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La vita

Nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese. Ebbe un’educazione umanistica,
basata sullo studio di classici in latino.
Per quanto riguarda la politica fu inizialmente sostenitore della repubblica di Pier
Soderini, e osteggiatore di Savonarola. Si candiderà per la segreteria della seconda
cancelleria ma otterrà l’incarico solo dopo la morte di Savonarola, per questo
incarico intraprese viaggi in Europa soprattutto Germania e Francia (1500 presso
Luigi XII). In seguito a questi viaggi scriverà dei resoconti di essi. I viaggi saranno
importanti anche per la stesura successiva del Principe. In Francia viene a contatto
con la monarchia assoluta, venendo a contatto col problema delle milizie. In
Germania vedrà che ci sono milizie mercenarie (soldati pagati). 1503 è al servizio del
Valentino, perché grazie all’appoggio del padre papa Alessandro VI, Cesare Borgia
aveva ottenuto il ducato di Urbino. La sua figura di politico audace e spregiudicato lo
ispirerà moltissimo per la stesura del Principe. Quando il papa muore Cesare Borgia
cade in rovina. Tra il 1507 e il 1508 con l’amico Francesco Vettori (letterato e uomo
politico a cui machiavelli scriverà un’epistola) andrà in Germania presso l’imperatore
Massimiliano d’Asburgo e qui si porrà il problema delle milizie mercenarie. Dopo il
viaggio in Germania scrive “Ritratto delle cose della Magna”, dopo quello in Francia
“Ritratto delle cose di Francia”.
Nel 1512 la repubblica cade e i medici tornano a Firenze. Machiavelli per aver preso
parte alla cancelleria della repubblica sarà estromesso dagli incarichi politici e
costretto a una sorta di volontario esilio, per cui andrà nel suo podere
dell’Albergaccio. Qua scriverà la lettera a Vettori in cui spiegherà come si svolgono le
sue giornate. La sera si dedica all’otium letterario e intraprende la scrittura del
Principe.
Nel 1513 scrive il Principe. Altre due opere importanti sono i “Discorsi sopra la prima
deca di Tito Livio” e una commedia intitolata “Mandragola”. I discorsi sopra la prima
deca di Tito Livio= sopra i primi 10 libri di Tito Livio. Il progetto di Tito Livio era 140
libri, a noi sono giunti frammenti. Se Machiavelli parla di “Deca” significa che ai suoi
tempi si leggevano almeno 10 libri della storia di Roma di Livio. In quest’opera parla
dei rapporti tra repubblica e principato. Machiavelli individua come forma di
governo migliore la Repubblica. Tuttavia scrive il “Principe” con il quale
probabilmente cerca di ingraziarsi i Medici anche se questi continuarono a guardarlo
con diffidenza. Anche quando tornerà a fare politica gli daranno incarichi di scarsa
rilevanza. Nel frattempo si avvicina all’Accademia degli orti oricellari (intellettuali
che si riunivano presso casa Rucellai), dove conosce Cosimo Rucellai e Zanobi
Buondelmonti, ai quali dedicherà i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” e farà
leggere il Principe. Nel 1519 il cardinale Giulio de Medici prende il potere a Firenze e
Machiavelli può tornare a far politica. Giulio de Medici lo incarica a scrivere la storia
di Firenze. Machiavelli gli dedicherà un’altra opera in forma dialogica intitolata
“L’arte della guerra” (opera in forma dialogica. Ambientata negli Orti Oricellari. Gli
interlocutori sono Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti, ma il personaggio
centrale è Fabrizio Colonna che è il portavoce delle idee di Machiavelli. Machiavelli
porta come modello quello degli antichi Romani). Durante un viaggio a Carpi
incontra Guicciardini e fra i due nasce un’amicizia e ci sarà uno scambio epistolare.
Giulio de Medici diventerà papa Clemente VII e a lui Machiavelli dedicherà le “Istorie
fiorentine”, opera divisa in 8 libri (era la storia di Firenze che gli aveva chiesto di
scrivere lui stesso. Parlano della storia fiorentina dalla caduta dell’Impero Romano
alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492. Machiavelli individua le cause della
decadenza di Firenze: ognuno guarda ai propri interessi personali, non si guarda al
fine della politica, cioè al bene comune. Causa della decadenza di Firenze sono le
