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Appunti di Organizzazione Aziendale

Prof.ssa Roberta Pinna

1.Organizzare e organizzazione
Pare opportuno, inquadrare innanzitutto il significato del concetto di organizzazione, in quanto esso
richiama una molteplicità di temi e di significati come conseguenza dell’elevato grado di pluralismo
delle teorie e degli approcci scientifici.
Da sempre gli uomini hanno affrontato il problema di dividere una serie di compiti tra più persone e di
coordinarne lo svolgimento affinché fosse possibile raggiungere i propri fini. Se pensiamo
all’etimologia della parola, organizzazione significa insieme ordinato e collegato di organi o parti di
un tutto. Organizzare significa dar forma a, o mettere in ordine, organi e collegamenti tra organi.
Inteso in tal senso, il termine organizzazione evocherebbe l’immagine di un sistema di attività, persone
e mezzi tecnici che funziona bene.
In realtà, sul piano semantico, il termine “organizzazione” non presenta accezione univoca, infatti esso
sia nella letteratura specialistica che nel linguaggio aziendale, viene utilizzato per esprimere differenti
concetti. Da una parte, si situano coloro che associano al vocabolo organizzazione il significato di
entità, di impresa, ovvero di un insieme ordinato di elementi che interagiscono in modo da raggiungere
scopi determinati. Dall’altra parte, si annoverano coloro che nell’organizzazione individuano
l’elemento focale della struttura, ovvero l’adozione, da parte di un’impresa, di una struttura interna che
consenta il raggiungimento degli obiettivi, ovvero di una configurazione che conferisce alle attività
carattere di ordine, di sistematicità e quindi che attribuisce loro la qualità di “attività organizzate”
Pertanto, un sistema di attività è ben organizzato quando risulta ordinato e coordinato in maniera tale
da garantire il corretto funzionamento dell’impresa. I caratteri che qualificano il grado di ordine di un
insieme di attività e che concorrono a valutare la bontà delle scelte organizzative sono i seguenti:
 L’efficienza, misurata dal rapporto input/output, per cui si ha efficienza quando, a parità di
risorse impiegate, aumenta l’output realizzato o, viceversa, si raggiungono gli stessi risultati
consumando minori risorse;
 L’efficacia, esprime il grado di raggiungimento da parte degli attori degli obiettivi
organizzativi e quindi la capacità di ottenere risultati previsti;
 l’equità, misura il grado di soddisfacimento delle preferenze e dei bisogni individuali degli
attori coinvolti e richiama, appunto, i criteri di equità e giustizia organizzativa.
Le considerazioni appena fatte consentono, quindi, di evidenziare come il concetto di organizzazione
sia centrale per poter comprendere il corretto funzionamento di un’impresa posto che quest’ultima ,
quale insieme di organi ed attività dev’essere organizzata, cioè ordinata nelle sue varie parti per
raggiungere una finalità comune. Il sistema è tale perché non è un insieme casuale di elementi, bensì
un insieme organizzato di elementi appunto interdipendenti ed interagenti in modo coordinato.
Tutte le azioni sviluppate da più individui con il coinvolgimento di più risorse sono così espressione di
un processo organizzativo che propone ruoli, attività e modelli di collegamento. La disciplina
dell’organizzazione si dedica proprio allo studio di queste modalità nell’ottica di fornire criteri
generali di comportamento tesi ad ottimizzare l’uso delle risorse disponibili. L’organizzazione
aziendale è quella disciplina che si occupa spiegare il comportamento delle organizzazioni e delle
relative parti ed a definire forme e modalità organizzative che consentono alle diverse entità
organizzative di operare in condizioni di efficienza ed efficacia.
A questo punto siamo in grado di introdurre il concetto di funzione di organizzazione specificando le
finalità ed i contenuti che si attribuiscono specificamente ad essa.

L’attività-funzione che si esprime nell’organizzare consiste nell’insieme di interventi e scelte volte a


