| Un approccio all’innovazione |
a cura di: Venanzio Arquilla, Giuliano Simonelli, Arianna Vignati |
ISBN: 88-87981-66-3
© 2005 Edizioni POLI.design
Coordinamento editoriale
Michela Pelizzari
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interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, la memorizzazione
elettronica o altro sistema di registrazione.
Indice
Indice 3
Prefazione 7
1 Una certa idea di design 11
1.1 Introduzione 11
1.2 Saper fare, saper progettare. Il design italiano e il
cambiamento dei processi di produzione della competenza
progettuale tra delocalizzazione e re-industrializzazione 23
1.3 I sistemi produttivi locali nell’economia delle esperienze: quale
ruolo per il design? 33
2 Design e impresa 41
2.1 Introduzione 41
2.2 Il sistema imprenditoriale italiano 43
2.2.1 Elevata presenza di Piccole e Medie Imprese 44
2.2.2 Elevata incidenza delle attività manifatturiere sul PIL
47
2.2.3 Specializzazione nei settori “tradizionali” a medio-
bassa complessità 50
2.2.4 Scarsa propensione alla Ricerca e Sviluppo e
all’Innovazione Radicale 53
2.3 Sistema Italia: un sistema in difetto di competitività? 57
2.4 Il modello innovativo italiano: innovazione di design 60
2.5 Innovazione di design: quali tipologie di imprese 65
2.5.1 Imprese Branded 67
2.5.2 Le PMI Design Oriented 70
2.5.3 Le PMI 74
2.6 Conclusioni 79
3 Distretti industriali, design e percorsi di sviluppo 85
3.1 Introduzione 85
3.2 I Distretti Industriali, un modello in evoluzione 86
3.2.1 Il modello neo-marshalliano 88
3.2.2 Il modello evolutivo 95
3.2.3 L’approccio cognitivo 98
3.2.4 L’approccio relazionale 109
3.2.5 Dalla teoria alla pratica: modelli di distretto e ipotesi
del ciclo di vita 111
3.3 La Legislazione nazionale sui Distretti Industriali e le recenti
evoluzioni 117
3.3.1 Le politiche regionali (regione per regione) 121
3.3.2 Il caso Lombardia: I Metadistretti 127
3.4 Dove vanno i distretti industriali 134
3.4.1 La reazione dei distretti: una tipologia di risposte 136
3.4.2 Gli scenari futuri : dai distretti tradizionali al
metadistretto 142
3.4.3 I percorsi possibili: da una logica adattiva ad una
logica proattiva 145
4 Design e Nuove forme di distrettualità riconosciuta151
4.1 Introduzione 151
4.2 Nuove forme di distrettualità riconosciuta 153
4.3 Design e distretti non industriali: un cambiamento di
prospettiva? 157
4.3.1 L’oggetto del progetto: dal distretto al capitale
territoriale 158
4.4 Il design al servizio dello sviluppo locale 162
4.5 Un approccio del design al problema dello sviluppo di sistemi
locali 164
4.5.1 La ricerca-azione applicata al design: una metodologia
di riferimento 167
4.5.2 Un possibile modello di intervento 170
4.5.3 I designer come antenne nel territorio 174
4.6 Design for trust: fiducia e design due leve per la competizione
dei sistemi produttivi locali 175
4.6.1 Fiducia, comunità di pratica e costellazioni di comunità
di pratica 178
4.6.2 Il concetto di fiducia 179
4.6.3 Memoria comune e linguaggio condiviso 180
4.6.4 Un progetto di servizio basato sulla fiducia 181
5 Legislazione per l’innovazione ed il trasferimento
tecnologico 187
5.1 Introduzione 187
5.2 Le politiche europee a favore dell’innovazione e del
trasferimento tecnologico 189
5.2.1 Investimenti in innovazione 191
5.2.2 Politiche dell’innovazione 192
5.3 Gli indicatori europei dell’innovazione e della ricerca 193
5.3.1 La situazione SII 2004 194
5.3.2 Innovazione di tipo non tecnologico: un nuovo
indicatore 197
5.4 La situazione italiana 199
5.4.1 La politica industriale italiana 201
5.4.2 Gli incentivi all’innovazione: contributi nazionali e
regionali 205
5.5 Il caso della regione Lombardia 208
5.6 Il Design come innovazione trasferibile 211
5.6.1 Il Contesto Internazionale 212
5.6.2 la situazione italiana 215
5.7 Il ruolo dell’Università e della ricerca nel trasferimento di
design 216
6 Esperienze di trasferimento di innovazione di design 223
6.1 Introduzione 223
6.2 DXD | Design for Districts 226
6.2.1 Design e Distretti Industriali 229
6.2.2 Fasi e Azioni 230
6.2.3 I risultati reali 242
6.2.4 Conclusioni 246
6.3 DAC | Design for Arts&Crafts 248
6.3.1 Introduzione 248
6.3.2 Artigianato e Design 248
6.3.3 Il modello 251
6.3.4 Fasi e strumenti 252
6.3.5 Conclusioni 257
6.4 Il progetto Atena 259
6.4.1 Introduzione 259
6.4.2 La genesi del progetto 261
6.4.3 Lo sviluppo del progetto 264
6.4.4 Conclusioni 265
6.5 Economie del lusso: il caso PRO.GE.OR. 267
6.5.1 Introduzione 267
6.5.2 L’evoluzione degli artefatti 267
6.5.3 La progettazione generativa 269
6.5.4 Lo sviluppo del progetto 269
6.5.5 La struttura formale degli anellidi 271
6.5.6 Conclusioni 274
7 Bibliografia 275
Prefazione
| 7
I quesiti ai quali il testo cerca di dare risposte sono molti.
Cosa si intende per innovazione di design? Il design è una
specifica funzione aziendale o piuttosto un processo pervasivo
che consente alle aziende una innovazione di tipo trasversale?
Esiste una relazione virtuosa tra Design, Imprese e Distretti
Industriali? Il modello italiano di sviluppo basato su una
matrice imprenditoriale di tipo distrettuale può essere
definito come modello di innovazione design driven? In che
modo trasferire l’innovazione di design?
Come più volte viene ribadito nel testo, siamo solo all’inizio
di un processo di incontro fecondo tra Università, luoghi
della Ricerca ed Imprese. Così come siamo in una fase di
ripensamento dei tradizionali modelli con cui si attua il
trasferimento tecnologico. E’ in questo sistema che
| 9
1
Una certa idea di design1
1.1 Introduzione
1
di Giuliano Simonelli, con saggi di Stefano Maffei e Francesco Zurlo
| 11
professionalità del designer come il design strategico e il design
dei servizi.
Cambiano i punti di riferimento; vengono richieste dal
mercato nuove forme di collaborazione. Non sono più
soltanto le imprese a richiedere il contributo del design ma,
sempre più spesso, fanno ricorso al design gli operatori sociali
e istituzionali (enti, organizzazioni..), quelli che taluni
definiscono designer del sociale.
Inoltre, ricorrono oggi al design, o individuano nel design
una possibile leva di successo, anche intere realtà industriali e
sistemi locali.
Il distretto, nello specifico, si presenta come una realtà
produttiva dove la maggior parte degli occupati lavorano in
aziende specializzate che operano in lavorazioni di fase e dove
le professionalità vengono acquisite per esperienza e per
contatto diretto, dove si respira spirito imprenditoriale e dove
tutte le realtà produttive sono nate grazie a questo spirito e
alla volontà continua di migliorasi e di migliorare il proprio
status sociale, dove il nucleo più importante è la famiglia.
In tale realtà, sempre pressata dagli elevatissimi ritmi di
produzione, non c’è tempo per riflettere, per modificare le
produzioni se non dal punto di vista tecnico; non si
riscontrano, infatti, innovazioni radicali e la stragrande
maggioranza di imprese opera “seguendo” il mercato,
aggiornando i cataloghi in una costante emulazione dei
leader.
In una realtà così industrializzata e “tecnologica”, dal punto
di vista produttivo, il design riveste lo stesso ruolo che ha per
l’opinione pubblica: design = forma.
Gli imprenditori chiedono ai designer solo l’idea iniziale: si
rivolgono al designer con un brief (molto spesso questo non è
altro che un modello di prodotto della concorrenza) e
chiedono di produrre il progetto di un prodotto simile; dallo
schizzo di massima, grazie al lavoro di modellisti e stampisti,
realizzano l’oggetto che va in produzione nel giro di pochi
giorni.
In queste imprese fare discorsi teorici sul contributo strategico
del design o ipotizzare progetti a medio e lungo termine è
molto difficile, come difficile è coinvolgere gli imprenditori
in momenti d’incontro su questi temi.
La circolazione di informazioni, le innovazioni radicali, la
2
Becattini 2000, p. 62
| 13
Un problema delle imprese di queste realtà è proprio quello
dell’anonimato: ci sono molte aziende che eseguono
lavorazioni di elevata qualità in rapporto ai concorrenti
stranieri, ma queste restano molto spesso anonime perché,
basandosi su una concorrenza di prezzo, sono costrette a
limitare i budget tagliando le spese per la comunicazione (che
non è soltanto quella pubblicitaria; viene data, per esempio,
scarsa importanza al packaging e ai servizi).
Importante sarebbe riuscire a far emergere come ogni azienda
rappresenti un ingranaggio specifico della macchina distretto
e di come si possa crescere insieme grazie a strategie di
collaborazione; con questo non si intende affermare che nel
distretto non ci si aiuta ma che una politica da incentivare è
quella della collaborazione, della cooperazione e dello
scambio di informazioni.
3
Thackara, 1997
| 15
Definire univocamente cosa sia l’innovazione design driven è
quindi impossibile, ma si può dire che tutti i tipi di
innovazione citati da Thackara a titolo di esempio potrebbero
essere utili ad un realtà distrettuale.
Si può innovare nel prodotto, nella comunicazione, nei servizi
e si può innovare su tutte queste leve generando innovazione
a livello di sistema prodotto; ma si può innovare anche con
strategie e servizi che mettano d’accordo le unità produttive
per lo sviluppo comune del distretto.
Questo è il campo d’azione del design: “La parola strategia
non indica un programma predefinito che è sufficiente applicare
ne varientur nel tempo... Consente, movendo da una decisione
iniziale, di ipotizzare un certo numero di scenari per l’azione,
che potranno essere modificati secondo le informazioni che
arriveranno nel corso dell’azione e secondo le alee che
4
sopraggiungeranno e perturberanno l’azione. ”
Non esistono definizioni universalmente riconosciute ma
“possiamo definire come design strategico quell’attività di
progetto che è cooptata nella formulazione e nello sviluppo della
strategia aziendale. Questa attività riguarda la gestione, il
coordinamento e la proposta della pluralità mediale
(prevalentemente visuale) dell’impresa. E’ un’attività che
generalmente si interfaccia con il management (cioè con chi
decide la strategia) e che si svolge in gruppo attraverso la sinergia
5
di competenze interdisciplinari.”
Generalizzando si può dire che, come il distretto nella sua
totalità può essere paragonato ad una grande azienda, allo
stesso modo la definizione sopra esposta può essere estesa al
distretto. Quindi progettare strategie per il distretto vuol dire
gestire e coordinare la strategia distrettuale mettendo in
campo competenze interdisciplinari, interfacciandosi con gli
attori per l’innovazione locale rappresentati dagli
imprenditori, dai politici, dalle associazioni, dai centri servizi,
ecc. Ancora una volta emerge chiaramente il fattore sociale
come chiave per lo sviluppo distrettuale.
Il compito del designer per il distretto è quindi da un lato di
4
Mauri, 1996
5
Zurlo, 1999
| 17
Come noto, è possibile individuare tre tipologie di
innovazione legate alla produzione industriale di prodotti e
alla relazione con il mercato:
- innovazioni radicali (che producono discontinuità)
che consistono in prodotti/servizi nuovi sia dal punto
di vista del mercato sia dal punto di vista dell’azienda;
- innovazioni per le imprese che consistono in prodotti
nuovi per l’azienda, ma già presenti sul mercato;
- innovazioni di tipo incrementale, che prevedono
novità marginali nel prodotto ma non nel mercato.
| 19
la dimensione di senso, che costituisce un aspetto centrale
quando si esaminano le dinamiche dell’innovazione design-
driven, soprattutto nel caso del design italiano. Anziché porsi
il problema di tecnologie, funzioni e prestazioni, ci si pone
interrogativi riguardo a linguaggi, i codici e soprattutto i
significati di un nuovo sistema prodotto. Un prodotto non è
semplicemente l’esito di soluzioni prestazionali, ma è anche
un medium capace di trasferire messaggi, valori, emozioni,
codificabili ed interpretabili dal cliente stesso.
6
Maldonado, 1991
| 21
Lo scenario non è certo dei più incoraggianti: consumi che
non crescono, export in discesa, clima diffuso di sfiducia. A
questo si aggiunge il problema di un’Europa che non sembra
uscire dal tunnel della bassa crescita, e quindi a “tirare” le
esportazioni italiane; l’economia mondiale è in balia della
precarietà e degli squilibri dell’economia americana e le
minacce del terrorismo diventano sempre più foriere di
incertezze economiche e politiche.
Come è possibile non guardare a questi fenomeni con grande
preoccupazione? C’è tuttavia una minaccia ulteriore, che
nasce da una forzata interpretazione in termini di “declino
industriale” della situazione, che non solo alimenta essa stessa
ulteriormente la crisi, ma può dare luogo a risposte e misure
più gravi del male stesso. Emergono segnali preoccupanti di
sindrome o “cultura” del declino - contro i quali anche il
Presidente della Repubblica ha esortato il Paese a reagire - che
potrebbero determinare in Italia, ma non solo, rigurgiti di
assistenzialismo, richieste di interventi pubblici, anziché
iniziative autopropulsive capaci di far ripartire lo sviluppo
dell’intero Paese.
Se è vero che tra i fattori di successo che hanno caratterizzato
la crescita dell’industria italiana nel passato c’è anche il
design, e la sua capacità di produrre innovazione, perché non
pensare a far leva su esso per il futuro? Tutto questo a partire
dagli elementi che fino ad ora sono stati leva di competitività:
- innanzitutto la capacità imprenditoriale, sottolineata
dai dati sulla nascita di nuove imprese, che
confermano l’Italia tra i primi posti nella propensione
all’autoimprenditorialià. Non solo, le neonate
imprese italiane sembrano anche godere di una
costituzione più solida, capace di farle sopravvivere
alle sfide della globalizzazione. Il design, nella sua
dimensione strategica, interviene con strumenti e
competenze a favore dell’individuazione dell’area di
opportunità nel mercato, della definizione della
business idea e della messa a punto del concept di
nuova impresa, oltre che supportare poi, i processi di
innovazione;
- in secondo luogo la capacità di innovazione. Come
delineato nei paragrafi precedenti la capacità di
innovazione che riesce a rendere sinergica
7
a cura di Stefano Maffei
| 23
che giustificano l’eccellenza italiana nel saper
progettare;
- la seconda ipotesi dice che se la prima ipotesi è
verificata allora per capire l’evoluzione della natura
tipica dei processi di design italiani sono significativi i
processi di evoluzione-transizione dei sistemi
distrettuali;
- la terza ipotesi dice che se questi processi di
trasformazione (soprattutto quelli legati alla
delocalizzazione produttiva) portano allo
sbriciolamento dei sistemi distrettuali tradizionali
questo porta anche uno sbriciolamento di quelle che
sono le attitudini tipiche del modo italiano di
costruire processi di design.
La tesi finale sostiene che uno dei modi per conservare questa
specificità è quella di conservare (pur modificandolo) un
sistema industriale nazionale, ovvero difendere il saper fare per
difendere il saper progettare.
8
Rullani (Rullani, 2000, p. 160) parla di incontro tra schema merceologico del
Made in Italy e il concetto di distretto
9
Quadro Curzio e Fortis, 2000
10
Fortis li definisce come “…l’insieme dei settori operanti nelle aree moda , arredo-
casa, tempo libero ed alimentazione mediterranea, a cui vanno aggiunti i comparti
della meccanica collegata. Questa definizione qualitativa enfatizza la spiccata
specializzazione italiana nel vestir bene, nella cucina mediterranea, nel proporre
| 25
progettuale, sia la trama di relazioni generative delle
forme organizzative ; 14
14
Maffei e Zurlo, 2000
15
Maffei e Simonelli, 2002; Zurlo et al., 2002
16
Il sistema-prodotto è la combinazione degli elementi tangibili e intangibili –
comuicazione, servizio - del prodotto (Normann e Ramirez, 1995)
17
Si veda per una più chiara comprensione di cosa sia il design secondo una visione
sistemica il sintetico ma fondamentale (Maldonado, 1991)
18
Lundvall et al., 2002
19
Suchman, 1987
20
Russo, 2000
21
Che possono essere normali utenti finali o parti stesse di filiere produttive
22
Zurlo et al., 2002
| 27
esigenze che guidano il processo di sviluppo di nuovi
prodotti-servizi.
