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Gianluca Ranieri Bandini
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parziale, non autorizzata.
Parte I
1
Ho dannatamente paura.
Se solo un anno fa mi avessero detto che mi sarei ritrovata agganciata a un enorme siluro sparato
nello spazio, avrei riso a crepapelle. Invece è tutto reale e non posso incolpare nessuno per il terrore
che sto sperimentando. È stata una mia scelta, almeno in parte. Le tute spaziali sono molto più
ergonomiche e leggere rispetto a quelle di una volta. Credo che gli ingegneri non abbiano avuto
motivo per mentirmi. La sensazione non è molto diversa da quella volta che ho indossato
l'equipaggiamento da sub, solo che ho molta, ma molta più paura.
Il conto alla rovescia è partito e ognuno è al suo posto, con i propri pensieri. Siamo in cinque e
proveniamo da tutto il globo. Con i miei diciannove anni sono la più giovane. È quasi un secolo che
l'uomo non lascia il suolo terrestre, ma adesso è cambiato tutto. Il governo mondiale ha fatto passi da
gigante ed è finalmente ritornato il momento di dedicarsi allo spazio. Oramai sono trascorsi decenni
dal grande blackout che precipitò il mondo in un caos apocalittico. Fu tutto causato da una spaventosa
tempesta solare, anche se i complottisti credono che dietro ci sia stata la mano di chissà chi o cosa.
In alcune aree non è stato ancora ristabilito l'ordine, ma in generale l'umanità si è ripresa e le
tecnologie, salvo per quella aerospaziale, sono ripartite ritornando al proprio culmine.
Sono stati effettuati molti lanci di prova con droidi e animali. È tutto andato a meraviglia. Così,
per ridare fiducia all'umanità, e forse anche per intrattenerla, è stata indetta una selezione per inviare
in orbita cinque persone senza particolari qualifiche tecnico-scientifiche. Accadeva meno di un anno
fa. Incredibilmente sono stata selezionata e addestrata per oltre sei mesi.
Negli auricolari arriva il conto alla rovescia della base, manca davvero poco al lancio. Tutto il
mondo ha gli occhi puntati su di noi. Temo che qualcosa possa andare storto. Cerco di regolare il
respiro e di rilassarmi. Sono nata in una zona povera della Russia. Gli anziani mi hanno sempre
raccontato come fosse la nazione più ricca e potente del mondo, dopo la Cina. Ma quella era un'altra
epoca, prima del blackout, in un mondo sconosciuto in cui le automobili si muovevano bruciando
combustibile fossile.
Il governo mondiale e le sue istituzioni locali si sono sempre comportate al limite della brutalità
per ottenere il controllo e ristabilire l'ordine. Ovviamente in tanti fra gli uomini di potere hanno
abusato della propria autorità, condannando vaste aree a una condizione di continua prevaricazione.
Difatti questa iniziativa mi sorprende, ma forse i nuovi presidenti hanno veramente intenzione di
migliorare le cose.
L'intero scafo in cui sono immersa comincia a tremare. Ho la testa e il corpo bloccati al
seggiolino. Non posso quasi muovermi. Di fronte a me c'è solo la strumentazione affidata interamente
all'intelligenza artificiale. Un compagno è al mio fianco, tre alle mie spalle.
“Ten”, giunge alle mie orecchie.
Ecco che il frastuono dell'iniezione aumenta e con esso vibrazioni e paure.
“Eight...”
Soltanto otto secondi e mi solleverò da terra con una velocità mai sperimentata prima.
“Five...”
Se morirò sarà rapido e indolore, spero.
“Three...”
Ci siamo, ci siamo!
“Boosters ingnition and liftoff.”
È come se delle bombe a mano esplodessero a pochi metri di distanza, senza sosta. Sento il cuore
in gola, e nelle vene mi circola più adrenalina che sangue.
L'accelerazione G comincia a schiacciarmi contro il seggiolino, tuttavia risulta più sopportabile
del previsto. Immagino che sia merito delle nuove tute, dell'addestramento e di alcuni compensatori
inerziali installati da qualche parte.
Non sono un ingegnere, nessuno di noi lo è. La IA e l'assistenza della base saranno più che
sufficienti. Non è un viaggio lungo. Durerà qualche ora. Giusto il tempo di roteare per un po' attorno
alla Terra e scattare qualche bella fotografia.
Non intercorre nessuna comunicazione fra noi e Nairobi 2, la base spaziale da cui siamo
decollati. In passato era Houston il punto nevralgico dei lanci spaziali, ma il governo mondiale ha
spostato tutto in Kenya.
La Revival ha cominciato a roteare su sé stessa alla ricerca del giusto assetto. Da quello che mi
hanno insegnato, usciremo dall'atmosfera con una inclinazione di settanta gradi. Poi sento come una
martellata sotto lo scafo. Significa che il serbatoio principale si è distaccato. Ormai sono due minuti
che sto vivendo questo eccitante inferno. Sento le goccioline di sudore lungo tutto il corpo.
Una voce agli auricolari dice chiaramente: “Negative return.” Se da questo momento in avanti
qualcosa andrà per il verso sbagliato, il programma di atterraggio di emergenza non potrà essere
attivato. Siamo troppo veloci e troppo in alto, prossimi a una traiettoria suborbitale.
Non vedo l’ora di arrivare a destinazione e sapere di essere salva. Durante l'addestramento ho
imparato che le fasi più delicate sono quelle di decollo e atterraggio. Mentre percorreremo l'orbita
staremo al sicuro come in un bunker. Potremo goderci lo spettacolo in assenza di gravità. Poi, se il
programma sarà fedele, si attiveranno le piastre gravitazionali che ci consentiranno di muoverci più
agilmente.
Sono passati altri minuti e non si sente più nulla.
Siamo praticamente in orbita, trasportati dolcemente verso la destinazione fissata a circa trecento
chilometri di altezza.
“Siamo vivi”, dice Claude Roux, spezzando il silenzio che ci avvolge.
Claude è un uomo sui quaranta, di origini francesi, magro, calvo e con il naso aquilino. Mi è
sempre stato simpatico. In realtà, tutti quelli che si trovano qui con me si possono considerare delle
persone gradevoli. Durante la selezione la componente psicologica è stata importante quanto quella
fisica, se non di più. A Nairobi si sono assicurati che la Revival non decollasse carica di teste calde.
“Che sballo!”, grida euforica Ana Castillo, la nostra compagna dominicana. È una bella ragazza
di colore, molto loquace e sempre sorridente.
Gli altri annuiscono o rimangono in silenzio.
Capisco perché sono tutti di poche parole. Lo spettacolo visibile dagli oblò è incredibile. Tutti
noi abbiamo visto immagini riprese dallo spazio, ma di persona posso assicurare come sia tutt'altra
cosa. Credo che non sia comprensibile per chi è rimasto a terra. Qui si ha davvero la percezione di
quanto sia infinito e misterioso il cosmo. Ci si sente potenti e inermi allo stesso tempo. Mi definirei
una entusiasta terrorizzata. La commistione di emozioni che si prova quassù rischia di farti impazzire.
A questo punto dovremmo percepire la gravità venire meno. Non faccio in tempo a pensarlo che
Nairobi 2 ci avverte di un problema: “Revival, ci sono degli inconvenienti alle piastre, non si
disattivano.”
“Dobbiamo preoccuparci?”, chiedo d'istinto.
“Assolutamente no,” rispondono. “Dovrete solo rinunciare alla gravità zero.”
Peccato, penso, ma lo spettacolo visivo supplisce alla mancata esperienza.
“Ma non avrebbero dovuto essere già inattive prima del decollo?”, domanda Elena Jones,
canadese, biondina con gli occhi color nocciola. In molti dicono che ci somigliamo, anche se io ho
gli occhi azzurri e dieci anni in meno.
“Sono loro i tecnici... godiamoci lo spettacolo”, replica Claude.
La navetta ha preso a roteare su sé stessa, in cerca di un nuovo assetto. Vedo la Terra sottosopra,
là dove dovrebbe esserci il pavimento. Per un momento ho un giramento e una strana sensazione allo
stomaco. Per fortuna dura solo un attimo. Ormai siamo prossimi alla quota stabilita. Presto avremo la
Terra sotto di noi e cominceremo a orbitarle intorno, effettuando più volte il giro del mondo. È buffo
pensare che sino a un anno fa non ero mai stata al di fuori della Russia e non avevo mai preso un
aereo. Ora sono un'astronauta.
“È tutto molto strano”, asserisce Brandon Roth, nato nel Tennessee trentasette anni fa.
“Cosa vuoi dire?”, gli chiede Roux.
“Le sollecitazioni gravitazionali, gli assetti orbitali, i tempi di decollo e arrivo... mancano di
coerenza”, risponde.
“Come fai ad affermarlo?”, lo incalzo.
“Ho letto alcuni libri e visto vecchi filmati e...”
“E?”
“E diciamo che differisce un po' tutto.”
“Ehi, stai calmo, Bran”, lo esorta Ana, sorridente. “Questa è la realtà, e le tecnologie sono
diverse da quelle di cento anni fa. Teoria e pratica divergono sempre.”
“Certo”, si limita a rispondere Roth, laconico.
Brandon è stato fortunato a poter accedere a quei filmati. Le amministrazioni locali americane
hanno sovente applicato una censura più ridotta di altri paesi, anche se il governo mondiale sta
uniformando le regole di censura. Non si tratta di preservare la gente dal vedere cose amorali, quanto
di filtrare le notizie e raccontarci quello che vogliono. Ovviamente è una cosa che tutti noi sappiamo
ma che nessuno si azzarda a dire.
Che mondo strano è quello in cui vivo. Per tanti aspetti evoluto e liberale, per altri estremamente
retrogrado. È il controsenso di un pianeta risorto in modo disarmonico e di una centralizzazione
governativa esasperata. In ogni caso questa esperienza segna un risveglio sociale e scientifico. Ed
ecco che trovo un altro controsenso. Siamo stati molto fortunati a vincere la selezione, e
probabilmente al nostro ritorno godremo della fama che ci ha accompagnati fin dall'inizio. Eppure
durante il periodo di addestramento ci hanno tenuti segregati alla base senza la possibilità di
comunicare con l'esterno. Ci hanno giusto concesso qualche sporadica telefonata alle nostre famiglie.
Tutte le volte che ho parlato con mia madre l'ho sentita molto tesa. Una cosa normale mi son detta.
Durante la formazione, ci hanno raccontato di quanto in tutto il pianeta si parlasse di noi, mostrandoci
filmati e il successo di nostre interviste rilasciate agli addetti stampa della base. Poi, prima di salire
a bordo della Revival ho notato la distante folla che si preparava a vedere il nostro lancio. Ho
sentito il loro calore giungere fino a noi.
“Revival, qui Nairobi.” La voce della base interrompe i miei pensieri. “Orbita raggiunta e assetto
allineato. Potete slacciare le cinture e godervi lo spettacolo.”
2
Continuo a danzare, rimbalzando da un oblò all'altro. L'entusiasmo dei compagni si sta rivelando
contagioso. La meraviglia che mi circonda sostituisce le mie paure.
Claude e Ana hanno preso a parlare con Nairobi e non smettono più. Sembra una telefonata in
vivavoce fra amici logorroici. Non presto attenzione alle loro parole. Le vivo come il rumore di
sottofondo di un mistero che scopro pian piano.
Il mondo sottosopra, il cielo scuro, le stelle, le tute e una prigione-sogno di pochi metri quadrati.
Ecco, è proprio quello che non devo fare. Pensare di trovarmi chiusa in una grande scatola di metallo
sospesa a centinaia di chilometri da terra.
Fa venire i brividi.
Poi, all'improvviso, il rumore di sottofondo muta e diviene un frastuono assurdo che si trasforma
presto in un gracchiare informe.
“Non c'è più segnale”, afferma Brandon turbato.
Questa è una di quelle situazioni che potrebbe mandarmi nel panico entro pochi secondi.
“Ritornerà”, dice Elena fiduciosa.
Vorrei avere la sua tranquillità.
Sono sicura che ai loro occhi sembro la meno coinvolta, invece sto vivendo un dramma interiore.
Qualunque piccola novità è capace di sconvolgermi. Tuttavia possiedo l'arte di mascherarmi. Me lo
ha sempre detto mia madre: “Quanto vorrei sapere cosa indossi sotto quell'armatura, figlia mia.”
Restiamo tutti in silenzio per qualche momento, in attesa che il collegamento si ripristini. Il
sistema è completamente automatizzato, non c'è niente che noi potremmo fare. Forse è questo a darmi
fastidio: essere la testimone passiva di uno spettacolo pericoloso. Ma allora perché mi trovo qui?
Perché sono fatta semplicemente così.
Adoro avventurarmi in situazioni difficili per dimostrare qualcosa a me stessa. Magari di essere
capace di superare i miei limiti. E ogni volta è un fallimento.
“Oddio!”, urla Ana spezzando il silenzio.
Il suo è stato un puro grido di orrore.
La ragazza dominicana si trova di fronte a un oblò. Il primo a raggiungerla è Claude.
“Merde!”, impreca. Non parlo francese, ma è facile intuire che non sia una esclamazione di gioia.
La seconda a raggiungere Ana sono io.
Quello che vedo mi gela il sangue nelle vene.
4
Una macchia di luce accecante nel bel mezzo del continente europeo.
“Un'arma termonucleare”, dice Brandon come posseduto.
“Cos'è, la Germania?”, domanda Elena adagiando il dito sull'oblò.
“Forse Repubblica Ceca, Polonia, Austria... non saprei”, risponde l'americano, distratto.
“Non è importante”, replica Claude. “Quello che davvero conta è che gli Stati Uniti d'Europa
sono stati attaccati.”
“Ma da chi? Con un governo centrale mondiale è impossibile!”, obietto. Non voglio accettare
quello che vedo. Questa è la verità.
“Come sembrava impossibile che l'intero mondo piombasse nell'oblio a causa di una tempesta
solare”, rincara Claude.
“Ma qui è diverso. Non si tratta di fenomeni naturali, ma di precise scelte di esseri umani”, dico
senza credere a una sola parola. In me c'è solo la voglia di negare l'evidenza.
“È proprio questo che mi preoccupa”, dice Roux.
“E se fosse stato un meteorite?”, ipotizza Elena.
“Con il nuovo sistema di monitoraggio del cielo, è assai improbabile che un bestione del genere
sia sfuggito”, sostiene Brandon con sicurezza. “Di sicuro ci saremmo accorti della sua presenza e il
governo avrebbe fatto qualcosa per fermarlo.”
Intanto la macchia sta evolvendo come ci si aspetterebbe da un fungo atomico.
Ana è sconvolta. Da ragazza solare si è trasformata in fantasma reticente. La vedo staccarsi
dall'oblò e gettarsi a terra in un angolo.
Mi viene naturale andare verso di lei per consolarla, ma vengo arrestata da una valanga di Putain
e Merde.
I versi in rima del signor Roux mi attirano ancora una volta all'oblò. Se prima il sangue mi si è
gelato, adesso rischio l'arresto cardiaco. Quello che osservo mi fa sentire male all'istante. Fatico a
respirare e provo un dolore psicofisico.
Quello che vedo non può essere vero, non deve essere vero.
Un numero incredibile di bagliori comincia ad apparire su tutta la parte di globo che riusciamo a
scorgere.
“The end of the world!”, esclama Brandon, con il suo accento americano.
5
Il mondo è in fiamme.
Distolgo lo sguardo e mi accuccio in terra con le mani sui capelli.
“E ora?”, chiede Elena, come se potesse esserci una soluzione.
“E ora miliardi di persone stanno morendo e altre moriranno a causa delle radiazioni”, prende a
spiegare Brandon. “Nei prossimi giorni si avvierà un lungo inverno nucleare. Freddo, carestie e
malattie uccideranno i pochi sopravvissuti. Molte specie moriranno, sopratutto quelle...”
“Basta!”, urla disperata. “Non voglio sentire una parola di più.”
“Che fai, povera bimba? Vuoi ignorare la realtà? Pensi di poter sfuggire al pericolo chiudendo gli
occhi?”
“E tu pensi di salvarci raccontandoci l'apocalisse?”, gli grido da terra cercando i suoi occhi.
“Stava solo rispondendo a una domanda di Elena”, si intromette Claude.
“Che litigate a fare...” La voce da oltretomba è quella di Ana. “Tanto il mondo è finito.”
“Stiamo quassù, soli. E non siamo neanche astronauti”, è l'amara constatazione di Roux.
“Senza supporto. E in queste condizioni, la IA non serve a nulla”, aggiunge Brandon.
“Forse la zona di Nairobi non è stata colpita...”, osa Elena, avventurandosi in una speranza tanto
ingenua da sembrare stupida.
“Forse non ti sei accorta che l'intera Europa sta bruciando. Credi che gli USE si siano
bombardati da soli?”
“E se l'intera Europa brucia, il mondo brucia”, sussurra Ana racchiusa nel suo angolo di Revival.
“Anche se la zona di Nairobi fosse intatta, sarebbe irrilevante. Ormai l'umanità è spacciata”,
afferma il nostro compagno americano.
Come dargli torto?
“Sarebbe meglio essere morti laggiù”, dice Elena. “Perché da ora, per noi, sarà una lenta
agonia”, sentenzia poi.
Finalmente si è resa conto dell'ineluttabilità.
Bene, penso ironicamente, cinque persone, chiuse in un contenitore a centinaia di chilometri da un
pianeta distrutto, consce di essere destinate a morte certa.
“Una bara spaziale”, commento a bassa voce.
Tutti e quattro i miei compagni mi fissano, senza dire nulla.
6
A San Pietroburgo la vita stava divenendo sempre più difficile. Il fenomeno dell'acqua alta era
un problema globale che, giorno per giorno, stava mettendo in ginocchio milioni di persone. Pochi
anni e per città come New York, Amsterdam e Sydney non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Venezia era ormai perduta, e le capitali di tutto il mondo faticavano ancora a riprendersi dal
black year, come era stato ribattezzato l'anno in cui la tempesta solare aveva condannato
l'umanità all'oblio. Fame, malattie e povertà non potevano galleggiare su quell'acqua che stava
invadendo tutto.
