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a cura della
FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
SEZIONE DI TORINO
Stato dell’arte
Per quanto possa sembrare strano, il testo italiano di riferimento sulla musi-
ca nella Commedia è ancora un libro scritto più di un secolo fa da Arnaldo
Bonaventura,1 nel quale si raccolgono in modo sistematico e si discutono i ver-
si riguardanti la musica nel poema dantesco. Negli anni successivi, la ricerca
sull’argomento ha sovente preso la forma di articoli o saggi brevi su singoli passi
o episodi. Fra i più importanti lavori recenti si ricorda la notevole ricerca di
Claudia Schurr sul significato della musica nella Commedia,2 e un libro estre-
mamente dettagliato, documentato e profondo di Francesco Ciabattoni,3 a cui
attingeremo nelle prossime pagine.
Accanto alla scarsità di studi pubblicati sull’argomento, un elemento impor-
tante dovrà essere preso in considerazione, ossia come le differenti interpretazio-
ni del tema «Dante e la musica» possano produrre approcci e risultati completa-
mente dissimili.
Vi sono innanzitutto studi in cui si equiparano alla musica tutti i fenomeni
uditivi reperibili nella Commedia. Benché questa sia una scelta legittima, è inutile
C.E. Schurr, Dante e la musica. Dimensione, contenuto e finalità del messaggio musicale nella
2
“Divina commedia” (Quaderni di «Esercizi, musica e spettacolo»), Università degli studi di Perugia,
Perugia 1994.
3
F. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, University of Toronto Press, Toronto 2010.
105
dire come ciò espanda ulteriormente il campo di ricerca; inoltre, a mio vedere, i
significati della musica (deliberata espressione artistica di esseri autocoscienti) e
del semplice suono non possono essere considerati equivalenti.
Altri studi non distinguono tra le similitudini o metafore musicali e la mu-
sica realmente eseguita e udita nella Commedia. Tuttavia, il punto di vista «sog-
gettivo» adottato da Dante, che descrive i regni oltremondani nel modo in cui
personalmente li esperisce, dovrebbe scoraggiare l’adozione di tale semplicistica
equivalenza.
Altre analisi riguardano la musicalità della poesia dantesca, dei suoi versi,
dei suoi artifici retorici: questo è naturalmente un aspetto cruciale degli studi su
Dante, ma non è quello che adotteremo nelle prossime pagine. Altri saggi anco-
ra considerano la musica all’interno dell’intera produzione letteraria di Dante:
anche se la ricerca svolta per il presente testo ha preso in considerazione gli altri
lavori di Dante, ci riferiremo ad essi solo occasionalmente e quando l’esposizione
lo richiederà. Infine, altri studi si dilungano sui brani musicali composti sui testi
di Dante (sia dai suoi contemporanei sia successivamente) e quelli ispirati dai
personaggi o dalle situazioni descritte nella Commedia (per esempio la Sonata
Dante di Franz Liszt o la Francesca da Rimini di Cijajkovskij). Poiché tali studi
riguardano la Wirkungsgeschichte della Commedia più che l’intenzionalità creativa
di Dante, non ne discuteremo in questa sede.
Le pagine che seguiranno prendono in considerazione principalmente il si-
gnificato della musica eseguita dalle anime, dagli angeli e dai demoni e/o di
quella udita da Dante nella Commedia, con riferimenti occasionali alle più im-
portanti metafore musicali. L’obiettivo principale è quello di dimostrare la rela-
zione tra la musica realmente esperita nell’itinerario della Commedia e la realtà
dell’amore e della grazia divina, e di esporre come queste entrano in relazione
con una concezione polifonica della Trinità.
Un itinerario musicale
Il ruolo della musica per Dante va compreso all’interno della cornice teologica
e filosofica della sua epoca, in particolar modo con riferimento a Platone (così
come era letto e compreso nel medioevo) e Boezio. Dal Timeo di Platone Dante
ha tratto una concezione «armonica» dell’universo, nella quale musica, filosofia
ed estetica sono dipendenti le une dalle altre e armoniosamente intrecciate;4 le
proporzioni armoniche dell’Anima mundi costituiscono la giustificazione teoreti-
ca per la recezione e interpretazione cristiane della mitica «armonia delle sfere».