25
La conoscenza, attraverso un processo di learning in action ,
si accresce con una dinamica non puramente cumulativa; essa
si ricombina grazie ai processi d’interazione tra gli attori
coinvolti nel processo.
E' un'innovazione che nasce quindi da una dimensione
26
contestuale che risulta analizzabile solamente a condizione di
studiare il luogo in cui essa si sviluppa, ovvero lo spazio fisico,
sociale e produttivo dei distretti industriali.
Per compredere il context setting occorre quindi dotarsi di un
approccio etnografico evoluto, che dia conto delle complesse
e strutturate reti di relazioni sociali e azioni, quelle relazioni
generative che sono alla base dello sviluppo di soluzioni
27
innovative.
Ora se questa prima ipotesi è verificata allora per capire
l’evoluzione della natura tipica dei processi di design italiani
sono significativi i processi di evoluzione-transizione dei
sistemi distrettuali.
Molti autori parlano di evoluzione dei sistemi distrettuali e 28
23
Nonaka e Takeuchi, 1995; Reinmoller, 1998
24
Lane e Maxfield, 1997
25
Cfr. (Rullani, 2000, p. 164)
26
Si veda in questo senso il concetto di embeddedness (Polanyi, 1967), che interpreta
le attività umane come il frutto inestricabile di una relazione con i contesti sociali e
culturali
27
Lane e Maxfield, 1997; Russo, 2000
28
Sammara, 2003; Rullani, 2004a e 2004b; Bettiol e Micelli, 2005
29
Gallino, 2003
30
Jean Luis Beffa, Renewing Industrial Policy, Rapporto per il Presidente della
Repubblica Francese, gennaio 2005
31
Lionel Fontagné e Jean-Hervé Lorenzi, Désindustrialisation, délocalisations, Ed. La
Documentation française, Paris, 2005, Rapporto per il Conseil d’analyse économique
du Premier ministre
| 29
industriale del Paese sia di immaginare delle strategie
compatibili di resistenza e di reindirizzamento strategico delle
strutture industriali nazionali.
Anche Fortis affronta la questione alla Gallino: da un lato
32
32
Fortis, 2005
33
Si veda Marco Fortis, Il Made in Italy nel “nuovo mondo”: Protagonisti, Sfide,
Azioni, Rapporto per il Ministero delle Attività Produtive, Gennaio 2005
34
Enzo Rullani e Aldo Bonomi, 1° Rapporto sul Capitalismo Personale, Indagine
Confartigianato, 21 gennaio 2004 e Aldo Bonomi, La città infinita, in Alberto
Abruzzese e Aldo Bonomi (a cura di), La città infinita, Bruno Mondadori, Milano,
2004
35
le quattro A di Fortis: ambiente, arte, architettura, accoglienza
| 31
“… Ha ancora un senso, in questo contesto, difendere i campioni
nazionali? Probabilmente no, anzi bisogna promuovere il più
possibile l´integrazione europea. Ma allora bisogna puntare su
campioni europei? Probabilmente sì, come dimostrerebbero i casi
Airbus o StMicroelectronics, soprattutto in quei settori dove più
intenso è lo sforzo in ricerca e sviluppo e dove più rilevanti sono
le economie di scala. In un mercato integrato e con una moneta
unica, d´altra parte, sarebbe contraddittorio non cogliere questa
opportunità. Forse bisogna anche già lavorare a un sistema che
preveda la testa delle nostre imprese in Italia e in Europa e il
corpo produttivo altrove, in Cina, in India, in Africa e chissà
dove... Diventeremo, dunque, una sorta di centrale managerial-
logistico-decisionale di imprese che come una rete avvolgeranno il
globo intero? È possibile, probabilmente auspicabile, ma allora è
evidente che non avrebbero più senso gli incentivi
antidelocalizzazione, ma sarebbe il caso di lavorare affinché
questa rete possa avere collegamenti veloci e, soprattutto,
conservare il suo centro qui da noi … Di certo l´Italia, prima
ancora dell´Europa, ha una grande opportunità: è la forza delle
sue produzioni e dei suoi servizi di alta qualità, il suo estro per
l´estetica e il design, la sua capacità di arricchire i prodotti di
valore simbolico, il potenziale non solo turistico del suo territorio,
la sua cultura millenaria, il suo ambiente, la sua arte. In questo
senso le grandi trasformazioni del mondo possono diventare
un´enorme opportunità per il nostro Paese…
1. Dobbiamo, innanzi tutto, valorizzare al massimo e imporre
sui mercati internazionali questo triangolo costituito dalla
creatività, dal territorio e dalla produzione di beni e servizi di
qualità...
2. Impareremo a lavorare di più insieme, anche quando saremo
stati capaci di valorizzare al massimo le nostre risorse umane...
3. Fondamentale, infine, il capitolo liberalizzazioni…
Fernand Braudel ci ricorda che le civiltà non sono eterne, e che
esse "nascono, si sviluppano e cadono sulla base dell´economia". Il
destino dell´Italia e dell´Europa oggi dipende da noi. Le fasi di
transizione, tutte le fasi di transizione, possono portare alla
morte o alla rigenerazione. Tocca a noi dimostrare se per l´Italia
e l´Europa c´è, oggi come all´epoca dei luddisti, una strada
nuova da poter percorrere...”
36
a cura di Francesco Zurlo
| 33
catalizzatore istituzionale, mancato sostegno delle banche per
investimenti ecc.) evidentemente non consentono il controllo
dei canali distributivi. Delegando al punto vendita finale,
senza valutarne l’efficacia, la capacità di mettere in scena la
propria offerta.
Ritengo tuttavia che un discorso sull’esperienza non possa e
non debba solo ridursi ad una relazione efficace con il canale.
Anzi: può riguardare anche nuove strategie di comunicazione,
la capacità di costruire imprese e organizzazioni che
condividano l’esperienza del processo progettuale e
produttivo, la possibilità di stabilire una relazione proficua
con il contesto locale per costruire, proprio lì, l’esperienza di
una realtà che crea valore per sé e per gli altri. È inevitabile,
allora, partire da qualche considerazione sul concetto, parlare
dunque di esperienz[e] oltre questa (limitante) chiave di
lettura.
| 35
marketing postmodern, aprono la strada al successo della user
experience. Tale rilevanza è amplificata dal lavoro di Pine e
Gilmore per i quali vendere esperienze al cliente,
coinvolgendolo emotivamente, socialmente e culturalmente, è
la frontiera della nuova competizione globale. L’esperienza,
infatti, genera un legame fiduciario e una forma di
partnership tra organizzazione d’impresa e clienti ma è anche
un elemento in grado di creare delle differenze rispetto agli
altri competitor (una soluzione anti commodity). I due autori
americani pur presentando un’ampia argomentazione
tendono a far coincidere l’esperienza con forme articolate e
spettacolari di shopping o con la dimensione
dell’entertainment. In queste proposte il luogo, e il suo
progetto, hanno grande importanza. Ogni business deve
proporre un palinsesto di eventi e iniziative di
intrattenimento, facendo riferimento al repertorio culturale
dei propri clienti, se vuole continuare a competere. Trovo
questa visione limitativa e pericolosa perché vi si intravede
una sorta di disneyficazione dell’offerta, e il rischio di
manipolare, per quello che è possibile e consentito, il
comportamento delle persone.
| 37
patrimonio straordinario di competenza e di sensibilità al
contesto (si pensi agli orafi, ai lavoratori della pelle ma anche
ai manipolatori straordinari di motori e carrozzerie del
modenese) continui a saper leggere tali framework (laddove
ovviamente il contesto prensenti ancora qualche forma di
ricchezza culturale). È un azione indirettamente legata
all’offerta di esperienza e tuttavia altrettanto importante.
Nerio Alessandri, patron di Technogym, non è un caso che
promuova la sua Romagna in ogni occasione come Wellness
Valley: è il “parco protetto”, di attitudini culturali e sociali,
da cui pescare nuove idee per i propri prodotti.
| 39
appartengono alla cultura (perché la cultura genera un
sentimento di empatia e dunque il riconoscimento del senso
dell’offerta); coinvolge multisensorialmente, dunque
emotivamente, gli spettatori. L’esperienza come teatro è in
armonia con le dimensioni del tempo, dello spazio, con
l’utilizzo della tecnologia, con i dettagli. Ma ciò che qui
interessa di più è il modello proposto per le persone:
l’organizzazione, infatti, nell’offrire esperienza si comporta nei
confronti degli utenti come una compagnia teatrale. Il
riferimento è al teatro dell’arte, quello che non richiede una
sceneggiatura ferrea, ma che consente ad ogni attore di
assumere un carattere (Arlecchino, Pulcinella, Gianduia) e di
adattare la propria azione secondo le circostanze. È questo un
ulteriore spunto per i SPL, non tanto negli aspetti di offerta,
quanto in quelli di processo e organizzativi. È possibile
pensare ad una forma di canovaccio interpretativo per le
persone chiave all’interno di una azienda nei SPL o per i SPL
nel complesso (chiamando in gioco le istituzioni)? La cultura
del progetto cosa può fare? Dal mio punto di vista aiutare ad
allestire il palcoscenico dell’interazione, presentare scenari
possibili, costruire elementi materiali e immateriali per
attivare positivamente un ambiente e orientare le singole
persone verso un flusso di coscienza ottimale.
“When people talked about innovation in the '90s, they really meant
technology. When people talk about innovation in this decade, they
really mean design.”
Bruce Nussbaum 2
2.1 Introduzione
1
di Venanzio Arquilla
2
http://www.businessweek.com/bwdaily/dnflash/jan2005/nf2005013_8303.htm
| 41
comparto industriale nazionale concorrendo a definire uno
stile, un modo di vivere e di essere: il design italiano.
Questi prodotti vengono riconosciuti universalmente come
capolavori del design, popolano le principali riviste settoriali,
vincono premi e sono esposti nei più importanti musei.
Parliamo dei prodotti dei settori manifatturieri tradizionali
che Fortis e Quadrio Curzio hanno definito sinteticamente
con Made in Italy, di quei settori, cioè, afferenti ai prodotti
per la persona (Moda e Abbigliamento) e per la casa (Mobili e
Arredo) ma anche alla meccanica leggera e, non ultimo,
all’agro-alimentare.
Rientrano in questa definizione “tutte le eccellenze del sistema
produttivo italiano viste nel loro insieme: dunque non solo la
moda, che è tra le manifestazioni più note, ma anche le altre
produzioni manifatturiere in cui l’Italia a partire dal secondo
dopoguerra è divenuta leader a livello internazionale… grazie al
design, all’innovazione e alla qualità dei prodotti…” 3
3
Fortis M. 2005 p.4
4
ibidem
5
SDI | Sistema Design Italia è una rete di Agenzie per la ricerca, l'innovazione e la
promozione nel campo del design _ che nasce come spin off di un programma di
ricerca biennale co-finanziato dal MIUR (Ministero dell'Università e della Ricerca)
_ composta da 8 sedi attive presso sedi universitarie diffuse su tutto il territorio
nazionale (Milano, Firenze, Roma, Chieti, Genova, Palermo, NapoliFederico 2° e
la Seconda Università di Napoli) nelle quali è attivo un nucleo di ricerca e
formazione per il design. L’Agenzia SDI del dipartimento INDACO del
Politecnico di Milano in particolare coordina la Rete Nazionale e gestisce il portale
informativo http://www.sistemadesignitalia.it
| 43
I principali economisti e studiosi nazionali , gli studi del 6
imprese risulta essere solo il 16,3% del totale degli addetti, contro
l’83,7% delle PMI.” 8
6
Tra questi: Quadrio Curzio A., Fortis M., Bersani P., Letta E….
7
per la classificazione di Piccole e Medie Imprese Fortis non ha utilizzato la
classificazione standard europea (raccomandazione della Commissione europea
2003/361/CE del 6 maggio 2003) definendo Piccole imprese quelle da 1 a 49
addetti; Medie quelle da 50 a 499 addetti; Grandi quelle con 500 o più addetti. La
direttiva europea fissa, invece, a 250 addetti il limite per le Medie Imprese ma “250
addetti ci sembrano infatti davvero troppo pochi, specie nel nuovo scenario competitivo
mondiale, per definire una impresa “Grande”. D’altronde, negli Stati Uniti vi sono
addirittura schemi di classificazione che definiscono “Grande” un’impresa
manifatturiera soltanto se essa raggiunge i 1.000 addetti.” Fortis, 2005 p. 13
8
Fortis, 2005 p.14
Tabella 2.2
Ripartizione percentuale degli addetti manifatturieri del “Made in Italy” e degli
altri settori manifatturieri per tipologia di imprese: anno 2001
9
Mediobanca-Unioncamere, 2004
| 45
Le statistiche confermano con i numeri una tendenza nota: in
Italia, per i settori di specializzazione del Made in Italy non
esistono o quasi le Grandi Imprese. Le poche attive oltre che
nel settore dei servizi, con il suo sistema complesso di utility e
multiutility di derivazione statale che operano con logiche
quasi monopolistiche, hanno un’incidenza maggiore sui
settori dell’automazione-meccanica, dell’alimentare e degli
altri settori manifatturieri (tra i quali rientra l’automobile).
La tabella seguente restituisce una visione sintetica della
situazione: le piccole e medie imprese insieme nel nostro
Paese rappresentano numericamente il 99,9% del totale , 10
Tabella 2.3
Comparazione per classi dimensionali delle imprese italiane manifatturiere:
anno 2001
10
Basandoci sulla definizione di PMI fatta da Fortis
11
Valore Aggiunto portato all’industria manifatturiera
| 47
Grafico 2.1
Imprese per settore di attività economica: anno 2003
12
Fortis 2005
13
ISTAT, IV trim. 2004
| 49
sistemi di servizi, incide ancora in maniera notevole sul PIL,
manifestando un ritardo rispetto alle altre nazioni del primo
mondo.
La nostra specializzazione inoltre è forte nei settori a basso
contenuto tecnologico, come vedremo meglio nel paragrafo
seguente, questo mette ancora di più a rischio la nostra
economia rispetto alle pressioni dei produttori a basso costo
dei Paesi emergenti.
1) Abbigliamento-moda;”
il tessile-abbigliamento e relativi accessori;
le pelli-calzature-pelletteria;
l’occhialeria;
l’oreficeria-gioielleria.
“2) Arredo-casa;”
legno-mobilio;
lampade ed illuminotecnica;
piastrelle ceramiche;
pietre ornamentali.
“3) Automazione-meccanica;”
macchine industriali (legno, calzature, imballaggio, materie plastiche, industria
alimentare, ecc);
cicli e motocicli;
rubinetteria-valvolame;
casalinghi;
elettrodomestici;
macchine agricole;
panfili e imbarcazioni da diporto;
14
Fortis, M. 2005, p.8
15
cfr. nota 4
16
Legno-arredamento, Tessile-Abbigliamento, Casalinghi, Agroalimentare,
Illuminazione, Mezzi di trasporto, Macchine e apparecchiature industriali,
Calzature-Pelletteria, Elettrodomestici, Occhialeria, Oreficeria, Terziario innovativo
17
Le evidenze dei Survey sono riportate al paragrafo 2.5.3 per una trattazione più
estesa si faccia riferimento a Arquilla 2003, Arquilla, Vignati 2004 e ai siti web
www.designfocus.it e www.sistemadesignitalia.it/sdiview
18
Maffei, 2003
| 51
riflessione sulla relazione tra specificità merceologica e
specializzazione produttiva, espressa dal concetto di Made in
Italy sviluppato da Marco Fortis (Quadro Curzio e Fortis,
2000). I settori che lo compongono rappresentano infatti alcuni
degli ambiti principali in cui il design italiano si è storicamente
sviluppato; ciò testimonia in maniera concreta l’idea che esista
una relazione virtuosa tra lo sviluppo del nostro sistema
economico e quello del nostro sistema di attività progettuali.
Possiamo valicare questa ipotesi affermando che il sistema
economico e il sistema del design italiano si sono modellati con
un processo d’interazione reciproca realizzatosi attraverso
meccanismi di interazione sociale.”
