serie di problemi legati alla situazione
geologica locale (nel punto di iniezione come nella figura B). Fattori come la pressione di iniezione,
gli sforzi in sito, la distribuzione e orientazione di fratture e faglie può essere determinante
nell’individuazione dei siti ideali per la realizzazione di sistemi di iniezioni. La parte sismica può
essere importante qualora si raggiungano sismi almeno di magnitudo 3.0 perché si avrà che anche
zone inattive possono essere riattivate o comunque si arriva ad un livello di disturbo forte. Inoltre,
non si sa bene cosa potrebbe succedere a livello di riattivazione di faglie nel medio-lungo termine.

Esistono dei metodi per lo studio di questi tipi di problemi e in genere si usano sistemi o simulazioni
di tipo numeriche che possono essere complesse perché devono tenere conto della parte
geomeccanica, idraulica, chimica e in alcuni casi anche della parte termica.

Iniettando gas o CO2 si potrà


osservare un sollevamento
della superficie topografica.
Quindi, all’interno della roccia
serbatoio rimettiamo pressione e
questa può risollevare e causare
un uplift all’interno dell’intera
colonna stratigrafica. Viceversa
nella fase di depletion e quindi
sfruttamento di un giacimento
oppure nello sfruttamento
ciclico di un serbatoio per
immagazzinamento di gas, avremo innalzamento dell’immissione e abbassamento nella fase di
estrazione.
Si possono eseguire dei semplici calcoli per analizzare quale potrebbe essere il sollevamento e ciò
andando a considerare la risposta dei mezzi con modalità elastiche e ciò è importante anche per i casi
visti per iniezione di gas, perché se andassimo al di fuori dal campo della risposta elastica, avremmo
un danneggiamento della roccia serbatoio, ma anche delle caprock e possibile fuga di fluidi verso
l’alto. Quindi, è possibile calcolarsi il sollevamento (Δh) in funzione dello spessore (h) della roccia
serbatoio entro cui iniettiamo; ciò deve essere in funzione del rapporto di Poisson (ν), del modulo
elastico E della roccia serbatoio, della variazione di pressione imposta (ΔP) e poi di un coefficiente
di Biot (α) che descrive il contributo dovuto all’iniezione del gas per variazione di p.

208
Il modello considerato sopra è monodimensionale (1D) e avremo una sovrastima del sollevamento
rispetto a quello reale. Il sollevamento dipende dalla pressione media nella roccia serbatoio e inoltre
avremo degli strati flessi verso l’alto e la loro rigidezza limiterà l’uplift che i può osservare in
superficie.
Inoltre, andando ad iniettare del gas in profondità causeremo anche un aumento delle pressioni
orizzontali e queste saranno legate alle caratteristiche geologiche e della sequenza stratigrafica. Si
può usare anche in questo caso, una formulazione semplice per il calcolo dell’incremento degli sfori
orizzontali a seguito dell’iniezione ad una data pressione e questa sarà funzione di un coefficiente di
Biot in funzione del coefficiente di Poisson.

PROBLEMI IDRAULICI, FISICI E CHIMICI CONNESSI ALL’INIEZIONE DI ACQUE REFLUE,


SOSTANZE PERICOLOSE E CO2; DEFINIZIONE DI AREE DI INTERESSE; INTERAZIONE
IDROMECCANICA; MULTIFASE, MONITORAGGIO DI BREVE E LUNGO TERMINE

L’idea generale è quella di parlare dei problemi dal punto di vista idraulico e idrogeologico all’interno
del mezzo poroso e anzhe dei problemi geomeccanici che ne conseguono. I problemi essenziali
riguarderanno: l’integrità del pozzo di iniezione, pozzi abbandonati, effetti dati dal galleggiamento
del fluido, effetti del flusso multifase, l’eterogeneità e stratificazione e canalizzazione dei percorsi di
flusso, la presenza di stratificazione multipla con diverse caprock e la sua performance,
caratterizzazione dei siti e monitoraggio, compatibilità o meno con l’ambiente.

I pozzi di iniezione sono stati usati fin dall’inizio degli anni ’30 per iniettare in genre delle acque di
scarto di formazione a seguito dell’estrazione di petrolio. Quindi, tali fluidi e altri di scarto della
produzione venivano reiniettati e in parte soprattutto negli anni successivi essi potevano servire come

209
facilitatori della movimentazione di olio. Per alcuni decenni si usarono pozzi per iniettare in
profondità liquami di diversa natura sia da reflui fognari sia da reflui industriali. I problemi che
ponevano questi tipi di pozzi di iniezione erano la possibilità di avere fughe di sostanze contaminanti
quindi con contaminazione acquiferi, problemi di corrosione della cementazione che isolava i fori
dalla superficie, l’intasamento dei pozzi di iniezione e poi la riattivazione di sismi.
I processi idrofisici più importanti che
devono essere considerati in presenza
di CO2 all’interno delle brine o acque
di formazione sono di 3 tipi; essi sono
problemi di tipo fisico-chimico che
riguardano la minor densità della
CO2 rispetto ai fluidi presenti e quindi
vi è un forza di galleggiamento;
l’incremento delle pressioni che può
portare a dei problemi di tipo
meccanico e poi l’interazione chimica
tra la formazione e il fluido che
iniettiamo. In genere, le iniezioni sono fatte a profondità superiori agli 800 m e geometria, la
lunghezza di interazione avranno un ruolo importante nello studio di queste tematiche. L’altra cosa
importante è l’incremento dello stato di sforzo a seguito dell’iniezione della CO2.
La CO2 supercritica ha una differenza notevole rispetto alle caratteristiche delle brine circostanti e in
particolare ha una bassa densità e ha una viscosità minore di almeno 1 ordine di grandezza rispetto
alle brine attorno e ciò ne causa una mobilità notevole. La differenza di densità ne causa un
galleggiamento e quindi uno spostamento verso l’alto. Infine, la CO2 può disciogliersi all’interno
della brina e quindi causarne una variazione delle caratteristiche e può avvenire che la densità della
brina con della CO2 disciolta, sarà più pesante della brina normale e tenderà quindi a muoversi in
profondità.

Le iniezioni di fluidi pericolosi diversi dalla CO2 hanno caratteristiche diverse e problematiche
diverse in quanto la densità tende a essere nel range di quella della brina e quindi la densità o spinta
di galleggiamento ha un effetto ridotto; mentre la viscosità rimane costante. La presenza di una
caprock è fondamentale per la CO2, ma un po’ meno pericolosa per i liquidi contaminanti in quanto
non vi è differenza di densità. Inoltre, quello che è importante per l’anidride carbonica è che vi è un

210
effetto legato alla pressione di entrata del gas e di spiazzamento dei fluidi presenti nei pori. Cosa che
invece che è minore nel caso di liquidi contaminanti.