4
Per l’importanza del Timeo di Platone nella produzione dantesca, cf. R. De Benedictis, Ordine e
struttura musicale nella «Divina commedia», European Press Academic Publishing, Fucecchio 2000, 27.
106
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 154ss., per una discussione completa del tratta-
6
mento un po’ ambiguo del tema dell’«armonia delle sfere» nel testo dantesco. Cf. anche C. Richelmi,
«Circulata melodia. L’armonia delle sfere nella Commedia di Dante Alighieri», disponibile online a
http://users.unimi.it/gpiana/dm5/dm5dancr.htm (ultimo accesso: 12/5/2013).
7
De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 93.
8
Schurr, Dante e la musica, 42.
9
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 3; 5; 12ss; M. Stillmann («The Music of Dante’s
Purgatorio», in Hortulus 1[2005]1, disponibile online a http://www.scribd.com/doc/64265149/The-
Music-of-Dante-s-Purgatorio, ultimo accesso: 12/5/2013) condivide la sua concezione della musica
paradisiaca come essenzialmente polifonica. Si può aggiungere che Schelling considerava il Paradiso
come l’unica cantica realmente musicale, assimilando l’arte dell’Inferno dantesco alla scultura e il
Purgatorio alla pittura: F.W.J. Schelling, «Über Dante in philosophischer Beziehung», in M. Schröter
(a cura di), Schellings Werke, Beck, München 1965, III, 572-583, spec. 582.
107
Tommaso d’Aquino, Commento alla fisica di Aristotele, 3 voll., ESD, Bologna 2004, II, 300ss.
10
Cf. P. Dessì, «Le polifonie semplici», in V. Minazzi (a cura di), Atlante storico della musica nel
11
108
dantesco è certamente il regno del disordine nei suoi tratti microscopici (il di-
sordine dell’anima in se stessa, con le altre e con i demoni); tuttavia, per Dante,
persino l’inferno faceva parte di un ordine macroscopico, poiché la punizione dei
ribelli era necessaria all’armonia trascendente della giustizia divina.
Ciononostante, la vera musica, e in particolar modo la polifonia, sono im-
possibili all’inferno: come sottolineava De Sanctis, il canto corale è irrealizza-
bile poiché manca l’unità realizzata dall’amore: se l’odio è agghiacciante soli-
tudine, nell’amore si trovano simpatia, empatia e armonia.18 Il canto polifonico
richiede lo sforzo di intonare la propria voce a quella del vicino e di adattare
il proprio tempo e il proprio ritmo interiori a quelli degli altri: simboli, questi,
particolarmente efficaci per indicare l’amore cristiano. Se un ritmo globale è
reperibile anche nell’inferno e nella sua esistenza, il ritmo come comunione
(«cuori che battono insieme») è certamente assente. Ciò era già chiaro a Jacopo
della Lana, per il quale i suoni «temperati»19 per la musica sono deliziosi, e il
ritmo rappresenta l’ordine tramite cui le diverse voci possono suonare insieme
con dolcezza.20
In realtà, molti suoni vengono prodotti simultaneamente nel «paesaggio so-
noro»21 infernale: è una polifonia casuale che non ha nulla dello sforzo comu-
nionale degli altri due regni ultraterreni. Tuttavia, Dante la utilizza per rimarcare
la distanza tra inferno e paradiso: questa simultaneità di suoni che non hanno
intenzionalità comunionale è una delle numerose parodie della liturgia celeste
che simboleggiano la concezione del diavolo come «simia Dei». Chiaramente,
Lucifero, con i suoi tre volti, rappresenta una parodia della Trinità: se il Dio
unitrino è la perfetta relazione comunionale, Lucifero è un individuo singolo,
senza relazioni, e le cui tre facce rappresentano sia una mostruosità sia una
disintegrazione dell’io. Anche se in modo meno ovvio ed evidente, la musica in-
fernale realizza diverse altre parodie: per Ciabattoni, l’Inferno è un rovesciamento
«sistematico» e «tragico» della musica sacra, una «parodia» e perversione22 musi-
cale del purgatorio e del paradiso; qui «gli attributi metafisici della musica sono
18
F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2 voll., Laterza, Bari 1958, I, 211. Cf. E. Ardissino,
«Parodie liturgiche nell’“Inferno”», in Annali d’italianistica 25(2007), 217-232, spec. 218, che sottolinea
l’isolamento delle anime, impedimento invalicabile alla liturgia come evento comunionale.