ordinare compiti, responsabilità e relazioni delle forze personali operanti nell’impresa. In altre parole, tale
funzione ha lo scopo principale di definire:
1. le unità decisionali, di controllo ed esecutive da istituire nell’impresa;
2. l’autorità e responsabilità da attribuire a ciascuno di essi;
3. le relazioni formali da attivare;
4. le procedure di decisione, di informazione e di esecuzione necessarie per l’ordinato svolgimento
della gestione.
La ricerca di un ordine interno all’impresa ha, come premessa fondamentale, la creazione di una struttura
di organi, ossia la determinazione del complesso di organi direttivi, di controllo ed esecutivi. Questa
struttura dev’essere posta in grado di funzionare mediante la specificazione dei compiti, dei poteri e delle
responsabilità delle singole unità organizzative e attraverso l’istituzione di un’adeguata rete di relazioni,
ossia di rapporti direttivi, d’informazione e di controllo indispensabili per preservare l’unitarietà di
svolgimento della gestione.
La complessità di tale funzione è evidente se si pensa che se si considerano attività complesse le quali
necessariamente devono essere svolte da una pluralità di soggetti, la loro esecuzione è condizionata da
differenze esistenti fra le persone (sesso, età, cultura, sistema di valori, conoscenze, obiettivi) Inoltre tale
collettività utilizza risorse qualitativamente e quantitativamente differenti (macchine, informazioni,
conoscenze) che rendono più complesso il problema organizzativo da risolvere, soprattutto nell’ottica del
coordinamento. Ma l’organizzazione ha anche un altro scopo, ovvero quello di soddisfare le attese di
coloro che lavorano nell’impresa. Questo scopo si traduce nell’impiegare in modo appropriato le risorse
umane disponibili, consentendo così di accrescere la motivazione al lavoro e migliorare il rendimento
globale dell’organizzazione stessa.
Ne consegue che la creazione di un’organizzazione efficiente, efficace e in grado di soddisfare i bisogni
di tutti i soggetti umani che la compongono (equità) si presenta come un problema di difficile soluzione,
tanto da richiedere l’ausilio di modelli e metodi scientifici in grado di tenere conto e conciliare
adeguatamente tutte le variabili in gioco.
Inoltre, una forte influenza sulle modalità di organizzazione del lavoro è esercitata dalla tecnologia, vale a
dire dagli strumenti operativi utilizzati e dalle conoscenze necessarie per il loro corretto impiego. Per
esempio, l’introduzione di sistemi informatici per lo svolgimento di compiti che prima erano eseguiti
manualmente , il ricorso ad un nuovo materiale per la realizzazione di un prodotto, sono esempi
immediati che evidenziano come un qualsiasi cambiamento tecnologico possa mettere in discussione
l’esperienza acquisita, le conoscenze e le competenze di chi lavora in un’impresa, e renda necessario
riflettere di nuovo sulla modalità più corretta per rendere efficace ed efficiente l’organizzazione delle
attività da svolgere.
Può dirsi che il compito di chi deve affrontare scientificamente il problema organizzativo sia proprio
quello di ricercare e suggerire modalità “migliori” per dividere e coordinare le attività interdipendenti
messe in atto da una pluralità di individui.
L’articolazione e la complessità della funzione, dal punto di vista dei contenuti è di tale ordine da
richieder normalmente di attivare una pluralità di soggetti con specifiche competenze e prerogative. Tali
soggetti possono consistere in organi specialistici interni all’impresa facenti parte della tecnostruttura;
specialisti di organizzazione esterni all’impresa (consulenti); vertice strategico (alta direzione) e manager
di linea. Normalmente le diverse attività di organizzazione considerate saranno svolte attraverso il
contributo di soggetti differenti, la cui combinazione dipende dalla complessità del contesto aziendale,
dalle risorse professionali disponibili in azienda, dai modelli gestionali adottati.
L’alta direzione ha la responsabilità complessiva delle decisioni che riguardano l’impostazione, la messa
in atto e la modifica del disegno organizzativo generale dell’impresa. Il ruolo dei manager di linea
assume maggiore rilevanza in situazioni aziendali più complesse infatti i responsabili di funzioni,
prodotti, reparti, sono dotati di risorse informative e decisionali importanti per intervenire
sull’organizzazione del lavoro, su compiti e mansioni, sui flussi informativi, sui meccanismi di gestione
del personale. Soprattutto nelle fasi di analisi dei problemi e di gestione dei processi di cambiamento il
contributo dei manager di linea assume notevole rilievo. Gli organi specialistici di organizzazione
vengono istituiti nelle imprese complesse che hanno l’esigenza di operare sistematicamente sulle variabili
organizzative, mantenendole continuamente sotto controllo. La struttura di queste imprese prevede quindi
unità operative o uffici specifici dedicati alla funzione di organizzazione o ad una o più delle tre sotto
funzioni indicate. Più diffusa anche in imprese non molto complesse è la presenza di unità per la gestione
del personale, ma anche l’organizzazione in generale ed i sistemi informativi costituiscono problemi ed
aree di attività cui molte organizzazioni finiscono per dedicare uffici affidasti a specialisti della materia. Il
ruolo di questi organi non è quello di sostituirsi all’alta direzione ed ai manager di linea nel prendere
decisioni organizzative, ma di agire a supporto dei management, elaborando analisi e progetti,
sviluppando la parte più tecnica relativa agli interventi sull’organizzazione. Unità e organi di questo tipo
si configurano come tecnostruttura. Attività analoghe possono essere affidate a consulenti esterni,
professionisti specializzati in metodologie e tecniche organizzative.

