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Laboratorio pagg.

47- 48​ Belle rose porporine

1. Tra le più celebri fra le Canzonette di Gabriello Chiabrera, in questo componimento egli
canta la bellezza delle labbra della donna amata che, quando si schiudono in un sorriso,
hanno una grazia superiore al riso della terra in fiore, del mare increspato di una brezza
leggera e del cielo nella luce dell’alba. Il paragone della bellezza della figura femminile
con quella della natura (utilizzati dal poeta come forma di similitudine) è uno dei più
frequenti nella tradizione della lirica d’amore, utilizzato da provenzali, stilnovisti,
Petrarca, e lirici rinascimentali.

2. Chiabrera si chiede se la donna amata sorrida perché prova pietà per l’innamorato (egli
stesso), che non sopporterebbe di vederla sdegnata, o perché mostra di godere
crudelmente del fatto che lui quasi muore d’amore: “O pur è perché voi siete tutte liete,
me mirando in sul morire? Belle rose, o feritate, o pietate del sì far la cagion sia, io vo’
dire in nuovi modi vostre lodi” (vv. 16-23). Egli è tormentato da questo suo
comportamento recandogli quasi dolore; malgrado ciò al poeta importa che la sua
donna sorrida, perché tutta la sua felicità è in quelle labbra ridenti.

3.
● Sinalefe: “degli Amor” (v.4); “preziose amorose” (vv.7-8); “di te ond’è” (v.10); “vivo
ardente” (v.10); “disciogliete un” (v.12); “regge alle” (v.15); “vostr’ire o: (v.15); “mirando
in” (v.18).
Dieresi: “aïta”; “prezïose”.
Sineresi: “Bei”; “aurora”; “guardo”; “voi”; “disciogliete”; “ciò”; “mia”; “siete”; “liete”.
● I versi ottonari appartengono alle strofe: 1-3-4-6
I versi quaternari appartengono alle strofe: 2-5

● sp​ìne (v.2); tesòri (v.2); ròse (v.1); porporìne (v.1); auròra (v.3); aprìte (v.3); minìstre
(v.4); àmori (v.4); “dènti” (v.6); “custodìte” (v.6).

● Belle rose ​porporine


che tra ​spine
sull’aurora non ​aprite​;
ma, ministre degli ​Amori​,
bei ​tesori
di bei denti ​custodite​,

dite, rose ​prezïose​,


amorose​,
dite, ond’è che, s’io ​m’affiso
nel bel guardo vivo ​ardente​,
voi ​repente
disciogliete un bel ​sorriso​?

È ciò forse per ​avïta


di mia ​vita​,
che non regge alle ​vostr’ire​?
O pur è perché voi ​siete
tutte ​liete​,
me mirando in sul ​morire​?

4. Tra la terza e la quarta strofa sono presenti diversi rimandi fonici tra un vocabolo e
l’altro: aïta, vita; ire, morire; siete, liete; feritate, pietate; sia, tuttavia; modi, lodi.

5. Nel testo contribuiscono a conferire musicalità alla canzonetta anafore e altre figure di
ripetizione; concorrono a ciò anche l’innovatrice e originale scelta del poeta di alternare tra
loro versi brevi e parisillabi (in questo caso, ottonari e quaternari) e l’utilizzo della rima
baciata. Alcuni esempi di figure retoriche sono: “Rose”; “Bel/Belle”; “noi diciam”; “se”; “ride”;
“dite” (anafore). Numerosi poi, sono i rimandi fonici tra un vocabolo e l’altro: rose; preziose;
amorose; custodite; dite; dite; e i singoli fonemi interni alla parola: “or” in pORpORine,
aurORa; tesORi; “ard” in guARDo; ARDenti; “ent” in dENTi; ardENTe, repENTe.