19
Come dimostrato da L. Spitzer (Classical and Christian Ideas of World Harmony, a cura di A.
G. Hatcher, The John Hopkins University Press, Baltimora 1963; trad. it. di V. Poggi, L’armonia del
mondo, Il Mulino, Bologna 2009, 102), l’aggettivo utilizzato da della Lana («attemperato») fa parte di
una famiglia semantica che è in stretta relazione con l’armonia e la polifonia. Cf. Ciabattoni, Dante’s
Journey to Polyphony, 165.
20
D. Alighieri, La Commedia con il commento di Iacomo della Lana, Tipografia Regia, Bologna
1866, I, 129. Egli connette anche il «sanza tempo» dantesco (Inf., III, 29) con il rumore e il tumulto
sentiti da Dante al suo ingresso all’inferno (Inf., III, 25-28).
21
Per utilizzare un’espressione del compositore canadese Barry Truax (n. 1947).
22
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 44 e 90.
109
Ivi, 47.
23
Ivi, 67.
24
25
Ivi, 53.
26
Cf. De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 72.
27
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 61.
28
Cf. G. Vinciguerra, La croce e la cithara. Note sulla musicalità del Venerabile Signum in Purg. 2,
Venezia 1999, disponibile online a http://www.princeton.edu/dante/ebdsa/gv99.htm (ultimo acces-
so: 12/5/2013); Nicezio, De Psalmodiae bono: PL 68,371; Riccardo di san Vittore, Allegoriae in Vetus
Testamentum: PL 175,692; Pseudo san Bonaventura, Vitis mistica: PL 184,655, ecc.
29
Cf. Rm 5,12-15; 1Cor 15,22.45.
30
In epoca barocca, Giovanni Battista Marino (uno dei più celebri poeti della sua epoca) scrisse
un’omelia assai interessante nella quale il liuto è visto come strumento demoniaco, in opposizione alla
cetra (suonata dal Cristo); anche qui, il diavolo scimmiotta Dio («transformat se in Angelum lucis»)
e come falsario (similmente a Mastro Adamo). Inoltre, Marino cita il «rovescio della medaglia», con
un’ulteriore allusione numismatica (cf. G.B. Marino, Dicerie sacre, Luigi Pizzamiglio, Torino 1614; A.
110
Ruffino, Vanitas vs. Veritas. Caravaggio, il liuto, la caraffa e altri disincanti, Allemandi, Torino 2013, 57).
Anche se qui non troviamo riferimenti espliciti a Dante, considero questo passaggio come esempio
notevole di come tali concetti fossero in relazione reciproca (e forse come un momento significativo
nella storia della recezione della Commedia).
31
Schurr, Dante e la musica, 120; 138-139. Cf. anche Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 48.
32
De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 79.
33
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 97.
34
Cf. ivi, 98-99 e 110.
35
Cf. ivi, 97.
111
Benché le anime purganti non abbiano più dubbi sulla loro salvezza defini-
tiva, la loro condizione di «già ma non ancora» le accomuna agli esseri umani
viventi: una condizione che viene espressa attraverso la preghiera e la musica. È
questa somiglianza che «rende il Purgatorio la cantica più umanamente commo-
vente».36 Così, i canti liturgici della Chiesa militante sono gli stessi della Chiesa
penitente, in un comune itinerario verso il cielo: secondo me, Dante fa uso della
musica liturgica per segnare la profonda unità e comunione tra il mondo dei
viventi e il purgatorio stesso.