2. Perché nasce in tutte le imprese il problema di dover “organizzare”?


Il tema dell’organizzazione è legato alla storia del genere umano fin da quando un gruppo di individui si
accorse che solo unendo gli sforzi era possibile ottenere dei risultati che prima erano impossibili
dall’azione individuale. Nella necessaria combinazione di sforzi è sorto immediatamente il problema,
prima, della divisione dei compiti e, successivamente, del coordinamento e controllo degli stessi. Le
motivazioni, dunque, poste alla base della divisione del lavoro possono essere ricondotte a concetti di
carattere strettamente economico. La ricerca della produttività in presenza di risorse scarse sono infatti i
concetti fondamentali del paradigma che ruota intorno alla divisione del lavoro. Disponendo ciascun
attore di risorse materiali e immateriali limitate, si pone il problema di consentire il miglior sfruttamento
all’interno di una relazione, problema che trova efficace soluzione nella suddivisione delle attività e nella
specializzazione dei rispettivi esecutori: ciascuno svolgerà un numero limitato di compiti su cui potrà
acquisire in breve tempo la massima abilità e capacità di controllo ( de Vita P., Mercurio R., Testa F.).
Adam Smith, nella sua opera Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, pubblicata nel
1776, fa osservare che, seguendo il tradizionale metodo di fabbricazione un operaio generico, lavorando
da solo, sarebbe riuscito a produrre appena uno spillo al giorno o, al massimo, poche unità. Con i nuovi
metodi di organizzazione del lavoro, invece, la situazione nelle officine cambiò radicalmente portando ad
un innalzamento dei livelli di produttività dei singoli operai, Infatti, il mestiere di spillettaio venne
suddiviso al suo interno in un gran numero di specializzazioni, che avevano a loro volta dato origine ad
altrettanti mestieri autonomi. Con la rivoluzione industriale, la forza dell’organizzare, intesa come
capacità di combinare in modo creativo risorse diverse generando valore, emerge come potente leva di
trasformazione economica e sociale.
Ogni attività umana organizzata fa nascere due esigenze fondamentali:
1. la divisione del lavoro in vari compiti da eseguire;
2. il coordinamento di questi compiti.
Dal punto di vista economico, L’Organizzazione nasce per effetto della divisione del lavoro la quale crea
attività specializzate, queste ultime si sono dimostrate più produttive delle attività generiche (“chi impara
bene a fare una cosa sola la fa meglio di chi ne fa tante”).
I teorici dell’organizzazione sostengono spesso che le organizzazioni si formano dove esistono compiti
troppo grandi perché i singoli individui possano svolgerli da soli. Le organizzazioni avrebbero il vantaggio,
rispetto agli individui, di mettere insieme talenti e capacità diverse. Se alcune persone si incaricano di un
compito particolare, mentre altre si occupano di altri aspetti, si può ottenere molto - obiettivi che non
potrebbero essere raggiunti altrimenti.
Già Adam Smith, il padre dell’Economia Politica (1776), riferendosi ad un lavoro estremamente semplice
come la fabbricazione degli spilli, vedeva i vantaggi della specializzazione manifatturiera. Nel 1776
l'economista scozzese Adam Smith, uno dei padri fondatori della moderna disciplina economica, descrisse la
divisione del lavoro in una fabbrica di spilli:
Un uomo tira fuori il filo metallico, un altro lo raddrizza, un terzo lo ta glia, un quarto gli fa la
punta, un quinto lo affila dove andrà la testa dello spillo la cui costruzione da sola richiede due
o tre operazioni distinte; metterla al suo posto poi richiede un talento speciale, come pure
sbiancarla; infilare gli spilli nella carta è un altro lavoro a sé. Pertanto la costruzione di uno
spillo è un affare molto impegnativo, che richiede circa diciotto operazioni distinte [Smith
1776; trad. it. 1977, 2].

Dalla lettura del brano è possibile evincere come le attività specializzate consentono di accedere a:
- economie di specializzazione, consentite da macchine e unità produttive dedicate e quindi con rendimenti
ottimali;
- economie di apprendimento, in quanto l’operatore, limitando il suo orientamento cognitivo a una gamma
ridotta di operazioni riesce ad essere più concentrato e, quindi, ad apprendere più rapidamente attraverso la
ripetizione,
- economia di scala produttive, in quanto gli impianti specializzati possono assumere dimensioni rilevanti
tali da consentire costi unitari minori, anche grazie alla distribuzione dei costi fissi su una produzione
maggiore; la scala dimensionale raggiungibile dipende però, oltre che da fattori tecnici, dalla dimensione del
mercato.
Benché la costruzione degli spilli sia ormai automatizzata e non segua più le fasi illustrate da Smith, il
principio della divisione del lavoro è lo stesso di sempre e si può riscontrare in tutte le organizzazioni. Si
pensi, ad esempio, alla costruzione di automobili, di computer, di aeroplani o all’offerta di servizi bancari,
scolastici e assicurativi. In tutti questi esempi, il lavoro organizzativo viene suddiviso tra gli impiegati,
ognuno dei quali ne svolge soltanto una parte.
Oltre a definire i compiti e ad assegnarli a individui diversi la di visione del lavoro serve anche a raggruppare
i compiti in unità organizzative come i reparti (ad esempio, i reparto degli acquisti, della produzione e del
marketing) o le divisioni (come quella dei prodotti di consumo, o delle vendite internazionali).

