olossali errori manageriali da cui è derivata la spaventosa crisi
economica con cui stiamo facendo ancora i conti. In molte aziende, le
azioni si basavano unicamente sul vantaggio personale di breve termine. Non si prendeva minimamente in considerazione ciò che poteva andare a beneficio di tutti, o l’idea di limitare il danno all’economia globale.
LA DIMENSIONE CONTA DAVVERO, MA NON NEL MODO CHE CREDETE VOI
Per il solo fatto che l’interfunzionalità può produrre grandi risultati,
però , non dovreste imitare Noè e mettere in un team due rappresentanti di ciascun reparto. La dinamica positiva che abbiamo illustrato nel paragrafo precedente funziona bene solo in piccoli team. Il numero ottimale è sette persone, più o meno due, anche se ho visto team di sole tre persone funzionare alla grande. La cosa affascinante è che, dati alla mano, se i componenti sono più di nove, la velocità operativa del team diminuisce. Proprio così: più risorse lo fanno andare più piano. Nello sviluppo del software si cita spesso la “legge di Brooks”, formulata da Fred Brooks nel lontano 1975 nel suo influente libro The Mythical Man-Month. In poche parole, la legge di Brooks afferma che “aggiungendo personale a un progetto software in ritardo lo si fa ritardare ulteriormente”8. Lo hanno confermato numerosi studi. Lawrence Putnam è una figura leggendaria in questo campo, un uomo che ha dedicato la vita a studiare quanto tempo ci si mette a fare le cose e perché. Il suo lavoro ha dimostrato costantemente che i progetti su cui operavano 20 o più persone assorbivano più risorse di quelli su cui ne operavano cinque o sei. Non un po’ di più , ma molte di più . Un team numeroso impiegava circa il quintuplo delle ore, rispetto a un team ristretto. Lo riscontrava in continuazione, e a metà degli anni Novanta ha deciso di condurre uno studio estensivo per stabilire qual è la dimensione ottimale del team. Perciò ha esaminato 491 progetti di media complessità , sviluppati in centinaia di aziende. Erano tutti progetti che richiedevano la creazione di nuovi prodotti o di nuove caratteristiche, e non l’aggiornamento di versioni precedenti. Ha diviso i progetti per dimensione del team e ha notato immediatamente una cosa: quando i team superavano gli otto membri, ci mettevano molto più tempo a fare le cose. I gruppi composti da un minimo di tre a un massimo di sette persone richiedevano circa il 25% dell’impegno lavorativo rispetto ai gruppi composti da un minimo di nove a un massimo di venti individui, per fare esattamente la stessa mole di lavoro. Questo risultato si riscontrava in centinaia e centinaia di progetti. Che i gruppi pletorici facciano di meno sembra essere una regola ferrea della natura umana. Ma perché? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prendere in esame i limiti del cervello umano. Probabilmente avete sentito parlare del celebre studio di George Miller nel 1956, da cui risultava che il numero massimo di cifre conservabili nella memoria di breve termine di una persona media è sette. Probabilmente è per questo che i numeri telefonici sono di sette cifre. Il problema del lavoro di Miller è che ricerche successive l’hanno sconfessato. Nel 2009, Nelson Cowan della University of Missouri si è domandato se quella regola magica del sette fosse vera e ha svolto una vasta indagine su tutte le nuove ricerche condotte in argomento. Ha scoperto così che il numero massimo di cifre che si possono conservare nella memoria di breve termine non è sette, ma quattro 9. La gente pensa spesso di poterne memorizzare di più , usando un supporto mnemonico o solo concentrandosi maggiormente. Però le ricerche dimostrano chiaramente che siamo in grado di ricordare solo quattro “blocchi” di dati. Il tipico esempio è questa serie di 12 lettere: fbicbsibmirs. Di solito la gente riesce a ricordarne solo quattro, se non si rende conto che si può suddividere in quattro noti acronimi: FBI; CBS, IBM, IRS. Se