Dalle evidenze infatti si nota che a parte alcune differenze
terminologiche c’è una totale sovrapposizione dei settori di
interesse, mentre alcune, piccole, diversità derivano
dall’impostazione metodologica e dagli obiettivi che la
classificazione SDI si proponeva. Innanzitutto quest’ultima
mirava ad individuare i settori di design in Lombardia e
quindi mancano alcuni settori che invece a livello nazionale
sono molto importanti come, ad esempio, l’oreficeria (polo
orafo di Vicenza) oppure le piastrelle ceramiche (Sassuolo) ed
inoltre l’obiettivo principale era quello di analizzare aziende
che andassero direttamente sul mercato operando in una
logica sostanzialmente B2C e quindi non sono stati
considerati i settori delle macchine industriali, macchine
agricole ecc.
I settori afferenti al Made in Italy quindi sono i settori che la
ricerca di design definisce settori di design o design oriented.
Scorrendo la lista di categorie specifiche riportate emergono
19
19
per l’elenco completo delle categorie merceologiche afferenti ai settori e per una
loro misurazione si faccia riferimento alle tabelle 2 e 3 di Fortis M., 2005 p.119 e
seguenti
20
di questo ci occuperemo nel paragrafo 2.5
| 53
Grafico 2.3
Average country trend by Summary Innovation Index
21
Fazio A. Assemblea Generale Ordinaria Nazionale di Banca d’Italia, Roma _
www.bancaditalia.it
22
per un approfondimento si faccia riferimento al capitolo 5
| 55
dell’UE-15, confermandosi il Paese più arretrato nel
cambiamento tecnologico. Se consideriamo anche i Paesi di
nuova adesione, osserviamo che persino Estonia e Slovenia
precedono l’Italia, mentre altri (tra cui Polonia, Lituania,
Lettonia, Slovacchia), pur avendo un indice inferiore a quello
dell’Italia mostrano tassi di crescita dell’innovazione superiori.”
23
Figura 2.5
Performances Innovative dell’Italia rispetto alla medie EU25
divario tra l’Italia e gli altri Paesi avanzati nella spesa per R&S
e nella capacità innovativa i fattori finora indicati e cioè:
- la piccola e media dimensione delle imprese (fattore
dimensionale);
- la scarsa presenza delle imprese italiane nei settori
tipicamente science based, essendo esse invece
prevalentemente concentrate nei settori tradizionali
(fattore settoriale);
- la non rilevazione della R&S informale attuata dalle
PMI (fattore informale).
Ai quali si aggiunge:
- la sostanziale carenza, malgrado qualche significativa
eccezione, di collaborazione tra imprese, università ed
enti pubblici di ricerca;
23
Fortis M., 2005
24
Quadrio Curzio, Fortis e Galli, 2002b
25
Arquilla, 2005
| 57
Il nostro Paese negli ultimi anni perde costantemente
competitività rispetto agli altri partner europei, fatto che
Bersani e Letta riassumono sinteticamente con alcuni numeri,
“nel biennio 2003-2004 le esportazioni italiane sono diminuite
del 7,3% determinando una costante erosione delle quote di
26
26
Bersani, Letta, 2004
27
Fazio A. Assemblea Generale Ordinaria Nazionale di Banca d’Italia, Roma _
www.bancaditalia.it
28
ibidem
29
Unioncamere 2004
| 59
diffusione delle conoscenze, sistemi di integrazione tra imprese,
centri di ricerca, università.”.
Sangalli pone alcuni interrogativi che ritornano
costantemente nella bibliografia in materia: il punto
fondamentale comunque è che saranno ancora le Piccole e
Medie Imprese a trainare la nostra economia ma che queste,
data la questione dimensionale, per essere innovative e per
generare “reti di diffusione di conoscenze” devono essere
coadiuvate dall’Università e dai Centri di Ricerca.
30
G. De Michelis, in “Studi organizzativi”, n. 01-2001
| 61
De Michelis riassume in maniera chiara e completa il ruolo
del designer nel processo innovativo dell’impresa, un ruolo
che è interno ed esterno, un ruolo informale basato sulla
relazione diretta imprenditore-designer, un ruolo quasi
nascosto, un ruolo difficile, che solo alcune volte porta le idee
ed il progetto a vincere sulle logiche della produzione e sulla
ritrosia degli imprenditori, a tal punto che molti designer
sono costretti a diventare imprenditori di se stessi pur di poter
sviluppare i propri progetti e proporli sul mercato.
Da un verso quindi il designer può senza dubbio fregiarsi di
un contributo sostanziale all’innovatività delle imprese
dall’altro non bisogna dimenticare quella che Quadrio Curzio
e Fortis identificano come una caratteristica fondamentale per
il successo: l’identità delll’impresa, intesa in senso ampio
come tutto ciò che fa e rappresenta, con l’imprenditore come
unico vero decisore dotate del potere di orientare le strategie
aziendali.
“… l’Italia … ha avuto successo più per l’imprenditorialità e
l’innovatività spontanea che per la progettualità sistemica.
L’innovazione, infatti, non discende necessariamente dalla R&S,
e il “modello italiano” espresso dal Made in Italy e dai Distretti
industriali, caratterizzato da una innovazione basata sulla
ricerca informale legata più all’inventore-imprenditore che
all’invenzione scientifico-tecnologica progettata su larga scala e in
settori comunemente definiti ad alta tecnologia, ne è la conferma.
L’innovazione italiana, in altri termini, si è essenzialmente
basata sull’inventore che ha saputo promuovere, per esempio, una
netta superiorità dell’Italia nel campo del design o che ha saputo
applicare tecnologie sviluppate da gruppi internazionali a
prodotti o processi italiani, dilatandone le potenzialità e
adattandole alle specificità emergenti dalla specializzazione
settoriale… Sarebbe quindi un grosso errore pensare che le nostre
imprese siano scarsamente innovative e ritenere che in passato esse
siano sopravvissute nella competizione internazionale solo in
virtù delle svalutazioni (compensative) della lira e del sommerso
(tesi che talvolta è emersa nei dibattiti recenti): la leadership
dell’Italia nell’export mondiale di molti beni manifatturieri
rivela, al contrario, la elevata capacità innovativa dei distretti e
delle PMI, anche se non è realistico pensare di poter continuare
31
Fortis M., 2005 p.69-70
32
Maffei, Simonelli 2004, Zurlo et alii 2004, …
33
Maffei S., Simonelli G. 2002
| 63
investimenti pubblici…) ma vive un modello innovativo a
due livelli, uno esplicito e consapevole, caratteristico delle
imprese di design, e l’altro tacito, spontaneo, a volte sommerso
e di tipo imitativo (tipico dell’approccio italiano)
riconducibile alla stragrande maggioranza delle PMI;
entrambi comunque non rilevabili dagli indicatori in generale
e tantomeno da quelli Europei.
Con questo non si vuole dire che abbiamo risolto il problema
e cioè che non è vero che l’Italia sia un Paese nel quale non si
fa innovazione, ma che forse questo particolare tipo di
innovazione andrebbe valorizzato attraverso interventi
strutturali che vadano ad individuare ed esplicitare gli attuali
meccanismi taciti per generare un circuito palese
dell’innovazione e, come è successo per il modello dei distretti
industriali, codificarlo e fare in modo che anche gli indicatori
riescano a rilevarlo.
D'altronde l’Italia è il Paese delle anomalie che è vissuto, per
anni, sui successi delle piccole e medie imprese e del design
senza rendersene conto. Ora si dovrebbe tentare di
enfatizzare e rinnovare questa forza per invertire la situazione
congiunturale negativa.
Il carattere atipico della specializzazione manifatturiera
italiana e del particolare modello di innovazione generato è
stato recentemente evidenziato anche dal Centro studi
Confindustria (CsC) attraverso un’analisi comparata della
struttura dell’industria dei maggiori Paesi avanzati. Secondo il
CsC “l’industria italiana mostra di essere passata attraverso un
processo di lungo periodo il cui risultato finale è una maggiore
presenza relativa nelle produzioni del c.d. Made in Italy, nella
produzione di laterizi e rivestimenti in ceramica, e nella
carpenteria dei metalli, e una presenza minore nelle produzioni
della filiera chimica, della filiera cartario-editoriale, nella
produzione di metalli, nell’industria automobilistica e in quella
di beni meccanici di precisione” . 34
34
Centro studi Confindustria, 2004, p. 145
35
Centro Studi Confindustria, 2004, p.146
| 65
Piccole e Medie Imprese, di cui solo alcune sono realmente
eccellenti e riescono, grazie alla propria capacità pre-visionale
e di stile sui prodotti, ad emergere sui mercati internazionali
diventando ambasciatrici dell’intero sistema produttivo
nazionale.
Ma di che imprese si parla? Che dimensioni hanno
effettivamente e come riescono a coniugare una ridotta
dimensione con una così importante capacità di export? Ci
troviamo di fronte di nuovo ad un’anomalia?
Da una recente ricerca della Fondazione EDISON risulta 36
36
La categorizzazione messa in atto dalla Fondazione EDISON difinisce: Grandi
“Pilastri” (imprese con fatturati superiori ai 10 miliardi di euro nel 2002); “Pilastri”
(imprese con fatturati compresi tra 2 e 9,99 miliardi); “Colonne” (imprese con
fatturati compresi tra 0,5 e 1,99 miliardi). A queste poi si aggiungono i Distretti
Industriali che “che rimangono un punto di forza del nostro sistema produttivo,
nonostante le recenti difficoltà” _ Fortis M., 2005
37
ibidem
38
Celaschi F., Ciuccarelli P., Seassaro, A., 1998
39
La Luxottica è licenziataria o proprietaria dei seguenti marchi: Anne Klein,
Arnette, Byblos, Brooks Brothers, Bulgari, Chanel, Donna Karan, DKNY, Genny,
Jil Sander, Killer Loop, Luxottica, Miu Miu, Meschino, Persol, Prada, Ray-Ban,
Revo, Salvatore Ferravamo, Sergio Tacchini, Steroflex, Versace, Versus e Vogue
(http://annual-report-2004.luxottica.com)
40
Zurlo F., 2003
| 67
Tra le Colonne ritroviamo una serie di Marchi e aziende del
settore moda come Armani, Prada, Ermenegildo Zegna,
Ferragamo che non necessitano di ulteriori presentazioni,
Marazzi e Iris Ceramica che si contraddistinguono nel
panorama internazionale per la qualità e la ricerca progettuale
sempre all’avanguardia nel prodotto ceramico (sono un
esempio le piastrelle ed i rivestimenti di Marazzi Tecnica).
Riello azienda leader nel settore della climatizzazione e nella
qualità ambientale. Lavazza, Granarolo, Campari
nell’alimentare, unici per capacità innovativa e creatività non
solo nei prodotti ma anche nella comunicazione. Campari “ci
mostra come il marketing, se mira a buoni risultati, deve
includere un piano di comunicazione efficace e d’effetto, in
quanto il “passaparola” non è sufficiente a far crescere la fama di
un prodotto”, dando origine, con i propri manifesti e l’attuale
comunicazione, ad una delle più importanti campagne
comunicative contraddistinta dai legami con i più grandi
artisti e comunicatori del tempo. Simile il discorso per
41
41
Dopo i primi pionieristici annunci sul Corriere della Sera Campari iniziò a
collaborare con i movimenti artistici emergenti, lasciando agli artisti la massima
libertà creativa e di sperimentazione. L’arte fece il suo ingresso nella comunicazione
Campari e nel frattempo la stessa arte ne uscì influenzata. Sacchetti, Cappiello,
Dudovich, Mora, Metlicovitz, Nizzoli furono soltanto alcuni degli artisti che si
cimentarono con il rosso di Campari o il giallo del Cordial. Fino ad arrivare al
futurismo e a Depero che attribuirono alla pubblicità la dignità di una vera e
propria arte urbana, un nuovo territorio creativo per gli artisti.
http://www.campari.it/ita/gruppo/storiacom/index.asp
42
Safilo possiede i marchi Safilo, Oxydo, Blue Bay, Carrera e Smith ed è
| 69
l’ingegnerizzazione dei prodotti ma collaborano comunque
costantemente con designer esterni.
44
Kotler P., Rath A. G., 1984
45
Fortis, 2005
| 71
anni hanno collaborato con i nomi storici del design italiano,
come Bellini, Branzi, Castiglioni, Citterio, De Pas D’Urbino
Lomazzi, De Lucchi, Giovannoni, Magistretti, Mari, Meda,
Mendini, Nizzoli, Ponti, Sapper, Sottsass, e straniero come
Arad, i Campana, Grcic, Hilton, Le Corbusier, Lovergrove,
Morrison, Newson, Pillet, Starck, ecc. 46
46
Per maggiori approfondimenti sul tema si possono vedere le principali
pubblicazioni sulla storia del design: Branzi A., 1996, De Fusco R., 1985, Gregotti
V., 1982, Pansera A., 1993 e le varie raccolte di prodotti edite da Taschen o altri
come Fiell C. & P., 2001a, 2001b , 2003, cataloghi storici di mostre come Pasca
V., 2001
47
Zurlo F. in Casati B. 2004
48
ibidem
49
Zurlo definisce il designer come Glocal Broker partendo dall’analisi dei molti casi
di successo che costellano la storia del design italiano dove “la relazione e la
frequentazione del designer con l'artigiano ha spesso trasformato la cultura artigiana in
una cultura industriale trasformando il design in una sorta di agente, nei SPL, che
tramite un processo di “apprendimento relazionale”, cioè con la capacità di integrare, in
modo versatile, conoscenza specialistica sviluppata dentro il sistema locale con nuova
conoscenza derivante da sistemi esterni, trasforma le imprese di piccoli artigiani in
attori, qualche volta protagonisti, dei mercati post-moderni.”
50
ibidem p. 85
51
ibidem p. 87
52
Azienda di Illuminotecnica fondata nel 1969 da due progettisti Mario Malocchi
(designer e pubblicitario sarà tra i primi in Italia ad occuparsi di packaging ha
ricevuto moltissimi riconoscimenti ed ha lavorato per importanti aziende
internazionali) e Franco Bettonica (designer di prodotto), per un approfondimento
| 73
dell’illuminazione e di MHWay nel settore delle borse ed
53
2.5.3 Le PMI
Se le PMI Design Oriented hanno con il design una relazione
che potremmo definire esplicita esse rappresentano
comunque il 25% della produzione italiana. Resta fuori un
65% che non rientra in nessuno dei canoni sopra citati.
Parliamo delle Piccole e Medie Imprese non strutturate con
meno di 100 addetti, che sono la base produttiva del Made in
Italy e che più di tutte sentono il momento di crisi ed hanno
bisogno di stimoli per reagire, stimoli che possono venire dal
design ma con una relazione tutta da costruire.
Tutte imprese che fanno del design e dell’innovazione di
si veda Simonelli G., Zurlo F., in Zurlo et alii, 2002 pp. 87-112
53
MhWay è l’azienda creata da Makio Hasuike nel 1982 divenuta leader nella
progettazione, realizzazione e distribuzione di cartelle da lavoro, valigeria business,
borse ed accessori ad alto contenuto di design e innovazione. Per un
approfondimento si veda Zurlo F. 2003
54
Simonelli G., Bertola P. 2002 in Zurlo et alii 2002
55
Nell’accezione più ampia ed attuale della disciplina, il disegno industriale rende
visibile la strategia complessiva dell’impresa, progettando il sistema prodotto,
ovvero quella particolare combinazione di prodotto, servizio e comunicazione con
cui un’impresa, ente pubblico o istituzione si presenta all’interno del proprio
mercato di riferimento, sia esso locale o globale. Mauri, 1996
56
TeDIS Center è il centro di ricerca della Venice International University che si
occupa del monitoraggio continuo della diffusione e dell’utilizzo delle ICT in 33
distretti industriali del Nord Est, Dell’Emilia Romagna, della Lombardia, del
Piemonte, della Toscana e delle Marche nei settori dell’arredamento, moda e
meccanica-impiantistica. Il survey è stato effettuato su un campione rappresentativo
di 182 aziende, che avevano già partecipato alle precedenti edizioni dei survey Tedis
del Nord-Est (Lombardia, Emilia Romagna e Toscana). (Allegato B) Per un
commento sintetico si veda anche Vignati A., 2004
57
Il survey, svolto nell’ambito del progetto di fattibilità per un osservatorio di
design, è stato inviato ad un totale di 272 aziende via fax o e-mail. Le risposte
pervenute sono state 100 con un tasso di risposta totale superiora al 30% da
considerarsi positivo dato il tipo d’impresa, la modalità di somministrazione e la
complessità di un questionario che aveva principalmente finalità qualitative.