3. Interdipendenza ed integrazione
La divisione del lavoro anche se rappresenta un prerequisito indispensabile per il funzionamento
dell’organizzazione non è di per sé sufficiente. Per ottenere risultati non basta differenziare, ovvero dividere i
compiti tra più individui, ma è necessario riportare ad unità ciò che è stato diviso. Ed è proprio attraverso il
processo di integrazione che si riportano ad unità di intenti gli sforzi prodotti dai singoli ruoli. Si pensi ad un
venditore che firma contratti con specifiche qualitative e tempi di consegna che la produzione non è in grado
di assicurare. Il fabbisogno di coordinamento nasce perché l’attività organizzativa è necessariamente divisa
in unità differenti, pertanto problemi di coordinamento sorgono tra unità con diversa specializzazione
(amministrazione e ristorazione), tra unità rivolte al cliente (ristorante) e unità di back office (cucina), tra
livelli organizzativi diversi (capi servizi ed addetti operativi), tra organi operativi di line (cucina e ristorante)
e organi di staff(addetto all’approvvigionamento), e infine tra attività interne (ricevimento) e unità esterne
appartenenti ad altre organizzazioni (compagnia aerea, agenzia di viaggi, un agenzia di noleggio auto, società
che organizza escursioni a cavallo). Quanto più è estesa la specializzazione, tanto più importante e
complesso è il ruolo del coordinamento dovendo regolare e governatore una moltitudine di attori legati da
relazioni di interdipendenza. L’interdipendenza, quale conseguenza della differenziazione, rappresenta
situazioni di influenza che si verificano tra attori e attività in seguito all’instaurarsi di relazioni economiche
di condivisione o scambio. In tal senso la frammentazione operata dalla divisione del lavoro finisce per

L’interdipendenza, può essere definita come il complesso di


condizionamenti reciproci che gli attori provocano o subiscono
all’interno di una relazione e che richiedono opportuni interventi di
coordinamento
generare legami che dal punto di vista organizzativo si traducono in problemi da affrontare e gestire in
maniera adeguata. Ne consegue che la conoscenza e le implicazioni dei fenomeni rientranti nel problema
interdipendenza consente di disporre di uno strumento conoscitivo molto potente, utile sia sul pino
dell’analisi sia su quello del disegno organizzativo. Infatti, in funzione dei diversi tipi di rapporti di
interdipendenza , frequenza e rilevanza di implicazioni, possono essere sviluppate soluzioni più adatte al loro
controllo.
L’interdipendenza tra attività diverse, che sta alla base del fabbisogno di coordinamento, viene classificata in
ordine di complessità in due grandi categorie a seconda che i beni e servizi oggetto della relazione possano
essere scambiati o condivisi, istituendo relazioni di cooperazione. Le prime vengono qualificate
interdipendenze associative, che emergono in condizioni di condivisione di risorse, mentre le seconde
interdipendenze transazionali, che qualificano condizioni di scambio di risorse.
Le prime si suddividono in:
 interdipendenze generiche, sorgono quando ciascuna parte contribuisce in modo indipendente con
il proprio output a un risultato complessivo o quando le diverse parti ricevono informazioni e risorse
da una fonte comune ma al di fuori di questa relazione non presentano altre condizioni di influenza
reciproca. Es. due corsi di laurea che condividono gli stessi spazi e docenti per svolgere l’attività
didattica; le filiali di una banca che contribuiscono al risultato complessivo senza interagire
direttamente
 interdipendenze intensive, si generano quando non implicano il trasferimento di beni o servizi tra
attori/attività, bensì implicano l’unione di sforzi, allineamento di comportamenti, azione comune. Il
lavoro di un equipe medica chiarisce il significato operativo della reciprocità dove i vari medici co-
agiscono, o ancora nei processi di sviluppo di nuovi prodotti dove più attori coagiscono
nell’interesse comune.

Esempi economici di interdipendenza intensiva sono le interdipendenze tra produzione, marketing e ricerca
per lo sviluppo di un nuovo prodotto.
Con riferimento, invece, alle interdipendenze transazionali, queste possono distinguersi in :
 interdipendenza sequenziale, quando l’output di una unità diventa l’input per un’altra posta a valle
fino al completamento del ciclo di trasformazione;
 interdipendenza reciproca, la relazione input-output è simmetrica o bidirezionale. E’ questo il caso
dell’evasione di una pratica amministrativa per la concessione del credito al consumo: il venditore
supporta il cliente nel processo di scelta della merce; il personale amministrativo verifica se ci sono
le condizioni per la concessione del credito; l’informazione sull’esito della verifica ritorna al
venditore che solo in questo momento è in grado di decidere se formalizzare o meno l’acquisto.
Secondo Thompson questi tipi di interdipendenza possono essere ordinati secondo gradi di difficoltà di
coordinamento crescenti, infatti l’interdipendenza intensiva è più difficile da coordinare rispetto a quella
reciproca, che a sua volta è più difficile da coordinare rispetto a quella sequenziale che a sua volta è più
difficile rispetto a quella generica. Dal punto di vista degli effetti, la rilevanza dell’interdipendenza
nell’analisi e nella progettazione organizzativa è assolutamente elevata posto che il problema è quello di
scegliere il meccanismo più efficace nel governare l’interdipendenza.