La risposta meccanica del sistema è funzione delle pressioni di iniezione e della resistenza
meccanica e deformabilità del sistema stesso. Ciò significa che se iniettiamo a pressioni troppo
elevate potremmo avere dei fenomeni di idro-fratturazione e propagazione di fratture nel materiale
attorno al pozzo. L’effetto meccanico dei pozzi di iniezione è importante perché avremo necessità di
p elevate per la CO2 e ciò aumenta sia lo stato di sforzo sia la resistenza della roccia. Per le pressioni
di iniezione, l’impatto della CO2 è simile a quello dell’iniezione di liquidi contaminanti, mentre la
spinta di galleggiamento è dominante per la CO2. A seguito dell’applicazione delle pressioni, si può
avere che la pressione stessa si può deformare e tali modifiche posso cambiare sia la porosità della
roccia sia la porosità secondaria legata all’apertura delle fratture nel mezzo.

L’interazione chimica può essere importante per entrambi, ma in modo diverso. La CO2 può
interagire chimicamente con la formazione di minerali e la dissoluzione di CO2 dall’acqua insieme al
gradiente di T presente può indurre alla precipitazione di carbonati; ciò può modificare la permeabilità
e porosità del mezzo e quindi renderlo più eterogeneo o comunque meno permeabile.

INTEGRITY WELLS
Vediamo ora la struttura di un pozzo di
iniezione di liquami (reflui fluidi): sono
pozzi profondi perché devono isolare
l’area, hanno una tripla struttura a livello di
organizzazione dei rivestimenti: si ha un
rivestimento di superficie di grande
diametro che si intesta in un “conductor
pipe” che serve alla stabilizzazione del
pozzo nella parte sommitale, poi si ha un
“protection casing” e sotto vi è un
“injection tubing” e quindi la parte di
iniezione con il filtro e in genre essa viene
packerizzata o isolata dal tratto sovrastante
in modo da poter concentrare le pressioni
di immissione in una fascia ristretta.

211
Quindi, il surface casing protegge dalle falde superficiali, il protection casing dalle acque saline
profonde e poi l’injection tubing è usato per l’iniezione diretta dei fluidi. I materiali anche nel caso
di liquidi reflui sono il cemento e le caratteristiche delle tubazioni che devono garantire stabilità
contro la corrosione.
Per la CO2 anche qui valgono gli stessi concetti e quello che è interessante è che essa può essere
corrosiva e soprattutto i pozzi devono rimanere operativi per periodi lunghi e deve essere garantita la
stabilità o sicurezza per periodi lunghi in modo che non ci sia un rilascio della CO 2 in atmosfera
tramite vie di fuga. Ci sono molte esperienze che si basano (EOR) e esse possono applicarsi bene per
la CO2.

POZZI ABBANDONATI
L’altro problema è
che normalmente
questi sistemi per
iniezione della CO2
sono pensati in
vecchi giaicmenti
di greggio o di gas,
e quindi in serbatoi
depleti che sono già
stati sfruttati in
epoche passate. Ciò
può essere un
problema per la presenza di pozzi abbandonati e ciò vale sia per reflui contaminati sia per l’anidride
carbonica (li può usare come vie di fuga preferenziale avendo una spinta di galleggiamento
maggiore). Quindi, questo è un grosso problema e riguarda almeno 2 aree: 1. L’area immediatamente
circostante al pozzo di iniezione. La curva rossa serve solo a mostrare l’andamento delle pressione di
iniezione: avremo una zona detta “area of review” che include un area sub-circolare all’intorno del
pozzo di iniezione con estensione variabile in cui tutti i pozzi devono essere controllati perché
sarebbero vie di fuga e quindi andrebbero chiusi perfettamente; poi 2. vi è una zona “zone of
endangering influence” e quindi una zona di influenza dannosa che include la zona entro cui la
pressione di iniezione è sufficientemente alta da poter causare la fuga del fluido dalla roccia serbatoio.
Il problema principale con l’iniezione di CO2 rispetto all’iniezione di reflui è che la CO2 ha una
mobilità più elevata e il raggio di influenza impatta su un area grande che va nell’ordine anche dei

212
10km. Ciò significa che se si lavora in un’area dove vi erano giacimenti di gas, ci saranno nell’area
di interesse diverse decine o centinaia di pozzi che possono esser e un problema. Si è notata che la
qualità dell’isolamento di molti pozzi è bassa o si è deteriorata nel tempo da rendere pericolose alcune
pratiche. In genre, quando un pozzo viene abbandonato è cementato internamente e quello che può
accadere che in pozzi abbandonati in presenza i brine o CO2 o con fluidi reflui, possono esserci
attacchi di diversa natura sia sul rivestimento metallico sia sulla cementazioni interna ed esterna. Ciò
può portare ad avere percorsi di fuga dove i fluidi profondi o iniettati o derivanti da altre formazioni
attorno, possono inserirsi e andare a causare ulteriori problemi di corrosione e contaminazione.
Quindi, ciò può essere importante in entrambi gli ambienti e potrebbe essere anche fattibile per alcuni
fluidi reflui che sono iniettati, trattarli in modo da diminuirne l’impatto dal punto di vista della
corrosività.
L’altro problema che possiamo avere, è che questi fluidi di diversa natura e acidi, possono portare
all’attacco del cemento che forma gli elementi isolanti e in particolare si può avere la dissoluzione
dell’idrossido di calcio presente nelle miscele cementizie e il suo consumo può comportare una
migrazione ionica e quindi sia una precipitazione sia una dissoluzione. Quindi, in questi casi col
passare del tempo, si osserva un avanzamento del fronte di alterazione e peggioramento progressivo
delle caratteristiche del materiale cementante.

EFFETTI PER GALLEGGIAMENTO DEL FLUIDO


L’effetto di galleggiamento abbiamo detto che è rielvante e tale
tendenza al galleggiamento può essere studiata tramite un indice che
ci dà un’idea di quanto sia importante la convezione forzata ossia
un flusso convettivo forzato rispetto a un flusso da galleggiamento.
Se prendiamo la relazione sopra si vede che viene messa in relazione la portata (Q) e la viscosità (μ)
al numeratore, mentre al denominatore vi è una componente di tipo gravitazionale (gΔρ), lo spessore
B dello strato della zona di iniezione e kx e kz sono il prodotto delle due conducibilità idrauliche
assumendo che nell’orizzontale sia costante. Quindi, tale relazione ci aiuta nell’analisi del contributo
della parte legato alla viscosità rispetto alla parte legata al galleggiamento e all’anisotropia (differenz
delle k).
Siccome, il flusso per galleggiamento della CO2
tende a risalire verso l’alto, quello che avremo è che
se iniettiamo nella zona, la CO2 sale come nel
disegno e va ad accumularsi contro la caprock
sovrastante (forma conica), mentre se avessimo un

213
fluido neutro dal punto di vista del galleggiamento (stessa densità) la distribuzione sarebbe uniforme
(rettangolo centrale nello schema).