Per un commento sintetico si veda anche Arquilla V., 2003
58
Progettare prodotti “ significa coordinare, integrare ed articolare tutti quei fattori
che in un modo o nell’altro, partecipano al processo costitutivo della forma del
prodotto. E, più precisamente, si allude tanto ai fattori relativi all’uso, alla fruizione
e al consumo individuale o sociale del prodotto (fattori funzionali, simbolici o
culturali) quanto a quelli relativi alla sua produzione (fattori tecnico-economici,
tecnico-costruttivi, tecnico-sistemici, tecnico-produttivi, tecnico-distributivi) “
Maldonado, 1991 p.12
| 75
riferendosi al concetto di Styling.
Le PMI italiane quindi vivono e conoscono il design, ma
l’immagine che propongono è quella di osservatori non
propriamente attenti alle reali potenzialità della disciplina,
fortemente ancorati ad una dimensione classica di styling e di
prodotto.
Pochissime imprese riconoscono al designer un ruolo relativo
al miglioramento dei processi produttivi, all’inserimento di
nuove tecnologie, alla progettazione degli aspetti
comunicativi e alla definizione delle strategie aziendali di
medio-lungo termine.
Il designer, nonostante una concezione mediamente evoluta
del suo ruolo, resta comunque un esteta visionario, la sua
mano plasma la materia, dà forma ai prodotti, crea tendenze
ed impone stili: andando ad approfondire infatti l’ambito di
azione del designer questi per le aziende riveste
un’importanza fondamentale rispetto all’estetica del prodotto
e alla dimensione legata al mercato ed alle tendenze.
Rispetto alle dimensioni competitive dell’azienda il designer
ha una spiccata capacità di generare innovazione e di definire
dei gradi di personalizzazione.
Gli aspetti comunicativi, di servizio e di strategia non
vengono ancora ricondotti ad attività di design, forse per la
dimensione delle aziende e per la loro matrice che vede
l’imprenditore rivestire un ruolo egemone rispetto alla
pianificazione e all’organizzazione dell’azienda.
| 77
bidimensionali che tridimensionali.
Il web viene utilizzato principalmente come canale di scambio
di informazioni attraverso l’e-mail, che sta, molto lentamente,
rispetto agli altri settori, sostituendo i tradizionali strumenti
di comunicazione, tra i quali continua ad imperare il fax.
Le tecnologie più complesse, come la prototipazione rapida
ed i sistemi di realtà virtuale, hanno una diffusione minore,
sicuramente legata alle elevate barriere sia economiche che
culturali.
Il modello innovativo
Si viene a configurare un modello innovativo ancora
sostanzialmente slegato dalla tecnologia, basato
essenzialmente sulla produzione di cose materiali, i prodotti.
Tale caratteristica viene confermata anche dalla scarsa
attenzione che le aziende intervistate hanno per il servizio, la
comunicazione e per le campagne pubblicitarie.
Riguardo poi alle modalità di promozione della propria
attività, risultano saldamente ancorate ai canali tradizionali,
quali le fiere e la stampa di settore.
La tipologia aziendale fin qui descritta fa emergere come
carattere distintivo la figura dell’imprenditore;
quell’imprenditore che con il suo fiuto e la sua capacità di
59
59
si veda paragrafo 2.4
60
si veda (Fortis 1998 e 2000), (Nonaka e Takeuchi, 1997)
2.6 Conclusioni
61
paragrafo 2.2
62
paragrafo 2.3
| 79
Alla domanda: ma tutte le imprese del Made in Italy sono
Design Oriented? La risposta ovviamente è: No!
Ci sono molti fattori che incidono sulla relazione tra design e
imprese, quali la tipologia di impresa, la sua struttura
decisionale, il settore nel quale operano.
63
“su 30 aziende proprio del settore degli apparecchi di illuminazione, oltre il 45%
degli imprenditori sono risultati essere designer…” Simonelli G., Bertola P. 2002
in Zurlo et alii 2002
64
Bertola P., Sangiorgi D., Simonelli G. 2002
| 81
professionisti, del mondo della ricerca, del mondo della
formazione (che in Italia e in particolar modo rispetto al
design coincide con la ricerca) ma anche del mondo culturale
e della stampa, del sistema fieristico e degli eventi, del sistema
dell’assist, ecc.
Se, come abbiamo visto, il Made in Italy ed il design
rappresentano le caratteristiche distintive della nostra
produzione, forse occorre, per fronteggiare le sfide portate
dalla competizione globale, investire ulteriormente su queste
specifiche caratteristiche distintive, naturalmente con
approcci diversi rispetto alle tipologie di imprese.
invece che mira a formare una cultura di base sul design nelle
PMI meno strutturate affinché riescano a fare il salto
dimensionale e si abituino a relazionarsi con il design e a fare
design.
Un ruolo fondamentale in questa fase può essere giocato dal
66
mondo della ricerca e della formazione soprattutto nella
parte bassa della piramide c’è un’estrema necessità di cultura
del progetto e di progetto da parte di aziende, dotate del
know-how produttivo, ma lontane dalle logiche attuali di
mercato e dalla sensibilità necessaria per realizzare prodotti
che incontrino i gusti di un pubblico sempre più esigente, che
67
non cerca più semplici prodotti ma “esperienze ” ed
68
“emozioni ”.
65
Celaschi F., 2004
66
Il Politecnico di Milano è da anni impegnato in questo ambito ed ha sviluppato
una serie di progetti sperimentali che saranno presentati nella Sezione dei Casi
studio, si veda inoltre il capitolo 4
67
Pine, Gilmore, 2000
68
Norman D., 2004
| 83
3
Distretti industriali, design e percorsi di sviluppo1
3.1 Introduzione
1
Di Venanzio Arquilla, con un saggio di Luciano Consolati
| 85
La disciplina del design negli ultimi anni si sta evolvendo
molto rapidamente verso nuove forme di relazione con le
imprese, ma anche e sempre più con i contesti territoriali che
si configurano come ampi bacini di potenziale intervento del
design dove le risorse economico/produttive si intrecciano a
risorse ambientali, culturali, turistiche ecc.
Il momento di difficoltà che sta attraversando il nostro Paese,
impone che anche il design si confronti con le potenzialità di
sviluppo di tutte le risorse di cui il nostro Sistema Paese
dispone perché tali sfide diventino l’occasione di una rinascita
complessiva dell’economia nazionale. La nostra economia
infatti, come abbiamo visto nel precedente capitolo, non si
basa sull’operato delle poche imprese medio-grandi, che di
fatto hanno “solo” un problema sociale di superamento delle
difficoltà nella gestione dei processi di delocalizzazione e
internazionalizzazione già consumatisi in questi anni e che
hanno impoverito il tessuto di conoscenze e relazioni che
rappresentavano la forza dei distretti e del Made in Italy, ma
una grande area di potenzialità inespressa viene proprio dalla
miriade di piccole e piccolissime imprese (molto spesso
artigiane) che restano attive nei sistemi produttivi locali ma
che di fatto sono incapaci singolarmente di reagire alle sfide
poste dalla competizione globale.
In questo capitolo, dopo una ricognizione sulle teorizzazioni
in atto sui distretti ed una visione per mappe degli stessi, verrà
sinteticamente messa in luce l’evoluzione legislativa che ha
portato al riconoscimento di tali realtà e soprattutto
l’evoluzione in termini di caratteristiche che tale processo ha
scatenato.
In chiusura del capitolo, infine, ci sarà un saggio di Luciano
Consolati che presenterà la sua visione sulle necessità reali dei
distretti con una serie di linee di indirizzo politico per uscire
dall’attuale stato di crisi.
2
Sammarra, 2003
3
Bersani, Letta, 2004, VIII
| 87
qualità. In questo contesto è in atto una fase profonda di
trasformazione dello stesso modello distrettuale. Per effetto dei
processi di delocalizzazione si indeboliscono le relazioni
produttive sul territorio, si allungano le filiere di prodotto, sia a
monte verso la ricerca sia a valle verso la commercializzazione, si
stempera la vocazione manifatturiera con effetti rilavanti sulla
tenuta dell’occupazione e della coesione sociale. Si è passati da un
modello di crescita dei distretti industriali di tipo estensivo…
(espansione volumi di produzione ed export, occupazione e
domanda relativa al Made in Italy crescente), a un modello di
tipo intensivo, nel quale lo sviluppo è più selettivo, incorpora
crescenti fattori di qualificazione strategica, a volte riduce i
livelli occupazionali, spesso ridimensiona l’ampia platea di
microimprese che popolano i sistemi produttivi locali invece di
rilanciare le opportunità di fare squadra”.
4
Marshall, 1919, 283
5
Becattini 2000, p.58
6
Becattini, 1989, p.401
7
Becattini 2000, p.58
8
Becattini, 1989, p.401
| 89
Questa affermazione esemplifica il concetto chiave delle
economie esterne su cui poggia il modello marshalliano.
9
9
Per Marshall le economie esterne sono le “economie che risultano dallo sviluppo
di industrie connesse che si aiutano a vicenda; e che talvolta sono concentrate nella
stessa località” Marshall, 1979
10
Becattini 2000, p. 60
Sub-fornitori I° livello
11
Si veda in proposito il paragrafo 3.5
12
“L’autocontenimento e la progressività del processo di divisione del lavoro,
insieme alla specializzazione produttiva che vi si realizzano, producono un crescente
surplus di prodotti”. – Becattini 2000, p. 59
| 91
“osserva attentamente le vicende del mercato mondiale dei
prodotti del distretto e dall’altro, approfondisce in continuazione
la sua conoscenza del distretto come entità produttiva e socio-
culturale” . 13
13
Becattini 2000, p. 65
14
Brusco 1989, p. 309-310
15
Gli aspetti di cooperazione e competizione ed i loro meccanismi regolatori come
la reputazione e le sanzioni sociali sono stati trattati da Dei Ottati 1987 e Brusco
1989
16
Becattini 1989, p. 403
17
Becattini 2000, p. 68
18
Piore e Sabel, 1984
19 a
nalogamente al concetto di “mileu socio produttivo”
20
Becattini 1987, p. 8
| 93
produttività comporta un aumento della competitività è una
crescita della produzione, la crescita della produzione implica,
a sua volta, l'aumento dell'occupazione. Gli investimenti,
quindi, non sono risparmiatori di lavoro ma piuttosto,
attraverso l'innesco di interazioni dinamiche tra le imprese,
aprono strade aggiuntive per l'inserimento di forza lavoro
sempre più qualificata ed aumentano i vantaggi competitivi
dinamici del sistema locale.
Le società locali dei distretti industriali sono caratterizzate da
un elevato grado di integrazione sociale e da elevate
opportunità di mobilità sociale e quindi garantiscono, senza
necessità di grandi interventi sociali, il raggiungimento della
coesione sociale registrabile dai bassi tassi di disoccupazione. Il
territorio e la comunità locale rappresentano punti particolari
come unità di intervento strategica della politica industriale e
della politica di sviluppo.
Le politiche locali rappresentano dunque, in questa
prospettiva, l'opportunità di far emergere la cultura del
progetto e la responsabilizzazione degli attori locali dello
sviluppo per la mobilitazione di risorse soprattutto locali ma
anche esterne, per il rafforzamento dei vantaggi competitivi
locali senza tralasciare il contesto socio-culturale, che funge da
legante l’intera comunità.
21
Vaccà 1987
| 95
“La riproduzione evolutiva dei distretti passa attraverso un
nuovo rapporto tra dimensione locale e dimensione globale.
L’internazionalizzazione delle imprese-leader e la presenza di
integratori versatili tra i circuiti globali e locali delle conoscenze
22
22
Becattini e Rullani, 1993
23
Grandinetti, 1998
24
Rullani in Quadrio Curzio e Fortis (a cura di), 2000, p.176
25
Rullani, 1997, p. 57
26
Sammarra, 2003, p.14
27
Varaldo e Ferrucci, 1997
28
“La teoria ecologica delle popolazioni organizzative si fonda sull’idea che il
processo di cambiamento organizzativo non avviene all’interno delle singole
organizzazioni, che sono viste come sistemi caratterizzati da forze inerziali
difficilmente superabili, ma come alternarsi/sostituzione di forme organizzative di
fronte al cambiamento delle condizioni ambientali e dei rapporti di concorrenza…
Staber (1998) spiega l’evoluzione interna dei distretti in relazione ai processi di
| 97
arrivare agli attuali dibattiti sull’approccio cognitivo e
l’approccio relazionale spesso compresenti e complementari.
La stessa autrice poi, riportando la teoria alla pratica,
attraverso una lettura di vari tentativi di sistematizzazione
empirica delle tipologie di distretti arriva a definire una
propria catalogazione che combinata alla visione del ciclo di
vita distrettuale individua in un quadro sistemico le principali
traiettorie di sviluppo dei vari modelli distrettuali sia in chiave
path-dependent che path-breaking.
33
Rullani 2004, p. 91
34
ibidem, p. 93
| 99
conseguire il massimo delle economie di replicazione possibile.
Ma per produrre valore non basta trasferire e replicare le
conoscenze codificate in una pluralità più grande possibile di
contesti diversi: occorre anche, per ciascuno di essi, ri-
contestualizzare il sapere codificato, integrandolo con le
conoscenze strategiche che permettono all’impresa di presidiare in
modo originale, competitivo, i contesti in cui è insediata” . 35
35
Rullani 1998, p.141
36
Nonaka e Takeuchi 1997
37
Maffei, Simonelli, 2000, Zurlo ed alii, 2000 parlano in questo caso del ruolo che
il designer può avere, sia per le imprese che per l’intera realtà distrettuale, con
questa funzione di catalizzatore
38
Questa e le precedenti citazioni fanno riferimento, dalla prima, rispettivamente a
Nonaka e Takeuchi 1997, p. 103, p.105, p. 110, p. 112.
| 101
operano con la conoscenza creata trasformano nuovamente la
conoscenza esplicita con un processo di apprendimento ed
azione che chiude il ciclo e contemporaneamente ne riapre un
altro.
Il designer attraverso i propri strumenti di azione (tool) e
l’attività di progetto contribuisce in maniera sostanziale alla
codifica delle conoscenze tacite locali e alla loro esplicitazione
attraverso la creazione di prodotti, comunicazione e servizi
che vengono esportati globalmente. In questa azione
maieutica di codifica dei segnali locali il ruolo del designer è
duplice in quanto il progetto è influenzato da un lato dalla
conoscenza tacita locale tecnica sul prodotto e dall’altro dalla
conoscenza globale, in quanto il designer è un operatore della
conoscenza che vive nel contesto globale attento
all’evoluzione di trend, tendenze e stili di vita con un occhio
sempre attento sull’utilizzatore finale, e quindi attraverso la
suo opera riesce ad attivare un percorso di esplicitazione della
conoscenza tacita locale combinata a portati della conoscenza
globale e viceversa.
livello collettivo.
Come si può vedere dalla tabella seguente, esistono e si
intrecciano in sistemi complessi come i distretti, 3 livelli di
apprendimento: apprendimenti interno; apprendimento
collettivo; apprendimento cooperativo.
39
Sammarra 2003, p.28
| 103
L’apprendimento interno è relativo alla singola realtà aziendale
e deriva dalle attività del “fare”, le forme tipiche attraverso cui
questo avviene sono: il learning by specializing, dovuto
all’elevata divisione del lavoro tra imprese e all’accentuata
specializzazione interna (concentrazione delle imprese su fasi
specifiche di lavorazione) che portano ad accumulare
un’economia di competenze ed esperienze notevoli in ambito
tecnico produttivo, e learning by doing, le persone coinvolte
nelle singole fasi di lavorazione, attraverso dinamiche
esperienziali, imparano facendo; il capitale di conoscenze
aziendale risiede quindi nelle maestranze presenti e viene
trasferito solo con il contatto diretto e la sperimentazione
(conoscenze tacite).