3. Dalla divisione del lavoro al Coordinamento

Numerose e diverse definizioni di coordinamento sono state proposte in letteratura: ciò rende difficile
pervenire a una definizione univoca. In questo elaborato si è presa come riferimento la definizione proposta
da Malone e Crowston (Malone e Crowston, 1994): «Coor-dination is managing dependencies between
activities» vale a dire “il coordinamento consiste nella gestione delle dipendenze che intercor-rono tra
attività”, definizione che si basa sulla semplice intuizione che se non c’è interdipendenza, non c’è niente da
coordinare. L’esigenza di coordinare le attività (economiche) nasce proprio dal fatto che molte di esse sono
interdipendenti (Grandori, 1995 ).
Il perseguire congiunto di determinati obiettivi da parte di più attori comporta un’organizzazione delle loro
attività altrimenti non richiesta se fosse un solo attore ad agire per il raggiungimento di tali obiettivi. Questa
affermazione sottende i componenti essenziali del coordina-mento: la presenza di (due o più) attori (1), il
loro svolgimento di attività (2) con la finalità di perseguire un obiettivo (Malone, 1987; Ma-lone e Smith,
1988; Baligh e Damon, 1980; Baligh e Burton, 1981; Baligh, 1986)
Un criterio di classificazione dei meccanismi di coordinamento è quella relativa alle modalità con le quali ciò
avviene, ovvero in tempo reale (feedback) oppure su programmi se il coordinamento viene attuato a
preventivo.

La supervisione diretta
La modalità più tipica di ricomposizione degli sforzi organizzativi è costituita dalla supervisione diretta da
parte della gerarchia. La prima funzione di un capo è proprio quella di garantire che gli sforzi dei suoi
subordinati siano reciprocamente coerenti e che siano altresì coerenti con quanto stanno facendo altre parti
dell’organizzazione. Il direttore di produzione attraverso gli ordini che impartisce, le scadenze che impone, i
vincoli e gli standard che definisce, si garantisce che i suoi uomini facciano quello che lui vuole. Nello stesso
modo sarà il direttore di produzione a coordinare l’attività del suo reparto con il responsabile del reparto
vendite, che a sa volta ha il controllo degli uomini di vendita. In caso in cui i due responsabili non dovessero
trovarsi d’accordo interverrà una terza persona, il loro diretto superiore gerarchico, che interverrà al fine di
risolvere il conflitto e far si che i due eseguano i suoi ordini anche se non li condividono pienamente. In una
impresa a conduzione familiare la necessità di coordinamento viene soddisfatta tramite il controllo
gerarchico dell’imprenditore. Sono poche le persone che lavorano nell’impresa e il proprietario supervisiona
la maggior parte delle attività. La supervisione diretta comporta l’intervento di una figura gerarchica, di capo
o manager, nel seguire, controllare e coordinare il lavoro degli operatori. In questo caso è il supervisore che
assume la responsabilità del risultato ottenuto dagli operatori, che rispondono ai suoi ordini ed alle sue
indicazioni. La catena gerarchica ha come funzione essenziale proprio quella di garantire l’unitarietà degli
sforzi delle diverse parti dell’organizzazione. Tale catena sarà più o meno complessa e articolata in funzione
delle dimensioni aziendali.

L’adattamento reciproco: il coordinamento tra soggetti costituenti il nucleo operativo avviene attraverso il
semplice processo di comunicazione informale, dove i pochi addetti si scambiano informazioni, consigli,
suggerimenti ed intervengono con flessibilità nei diversi compiti secondo le esigenze derivanti dalle punte di
lavoro e dalle richieste dei clienti (esempio degli operatori in una agenzia di viaggio). Trattandosi di un
meccanismo molto semplice può trovare utile applicazione non solo nelle imprese semplici ma anche in
quelle più complesse. E, in particolare, si ritrovano con peso significativo nelle situazioni più evolute e
dinamiche, dove la difficoltà di programmare l’attività e di controllare le fonti di incertezza richiede forti doti
di adattamento.
Queste due prime modalità esaminate costituiscono gli strumenti di coordinamento e controllo più diretti,
immediati universalmente adottati nelle situazioni organizzative più semplici.
Quando però le imprese assumono dimensioni e complessità maggiori queste due modalità non sono più da
sole sufficienti a garantire il coordinamento, ma devono essere affiancate da una seconda modalità: la
standardizzazione.
Standardizzare significa ricondurre ad una norma, ad un modello predefinito, riducendo quindi la variabilità.
Il coordinamento è raggiunto sul tavolo da disegno prima di iniziare l’attività riducendo in tal modo
l’esigenza di comunicazione diretta fra gli attori impegnati o da parte del capo. Opera quindi a preventivo e
non in tempo reale. Esistono tre modi fondamentali per realizzare la standardizzazione:
1. standardizzazione dei processi
2. standardizzazione degli output
3. standardizzazione delle conoscenze

La standardizzazione dei processi di lavoro (operativi) concerne lo studio dei processi e definendone a
priori il modo attraverso il quale devono avvenire le interazioni tra gli attori. Le teorie classiche hanno dato
proprio un contributo in questo senso in quanto hanno cercato di definire standard di svolgimento delle
attività attraverso regole e procedure, e programmati con precisione i contenuti operativi specifici. La
validità del risultato finale viene in tal modo garantita attraverso la definizione e standardizzazione dei
compiti individuali e delle singole fasi di lavoro ( per es. l’evasione di un ordine di acquisto). Tale forma di
coordinamento implica:
 il riconoscimento da parte dell’attore coinvolto della situazione/problema
 l’esistenza di uno standard di comportamento per quella situazione/problema;
 l’effettiva adozione da parte di tutti gli attori del comportamento specificato