Il black year aveva segnato il crollo verticale dell'emissione di alcuni gas serra, anche se le
città messe a ferro e fuoco per due anni non migliorarono di certo la situazione. E comunque il
fenomeno del riscaldamento globale andò avanti. Il processo era avviato da troppo tempo.
In una epoca più felice e tecnologica, l'umanità avrebbe inventato o per lo meno provato a
contenere scenari tanto drammatici, ma gli ultimi decenni erano stati tutt'altro che semplici.
Nonostante ciò l'umanità sopravvisse e, assieme a lei, la forza dell'amore che portò due
giovani a fidanzarsi lungo le strade di San Pietroburgo.
In quella surreale atmosfera, con un governo mondiale che non riusciva a formarsi, con la
tecnologia rivolta soltanto a spiare i cittadini e a controllare le nascite, Egor Jurev e Halina
Kolobovna si baciarono per la prima volta.
7
“Come è potuto accadere?”, continuo a dire. Una domanda rivolta più a una insperata entità
superiore che possa aiutarci, piuttosto che ai miei compagni.
“Il governo mondiale... la pace... la pace...”, ripete sconvolta Ana.
“Ci hanno mentito”, asserisce Brandon.
“Hanno sempre tenuto nascosto tutto”, rafforza Claude, allineandosi al pensiero dell'americano.
“Ma chi?”, domando come una scema.
“Chi?”, mi rimbalza il francese, allargando le braccia. “Kira, chiedi chi? I governanti, i
presidenti, le multinazionali, gli scienziati... chi? Tutti! Chiunque avesse un minimo di potere. Ecco
chi! Ed ecco i risultati. Siamo fottuti. Fottuti. Foutre!”
“Terrorismo?”, si lancia Elena nella sua ipotesi.
“Ma cosa importa?”, sbotta Roux. “Potrebbero essere stati anche gli alieni. Le cose non
cambiano. Siamo fregati! Vous comprenez?”
“Je comprends”, risponde la canadese.
“Doveva durare tutto qualche ora...”, piagnucola la dominicana.
“A quest'ora potevamo essere già morti”, considera Brandon.
“E sarebbe stato meglio”, lo rimbecca Claude.
“Eppure dovrà esserci una soluzione”, se ne esce Elena.
“Pensavo che avessi capito”, replica alterato il francese.
“L'agonia non durerà molto”, dico all'improvviso. “Non abbiamo cibo, ma soltanto un pannolone
e pochissima acqua, e chissà... uno o due giorni di ossigeno. Come ci ha ricordato Ana, la missione
sarebbe dovuta durare qualche ora.”
“La missione?” Claude scuote la testa. “Doveva essere una gita, un premio. Altro che missione...
invece siamo finiti per essere cinque disgraziati che hanno avuto la sventura di assistere alla fine del
proprio pianeta.”
“E non sappiamo neanche il perché”, aggiungo amareggiata.
“Pourquoi? Pourquoi? Tutti che volete sapere il motivo. Vedrete che fra qualche ora, da morti,
non ve ne importerà più nulla.”
8
Il vento e le maree avevano reso accessibile la Strelka, la punta orientale dell'isola Vasilevskij,
fino a pochi anni prima uno dei più affascinanti siti panoramici della città. Anche in quei giorni
fortunati era sconsigliabile recarvisi, ma per le giovani coppie pietroburghesi rimaneva un luogo
dal richiamo irresistibile. Deteriorati dal tempo, gli edifici circostanti erano ancora capaci di
regalare un'armonia architettonica unica.
“Per noi ci sarà un futuro?”, chiese Halina, abbracciata al suo giovane uomo.
La domanda non era rivolta a loro due, ma all'intera umanità.
Egor si guardò intorno. Non sapeva bene cosa accadesse negli altri luoghi del pianeta, ma gli
bastava essere al corrente di quello che succedeva nella sua città.
Le facce dure e tristi delle persone, i palazzi storici abbandonati, quell'acqua maledetta che
stava inghiottendo tutto e il perpetuo odore di marcio salmastro.
Presto lui e i milioni di persone che abitavano le coste del mondo avrebbero dovuto
abbandonare la proprie città. Se nessuno lo aveva fatto, se i governi ancora non lo avevano
imposto, era perché non c'era nessun altro luogo dove andare.
L'edificazione di nuovi centri urbani era cominciata e procedeva con una lentezza
esasperante.
Egor guardò negli occhi la sua amata e, pur non credendoci, affermò: “Sì, ci sarà.”
Quelli erano tempi impossibili per trovare una occupazione, ma entrambi ci riuscirono. Lei
divenne infermiera e lui venne assunto alla Cyber-P.
Fu proprio per il suo lavoro che i familiari di Halina svilupparono un profondo astio nei
confronti di Egor.
La Cyber-P si occupava di costruire componenti cibernetici e tecnologici atti a sorvegliare la
vita delle persone.
“Se non ci andassi io in fabbrica, ci andrebbe qualcun altro”, disse una volta Egor al padre di
Halina.
“Ragazzino, con me questi discorsi non attaccano.”
“Almeno ho un lavoro”, replicò il giovane.
“Un lavoro da boia!”
“Io e sua figlia siamo fra i pochi fortunati che si possono permettere di costruire una
famiglia.”
“Halina ce l'ha già una famiglia. E ora, ragazzo, se non esci da casa mia, giuro che ti uccido.”
Da quel giorno Halina non volle sapere più nulla di suo padre e decise di andare a vivere
insieme a Egor, in affitto, in una stanza di appena dodici metri quadrati.
Così il loro amore andò avanti, rafforzandosi anno dopo anno, sin quando, in un giorno
assolato in cui tutto sembrava perfetto, Egor chiese a Halina: “Mi vuoi sposare?”
Dopo un forte abbraccio e con il volto rigato dalle lacrime, lei rispose: “Sì, lo voglio!”
10
Mi sembra di avere come delle macchie luminose dentro gli occhi. Deve essere la conseguenza
dei bagliori osservati dall'oblò. Provo a riaffacciarmi, sperando che il cuore regga alla vista dello
scempio, anche se preoccuparmene, quando fra poche ore sarò morta, ha dell'assurdo.
Quello che vedo è un'immagine confusa: una tempesta di fuliggine infuocata avvolge l'intera parte
di emisfero da noi osservabile.
Non si capisce sopra quale regione stiamo orbitando. Ci sarà pure il modo di poterlo chiedere
alla IA, ma non ho voglia di farlo. Non ho la forza per fare più nulla. Io stessa ignoro come agire,
cosa desiderare. Forse bisognerebbe ritirarsi in un angolo al pari di un animale morente. Come Ana.
Nell'attesa inesorabile della propria fine, nel giorno del giudizio.
C'è vita dopo la morte?
Non è dato saperlo. Dipende dalla nostra fede. Io credo in Dio, ma in realtà non ho ben chiaro
cosa attendermi nell'aldilà. Ci sarà veramente qualcuno a giudicarci, oppure ci reincarneremo in un
altro corpo? Forse la seconda possibilità non potrà mai verificarsi, perché da domani non ci sarà più
un mondo su cui rinascere. Almeno non la Terra. Magari sbocceremo in un altro universo o in una
forma di vita per noi inconcepibile. Mi piace pensare che dopo il trapasso qualcuno o qualcosa sveli
i misteri dell'esistenza, il senso di ogni cosa.
Do ancora un'occhiata all'inferno sotto di noi.
Da quassù lo vedo.
Il mondo che brucia.
Sembra che una mano demoniaca tenga in pugno la Terra in fiamme.
Basta, non ho più voglia di guardare.
Come Ana getto la spugna e mi ritiro in un angolo di morte.
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Anche Elena è finita a terra, con le braccia attorno alle gambe raccolte.
Simbolo di rassegnazione e fragilità.
Chissà se pure gli altri mi guardano così.
In realtà credo che a nessuno interessi degli altri. Ognuno con i suoi pensieri, sperimenta l'intima
paura.
“Sono giovane per morire”, dice all'improvviso Elena.
“Tu hai trentanove anni, io ventiquattro”, sottolinea Ana.
“Io diciannove”, annuncio, senza tuttavia volere apparire come la vincitrice degli sventurati. Oggi
non ci sono né vinti né vincitori. Nulla è più imparziale dell'apocalisse. Potere, soldi e fortuna non
valgono niente se travolti da tempeste infuocate.
La mia attenzione si sposta su Claude e Brandon.
Si stanno spintonando.
Non ne capisco il motivo.
“Bastardo di un francese!”, gli urla in faccia l'americano.
Roux reagisce sferrandogli un pugno in pieno volto.
Mi alzo per intervenire, ma un improvviso senso di vertigine mi blocca.
Poi sento formicolare il corpo.
Una sensazione irritante che in un attimo mi manda su tutte le furie.
Sento il cuore andare a mille.
Cosa mi sta accadendo?
12
“La popolazione mondiale è stata decimata e ci impediscono di fare figli”, disse Halina
frustrata.
“Troppe bocche da sfamare, troppi malati da curare. Non se lo possono permettere”, fu la
replica del marito.
“Già, so quali sono i motivi, ma non è giusto.”
“Difatti non li discolpo ma... abbiamo cambiato casa e...”
Egor venne interrotto dalla moglie entusiasta: “Vorresti dire che soddisfiamo i requisiti per
fare domanda?”
“Siamo sposati, amore mio, viviamo in una casa sufficientemente grande, disponiamo entrambi
di un reddito, e con i cinquemila crediti che siamo riusciti a mettere da parte, potremmo inoltrare
una domanda prioritaria”, illustrò carico di orgoglio.
Halina fu troppo felice per trovare le parole adatte.
Sì gettò fra le braccia di lui, fissandolo con lo stesso sguardo di quando le chiese di sposarlo.
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La mancanza di ossigeno non dovrebbe farci svenire? Invece, anche se il mondo intorno vortica
senza sosta, dentro di me sento montare una energia incontenibile.
“Guardate!”, grida Elena puntando il suo braccio verso una direzione.
È apparsa una scritta luminosa sopra il portellone di uscita.
Porta della salvezza
“Solo uno di voi si potrà salvare”, dice una voce armoniosa. “Avete dieci minuti per decidere chi
potrà uscire dalla porta.”
“Non ha senso!”, esclamo.
Eppure Claude ed Elena si sono già scagliati contro il portellone, in una lotta furiosa.
“Se lo aprite moriremo tutti”, gli urla contro Ana.
“Tanto ormai”, risponde Claude mentre sta avendo la meglio su Elena.
L'ha afferrata per il collo, in una presa fatale.
Lo si vede dal viso paonazzo che sta stringendo con tutta la forza.
Perché me ne rimango in un angolo invece di scattare verso di loro e impedire che la furia
omicida di Claude vada avanti?
Mentre mi pongo domande, Ana, che fino a questo momento è apparsa come la più arrendevole,
si tira su e in un attimo si scaglia contro il francese.
Il suo intervento li fa finire tutti e tre a terra.
Elena sembra svenuta, ma probabilmente l'intervento della dominicana le ha salvato la vita.
Tuttavia il francese non molla. In un attimo si è rimpossessato della chiave inglese.
“Oddio no!”, strillo andando incontro al pazzo.
Ma prima che io possa intervenire, la testa di Ana si riempie di sangue.
Mi guardo attorno, nella speranza di trovare un'arma.
Vedo un cacciavite in terra.
Sono quasi sicura che non ci fosse prima.
Ve l'immaginate decollare sparati da un razzo, a fianco di attrezzi metallici lasciati incustoditi?
Assurdo!
Ma adesso non è il tempo di porsi altre domande.
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“Prima che una coppia, siete delle persone meravigliose”, disse con sincera convinzione
Svetlana, cara amica di Egor e Halina. “Avete avuto l'abilità di trovare un lavoro, la perseveranza
di vivere il vostro amore nonostante l'ostilità della famiglia di Halina e, nondimeno, siete anche
fortunati. Chi, se non voi, dovrebbe crescere un figlio? Il mondo necessita di persone in gamba; di
ottimi genitori che sappiano educare le generazioni future. I bambini di oggi salveranno il mondo
di domani.”
Se glielo lasceremo un mondo, pensò Halina.
“Dovreste anche valutare”, insistette Svetlana, “che la domanda accolta è un'occasione più
unica che rara. Non vi si ripresenterà mai più, lo sapete meglio di me. Siete sicuri che volete
perderla?”
Egor e Halina si guardarono negli occhi.
Si trovavano nella loro casa, a discutere di quel dilemma con la sola persona di cui avessero
sincera stima.
Quando la cena terminò, l'atmosfera si distese e i tre affrontarono argomenti leggeri
guardando la olovisione, che da qualche mese si era riaffacciata nei rarissimi e costosissimi
negozi di elettronica. Forse non era il miglior modo per spendere duemila crediti, ma distrarre la
mente alcune volte era davvero indispensabile.
In quel momento, sul canale tre, stava andando in onda un nuovo reality show, format
televisivo che nei decenni antecedenti il black year, era stato tanto in voga.
Gli sfidanti dovevano affrontarsi in prove rischiose, come attraversare un fiume ricolmo di
alligatori o camminare su una fettuccia piatta sospesa nel vuoto. Tutto per qualche decina di
migliaia di crediti o per una assistenza sanitaria gratuita e a vita.
Povera gente, pensò Egor, inorridendosi nell'immaginare come un simile programma potesse
far registrare tanta audience. Finirà presto, al pari di altre orrende mode.
Quando rimasero soli, Halina si avvicinò a suo marito e disse: “La sfruttiamo questa
possibilità più unica che rara?”
19
Veramente devo aprire quel portellone? Nello spazio? E poi ci riuscirei? Non ne so niente di
queste cose. Doveva essere solo una dannata gita spaziale, un premio, un onore, non un incubo.
Questa realtà non ha più senso.
Non ho niente da perdere, devo tentare.
La gola è secca, l'adrenalina scorre nelle vene e il cuore batte all'impazzata.
Il portellone è a un palmo di mano.
Adesso...
Una voce inquietante dietro di me mi blocca.
Non vorrei girarmi, ma devo capire chi possa essere.
È Brandon.
Dunque è vivo!
Assomiglia a uno zombie, con la testa insanguinata, un occhio chiuso, i lineamenti storti,
un'andatura trascinata e dei gemiti inquietanti.
È la goccia che fa traboccare il vaso.
Non posso stare un secondo di più qua dentro e, mentre comincio a forzare il maniglione, sento la
voce artificiosa annunciare: “Trenta secondi alla fine.”
Do uno strattone, qualche spallata, spingo e tiro, e alla fine il portellone cede.
Si spalanca del tutto.
Sono ancora viva e posso respirare.
Fuori c'è l'oscurità e, qualunque cosa sia, non può essere lo spazio.
Faccio dei passi in avanti, stando attenta a non precipitare.
Sento qualcosa di solido e metallico.
Mi conferisce la necessaria sicurezza per mettere entrambi i piedi fuori dalla Revival.
Non appena varco l'uscita il portellone si chiude bruscamente.
E a questo punto non capisco se l'incubo è finito oppure è appena iniziato.
20
Sono fuori.
Ma fuori dove?
L'aria è buona e la temperatura è piacevolmente fresca.
Poi comincio a vedere qualcosa o, meglio, a percepire una luce soffusa. Metto una gamba avanti
e intuisco di trovarmi su una scaletta metallica.
Anche se del tutto disorientata e impaurita, inizio a sentirmi meglio. Quel malessere diffuso che
mi ha colpito all'improvviso, sta scivolando via.
Dopo qualche gradino arrivo su quello che deve essere il suolo. Possibile che la navetta sia
atterrata e io non abbia percepito neppure un istante della fase di rientro? L'aria fresca e una dolce
luce soffusa non si addicono proprio a un pianeta sconvolto dalla guerra atomica.
Poi un bagliore mi acceca.
Un'esplosione lontana?
Tento di mettere a fuoco, ma non ci riesco.
Mi ci vogliono alcuni secondi perché le mie pupille si abituino alla variazione di luce.
Avverto un brusio e, quando metto a fuoco, capisco di trovarmi su un palco. Di fronte a me,
sedute, ci sono centinaia di persone, se non migliaia.
La prima cosa che mi viene in mente è un grande teatro.
La seconda uno studio televisivo.
Come sono finita qui?
Che significa?
Pochi minuti prima mi trovavo all'interno di una navicella, naufraga nello spazio, a lottare per la
vita con la massima aspirazione di tornare nel mezzo di una devastazione nucleare.
E ora sono qui, in una quiete surreale.
Forse è un sogno.
Un uomo in giacca e cravatta si avvicina.
Ha un volto noto, ma non saprei dire di chi si tratti.
Mi prende la mano, cerco di ritrarla, ma lui vince e la afferra.
Non ho voglia di lottare e cedo subito.
L'uomo mi tira in alto il braccio e strilla: “Complimenti a Kira Jurevna, la prima vincitrice di
Deadly Space Show!”
Musica, luci, coriandoli e pubblico in visibilio.
21
Mi hanno ingannata.
Subdoli e letali.
Avrei dovuto aspettarmelo.
Ora riesco a immaginare chi sia stato l'autore di un tale abominio. E mi chiedo: “Anche se avessi
intuito, cosa avrei potuto fare?”
In questo mondo, se decidono di colpirti, agiscono e basta. Non hai chance di salvarti.
Ho sempre seguito poco i Deadly Show, ma ne conosco le norme, e tutto questo è illegale. A
meno che non abbiano inventato e regolamentato qualcosa di nuovo. Per noi cinque. Nessun
volontario intento a vincere un premio. Solo persone convinte di vivere un sogno, illuminate da stelle
che sono divenute fuochi infernali. Sì, ma come hanno potuto approvare questo mostruoso show?
Volevo credere che il governo mondiale stesse davvero cambiando. Forse quella ragazzina che
soltanto pochi anni fa lo odiava con tutta sé stessa, dopotutto aveva ragione.