L’apprendimento collettivo generato dalla condivisione di più
imprese di quella che viene definita atmosfera industriale
rafforza i meccanismi di apprendimento interno e fa
riferimento al concetto di milieu innovateur . 40
40
Sammarra riporta a proposito del Milieu Innovateur la definizione di Camagni
nella quali si dice che “il milieu innovateur è definito come un insieme di relazioni che
avvengono su un territorio limitato che coinvolgono in modo coerente il sistema
produttivo, gli attori economici e sociali locali, una cultura specifica, un sistema di
convenzioni e rappresentazioni”, Sammarra 2003, p.29
41
Sammarra 2003, p.32
42
Camagni, Capello, 2002
| 105
origina in uno spazio astratto ma si genera localmente in un
sistema integrato che giunge a coinvolgere anche aspetti sociali ed
istituzionali… la dinamica innovativa è raramente racchiusa
all’interno dei confini organizzativi o dei laboratori di ricerca di
singole imprese. In realtà, una parte rilevante delle innovazioni
adottate dall’impresa ha origine al suo esterno e coinvolge i
clienti o i fornitori dell’impresa (Pavitt). Inoltre, lo sviluppo di
relazioni dense con soggetti presenti sul territorio quali altre
imprese, università, istituzioni di ricerca è uno dei fattori chiave
per gestire l’incertezza legata ai processi innovativi e facilitare la
produzione di conoscenza…” . 43
_______________________________________________
Meccanismi di apprendimento nei distretti Industriali
Learning by
Ambiente cooperating
esterno
I I
Learning by
external
adapting
I Network
Inter Impresa
I
I
I
Collective
learning Learning by doing,
Distretto by specilizing
43
Sammarra, 2003 p.36
44
Rullani, 2004 p. 43
45
Industrial Performance Center, Massachusetts Institute of Technology,
Cambridge, MA 02139
http://web.mit.edu/polisci/research/locke/il_caso_italiano.pdf
| 107
accesso e conservare quel tipo di informazioni che si trasmette
solo attraverso le relazioni sociali: integrare queste conoscenze
in nuovi prodotti ad alto valore aggiunto, e trovare una
manodopera altamente specializzata. Nel loro secondo viaggio
in Italia gli autori hanno riscontrato modi diversi di prendere
le misure alla globalizzazione e soprattutto che nuovamente i
distretti stanno mettendo a punto le loro originale
interpretazione del fenomeno.
46
Maffei, 2003
47
Che quasi sempre corrispondono ai luoghi storici della comunità, ovvero il caffè,
il circolo sportivo, la banca, la piazza, il club…
| 109
Anche in questo caso si parla di impresa e gruppi di imprese e
non di distretto in generale come attore in grado di sviluppare
l’innovazione, gli autori si sono concentrati in particolare
sulla descrizione dei modi in cui alcune imprese leader
riescano attraverso network relazionali sia interni che esterni
al distretto a generare innovazione. “La capacità innovativa
dell’impresa non è considerata una semplice funzione della
variabile dimensionale ma, piuttosto, come una conseguenza
della capacità relazionale e di coordinamento delle imprese, siano
esse grandi o piccole”. 48
48
Sammarra 2003, p.39
3.2.5 Dalla teoria alla pratica: modelli di distretto e ipotesi del ciclo
di vita
Dopo la ricognizione teorica è opportuno ricondurre la
riflessioni sull’osservazione della situazione reale dei distretti
industriali, dei fenomeni evolutivi, o involutivi, che ne
caratterizzano le sorti e dei modelli in atto dando per assodato
che non si può più, o forse non si è mai potuto, parlare di
modelli univoci di descrizione dei distretti se non attraverso
49
Biggiero 1999
50
Albertini, Pilotti, 1996
51
Pilotti, 1998 p. 18
52
Rullani 2002
| 111
forzature teoriche coercitive che poco rappresentano la
situazione reale di questi contesti ricchi di relazioni sociali e
produttive.
Corò e Rullani , come abbiamo già detto, leggono la nascita,
53
Policentrico
(4)
(5)
(7)+(4)
Canonico
Tipologie di distretto
(1)
(2)
(3)
(6)
Gerarchico
Legenda
Frecce orizzontali: traiettorie path-dependent
Frecce verticali: traiettorie path-breaking
(1) = gerarchizzazione sostitutiva endogena per linee interne
(2) = gerarchizzazione sostitutiva endogena per linee esterne
(3) = gerarchizzazione sostitutiva esogena
(4) = transizione guidata
(5) = esplorazione pluralistica
(6) = sviluppo estensivo endogeno
(7) = riposizionamento strategico
53
Corò, Rullani, 1998
54
Parlano di Ciclo di Vita del distretto Carminucci, Casacci 1997 e Esposito 1994
parla di:
- distretti policentrici;
- distretti canonici
- distretti gerarchici
55
Sammarra, 2003 p. 82
56
Hanno effettuato analisi sistematiche su questi temi tra gli altri: Paniccia 2002,
Pilotti 1998, 1999, Corò Grandinetti, 1999
| 113
importanti aziende nazionali ed internazionali di calzature
sportive e dove oggi alcuni produttori, con Mario Moretti
Polegato (patron di Geox) a capo, sono riusciti anche a
superare il settore caratteristico di specializzazione locale
diventando leader mondiali grazie ad attente strategie di
definizione del prodotto (nello specifico di Geox per il
corretto utilizzo del brevetto internazionale della “scarpa che
respira”), di cura della comunicazione, del servizio e del
sistema distributivo e di vendita basato su show-room
monomarca.
57
Corò, Grandinetti, 1998
58
Paniccia, 2002
59
Visconti, 1996
| 115
evolvere il distretto o di impoverimento del tessuto socio-
produttivo che porta al declino.
I percorsi evolutivi però non sempre seguono dinamiche
lineari e non è detto che i distretti di una determinata
tipologia evolvano esclusivamente seguendo il proprio ciclo di
vita, come si può vedere dallo schema precedente.
Si possono individuare due forme evolutive basilari definibili
di tipo:
- path-dependent;
- path-breaking.
60
Sammarra 2003, p. 74
61
ibidem
62
Il paragrafo è stato redatto da Arianna Vignati
| 117
Dal punto di vista della legislazione italiana il concetto di 63
63
Si veda in proposito anche Arquilla 2002 in Maffei, Simonelli 2002
| 119
Regioni che hanno individuato i distretti Abruzzo
con la legge 317/91 Campania
Liguria
Marche
Piemonte
Sardegna
Regioni che hanno individuato i distretti Basilicata
con la legge 140/99 Lazio (in corso di approvazione)
Puglia (in corso di approvazione)
Veneto
Regioni che si sono avvalse di entrambe le Friuli Venezia Giulia
leggi Lombardia
Toscana
64
ERVET Politiche per le imprese S.p.A., capogruppo del "Sistema dei Centri di
Servizio" della Regione Emilia-Romagna, svolge analisi economiche e realizza
numerosi progetti innovativi su temi quali lo sviluppo territoriale, la
sperimentazione di nuove metodologie in campo ambientale, la valutazione di
interventi di politica industriale. | www.ervet.it |.
65
Cfr. http://www.regione.emilia-romagna.it/temisia/italy/italiano/er_t.htm.
Regione Piemonte
La Regione Piemonte, con la Deliberazione del Consiglio Regionale 26 febbraio 2002, n.
227 – 6665, Rideterminazione dei distretti industriali del Piemonte, di cui alla D.C.R. n.
250-9458 del 18 giugno 1996, ha individuato 29 Distretti Industriali (2 in phasing out:
distretto n.13 di Carpignano Sesia e distretto n.19 di LaMorra).
Regione Liguria
66
Attualizzazione a cura di Antonella Castelli
| 121
A partire dall’approvazione della legge regionale 13 agosto 2002 n. 33, (pubblicata sul
Bollettino Ufficiale Regionale 28/08/2002 n. 12), Interventi da realizzarsi nell'ambito dei
sistemi produttivi locali e dei distretti industriali, sono stati individuati 10 distretti
industriali con una particolare concentrazione nell’area genovese (3 distretti) e dal punto
di vista delle specializzazioni una forte componente produttiva è data dall’industria dei
mezzi di trasporto e della lavorazione dei metalli.
Regione Toscana
La Regione Toscana ha ufficialmente individuato i distretti industriali con una Delibera
del Consiglio regionale n.69 del 21/02/2001. La delibera consiliare applica le
disposizioni in materia di «definizione e individuazione dei distretti industriali»
dell’articolo 36 della legge 317 del 1991. Nel 1998 la Toscana con legge regionale
individua i propri parametri e nel febbraio 2000 individua ufficialmente i 12 distretti.
| 123
Regione Marche
La Regione Marche con la dcr n. 259 del 29 luglio 1999, “Individuazione di aree
territoriali locali a valenza distrettuale”, al fine di avviare politiche di intervento a favore
delle specializzazioni produttive regionali, ha individuato 26 distretti.
Regione Abruzzo
Sono cinque i distretti industriali abruzzesi, che riuniscono alcune fra le zone più
produttive dell’Abruzzo (Maiella agro-alimentare, Piana del Cavaliere, Vastese - San
Salvo - Gissi - Atessa meccanico, Val Vibrata - Toldino Vomano abbigliamento, Marsica
- Avezzano : agro-alimentare). Con il sesto distretto, di natura leggermente diversa, in
fase di elaborazione sulla costa: coinvolge i comuni di Pescara, Montesilvano, Spoltore,
Città Sant’Angelo, Cappelle sul Tavo e Cepagatti, e riguarda le attività legate ai servizi.
Regione Lazio
Attesa nel Lazio da dieci anni, con la legge 36/2001 la Regione individua le aree
distrettuali con lo scopo di valorizzare le potenzialità produttive ed i sistemi di rete del
territorio. La regione individua tre tipologie di aree distrettuali: distretti industriali,
sistemi produttivi locali ed aree laziali di investimento.
Sono 3 le aree attualmente individuate: Civita Castellana (ceramica), Valle del Liri
(abbigliamento), Monti Ausoni – Tiburtina (estrazione e lavorazione della pietra).
| 125
Regione Basilicata
Con la legge regionale n.1/01 la Regione Basilicata individua sul territorio regionale 4
aree distrettuali (Pescopagano, Vulture, Sant’Angelo Le Fratte, Matera) sulla base delle
quali avviare politiche di incentivazione alle imprese.
Regione Sardegna
Con il decreto dell’Assessore dell’industria 7 agosto 1997, n.377, la Regione Sardegna ha
provveduto a riconoscere 4 distretti industriali: distretto del sughero di Calangianus-
Tempio, distretto del marmo di Orosei, distretto del tappeto di Samugheo e distretto del
granito della Gallura. Successivamente, con delibera di Giunta 2.7.2002, n.21/38, la
Regione ha riconosciuto anche 3 sistemi produttivi locali (SPL): telecomunicazioni,
informatica, hardware e attività connesse, ricerca e sviluppo, industria alimentare.
| 127
Con l'individuazione dei meta-distretti la Regione ha voluto
cogliere, in via ancora fortemente sperimentale, aree
produttive di eccellenza con forti legami esistenti o potenziali
con il mondo della ricerca, dei servizi e della produzione
dell'innovazione. La necessità di individuare i meta-distretti,
così come lo è stata l'individuazione dei distretti tradizionali,
è nata innanzitutto da esigenze di politica di sviluppo
industriale.
Con i meta-distretti la Regione ha voluto censire quelle aree
| 129
specialmente il design, che la competizione internazionale si
fonda sempre di più sulle dinamiche di innovazione legate
alla conoscenza.
A partire da queste consapevolezze quindi, il tentativo di
estendere le categorie tradizionali di distretti a queste nuove
forme di organizzazione produttiva e della conoscenza è stato
il primo passo verso una nuova politica di sostegno
all’innovazione delle imprese.
67
Con la legge regionale 5 gennaio 2000, n.1 la Regione Lombardia ha
stabilito la revisione della normativa in materia di distretti industriali per
consentire di adeguare la disciplina vigente, approvata nel 1993 (l.r. 7/93), al
modello organizzativo e di sviluppo socio economico che il momento richiede.
Con dgr n. VII/3839 del 16.3.2001 sono stati individuati i distretti di
specializzazione produttiva e sono state approvate le linee di indirizzo per la
definizione dei criteri per la individuazione dei distretti tematici meta-distretti.
Questo provvedimento ha segnato anche l’avvio della ridefinizione complessiva
del quadro di riferimento nella materia costituito dalla l.r. 7/93 e dai relativi
provvedimenti di attuazione. Con l’attuale provvedimento si completa la parte
relativa alla individuazione territoriale dei distretti mentre, il processo di
revisione normativa, previsto dalla l.r. 1/2000, si esaurirà con l’emanazione di
un successivo provvedimento che riguarderà, tra l’altro, i livelli organizzativi, le
politiche di intervento e le azioni di sostegno alle imprese dei distretti, nonché
gli aspetti procedurali anche con riferimento quelli attinenti le procedure per la
presentazione e l’approvazione dei progetti.
Fonte: http\\www.regione.lombardia.it
68
I metadistretti in Lombardia sono così suddivisi:
- biotecnologie alimentari: interessa 121 comuni delle 11 province lombarde e
comprende 11 centri di ricerca e 30.455 addetti.
- biotecnologie non alimentari: si sviluppa su 58 comuni della regione di 8
province lombarde e comprende 26 centri di ricerca e 46.266 addetti.
- design: 65 comuni di 6 province lombarde e comprende 11 centri di ricerca,
44.958 addetti.
- materiali: si sviluppa su 103 comuni di 10 province lombarde (esclusa
Cremona) e comprende 29 centri di ricerca e 32.748 addetti.
- moda: 126 comuni di 9 province lombarde (escluse Sondrio e Lecco) e
comprende 4 centri di ricerca e 120.406 addetti.
- ICT: 31 comuni interessati.
Fonte: http\\www.regione.lombardia.it
| 131
perciò dai distretti tradizionali sostanzialmente per un
particolare aspetto: la loro indipendenza rispetto ai limiti
territoriali. Non si tratta di configurazioni territoriali, bensì di
forme cognitive di aggregazione della conoscenza attorno a
quelle strutture che producono tale conoscenza (Università,
centri di ricerca ecc.) ed a quelle strutture (produttive) che
impiegano tale conoscenza come leva per la competitività
internazionale.
È in virtù di ciò che la “base tematica” che lega il meta-
distretto consente di pensare ad esso come una fitta rete di
relazioni tra attori anche tra loro territorialmente distanti.
Questa considerazione diventa determinante se pensiamo al
meta-distretto del design. Una delle principali caratteristiche
dell’impianto concettuale del metadistretto lombardo del
design è, infatti, quella di mettere in relazione diretta le
tradizionali aree distrettuali di specializzazione, dove da anni
le imprese utilizzano di fatto il design come leva competitiva,
con le strutture dove la conoscenza di design viene generata
(università, centri di ricerca, associazioni, centri servizi ecc.).
È indispensabile che la rete che lega virtualmente questi nodi
del sistema (imprese, università, centri di ricerca,
professionisti ecc.) diventi sempre più attivatore di un
processo continuo e virtuoso di produzione e scambio di
quella conoscenza che è alla base dei processi di innovazione
guidata dal design.
69
Rientrano nel meta distretto le aziende dei seguenti settori Istat: fabbricazione di
mobili (cod. Istat 36.1), fabbricazione di apparecchi di illuminazione e di lampade
elettriche (cod. Istat 31.5), fabbricazione di articoli di coltelleria e posateria (cod.
Istat 28.6.1), fabbricazione di serrature e cerniere (cod. Istat 28.63), costruzione di
stoviglie, pentolame, vasellame, attrezzi da cucina, e accessori casalinghi, articoli
metallici per l’arredamento di stanze da bagno (cod. Istat 28.75.1), costruzione di
altri articoli metallici e minuteria metallica (cod. Istat 28.75.3), fabbricazione di
rubinetti e valvole (cod. Istat 29.13), fabbricazione e installazione di macchine per
la lavorazione di legno e materie similari, compresi parti e accessori, manutenzione
e riparazione (cod. Istat 29.56.4).
| 133
3.4 Dove vanno i distretti industriali70
70
Il paragrafo è stato redatto da Luciano Consolati, Segretario Generale di
Confartigianato Brescia, ex presidente del “Club dei Distretti Industriali” esperto di
distretti industriali.
| 135
volte da parte degli stessi soggetti il “de profundis” del
modello distrettuale, evidenziando in molti casi una certa
superficialità o quantomeno una certa frettolosità nel
giudizio.
Indubbiamente la sfida alla quale sono sottoposti i distretti in
questi ultimi anni ha i connotati di una sfida epocale, la
concorrenza cinese ad esempio, che, utilizzando termini soft,
vogliamo definire “asimmetrica”, impatta direttamente sulle
specializzazioni del Made in Italy, che come è noto è
fortemente “basato” territorialmente nei distretti. La perdita
di quote di mercato internazionale nei nostri settori
tradizionali che è iniziata alla fine degli anni novanta, ha
significato una perdita cumulata di assoluto rilievo in
percentuale del P.i.l. e si è tradotta anche in una perdita secca
di posti di lavoro nell’industria manifatturiera, fenomeno
aggravato anche dalle delocalizzazioni da costi avviate da
molte imprese, anche distrettuali.