Applicare una procedura, una routine o un programma significa adottare automaticamente un


comportamento più adatto per risolvere un determinato problema. Le regole di espletamento delle prstiche
burocratiche da parte degli uffici di una P.A. sono esempi di questo tipo di coordinamento. Si pensi alle
istruzioni di montaggio che vengono fornite con un gioco per bambini. In questo caso il costruttore
standardizza in effetti il processo di lavoro del genitore. Nel caso di un albergo, per esempio spesso si ritiene
opportuno con riferimento all’attività di pulizia e riordino delle camere definire le diverse operazioni ed i
tempi necessari per svolgere tutte le operazioni di riassetto delle camere. Occorre rilevare però che tali tipi di
strumenti risultano essere inefficaci in presenza di condizioni di elevata incertezza, di notevole variabilità del
processo e di interdipendenza reciproca, condizioni queste che si verificano spesso in un albergo. La
necessaria variabilità della domanda e la personalizzazione del servizio generano un’interdipendenza elevata
tra nucleo tecnico o back office e unità di front office rendendo inefficace il ricorso alle norme come
strumento principale di coordinamento. Secondo alcuni studiosi una soluzione potrebbe essere quella di
standardizzare i processi non a diretto contatto con i clienti (ad esempio in cucina, nelle pulizie o nella
manutenzione), mentre in tutti i reparti in cui l’interazione con i clienti prevale (reception, sala ristorante,
animazione, bar, spiaggia) il focus dev’essere dato sulla personalizzazione. Le procedure è corretto che
debbano esserci comunque, ma solo come guida, non come percorso obbligato. Dovranno essere previsti
degli standard di servizio e lasciare ai dipendenti autonomia operativa e decisionale.
Le imprese turistiche proprio perché di piccole dimensioni sono caratterizzate da un basso livello di
standardizzazione. Al contrario in alberghi di medie e grandi dimensioni il coordinamento viene svolto
ricorrendo a regolamenti e manuali. Per esempio grandi alberghi come quelli appartenenti alle catene Jolly o
Ciga, posizionati in un segmento medio-alto del mercato, ma anche imprese di più piccola dimensione e
posizionate su una fascia più bassa come per es. gli alberghi associati con la formula del franchaising alla
catena Aster (2 stelle), utilizzano dei manuali operativi per la definizione degli standard di prodotto e
servizio di ciascun reparto o tipo di processo (prenotazione, arrivo in hotel, camere, frigo bar, ecc). La norma
ha i seguenti vantaggi: chiarisce i comportamenti attesi, esplicita gli ordini, consente di individuare un
riferimento oggettivo per la valutazione delle prestazioni. Il continuo ricorso a nome scritte o a manuali
rischia però di indurre comportamenti rigidi e tali disfunzioni sono tanto più gravi quanto più il servizio
dev’essere erogato rispondendo flessibilmente alle esigenze del cliente. Ne consegue, pertanto che il ruolo
delle norme se da un lato dev’essere colto in un quadro di miglioramento continuo della qualità del servizio,
dall’altro lato però non va considerata in termini statici, definite una volta per tutte, ma oggetto di proposte di
miglioramento da parte degli stessi dipendenti chiamati ad attuarle qualora se ne individui la necessità sulla
base dell’esperienza. I manuali sono di ausilio alla direzione e consentono di definire le prestazioni minime
standard richieste ai dipendenti. Tuttavia, è necessario al tempo stesso incentivare un orientamento al
problem solving dei collaboratori, responsabilizzando il personale sulle dimensioni qualitativa ed economica
del servizio e garantendo una certa autonomia operativa e decisionale.