discordie interne tra le varie famiglie). Nel 1527 viene proclamata nuovamente la
repubblica e Machiavelli venne guardato con ostilità per essersi avvicinato ai Medici.
Machiavelli muore nel 1527.
La fortuna
Machiavelli percepisce la fortuna come una forza devastante. Utilizza la metafora
del fiume in piena e la virtù come gli argini di tale fiumi. La virtù dell’uomo può
contrastare la fortuna. La virtù non coincide con la virtù morale. La virtù è la capacità
di cogliere l’occasione: momento in cui si può contrastare la fortuna in un momento
favorevole, sapere approfittare del momento opportuno, quello che non ha saputo
fare Cesare Borgia. Questo per quanto riguarda la virtù dell’uomo comune. La virtù
dell’uomo politico comprende anche la capacità di cogliere l’occasione ma anche la
conoscenza della politica, il coraggio di portare avanti un progetto politico e
soprattutto la capacità di adattarsi alle circostanze.
In che modo i principi debbano mantenere la parola data
Machiavelli sostiene che sarebbe bello se il principe mantenesse la parola data e
non usasse l’astuzia, tuttavia i disonesti hanno ottenuto risultati migliori di coloro
che si sono fondati sull’onestà (porta come esempio Alessandro VI). Vi sono due
modi di combattere: con le leggi o con la forza; il primo è proprio degli uomini, il
secondo delle bestie. Tuttavia, a volte, le leggi non bastano ed occorre ricorrere alla
forza. Un principe deve sapersi comportare da bestia oltre che da uomo. La
leggenda del centauro che alleva Achille ha quindi un fondo di verità. Inoltre deve
essere volpe, cioè astuto, e leone, cioè forte. Il principe non deve mantenere la
parola data se ciò gli si ritorce contro e se vengono a mancare i motivi che l’avevano
indotto a promettere. Se gli uomini fossero buoni questo insegnamento sarebbe
sbagliato, ma, poiché gli uomini sono meschini, è corretto. Il principe deve essere
capace di simulare e dissimulare, non deve avere le buone qualità, deve fare finta di
averle. Il principe troverà sempre uomini ingenui in quanto, l’uomo è attaccato alla
circostanza immediata, non è lungimirante, perciò è facile da ingannare. Viene,
infine, introdotto il concetto che il fine giustifica i mezzi, in questo modo catturerà il
volgo. Il volgo è sempre catturato dalle apparenze quando le imprese finiscono
bene. I principi che predicano la pace e la fede non sanno né cosa l’una né cosa sia
l’altra, perché se le usassero entrambe o perderebbero la reputazione o
perderebbero il regno.
Per Machiavelli l’esito di un’azione di un principe dipende dai tempi: un principe può
utilizzare una strada e arrivare alla sua meta, un altro ne utilizza un’altra e arriva alla
stessa meta. Due principi usano la stessa strada ma arrivano a due mete differenti.
L’uomo deve adeguare i suoi comportamenti alle condizioni in cui si trova ad agire,
fornisce l’esempio di papa Giulio II che guidò personalmente la spedizione militare
nell’impresa di Bologna. Se si fosse comportato tutti gli altri papi, facendosi
trattenere a Roma da impegni burocratici, non avrebbe portato a termine la sua
impresa.

La Mandragola
C’è l’idea che anche la donna che all’apparenza sembra più casta e pura in realtà si
rivela lussuriosa. La mandragola è una pianta, si credeva che avesse proprietà
particolari. L’opera è una commedia scritta come dedica per le nozze di Lorenzo de
Medici. La vicenda si svolge a Firenze. La protagonista è una donna che si sposa con
un uomo di cultura che però è un credulone. I due non riescono ad avere figli.
L’adulescens Callimaco vuole conquistare la donna e c’è un servitore che lo aiuta
(struttura ripresa da Plauto). Callimaco finge di essere un medico e dice al marito
della donna che questa, per rimanere incinta, deve bere una pozione di mandragola,
ma il primo uomo che si unirà con lei morirà. Callimaco si traveste da giovane
contadino e fa finta di essere colui che deve essere sacrificato. La donna prima si
mostra contraria poi accetta. Si unisce con Callimaco, di cui resterà e con cui
continuerà la relazione.

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