riuscite a collegare gli elementi contenuti nella vostra memoria di breve termine a degli elementi di lungo termine, potete ricordarne di più . Ma la parte della mente in grado di focalizzarsi – la parte conscia – può ricordare solo quattro “blocchi” di dati alla volta. Dunque c’è un limite strutturale alle informazioni che il nostro cervello può trattenere. Questa constatazione ci riporta al libro di Brooks. Quando ha cercato di capire perché mettendo più persone a lavorare su un progetto i tempi si dilatano enormemente, ha scoperto che le ragioni sono due. La prima è il tempo che occorre per portare tutti al massimo livello di efficienza. Come si può immaginare, portare a regime una nuova persona vuol dire rallentare temporaneamente il lavoro di tutte le altre. La seconda ragione non ha a che fare solo con il nostro approccio mentale, ma anche – letteralmente – con la capacità fisica del nostro cervello. Il numero dei canali di comunicazione aumenta sensibilmente al crescere del numero di persone, e il nostro cervello non riesce proprio a gestirli. Se volete calcolare l’impatto della dimensione del gruppo, prendete il numero dei componenti di un team, moltiplicatelo per “quel numero diminuito di un’unità ” e dividete risultato per due: Canali di comunicazione = n (n – 1)/2.
Così, per esempio, se le persone sono cinque, avrete 10 canali. Se
sono sei ne avrete 15. Se sono sette ne avrete 21. Se sono otto ne avrete 28. Se sono nove ne avrete 36. E se sono 10 ne avrete 45. Il nostro cervello non è materialmente in grado di interagire contemporaneamente con tutte quelle persone. Non sappiamo cosa sta facendo ognuna di loro. E nel tentativo di capirlo rallentiamo la nostra attività . Proprio come accade in un team delle forze speciali, tutti i membri di un team di Scrum devono sapere cosa stanno facendo tutti gli altri. I progetti in corso, le difficoltà incontrate, i progressi compiuti, devono essere conosciuti da tutti. E se il team diventa troppo numeroso, la capacità di ogni membro di comunicare chiaramente con tutti gli altri, in ogni momento, ne risente molto. Ci sono troppe correnti trasversali. In molti casi, il team si divide – socialmente e funzionalmente – in sottoteam che iniziano a lavorare in maniera disorganizzata. L’interfunzionalità viene meno; riunioni che prima duravano pochi minuti si protraggono per ore. Non fatelo. Tenete il vostro team ai minimi termini.
LO SCRUM MASTER
Al mio primo team Scrum facevo vedere regolarmente un video degli
All Blacks che si preparavano per una gara. Gli All Blacks, mitica squadra di rugby di un piccolo paese, la Nuova Zelanda, sono un team trascendente. Prima di scendere in campo si esibiscono nell’haka, la danza di guerra dei maori che serve a caricare le persone prima della battaglia. Assistendo a quella performance, sembra quasi di vedere l’energia dei singoli giocatori sprizzare fuori per fondersi in un tutto più grande. Con quei passi sincronizzati, accompagnati dal battere delle mani e da un urlo di guerra – movimenti ritualizzati che simulano il taglio della gola di un nemico – degli uomini comuni si trasformano in qualcosa di più grande, in senso fisico e spirituale. Invocano uno spirito guerriero che non accetta la sconfitta o lo sconforto. C’è voluta qualche replica del video, ma alla fine i miei programmatori un po’ fuori forma hanno cominciato a chiedersi come emulare gli All Blacks. Hanno identificato quattro cose da imitare. La prima era una grandissima focalizzazione sull’obiettivo, sostenuta e rafforzata dal canto. La seconda era una collaborazione totale: braccia e corpi intrecciati nel perseguimento dello stesso obiettivo. La terza era la fame di vittoria – al di là di qualunque ostacolo. La quarta era un’eccitazione universale per ogni azione di sfondamento. Non contava chi fosse il giocatore: l’azione in sé era motivo di celebrazione. Abbiamo creato perciò questo schema di riunioni Sprint e Daily S