La standardizzazione dell’output o dei risultati concerne la definizione a priori delle caratteristiche che
deve avere il risultato che dev’essere raggiunto. In tal modo si cerca di responsabilizzare gli operatori e
manager intermedi non più per i comportamenti adottati intervenendo sul processo, ma per la quantità e
qualità dei risultati ottenuti al termine del processo stesso. In altri termini, vengono definiti gli obiettivi dei
diversi centri di responsabilità, lasciando che le modalità di lavoro vengano adattate via via alle esigenze
derivanti dalla necessità di conseguire un risultato valido. In questa situazione si rinuncia ad indicare a priori
quali sono le regole da seguire, lasciando autonomia agli attori. In presenza però di elevata varietà e
variabilità delle situazioni da affrontare questa soluzione potrebbe non essere più adatta.
Una modalità ancora più sofisticata di coordinamento e controllo si realizza quando gli sforzi di definizione a
priori di determinate caratteristiche si rivolgono non più verso il processo operativo o i suoi risultati, ma
verso le qualità professionali, le abilità ed i modelli di comportamento degli operatori che intervengono nei
processi stessi. Tale modalità di coordinamento è particolarmente efficace in quei contesti dove è presente
una forte complessità e variabilità sia del processo operativo che delle caratteristiche dei risultati attesi.
Complessità questa che richiede per poter essere governata l’intervento di operatori aventi forte autonomia e
discrezionalità operativa, collegate ad una forte specializzazione e abilità. E’ questo per esempio il caso dei
servizi svolti da medici, insegnanti, avvocati, consulenti di direzione. Quando un’anestesista ed un chirurgo
si trovano in sala operatoria non hanno molto bisogno di comunicare tra loro, infatti grazie alla rispettiva
formazione essi sanno esattamente cosa aspettarsi l’uno dall’altro. Nelle aziende che offrono servizi basati
sull’intervento di professionisti dotati di alta qualificazione, l’organizzazione deve in qualche modo affidare
alla loro competenza (è questo per esempio il caso della figura del cuoco che deve conoscere perfettamente
le tecniche e la pratica culinaria. E’ un mestiere rispetto al quale non ci si può improvvisare, è necessaria
un’adeguata preparazione. Egli deve infatti conoscere le tecniche di preparazione, cottura e conservazione
dei cibi, le modalità di confezionamento dei pasti, ecc. Dev’essere in grado di mantenere levato lo standard
gastronomico anche in situazione di preparazione di grandi quantità di cibi.). Non vi è modo di intervenire
direttamente sui comportamenti e sui processi e la stessa supervisione gerarchica funziona in modo molto
limitato. Si possono stabilire obiettivi, ma la grande complessità degli interventi ostacola una loro precisa
definizione. Alla fine, la modalità che garantisce il miglior coordinamento e controllo consiste nel puntare
l’attenzione sul momento di selezione e di ingresso dei professionisti in azienda, accertando il possesso dei
requisiti formativi iniziali.
La scelta dei diversi meccanismi di coordinamento dipende da un numero elevato di fattori, che possono
essere rinvenuti sia all’interno dell’organizzazione, che nell’ambiente esterno (in quanto, come già
precedentemente analizzato, l’organizzazione è un sistema aperto). Pertanto, la scelta della configurazione
organizzativa dovrà tendere alla minimizzazione dei costi di coordinamento attraverso la massimizzazione
delle interdipendenze all’interno di ogni unità organizzative e la minimizzazione delle interdipendenze tra le
diverse unità organizzative. In ogni organizzazione, quindi, saranno presenti a diversi livelli, diversi
meccanismi di coordinamento.. Nel box che segue verranno analizzate nel dettaglio le precedenti voci
attraverso l’esplicitazione del modello di Galbraith Quanto più estesa è la specializzazione, tanto più
importante e complesso è il ruolo del coordinamento In questa prospettiva il coordinamento è l’essenza
dell’organizzazione e le varie soluzioni organizzative si differenziano per come lo realizzano.

Forma di Necessità in Tipo


interdipendenza termini di coordinamento
di comunicazione richiesto
orizzontale
Generica Basso livello di Standardizzazione dei processi (regole e
comunicazione procedure), dei risultati e delle conoscenze

Sequenziale Medio Piani, programmi d’azione

Reciproca alto Ruoli di collegamento, gruppi di lavoro


Intensiva altro Adattamento reciproco

Queste considerazioni suggeriscono come indicazione di progettazione organizzativa, di assegnare priorità


nelle scelte di aggregazione nella stessa unità alle attività che sono legate da interdipendenze più intense e
quindi più costose da coordinare. L’aggregazione nella stessa unità permette di applicare più agevolmente
una molteplicità di strumenti funzionali al coordinamento efficace (per es. comune supervisione gerarchica,
adesione agli stessi standard, possibilità di comunicazione per il mutuo adattamento).
4. La progettazione organizzativa: finalità e contenuti
Come è stato già più volte evidenziato, il problema fondamentale dell’organizzazione delle attività
economiche può essere riassunto nel tentativo di soddisfare due esigenze contrapposte: dividere il lavoro
in un insieme di compiti distinti e coordinare tali compiti per portare a termine le attività in modo
efficiente ed efficace. Nel caso dell’organizzazione, progettare implica manovrare quelle leve che
influenzano la divisione del lavoro e i meccanismi di coordinamento, modificando quindi le modalità di
funzionamento dell’organizzazione. In sede di progettazione organizzativa si è soliti distinguere però tra
due aree di intervento; la macrostruttura e la microstruttura. La macrostruttura riguarda l’aggregazione
delle posizioni in unità organizzative di livello superiore tramite l’adozione di un criterio di aggregazione
o specializzazione delle attività, la microstruttura, invece, concerne le caratteristiche dei compiti, cioè
degli insiemi di attività umane elementari necessariamente collegate, e delle mansioni, che sono a loro
volta insiemi di compiti attribuiti ad una posizione.
La struttura organizzativa può essere definita come la risultante delle scelte mediante le quali il
lavoro è diviso e coordinato all’interno di un sistema organizzativo. La struttura identifica dunque il
“disegno generale dell’organizzazione”, attraverso il quale si imprime un ordine alla divisione del
lavoro aziendale, alla differenziazione dei ruoli e compiti. E’ utile richiamare in questa fase
introduttiva il modello sviluppato da Mintzberg (Fig. 1 ) per analizzare la struttura organizzativa,
basato appunto sulla ripartizione in cinque aree fondamentali, ovvero:
 Il nucleo operativo
 Il vertice strategico
 La linea manageriale intermedia
 La tecnostruttura
 Gli staff di supporto