EFFETTI DI UN FLUSSO MULTIFASE


Esistono poi dei problemi legati al fatto che noi iniettiamo un fluido supercritico che a causa di
variazioni di pressione e T può andare incontro a delle variazioni. Dalla fase supercritica, potremmo
passare ad una fase liquida oppure gassosa. In alcuni casi, potremmo averle anche tutte e tre insieme.
Inoltre, quando sia ha un problema multifluido bisogna sapere quale sia bagnante e non bagnante e
se siamo in una fase di imbibizione o drenaggio.
Vediamo che cosa può
succedere nel caso in cui si
ha un pannello di roccia in
figura sotto che
rappresenta un elemento
permeabile in cui si inietta
a una profondità verde la
CO2 in pressione e
vediamo cosa accade ad
una distanza x e vediamo che tale gas può defluire verso la superficie. Nella simulazione a dx, la linea
verde e rossa tratteggiata si riferiscono alla distanza di 1 m e 175 m dal pozzo di iniezione. Se siamo
a 1 m all’inizio segue un comportamento simile a quella con condizioni costanti (curva rossa), ma
siccome durante l’iniezione mettiamo una p di 10 bar rispetto alla pressione in sito, la CO2 tende a
galleggiare verso l’alto e si espande, si raffredda e la CO2 cambia di fase e passa da una fase
supercritica a una fase gassosa + liquida; quindi la fase diventa multipla e si stacca dal comportamento
a T costante e inizia ad oscillare sia in vicinanza (linea verde) sia in lontananza (linea rossa, qui vi è
subito un distacco dal comportamento a T costante e l’oscillazione è legata ad un interferenza tra le
diverse fasi). Se invece si considera il caso della linea blu che è quello in cui si ha un passaggio a 3
fasi e quindi l’interferenza diventa maggiore e ciò è legato al fatto che il fluido viene scaldato
lateralmente dalla roccia sottoposta alla T ambiente e quindi ciò favorisce l’ebollizione della CO 2
liquida e produce 3 fasi. Ciò complica ulteriormente e quello che si osserva un effetto ciclico
maggiore rispetto a quello precedente.

214
ETEROGENEITA’ E CANALIZZAZIONE DEL FLUSSO
Ci sono poi dei problemi legati
all’eterogeneità per esempio ci può
far venire in mente alcuni
esperimenti di insufflaggio di acqua
in profondità che causa uno
spargimento di fluidi su grandi
sezioni. Le eterogeneità dominanti
saranno di tipo stratigrafico, presenza
di faglie, composizioni deposizionali
miste, la compartimelizzazione
(limiti geologici) e sistemi
canalizzati. Nell’esempio a lato si
vede che si inietta CO2 che si propaga
all’interno della roccia serbatoio e trovando diverse eterogeneità che possono essere anche faglie,
essa migra sfruttando la propria minor viscosità lateralmente e la minor densità per viaggiare
verticalmente. Mentre le lenti di materiale impermeabili sono aggirate dal
flusso (linee nere).
Se si ha un sistema multi-layer per un refluo contaminante si ha una
condizione ideale perché ci dice che se abbiamo uno strato impermeabile e
iniettiamo, si potrà avere una fuga di materiale verso l’alto, ma se ci fosse
un altro serbatoio sopra si avrebbe una diminuzione della concetrazione a
mano a mano che risale. Ciò però non è fondamentale per un fluido che ha
minime variazioni di densità rispetto al fluido entro cui è immesso.
Per la CO2, invece, si sa che essa è molto meno densa e tenderà a fuggire
tramite tutte le vie di fuga che trova. Inoltre, piccole perdite di CO2
potrebbero essere non determinanti: si pensi di estrarre anidride carbonica dall’atmosfera e la
iniettiamo in profondità e quindi anche se il sistema non è efficiente al 100% comunque togliamo
dall’atmosfera il 99%.

EFFETTI DEL CAPROCK E IDRODINAMICA


Esistono poi degli altri problemi di efficacia e di tenuta della caprock e ciò significa che una caprock
dovrebbe avere poche fratture ed essere poco permeabile e poco porosa, ma noi con incremento di
pressione potremmo creare nuove fratture o aprime fratture già esistenti. Inoltre, aumentando la

215
pressione di iniezione, se la pressione aumenta troppo rispetto a quella litostatica potremmo avere
fenomeni di idro-fratturazione spinta e quindi con possiblità di fuga del fluido.
L’iniezione di CO2 risulta in un aumento della pressione dei fluidi e questa si può propagare a distanze
più o meno grandi. Si pensi di essere in un ambiente a tensione dominante compressiva e di iniettare
la CO2. Essa tenderà a
risalire verso l’alto,
pensiamo che trovi una via di
fuga attraverso la caprock e
arriverà nello strato
sovrastante e quindi avremo
delle zone di pennacchio di
CO2 che sfuggirano ogni
volta che si attraversa una
delle caprock multi-layer per
arrivare in un'altra roccia
serbatoio. Ciò porterà ad una
variazione della pressione
dell’anidride carbonica e quindi anche ad una variaizone di fase e causare dei problemi. Ma, la cosa
che è interessante è che mano a mano che la CO2 sale e diminuisce gli sforzi efficaci, può riattivare
delle fratture o in un ambiente con sforzo orizzontale dominante, può favorire nuove fratture. In
questo caso se si è in un ambiente compressivo, le
forze dominanti generate causeranno una rottura per
taglio o a basso angolo rispetto all’orizzontale. Quindi,
potremmo o fagliare la roccia oppure riattivare
preferenzialmente queste discontinuità o quelle che
sono a basso angolo come anche i piani di contatto tra
le diverse unità. Quindi, è fondamentale conoscere lo
stato di sforzo iniziale, per saper ein che tipo di
ambiente siamo.
Invece, in un ambiente distensivo come regime di sforzi si avrà che la situazione è opposta e la
generazione di fratture o la rimobilizzazione di faglie avviene per quelle che sono verticali. Ciò può
essere un problema nel senso che può facilitare la fuga verso l’alto dei fluidi. Quindi, è una condizione
tra le più sfavorevoli che si può incontrare perché si può avere una diffusione di fratture molto alta.

216
Nel caso, invece, di una condizione di tipo isotropo si avrà che la propagazione delle fratture è
rallentata soprattutto per quelle di taglio e non avendo questa propagazione avremmo una condione
che è in genere preferibile.