Il repertorio cantato dalle anime penitenti è prevalentemente composto da
salmi e inni (i cosiddetti «salmi idiotici»): secondo Ciabattoni, la combinazione
dei due dimostra che «Dante aveva in mente il repertorio gregoriano più che il
salterio biblico, e ciò prova l’origine liturgica delle sue citazioni».37 Tale reperto-
rio era comunemente utilizzato e conosciuto dalla comunità dei credenti all’epo-
ca di Dante: l’evocazione di un solo verso era sufficiente per portare alla memoria
del lettore la corrispondente melodia.38
In purgatorio, la musica ha bisogno di parole: esse sono viste dalla Schurr
come un fardello indispensabile e un’incrostazione della condizione mortale, che
quasi offusca la purezza della musica celeste;39 tuttavia, la musica è parte inte-
grante della purificazione spirituale delle anime e coopera alla riconciliazione di
carne e spirito.40
La liturgia purgatoriale fa uso di tutti gli stili salmodici (salmodia diretta,
antifonale e responsoriale), con una prevalenza dello stile più semplice nelle
prime cornici, a cui subentrano i più ricercati man mano che Dante sale il monte
del purgatorio: il grado di complessità della musica liturgica sembra ascendere
parallelamente all’itinerario spirituale delle anime.41 La Schurr sottolinea che la
musica, insieme alla penitenza «fisica» e all’insegnamento biblico e morale, fa
parte della purificazione purgatoriale: in corrispondenza dell’ascesa/ascesi del
l’anima, la recitazione evolve da una mera scansione ritmica a un canto libero,
incorniciato dal ritmo musicale.42
Tutte queste tre forme salmodiche, tuttavia, sono strettamente monofoni-
che (ossia cantate all’unisono). La monofonia è un simbolo non solo dell’unità,
ma anche dell’unificazione, dell’espiazione e della riconciliazione: integrazione
all’interno del singolo individuo e lotta per la conquista dell’armonia all’interno
36
Ivi, 95.
37
Ivi, 111-112.
38
Cf. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, I, 211.
39
Schurr, Dante e la musica, 80.
40
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 6 e 92-93.
41
Cf. Stillmann, «The Music of Dante’s Purgatorio».
42
Schurr, Dante e la musica, 113. Cf. ivi, 27ss, in cui discute diversi esempi dal De vulgari eloquen-
tia, e propone una teoria della concezione dantesca di tempo, ritmo, numero e misura.
112
della comunità penitente.43 Il canto all’unisono realizza una «perfetta unità d’in-
tenti»,44 nel comune impegno contro la tentazione e nella ricerca di perdono e
misericordia: la società stessa è riconciliata mentre gli individui «re-imparano ad
agire a tempo con una communitas di altri esseri umani».45
Il canto monofonico richiede la disciplina di adattare il proprio respiro a
quello degli altri, e di intonarsi con le altre voci. Inoltre, cantare la stessa linea
melodica spesso richiede uno sforzo: le diverse estensioni vocali devono sotto-
mettersi alla melodia prescelta anche se questa può trascendere (o quantomeno
risultare scomoda) l’estensione vocale dell’individuo. Per Hildegard von Bingen,
la creazione si potrà dire compiuta quando l’armonia della lode umana (un’ar-
monia tra umanità e cosmo) risuonerà pienamente in Dio. Il ristabilirsi della
«sinfonia» è un dono della grazia e il risultato degli sforzi umani: la «sin-fonia»
musicale è, allo stesso tempo, un’immagine e una realtà operante della concordia
delle anime. Nella vita della sua comunità monastica, suggerisce la Bingen, que-
sta «sinfonia» delle voci è un «processo»: le voci si «intonano» le une con le altre,
e, con la lode angelica, le anime si «intonano» le une con le altre nella comunione
reciproca, e in comunione con il creato e con Dio.46
L’amore, così, diviene la forza unificante tramite cui alle anime, «esseri musi-
cali», è permesso di lasciare la propria «coscienza individuale», essendo «assorte
in uno stesso spirito di carità». La monofonia non è monotonia, e l’armonia delle
anime è il risultato del loro accordo spirituale: l’unità (sia in atto sia in processo)
e l’armonia rivelano la forma più alta di bellezza.47
Inoltre, accanto allo sforzo musicale necessario all’intonazione comune, la
monofonia aveva anche un valore penitenziale all’interno della liturgia del tempo
di Dante: la polifonia, ritenuta un’espressione di gioia, era infatti esclusa dai riti
penitenziali.48
Se il sogno di Dante di cui è protagonista la «femmina balba» (Purg., XIX,
7ss) è un esempio chiarissimo dell’azione potenzialmente fuorviante della mu-
sica, in ciò simile all’amore mal indirizzato, le opinioni riguardo all’episodio
di Casella (Purg., II, 76ss) sono diverse. Personalmente, concordo con quanto
E. Ardissino, «I canti liturgici nel Purgatorio dantesco», in Dante Studies 108(1990), 39-65,
44
spec. 43.