Un ulteriore elemento che aggrava la situazione è che tutto
ciò è accaduto in tempi molto ridotti, quantomeno per come
noi italiani, ma in generale anche il resto degli Europei, siamo
abituati a concepire il fattore tempo. Sembra quasi che un
anno per la Cina ed altri competitors equivalga a dieci anni
dei nostri, per il passo che questi Paesi, anche per le
condizioni da cui partono, hanno impresso al loro sviluppo
economico, ma anche per nostri ritardi, certamente legati al
nostro modello di società, ma che in molti casi diventano
“patologici” e certamente non più sopportabili, in un
contesto competitivo qual’è quello attuale.
| 137
che alla scala del mercato del lavoro locale e quindi del
territorio visto come contesto formativo. L’attività di
formazione non può più essere di tipo episodico, ma deve
entrare a far parte stabilmente delle strategie aziendali e
quindi come tale rappresentare una voce di costo precisa ed
enucleata nei bilanci aziendali.
Internazionalizzazione/ globalizzazione
Le dinamiche di apertura di nuovi mercati e i mutamenti
politici avvenuti hanno prefigurato scenari di ampliamento e
di delocalizzazione di attività manifatturiere, favorite da
condizioni ambientali particolari e supportate dal sempre
crescente livello di informatizzazione. Le aziende dei distretti
esportano mediamente più del 50% della loro produzione, il
distretto, perciò, appare come una struttura industriale,
quindi già internazionalizzata (nel senso che vende all’estero
gran parte dei prodotti finiti), ma non è ancora abbastanza
globale, se con questo termine si intende una catena
produttiva distribuita su una pluralità di Paesi, ciascuno dei
quali viene scelto per i vantaggi che rende accessibili alla fase
che ospita. Per passare dall’internazionalizzazione
all’organizzazione globale della catena produttiva, infatti,
bisogna inoltrarsi in processi di delocalizzazione delle fasi
“povere” della catena, in strategie di networking o di
investimento diretto all’estero, per avere accesso ai luoghi
eccellenti in cui prendono forma le nuove idee tecnologiche o
di business.
In questo senso oltre che avere come riferimento di sbocco
della produzione i mercati esteri, il processo di globalizzazione
deve coinvolgere le diverse fasi del processo di produzione.
Per quanto rimangano indispensabili e da potenziare gli
aspetti relativi alle informazioni sui mercati tradizionali e sui
nuovi mercati, l’analisi deve riguardare anche i partner
possibili e le potenzialità dei territori. Queste informazioni
| 139
delocalizzazione delle fasi “povere” della catena, in strategie di
networking o di investimento diretto all’estero per avere
accesso ai luoghi eccellenti in cui prendono forma le nuove
idee tecnologiche o di business. Ma in questo percorso, ad
esempio, è assai improbabile coinvolgere anche l’universo
delle microimprese che tanta parte hanno avuto anche nei
successi delle imprese leaders distrettuali, evitando
delocalizzazioni solo “da costi comparati” che rappresentano
un impoverimento del territorio.
| 141
rapporti fra le imprese, favorisce una
disaggregazione/riaggregazione delle attività precedentemente
legate nelle catene del valore, in nuovi cluster dalle
caratteristiche differenti.
Questa destrutturazione dei network tradizionali è 1’elemento
centrale che contribuisce a spiegare 1’impatto del commercio
elettronico sulle reti operanti nei distretti, e l’ulteriore
tendenza a ridisegnare 1’architettura, interna ma soprattutto
esterna, del sistema relazionale che governa gli scambi
economici nei distretti industriali. Rispetto alla struttura
distrettuale tradizionale, la digitalizzazione provoca, dal punto
di vista delle reti economiche, un allargamento delle
potenzialità relazionali e quindi anche e soprattutto dei
percorsi cognitivi delle imprese distrettuali.
Nasceranno progressivamente nuovi Distretti Digitali, dove a
differenza di quelli reali caratterizzati dalla prossimità fisica
delle imprese aderenti al distretto stesso, le imprese dei nuovi
Distretti apparterranno sempre allo stesso settore ma saranno
localizzate dove è più conveniente essere per svolgere l’attività
ed il ruolo di competenza.
Si può intravedere, a questo riguardo, la dilatazione del
concetto di distretto da una realtà geografica ristretta ad uno
spazio fisico più ampio e virtualmente illimitato, in cui è
possibile attivare relazioni con operatori geograficamente
distanti e fruire della cooperazione tra più attori rispetto a
quella possibile in un distretto fisico, dove tuttavia la sfida è
rappresentata dalla possibilità di ricreare i vantaggi derivanti
ad esempio dall’adiacenza degli operatori tipica dei distretti
tradizionali.
| 143
di ricerca, etc.).
Il metadistretto, quindi, parte da un processo evolutivo reale e
inserendolo nel modello distrettuale del tipo cognitivo-
relazionale, quindi, non è altro che la configurazione delle
nuove dinamiche cognitive del distretto e dei nuovi attori che
su di esse operano.
Con questo approccio il concetto di “metadistretto” è anche
più facilmente trasferibile sul fronte delle politiche. In
quest’ottica ad esempio non si tratta tanto di individuare
nuove aree settoriali, quanto di individuare nuovi sistemi di
relazioni e nuove aggregazioni di filiera a partire dai settori
“distrettuali” già presenti, o eventualmente da “nuovi settori
distrettuali” non strettamente riconducibili a quelli
tradizionali (software, design, etc.).
L’assunzione, quindi, del metadistretto come evoluzione
deterritorializzata del distretto tradizionale richiede un “salto
qualitativo”, anche sul fronte delle politiche, le quali devono
sempre più focalizzarsi non tanto e non solo su delimitazioni
territoriali specifiche, quanto su interventi sui processi di
riconfigurazione dei networks e sul sistema di relazioni che ad
essi sottendono, sul rafforzamento delle dinamiche cognitive
degli attori vecchi e nuovi e sulla costruzione di comunità
virtuali che riproducano in forme rinnovate le tradizionali reti
sociali dei distretti.
La definizione concettuale del metadistretto consente, infatti,
di ripianificare i luoghi di intervento di sostegno alle imprese
da parte delle istituzioni nazionali e locali. Per poter attuare
una politica mirata è necessario ricostruire la catena del valore
ed intervenire nei luoghi di competenza territoriale.
All’estero è necessario creare situazioni ambientali favorevoli
all’insediamento delle strutture necessarie al completamento
delle fasi cui sono preposte. La fase di manifattura, ad
esempio, più convenientemente eseguibile in Paesi con un
costo della manodopera inferiore, può essere supportata da
politiche di gemellaggio e partnership con le istituzioni e gli
enti esteri.
| 145
aggiunto. Il rapporto con le istituzioni di alta formazione e
ricerca, come l’università, possono sopperire, tramite la
creazione di progetti mirati, alle scarse economie di scala che
la singola azienda è in grado di investire. I temi di ricerca
devono essere mirati sì al soddisfacimento dei bisogni
dichiarati dal singolo distretto o aggregazione di imprese, ma
devono soprattutto mettere in luce quegli ambiti in cui è
possibile ancora espandersi, non rilevabili con una logica di
innovazione incrementale, più efficace per il processo
produttivo, nel quale il distretto è luogo di eccellenza.
Passare da un approccio adattivo ad un approccio proattivo,
richiede ai distretti di sviluppare nuove strategie basate sulla
capacità di arricchimento dei loro prodotti con quote
crescenti di informazioni e con avanzamenti scientifico-
tecnologici prodotti dall’ambiente esterno al distretto,
finalizzate ad aumentare il valore aggiunto incorporato nei
prodotti, passando sostanzialmente da un modello di sviluppo
di tipo “estensivo” ad un modello “intensivo”.
| 147
In conclusione, oltre a quanto fin qui esposto e a fronte delle
grandi trasformazioni che stanno interessando e che
attendono i distretti industriali nel loro immediato futuro,
pare opportuno sottolineare la necessità per i distretti
industriali, e gli attori che in essi operano, di ritrovare la
volontà ed il consenso per aggregare e perseguire gli interessi
generali del territorio. Quando si prendono in considerazione
investimenti in ricerca, in formazione continua in
infrastrutture materiali o immateriali, si vede spesso che il
circolo vizioso da vincere è proprio quello della mancanza di
convenienze individuali che si accoppia, spesso all’assenza di
istituzioni o enti capaci di funzionare come catalizzatori.
In presenza di questi circoli viziosi che bloccano le capacità
spontanee di evoluzione dei sistema attuale, è possibile
prevedere un disagio ulteriormente crescente all’interno dei
distretti.
Sul futuro dei distretti, quindi, incombe tutta una serie di
domande che sono pesanti come macigni, ma da qui a
decretare, come capita sempre più spesso, la fine dei distretti
il passo sembra un po’ azzardato. Certamente la storia
economica ci ricorda, che la realtà dei distretti industriali
come qualsiasi modello organizzativo o si evolve o scompare,
vedi ad esempio l’esperienza inglese della fine ottocento e dei
primi del novecento. Ma è convinzione, per fortuna non solo
mia, ma di molti altri più illustri “cultori”, che nel “dna” dei
principali e più consolidati distretti italiani ci siano le capacità
e le risorse umane e tecnico-economiche per reagire.
Sicuramente la fase di sviluppo estensivo è finita, ed inoltre,
probabilmente, il distretto da solo, in forma spontanea non
riesce a mettere in campo risposte adeguate al profilo delle
sfide che ha di fronte. Se vogliamo salvaguardare il
“patrimonio” dei distretti, quindi, è il momento di passare
“dalle parole ai fatti” concreti in tema di politiche per i
distretti. Politiche che riguardano senz’altro le tematiche fin
qui citate, ma affrontate con un’ottica reale di sistema, che
coinvolga tutte le tipologie delle imprese distrettuali. Ben
sapendo che se le imprese leaders non innovano o non si
internazionalizzano o non investono in formazione, ben
difficilmente lo potranno fare le microimprese che vivono di
domanda derivata. Ben sapendo che se le banche non si
“coinvolgono” nel processo di sviluppo locale, anche
| 149
4
Design e Nuove forme di distrettualità riconosciuta1
4.1 Introduzione
1
di Arianna Vignati
2
L’Agenzia SDI | Sistema Design Italia del Politecnico di Milano e la varie sedi
nazionali delle rete SDI | Sistema Design Italia partendo dalla prima ricerca sul
| 151
dell’innovazione nella complessa realtà di localismi presenti in
Italia ognuno con peculiarità, disponibilità di risorse, attori
propri e differenti. Questo capitolo si apre proprio con una
ricognizione nazionale sulle nuove forme di distrettualità
presenti a livello nazionale, scaturite da un lavoro di
riconoscimento del complesso sistema di risorse che
costituiscono il potenziale di crescita dell’intero Sistema
Paese. Accanto, infatti, a forme consolidate di distretti
industriali si sono configurate realtà distrettuali che si
fondano sulla connessione di risorse agroalimentari
(giacimenti enogastronomici), risorse turistiche (distretti
turistici), risorse culturali (distretti culturali) e risorse legate a
conoscenze specifiche e diffuse (metadistretti).
Questa complessità di situazioni ha fatto sì che la relazione tra
design e differenti conformazioni delle realtà distrettuali
venisse trattata in termini di metodologia, strumenti e
competenze in atto confrontandosi con un ampio tema che è
quello dello sviluppo locale. A partire dal riconoscimento di
questo nuovo ambito di progetto nel capitolo verranno
trattate le seguenti tematiche:
- i nuovi modelli di distretto non propriamente
industriali, distretti culturali e distretti per la
valorizzazione dei prodotti tipici locali;
- la ricerca-azione come modalità di azione del design
per i sistemi territoriali;
- design for trust, con la fiducia intesa come principale
attivatore di relazione tra sistema del design e sistemi
produttivi locali.
Sistema Design Italia co-finanziata dal MIUR (Il ruolo del Disegno Industriale per
l'innovazione di prodotto. Sviluppo delle risorse progettuali del Sistema Italia tra risorse
locali e mercati globali.) nel 2000, dopo aver mappato a livello nazionale la relazione
tra design e imprese relativamente allo sviluppo dei sistemi prodotto aziendali,
hanno esplorato le tematiche del Design, Distretti Industriali e ICT (Il Design per i
Distretti Industriali. Sistemi di competenze e nuove reti di connessione per la
competitività dei Sistemi Produttivi Locali italiani) e nel 2002 hanno esteso
ulteriormente il campo di indagine conoscitiva grazie alla ricerca Me.Design:
strategia, strumenti e operatività del disegno industriale per valorizzare e potenziare le
risorse dell'area mediterranea tra locale e globale che ha visto concentrare le attenzioni
dei ricercatori proprio sulle tematiche legate allo sviluppo locale e precisamente
sulla definizione di un ruolo del design nei processi di sviluppo locale incentrati
sulla valorizzazione del Capitale Territoriale.
3
Fondata da Carlo Petrini, Slow Food è un’associazione internazionale che
conta 82.000 iscritti, con sedi (in ordine di nascita) in Italia, Germania,
Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, oltre a rappresentanze in 107 diversi
Paesi. Slow Food si impegna nella salvaguardia dei cibi, delle tecniche colturali
e di trasformazione ereditate dalla tradizione, nella difesa della biodiversità
delle specie coltivate e selvatiche, nonché nella protezione di luoghi conviviali
che per il loro valore storico, artistico o sociale fanno parte anch’essi del
patrimonio gastronomico.
4
Il progetto dei Presìdi mira a sostenere le piccole produzioni eccellenti che
rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano mestieri e tecniche di
lavorazione tradizionali, salvando dall’estinzione razze autoctone e antiche
varietà di ortaggi e frutta. I Presìdi coinvolgono direttamente i produttori,
offrono l’assistenza per migliorare la qualità dei prodotti, facilitano scambi fra
Paesi diversi e cercano nuovi sbocchi di mercato (locali e internazionali). In
| 153
pane di Altamura, pasticcerie di Ragusa, tartufi delle Langhe,
prosciutti di cinta senese sono solo alcuni dei prodotti
agroalimentari che fondano la loro peculiarità su una forte
contestualizzazione e concentrazione del know how
produttivo in aree vocate, che raccolgono un sistema
complesso di realtà economiche strettamente connesse ad una
particolare tipologia di prodotto agroalimentare (realtà
produttive, distributive, di comunicazione ecc.). Un know
how unico e trasversale, che va dalla produzione della materia
prima (che beneficia di un humus assolutamente unico dal
punto di vista naturalistico, dell’ambiente, del clima, ecc.) alla
trasformazione del prodotto, alla conservazione, ecc. Un
nuovo modello di distretto che anche gli economisti non
stentano ad inserire nel panorama del Made in Italy, come
conferma Fortis: tutto questo è a nostro avviso il Made in Italy:
cioè la parte più vitale della nostra economia, imperniata sulle
piccole e medie imprese e sui distretti industriali, capace di
conquistare grandi posizioni di leadership sui mercati di tutto il
mondo. Non solo moda, dunque, ….(ma anche).. prodotti
alimentari tipici e vini di riconosciuta notorietà5.
Italia sono circa 200 e tutelano i prodotti più diversi. Con i primi 65 Presìdi
internazionali l’universo di Slow Food si è allargato a tutta la biodiversità del
mondo: dal riso Adan in Malesia alla vaniglia di Mananara nel Madagascar.
5
Fortis, 1998
6
Il consorzio Civita, costituito nel 1990 per la promozione e il sostegno di
progetti e di interventi in campo culturale, raccoglie, intorno a questo
obiettivo, enti pubblici di ricerca (CNR, ENEA, Università della Tuscia) e
imprese con alti profili tecnologici (Enel, Hydro, IBM). In questi anni ha
acquisito una notevole esperienza nell’ambito della progettazione dei servizi per
la cultura, turismo e sviluppo sostenibile del territorio e delle sue economie
locali, suggerendo, a tal fine, la creazione di distretti culturali
7
Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca
socioeconomica fondato nel 1964. A partire dal 1973 è divenuto Fondazione
riconosciuta con D.P.R. n. 712 dell'11 ottobre 1973, anche grazie alla
partecipazione di grandi organismi pubblici e privati. Da più di trent'anni
svolge una costante attività di studio, consulenza, valutazione e proposta nei
settori vitali della realtà sociale, ossia la formazione, il lavoro, il welfare, le reti
territoriali, l’ambiente, l’economia, lo sviluppo locale e urbano, il governo
pubblico, la comunicazione e la cultura.
| 155
I processi di "distrettualizzazione" hanno lambito,
praticamente, tutto il Paese ma non sono ancora conclusi. La
Regione Toscana, infatti, si accinge a istituire i "distretti
rurali", una nuova categoria (che non sarà certo l'ultima) il
cui riferimento ideale è costituito dal Chianti. I distretti rurali
sono stati definiti come "sistemi economico-territoriali" con
una produzione agricola "coerente con le vocazioni naturali del
territorio e significativa per l'economia locale", un'identità
storica omogenea, una consolidata integrazione tra attività
agricole e altre attività locali . 8
8
Gli articoli 1 e 13 del D.L. 18.05.2001 n. 228 ("orientamento e
modernizzazione del settore agricolo, a norma della L. 5.03.2001 n. 57")
| 157
industriali. Ora che le cose, a detta dei più, “vanno male”
soprattuto per questi sistemi caratterizzati da piccole e
piccolissime imprese, si guarda al design come leva sulla quale
il sistema industriale italiano deve puntare per far fronte alla
grave situazione economica in cui versano gran parte delle
imprese italiane.