CARATTERIZZAZIONE SITI E MONITORAGGIO


Per tutti questi problemi si rende necessario arrivare ad un monitoraggio esteso delle caratteristiche
della roccia serbatoio, dell’acquifero in una zona maggiore di quella degli studi su fluidi reflui e
pericolosi iniettati perché la propagazione è maggiore. Quindi, le caratteristiche degli acquiferi, degli
acquitardi, delle caprock e delle diverse sequenze di caprock a diverse profondità sono rilevanti così
come l’orientazione dei sistemi delle fratture rispetto allo stato tensionale locale. Per i reflui, in genre,
il monitoraggio sarà limitato perché ha meno problemi e come tempistica sono pericolosi, ma hanno
meno problemi perché legati ad un uso limitato nel tempo e ha una pericolosità limitata rispetto a
quella della CO2 in quanto di muovono meno. Quindi, è importante il monitoraggio, ma sarà locale e
meno duraturo nel tempo.
Viceversa, per la CO2 bisognerà indagare aree vaste sia dal punto di vista geologico sia dal punto di
vista delle fratturazioni, delle caprock, della continuità delle caprock, della presenza di faglie, stato
di sforzo e dei parametri di controllo e loro variazioni che possono essere imposte dalle operazioni.
Infine, è bene indagare la frequenza temporale e spaziale che sarà maggiore in entrambi i casi.
Ci sono 3 fasi che vanno considerate per il monitoraggio: 1. Operativa e di 2. verifica e cioè durante
la fase di iniezione e a seguito di essa per verificare che il comportamento sia adeguato a quello che
era stato progettato e dimensionato, 3. A fini ambientale cioè che esso dovrà essere sviluppato su
tempistiche lunghe perché dovrà verificare che non ci siano fughe di anidride carbonica.
Ci sono vari metodi di monitoraggio diretti o indiretti, tra cui quelli di tipo geofisico che prevedono
la possibilità tramite misure di resistività elettrica, la possibilità di monitorare l’avanzamento o fuga
di CO2 attraverso gli acquiferi o la caprock.
217
Nel caso sopra, si vede la resistività che cresce (rosso) a causa dell’arrivo della CO2 nel sistema
rispetto alle zone in cui la resistività decresce o perché è più bassa in origine oppure decresce per
dissoluzione in acqua di essa (verde)

COMPATIBILITA’ AMBIENTALE
Infine, l’iniezione di CO2 causa in genere un aumento dell’acidità delle acque e quindi ciò può
causare l’incremento della solubilità di metalli pesanti che sono presenti nella fase minerale della
roccia o dei terreni delle caprock o minerali che sono assorbiti sulla superficie di altri minerali.
Quindi, tale dissoluzione può essere pericolosa e può movimentare all’interno di acque sfruttabili a
fini idropotabili o irriguo di contenuti di metalli epsanti pericolosi.
Ciò potrebbe anche avere una conseguenza anche sulla porosità tramite precipitazione e/o
dissoluzione di fasi minerali.

218
Cap. 10 Fisica delle rocce

MECCANICA DELLE ROCCE E FISICA DEI MATERIALI, COMPORTAMENTO DEI GAS,


POROSITA’, FLUIDI BAGNANTI E NON, TENSIONE SUP. E D’INTERFACCIA, PRESSIONE
CAPILLARE

In questo capitolo vedremo quali sono le proprietà fisiche delle rocce che sono importanti per
l’estrazione di idrocarburi, gas e sfruttamento di riserve sotterranee. La meccanica delle rocce è
importante perché può avere influenza sui costi e durate delle perforazioni, sulle condizioni di
sicurezza e affidabilità delle operazioni di perforazione, possono essere usate nella fase di
progettazione per aumento delle performance delle rocce serbatoio, per analizzare la stabilità delle
perforazioni e poi per la caratterizzazione delle formazioni nel mezzo.

Qui sopra abbiamo due diagrammiche ci fanno vedere 2 set di curve per litologie diverse e come varia
la porosità in funzione del carico (profondità) a sx e come varia la permeabilità con la profondità a
dx. La differenza tra porosità e permeabilità è che la seconda è il frutto solo delle caratteristiche
geometriche e dimensionalmente si esprime come un area. Quello che vediamo è che diverse litologie
hanno diverse curve. Quindi materiali ghiaiosi con alta porosità e minor compattabilità e materiali
argillosi con bassa porosità e maggiore compattibilità. Infine, nel grafico a dx, le argille hanno minor
permeabilità e le arenaria maggior permeabilità.

219
L’altra cosa da ricordare è lo stato di sforzo che controlla un sacco di aspetti nei nostri problemi tra
cui la movimentazione di fluidi in mezzi porosi e nel nostro caso è rilevante anche per gli stati di
sforzo in situ e gli sforzi su una perforazione che può favorire l’estrazione o dei problemi. In genere,
sappiamo che per descrivere uno stato di sforzo abbiamo bisogno di una matrice (tensore degli sforzi
con 9 componenti→6). Inoltre, vi sono stati di sforzo diversi in funzione dellambiente come tettonico
o geodinamico. Poi, gli sforzi possono controllare lo stato di sforzo delle formazioni e quindi anche
le pressioni neutre. È importante per ottenere una caratterizzazione ideale del sito avere l’orientazione
e magnitudo degli sforzi e andare ad analizzare gli effetti sulla loro evoluzione.
Esistono diverse tecniche per la misurazione degli sforzi in situ e si possono basare su dei log o misure
in pozzo o anche su delle osservazioni in superficie (tra esse vi è la fratturazione idraulica). Esistono
altre tecniche come l’osservazione della geometria in foro a seguito dell’applicazione degli sforzi
oppure tramite altre tecniche.
Ci sono diversi problemi che possono insorgere quando si ha uno stato di sforzo elevato e questi
possono andare dalla
rottura del foro
(quando si hanno sforzi
elevati tali da superare
la resistenza della
litologia, primo grafico
in alto→ inviluppo a
rottura), fenomeni per
applicazione di carico
con comportamento
particolare dei
materiali ad es. plastico (grafico 2), un comportamento viscoso (grafico 3, creeping con fluire del
materiale attorno al foro spingente verso esso) e si possono avere delle rotture legate a pressioni dei
fluidi elevate che possono essere utili sia dal punto di vista della fratturazione idraulica sia possono
creare dei problemi (grafico 4).

I sistemi di idrocarburi presenti naturalmente nei serbatoi di petrolio sono miscele di composti
organici che hanno un comportamento multifase su ampi intervalli di p e T. questi accumuli di
idrocarburi possono verificarsi allo stato gassoso, liquido, solido o in varie combinazioni. Queste
differenze di comportamento di fase, insieme alle proprietà fisiche della roccia del serbatoio danno
luogo a diversi tipi di serbatoio di idrocarburi con comportamenti complessi. I serbatoi di petrolio

220
sono classificati come serbatoi di petrolio o gas; queste classificazioni sono poi suddivise in funzione
della composizione della miscela, di p e T iniziali del serbatoio e di p e T della produzione superficiali.
Le condizioni in cui esistono queste fasi sono una questione di notevole importanza pratica. Le
determinazioni sperimentali o matematiche di queste condizioni sono espresse in diversi tipi di
diagrammi comunemente chiamati diagrammi di fase.
Il grafico sotto ci fa vedere come il giacimento si comporta in funzione della distribuzione di tali
curve che ci rappresentano la frazione liquida presente. In particolare si hanno 3 campi (liquido,
gassoso, liquido+gas). Si osserva a dx la dew point curve ossia la curva in corrispondenza della quale

si osservano delle condensazioni del gas e poi a sx una bubble point curve ossia una curva dove si ha
la prima comparsa di fase gassosa (slide 11 →23, già fatta in precedenza).