45
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 110.
46
Cf. W.T. Flynn, «“The Soul is Symphonic”: Meditation on Luke 15:25 and Hildegard von
Bingen’s Letter 23», in D. Zager (a cura di), Music and Theology: Essays in Honor of Robin A. Leaver,
Scarecrow Press, Plymouth 2007, 1-8, spec. 4-5. La concordia musicale e quella dello spirito sono quin-
di, per Hildegard, un risultato dell’azione trinitaria nell’uomo: cf. Hildegard von Bingen, Letter 23, in
L. van Acker (a cura di), Hildegardis Bingensis Epistolarium. Pars Prima I-XC, Corpus Christianorum
Continuatio Mediaevalis, Brepols, Turnhout 1991, XCI, 61-66, righe 126-128.
47
Cf. Spitzer, L’armonia del mondo, 98, riguardo a Purg., XVI, 16-21.
48
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 26.
113
sostiene la Schurr, secondo cui Catone non condanna una forma mondana
di canto, bensì la sua percezione: il talento di Casella porta gli ascoltatori a
un’«eternità di tempo fòre» che non si confà al «ritmo» e al tempo misurato
del purgatorio. Così, secondo la Schurr, il «non più» con cui la critica qualifica
l’opportunità di un canto d’amore nell’anti-purgatorio dovrebbe essere trasfor-
mato in un «non ancora», poiché «il godimento totale del canto amoroso avrà
luogo altrove».49 A mio vedere, se la musica è un simbolo e un tramite della
grazia e dell’amore divino, si può supportare il punto di vista della Schurr. Va
ricordato, infatti, che Catone è un pagano: la sua è una vita imperniata sulla
moralità, più prossima all’economia della Legge che a quella della grazia. Egli
è giustificato dalla sua etica adamantina (benché, naturalmente, la sua stessa
moralità sia un dono della grazia), ma forse non gli è dato di comprendere il
potere salvifico della musica (dell’amore, e della musica d’amore: basti ricordare
la sua durezza nei confronti del ricordo della moglie). A mio avviso, viceversa,
il canto di Casella è in realtà un atto di compassione verso Dante e gli altri
penitenti: Casella condivide con loro un dono di bellezza, per pura generosità
e solidarietà. Una tale compassione nasce dalla conoscenza e dalla coscienza
della condizione di peccato che accomuna i membri del genere umano: forse,
quindi, la rigida moralità di Catone gli impedisce di comprendere la misericor-
dia divina, che si mostra attraverso il canto di Casella.
A questo proposito, vorrei proporre un accostamento di alcuni importanti
versi della Commedia, ciascuno dei quali inizia con la parola «Amor». I primi tre
si trovano nel celebre episodio di Paolo e Francesca (Inf., V, 100: «Amor, ch’al
cor gentil ratto s’apprende»; V, 103: «Amor, ch’a nullo amato amar perdona»;
V, 106: «Amor condusse noi ad una morte»); la loro collocazione all’inizio di
tre terzine consecutive potrebbe essere, a sua volta, una parodia infernale della
Trinità. Anche se la storia dei due amanti è profondamente commovente, sia
per il lettore sia per Dante stesso, il loro amore mal diretto li portò alla morte
eterna («condusse noi…»), trascinandoli in un vortice di cui la loro punizione
senza fine è immagine e ricordo. Il secondo episodio è l’evocazione della can-
zona di Dante da parte di Casella nel Purgatorio: qui, il canto d’amore trattiene
coloro che dovrebbe invece spingere all’espiazione, e allo stesso tempo dona
loro un’anticipazione dell’eterna beatitudine che bramano di ottenere (Purg., II,
112: «Amor che ne la mente mi ragiona»). Il terzo frammento è l’ultimo verso
dell’intera Commedia (Par., XXXIII, 145: «L’amor che move il sole e l’altre stel-
le»), in cui l’amore trinitario è la fonte di un perfetto movimento di bellezza (né
il vortice della passione né la statica indolenza dell’anti-purgatorio). Nel caso di
Francesca, Dante sperimenta un amore compassionevole che apparentemente
49
Schurr, Dante e la musica, 88.