6. La canzonetta anacreontica ha un contenuto molto esile: il sorriso della donna amata è


più affascinante dei più incantevoli spettacoli della natura (il prato fiorito, il mare increspato
dalla brezza, il cielo all’alba). Il paragone della bellezza della figura femminile con quella
della natura è uno dei più frequenti nella tradizione della lirica d’amore; viene, infatti,
utilizzata da provenzali, stilnovisti, Petrarca, e lirici rinascimentali. A questa tradizione
Chiabrera aderisce perfettamente, proprio sulla base della sua poetica di ascendenza
classicista e di rifiuto delle più stupefacenti innovazioni mariniste. Tuttavia, pur nella fedeltà
al classicismo, Chiabrera introduce alcune sue originali innovazioni. Qui, per esempio,
della figura e dell’atteggiamento della donna amata non viene rivelato nulla, tranne un
particolare: le labbra. Sembra quasi che esse vivano di vita propria, su di esse si concentra
tutta la leggiadra descrizione, esse sono la fonte delle eleganti similitudini con gli aspetti
della natura. Chiabrera avverte quella esigenza di innovazione che dal Barocco di Marino e
dei marinisti è interpretata in forma assai più evidente, con stupefacenti giochi di metafore
e di acutezze. È da notare, inoltre, che nella poesia scompare quella conflittualità interiore
che in Petrarca e nei petrarchisti si accompagnava alla grazia delle immagini, che qui
domina invece in una sua limpida, ma anche un po’ superficiale, eleganza ( il “riso
grazioso” dell’ultimo verso).

7. ​Belle​ rose ​porporine​,


che tra spine
sull’aurora non aprite;
ma, ministre degli Amori,
bei​ tesori
di ​bei​ denti custodite:

dite, rose ​prezïose​,


amorose​;
dite, ond’è che s’io mi’affiso
nel bel guardo ​vivo ardente​,
voi repente
disciogliete un bel sorriso?

È ciò forse per aïta


di mia vita,
che non regge alle vostr’ire?
O pur è perché voi siete
tutte ​liete​,
me mirando in sul morire?

​Belle​ rose, o ​feritate​,


o ​pietate
del sì far la cagion sia,
io vo’ dire in ​nuovi​ modi
vostre lodi,
ma ridete tuttavia.

Se ​bel​ rio, se ​bell​’auretta


tra l’erbetta
sul mattin mormorando erra;
se di fiori un praticello
si fa ​bello​;
noi diciam: ride la terra.

Quando avvien che un zefiretto


per diletto
bagni il piè nell’onde ​chiare​,
sicché l’acqua in su l'arena
scherzi appena;
noi diciam che ride il mare.

Se giammai tra fior ​vermigli​,


se tra gigli
veste l’alba un ​aureo​ velo;
e su rote di ​zaffiro
move in giro;
noi diciam che ride il cielo.

Ben è ver, quando è ​giocondo


ride il mondo,
ride il ciel quando è ​gioioso​:
ben è ver; ma non san poi
come voi
fare un riso ​grazïoso​.

Gli aggettivi qualificativi evidenziati in giallo hanno prevalentemente una funzione


esornativa. Al contrario, gli aggettivi evidenziati in rosso aggiungono importanti dettagli
per la descrizione, trattandosi spesso di personificazioni o significati “nascosti”, come ad
esempio “feritate” e “pietate”, aggettivi che vanno ad esprimere il modo di agire della
donna, o “zaffiro” che attraverso la preziosa pietra azzurra va ad indicare il colore del
cielo.
8. Alcuni dei termini colti e ricercati nel testo sono: “affiso” (v.9); “repente” (v.11);
“disciogliete” (v.12); “aïta” (v.13); “auretta” (v.25); “erra” (v.27); “zefiretto” (v.31); “diletto
(v.32); “bagni il piè” (v.33); “scherzi” (v.35); “giammai” (v.37) “vermigli” (v.37) “aureo velo”
(v.39) “zaffiro” (v.40) giro” (v.41) “giocondo” (v.43). A mio parere la loro presenza è
alquanto rilevante, dal momento che Chiabrera prende ispirazione dall’antica lirica
greca e latina, della quale intendeva proprio riproporre l’eleganza delle forme espressive
che in parte offrono questi vocaboli.

9. La congiunzione “sicché” introduce una subordinata di tipo causale che esprime la


causa di quanto espresso nella frase reggente. Può essere sostituita dalle congiunzioni e
locuzioni congiuntive: ​pertanto​, ​di modo che​, ​di conseguenza​, ​per cui​, ​per questo motivo​,
allora​, ​dunque​, ​quindi​, ​ebbene​, perché, poiché, dal momento che e siccome.

10. vv. 2-3: “che tra spine/su l’aurora non aprite” ​funzione​ ​relativa
v.15: “che non regge alle vostr’ire” ​funzione relativa
vv.31-33: “che un zefiretto [...] bagni il piè nell’onde chiare” ​funzione soggettiva
v.36: “che ride il mare” ​funzione dichiarativa

Giulia Palchetti IV A 16/12/2020

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