Perché hanno scelto noi cinque?
Il concorso, le strutture, le interviste e l'addestramento sono stati così realistici, da non avere
alcuna possibilità di percepire la trappola.
Lo spettacolo televisivo deve essere iniziato già nei primi giorni di addestramento. E oggi è
culminato nello show da prima serata.
Cosa devono aver fatto a mia madre perché non mi rivelasse nulla? Quali menzogne avranno
imposto all'opinione pubblica per digerire una tale ignominia? E chi sono questi dannati scellerati
che urlano davanti a me?
“Vai a riposarti, Kira, te lo sei meritato”, dice il conduttore.
Sono talmente frastornata da non ricordare neppure di aver risposto alle sue domande. Non
rammento cosa mi abbia chiesto. Banalità e idiozie, mi sembra. Domande a cui devo aver risposto
con qualche no, una manciata di sì e un paio di grazie, invece di tanti vi odio!
“Un applauso alla nostra vincitrice”, insiste il presentatore, mentre due robusti omoni mi
prendono sotto le braccia e mi conducono dietro le quinte.
3
I due tizi mi stanno trascinando da qualche parte. Non oppongo resistenza. Dentro di me sento
l'ardore della rivoluzionaria, ma il mio corpo ha esaurito le ultime energie.
Che mi facciano pure quello che desiderano, tanto non potrà mai essere peggiore del Deadly
Space Show.
Questi bastardi mi hanno costretta a pugnalare un amico, un povero disgraziato come me. Ma a
differenza sua, io sono ancora viva. E vorrà pur dire qualcosa. Povera me. Sono così disperata da
sognare miraggi di rivalsa.
Mi trovo in un lungo corridoio, e in fondo si intuisce la presenza di una porta. Credo mi stiano
conducendo verso una uscita secondaria. Niente giornalisti, niente cambiamento di status sociale per
me. Anche in questo lo show differisce dagli altri. Plausibile che io sia divenuta soltanto la regina
dei dannati. Crediti, assistenza sanitaria e privilegi diversi non sono roba per Kira Jurevna.
Dal nulla spunta un terzo uomo che mi infila un cappuccio in testa, infliggendomi l'oblio.
Non vedo più nulla e cerco di percepire il mondo estendendo gli altri sensi. Ma non serve a
nulla. Ho le braccia bloccate, le gambe sfinite, e questi tre bruti al mio fianco mi scuotono come un
fuscello.
Sento l'aria mutare. Dobbiamo essere fuori.
Poi ci fermiamo e odo dei flebili suoni elettrici.
Mi costringono a piegarmi sulle ginocchia e mi spintonano.
Cado su quello che sembra essere un sedile, piuttosto confortevole direi. Avverto un po' di
trambusto intorno. Gli energumeni che prendono posto, penso.
Improvvisamente ci spostiamo accompagnati da un fischio elettrico appena percettibile.
Ci troviamo in un'auto istituzionale, ci giurerei. Come se la vedessi: carrozzeria blindata, vetri
scuri, design all'avanguardia, sistemi di autonavigazione, autonomia triplicata e armi integrate.
Dove mi stanno portando questi bastardi?
In carcere? In un processo per direttissima? Davanti a qualche magnaccia del governo mondiale?
Che sciocca che sono stata.
Avrei dovuto fuggire a tempo debito, portando via mia madre. Il pensiero che possano averle
fatto del male mi strugge il cuore.
Sei una stupida, Kira!, penso, Non ti basta quello che hanno fatto a tuo padre?
“Signorina Jurevna”, irrompe una voce sinistra. “La facevo più sanguigna. Mi pare alquanto
remissiva.”
“Brutto figlio di puttana!”, sbotto rabbiosa. “Avrei voluto vedere te rinchiuso in una gabbia di
furia omicida. Non saresti sopravvissuto un secondo, carogna maledetta!”
“Molto bene, signorina Jurevna. Adesso la riconosco.”
4
“Per afferrare veramente chi sei, occorre vivere un'esperienza che ti faccia sentire l'odore della
morte. E ora, in questo momento, ho avuto come un'illuminazione. Ho sbagliato e pagato. E alla fine
mi sono redenta. Non voglio che la mia esistenza finisca così, perché tutto ciò deve pur essere servito
a qualcosa. Desidero darle un senso e costruire uno scheletro più solido per questa società. Ecco
qual è lo scopo del governo mondiale. La sua causa deve divenire la mia.”
Sono stata un fiume di parole. L'uomo continua a studiarmi. Forse sta valutando quanto credermi.
Il suo volto è indecifrabile, difficilmente tradisce emozioni, tranne in quei rari momenti in cui trasuda
gocce di odio.
“E come intende sposare la causa del governo mondiale?”, mi chiede. Non ha detto la nostra
causa, ma la causa del governo mondiale. Come se non ne facesse parte, se fosse un consulente
esterno. Ma chi è? Non riesco a decifrare i meccanismi che regolano questi assurdi giochi politici, e
forse l'intento dell'uomo è quello di continuare a non farmi capire niente.
“Sarò la vostra spia. Vi aiuterò a stanare altri come me.”
“Dunque ingannerà i suoi amici. Dovrei fidarmi di una traditrice?”
“Voglio solo diventare una persona migliore e collaborare. Sarò di esempio per tutti, e al diavolo
cosa penserà qualcuno. La legge non è né amica né nemica. Va rispettata e fine. Altrimenti
persisteremo a vivere in una giungla infetta.”
“Signorina Jurevna. A questo punto dovremmo procedere con una sonda della verità. Ma dato il
suo stato emotivo, i risultati non sarebbero incoraggianti. Diciamo che voglio darle un'opportunità
anche se non credo a una sola parola di quello che mi ha detto. Tuttavia sono sicuro che lei non vorrà
passare la sua vita a marcire in una fetida e buia cella. Quindi le converrà interpretare al meglio il
suo ruolo. Per di più fra poco scoprirà che ci sono validi sistemi per tenerla sotto controllo.”
Mi viene subito alla mente mia madre. Mi minacceranno come hanno fatto con lei? Si
proporranno di ucciderla laddove dovessi deluderli?
“Mia madre come sta?”, domando all'improvviso.
“È un po' scossa, ma non le abbiamo torto un capello se è questo che vuole sapere.”
“Bene”, commento, tirando un sospiro di sollievo.
“Mi fa piacere che ci intendiamo alla perfezione. Il tempo a nostra disposizione scarseggia.
Dunque, se vuole chiedermi qualcosa, la invito a farlo ora.”
7
Undici mesi erano trascorsi dall'attentato e nessuno aveva chiesto particolari delucidazioni a
Egor Jurev. Se l'era cavata con poco più di una chiacchierata durante l'interrogatorio di rito che
aveva coinvolto tutti i dipendenti della Cyber P.
La terrificante esplosione aveva distrutto l'intero hangar principale, rinviando la produzione
dei nuovi droni in data da destinarsi. Nell'attentato erano morti tre ricercatori che si erano
insolitamente attardati. Un imprevisto che aveva segnato profondamente l'animo di Egor, che
aveva imprigionato nei recessi della mente quell'orrendo segreto.
Neanche Halina aveva chiesto troppe spiegazioni a suo marito. Era comprensibile che quel
tragico evento l'avesse scosso. Tanto più che dopo qualche settimana la normalità sembrava
essersi riappropriata di casa Jurev. Ed era quello che credeva lo stesso Egor, fin quando,
esattamente trecentocinquanta giorni dopo l'attacco alla Cyber P, vennero a prenderlo.
Un “Nooooo!” acuto e infinito strappò Kira dai suoi sogni.
Svegliatasi di soprassalto, la piccola tentò di infilarsi le pantofole per scoprire una verità che
fece prima di lei a presentarsi. La porta cigolò e ne emersero due uomini armati, col volto
coperto.
“È mia figlia, vi prego”, supplicò in lacrime la mamma.
All'interno della cameretta non successe quasi più nulla, e se mai qualcosa accadde, le menti
di Kira e Halina avrebbero per sempre ricordato soltanto le grida disperate di un padre-marito,
che non avrebbe mai più fatto ritorno.
8
Non risponderà a molte delle mie domande. Ne sono sicura. E vorrei fargliene mille. Le idee mi
si accalcano nella testa. Non sono in grado di tessere un filo logico.
Gli chiedo la prima cosa che mi viene in mente: “Tutto il mondo sapeva fin dall'inizio, vero?
Avete tenuto all'oscuro soltanto noi cinque.”
“Tutto il mondo... che egocentrismo, signorina Jurevna. Diciamo che negli Stati Uniti d'Europa vi
hanno seguito con passione. Comunque hanno iniziato a montare il programma da subito. Dal
momento in cui vi hanno inviato sui vostri account mobili la pubblicità dell'evento.”
“Come sapevate che avremmo risposto?”
“Non lo sapevamo. Ma avendo notificato l'evento a centinaia di soggetti, era logico che almeno
cinque si sarebbero presentati.”
Che sciocca.
“Cosa avevano fatto Claude e gli altri?”
“Le solite cose. Sabotaggi informatici, istigazione alla violenza, aggressioni alla forze di
polizia... i fatti specifici hanno poca importanza.”
Poca importanza? Li avete condannati a morte, brutti bastardi! Forse farebbe bene a leggermi
la mente. Non immagina quanto lo stia odiando, o forse sì?
“E chi erano gli spettatori?”
“Gente che doveva stare lì!”, esclama. Poi, dopo una breve pausa, aggiunge: “La piacevole
chiacchierata è terminata. Devo dire che le sue domande mi hanno un po' deluso, signorina Jurevna.
Me ne sarei aspettate di migliori. Ma nel complesso i suoi nuovi propositi potrebbero tornarci utili e
migliorare la sua vita. La invito alla cautela. Le ricordo che spezzare la sua vita è questione di un
attimo.”
Cerco di replicare qualcosa, ma in un istante è già fuori.
Al suo posto entra il solito energumeno che si aggiunge a quello già presente.
Si avvicinano e li blocco con un gesto della mano.
Sono stufa dei loro strattoni.
“Faccio da sola”, gli comunico alzandomi.
“Su, ci segua”, replica uno dei due.
Ancora quelle manacce sul mio braccio.
E ancora le parole dell’uomo sinistro: Le ricordo che spezzare la sua vita è questione di un
attimo.
9
“Perché, mamma, perché?”, domandò Kira per giorni, settimane, mesi. Una parola che non era
più l'avverbio interrogativo di un gioco bambino, ma la richiesta disperata di una piccola
fanciulla a cui avevano strappato il padre da sotto gli occhi.
La povera Halina, a quella domanda, non riuscì mai a rispondere con una frase di senso
compiuto. Allora la piccola Kira ripiegava sempre su una seconda: “Dov'è papà?” E lì sì che la
mamma rispondeva, con una bugia che le penetrava lo stomaco come una lama. Desiderava con
tutta sé stessa formulare una verità migliore, ma non esisteva o, quantomeno, non c'era nessuno a
suggerirgliela. Perché i genitori glielo avevano detto: “Non c'è da fidarsi di uno che lavora alla
Cyber P.” E anche se alla fine Egor aveva dimostrato di stare dalla parte giusta della barricata,
era e sarebbe rimasto colpevole per l'eternità. Un lurido terrorista che aveva disonorato e
condannato la sua famiglia.
Non di meno fecero i parenti di Egor.
Decine di dita puntate contro Halina, poiché indirizzarle verso sé stessi o contro il governo
era fuori discussione.
Anche gli amici scomparvero.
Chi teneva alla propria vita non poteva permettersi di frequentare la moglie di un criminale
estremista.
Kira divenne una donna guerriera alla tenera età di otto anni. Nel primo pomeriggio di un
giorno d'inverno maledettamente freddo. Accadde esattamente quando del pentothal, del pancurio
e del cloruro di potassio danzarono fatalmente nelle vene di Egor Jurev.
Tutti i parenti più stretti furono costretti ad assistere.
Un raccapricciante monito.
Halina mise la sua mano davanti agli occhi della figlia e nessuno osò impedirlo.
Kira non vide, ma capì ogni cosa.
“Non tornerà”, disse tombale.
E la bimba che era in lei morì per sempre.
11
Negli ultimi giorni sono state davvero tante le mie apparizioni sugli oloblog più famosi del
mondo.
Alcuni gruppi sovversivi, per mezzo dei loro abili hacker, sono riusciti a mantenere i loro
contenuti online per decine di ore prima che venissero rimossi. Proteste, indignazioni e minacce non
mi hanno sorpresa, e persino le parole più pesanti mi hanno appena sfiorata. Ma c'è una frase, una
frase che mi si è conficcata nella carne: Eri una di noi e ci hai tradito!
No. Non è vero. Ho un piano superiore. Doverlo tenere segregato è dannatamente frustrante. Così
persisto con il mio progetto, nella speranza che dia i suoi frutti, conscia, ahimè, che se mi sbagliassi
potrei far più male dei miei stessi aguzzini.
Ed ecco riemergere dagli inferi l'uomo dalla voce sinistra.
Anticipo qualunque discorso chiedendogli il suo nome. Nel suo stile replica con una domanda:
“La rivuoi la tua vita?”
“Che significa?”
“La rivuoi la tua vita?”, insiste.
“Sì, certo che la rivoglio!”
“Bene, allora devi fare di più.”
“Anche dopo tutto quello che ho detto e con il chip impiantato nella mia testa, non riuscite
proprio a fidarvi di me.”
“No!”
“Lo sospettavo, e per questo ho una proposta da farvi.”
L'uomo rimane in silenzio e mi fissa.
Credo di essere riuscita ad attirare la sua curiosità e, anche se è abile a non darlo a vedere, sono
certa che freme dalla voglia di sapere.
Il gioco della reticenza va avanti per alcuni secondi, finché non irrompo con la mia pazza idea.
“Ho deciso di essere una confidente speciale”, dichiaro senza continuare.
“Spiegati meglio”, è costretto a dire l'uomo.
Per la prima volta ho la sensazione di essere io a condurre le danze.
“Conosco tanta gente, tanti luoghi, tante questioni che dovreste sapere anche voi.”
“Ci tieni tanto a fare la delatrice?”, mi provoca.
Solo ora noto che non mi dà più del lei e che si è tolto dalla bocca quell'odioso signorina.
“Voglio collaborare, cooperare per rendere più pulito il mondo. Almeno alcune zone della mia
amata Russia.”
“Visti i tuoi trascorsi, pensavo che avessi cantato già a suo tempo.”
“Solo una canzoncina.”
“Ne conosci più di una?”
“Interi album.”
13
Halina Kolobovna gridò al miracolo quando comprese che avrebbe mantenuto il suo posto di
lavoro.
I giudici ebbero pietà di lei e di sua figlia.
Riconsegnandole a una società priva di compassione e con un marito-padre nella tomba,
avrebbero scontato la propria pena semplicemente esistendo.
Halina dovette trasferirsi in due ospedali e tre corsie diverse prima di trovare un po' di pace.
Meglio non andò a sua figlia. Ripudiata da insegnanti e compagni, fu reclusa ai margini di quella
squilibrata umanità.
Kira crebbe così nell'astio e nella rabbia, percorrendo una strada incerta e tortuosa che,
all'età di quindici anni, la fece sbattere contro un muro di delinquenza.
Vittima del sistema e falsa idealista, la gang dei nazionalisti disseminava vandalismo al grido
di libertà.
“Kira, so che stai frequentando delle brutte persone”, le disse la madre in un giorno di
primavera che di primaverile non aveva nulla.
“Perché, esistono delle persone belle?”, replicò la giovane, rabbiosa.
“Alcune sono migliori di altre, è innegabile.”
“E cosa ottengono indietro?”
“Ti prego, non fingere di non capire.”
“Mamma, io capisco benissimo. È proprio questo il punto.”
“Ah, sì? E quale sarebbe?”
“Possibile che i vostri occhi non vedano?”
“I nostri?”
“Sì, i tuoi e quelli di coloro che sono come te!”
“Come me? E come sarei? Sentiamo.”
“Un'illusa sottomessa! Come fate? Come fai a startene così calma e indifferente... Dopo tutto
quello che ci hanno fatto! Che continuano a fare. Non solo a noi, ma a tutti.”
“E tu pensi davvero che quei quattro sbandati dei tuoi amici cambieranno il mondo?”
“Qualcuno dovrà pur iniziare.”
“E finire in galera o, peggio, morto ammazzato per la strada.”
“Meglio morire che vivere così.”
“E no, cara mia! Tu non sei libera di poter gettare nella pattumiera la tua vita. Ho versato
lacrime e sangue per farti avere una madre e una casa. Il tuo destino sarebbe stato in un
orfanotrofio. Ti rendi conto? Lo sai come sono quei posti?”
“Non peggiori di questo.”
Con quella frase il cuore di Halina smise di battere.
Si convinse di essere morta.
Eppure continuò a vivere e a vedere con quanto disprezzo la stesse guardando in quel momento
la figlia.
Dov'è che aveva sbagliato? Perché stava fallendo? Che avesse avuto ragione Kira tutte quelle
volte in cui aveva affermato di non avere futuro? Del resto, come si poteva dare un domani a chi
non lo desiderava?
Quando Halina risentì il battito del suo cuore, si accorse di percepire un cucchiaio metallico
nello stomaco. Infine, sconvolta, crollò su una sedia.
“Va bene, figlia mia, se non vuoi farlo per te o per me, fallo almeno per tuo padre. Lui
desiderava il meglio per sua figlia. Si è sacrificato nella convinzione di regalarti un mondo
migliore.”
“E non ci è riuscito.”
“Perché, come cercavo di dirti, certe azioni non pagano.”
Un piccolo varco si aprì nel cuore pietrificato di Kira.
“Se evitare di frequentare determinate persone ti renderà felice, prometto che lo farò.”
Halina improntò una risposta, ma si fece morire le parole in bocca. Il fatto che la figlia avesse
ceduto un minimo, era già qualcosa. La questione di spiegarle che non doveva farlo per lei, ma
per sé stessa, sarebbe stata rimandata a giorni migliori.