114
50
Discuteremo nelle prossime pagine dell’esperienza sinestesica di suono/musica e luce/stelle
nel Paradiso di Dante.
51
Cf. De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 101.
52
Cf. Purg., XXIII, 72: «Io dico pena, e dovria dir sollazzo».
53
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 122-124. Ciabattoni suggerisce anche che il suono
stridente delle porte del purgatorio possa essere assimilato a quello imperfetto degli organi medie-
vali.
54
Cf. anche A. Vettori, «La breccia silenziaria in Purgatorio X», in Lectura Dantis 21-22 (prima-
vera-autunno 1997), 78-100, riguardo a come il Te Deum percepito da Dante all’interno del suono dei
portali incornici il canto X insieme con il Padre nostro, altra preghiera liturgica, nella cornice degli
orgogliosi.
55
Cf. Par., XXVII, 1-2, e il commento della Schurr (Dante e la musica, 92).
56
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 146.
57
Cf. ivi, 148.
115
58
Ivi, 150-151.
59
De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 7.
116
settentrionale dei secoli XIII-XIV.60 Nell’intero Paradiso, Dante usa termini tecni-
ci molto precisi per riferirsi a forme specifiche del canto polifonico: in Par., VIII,
16-18 troviamo l’affascinante descrizione di un organum melismaticum, e la cele-
bre similitudine dell’orologio (Par., X, 139) «sottolinea l’importanza della misu-
razione del tempo per il canto polifonico».61 A mio vedere, l’armonia espressa dal
canto polifonico non soltanto necessita di un chiaro ritmo all’interno del tempo,
ma è anche un mezzo esperienziale per il dialogo fra tempo ed eternità: in Par.,
XVII, 43-45 il tempo (futuro) è «visto» così come l’armonia polifonica è udita.
Inoltre, il fatto che «la polifonia improvvisata fosse una pratica diffusa in
Toscana e nord Italia al tempo di Dante»62 è notevole: da un lato, ciò spiega
perché solo una piccola quantità di fonti scritte della prima polifonia italiana sia
giunta ai giorni nostri; dall’altro, la polifonia improvvisata è la forma musicale
che meglio si adatta a descrivere il libero arbitrio purificato nella sua interazione
amorosa con Dio e con le altre anime.
Come ampiamente dimostrato da Ciabattoni, la musica nel Paradiso è usata
coerentemente come mezzo per la comunicazione della grazia e della beatitu-
dine, divenendo un «mezzo di espressione mistico63 che aggira la fagocitazione
del linguaggio poetico».64 Come segnala Spitzer,65 il contemporaneo di Dante
Richard Rolle de Hampole (1290-1349) descrisse la propria esperienza misti-
ca come l’estatico udire la musica trascendente della grazia;66 e, nel suo elenco
di prove documentali sulle pratiche polifoniche nell’Italia dei secoli XIII-XIV,
Ciabattoni67 cita l’agiografia medievale su Angela di Foligno e Chiara d’Assisi.
Entrambe queste sante hanno vissuto momenti mistici ed estatici nei quali la
loro esperienza trascendente di Dio fu simboleggiata anche dal canto polifonico.