Il vertice strategico è formato da coloro che hanno la responsabilità globale dell’organizzazione. In


relazione alle dimensioni ed alla forma giuridica tale organo risulta essere composto da un certo numero
di unità organizzative e ruoli. In quest’ultimo caso, il vertice potrebbe essere composto dal presidente,
amministratore delegato, consiglio di amministrazione, direttore generale e il comitato di direzione. La
sua configurazione pertanto dipende dall’assetto istituzionale aziendale, per esempio in un istituto
pubblico, come il Comune, il vertice sarà identificabile negli organi esecutivi (sindaco e giunta) e di alta
direzione (segretario e direttore generale, eventuali comitati di direzione). Il vertice strategico risulta,
quindi essere composto da tutti quegli organi e figure che sono responsabili del governo economico e
quindi dei risultati globali dell’impresa; esercitano il ruolo di rappresentanza verso l’esterno, decidono la
strategia, la collocazione delle risorse e rappresentano il punto di riferimento principale per i manager
intermedi. (Rebora G., 2001)

Il nucleo operativo è rappresentato dall’insieme dei soggetti che svolgono le attività fondamentali per
l’ottenimento dei prodotti e di fornitura dei servizi. Dunque, il nucleo operativo caratterizza il core business
dell’organizzazione e dove si forma l’effettivo valore aggiunto; Fanno parte degli organi operativi: gli operai
che costruiscono un prodotto, i magazzinieri che conservano i prodotti costruiti e curano gli
approvvigionamenti di materie prime, gli addetti alla manutenzione degli impianti e dei macchinari, gli
impiegati che curano gli acquisti e le vendite. All'interno degli organi operativi vi sono alcune persone che
fanno da capo tecnico o da capo ufficio, cioè delle persone alle quali viene affidato un certo numero di operai
o di impiegati, ai quali danno le istruzioni materiali per realizzare il prodotto o il servizio che l'azienda vuole
ottenere. Questi capi vengono anche detti quadri intermedi o semplicemente quadri. Il quadro è quindi un
operaio o un impiegato al quale viene affidato il compito e la responsabilità di conseguire gli obiettivi
aziendali, utilizzando allo scopo un certo numero di impiegati o di operai.

La linea di direzione intermedia: rappresenta la linea di collegamento tra il vertice strategico ed il nucleo
operativo ed è costituito dai dirigenti intermedi, ovvero dal capo reparto fino al vice direttore di funzione.
In questa gerarchia il manager della linea intermedia svolge alcuni compiti connessi da un lato con
l’esigenza di comunicare al nucleo operativo le decisioni strategiche prese dal vertice, adattandole per
renderle operative e, dall’altra parte, recepire le istanze e le informazioni prodotte dal nucleo operativo
per trasmetterle al vertice e tradurle in termini più strategici. Inoltre, spetta a quest’organo garantire la
supervisione dell’ordinato funzionamento aziendale e la raccolta e trasmissione di informazioni;
collaborano al coordinamento complessivo ed all’introduzione di innovazioni.
La tecnostruttura è costituita da tutti quegli analisti che contribuiscono all’attività organizzativa
influenzando il lavoro degli altri.. Poiché a volte gli organi direttivi non hanno tutte le competenze
necessarie di tutti i problemi produttivi, nelle aziende medio-grandi vi sono degli esperti altamente
qualificati, che fanno da supporto alle scelte degli organi direzionali; l'organo di questi esperti si chiama
staff ( parola inglese che significa appoggio, assistente).  La caratteristica principale di tali organi è che, a
differenza degli organi di line ( ovvero di coloro che si trovano lungo la linea gerarchica del potere), non
sono direttamente coinvolti nel flusso di lavoro operativo in quanto essi possono solo progettarlo,
pianificarlo, modificarlo ma non eseguirlo in prima persona. Rappresentano esempi di tecnostruttura le
unità organizzative deputate alla pianificazione e controllo di gestione, pianificazione e controllo
strategico, pianificazione e controllo della qualità, ecc.

Fig. 1- Elementi di base della struttura organizzativa

I servizi di supporto: sono costituiti da organi che hanno il compito principale di fornire servizi indiretti
come gli esperti di pubbliche relazioni, che suggeriscono le attività di informazione e di promozione della
impresa, in modo da migliorare l'immagine della stessa gli esperti di problemi finanziari, che propongono
le modalità di approvvigionamento e gestione dei capitali necessari all'impresa; gli esperti di problemi
legali, che trovano le soluzioni ai problemi connessi con le leggi dello Stato in cui si trova l'azienda.
I meccanismi operativi, invece, governano tutti quei processi connessi con i sistemi di determinazione
degli obiettivi e di allocazione delle risorse (processi di pianificazione e controllo); sistemi di gestione del
personale (programmazione, reclutamento e selezione del personale, valutazione, formazione, carriera,
ecc), sistemi connessi ai processi decisionali (sistemi informativi, di decisione e di negoziazione). Tali
sistemi imprimono al sistema organizzativo ed all’organismo personale, impulsi al comportamento in una
direzione voluta. Si tratta quindi di meccanismi che servono a far funzionare operativamente il sistema
organizzativo e che in un certo senso contribuiscono a “dar vita” al disegno strutturale. In tal modo, le
caratteristiche specifiche della struttura e dei sistemi operativi di una data impresa, costituiranno la sua
“organizzazione”.

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