Madre e figlia si abbracciarono, illuminate da una deprimente e artificiosa luce bianca.
Kira non voleva far soffrire la madre. Seppure le appariva insopportabilmente debole, sapeva
che era una brava donna. Per quello aveva deciso di usare determinate parole. Tuttavia,
mantenere una promessa era un'altra cosa.
14
Ho fornito la lista di cinque miei compagni che sono riusciti sempre a farla franca. Sono stata
prodiga nel raccontare le loro malefatte e nell'indicare i luoghi dove potranno scovarli.
Cosa sto facendo?, mi chiedo.
Sono sicura che avrei potuto scorgere ben altre vie per raggiungere la meta. Eppure, ho scelto
questa. La più terribile, la meno nobile. Temo che me ne pentirò.
Può definirsi eroe colui che sacrifica i propri compagni per un bene comune più ampio? Forse sì,
ma qui il problema è che non c'è alcuna certezza. È inutile e dannoso continuare a ingannarmi per
sentirmi più in pace con me stessa. Che sia divenuta crudele e vendicativa? Sarebbe un senso di
giustizialismo folle. Ma io già so che questa non è giustizia. Il fatto è che devo dimostrare di essere
una di loro, e questa è la strada più diretta.
Sono tormentata e spesso mi ritrovo chiusa in bagno a vomitare. Nei prossimi giorni starò ancora
peggio. Già, perché fra qualche ora parteciperò a un summit, come membro onorario. Tema
principale?
Le regole dei nuovi deadly show.
16
Dopo un breve tragitto in auto e con la vista oscurata da una benda in nanopolimeri, sono
finalmente arrivata.
E la vedo: la sala della conferenza.
Triste e asettica.
Percepisco la sua disperazione.
Ma le stanze non hanno un'anima, forse.
Al centro regna un grande tavolo dalla forma ellittica, e installate sulle pareti si intravedono
microproiettori olografici. Le quattordici poltrone sono un invito alla comodità. Non ci sono finestre,
quadri, mobili, piante, ornamenti di qualsiasi genere. È stato Mr. W in persona ad accompagnarmi.
Presiederà il summit e mi annuncerà al Vertice di Controllo per la Sicurezza Europea. Si tratta di un
organismo potentissimo, che opera dietro le quinte. È da qui che partono le idee più folli circa il
controllo delle persone e la creazione di nuovi show.
Su ogni poltrona ci sarà a breve un delegato chiave. Intendo rappresentanti di ministeri, di organi
di polizia, di giustizia, di intelligence, magnati della televisione, esperti di scienze sociali e tecnici
delle comunicazioni.
W non mi ha detto molto di più, spiegandomi che una volta dentro avrei inteso.
Dentro al summit? Dentro al loro mondo?
Forse entrambe le cose.
Arrivano altri membri.
Uno ha una corporatura enorme e si intuisce come non sia più tanto giovane. Lo seguono una
donna sui quarant'anni e un uomo calvo, alto, magro e con gli occhiali.
È raro vedere uomini di potere con gli occhiali, rimugino. Con la tecnologia laser e la
rigenerazione cellulare, riottenere un'ottima vista è qualcosa di poco conto per chi ha i soldi per
permetterselo.
Soltanto quando la sala è quasi gremita, mi accorgo dei guantini blu posti sul tavolo davanti a
ogni poltrona. Servono per interagire con le proiezioni olografiche.
Nel frattempo Mr. W è scomparso.
Senza di lui sono una donna finita.
Ma eccolo tornare con al seguito un inserviente che spinge una poltrona.
Pochi secondi e la quindicesima postazione è pronta.
Il tempo di guardarmi ancora qualche volta intorno e la sala è al completo.
“Bene”, esordisce Mr. W, e capisco che la conferenza è iniziata.
Ho il cuore in gola.
Tutti gli sguardi sono su di me.
Gli uomini indossano giacca e cravatta, le donne dei tailleur eleganti e raffinati, con un tocco di
modernità.
Anch'io sono vestita e truccata di tutto punto.
La maggior parte degli sguardi appare accusatorio. Pochi manifestano stupore o altre particolari
emozioni. In realtà ce n’è uno che mi colpisce. È lo sguardo di un uomo brizzolato, di aspetto
ordinario. Mi fissa in modo inquietante. Famelico, oserei dire. Non sono mai stata una ragazza
sveglia sotto certi aspetti, ma scommetterei che quel tizio è follemente attratto da me.
Non so se esserne lusingata o spaventata.
Mr. W ha cominciato a parlare, ma ascolto distrattamente le sue parole. Sta presentando me e i
punti del giorno. Appena vedo tutti accennarmi un saluto, ricambio allo stesso modo. Molte di queste
persone sedute a pochi passi da me, sono state i miei aguzzini. Coloro che hanno avuto la brillante
idea della Revival. Gente diabolica, a cui si deve stare molto attenti.
Dalle loro parole evinco che una considerevole parte dell'opinione pubblica ha risposto bene al
Deadly Space Show. Se quello che dicono è vero, devono averci dipinti come dei criminali
mostruosi. Queste, assieme ai politici, sono davvero le uniche figure che la gente di un mondo
sofferente desidera vedere morire.
Discutono di un nuovo show, di una piccola arena nella quale verranno introdotti i cinque che ho
fatto arrestare negli ultimi giorni.
Se mi trovo qui, devo essere veramente piaciuta a queste persone. D'altronde sono stata una fonte
attendibile. Altrimenti non avrebbero proceduto con le carcerazioni. In un pianeta ancora pieno di
conflitti, non è necessario catturare gente innocente per dimostrare la propria forza.
Prima di decollare con la finta navicella, ho pensato che il mondo stesse migliorando, che ci
fosse il miraggio di una nuova alba. Cosa mi ha detto il cervello in quei giorni? Non lo so. Forse è
stata la scarcerazione anticipata ad avermi illusa.
Continuo a sentirli parlare dell'arena.
Solo l'ultimo a rimanere in vita sopravvivrà.
Tuttavia deve essere un evento veloce, da prima serata.
Dunque va escogitato un meccanismo che li conduca alla morte in breve tempo. Non vogliono
armi né troppo sangue. Per quanto crudele, necessita escogitare un sistema elegante.
Elegante?
Cosa può esserci di elegante in questa barbarie?
No, Kira, devi tacere!, mi impongo. Che diritto ho di giudicarli? Io che ho condannato i miei
vecchi compagni di lotta. Io che sono diventata la loro aguzzina.
Poi sussulto quando il tizio brizzolato si rivolge a me: “E lei, Miss Jurevna, cosa propone?”
“Io...”, provo ad abbozzare una proposta, ma vengo interrotta da un gesto di Mr. W. In un attimo
l'intensità delle luci muta, il tavolo diviene luminescente e i raggi dei proiettori olografici si
percepiscono appena.
Osservo tutti infilarsi i guantini blu.
Li emulo e aspetto che accada qualcosa.
“Questo, signori”, prende a parlare W mentre si compone l'immagine di una arena, “è il nostro
anfiteatro!”, proclama con enfasi.
Poi mi guarda e mi invita a fare qualcosa con uno dei suoi soliti gesti.
“Prego, Miss Jurevna, ci illustri pure le sue idee”, aggiunge compiaciuto.
Di nuovo tutti gli sguardi su di me.
Ormai ne ho passate tante, mi dico per farmi coraggio, non saranno certo questi quattro
spavaldi buffoni a fermarmi.
“Signori, al fine di concludere lo show nell'arco di due ore, suggerisco di abbassare la
temperatura dell'ambiente di un grado ogni tre minuti”, esordisco con la mia idea.
“Interessante!”, esclama uno dei presenti.
“Suggestivo”, commenta un altro.
“Mi piace”, sento dall'altro capo del tavolo.
“Membri del Vertice, noto con piacere che la proposta di Miss Jurevna è stata più che gradita.
Ritengo superfluo procedere con i voti”, afferma Mr. W. “Potremmo fare da più venticinque gradi
celsius a meno quindici”, propone poi.
“E li faremmo entrare praticamente in mutande”, suggerisce qualcuno. Poi seguono delle grasse
risate. Soltanto io rimango in silenzio. Tutto ciò è orripilante. Non posso credere che nessuno di loro
abbia un minimo di riserbo. Individui senza anima. Oppure ottimi attori, come me, più esperti di me.
Poi vedo la proiezione dell'arena cambiare. Il modellino olografico si riempie di brina virtuale.
L'uomo brizzolato si sporge verso la proiezione per indicare dei punti precisi con le dita.
“Direi di farli entrare tutti e cinque da ingressi differenti, e qui, al centro, inserirei una trappola
mortale”, illustra mentre, grazie all'ausilio dei guantini, gli oggetti da lui citati prendono forma nei
punti esatti in cui si muovono le sue dita.
Vanno avanti con dettagli tecnici diabolici.
Poi, quando tutto finisce, Mr. W annuncia in un eccezionale accenno di sorriso: “Pare che da oggi
avremo un quindicesimo membro.”
Qualcuno ride, altri rimangono seriosi.
Ignoro se sia la verità o una battuta.
Quello che so è che presto cinque giovani saranno condannati a un inferno di ghiaccio.
A un inferno creato da quindici demoni.
E io sono uno di loro.
18
Elodie Leroux era stata eletta come sedicesimo presidente degli Stati Uniti d'Europa,
conquistando il nomignolo di “La Presidentessa.”
Donna dal sorriso appena asimmetrico, priva dei classici canoni di bellezza, con un viso
materno, delle forme generose, proprietà di linguaggio, infinita arguzia e un'epica determinazione, era
riuscita per pochissimi voti ad aggiudicarsi una discussa presidenza.
“Che ne pensi?”, domandò Leroux al suo vice Wil Van Leeuwen.
Prima di rispondere l'uomo si guardò intorno.
Lo studio presidenziale con la sua elegante boiserie non avrebbe mai smesso di affascinarlo.
Lui ed Elodie, entrambi prossimi ai cinquant'anni, ormai si conoscevano a fondo.
“Posso solamente dire cosa ne pensa il Vertice.”
“È già qualcosa, Wil. Anche se mi fido più della tua opinione che della loro.”
L'uomo la guardò negli occhi in un cenno d'intesa.
“Fino a ora non ha deluso le aspettative.”
“Pensi davvero che sia diventata una di loro?”
“Dovrei prima parlarci e conoscerla personalmente. Il mio intuito mi porta a credere che sia
ancora più furba di quello che pensiamo.”
“La sola cosa che importa è che possa tornarci utile.”
“E sarà così. Anche se dall'espressione mi sembri poco convinta.”
“Se non fosse russa...”
“Non ti facevo razzista”, replicò l'uomo fra il serio e il faceto.
“Figurati. Al mondo d'oggi il colore della pelle non importa davvero più nulla. Quello che mi
preoccupa sono gli atteggiamenti diffusi in alcune realtà. La Russia è entrata per ultima negli Stati
Uniti d'Europa e sinceramente fu obbligata o, meglio, le convenne. L'alternativa sarebbe stata la
debole lega asiatica.”
“Debole?”
“Sai cosa intendo.”
“Già.”
“Il fatto è che i russi non sono mai stati europeisti.”
“Sì, ma questa Kira Jurevna non è una russa qualsiasi.”
“Senti, Wil”, disse facendo seguire un lungo sospiro, “cerca di afferrare se è la nostra donna.”
“Presidente, mi date carta bianca?”
“Wil, fai come diamine credi.”
Continua
Il Mondo Brucia – Episodio 2
di
Gianluca Ranieri Bandini
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore. È vietata ogni duplicazione, anche
parziale, non autorizzata.
Parte I
1
Sul megaschermo la temperatura segna meno due gradi celsius. I gladiatori erano stati fatti entrare
a torso nudo, eccetto le ragazze, coperte con uno straccetto di t-shirt.
Eppure Zot, scortato fuori, non sembra accusare il freddo.
È sempre stato il più energico, non mi sorprendo che abbia vinto lui. Il commentatore gli si
avvicina per porgli le sue odiose domande. Zot lo fissa. Lo fa avvicinare e, appena è alla sua portata,
gli dà uno spintone che lo fa ruzzolare malamente a terra. Non mi dispiace la sua reazione, e il buffo
capitombolo ha del comico, ma non mi viene da ridere. Troppo duro il contesto, e poi sono già venuti
a prenderlo.
I colleghi dei miei accompagnatori.
Ad attenderlo ci sarà un Mr. W?
Non fare cavolate, amico mio.
Amico mio?
No, non sono degna di chiamarlo in questo modo.
Zot, oltre che per la sua prestanza fisica, si è sempre contraddistinto per essere il più matto del
gruppo.
Il più folle di un drappello nazionalista, insurrezionale, con matrice terroristica. Figuriamoci
cosa gli può suggerire la testa in questi momenti. Mi auguro che mantenga la giusta lucidità. È salvo.
Per quanto repellente, avrà sempre una seconda chance.
Non è da tutti.
Vorrei potergli confessare cosa ho in mente.
Il mio piano.
Ma dovrebbe essere incatenato, altrimenti, se mi avesse di fronte, mi ucciderebbe all'istante.
E sono certa che non tenterei di proteggermi, perché sarei la prima a prendermi a pugni.
All'improvviso mi sento toccare e faccio un salto.
“Sovrappensiero?”, domanda Mr. W.
“Già”, ammetto.
I gorilla sono posizionati intorno a noi.
Protetti e ingabbiati da un muro umano, io e W veniamo condotti verso l'uscita.
Appena fuori lo stadio, riconosco una donna che aveva preso parte al summit.
Anche lei è circondata da una schiera di uomini.
In questo gioco paradossale di nome vita, capisco che non ci sono più persone libere.
Ognuno ha la sua prigione.
3
Quando, poche ore dopo essere stata sbattuta in carcere, fu costretta a picchiarsi con la
compagna di cella, Kira capì che non sarebbe stata affatto una passeggiata. Quando poi la
presero e la gettarono in isolamento come un sacco di patate, data la sua misantropia, ringraziò
Dio, anche se in cuor suo aveva sempre sospettato di essere atea.
Dalle immagini riprese da alcune speciali telecamere, gli inquirenti avevano dimostrato che
fra gli attentatori vi era anche Kira Jurevna.
L'avvocato assunto da Halina Kolobovna Jureva, non fu in grado di progettare una difesa
convincente, tuttavia la condanna detentiva fu di appena un anno. Una miseria se commisurata al
tipo di reato. I giudici motivarono la decisione asserendo che da numerosi elementi era emerso
come la Jurevna non fosse attrice dell'atto, ma solo partecipe spettatrice. Ovviamente il non aver
dato immediato avviso alle autorità, la condannava da un minimo di uno a un massimo di sette
anni di reclusione.
Per grazia divina, pensarono Halina e il suo avvocato, a Kira spettò la pena minima.
Un padre giustiziato per terrorismo avrebbe dovuto costituire un'importante aggravante, ma
nessuno sembrò ricordarsene.
Le settimane in carcere trascorsero fra insulti, umiliazioni, percosse e tentate violenze. Kira,
stoica, non si piegò. Così, la buona condotta le regalò uno sconto di pena, che fra l'altro consumò
fra arresti domiciliari e libertà vigilata.
I giorni effettivi di carcere furono appena centodue.
Tornata a casa, una cicatrice e un osso rotto si rivelarono sufficienti per darsi una calmata e
costringersi a un periodo di profonda riflessione.
Con mamma Halina convenne che certe cose le avrebbe lasciate agli altri.
Nei mesi successivi riuscì a diplomarsi e ad appassionarsi alle materie scientifiche. Pochi
erano coloro che potevano permettersi di continuare negli studi universitari, ma Halina avrebbe
fatto qualunque sacrificio per dare a sua figlia un futuro onorevole.
La ragazza si appassionò alla fisica e, in particolar modo, alle stelle. Trascorse centinaia di
ore a documentarsi con il materiale reperibile online.
Spazio, galassie e astronavi furono le tre parole maggiormente digitate o pronunciate nei
motori di ricerca.
E qualcuno se ne accorse.
9
Mi ci sono voluti cinque giorni e due cene per diventare la sua amante.
Soltanto cinque giorni.
Mi ripeto che lo sto facendo per la mia causa.
Essere intima con una pregiata pedina della scacchiera europea può solo alimentare il vento che
soffia verso la mia meta.
Eppure ho il sospetto che mi piaccia.
Perché devo sempre cercare di essere disonesta con me stessa?
Mi piace. Punto. E non devo vergognarmene. Devo viverlo come un fortunoso vantaggio.
Berlino è una città che gode di un ottimo splendore.
Essendo la capitale, moltissime risorse economiche vengono convogliate su di lei.
Vivo in un delizioso appartamentino posto all'interno di un elegante residence.
Ogni mattina mi sveglio con l'odore di lavanda.
Credo che siano i piccoli automi dediti alle pulizie che scorrazzano lungo i corridoi.
Se tutto il mondo fosse come questa città, sarebbe il paradiso.
Ieri sera ho faticato a prendere sonno.
Non è stato a causa dell'intervista programmata in cui ho raccontato le solite frottole.
L'origine del turbamento si chiama Elisa Martelli, moglie del ministro Stone.
Poveretta, è lei che dovrebbe odiarmi, ma per fortuna non sospetta nulla.
Tuttavia, vederla sottobraccio a Justin mi ha mosso un senso di fastidio. Chiamarla gelosia
sarebbe una esagerazione. In ogni caso il fenomeno non è da sottovalutare. Sviluppare un sentimento
nei suoi confronti sarebbe grave. Non posso e non devo permettermelo.
Certo, da reclusa a mantenuta in un residence di lusso, non è male come scalata. Eppure rimango
una marionetta nelle loro mani.
“I fili!”, esclamo ad alta voce.
Devo impossessarmi dei fili.
11
Un'altra manciata di giorni è trascorsa. A dir la verità non saprei quantificarla. Basterebbe
prendere il calendario e fare un semplice calcolo. Ma non ne ho voglia. Insieme alle giornate anche
Justin è volato. Summit, congressi, deadly show, hotel, amanti, chissà.