60
Cf. G. Cattin, «Novità dalla cattedrale di Firenze: polifonia, tropi e sequenze nella seconda
metà del XII secolo», in Musica e storia 6(1998)1, 7-36; M. Tubbini, Due significativi manoscritti della
cattedrale di Firenze: studio introduttivo e trascrizione (Thesis ad Lauream 224), Pontificium Athenaeum
s. Anselmi de Urbe-Pontificium Institutum Liturgicum, Roma 1996; Ciabattoni, Dante’s Journey to
Polyphony, 5; 9ss; 10-12; 18; 27; 37ss. Ciabattoni è il primo studioso di Dante che prenda in conside-
razione i risultati di questi studi musicologici recenti, dando loro l’importanza cruciale che meritano.
Inoltre, se il famoso (ancorché dubbio) viaggio di Dante a Parigi ha realmente avuto luogo, il poeta
potrebbe aver avuto la possibilità di ascoltare anche composizioni polifoniche scritte (cf. ivi, 11).
61
Cf. ivi, 158; 164 e 78.
62
Ivi, 10 (corsivo mio).
63
Cf. anche gli esempi citati da C. Di Fonzo, «Della musica e di Dante: paralipomeni lievi», in
Scritti offerti a Francesco Mazzoni dagli allievi fiorentini, Pubblicazioni della SDI, Firenze 1998, 47-61,
disponibile online a http://www.danteide.net/PDF_cdf/miscellanea%20minor.pdf (ultimo accesso:
12/5/2013), che cita altri mistici come Mathelda di Hackerborn, Beda il Venerabile e santa Fursa.
64
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 217; cf. ivi, 5-6; 155ss.
65
Spitzer, L’armonia del mondo, 54.
66
Cf. R. Rolle de Hampole, Incendium amoris 189, disponibile online a http://www.ccel.org/r/
rolle/incendium/incendium.htm (ultimo accesso: 12/5/2013).
67
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 21.
117
Mi sembra, quindi, che la musica (e nella fattispecie quella polifonica) sia stata
vista come un simbolo, se non un mezzo, per l’amore mistico.
Nei primi passi di Dante fra i cieli del Paradiso (ad esempio III, 16ss), le ani-
me beate sono tanto ansiose di parlare con lui quanto egli di ascoltarle; tuttavia,
il linguaggio verbale è visto come una forma minore di comunicazione, la cui
necessità è posta dalle limitazioni carnali di Dante, e dopo il quale le anime sono
libere di consacrarsi nuovamente al loro canto beatifico.68 Nei canti seguenti
compare un nuovo modulo poetico, che coinvolge tra linguaggi diversi: il canto,
la danza (movimento)69 e la luce contribuiranno concordemente alla trasmissio-
ne di un singolo messaggio.70 In modo più semplicistico, De Benedictis assegna
al suono e alla luce un ruolo «intercambiabile» per il raggiungimento dell’ordine
micro e macrocosmico;71 similmente, la coreografia sacra di Par., XIII, 20ss è
simbolo e realizzazione dell’armonia suprema.72
La tripla epifania divina di luce, danza e musica riecheggia, secondo la
Schurr, i tre momenti del dialogo comunionale elencati da Dante in Par.,
XXXIII, 124-126 (cfr. XXVI, 28-36 e XXVIII, 109-114),73 ossia l’intendere,
l’amare e l’arridere. La luce corrisponderebbe perciò all’intendere; l’unione di
amore e felicità dovrebbe significare azione e manifestazione, che corrispondo-
no a danza e suono. Ancora una volta, la Schurr sostiene che la trasformazione
della voce cantante in discorso non significa che le parole possano sostituire
il canto o il concetto la musica. Ciò accade solo in una «situazione di insuf-
ficienza, quando, cioè, il coinvolgimento di un interlocutore imperfetto (come
Dante) offusca l’immediatezza del dialogo ideale, rappresentato dalla musica
(canto)».74 Solo nella visione dell’Aquila (Par., XVII-XIX) la parola detta diverrà
parte della triplice espressione dell’amore divino: qui le anime danzanti forme-
ranno le lettere di una frase (Par., XVIII, 91-93); il loro canto comunicherà le
parole (Par., XIX, 97) e le luci verranno mosse in virtù delle loro parole (Par.,
XX, 148).