Capitale territoriale
La nozione di territorio che da qui in poi sarà l’ambito di
verifica di un modello di intervento del design a scala locale è
da intendersi come capitale territoriale, sposando la
definizione adottata dall’Osservatorio Leader 9
9
LEADER (Liasons Entre Action de Développement de l’Economie Rurale) è il
programma comunitario per la promozione di azioni di sviluppo locale
riguardanti le aree a vocazione rurale degli Stati appartenenti alla Comunità
Europea. Esso si colloca all’interno delle azioni riguardanti i Fondi Strutturali,
strumenti finanziari dell’Unione Europea mirati ad equilibrare le differenze
socio-economiche presenti tra i differenti Paesi appartenenti all’Unione.
| 159
scomparsa potrebbe accentuare ulteriormente il carattere
impersonale della zona.
La competitività territoriale
Sul versante delle sfide che questi sistemi locali si trovano ad
affrontare proprio l’Osservatorio Leader pone una questione
cruciale, quello della competitività territoriale, che al di là del
significato economico legato al termine, esprime un insieme
di valori e necessità al tempo stesso da considerare: un
territorio diventa competitivo se è in grado di affrontare la
concorrenza del mercato garantendo, al contempo, una
sostenibilità ambientale, economica, sociale e culturale basata
sull’organizzazione in rete e su forme di articolazione inter-
territoriale. In altri termini, la competitività territoriale
presuppone:
- la ricerca di una coerenza globale, tenendo presenti le
risorse del territorio;
- il coinvolgimento dei vari soggetti e delle istituzioni;
- l’integrazione dei settori di attività in un’ottica di
innovazione;
- la cooperazione con gli altri territori e l’articolazione con
le politiche regionali, nazionali, europee ed il contesto
globale . 10
10
“Innovazione in ambiente rurale”, quaderno n. 6 – fascicolo 1, Osservatorio
Europeo Leader
Il concetto di territorio-progetto
Come si colloca questa nozione di capitale territoriale dentro
la logica del progetto? Anche in questo caso la nozione di
territorio-progetto ripresa dall’approccio Leader ci consente,
soprattutto per le caratteristiche disciplinari del design, di
superare la nozione di territorio-unità amministrativa.
Secondo l’idea di territorio-progetto il territorio rappresenta
la base e l’asse che consente di strutturare l’intervento di
qualsiasi strategia di sviluppo. Il territorio che si configura
come il luogo delle relazioni dove si concretizzano azioni di
sviluppo ed innovazione che si diffondono proprio grazie ad
una fitta rete di relazioni locali, attraverso le quali si
scambiano beni di natura materiale ed immateriale.
L’innovazione si configura quindi come un cambiamento
che, di fatto, innesca processi di apprendimento che
coinvolgono differenti saperi, competenze e attori locali. Lo
sviluppo di un sistema locale si configura quindi come “un
processo collettivo d’innovazione territoriale iscritto in una
prospettiva temporale durevole. Esso si radica in un territorio
pertinente, ne federa e organizza in rete gli attori pubblici e
| 161
privati, la società civile organizzata e gli abitanti, e li forma ad
una cultura comune di progetto la cui finalità è il benessere
economico, sociale, ambientale e culturale della collettività e la
cui centralità è l’essere umano” . 11
11
Decoster, 2000
12
Osservatorio Leader, 2000
| 163
contatto con metodi, strumenti ed approcci che riguardano
questa scala di intervento. Perché considerare questa
dimensione: innanzitutto perché i fenomeni, le situazioni, i
contesti riguardano molteplicità di ambiti, ognuno
considerabile, analizzabile in quanto unico ed irripetibile. In
secondo luogo perché è possibile e plausibile formulare un
modello di intervento adattabile e replicabile (quindi
altamente flessibile) di azione del design per i sistemi locali di
risorse produttive, culturali, ambientali ecc.
13
Villari, 2005
14
Zurlo, 1999
15
Lorenz, 1990
| 165
impresa ma una comunità di imprese, una pluralità di attori
ed interessi produttivi e sociali, una molteplicità di risorse
non solo produttive ma anche ambientali, culturali, turistiche
ecc. In questo senso possiamo affermare che l’azione
progettuale parte proprio dalla possibilità e dalla necessità di
rendere sinergiche queste differenti risorse, di integrarle tra
loro, perché possano produrre sviluppo per le differenti
comunità di stakeholders locali. Possiamo allora immaginare
il design come una “forza” che è in grado di agire nel contesto
locale nella direzione di un’integrazione tra le risorse. Questo
processo di integrazione non può che partire da una risorsa
chiave, da un attivatore di innovazione, che nel caso dei
sistemi produttivi locali, non può che essere la risorsa legata
alla dimensione produttivo-industriale, in situazioni come i
distretti culturali la disponibilità diffusa di beni storico-
artistici, nei distretti turistici dalla presenza di servizi di
ospitalità, e così via. Un progetto strategico si configura
perciò come leva che permette di dare il via ad un processo di
integrazione progressiva di tutte le risorse disponibili, in
un’ottica di reale sviluppo per il territorio.
| 167
d’opera, attività riflessiva sull’azione e co-progettazione sono
elementi di raccordo tra design e questa modalità di ricerca
sociale.
16
Coonan, 2001
17
Cohen, Manion, 1984
18
Simonelli, Vignati, 2003
| 169
Il design, perciò, si configura come disciplina capace di
favorire la creazione di consenso su un progetto concreto per
un sistema locale; attraverso una metodologia come quella
della ricerca-azione il Sistema Design è abilitato a avviare
azioni in grado di favorire la condivisione di obiettivi,
progetti, soluzioni, facendo leva sulla dimensione della
comunicazione e del progetto strategico.
19
Il testo fa riferimento a quanto pubblicato in Villari, 2005 e Castelli, Vignati,
Villari, 2004.
| 171
L’obiettivo di questa fase è quello di definire strategicamente
le attività da mettere in campo e, contestualmente quindi,
anche gli strumenti e le competenze disciplinari da
coinvolgere. In questa fase è fondamentale sia una attività di
sintesi dell’analisi svolta precedentemente, sia una attività di
coesione degli attori al progetto. L’attività di sintesi oltre a
prevedere un approfondimento delle caratteristiche del
contesto che possono generare possibili aree di innovazione,
deve poter spaziare con il confronto con situazioni esterne,
nelle quali sia riconoscibile un possibile orientamento, una
buona pratica di riferimento per il progetto. In questo senso
uno degli strumenti più consono è il caso studio di best
practice che può essere fonte di informazioni in termini di
scenario di riferimento, trend emergenti, driver di
cambiamento. Se infatti nel progetto per la singola impresa il
posizionamento sul mercato rispetto ai competitor è un
fattore chiave per proporre soluzioni innovative, anche nel
caso del progetto per un sistema locale la relazione con la
dimensione delle condizioni esterne, del mercato, dei grandi
cambiamenti nelle economie locali e mondiali è un fattore
determinante per la formulazione di una strategia di
intervento. Anche in questa fase l’esito delle attività sarà una
lettura orientata dei fenomeni che interessano l’ambito di
intervento, una configurazione dell’area di opportunità del
progetto, rappresentata e comunicata attraverso gli strumenti
del design.
| 173
In ogni caso è possibile affermare che se da un lato queste fasi
tratteggiano un processo concluso di progetto, dall’altra è
evidente che i risultati di un ciclo di azioni può essere
considerato come il punto di partenza per azioni successive. I
risultati raggiunti sono il punto di partenza per la crescita di
nuova conoscenza, per l’attivazione di nuove azioni, per
nuovi progetti di potenziamento locale. E’ evidente che in
quest’ottica i risultati più interessanti del processo sono quelli
riferibili all’apprendimento degli attori locali. Questo
apprendimento può riguardare una maggiore consapevolezza
dei soggetti coinvolti rispetto a potenzialità disponibili, a
risorse e punti di forza implementabili, ma anche potenzialità
e vantaggi derivanti dall’utilizzo delle competenze del design,
maggior consapevolezza di ciò che il design può fare per il
vantaggio della singola impresa e contemporaneamente per il
vantaggio dell’intero sistema.
4.6
Design for trust: fiducia e design due leve per la
competizione dei sistemi produttivi locali20
20
Il paragrafo è stato redatto da Arianna Vignati con la supervisione di Francesco
Zurlo
| 175
(dove quindi la risorsa chiave e strategica è legata ai processi
produttivi diffusi) è necessario chiarire le caratteristiche e il
modus operandi degli attori che potenzialmente un progetto di
questo tipo coinvolge. Per far questo un filtro interessante da
utilizzare è certamente quello legato al concetto di “comunità
di pratica”. Una comunità di pratica si definisce come una
comunità di persone impegnate in una iniziativa comune,
dotata di un repertorio condiviso di conoscenze che non
risiedono tutte in ciascun soggetto appartenente alla
comunità ma che formano un insieme di conoscenze,
strumenti, artefatti e routines che veicolano il sapere collettivo
e che costituiscono la memoria della collettività; tali persone
sentono personalmente un impegno alla reciprocità, nel
condividere le esperienze e nell’alimentare l’apprendimento
collettivo . 21
21
Wenger, Leave, 1995
22
Quadrio Curzio, Fortis, 2002
| 177
- infine il senso di appartenenza a una comunità, come
sentimento condiviso di avere un’identità e degli
scopi in comune con delle altre persone; non quindi
la sola condivisione del territorio, ma anche il
riconoscimento di una tradizione e degli scopi in
comune.
23
Dasgupta, 1989
24
Mutti, 1988
25
Fukuyama, 1996
| 179
confronto innovativo: chi – progettista o artigiano,
imprenditore o operaio – parlerebbe di una propria idea a
qualcuno del quale non si fida?
E’ comunque difficile parlare di fiducia senza riferirsi ai due
concetti di identità e appartenenza, oltre che ai già citati
repertori e linguaggi condivisi.
L’identità personale e di gruppo riguarda la percezione che un
individuo ha di sé stesso, della sua continuità ed evoluzione
nel tempo; riguarda la memoria che ha degli eventi passati,
legata anche alla situazione sociale e culturale, alla selezione
degli eventi che opera, all’interpretazione che ne dà.
L’appartenenza riguarda il sentimento di essere legato, più o
meno inscindibilmente, a un dato territorio, a delle persone, a
una data professione o ambito professionale. Riguarda il
riconoscimento di alcuni artefatti come pregni di una
memoria condivisa con gli altri membri della comunità.
Riguarda, ancora, il riconoscimento di alcuni oggetti, che
potremmo chiamare, con la terminologia di Wenger,
boundaries object . 26
26
Wenger, Leave, 1995
27
Pacenti, 2004
| 181
fiduciaria con il sistema produttivo.
Il servizio è innanzitutto una prestazione che “alcune persone
svolgono per l’utilità, la soddisfazione, il supporto dell’attività
di altre persone” ; il progetto di un servizio, di fatto è, almeno
28
28
Barassi, 1988
| 183
intervento specialistico rivolto alla singola impresa,
ma come progetto di sistema in grado di rafforzare,
creare, innovare il fitto tessuto di relazioni interne ed
esterne che coinvolgono gli attori del sistema locale
considerato. Il design, in questo senso, può e deve
potersi avvalere delle tecnologie della comunicazione
come mezzi in grado di facilitare questo processo,
tecnologie che diventano la piattaforma per
sperimentare soluzioni comunicative efficaci ed
innovative per il sistema stesso;
- il contributo disciplinare che il design può mettere in
campo riguarda innanzitutto la possibilità di rendere
manifesta un’identità del sistema produttivo locale
nel suo complesso, identità che emerge dalla
conoscenza del tessuto locale e che viene visualizzata,
comunicata e resa esplicita non soltanto al sistema di
attori esterni, ma anche e soprattutto internamente;
- il design, grazie alla capacità di mettere in relazione
tra loro differenti competenze, ruoli, capabilities, può
offrire al sistema distrettuale un contributo
progettuale che mira a creare una sorta di artefatto
progettuale condiviso, un manuale di progetto
condiviso entro il quale ogni attore (impresa,
istituzione, ente ecc.) può ritagliarsi strategie
progettuali in linea con obiettivi e risultati attesi e
specifici;
- infine, la consulenza di design si configura, per un
sistema locale di risorse (anche produttive) come un
laboratorio di progetto dove ricerca ed innovazione
sono i risultati di una continua relazione tra sistema
locale ed il complesso sistema delle competenze che il
design mette in campo (design strategico, design dei
servizi, design della comunicazione ecc. ) 29
29
Bertola, Manzini, 2004
| 185
5
Legislazione per l’innovazione ed il trasferimento
tecnologico1
5.1 Introduzione
1
Il capitolo è stato redatto congiuntamente da Venanzio Arquilla e Arianna Vignati
con il contributo di Antonella Castelli, in particolare Arianna Vignati ha curato i
paragrafi 5.1, 5.2, 5.3, 5.4, 5.7, Antonella Castelli il 5.5 e Venanzio Arquilla il 5.6
| 187
delle imprese, alle istituzioni locali agli attori economici
inseriti in sistemi locali che sfruttano la disponibilità di risorse
culturali, turistiche, ambientali, ecc., non può prescindere da
un inquadramento nazionale degli attori e delle fonti di
finanziamento a disposizione di azioni di sostegno di questo
tipo. Ma se facciamo un ulteriore passo indietro ci
accorgiamo che la politica nazionale deve potersi inserire in
quadro più complesso, quello europeo, che detta le regole del
gioco della competitività degli Stati che ne fanno parte. Nella
logica di conduzione degli Stati europei verso livelli di
competitività ed innovatività certamente maggiori di quelli
attuali, ed in grado quindi di affrontare con maggiore
efficacia le sfide globali, l’UE ha configurato piani strategici
che fungono da orientamento alle singole politiche nazionali
e che, nel lungo periodo, dovrebbero portare
progressivamente ad appianare le differenze che tuttora si
registrano nelle economie degli Stati membri. Ma l’UE ha
messo a punto anche un sistema di valutazione degli
andamenti, proprio in termini di innovatività dei Paesi, che si
basa sostanzialmente su alcuni indicatori in grado di misurare
la crescita o meno di questa variabile negli stessi. Questi
parametri che, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione
frutto del trasferimento di tecnologica, penalizzano l’Italia,
hanno visto recentemente l’inserimento di un indicatore che
premia il nostro Paese perché ne legge l’innovazione frutto del
trasferimento di conoscenze specifiche, tra le quali spicca
anche il design. Questo primo importante segnale a livello
europeo di attenzione alla disciplina del design nei processi di
innovazione del Sistema Paese, ci inducono a riflettere su
quali siano le forme possibili di questo processo. Non solo, è
necessario porsi il problema di quale ruolo assuma in questo
contesto il sistema della ricerca universitaria sul versante del
design.
Le conclusioni di questo capitolo intendono solo aprire il
dibattitto sul tema che deve quanto prima diventare un
dibattito aperto a livello delle politiche nazionali di sostegno
all’impresa, e più in generale a sostegno dell’intera economia
nazionale. Il design non può più essere considerato come un
fenomeno spontaneo, incontrollabile ed autoalimentante; è
necessario che lo si riconosca come disciplina che possiede
strumenti, prassi, metodologie diffondibili e soprattutto
| 189
ricercatori ad abbandonare l'Europa per dedicarsi alla
ricerca in altri Stati;
- la ricerca europea, spesso di livello eccellente, sembra
essere dispersa e soprattutto poco visibile e forse poco
comunicata;
- le difficoltà incontrate dalle PMI a forte intensità
tecnologica a trovare finanziamenti per le loro
ricerche e progetti di innovazione;
- le conoscenze carenti di ricercatori e responsabili della
ricerca in materia di protezione e gestione della
proprietà intellettuale.
| 191
loro capacità e il loro ambiente;
- sebbene la ricerca fornisca un importante contributo
all’innovazione, senza iniziativa imprenditoriale non
c’è creazione di valore. È l’impresa che struttura la
creazione di valore. Le imprese si trovano sempre più
di fronte alla necessità di reagire prontamente alla
competizione globale con investimenti che hanno
una incidenza economica difficilmente sostenibile
con risorse proprie.