Poco fa ho ricevuto una sua telefonata.
Come sempre ha evitato magistralmente di dare un tono intimo alla nostra conversazione.
Nessuno oserebbe immaginare le nostre avventure di letto. È stato telegrafico. “Ciao. Ho una buona
notizia. Puoi uscire dal residence per un paio di ore. Tanto sanno come fermarti. Devo chiudere.”
Mi ha negato di esprimere qualunque commento.
Poter sperimentare un poco di libertà è un'ottima notizia. Ma non riesco a esultare. Il chip è il
problema. Spesso me ne scordo o diciamo che mi obbligo a farlo. Poi qualcosa o qualcuno si
adopera per rammentarmi la bomba impiantata nella mia testa.
Eppure ci sarà il modo di disattivarla.
Si tratta di un obiettivo primario se voglio vincere la mia sfida con il mondo.
In ogni caso camminare per le strade della capitale è l'ennesimo passo in avanti. Sono
emozionata. In questi giorni ho avuto modo di conoscerla virtualmente, anche se ologrammi e filmati
non possono regalare i veri profumi della città. È un luogo così differente rispetto a quello in cui
sono cresciuta. Strade immacolate, negozi, palazzi sfavillanti. Tutto coerente con la disparità socio-
economica che regna su questo pianeta. Per ogni cento città fatiscenti ce n’è una splendente. È così
per le persone, gli edifici, le scuole, le fabbriche, tutto. Eppure i discorsi dei presidenti e il
programma spaziale mi avevano illusa. Ho riposto le mie convinzioni in quello che desideravo
credere. In ciò che avrei voluto fosse la realtà. In un momento di debolezza o stupidità, non so.
Indosso dei jeans e una t-shirt, abiti sopravvissuti al black year, a ogni moda, a ogni tempo.
A Berlino è arrivata l'estate.
Esco dalla camera e, preso l'ascensore, in un attimo mi ritrovo nella hall.
Due bestioni mi si affiancano.
“A sua disposizione”, dice uno.
La scorta, ma certo.
Come potevo immaginare di poter stare all'aperto con me stessa per solo un istante? La solita
ingenua.
Devi imparare a pensare, Kira. A prevedere e anticipare tutte le mosse.
Se solo la mia coscienza predominasse sugli impulsi che guidano drammaticamente la mia
esistenza, le cose andrebbero in maniera differente. Migliore azzarderei.
Con questi due gorilloni mi sta già passando la voglia.
Ma poi la vedo, dall'altra parte della hall, in un angolo. Mi stropiccio gli occhi, perché non posso
crederci. L'immagine rimane al suo posto.
È reale.
Non devo ignorarla.
Sarebbe stupido e ingiusto.
Mi faccio strada verso di lei e, appena mi vede, mi blocco.
“Vi prego”, imploro gli agenti. “È mia madre, concedetemi un attimo.”
Comprendono il messaggio e lo rispettano regalandomi qualche metro di privacy.
“Kira.” La voce di mia madre è severa.
“Mamma, come mi hai trovata? Come sei arrivata fin qui?”
Rimane in silenzio e mi fissa.
Dannazione.
Si aspettava un abbraccio e io ho iniziato con l'interrogatorio.
“Una madre può tutto quando si tratta di sua figlia. Potrai mai impararlo? Non sembra che ti
importi un granché di amori e affetti.”
Sono attonita.
Cosa dovrei replicare se sono la prima a darle ragione e l'ultima al mondo in grado di chiedere
scusa?
“Già”, sbuffa amareggiata. “Vedo che stai bene. Questo è l'importante.”
Poi si volta e fa per andarsene.
Sono certa che attenda un mio richiamo.
Ma non arriva.
Da me può uscire solo il male.
Alzo lievemente il braccio, come per tendere una mano che non riuscirà mai nell'impresa di
indicarla.
Le mie corde vocali emettono un suono troppo flebile per essere udito.
Preferisco lasciarla sfilare via dalla mia vita, piuttosto che affrontarla. E ovviamente non si tratta
di combattere mia madre, bensì le mie colpe e le mie paure.
E io dovrei salvare il mondo?
Piccola vigliacca...
12
L'olobanner pubblicitario si materializzò come d'incanto dal dispositivo mobile che Kira
teneva sul comodino accanto al letto. A metà mattinata la ragazza era sveglia ma, dati gli scarsi
impegni previsti per la giornata, era rimasta a poltrire spostandosi da una parte all'altra del
giaciglio.
Questo fin quando l'olobanner non catturò la sua attenzione. Era un'immagine in alta
risoluzione di una navicella spaziale.
La scritta Civili alla conquista dello spazio – Concorso, troneggiava sopra la proiezione
dell'avveniristico shuttle.
Kira non badò al fatto che aveva da tempo impostato il blocco dello spam, tanto più che
poteva essere una comunicazione proveniente dall'ateneo per cui aveva fatto domanda di
iscrizione, o da qualche amico incontrato nella rete che condivideva la medesima passione.
Kira sfiorò l'ololink con l'indice, e una sequela di immagini audiovisive inondarono la sua
fantasia.
Chiunque si sarebbe potuto iscrivere al concorso. Non vi era cenno né a specifiche qualifiche
né a una fedina penale pulita.
Si iscrisse senza pensarci molto e tentò di informarsi navigando nel web, ma non trovò notizie.
Un fatto che non la sorprese visto il controllo che esercitava il governo sul traffico delle
informazioni, spesso in maniera indiscriminata e apparentemente illogica.
Halina le raccomandò di essere accorta e di evitare come al suo solito di infilarsi in strane
situazioni.
Nonostante ciò, l'ormai maggiorenne Kira, come d'abitudine, agì d'istinto.
Che pericolo poteva mai esserci?
Essere selezionati andava contro le leggi della probabilità, e per di più aveva messo la testa a
posto.
Ho scontato quello che dovevo ed è ora di vivere. Di fare qualcosa di straordinario.
13
Impiegano poco più di cinque minuti per portarmi nel vicino commissariato e sbattermi nella
cella detentiva.
Ma questo sarebbe nulla se non mi trovassi di fronte il bel viso di Stone.
“Mi spieghi che cazzo succede?”, gli sbotto contro.
Per tutta risposta un agente mi dà un calcio dietro il ginocchio, costringendo la mia gamba a
piegarsi.
“Lasciateci soli”, ordina il ministro.
I due agenti, senza replicare nulla, serrano la cella e si allontanano di alcuni passi.
“Finisce sempre così”, affermo in un sorriso amaro.
“Questa volta è diverso”, dice lui serafico.
“Lo so. Mi sono fatta fregare e scopare come una fessa. Mi ammazzerete come avete fatto con
mio padre? Userete la microcarica installata nella mia testa, o avete in serbo qualcosa di più
originale?”
“Kira, sei completamente fuori strada.”
“Lo sono sempre stata.”
“Finiscila con il melodramma e ascoltami attentamente. Qui non ci sono microspie, possiamo
parlare liberamente, purché si mantenga un tono di voce basso.”
“Sai che me ne frega.”
“Più di quanto immagini”, pronuncia con fermezza.
“Non mi fai paura.” Ecco che mi sono già messa sulla difensiva, per illudermi di essere più forte
di quanto in realtà non sia.
“E lo credo bene, perché se agiremo con intelligenza, saranno altri ad avere paura, te lo
assicuro.”
Mi sta disorientando.
Vuole imbambolarmi come hanno sempre fatto quelli del suo rango?
“Non capisco dove vuoi arrivare.”
“Kira, non devi fare altro che tacere un attimo e starmi ad ascoltare, perché io sono dalla tua
parte.”
16
Scesi dall'aereo, è stato come vivere a ritroso il folle imbarco. Io e Stone lanciati dentro un'auto
nera a folle velocità. La cosa più pazza e curiosa è successa quando siamo letteralmente entrati
all'interno di una collina. Una enorme costruzione con un numero di piani sotterranei che non mi è
dato sapere.
Adesso, per mezzo di un ascensore ci inoltriamo nel sottosuolo, per riemergere poi in un'ampia
sala operativa. Computer, tavoli olografici e scienziati scapigliati dal camice bianco sono il
principale ornamento. Mi è concessa una fugace occhiata. Stone e gli altri mi guidano lungo un
corridoio che sfocia in un'altra sala, più piccola della prima ma ricolma di sorprese impossibili.
Miracoli, deliri concettuali, prodigi fantascientifici, magia.
Fenomeni soprannaturali che mi fissano e sorridono.
Attendevano me e il mio stupore.
“Salve, Kira”, esordisce W, ma nella mia testa non c'è spazio per lui.
Davanti ai miei occhi c'è Borimir Shilov.
“Ma tu...” Non riesco a pronunciare i vocaboli morto o resuscitato.
L'incredulità mi soffoca le parole.
“Bella recita, vero?”, dice soddisfatto Borimir.
Un inganno, ancora.
E non il solo.
Assieme a Zot riconosco Dana, Viktor e Arseniya.
I ragazzi dell'arena.
Tutti vivi, vivissimi.
“Che significa?”, chiedo.
“Non sei contenta?”, domanda Dana.
“Ci preferivi morti, di’ la verità”, afferma Viktor.
“È solo che... non capisco”, rispondo, sinceramente confusa.
“Fa parte del piano, Kira”, spiega Stone. “Una volta mostrato al mondo chi sono Elodie Leroux e
il governo mondiale, ostenteremo la nostra forza. Capaci di ingannare e ribellarci con una maestria
che farà tremare le fondamenta stesse del governo. Racconteremo ai popoli della Terra le verità che
si celano dietro il nuovo ordine mondiale. Poi forniremo loro le chiavi per liberarsi.”
“E le abbiamo veramente queste chiavi?”, chiedo con la speranza di conoscere i dettagli.
“Ci puoi giurare, Kira Jurevna”, irrompe una voce nella sala. La conosco, ma non riesco a
collocarla subito.
Si tratta di un uomo sui cinquant'anni, vestito in modo impeccabile.
“Vicepresidente”, lo chiama Justin porgendogli la mano.
Altrettanto fanno W e gli altri.
Infine tocca a me.
Anche Wil Van Leeuren è dalla nostra.
Non lo avrei mai detto.
“Come vedi, il gruppo è nutrito”, afferma Justin con una certa soddisfazione.
“E La Presidentessa?”, domando per capire se sia o meno nostra alleata.
“No, quella è una gran figlia di puttana”, assicura con fermezza Wil, vicepresidente degli Stati
Uniti d'Europa.
Parte II
1
L'ultimo giorno dell'anno, mentre Elodie Leroux parlava a reti unificate al popolo d'Europa,
accadde l'impensabile.
La trasmissione venne interrotta e, dopo un breve e accecante sfarfallio, su milioni di oloschermi
comparvero delle immagini che furono un invito ai cavalieri dell'apocalisse.
In una camera spoglia e anonima si poteva distinguere la figura della Presidentessa impegnata in
una oloconferenza. Ci vollero pochi secondi per intuire che si trattava di un summit fra le persone più
importanti del mondo.
“Noto con piacere che anche nella vecchia Europa gradiscono gli show”, disse Luis Martin
Zafón, presidente delle Americhe Unite del Sud.
“Vecchi, ma all'avanguardia per scienza e tecnologia”, replicò la Leroux, con il sorriso sotto i
baffi.
“Devo ammettere che la simulazione della Revival mi ha stupito. Davvero sorprendente”,
affermò Liu Dejiang, uomo al vertice della Lega Asiatica.
“Forse avreste speso meno per mandarli veramente nello spazio”, ironizzò Alicia King,
conosciuta come il re d'Oceania.
“Forse, ma sarebbe stato meno divertente”, ribatté la Presidentessa.
“Tuttavia, a volte mi chiedo se non potremmo ottenere ulteriori vantaggi nel risolvere una volta
per tutte i problemi economici e ambientali che affliggono il pianeta”, azzardò Abdul-Raouf,
presidente degli Emirati Uniti e governatore d'Africa.
“Sono anni che ne parlo con il mio staff”, rispose la Presidentessa. “Qualcuno di loro ogni tanto
si avventa in bizzarre idee. Ma alla fine giungiamo sempre alla conclusione che paura, ignoranza e
miseria alimentano il nostro potere.”
“Che si traduce in privilegi irrinunciabili”, continuò Abdul-Raouf.
“E non è forse quello che fanno tutti da sempre? Non saremo né i primi né gli ultimi.”
“L'importante è risultare credibili. E far finta di litigare fra noi.”
“Io non faccio mai finta”, concluse la Leroux tra gli sghignazzi dei cinque e, prima che
riprendessero a parlare, lo schermo diventò blu, con la dicitura Riprenderemo le trasmissioni il
prima possibile, che si sarebbe potuta tradurre in Non sappiamo come diamine reagire, ci serve
tempo.
L'estratto trasmesso dagli abili hacker reclutati da W in persona, non era di certo il tipico dialogo
fra i padroni del mondo. Ma dopo migliaia di ore spese a spiare e registrare l'amata signora Elodie,
il materiale accumulato era il più variegato. Non era stato semplice accordarsi su cosa trasmettere.
Ma alla fine arroganza e strafottenza avevano predominato su violenza e corruzione.
La missione era di accendere la miccia e, nascosti a Free District, come era stata ribattezzata la
base sotterranea, Justin Stone, Wil Van Leeuren, Kira, Borimir e i ragazzi dell'arena iniziarono a
sentire un forte odore di corda bruciata.
2
“Che significa? Cos'è questa pagliacciata?”, esplose Elodie Leroux nello studio presidenziale.
“Qualcuno si è intromesso nel sistema e non riusciamo a...”
“Fermatelo!”, sbottò la Presidentessa.
Dopo alcuni secondi quell'orrore svanì dagli oloschermi.
Nessuno le disse che il segnale era stato interrotto dall'esterno.
“Siamo in grado di trasmettere?”
“Sì”, rispose un tecnico dello staff.
“Bene, fra trenta secondi si rivà in onda.”
Elodie Leroux fece mente locale, nella speranza di trovare qualcosa di idoneo da riferire. In altri
frangenti si sarebbe confrontata con i suoi uomini migliori, ma adesso non c'era tempo da perdere.
Ogni secondo in cui lo schermo rimaneva blu, lei e il suo governo perdevano potere.
“Ci siamo, presidente”, la richiamò alla realtà una voce. “In onda fra tre, due, uno...”
“Cari cittadini d'Europa. Abbiamo assistito a uno spettacolo impietoso. Sia io che voi siamo stati
vittime di un'azione terroristica atta a disturbare l'ordine per mezzo di filmati mendaci. Giacché mia
atavica priorità è sempre stata quella di garantire la massima sicurezza, vi chiedo scusa per aver
permesso che qualcuno ci attaccasse. Tuttavia, con la stessa fermezza, posso assicurarvi che i
responsabili saranno puniti. Nessuno può minare l'unione per cui i nostri padri lottarono sino alla
morte. Nemici della pace, io vi dico che siamo più coesi e forti di prima. Non durerete a lungo e
perderete la vostra dannata guerra. Vi sconfiggeremo. Per giorni, anni e secoli migliori.
Dio benedica l'Europa.
Dio benedica il mondo intero.”
Quando il discorso finì, la Leroux non fece in tempo a uscire dallo studio, che l'addetto alle
comunicazioni la bloccò comunicandole: “Il presidente degli Stati Uniti d'America in linea.”
3
Le camere di Free District non sono altro che delle cuccette scomodissime. È logico che gli
architetti della struttura abbiano preferito ricavare spazio per armamenti, unità di memoria,
generatori elettrici, scorte idriche e alimentari.
Le settimane sono volate.
Mi hanno confessato una notizia stupenda.
Dapprima sono stata colta dalla furia. Hanno persino minacciato di legarmi e sedarmi. Poi mi
sono rilassata e ho pianto per la gioia. Il chip era tutta una farsa. Altro non era che un frammento di
un materiale bioassorbibile. Una menzogna che mi ha costretta all'obbedienza. Una bugia che
finalmente posso lasciarmi alle spalle.
In questi giorni ho distribuito il tempo fra tre attività principali: girare olovideo con cui avremmo
inaugurato il nuovo anno, godermi la costruzione delle strategie che salveranno il mondo e definire la
mia relazione con Justin.
Siamo stati discreti nel viverla e nessuno ha tentato di inibirla. Così l'iniziale passione di letto si
è trasformata in qualcosa di più serio. Ignoro se il nostro sia amore, ma alcune volte il cuore non
vuole saperne di battere piano.
E quando Justin ha asserito come la moglie non fosse altro che uno scomodo socio di cui non
aveva più bisogno, ho gioito come non mi capitava da tempo.
Mi auguro solo che la gente attorno a me sappia veramente cosa stia facendo. Perché il gioco che
abbiamo intrapreso è apocalittico. In ballo c'è il destino dell'umanità. E nulla può garantirmi che fra
alcuni giorni non saremo tutti morti.
Avrei dato chissà cosa per vedere lo sconcerto sul viso della Leroux. Invece quella bastarda ha
avuto il tempo per riprendersi e recitare la sua parte, anche se so che in fondo alla sua anima è
divampato il terrore. Da una parte potrebbe anche felicitarsi, perché finalmente le abbiamo fornito la
spiegazione della dipartita del suo vice.
La scomparsa di Van Leeuren, di un ministro e di altri uomini di governo è stata tenuta soffocata il
più possibile.
Ma alla fine è divenuta di dominio pubblico.
Adesso, da qui, ci penseremo noi a donare al mondo una luce di verità.
I sei presidenti hanno accusato una fantomatica organizzazione terroristica di aver diffuso una
simulazione congegnata ad arte.
Vedremo come reagiranno i popoli.
Intanto, domani, per il primo dell'anno, come ha detto Mr. W, abbiamo in serbo un altro bel
regalino.
4
Il primo gennaio, alle ore dodici di Berlino, l'incursione informatica di Free District presentò i
suoi leader.
E il mondo capì.
Non si trattava di un gruppo scapestrato di giovani hacker convinti di poter cambiare l'universo.