Mentre le parole cantate dalle anime penitenti nel purgatorio erano sempre
chiaramente intelligibili, nel paradiso la musica trascende la comprensione
intellettuale: le parole, nel migliore dei casi, sono superflue, e spesso del tut-
68
Cf. Schurr, Dante e la musica, 47.
69
Per sant’Agostino, la musica era la «scientia bene movendi» (De Musica I,iii): la musica e il
movimento sono quasi identici.
70
Schurr, Dante e la musica, 48.
71
De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 7.
72
Cf. A. Milbank, Renewing the Christian Imaginary through Space: Art and Architecture, disponibile
online a http://www.stbonifacetrust.org.uk/documents/renewing_the_christian_imaginary_2b.pdf
(ultimo accesso: 12/5/2013), 4ss.
73
Cf. Schurr, Dante e la musica, 52ss.
74
Ivi, 54.
118
119
79
D. Alighieri, The Divine Comedy of Dante Alighieri, a cura di J.D. Sinclair, John Lane, London
1939; Oxford University Press, New York 1961, 209.
80
Cf. De Benedictis, Ordine e struttura musicale nella «Divina commedia», 125. Tuttavia, qui De
Benedictis parla di un coro «all’unisono» e sostiene che «l’unisonanza è necessariamente un dato
espressivo per la comprensione del discorso musicale». Ovviamente questa affermazione, peraltro piut-
tosto oscura, non va obbligatoriamente condivisa.
81
Schurr, Dante e la musica, 26-27.
82
D.S. Cunningham, These Three Are One: The Practice of Trinitarian Theology. Challenges in
Contemporary Theology, Blackwell, Oxford 1998, 127ss.
83
Cf. Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 164: «La metafora e l’immaginario musicale sono
necessari per comprendere, se non il mistero della Trinità, almeno la sua rappresentazione visuale/
acustica».
84
Cunningham, These Three Are One: The Practice of Trinitarian Theology, 128.
120
Ciabattoni, Dante’s Journey to Polyphony, 159, a riguardo di Par., XIII, 25-27 e della doppia
86
121
91
Qualche decennio dopo la composizione della Commedia di Dante, santa Caterina da Siena
descrisse il Cristo crocifisso come il primo «musicista», il cui esempio dovrebbe essere il modello
per tutti i credenti: «El primo che solfasse in suono di vita fu il dolce e amoroso Verbo, pigliando la
vostra umanità. E con questa umanità unita con la Deità, facendo uno dolce suono in su la croce,
prese il figliuolo de l’umana generazione […]. Tucti voi altri sonate inparando da questo Maestro». C.
Benincasa (santa Caterina da Siena), Libro della Divina Dottrina volgarmente detto Dialogo della Divina
Provvidenza, disponibile online a http://www.ilpalio.siena.it/Personaggi/DialogoDivinaProvvidenza
(ultimo accesso: 12/5/2013), 147.
92
R.W. Jenson, «Language and Time», in Response, 8(1966), 75-80.
93
J. Edwards, Miscellanies, Yale University Press, New Haven 1994 (Y13:331), 182.
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«fra una mente ed un’altra, e fra tutte le menti e Cristo Gesù […], e tra le persone
della Trinità, la suprema armonia in assoluto».94
Chiara Bertoglio
corso Monte Cucco, 125 – 10141 Torino
chiara@chiarabertoglio.com
Sommario
Nella Commedia di Dante, la musica occupa un posto di assoluto rilievo: ad essa sono
affidate alcune delle più efficaci metafore e simbologie dell’amore divino. Totalmente
assente nell’Inferno, in cui né amore né bellezza trovano spazio se non nel ricordo, essa
si presenta nel Purgatorio come strumento di guarigione, purificazione e preghiera: qui il
canto è monodico e unisono, come nella tradizione gregoriana della liturgia medievale.
Nel Paradiso, la polifonia (invenzione assai recente all’epoca) compare con sempre mag-
gior frequenza a simboleggiare con la sua bellezza la gioia della beatitudine, e con il suo
conciliare pluralità e unità il gaudio della comunione radicata nel mistero della Trinità
divina, vera polifonia dell’amore.
Id., The Works of Jonathan Edwards, The Christian Classics Ethereal Library, s.d., II, n. 182.
94
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