È interessante poi fare un cenno alle proprietà dei gas naturali in quanto noi abbiamo metano, etano
propano, butano, pentano e altri gas. Inoltre, nei giaicmenti possiamo avere anche altri gas non
idrocarburie che sono la CO2, l’H2S e altri gas. Le proprietà dei gas che ci interessano sono: il peso
molecolare,la gravità specifica, il fattore di compressibilità, la densità, il volume specifico,
compressibilità gas isotermico, volume del gas formazione, fattore di espansione e viscosità.
Il comportamento di un gas naturale è alla base della teoria della cinetica dei gas e ciò vede le
molecole dei gas come delle particelle a comportamento elastico, che possono incidere l’una contro
l’altra in urti e quindi con delle risposte elastiche senza attrazione o repulsione. Esiste alla base della
teoria cinetica dei gas, l’equazione di stato che può essere derivata mettendo in
relazione le variabili più importanti: p, V, T e numero di moli n. Il numero di moli di gas per kg di
gas è definito come il peso del gas che è diviso * il numero di moli totali. Da qui possiamo riscrivere
l’equazione di base
sostituendo n con la relazione sopra, nel modo seguente:
221
Una delle proprietà interessanti dei gas è il peso molecolare apparente Ma è ciò significa che il peso
molecolare è dato dalla sommatoria dei contributi delle diverse frazioni molari per ogni gas specifico.

L’altra cosa importante è che si usa spesso la definizione di standard volume o si parla di condizione
STP ossia condizioni di pressione e T standard. Il volume standard è
quello occupato da 1 kg/mole di gas a p e T di riferimento che in genre
sono quelle standard. Se si applica questa condizione e si risolve per il
volume, si ottiene una relazione per il volume in condizioni
standard. Inoltre, possiamo definire una relazione eguale per
una miscela di gas (a lato dx). Sotto, si ha la defiinizione di
volume specifico che è il volume occupato da una
unità di massa del gas.

La gravità specifica è definita come il rapporto tra la densità del gas rispetto a quella dell’aria.
Possiamo arrivare a scrivere che il peso molecolare apparente sul peso molecolare dell’aria è pari alla
gravità specifica.

In genere, quando si lavora coi gas a pressioni basse, la legge dei gas perfetti rimane valida. Invece,
lavorando ad alte pressioni possiamo avere uno spostamento forte dalla legge dei gas ideali con errori
del 500%. La ragione per cui si osservano tali variazioni è che la legge dei gas perfetti è stata derivata
mantenendo valida l’assunzione che il volume delle molecole fosse trascurabile e che l’attrazione e
la repulsione tra le molecole fosse basso; ma quando si arriva a pressioni elevate ciò non è più vero,
perché le molecole sono più ravvicinate ed esistono dei problemi.
L’altra cosa è che proprio per questo motivo deve essere introdotto un fattore di correzione per la
compressibilità del gas (z) che è un fattore adimensionale di correzione che è inserito nella relazione
per correggere lo spostamento dal comportamento ideale. “z” è definita come il rapporto tra il volume
reale di n moli di gas a T e p di rif. Rispetto al volume ideale dello stesso numero di moli alle stesse
condizioni di p e T.

222
Ora andiamo a ripassare alcune delle proprietà standard sapendo che i materiali sono dei materiali
che in origine erano sciolti e che poi sono stati via via consolidati e cementati da diversi tipi di
particelle che possono essere silice, calcite o argilla.
Le proprietà fondamentali sono: porosità, permeabilità, grado di saturazione che derivano
dall’analisi su carotaggi e quindi su campioni prelevati nel giacimento; poi vi sono prve particolari
che si riferiscono al carico di pressione totale, alla pressione capillare, bagnabilità, permeabilità
relativa e tensione di interfaccia.

POROSITA’
La porosità di una roccia è la misura della capacità di
immagazzinamento di fluidi al suo interno. Quantitativamente,
la porosità è il rapporto tra il volume dei pori e il volume totale.
I può parlre anche di porosità assoluta e effettiva in funzione se
si parla di quella totale o di quella interconnessa che ci
garantisce la movimentazione dei fluidi.
Esistono, poi delle relazioni carico/porosità in cui in funzione
dei materiali si ha diverso andamento. La porosità totale o
assoluta è il rapporto del volume dei pori e il volume totale; la
porosità efficace è definita anche porosità interconnessa ed è
definita dal rapporto tra il volume dei pori interconnessi e il volume totale. Nel caso di mezzi
stratificati è importante descrivere la porosità verticale o orizzontale.

GRADO DI SATURAZIONE
Si può avere saturazione in gas, in olio, in acqua ma che in presenza di olio potremmo avere acqua e
in presenza di gas potremmo avere sia acqua sia olio. La saturazione misura il volume dei vuoti
occupati da un fluido all’interno di un mezzo poroso e va da 0 a 1. I fluidi in molti serbatoi
raggiungono l’equilibrio e sn divisi tra loro in funzione della loro densità. L’acqua presente nei
serbatoi è quella connata ovvero l’acqua di formazione. Il problema è che noi nel serbatoio avremo
sempre presenza di altri fluidi oltre a quelli puri solo gas, solo olio o solo acqua e quindi possono
esserci forti interazioni tra i diversi fluidi e le forza che trattengono l’acqua nella zona in presenza di
olio o gas sono delle forze capillari. L’acqua connata è importante perché riduce lo spazio disponibile
tra olio e gas: in genere, essa non è uniformemente distribuita nel serbatoio, ma varia con la
permeabilità, litologia e quota della tavola d’acqua. Esistono delle saturazioni critiche per cui
osserviamo che è impossibile avere movimento se non raggiungiamo quella saturazione critica:

223
ovvero dobbiamo superare tale valore affinchè l’olio possa mettersi in moto. La saturazione residua,
invece, si ha nella fase di spiazzamento del greggio dal sistema attraverso gas o acqua o altro fluido
e durante tale fase ci sarà una parte che rimarrà in posto: tale quantità è rappresentata da un valore di
saturazione maggiore della saturazione critica dell’olio. Il termine saturazione residua è in genere
associato al fluido non bagnante. Si può poi descrivere qual è il volume di olio che è effettivamente
mobile nel sistema, dove Swc è il grado di saturazione di acque connate e Soc è la saturazione critica.

Mentre mettiamo in produzione un giacimento in cui si ha dell’olio al di sopra dell’acqua, si può


avere che l’olio sia depressurizzato e raggiungere la bubble point pressure ossia un punto sulla curva
di bubble in cui si ha la comparsa della fase gassosa mano a mano che il sistema è depresso. Ciò
significa che nei pori comparirà di colpo delle bolle di gas. Il gas rimarrà fermo sino a che non
raggiungeremo un grado di saturazione critico. Essa ci consentirà la movimentazione del gas. Stessa
cosa, può accadere con la saturazione critica in acqua che è detta saturazione nelle acque connate o
saturazione irriducibile in acqua. Essa ci rappresenterà il massimo contenuto di acqua per cui l’acqua
rimane immobile.