No. Era il cuore del governo d'Europa a ribellarsi a sé stesso.
Prima che il segnale venisse bloccato dalle autorità, in milioni sgranarono gli occhi davanti ai
propri oloschermi.
“Sono Wil Van Leeuren, vicepresidente degli Stati Uniti d'Europa. È giunto il momento di
cambiare il mondo. Perché noi lo sfidiamo, nella certezza di sconfiggerlo.”
L'immagine durò solo altri cinque secondi, inadeguati per permettere a Van Leeuren di proseguire
nel suo discorso, ma sufficienti per allargare il campo e far intravedere il ministro Stone e Kira
Jurevna.
Il mondo dovette così attendere fino alle 14:29 per vedere ben sette minuti di ignobili atrocità
commesse dalla Presidentessa. Per lo più discorsi di corruzione, ordini di violenze e torture.
All'ottavo minuto, Van Leeuren presentò l'esercito della sovranità popolare, nel nome di Aquile
Libere.
Per sua fortuna, prima che il segnale venisse bloccato, pronunciò il dominio di un sito, che
avrebbe mostrato tutte le atrocità raccolte in anni di indagini.
Quelli di Free District avrebbero proseguito nei loro attacchi olovisivi. Ma intanto, il web era
carico delle ignominie del nuovo ordine mondiale. In milioni avrebbero visto e condiviso prima di
qualunque oscuramento.
Centoventidue olofilmati caricati, di cui almeno trenta inneggianti alla rivoluzione, con tanto di
strategie di guerriglia cittadina e lista degli obiettivi sensibili da colpire.
“E se avessimo scatenato la fine del mondo?”, domandò Justin Stone ai suoi commilitoni.
“Il mondo è già finito da un pezzo”, tuonò il cinico W.
5
E adesso, all'alba del quattro gennaio, la domanda che tutti si pongono è: “I popoli del mondo
resteranno a guardare o si riverseranno per le strade al grido di libertà?”
7
Appena in tempo, pensò Elodie Leroux. Se non fosse stato per la repentina intuizione di Bryson
Butler, a quest'ora le vie di Berlino sarebbero state impregnate del mio sangue.
Bryson, presidente di USA e Canada, era da anni il centro gravitazionale intorno a cui girava il
meccanismo del NWO. Il New World Order era il gruppo di potere, oligarchico e segreto, che per
generazioni si era applicato per prendere il controllo di ogni organizzazione statale del mondo. Ci
erano voluti secoli e l'invenzione del black year, ma alla fine, il dominio del mondo era stato
ottenuto.
In molti identificavano nella Leroux la naturale erede di Butler. Più giovane di venticinque anni,
aveva dimostrato una determinazione unica nel reggere con successo gli USE. Ma evidentemente le
cose sarebbero andate diversamente. Per quanto attenta e risoluta, aveva fallito. L'incapacità di
individuare i cospiratori era stato un errore imperdonabile. Malgrado ciò, non avrebbe mollato.
Collaborando con i cinque, avrebbe ucciso tutti i traditori e ripreso la sua Europa.
La pianificazione per il dominio del mondo risaliva al diciottesimo secolo. Il primo piano degno
di questo nome era stato messo a punto da Mayer Amschel Rothschild e il Gruppo dei Savi di Sion.
L'idea era quella di arrivare a un tale stato di degrado e confusione, che le masse avrebbero invocato
un eroe protettore a cui sottomettersi. In molti ci avevano provato, con guerre e terremoti politici, ma
spegnere letteralmente il mondo era stato il colpo da maestro.
Al caos avrebbe fatto seguito l'esigenza di costituire organi sovranazionali, con l'intento di
proporsi come dei salvatori.
Per fortuna, ragionò la Leroux, i loro antenati, appropriandosi delle banche, delle industrie,
fondando l'ONU e il Fondo Monetario Internazionale, gli avevano spianato la strada per l'istituzione
di un governo mondiale suddiviso in sei macro-regioni semi-autonome. E neanche se fosse sceso Dio
in persona avrebbe rinunciato alla sua.
8
Dopo tante prove, spot e trailer, a Platz der Republik è l'ora della prima.
“Il grande momento è giunto. L'Europa si è svegliata!”, grida W, subito sovrastato dalle urla
inneggianti del popolo.
Ammetto di avere paura.
Siamo i loro liberatori e loro i nostri alleati, forse futuri sudditi. Eppure tremo nel percepire il
potenziale di questa abnorme massa umana. Se volesse potrebbe farci a pezzi in un batter di ciglio.
Quando ho raggiunto il palco, avrei voluto fuggire a chilometri di distanza. Invece ho udito inneggiare
il mio nome. Per decine, centinaia di volte. Non me ne felicito, bensì me ne dispero. Fino a che
punto non capite?, vorrei gridare. Siamo stati tutti degli strumenti, delle pedine mosse sulla
scacchiera dei potenti. Una volta si chiamavano faraoni e imperatori. Oggi presidenti. Ma cosa è
cambiato? Non c'è ancora alcun motivo per temere, ma le parole di Justin non smettono di risuonare
nella mia mente.
“Lo so”, riprende W, “talune volte può essere difficile quando si desidera un cambiamento che
non arriva. Occorre persistere nella lotta, ed è quello che tutti noi abbiamo, stiamo e continueremo a
fare.”
Ancora la folla in delirio.
Credevo che W operasse dietro le quinte, ma il popolo sembra identificarlo come il principale
liberatore. Deve aver fatto un ottimo lavoro con web e olovisione.
“La rivoluzione investirà tutti i campi della vita, per trasformarli dalle fondamenta stesse.
Formeremo dei nuovi rapporti tra gli uomini e lo stato. Non sarete più suoi schiavi, ma suoi
protagonisti. Nessun singolo individuo si troverà troppo in alto o troppo in basso nella scala sociale.
Quanta maggiore libertà possiede un popolo, con tanta maggiore libertà possono muoversi i suoi
membri.”
Ondata di applausi.
“Oggi... Oggi inizia una nuova era. Sanità, istruzione, prole e alimenti saranno garantiti a ogni
libero cittadino. E sarà soltanto l'inizio. Perché noi opereremo le più maestose bonifiche ambientali
che l'uomo abbia mai sperimentato. Perché noi riteniamo ingiusto che ci siano metropoli preservate
dalle acque e altre annegate irrimediabilmente. Le grandi opere d'ingegneria idraulica custodiranno e
riporteranno alla luce le città d'Europa. E divenuti sempre più forti, se il nostro esempio non sarà
stato sufficiente, saremo noi stessi a liberare i popoli della Terra.”
La folla impazzisce affogando nell'euforia e ogni cosa diviene chiara.
Welf Winkler è il nuovo presidente degli Stati Uniti d'Europa.
11
Sono distrutta.
Avrei voluto essere lì e morire, per evitare di sopportare l'insopportabile.
Alle 10:49 di questa mattina, dal cielo sono piovuti tre grappoli di bombe che hanno devastato
altrettanti quartieri berlinesi. Nessuno pensava che gli alleati potessero penetrare nel cuore
dell'Europa. Eppure hanno eluso le nostre difese. Non sono però le trentasette vittime e gli oltre
cinquecento sfollati a preoccuparmi. A soffocarmi nel tormento è l'azione parallela che il nemico ha
intrapreso. Appena il suono degli ordigni si è diffuso per la capitale, tre commando militari hanno
fatto incursione nel parlamento temporaneo, nel municipio e nel palazzo di governo. E sinceramente
non m'importa nulla dei dieci senatori ammazzati, dei non so quanti civili coinvolti, dei soldati
nemici uccisi o fatti prigionieri. Ancor di meno mi interessa del proiettile che ha trapassato la spalla
destra del presidente degli Stati Uniti d'Europa o la scomparsa del suo vice. Niente, assolutamente
niente potrebbe procurarmi lo stesso strazio. Un male da cui non ci si riprende.
Si sono portati via Justin.
Lo hanno rapito.
Ieri, solamente ieri, per la prima volta nella mia vita, avevo trovato il coraggio di dirgli ti amo.
13
“Dunque possiamo stare tranquilli?”, chiese l'ologramma con le sembianze di Liu Dejiang.
“Abbiamo un vantaggio incolmabile su di loro. Sarà sufficiente un lieve bombardamento seguito
da un'invasione di terra”, lo rassicurò Bryson Butler.
“Ovviamente, al pari delle altre potenze, forniremo tutti i mezzi di supporto che vi necessitano”,
disse il presidente della Lega Asiatica.
“Me ne felicito, ma non occorre alcun contributo militare. L'unica cosa che il vostro governo
deve assicurare è un controllo sui mezzi di comunicazione sempre più ferreo. I cittadini del mondo
devono vedere solo quello che vogliamo noi. Se necessario, oscurate il web, arrestate la gente, ma
non permettete che le persone sviluppino le folli idee degli europei o ci ritroveremo in guai seri.”
Liu Dejian, prima di accomiatarsi con un inchino, annuì col capo, senza dire nulla. Quello era il
suo modo di congedarsi e nessuno aveva mai avuto da ridire. Quando l'ologramma svanì nella sala
ovale della casa bianca, Elodie Leroux, seduta in disparte, commentò: “La vostra isola artificiale è
affascinante.”
“Forse lo era di più quando, al posto dell'oceano, intorno vi era un'intera città.
“Punti di vista. Ma ora dovremo affrontare ben altra questione.”
“A quale delle tante vi riferite?”
“All'arrivo dei prigionieri.”
“Ah, cosa avete in serbo?”
“Posso contare su tutti i mezzi a vostra disposizione, giusto?”
“Questa è casa vostra.”
“Prima li tortureremo ed estorceremo loro importanti informazioni. Poi li giustizieremo.”
“In diretta.”
“Vedo che concordiamo su tutto.”
“Difatti mi stupisce come vi siate fatta sorprendere.”
“Sono millenni che in Europa pugnalano alle spalle. Una tradizione molto radicata. Spero mi
perdoniate.”
“Può darsi.”
“Bene, allora mentre mediterete su ciò, che ne dite di intrufolarci nelle frequenze europee e
trasmettere le immagini dell'esecuzione?”
“Dico che siete adorabilmente diabolica.”
“E non vi spaventa?”
“Potrebbe, se non aveste un bisogno esasperato del sottoscritto.”
“Innegabile.”
“Sfacciatamente onesta.”
“Credevo che fra noi fosse inteso così.”
“Vi fornirei il mio esercito se non ci fosse intesa?”
“Forse conviene anche a voi.”
“Innegabile.”
I padroni del mondo si abbandonarono a una fragorosa risata.
Continua
Il Mondo Brucia – Episodio 3
di
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore. È vietata ogni duplicazione, anche
parziale, non autorizzata.
1
Il black year non è stato generato da un fenomeno naturale, bensì da un'immensa arma a energia
diretta.
È quanto ha spiegato il generale Dahl.
Si tratta di una classe di armamenti che comprende numerosi dispositivi capaci di indirizzare sui
bersagli molteplici forme di energia non cinetica. Pertanto non si colpisce l'obiettivo con un
proiettile, ma per mezzo di onde acustiche, plasma, onde elettromagnetiche e raggi laser.
Fu una sofisticata rete di satelliti avveniristici a spegnere la terra con potentissimi e calibrati
flussi elettromagnetici. Processori, transistor, induttori e motori si fusero in tutto il globo. Eppure,
dopo la devastazione, alcuni gruppi di potere presero il controllo e fecero ripartire la società. Questo
perché il pianeta non venne colpito in modo uniforme, ma soprattutto perché oggetti e luoghi di
interesse furono preventivamente schermati. Dopo decenni, gli eredi del complotto si illusero che la
rete di satelliti fosse perduta. Un progetto lasciato in eredità a una ristrettissima élite dei servizi
segreti europei, ideatori e custodi di segreti indicibili. Discrezione e autonomia preservarono la
verità. E generazioni di presidenti non seppero più nulla. Ma adesso il mondo era di nuovo in bilico
e, prima di esser trascinati giù dalla potenza del nemico, Dahl e i suoi uomini l'avrebbero spento.
Ciò che è rimasto dell'arma consentirà una sola e ultima sequenza di ondate elettromagnetiche.
Gli Stati Uniti d'America si smorzeranno in una fievole candela. E a quel punto, nell'oscurità delle
tenebre, i protagonisti del male saranno catturati e portati in Europa. Spie e mezzi schermati sono già
presenti nei pressi di Washington.
Non so nient'altro, perché mentre Dahl vomitava i suoi tecnicismi, ho iniziato a chiedermi se, in
quel mondo buio, riuscirò mai a riprendermi Justin.
3
Alle due di notte del venti gennaio, iniziarono i bombardamenti dei presidenti alleati lungo La
Manica. Un tempo con un'ampiezza minima di trentadue chilometri, a causa dell'innalzamento del
livello dei mari lo stretto si estendeva ora dalla città di Lille, alle grandi paratoie di Londra.
Al massimo in un giorno, le forze alleate avrebbero individuato e distrutto tutte le postazioni
difensive europee. Poi sarebbero sbarcate sulle coste tedesche alla volta di Berlino. Ma il generale
Dahl aveva in serbo ben altri progetti. Rimesso insieme un esercito, predisposte mine subacquee e
posizionate batterie missilistiche a difesa dello stretto, avrebbe riservato la giusta accoglienza. Se il
nemico avesse proseguito l'avanzata verso le coste di Germania, un vecchio sottomarino ancora in
attività lo avrebbe annientato per sempre. Ma forse le ostilità sarebbero cessate prima, poiché il
network di satelliti era quasi pronto a scaricare la sua furia elettromagnetica.
Aleksander Dahl non aveva mai perso nella sua vita. Neppure a Burraco. E non aveva proprio
intenzione di cominciare adesso.
4
Non dormo.
Sono sveglia, stanca, sofferente, con il cuore morto e l'anima agonizzante.
Vago lungo un corridoio, nel cuore della notte.
Ho contato le volte che mi sono girata nel letto.
Giunta a settantadue, ho detto basta.
Vago in questi meandri, oscuri e maligni come il mondo là fuori.
Niente e nessuno potrà mai salvarmi.
Mi fermo, nella penombra.
Sola e disperata.
E all'improvviso non penso, non soffro, appassita, abulica, inutile.
Esisto e nulla più.
Poi una mano mi sfiora, mi prende e mi risolleva nell'esistenza.
“Borimir!”, esclamo.
“Kira, cosa stai facendo?”, chiede visivamente sorpreso.
“Non lo vedi?”
Riflette un attimo, poi dice: “Mi spiace per Justin.”
Sembra sincero e comprensivo.
“Io...” Vorrei dirgli che sono una codarda, ma un caleidoscopio di emozioni mi blocca.
“Tu?”
“Sono una vigliacca.”
Ecco, l'ho detto.
“Perché mai? Hai paura, è normale. Anche se non comprendo il tuo evitarci. Ci ripudi come la
peste. Me, Dana, Viktor... Siamo stati assaliti dagli eventi e ti abbiamo lasciata perdere. Ma dopo
tutto quello che abbiamo trascorso, io, noi... Non capiamo.”
“Ritenevo che fosse così ovvio”, sussurro, esternando la voce della coscienza.
“L'ovvietà dei tuoi pensieri, finché non la riveli, esiste soltanto nella tua testa”, replica deciso.
“Va bene, Borimir”, concordo sbuffando. “È stupido continuare a girarci intorno. Mi sento un
verme, una spergiura, ripugnante traditrice, codarda maledetta. E anche se non basterà mai, ti chiedo
scusa, vi chiedo scusa, con tutta me stessa.”
“Kira, io non so di cosa parli. Cosa ci avrai mai fatto...”
Loro non sanno? Veramente? È impossibile, ma la sua espressione denuncia il contrario.
“Lo stai facendo apposta?”, domando accusatoria.
“No, lo giuro.”
Vengo colta da una crisi isterica e inizio a piangere.
“Ehi”, dice Borimir, sorreggendomi, con voce paterna.
“Non toccarmi!”, urlo.
“Perché fai così?”, chiede preoccupato.
“Vi ho uccisi!”
“Cosa?”
È sbigottito.
“Ho fatto io i vostri nomi. Come credi che siete finiti nell'arena?”
“Sin dall'inizio ci hanno assicurato che saremmo sopravvissuti. L'inganno è stata un'idea geniale”,
risponde.
Niente, non ha proprio capito. Fin quando non glielo griderò in faccia, non potrà sospettare
l'abominio che mi porto dentro.
“Ma a me non l'ha mai detto nessuno!”, sbotto. “Comprendi? Sapevo che avreste dovuto
ammazzarvi l'un l'altro. Capisci?”
“Io... io...” Ferito da un colpo imprevisto, assomiglia a un animale smarrito. “Perché avresti
dovuto nominarci? Voglio dire, se pensavi che ci saremmo uccisi.”
“Per ottenere i loro favori.”
“I favori di chi?” Il suo tono comincia a scaldarsi.
“Di W, dei ministri, degli uomini di potere, dei presidenti, di chi comanda il grande perfido
gioco.”
“E cosa avresti sperato di guadagnare?” Lo sguardo disorientato sta facendo posto a quello di un
killer.
“La loro fiducia, per poi pugnalarli alle spalle.”
“Diamine, Kira.”
“Te l'avevo detto. Non sono degna di stare qui con te.”
Non risponde, bensì chiude gli occhi ed emette un lungo respiro.
“Gli altri non dovranno mai saperlo, soprattutto Zot”, asserisce in una calma riconquistata.
“Non so se sia giusto.”
“Otterresti soltanto il loro odio.”
Al contrario di me, anche nei momenti più drammatici rimane lucido e mantiene il controllo.
“Tu mi odi?”, domando con la voce di una ragazzina disperata.
“Io... no. Dovrei, ma non ci riesco. Anche se non nascondo di essere profondamente turbato.”
“Mi potrai perdonare?”
“Kira”, ansima e scuote la testa, “non è questo il punto.”
“Qual è?”
“Da oggi dovrò sempre guardarmi le spalle da te. Non lo avrei mai ritenuto possibile. Ti
perdono, ma fa male, malissimo.” Poi lo vedo rimanere in silenzio, cercare aria, trovare o
nascondere parole. “E tu perdonerai mai te stessa?”, chiede poi, fissandomi negli occhi.
No! Io mi odierò per sempre.
Non faccio in tempo a rispondergli, poiché un gruppo di persone urlanti emerge dalle retrovie.
“Avete saputo?”, esordisce uno.
“No, cosa?”, domanda Borimir.
“Piovono bombe dal cielo.”
“Quale cielo?”
“Quello sopra La Manica.”
5
Vorrei distruggere gli olomonitor, spaccare tavoli, sedie, porte. Urlare, mordere, inveire,
bestemmiare, sfondare le tubature e inondare tutto, mandare in corto gli impianti elettrici e far
prendere fuoco all'intero distretto; vorrei colpire, infliggere dolore, fare a pezzi le persone, torturarle
e ucciderle, senza alcuna pietà, in un mare di odio e follia.
Invece crollo a terra, muta.
Mi ritrovo carponi, con la fronte che tocca il pavimento, in un respiro irregolare e disperato. Free
District si dissolve, e un'oscura afflizione mi abbraccia, demoniaca. Un cosmo nero che comprime,
soffoca e acceca.
Non so cosa farò e se mai qualcosa avrà di nuovo un senso.
Forse mi estinguerò, assassinata dalla mia pazzia.
Respiro il male, ne sento l'odore.
Cosa dovrei mai fare chiusa qui dentro?
Quale gioia potrò mai ottenere dalla vendetta?
Quei seviziatori, criminali, malvagi, figli di puttana.
Hanno ammazzato Wil e Justin.
Il mio Justin.
Li hanno impiccati, tirandoli su con il braccio di una gru.
Fatico a respirare, mi sento quel cappio attorno al collo.
Ed eccola che arriva.
L'ondata di furia omicida.
Mi alzo, apro gli occhi e vedo tutti intorno a me.
Li scruto, uno a uno, e poi grido a squarciagola.
Urla disumane che obbligano i paramedici a intervenire. Una massa umana che prova a tenermi
ferma, prima che io possa procurare del male agli altri o a me stessa.
Poi avverto un bruciore lungo il braccio destro e, dopo qualche secondo, incontro una pace
inquieta. Un limbo di serenità imposto da qualche molecola sedativa.
Il tempo di capire che l'incubo è rimandato di alcune ore, e tutto diviene buio.
8
Ripresa conoscenza, sembra che mi abbiano picchiata, piuttosto che iniettato qualche potente
tranquillante.
“Ciao.”
È Borimir, al mio fianco; non me lo aspettavo. Credevo che dalla confessione mi avrebbe evitata
per l'eternità.
“Ciao”, gli rispondo flebile.
“Lo abbiamo spento”, annuncia con tono neutro.
“Chi?”, domando.
Non riesco ancora a connettere.
“Il nemico, Kira.”
Il suo tono è tanto gelido da mettermi freddo.
“Dunque ha funzionato.”
“Sì. I satelliti si sono allineati perfettamente, e una pioggia di terrificanti impulsi EMP ha
inondato gli USA.”
Ignoro cosa siano gli impulsi EMP e non voglio approfondire. Non ho la forza di chiedere, tanto
meno di capire una simile spiegazione.
“Li abbiamo fritti, in parole povere”, mi limito a constatare.
“Qualcosa del genere”, commenta laconico.
Ci fissiamo, entrambi sospiriamo.
Non ci sentiamo dei vincitori.
Lui è stato tradito dalla sua fedele amica.
A me hanno portato via Justin.
“Che ne sarà di noi?”, domando.
“Riemergeremo da qui e, per l’ora in cui avremo raggiunto Berlino, anche le squadre speciali
avranno fatto ritorno.”
“Hanno catturato i presidenti?”
“Sono l'obiettivo primario.”
“Li giustizieremo?”
“Se trucidare chi uccide può chiamarsi giustizia...”, osserva rassegnato.
“Il mondo che abbiamo auspicato rimarrà per sempre una chimera”, mormoro, allineandomi al
suo pensiero.
Borimir emette un lungo sospiro poi, prima di congedarsi, dice: “Riposati, Kira, recupera le
energie. Abbiamo un intero continente da ricostruire.”
9
“Perché ti preoccupi così tanto?”, chiedeva Kira a mamma Halina. “Dovresti essere felice per
me. Finalmente una possibilità per riscattarci.”
E la madre, disgraziata, rimaneva un attimo in silenzio, soffocava lo strazio, si asciugava le
lacrime e rispondeva: “Certo, amore”, obbligata poi a interrompersi, per celare una voce tremula,
carica di angoscia.
Claude, Ana, Kira, Elena e Brandon si conobbero e familiarizzarono, ma in modo discontinuo e
superficiale. Nelle rare occasioni in cui un discorso poteva condurre ai turbolenti e poco
gratificanti trascorsi dei candidati, questi venivano sempre interrotti, che si trattasse di una
persona o di qualche strano evento. La maggior parte delle ore le passavano gli uni lontani dagli
altri. Nessuno di loro gli diede la necessaria importanza. D'altronde, chi poteva conoscere le
procedure di addestramento per cosmonauti? Era un secolo che l'uomo non si avventurava nello
spazio. E avrebbe continuato a farlo, ma questo i cinque vincitori non potevano saperlo.
10
Le lavatrici smisero di girare, le auto si arrestarono, gli aerei precipitarono, i treni rimasero nelle
gallerie, gli ologrammi svanirono nel nulla.
Enormi picchi di corrente elettrica nel terreno e nelle linee di trasmissione aeree, devastarono
non solo i sistemi di comunicazione, ma anche gli impianti di generazione e distribuzione elettrica,
paralizzando il sistema dei trasporti e la già precaria sanità.
I sistemi idrici e fognari vennero danneggiati gravemente, prospettando terribili emergenze
sanitarie.
Alcuni generatori protetti da gabbie di Faraday resistettero allo tsunami elettromagnetico, così
come gli avamposti sotterranei, ma in un sistema basato sul denaro elettronico, non ci sarebbe stata
più una moneta di scambio.
Un nuovo medioevo bussò alla porta degli Stati Uniti d'America.
11
Reinsediati nei palazzi di governo, il generale Dahl assicura che questi mai più saranno violati.
Welf Winkler, preso nella semplice gestione di un continente sconvolto, riesce a trovare un
minuto per me.
Mi ha fatto convocare.
Quale assurdo progetto avrà studiato la sua imperscrutabile mente?
Entro nella stanza a lui riservata.
Scarna, sporca, con una scrivania da mercatino dell'usato, non ha proprio l'aria di una sala
presidenziale.
“Kira, guarda”, dice appena mi vede entrare. “Osserva attentamente queste immagini.”
W non ha nessuno strumento tecnologico fra le mani, ma solamente una manciata di fogli sulla
scrivania.
Non ho la più pallida idea di cosa possano raffigurare.
Mi avvicino e metto a fuoco la situazione.
In primo piano c'è un viso. Giro il foglio e riconosco Justin. Do un'occhiata alle altre stampe:
fotografie e immagini di Justin. Alcune sono ricolme di cerchi, punti, note e simboli a me
inintelligibili. Fra le varie istantanee, vi sono anche le riprese degli attimi in cui lo hanno giustiziato.
Perché sono costretta a rivivere questo orrore?
“So quanto questa faccenda ti abbia fatto male, per questo eviterò di girarci attorno”, afferma W,
come se stesse per rivelarmi il più grande mistero dell'universo. “Quello che hanno impiccato non
era Justin.”
Un brivido si diffonde in tutto il corpo.
Vorrei gioire, ma mi trattengo. Voglio ghermire ogni informazione possibile. Troppe volte sono
stata tradita da false speranze, da errate interpretazioni.
“I nostri tecnici si sono avvalsi delle tecnologie più avanzate. Quello impiccato è un sosia, in
parte digitalizzato per eliminare le incongruenze.”
“Con quale percentuale potete affermarlo?”, domando, prima di gioire.
“Con il cento per cento.”
“Sì, sì. Grazie, Dio, grazie!”, esclamo euforica.
In un attimo mi ritrovo abbracciata a Winkler, che rimane gelido, in un aplomb incorruttibile.
Appena me ne rendo conto, mi scosto repentinamente.
“Mi scusi”, dico con gli occhi lucidi e un sorriso ebete.
“Invece, Van Laureen... beh, era lui”, prosegue W nella sua linea di pensiero, come se io non
esistessi.
Mi ha appena confermato la morte del vicepresidente, eppure non me ne importa assolutamente
nulla.
“Oh, mi spiace, ma dov'è Justin?”
Sono affamata di informazioni.
Welf Winkler, nel suo perfetto stile, pianta lo sguardo nei miei occhi e dichiara: “Non ne abbiamo
idea.”
13
Dove sei?
Ci avevo messo una pietra sopra, tombale e infernale.
Eppure, almeno per una volta nella mia vita, il destino ha preso le forme di un angelo
misericordioso. E ha salvato il mio Justin. Spero tanto che stia bene, ma quei pazzi che lo hanno
catturato sono promessa di sventura e tormento.
Un grillo maligno affligge le mie idee.
E se non lo avessero mostrato in pubblico perché già morto e sepolto?
No, non può e non deve essere.
Scuoto la testa e i brutti pensieri ruzzolano a terra.
È scappato dai suoi carcerieri, cerco di convincermi.
Sopravvivrà?
Lo immagino sconvolto, solo e ferito in territorio nemico.
Non è un soldato, ma so che ha uno spirito guerriero che lo guiderà verso la salvezza.
Ci rivedremo mai?
La mia anima è graffiata da un No funesto, ma qualcuno mi ha detto che c'è una speranza e
immagino il giorno dell'abbraccio, in cui i nostri cuori potranno finalmente accompagnarsi nella
danza dei loro battiti.
Un ruggito inatteso mi riporta alla realtà.
Aleksander Dahl e Welf Winkler bestemmiano.
Il commando ha fallito.
Decine di morti fra i nostri.
I presidenti sono fuggiti.
Un coltello mi trafigge il petto.
Ecco cosa provo.
Se li avessimo presi, risoluta e vendicativa, a costo di squartarli, mi sarei fatta restituire il mio
Justin. Invece non potrò mai chiedere loro cosa gli hanno fatto e dove si trova.
Li maledico con tutta me stessa, nell'ardente speranza che spiriti maligni, perfide divinità e il
demonio in persona infliggano loro strazi inenarrabili.
14
Il mondo, o quel che ne sta rimanendo, è sintonizzato sulle parole di Welf Winkler.
Vegeto, apatica, sul letto come un abito sgualcito.
Occhi sbarrati, verso un soffitto sterile.
Come la mia vita.
Anche se non lo sto ascoltando, azzardo che potrei riscrivere il suo discorso, tale e quale.
Mr. W, un personaggio indecifrabile, di cui tuttavia negli ultimi giorni ho afferrato molto. Ha un
piano, lo ha dichiarato e, coerentemente con le sue idee e con quelle di chi lo sostiene, sta tentando di
realizzarlo.
Polso duro, fomentatore delle folle, dottrina militare non convenzionale. Alla Kira di qualche
mese fa sarebbe anche piaciuto, ma non a quella di oggi. Temo che l'attuazione dei suoi dogmi ci
abbia precipitati in un abisso senza fondo.
Sento che siamo spacciati.
Io, lui, il governo, l'Europa, tutti quanti.
Lo squillo dell'olotelefono tronca il fluire delle mie angosce.
Nemmeno ricordavo che nell'appartamento ce ne fosse uno. Con la mano faccio un segno
nell'aria, gli olosensori lo percepiscono e la comunicazione si attiva. Niente ologrammi. Deve essere
disponibile soltanto la funzione audio, immagino.
“Pronto”, rispondo piatta.
“Kira”, fa una voce familiare, che tuttavia non riesco ad abbinare ad alcun volto. “Sono James
Cooper.”
Chi diamine è?
“James?”, ripeto, per far capire al mio interlocutore di non averlo riconosciuto.
“Il tecnico di Free District.” La memoria non mi aiuta e rimango muta. “Quello biondo, con gli
occhiali che...”
“Ah, sì, adesso ricordo”, lo incalzo. Sono sincera. “Scusa, eravamo in tanti laggiù. Dimmi pure.”
“Ecco, ci sono delle nuove su Stone.”
“Veramente? Ti prego, dammi buone notizie.”
“Alcuni nostri infiltrati ci hanno detto che Justin è riuscito a fuggire ma...”
Ecco il MA della disgrazia.
“È stato colpito prima da un proiettile.”
“Dio... e come sta?”
“Non so dirti nulla di più. Ignoriamo dove sia e fin dove possa essersi spinto nelle sue
condizioni.”
“Questa notizia non migliora le cose.”
“Mi spiace, Kira. Ritenevo giusto informarti. Devo salutarti. Il dovere mi chiama. Stammi bene.”
La linea va via, mentre io rimango nel mio schifo.
Almeno abbiamo ancora delle spie in territorio nemico.
Magra consolazione.
Dio, lo so che ti invoco solo nel momento del bisogno, che sono una miscredente, ma ti
scongiuro, aiuta Justin.
Salvalo, ti prego.
18
“Perché ha chiesto di me con tanta solerzia?”, mi domanda Nicola Martinelli, il nuovo vice di
Welf Winkler.
“In questi giorni ho cercato di comunicare con il Presidente, ma dati i suoi innumerevoli impegni,
ogni tentativo è risultato vano.”
“Dica pure a me”, mi invita con fare distaccato.
“Desideravo ringraziarlo. Mi ha dato un bellissimo appartamento in cui vivere e un vitalizio che
non mi farà mai mancare nulla.”
“Tutto dovuto, considerata la sua indispensabile collaborazione.”
Indispensabile?
“Ma venga al punto”, mi sprona.
“Il punto è che desidero tornare a Nuova San Pietroburgo. Ho molte cose in sospeso da
risolvere.”
“Parla di una soluzione temporanea o definitiva?”
“Diciamo che sarò sempre reperibile e a vostra disposizione.”
Lo sguardo di Martinelli tradisce una emozione che non riesco a identificare.
“Che ore sono?”, chiede.
La domanda mi coglie di sorpresa.
Non colgo l'attinenza.
“Non saprei... le dieci, credo.”
“Questa mattina non ha ancora avuto modo di guardare l'ologiornale, non è vero?”
Quale nuovo dramma mi sono persa?
“No”, rispondo laconica.
“Filipp Lebedev è uscito di senno”, rivela in un sorriso beffardo.
“Il governatore di Russia?”
“Proprio lui.”
“Che ha fatto?”
“Vuole separarsi dagli USE.”
“Cosa?”
Sono a dir poco esterrefatta. Ero pronta ad attendermi di tutto, ma non questo.
“Teme per il suo territorio”, mi spiega.
“E lo può fare?”
“Tecnicamente è una procedura complessa. Praticamente l'ha già fatto.”
“E questo cosa comporta?”
“Mi spiace dirlo, Kira, ma il suo paese è sempre stato in combutta con i cinesi. Ho molte ragioni
per credere che presto si annetterà alla Lega Asiatica. Da oggi, la Russia non è più un partner.”
“È un nemico”, sono costretta a constatare.
“Non ci saranno scontri armati se si manterrà neutrale.”
“Perché non impedite la cosa?”, domando ancora incredula.
“Preferiamo concentrare tutte le nostre forze a difesa dell'Europa continentale. Non intendiamo
sprecare risorse in casa. Anche gli asiatici si fidano poco della Russia. Lebedev, se tiene veramente
alla sua gente, dovrà rimanere imparziale. A quel punto, per noi sarà un immenso Stato che fungerà da
cuscinetto con la Lega.”
“Vicepresidente, voglio essere onesta con lei. Per quanto provata dalla notizia, a me interessa
soltanto tornare a casa.”
“E secondo lei perché le sto raccontando tutto questo? Ha presente i confini di Ucraina, Estonia,
Bulgaria, Finlandia e Lettonia?”
“Certamente.”
“Ci collochi un muro virtuale invalicabile.”
A questo punto sbotto e colpisco l'imponente scrivania con un calcio.
Martinelli sobbalza per lo spavento.
“Scusi, vicepresidente”, mi affretto a dire contrita.
“Senta”, replica ricomponendosi, “prometto che cercherò di fare qualcosa. Si metta in contatto
con sua madre. Troveremo una soluzione per farvi stare insieme.”
Non credo alle sue parole. Sono abituata alle false promesse. Bugie per tenermi a bada.
“Se non le dispiace, adesso avrei mille cose da fare”, mi licenzia.
“Grazie, vicepresidente.”
Mi alzo, gli porgo la mano, accenno un sorriso più falso di Giuda e mi congedo.
Boiate, penso, sempre e solo boiate!
21
“Mamma, sono stata vile, stupida, immatura e irriverente. E non devi pensare che sia un fatto che
riguardi esclusivamente la tua persona. Io sono così, verso tutto e tutti. Sbagliata, lo so. Ma pur
sempre tua figlia. Ti chiedo umilmente scusa, per ogni errore che ho commesso. Ho operato in buona
fede o, meglio, ero persuasa di poter cambiare veramente le cose. Se papà non fosse stato vittima di
quell’orrore, adesso sarei un'altra persona. Ignoro se peggiore o migliore, ma sicuramente diversa.
Non cerco giustificazioni. Penso, ragiono su come sono finita in questa assurda situazione. Mi ha
sorpreso la tua scarsa insistenza, tuttavia, anche i più tenaci, se il muro è invalicabile, prima o poi
sono costretti a rinunciare. Una resa obbligata dal mio assurdo carattere. Però non è mai troppo tardi
per rimediare, per riallacciare un rapporto che dovrebbe essere eterno. Ti voglio bene, e sono
disposta a qualsiasi cambiamento per instaurare fra noi una parvenza di normale serenità, che manca
da troppo tempo. Quella notte in cui ci strapparono papà, assieme a lui portarono via molti anni della
nostra vita. È giunto il momento di riprenderceli!”