BAGNABILITA’
La bagnabilità è
la tendenza di un
liquido in presenza
di un altro fluido
di bagnare una
superficie solida
particolare. Qui a
lato si hanno 3 condizioni di fluidi bagnanti in presenza di aria: mercurio, idrocarburo olio e acqua.
Si osserva che l’acqua sul solido in presenza di aria h la tendenza a comportarsi da fluido bagnante.
Ciò è descritto anche dal valore di angolo di contatto piccolo. Se il valore cresce, il fluido tende a
minimizzare la superficie di contatto, mentre l’acqua la massimizza. L’angolo di contatto è messo
spesso in funzione del peso molecolare e quindi del numero di atomi di carbonio presenti del
composto.
Si è visto che se si ha un capillare in un serbatoio, si ha risalita del fluido in uno stato tensionale con
tensione negativa. Si ha formazione di un menisco che sarà funzione delle proprietà del solido a
contatto coi fluidi e in particolare si qui acqua + greggio. Il menisco cambierà geometria in funzione
224
che sia l’lio che muove l’acqua o viceversa. Quindi, in questo caso, si ha l’acqua spostata dall’olio a
dx e viceversa a sx.

Il menisco tende a divenire via via più piatto a mano a mano che l’olio intrude all’interno dell’acqua
e viceversa nell’altro caso. Ciò significa che se siamo in avanzamnto dell’olio o dell’acqua o in
condizioni statiche quello che si avrà è che cambierà l’angolo di contatto. Ciò significa che si può
modificare anche la tensione o la forza applicata in corrispondenza di questi diversi punti. L’ordine
di arrivo può controllare la bagnabilità.

TENSIONE DI INTERFACCIA
Questo comportamento particolare dell’acqua è legato al fatto che essa può costituire una sorta di
membrana legata al fatto che le particelle di acqua siano legate tra loro e in presenza di una interfaccia
aria-acqua, le molecole sentiranno un attrazione verso l’interno diversa da quella che sentono verso
l’esterno. Il legame tende ad essere più forte verso l’interno e più debole verso l’esterno. Quindi, le
molecole di acqua tendono a formare un legame tra di loro e tendono a costruire una membrana che
costituisce la parte di interfaccia. In genere, si parla di tensione superficiale quando siamo tra aria e
liquido e di tensione di interfaccia se siamo tra due liquidi.
Ciò ci porta negli usi comuni ad una risalita capillare e la tensione di interfaccia la si misura in
dynes/cm o comunque essa è una forza per unità di lunghezza.

CAPILLARITA’
In un giacimento petrolifero, si hanno più fluidi presenti e quindi si hanno sia effetti di superficie sia
effetti di interfaccia in funzione della presenza di diverse fasi. Esse saranno controllate dal solido,
dalla dimensione dei pori, geometria dei pori e dalle caratteristiche di bagnabilità dei fluidi nonché
dal loro comportamento reciproco. Ogni superficie curva tra due fluidi immiscibili ha la tendenza a
contrarsi andando ad occupare l’area più piccola possibile per unità di volume. Quando due fluidi
immiscibili sono messi a contatto, si ha una discontinuità di pressione tra essi e ciò è funzione della

225
curvatura dell’interfaccia di separazione tra i fluidi e questa differenza di pressione è detta pressione
capillare.
Se chiamiamo la pressione del fluido bagnante pw e quella non bagnante pnw, la pressione capillare
sarà data da.

Ne consegue che per mantenere un mezzo poroso parzialmente saturo con un fluido non bagnante,
mentre il mezzo poroso è esposto ad un fluido bagnante ad es. gas e acqua, è necessario mantenere la
pressione del fluido non bagnante ad un valore maggiore di quello del fluido bagnante perché
altrimenti il fluido non bagnante viene espulso.
Per studiare la capillarità, ci calcoliamo la forza legata alla
tensione superficiale σgw * la circonferenza del tubo
(2πr) * cos θ (perché a noi serve la componente verticale
della forza applicata dalla tensione superficiale perché
deve contrastare il peso della colonna del fluido).

Poi vi è la forza contraria che è data dalla seguente


relazione. Se siamo in una condizione in cui la
differenza delle due densità è estrema perché ad es. quella dell’aria è molto piccola rispetto a quella
dell’acqua, allora si ha la relazione seguente in cui il peso esclude quella
della colonna di aria.
Quello che andiamo a fare è mettere in equilibro le due forze e quindi eguagliarle, possiamo calcolarci
la sigma gw (superficiale).
Se abbiamo invece un interfaccia in cui si ha olio e acqua il problema sarà che la densità dell’olio non
è trascurabile e quindi dobbiamo tenere conto della differenza tra le densità. E in questo caso
troveremo la sigma oc (interfaccia).
La pressione capillare è quindi la pressione in eccesso nel fluido non bagnante. Nelle rocce serbatoio
potremmo avere 3 condizioni diverse: pressione capillare acqua -olio, pressione gas-olio e pressione
gas-acqua. Se tutte e 3 le fasi sono continue, si avrà che la pressione del gas-acqua sarà uguale alla
pressione del gas-olio + la pressione dell’acqua-olio.
(slide compatte 63→65)
In una roccia serbatoio avremo che la situazione è complessa perché avremo pori di dimensioni
diverse e la tensione capillare sarà funzione della tensione di interfaccia, dell’angolo di contatto e del
226
raggio del poro. Il problema sarà determinare delle prove di laboratorio per arrivare a fissare dei valori
di tensione capillare e/o pressione capillare nei pori.
La relazione sarà funzione del fatto che il materiale viene imbibito o
drenato e quindi c’è un ciclo di isteresi in funzione se avremo drenaggio
o imbibizione. In genere, le prove di laboratorio possono essere pensate
in modo da replicare la storia di saturazione della roccia serbatoio.

CURVA CARATTERISTICA PRESSIONE VS GRADO DI SATURAZIONE, ACQUE


CONNATE, PAY ZONE, DRENAGGIO E IMBIBIZIONE, PRESSIONE DI ENTRATA E
SPIAZZAMENTO, EFFETTI DELLA DENSITA’ E PERMEABILITA’ E MISURA GAS,
EFFETTO KLINKENBERG.