Peccato, davvero peccato che queste parole siano nate e morte nella mia testa. Perché io ci ho
provato, ho dannatamente tentato di mettermi in contatto con lei. Ho persistito con tutti gli strumenti
di oloconnessione esistenti. Il segnale non aggancia la Russia. E intanto, lungo i suoi confini, è
scoppiata la guerra. Ignoro quale fazione sia a inibire le comunicazioni. Non mi dicono più niente.
Sino a poco tempo fa, ero una pedina importante; adesso non appartengo ad alcuna scacchiera.
Martinelli e le sue fandonie.
Neutralità. Forze concentrate a difesa dell'Europa continentale, ha detto.
E a questo punto, a cosa sono serviti l'attentato alla Cyber P, la bomba del fronte nazionalista, la
follia omicida della Revival, l'Arena ghiacciata, le Aquile Libere, Free District e gli impulsi EMP?
Soltanto a trasformare un passato oscuro in un presente senza salvezza, che non ammette futuro.
22
Sono trascorsi due mesi dall'inizio delle ostilità lungo i confini a est. È solo questione di tempo
prima che l'Europa venga circondata e assediata. Le persone cercano di condurre una vita normale,
ma in poche ci riescono. È facile scrutare gente che annaspa nell'isteria e nel terrore. I beni primari
vengono spesso presi d’assalto, che si tratti di punti di accoglienza o di supermercati. L'occupazione
è ai massimi livelli storici degli ultimi venti anni. L'industria e tutti i settori connessi alla
militarizzazione si sono attivati. Occorrono mezzi e uomini, il prima possibile.
Io sono fra gli eletti che tentano di svolgere delle azioni normali, come adesso, qui al parco
Tiergarten, mentre corro in un deserto verde.
Io che svolgo un'attività sana... la fine del mondo deve essere proprio vicina, medito,
sorridendo amaramente.
Solo una volta il segnale ha agganciato i ripetitori di Nuova San Pietroburgo, ma mia madre non
ha risposto.
Corro come un ectoplasma, in attesa della fine di un limbo insopportabile.
Quasi ogni notte fantastico su Justin.
Decapitazioni e sangue, per lo più.
Incubi.
Neppure nel mondo dei sogni mi è data la possibilità di essere felice.
Persevero nella mia lenta marcia, ammirando un luogo che, seppur desolato, conferisce pace e
serenità. Impazzisco nell'immaginare che presto potrebbe essere travolto dalla veemenza di eserciti
nemici.
Da pochi minuti mi trovo immersa in questo lago verde, nell'auspicio di vagare e rimuginare così
per qualche ora. Ne approfitto, perché domani potrebbero chiamarmi a svolgere chissà quale
compito: obbligarmi a un coprifuoco, a rintanarmi in un rifugio, a morire sepolta e dimenticata.
C'è qualcosa che... Il mio nome...
“Kira, Kira...”
Questa voce...
Non può essere.
Mi volto e un'idea irrealizzabile invade i miei sensi.
23
Aleksander Dahl, dopo aver convocato il Consiglio di Sicurezza, esordì esattamente con queste
parole: “I combattimenti lungo i confini imperversano, i presidenti alleati hanno giurato vendetta e
l'infido Filipp Lebedev ha promesso di spazzarci via con l'atomica. In poche parole, abbiamo le ore
contate.”
Come risolvere una situazione senza uscita?
Welf Winkler, il suo vice Martinelli, il generale Dahl, i ministri e i loro dodici fidati
collaboratori non dovettero dissertare più di tanto per mettere ai voti quella che avrebbe potuto
essere l'ultima risoluzione della loro vita.
Ventiquattro testate nucleari. Armate e pronte al lancio, aveva specificato Dahl.
Colpire capitali, poli industriali e militari, nella speranza di neutralizzare definitivamente il
nemico. Una guerra atomica era l'ultima delle opzioni, poiché avrebbe condannato l'umanità a un
grigio oblio, probabilmente all'estinzione. Ma se avessero aspettato di essere attaccati prima di
colpire, anche quella sottile speranza sarebbe evaporata.
“Pronti a votare?”, domandò il Presidente degli Stati Uniti d'Europa.
Dall'altra parte del mondo, nel cuore del Nevada, nella ex base dell'area 51, Elodie Leroux e
Bryson Butler avevano indetto l'oloconferenza che avrebbe designato le sorti della razza umana.
“Cancellare Berlino e l'area di Free District assicurerà una vittoria immediata”, spiegò la
Presidentessa.
“A chi l'onere di sganciare l'arma?”, chiese Alicia King, il Re d'Oceania.
“Due testate per chiunque abbia i vettori per raggiungere gli obiettivi”, rispose Butler.
“Noi siamo in grado di procedere”, affermò Liu Dejiang. “E non parlo solo a nome della Lega
Asiatica, ma anche della oramai indipendente Russia. Ho avuto un colloquio con Lebedev proprio
questa mattina. È già tutto stabilito.”
Seguì un momento di silenzio, interrotto poi dalle conclusioni del Presidente USA: “Bene, pur
avendo subito ingenti danni, siamo ancora in grado di dare il nostro contributo. Quindi, se nessun
altro ha da aggiungere qualcosa, mi sembra di capire che sei ordigni pioveranno sull'Europa.”
“Ne sarebbero sufficienti due...”, ragionò a voce alta Abdul-Raouf.
“Ignoriamo se abbiano la tecnologia per neutralizzare i nostri attacchi. Crediamo di no, tuttavia
vogliamo essere certi che almeno un colpo vada a segno.”
Luis Martin Zafón denunciò la sua preoccupazione: “Se fosse una decisione affrettata e
pericolosa?”
Si alzò un fastidioso brusio, che venne prontamente interrotto dalla Leroux: “Rimettiamoci ai voti
della maggioranza.”
“Ai voti”, replicarono gli ologrammi.
24
Temo che sia un inganno della mente o, peggio, un trucco del nemico per uccidermi.
Ma la voce e il modo di camminare sono i suoi.
Indossa tuta e cappellino, inconcepibile per uno come lui.
Tendo i muscoli, preparata a lottare e fuggire se dovesse essere un nemico, pronta a piangere di
gioia se fosse quel miracolo.
L'uomo scosta il cappellino e si rende riconoscibile.
Ogni particolare del volto corrisponde.
“Kira”, pronuncia in un tono che racchiude mille significati.
“Justin”, replico incredula.
Mi avvicino e ci abbandoniamo a un intenso abbraccio.
“Io credevo che tu... È stato bruttissimo.”
“Lo so, lo so...”, dice carezzandomi la testa.
Il petto mi brucia, lo stomaco si torce e gli occhi gocciolano.
“Anch'io pensavo di averti perduta per sempre”, ammette commosso. “In realtà ero sicuro di
essere morto. Ci avrei scommesso più di una volta.”
Mi scosto un poco per guardarlo meglio.
“Come hai fatto?”, chiedo per afferrare l'insperato miracolo.
“Tante coincidenze favorevoli... Diciamo che chi ama è più motivato di chi odia.”
Lo abbraccio forte, ancora una volta.
Poi penso alla sua ferita.
“Mi hanno riferito che nella fuga sei stato colpito.”
“Soltanto di striscio, me la sono cavata.”
“Non riesco a esprimere la mia felicità. Ero disperata in un mondo di disperati e ora... tu... per
fortuna. Che regalo, che prodigio! Non mi hanno avvisata che eri qui.”
“Nessuno lo sa”, confessa a bassa voce.
“Ma come...”, ribatto con stupore.
“E deve continuare a essere così”, dichiara con fermezza.
“Perché?”
“Kira, c'è un luogo, dall'altra parte del mondo, in mezzo all'oceano Pacifico, dove nessuno potrà
mai spegnerci”, racconta con lo sguardo di chi ha conosciuto il paradiso.
“Delle isole?”, ipotizzo.
“Vergini e abitate da una ristretta comunità di persone, educate a vivere senza tecnologie.”
“Mi stai invitando a...”
“Ad andare in un mondo dove politica, denaro, potere, non contano nulla. Niente eserciti, deadly
show, presidenti e ologrammi. Soltanto la natura, il profumo dell'oceano e il desiderio di esistere in
armonia con l'universo.”
“Quindi molliamo. Non lottiamo più e rinneghiamo tutti i nostri propositi”, tengo a evidenziare.
“Lottare?”, ribadisce come se si trattasse di una bestemmia. “Non possiamo proclamarci i
salvatori del mondo. Sarebbe ingiusto e folle. Gesù, Buddha, Ghandi, hanno fallito. Guarda che razza
di umanità ci circonda. E noi siamo forse migliori di loro? Siamo figli di dio, eroi, santi o illuminati
trascesi? No! Eppure abbiamo dato tutto, ogni cosa, sfiorando entrambi la morte. Sarebbe da
scellerati non sfruttare quest'ultima unica grande opportunità. Ho conosciuto delle persone insieme
alle quali potremo raggiungere il paradiso. Non c'è tempo per decidere. È una di quelle occasioni
ora o mai più.”
“Non riesco a contattare mia madre. Pensavo di ricongiungermi a lei, e se noi andassimo...” La
perderei per sempre.
“Kira. Anch'io ho delle persone care che non vorrei abbandonare. Ma non mi è dato raggiungerle.
Dio ha voluto che potessi fare ritorno a Berlino e che fossi in grado di trovarti.”
Ho già preso la mia decisione e, come sempre, quando è il cuore a essere coinvolto, fatico a
esprimermi. Così devio il discorso e chiedo: “Come hai fatto a individuarmi qui al parco?”
“Ti ho seguita da sotto casa. Ti ho contemplata per dieci minuti. Assicurandomi che fossi
veramente tu. Perché anche per me tutto questo è un prodigio. Ti ho contemplata alcuni minuti. Mi è
sembrata un'eternità. Ho torturato la mente, pensando a come esordire, a come ti avrei riabbracciata.
Alla fine non ho seguito alcun copione. Non avrebbe avuto senso, come non ne avrebbe persistere a
vivere in un continente che sarà l'epicentro di una delle più sanguinose guerre della storia umana.”
Prende fiato Justin, nell'attesa di una mia replica.
Lo vedo provato, speranzoso, determinato.
Un uomo pronto a tutto.
Hai ragione su tutta la linea. Sono la prima a non poterne più. E se anche un giorno penserò
di essere stata una vigliacca, una sconfitta, una marionetta inerme, lo farò in un posto migliore,
con te, magica persona che amo.
“Justin, io vengo.”
“Davvero?”, esclama euforico.
“Sì, dove nessuno potrà mai spegnerci.”
Epilogo
Si è svegliato.
L'oceano.
Questa mattina era tanto placido da sembrare finto.
Così distante da quando per poco non ci risucchiò nelle sue profondità. Mi convinsi che sarei
annegata, trascinata dalla sua furia.
Il destino ci graziò, ancora una volta.
Justin è una persona meravigliosa.
Qui sull'isola ci sono moltissime cose da fare, a tal punto che scarseggia il tempo per pensare. Ne
va della nostra sopravvivenza. Contano soltanto cibo e acqua dolce. Non avrei mai creduto di
potermi trovare a mio agio senza oloconnessioni. Invece ho scoperto la meraviglia di un mondo privo
di tecnologia. Non che questa sia il male. Credo che il problema sia sempre stato l'uso che ne fanno
gli uomini.
In realtà è presente ancora uno straccio di modernità, tutta concentrata in un ricevitore di onde
radio e relative batterie solari. Molti sono contrari al suo utilizzo, e non desiderano essere informati
su cosa accade nel resto del mondo. Immagino sia per lo stesso motivo per cui lo faccio anch'io:
pensare ai propri cari. Malgrado ciò, nelle ultime ore è successo un fatto curioso. La radio non
riceve più segnale. Finalmente si è rotta, abbiamo pensato. Ma Karim, ex ingegnere esperto in
telecomunicazioni e custode del ricevitore, asserisce che il dispositivo sia funzionante.
Ogni minuto che passa il fatto assume un aspetto inquietante.
“Guardate!”, grida Justin, con gli occhi sbarrati.
Indica l'oceano.
Onde enormi si affacciano all'orizzonte, dopo che un vento burrascoso si è alzato
improvvisamente.
La comunità si immobilizza ad ammirare il terrificante spettacolo.
Ci teniamo per mano.
Io e Justin.
Tiriamo su lo sguardo e il cielo...
È stranamente fuligginoso.
Nello stesso istante in cui il Presidente Welf Winkler e il generale Dahl vennero vaporizzati,
migliaia di edifici furono sgretolati e inghiottiti da un vuoto d'aria per centinaia di metri di altezza nel
cielo, mentre altre migliaia di costruzioni sprofondarono in un inferno di plasma e fuoco.
Gran parte della popolazione di Berlino arse viva e lampi mortali di neutroni e raggi gamma
bombardarono quel poco che rimase della città.
Borimir, stoico al limite dell'irragionevolezza, nel tentativo di tornare a casa cercò di varcare i
confini di Russia. Una mina antiuomo mise fine alla sua corsa e alla sua vita. Al ragazzo fu negato
l'orribile spettacolo a cui assistette Halina. Allontanatasi da Nuova San Pietroburgo, nella speranza
di ripararsi nelle più sicure campagne, in un bagliore accecante vide accendersi un nuovo sole nel
firmamento. Seguì un boato inenarrabile e una spaventosa tempesta. Poi un fungo malvagio si elevò
nel cielo e oscurò ogni cosa.
Le telecamere esterne dell'area 51 non trasmisero più alcuna immagine di quel mondo avvelenato
che stava perendo soffocato da ceneri tossiche. Una eredità in cui Elodie Leroux e Bryson Butler
avrebbero avuto il tempo per meditare sulla propria follia e quella degli altri presidenti. Tre o
quattro mesi in cui sarebbero sopravvissuti nell'attesa di essere giudicati da Dio.
C'è chi giurò di averli visti.
I cavalieri dell'Apocalisse.
Fine
Grazie di cuore
Se sei giunto/a sino a qui, vuol dire che hai deciso di spendere il tuo tempo per leggere tutta la
serie. Indipendentemente dal tuo giudizio finale (sarei lietissimo se me lo comunicassi), per me è
stato un grande onore condividere con te questa storia.
Difatti sei tu lettore che mi doni la passione per viaggiare nel mondo della fantasia.
Spero che ci rincontreremo presto nel magico universo della narrativa, dove tutto è possibile.
Gianluca.
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Perché il fantastico ci attira così tanto?
Protagonisti incontrastati saranno intelligenze artificiali, agenti segreti sospesi fra la vita e la
morte, minacce nucleari, simulazioni virtuali che, assieme alla forza dell'amore fra un uomo e una
donna e alla misteriosa origine di una civiltà aliena, caratterizzeranno in modo ineluttabile il destino
dell'intera umanità.
Se per un istante la sorte della Terra fosse nelle mani di un singolo individuo?
Se la sopravvivenza di una persona sconvolgesse gli equilibri futuri di due mondi?
E se morire fosse meglio di vivere?
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Vivere o Morire (2): Il Risveglio
Eldgh capisce che in lui c'è qualcosa che non va. È diverso dagli altri taahriani. Decide di
indagare e affrontare grandi rischi, per andare incontro a una verità sconvolgente.
Nel frattempo Namiko si sveglia a bordo della Betelgeuse. È la seconda volta che accade nella
sua vita. Tuttavia scopre subito come sia più inquietante e assurda della prima.
Sirio è alle prese con la drammaticità di un'esistenza che lo ha privato della donna dell
a sua vita e, mentre l'intero mondo s'interroga ancora sulla dipartita della Alfa Orionis, nei cieli della
Terra, compare una nuova gigantesca astronave...
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Vivere o Morire (3): La Scelta
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“Arwan”
In una atmosfera onirica, contornata da elementi magici e tecnologici, Arwan è convinto di essere
un ragazzo qualunque, destinato a una vita ordinaria. Poi un giorno vive un fatto sconvolgente. Da
quel momento, un passo alla volta, l'esistenza di tutti e il senso di ogni cosa cambieranno per sempre.
All'interno del volume in regalo i due racconti inediti "Ritorno al Passato" e "La Sfera Nera".
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“Il Cammino delle Rose”
"Per Arhat la vita era come una rosa: nasceva dalle grazie della terra, fioriva nel suo splendore
profumato, metteva le spine per proteggersi, si mostrava gaia e leggiadra e, ben presto, moriva.
Una breve esistenza, che valeva la pena di essere vissuta."
"Il Cammino delle Rose" è la storia di una crescita sentimentale. Arhat è appena un ragazzo
quando resta solo al mondo ma, grazie agli insegnamenti profondi del proprio maestro Sejtai, dedica
degli anni all'ascesa spirituale e alla comprensione delle cose attraverso la contemplazione e la cura
della Natura, incarnata nelle sue rose rosse. Quando pensa d'aver trovato un equilibrio, sul suo
cammino, un giorno, fa un incontro inaspettato, che ribalterà completamente le sue convinzioni e le
sue priorità, sconvolgendogli la vita: l'amore. Da quel momento, Arhat non riesce a vivere più come
prima e, con l'acquisizione di questa nuova e stravolgente esperienza, dovrà trovare un nuovo, più
forte e duraturo equilibrio, figlio di una comprensione ben più profonda di sé stesso, che gli svelerà
automaticamente il senso della vita.
Una favola senza tempo, che parla al lettore di vita e di poesia, di amore e di morte, e di un
magico luogo dove la fragranza e il colore delle rose inducono pace e armonia, la gioia dei sensi.
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“Il Tamburo del Giorno Africano”
Nella storia s'incontreranno la follia dell'ego, lo squallore della viltà e l'illusione dei sogni, ma
anche le risposte e le occasioni per sapersi liberare dalla propria oppressione. Tuttavia, nella vita,
servono le giuste dosi di coraggio e fortuna.
Chi fra loro riuscirà a compiere le scelte giuste?
Perché se è meraviglioso credere nei sogni, lo è altrettanto sapersi liberare dai propri incubi.
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