La cosa che ci interessa discutere è la


possibilità di avere un materiale che contiene
fluidi di diversa tipologia che possono essere
dei gas o dei liquidi. La condizione che si
vuole simulare è quella di un mezzo poroso
che è saturo in uno o più fluidi e lo
sottoponiamo a una condizione di estrazione
di tale fluido attraverso un gas che è messo in
pressione nella camera entro cui il campione è
contenuto. In pratica, il gas preme sul campione e tende ad entrare all’interno dei pori spiazzando il
fluido presistente spingendola verso la pietra porosa, attravreso cui esce. Ad un certo punto, ci sarà
un inizio della sostituzione che avverrà una volta che si saranno raggiunti dei valori di sforzo o
comunque di pressione sufficienti.
Quindi, è necessaria una pressione detta “pressione di
spiazzamento” affinchè il fluido non bagnante riesca a
spostare dai pori il fluido bagnante. Il fluido bagnante satura
inizialmente al 100% il campione e quindi si deve far uscire
tale fluido, diminuendo progressivamente il grado di
saturazione in acqua e aumentare quello in aria. Affinchè,
l’aria possa vincere la resistenza ad uscire dal mezzo poroso
del fluido bagnante sarà necessario applicare un minimo di pressione. Nel caso a lato si ha una curva

227
rappresentata in un diagramma risalita capillare-grado di saturazione (ψ-S): il grado di saturazione è
massimo a destra e si vede che esso rimane costante al valore 100% sino a che non viene raggiunta
la linea tratteggiata che indica un determinato valore di pressione oltre il quale il grado di saturazione
inizia a cambiare. Si osserva, poi, che ad un certo punto, pur aumentando la pressione si arriva ad una
condizione in cui non si riesce più a far diminuire il grado di saturazione e quindi vuol dire che nei
pori rimane dell’acqua, nell’intorno si avrà dell’aria. Questa è l’acqua connata. Quindi, la pressione
di spiazzamento iniziale è pari al valore dall’asse x alla linea tratteggiata che
è funzione della tensione di interfaccia, dell’angolo di contatto e del raggio
dei pori del mezzo.
Aumentando progressivamente la pressione (ricordiamoci che abbiamo definito la p capillare come
la differenza tra la p non bagnante e quella bagnante) e quindi noi abbiamo una certa pressione del
fluido bagnante nel mezzo poroso e dobbiamo esercitare una pressione in eccesso su di esso che è
rappresentata dalla pressione del fluido non bagnante.

Si assuma una colonna di sabbia che può essere satura e


quindi messa sotto alla falda e alla base un serbatoio. Essa
sgocciolerà e sarà soggetta ad un drenaggio; mentre in un
altro caso in cui si ha sempre una colonna di sabbia asciutta
appoggiata sopra ad una falda di acqua si avrà imbibizione
perché l’acqua sarà adsorbita verso l’alto e raggiungerà una
quota massima oltre cui non riuscirà a risalire. Ai due
processi corrispondono due curve simile che insieme
costituiscolo l’isteresi capillare rappresentata nel grafico a
lato. Quindi, il terreno può essere soggetto a diversi cicli di
saturazione e desaturazione, noi possiamo avere una coppia di curve con una curva di drenaggio
sovrastante ed una di imbibizioe sottostante. La curva di drenaggio rappresenta il caso in cui si ha la
migrazione dell’olio all’interno della roccia porosa e quindi si ha uno spiazzamento dell’acqua,
invece, nell’altro caso si ha l’acqua che spiazza l’olio.
Le differenze possono essere dovute alla geometria ei pori e all’ink-bottle
effect ossia se si ha un capillare con un bulbo in fase di imbibizione quando
arriva a tale punto non riesce a vincere perché non vi è abbastanza tensione
superficiale per risalire il tubo; viceversa, nella fase di desaturazione si ha la
condizione opposta, saturo al di sopra del punto di ginocchio e la colonna

228
d’acqua trova l’equilibrio in una posizione in cui il diametro è inferiore a quella del punto di
ginocchio.

Noi abbiamo il grafico a lato dove


sull’asse x si ha il grado di
saturazione in acqua e sull’asse y
la risalita capillare. L’asse x
rappresenta la superficie libera
dell’acqua (free water level →
FWL); poi possiamo applicare
progressivamente al fluido non
bagnante una pressione che è fatta
crescere sino a che l’olio inizia a
spiazzare il fluido bagnante che è
l’acqua. A mano a mano il fluido non bagnante incrementa nel suo contenuto in quanto diminuisce
quella dell’acqua. Il tratto verticale lineare rappresenta il valore massimo di desaturazione con
saturazione dominante in olio e riducibile in acqua ossia la oil pay zone ossia quella zona in cui si
può estrarre il 100% di olio perché l’acqua è in fase connata ed essendo in tale fase è immobile nei
pori del terreno. Invece, nella zona di transizione potremmo estrarre una miscela di acqua e olio in
quanto il grado di saturazione in entrata è ancora sufficientemente elevato da consentire la
mobilitazione di entrambi. Si assuma di avere un serbatoio come quello a dx nello schema sotto con
due interfacce gas-olio (O-G) e olio-
acqua (W-O). l’acqua connata è alla
base del serbatoio, in mezzo l’olio e
sopra il gas cap. la cosa che si osserva
è che mentre noi tracciamo un
interfaccia essa deve essere sostituita
con una zona di transizione in cui si ha
una desaturazione progressiva nel
fluido sottostante e una saturazione
crescente nel fluido sovrastante. Quello che ci interessa quindi, è andare a definire quale potrebbe
essere lo spessore della zona di transizione e quale sarà il valore di saturazione residua per cui
all’interno del mezzo poroso, il fluido a basso grado di S inizierà a rimanere immobile.

229
Quindi, questa divisione è importante e ci aiuta a definire dove possono essere posizionate le zone di
transizione sia la WOC (water oil contact) sia la GOC (gas oil contact) e la FWL. In particolare, la
FWL rappresenta la condizione di pressione capillare nulla perché siamo al
contatto con la tavola d’acqua e quindi per calcolarla si userà la relazione a
lato in cui pd è la pressione di entrata dell’olio per spiazzare l’acqua e il delta
è la differenza di densità di olio e acqua.

All’interno del mezzo poroso potranno esserci più tubi capillari per cui in funzione della variabilità
dei raggi dei tubi capillari e della differenza dei tubi capillari, il primo tubo capillare a svuotarsi sarà
quello a diametro maggiore cioè quello in cui la pressione capillare sarà minore.
La zona di transizione h la si può definire se conosciamo la tensione di interfaccia tra i due fluidi,
l’angolo di contatto tra essi, il raggio dei pori e la differenza di densità.

Il delta di densità è importante perché la differenza di densità tra olio e acqua non è trascurabile, in
quanto la densità dell’olio è più piccola di quella dell’acqua. Se cambiamo olio o se la sua densità
cambia, può accadere che se abbiamo un olio più pesante si avrà che la
differenza tra le due densità diventa piccola e quindi h in corrispondenza
diventerà grande. Quindi, ciò significa che se abbiamo un low gravity oil
(API grande) rispetto ad un high gravity oil (API piccola).
Si ha poi anche una dipendenza inversa con il raggio del tubo capillare e
quindi si sa che nel caso dei pori con l’equazione di Poiseuille la permabilità
intrinseca è funzione ad un parametro geometrico e in particolare al

230
diametro al quadrato dei pori; se il raggio è piccolo e se lo elevo
alq uadrato diventa ancora più piccolo, la K diminuirà. Quindi, al
diminuire del raggio si avrà un aumento della risalita capillare.
Quindi,
possiamo
schematizzare le
curve come a sx
in cui si ha
sull’asse y la
risalita capillare
e sull’asse x la
saturazione S. Aumentando progressivamente la K
verso destra, la curva di saturazione si sposta verso
destra.
Se si ha un giaicmento e si pensi di avere un materiale disuniforme e quindi che è gradato, potremmo
passare da un materiale grossolano a uno più fine otteniamo il grafico sotto. A mano a mano che ci si
sposta le curve cambiano e ciò significa che si ha una variazione granulometrica mano a mano che ci

spostiamo da un terreno all’altro e le curve ce lo rappresentano. Si otterà una linea tratteggiata


inclinata che è l’interfaccia acqua-olio, perché si ha una variazione di saturazione. Quindi, mano a
mano che il terreno diventa fine, la curva porta ad una variazione della FWL e ciò perché la nostra
zona di saturazione ha delle condizioni residue.

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Se siamo in un mezzo stratificato, si ha un alternanza di 7 strati in cui i diersi strati hanno
caratteristiche di pertinenza diverse alternate rosse e blu come nello schema sotto; in una sequenza
stratificata si avrà che l’andamento reale delle curve caratteristiche sarà spezzettato rispetto
all’andamento teorico. In pratica, ci stiamo muovendo lungo la curva teorica sopra nel grafico sotto
realmente.

Ciò significa che siamo nella zona verticale lineare rossa nel grafico in alto, si è nella oil pay zone
per la curva rossa; dagli strati blu uscirà acqua.

Ci sono delle soluzioni che sono presentate in diversa forma che dicono che la curva caratteristica
pressione- contenuto d’acqua può avere una forma più o meno fissa e può essere riscalata su diversi
materiali. Una soluzione forte è quella di Leverett che propone una funzione J che è scalabile in
funzione dei parametri del materiale e in particolare del rapporto porosità/k e della tensione di
interfaccia tra i diversi fluidi.

Una cosa che ci può interessare è dire qualcosa sulla Permeabilità che è misurata in Darcy (la
definizione la si sa già), abbiamo parlato
della Trasmissività.

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Quando si lavora in giacimenti petroliferi possiamo usare degli spezzoni di carota per andare a
caratterizzare il materiale; siccome il costo della carota è elevato vista la profondità si usano dei
piccoli spezzoni usati per diversi scopi. Si sono visti anche la possibilità di usare sistemi wire-line
che possono esser eusati per misure di k direttamente in sito. In funzione dell’orientazione di questi
campioni, se sono micro carote prelevate verticalmente o orizzontalmente, si può ottenere una K
assiale che rappresenterà una k orizz o vert.
La porosità varia con la profondità o pressione di carico, mentre la permeabilità segue lo stesso
trend ed è direttamente funzione della porosità.
Possono esserci diversi errori che possono derivare dalle modalità di campionamento come
l’anisotropia, l’eterogeneità, il fatto che la semplice operazione di prelievo dello spezzone da una
carota si può avere contaminazione.
Infine, è importante la differenza tra la permeabilità di un gas o di un liquido e il fatto che la loro
permeabilità possano essere valutate con modalità simile, ma comportamento dei fluidi diversi. Le
modalità possono essere in condizioni di flusso stazionario o transitorio e i due fluidi a volte possono
essere mischiati assieme. Quindi, si avrà una K relativa in quanto sono mescolati che sarà funzione
del grado di saturazione e della conducibilità o permeabilità in condizioni assolute di S=1.
Per comodità, in alcuni casi si lavora con la K di gas invece che con quella di liquido e ciò perché
con un gas si risparmiano alcuni problemi come quelli di assorbimento o di velocità di realizzazione
della prova stessa. Il problema è che le prove di permeabilità dovranno essere tutte eseguite in
condizioni di bassa portata per rimanere in condizioni di flusso laminare e viscoso (in un gas significa
andare a v basse sennò il passaggio turbolento diventa importante e in questo caso l’equazione di
Darcy non è valida). Se si usa, quindi, un gas secco, non reattivo per misurare la permeabilità, la
portata stessa varia in funzione della pressione. Se aumentiamo la p, il gas diventa più denso.
Bisogna ricordarsi la legge dei gas perfetti e possiamo dire che a basse pressioni si hanno relazioni
diverse, possiamo cioè equiparare pressione e volume. Da qui si può
passare a relazioni di pressione e portata. Inoltre, possiamo
calcolare la pressione in funzione a valori medi. A questo
punto se prendiamo la relazione di Darcy e sostituiamo
nella portata q della relazione a lato otteniamo una nuova
relazione.

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Nel caso dei liquidi all’interno di un tubo capillare si ha un profilo di velocità che è di tipo parabolico,
mentre in un gas ha un andamento uniforme all’interno dell’intera sezione e esso è detto Effetto
Klinkerberg. Nel caso del liquido si ha velocità nulla o no slipp condition cioè
non si ha condizione di scorrimento al contorno dell’elemento, mentre si ha
scorrimento nel caso di gas. Quindi, la velocità media nel caso del gas è uguale
alla velocità massima. Cosa che non è vera nel caso del liquido dove la velocità
media è molto più piccola rispetto a quella massima che è in asse. Klinkerberg trovò che per un
mezzo poroso, al crescere della pressione media si ha una decrescita della permeabilità che si calcola.
Quindi se prendiamo la pressione media e rappresentiamo la k misurata sperimentalmente con le
prove col gas, si osserva che all’aumentare della pressione media e al diminuire di tale rapporto in
fig, la K del gas cresce e esso è l’effetto del gas al contatto. Quindi, se scendiamo verso l’intersezione
con l’asse si ottiene il caso di una pressione media
alta e quindi saremo in una condizione di liquido e
questa è la K per la fase liquida. Quindi, facendo
prove con gas otteniamo una Kg 1, 2 e 3, poi si fa
un interpolazione lineare di questi valori su un
diagramma come quello a sx e l’intersezione ci
darà la permeabilità per il liquido.
L’importanza dell’effetto Klinkerberg varia con la permeabilità del materiale e con il tipo di gas che
si usa. Se cambiamo la permeabilità, cambia la pendenza
della curva e la stessa cosa se cambiamo tipo di gas. Se
usiamo gas diversi e per tutti i gas vale l’interpolazione
lineare e ci danno lo stesso valore di K sull’asse y. La
risultante è l’equazione di una retta in un diagramma K
del gas/ inverso pressione media. Il valore di c è uguale

al prodotto tra kL ovvero la permeabilità liquida e b ovvero una costante che dipende dalla dimensione
dei pori e inversa mente prop. al raggio capillare.
Il passaggio successivo è quello di trovare la b come correlazione a kL con funzione di potenza.

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