Da questi indicatori emerge come, nel processo di
innovazione delle imprese, la R&S (ricerca e sviluppo) sia uno
degli elementi centrali da sviluppare, potenziare e sostenere
con politiche di incentivo economico. Sebbene questa
valutazione e lettura dei fenomeni dell’innovazione sia
condivisa e anzi, affermata da esperti e politici sembra che
molti dei provvedimenti attuati siano stati formulati con
l’intenzione di promuovere l’innovazione intesa come esito di
attività di ricerca.
| 193
professionali”; in particolare l’attenzione viene posta ad un
tipo di innovazione definita ad alta tecnologia al fine di
tracciare il quadro del progresso dell'Unione europea in
questo campo, evidenziando, in forma aggregata, i punti di
forza e di debolezza degli Stati membri in materia di
innovazione.
EIS comprende venti indicatori principali, scelti per
sintetizzare i più importanti propulsori dell'innovazione; a
partire dal 2004 viene fornito un solo indice sintetico
compreso tra 0 e 1: il Summary Innovation Index (SII),
basato su un numero di indicatori che varia a seconda del
Paese da 12 a 20 indicatori, copre i 25 Stati membri dell’UE,
gli USA, il Giappone, l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera, la
Bulgaria, la Romania e la Turchia.
2
L’analisi e i grafici riportati in questa sezione provengono dal Centro Studi
Assolombarda.
Fonte: Maria Grazie DeMaglie (a cura di), Commissione di comunità europee
European Innovation Scoreboard 2004: (Quadro di valutazione dell’innovazione
in Europa), Centro Studi Assolombarda, www.assolombarda.it, dicembre 2004
in quattro quadranti:
- Paesi con trend superiore alla media UE e SII
superiore a quello medio UE sono denominati in
avanzamento (moovin ahead);
- i Paesi con valori SII inferiori alla media UE e trend
superiore a quello medio sono chiamati in recupero
(catching up);
- I Paesi con valori SII inferiori alla media UE e trend
più basso di quello medio sono chiamati in
arretramento (falling further behind);
- I Paesi con valori SII superiori alla media UE e trend
più basso di quello medio sono chiamati in
rallentamento (losing momentum).
3
I valori relativi al trend confrontano il dato relativo all’ultimo anno con la
media dei precedenti tre anni.
| 195
Grafico 5.2: Correlazione tra Summary Innovation Index e indicatori di
tendenza per il 2004
| 197
per tradursi in nuovi mercati per le imprese: nuovi modelli di
business, modi innovativi di consegna delle merci, prodotti
integrati, management.
Sulla base di questa considerazione è possibile affermare,
almeno per ciò che riguarda la situazione europea, che
l’innovazione non tecnologica può essere un elemento in
grado di supportare le economie UE nello sfruttare appieno le
opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
A supporto di tali osservazioni è stato inserito nel SII, a
partire dal 2004, un nuovo indicatore composto da un
indicatore relativo all’innovazione non tecnologica e i tre sub
- indicatori (innovazione nella struttura organizzativa, nelle
tecniche manageriali e cambiamenti estetici del prodotto)
calcolati per 21 Paesi. Dal confronto con il Summary
Innovation Index si osserva che molti Paesi hanno registrato
valori bassi del SII, ma performance migliori per l’indicatore
non tecnologico; hanno mostrato tali caratteristiche l’Italia, la
Grecia, il Lussemburgo, il Portogallo, l’Estonia e la Slovenia.
Questo dato, oltre ad incoraggiare rispetto ad un quadro
complessivo che vede l’Italia “navigare in cattive acque”,
introduce a livello europeo la consapevolezza che parte dei
processi che hanno fino ad oggi garantito il successo e lo
sviluppo di molte economie europee (tra queste in primis
appunto quella italiana) non riguardano le tecnologie, quanto
più il trasferimento di conoscenze specifiche in grado di
supportare i processi di innovazione aziendali (tra queste
conoscenze c’è di fatto anche quella di design).
4
Rapporto Innovazione di Sistema. Analisi comparata del potenziale innovativo dei
principali Paesi industrializzati- 2004, Fondazione Rosselli-Corriere della Sera,
2004
| 199
delle nazioni dell’Unione Europea e degli USA. L’Italia è al
terzultimo posto nell’Euro-Creativity Index, la misura di
sintesi adottata dagli autori (comprende vari indicatori relativi
all’intensità brevettuale, al capitale umano e al numero di
lavoratori della classe creativa). Inoltre, per quanto riguarda
l’Euro-Creativity Trend Index, vale a dire la valutazione
dinamica dei progressi fatti registrare dalle diverse nazioni dal
1995 ad oggi, l’Italia risulta essere una delle nazioni “meno
creative” d’Europa, non solo, i Paesi che attualmente la
seguono in graduatoria stanno facendo registrare, negli ultimi
anni, dei notevoli passi avanti che potrebbero determinare a
breve termine un ulteriore scivolamento del nostro Paese.
All’interno dell’Euro-Creativity Matrix, ossia della
correlazione tra il valore dell’indice di creatività e la linea
tendenziale di sviluppo della creatività, l’Italia è, con la
Francia, l’unico Paese che si segnala per avere valori inferiori
alla media in ambedue i settori.
Questi studi a confronto portano a constatare come per molti
versi debba essere considerata critica la situazione italiana,
anche se è possibile individuare aree che stanno facendo
registrare andamenti positivi. Una di queste riguarda gli
indicatori relativi all’area delle “nuove tecnologie di ICT”.
Sono aumentati gli utenti di Internet, è diminuito il costo
medio relativo all’accesso ad Internet e la spesa in
telecomunicazioni è rimasta sostanzialmente invariata (anche
se il commercio elettronico stenta a crescere a causa del basso
numero web server sicuri).
L’area critica per l’Italia si conferma essere quella relativa al
capitale umano. In particolare l’Italia è tra le ultime nazioni
per quanto riguarda il numero di ricercatori ogni 1000 unità
di forza lavoro. Inoltre, i dati contenuti nell’OCSE Science
and Technology Statistical Compendium 2004 confermano che
l’Italia è l’unico Paese dell’area OCSE per il quale il numero
di ricercatori nel settore privato sia calato dal 1995 ad oggi.
Se a ciò aggiungiamo le stime del fenomeno legato alla fuga di
cervelli il problema del capitale umano si configura come
destinato a diventare drammatico soprattutto nei prossimi
anni. I pochi ricercatori presenti in Italia dimostrano, però, di
avere un’elevata produttività, confermata dal numero di
brevetti e delle pubblicazioni scientifiche. Quello che risulta
particolarmente penalizzante per l’Italia in quest’area è
5
Fortis, 2005
| 201
tipo orizzontale sviluppate da Ministeri diversi da quello delle
Attività produttive, che sfruttano strumenti legislativi
differenti, con obiettivi e finalità differenti.
Queste politiche orizzontali si collocano trasversalmente alle
politiche del Ministero delle Attività Produttive, che
dovrebbe in qualche modo essere il traino delle azioni di
potenziamento dell’imprenditorialità e dell’innovazione per le
imprese. Di fatto possiamo classificare gli attori nazionali che
partecipano alla costruzione e attuazione delle politiche di
ricerca e innovazione in Italia in due categorie:
- gli enti finanziatori e attuatori delle politiche e azioni;
- gli enti e istituzioni che usufruiscono e mettono in
pratica la ricerca.
| 203
Accanto al sistema di attori che approvano i piani strategici ed
erogano i finanziamenti, troviamo gli attori che, invece,
usufruiscono e mettono in pratica la ricerca finalizzata allo
sviluppo dell’innovazione.
Anche in questo caso è possibile identificare due categorie di
soggetti:
- istituzionali di formazione e ricerca (Università,
Dipartimenti, Consorzi universitari ecc.);
- enti di ricerca e trasferimento tecnologico.
Incentivi Regionali
Ogni Regione, in virtù delle caratteristiche specifiche del
tessuto industriale del territorio di competenza, come risposta
ad un progressivo processo di aumento dell’autonomia di
azione, mette in campo leggi regionali formulate ad hoc e che
permettono l’accesso a contributi di differente natura:
- contributi a favore dell’implementazione di
| 205
tecnologia e servizi (acquisizione di brevetti, di diritti
di utilizzazione di nuove tecnologie produttive cc.);
- contributi per la realizzazione di progetti di ricerca
scientifica e applicata e di iniziative di trasferimento e
di diffusione dei risultati della ricerca (rivolti in
particolare alle università, agli enti pubblici di ricerca
e agli organismi pubblici di ricerca);
- contributi in favore dello sviluppo di attività di
formazione di personale qualificato da inserire in
azienda;
- contributi a favore dello start up di nuove imprese.
Incentivi Nazionali
Il principale strumento di finanziamento nazionale alla ricerca
e al trasferimento tecnologico è il PRN_ Programma
Nazionale della Ricerca
Il Programma Nazionale della Ricerca, si articola in tre
tipologie di azioni prioritarie:
- azioni di natura strutturale con ritorno sul medio-lungo
periodo: prevedono interventi per il rafforzamento e
l'ampliamento della base scientifica del Paese
mediante il sostegno alla ricerca di base e interventi di
sostegno alla ricerca orientata allo sviluppo di
tecnologie strategiche per i sistemi economici,
ambientali e sociali.
- azioni con ritorno sul breve-medio periodo: presentano
interventi per la valorizzazione di risultati della ricerca
scientifica (spin off della ricerca e la formazione
superiore per imprenditori e manager), interventi per
il potenziamento tecnologico del sistema produttivo
esistente ed il sostegno allo sviluppo di reti di piccole
medie imprese, interventi per la valorizzazione degli
strumenti, delle metodologie e dai prodotti offerti
dalla scienza e dalla tecnologia per rispondere ai
bisogni sociali ed economici;
- azioni trasversali: prevedono il sostegno
all'internazionalizzazione del sistema scientifico
nazionale, la realizzazione ed il rafforzamento di un
sistema di monitoraggio e valorizzazione dei risultati,
la diffusione delle tematiche e dei risultati,
Incentivi Comunitari
Il VI Programma Quadro di R&S (VI PQ) è lo strumento
dell'Unione Europea per l'attuazione della politica
comunitaria di ricerca e sviluppo tecnologico nella
programmazione 2002-2006, e che costituisce il punto di
riferimento, anche a livello nazionale, per azioni di
potenziamento del sistema industriale in un’ottica
transanazionale.
La Commissione Europea ha, in questo programma,
introdotto tre nuovi strumenti di partecipazione che stanno
alla base della realizzazione dello Spazio Europeo della
Ricerca. Gli strumenti attraverso i quali vengono attuati gli
obiettivi del VIPQ sono:
- Progetti Integrati (IP): sono progetti concepiti per
imprimere maggiore slancio alla competitività
dell'Europa rispondendo ai principali bisogni della
società, mobilitando una massa critica di risorse e
competenze per raggiungere alti obiettivi di ricerca e
sviluppo tecnologico;
- Reti di eccellenza (NoE): sono progetti indirizzati a
rafforzare l'eccellenza scientifica e tecnologica
dell'Europa in un determinato settore di ricerca
mediante il raggiungimento di una massa critica di
risorse e competenze.
| 207
5.5 Il caso della regione Lombardia6
6
a cura di Antonella Castelli
7
Fonte: “Regione Lombardia. Strategia e interventi in Ricerca & Sviluppo”,
Innovare, n. 2, 10-11, giugno 2002
| 209
interventi e sperimentazioni distribuiti nel tempo. La Regione
Lombardia è finalmente giunta alla formulazione di una
strategia articolata nelle seguenti linee:
- governance: azioni volte a rafforzare i processi di
formulazione, realizzazione e valutazione delle
strategie regionali di ricerca ed innovazione;
- politiche trasversali: azioni che agiscono sui
meccanismi di creazione e circolazione delle
conoscenza e dell’innovazione;
- politiche di portafoglio: azioni volte a formulare un
pacchetto integrato di interventi sull’insieme dei
settori/aree tecnologiche della Regione ed, in
particolare, politiche focalizzate e multisettoriali.
8
di Venanzio Arquilla
9
Verganti 2002 in Maffei, Simonelli, 2002
| 211
5.6.1 Il Contesto Internazionale
A livello internazionale le attività di promozione e di
diffusione del design come disciplina progettuale sono tenute
in grande considerazione.
La “tutela” e la ricerca di design vengono gestite sia a livello
delle singole nazioni, con un insieme di centri di design e di
Istituzioni preposte alla ricerca , sia da organismi 10
10
Si veda in proposito Arquilla V. in Casati B. 2004
11
Arquilla, 2004
12
Founded in 1944, the Design Council has for over fifty years been striving to
promote the effective use of design - and design thinking - in business, in education
and in government. Our purpose is 'to inspire the best use of design by the UK, in
the world context, to improve prosperity and well-being.' The Design Council is
independent of Government and run as an autonomous, non-profit making public
body. It is funded through a grant from the Department of Trade and Industry.
Most organisations are at their best when working with others and the Design
Council is no exception. We work with partner organisations to ensure all our
activities have the biggest impact and influence.
13
Florida R. 2002
| 213
questo tipo di persone, inserendosi a pieno titolo nel novero
delle capitali mondiali della creatività attraverso l’iniziativa
Creative London gestita dalla London Creativity Agency
14
http://www.designinparliament.org.uk
| 215
Milano la capitale della moda e del design.
15
a cura di Venanzio Arquilla
| 217
per recuperare il gap.
La nuova modalità della ricerca universitaria è caratterizzata
da alcuni aspetti interessanti necessari per una sua
applicazione ai contesti produttivi locali.
16
p. 82
| 219
- in secondo luogo perché il valore dell’innovazione
portata dal design può oggi, di fatto, essere un
potente motore per rafforzare quei sistemi economici
che fondano le economie locali sulla disponibilità e la
messa a sistema di risorse produttive, culturali,
agroalimentari, turistiche, dell’artigianato ecc.
- in terzo luogo perché può contare su un apparato
nazionale di ricerca, su un network (lo testimonia
l’esperienza dell’Agenzia Sistema Design Italia) di
ricercatori che ha sperimentato percorsi di ricerca e
comprensione dei cambiamenti che stanno
attraversando non solo le imprese (distretti, sistemi
produttivi locali, ecc.) ma anche i sistemi locali di
risorse, per arrivare a formulare strumenti,
metodologie, approcci a disposizione dei designer che
si confrontano con questi cambiamenti.
6.1 Introduzione
| 223
Azioni di design strategico, che attraverso workshop e
progetti concreti con le aziende, hanno permesso sia la
diffusione della cultura del design e la conoscenza da parte
delle imprese delle potenzialità offerte oggi dal design, sia
l’avvio di una serie di progetti concreti che aprono nuovi
ambiti di applicazione per il design stesso e per i sistemi
territoriali e le imprese coinvolte.
Parliamo della disciplina del design sempre più matura e
consapevole, descritta nei capitoli precedenti, che non opera
più solo a livello di impresa, ma che è attenta all’evoluzione
del modello economico e con questo si confronta
costantemente, nel tentativo di trovare una legittimazione che
possa permettere alle imprese ed ai contesti territoriali di
superare le barriere della chiusura rispetto all’esterno,
concorrendo a definire nuovi modelli di creazione del valore.
I 4 Casi selezionati rappresentano uno spaccato interessante
delle possibilità di intervento sistemico del design per contesti
distrettuali specifici e per particolari tipologie di aziende, dove
i risultati hanno una duplice valenza: di progetto e stimolo
all’investimento in innovazione per le singole realtà
imprenditoriali coinvolte e di sistema, in quanto
coinvolgendo più attori di contesti specifici sono identificativi
di una linea di tendenza e promotori di best practice o azioni
possibili per le altre imprese dello stesso contesto o di contesti
analoghi.
Il pionieristico Progetto DXD | Design for District, avviato
nel 1998 dall’unità dal Corso di Laurea in Disegno
Industriale del Politecnico di Milano in collaborazione con
l’Agenzia Lumetel Scrl dell’allora distretto 10, ora distretto 3
di Lumezzane, è il capostipite di questa tipologia di progetti e
rappresenta un esempio di come il design, inteso in senso
strategico, possa servire da stimolo per le Piccole e Medie
Imprese di un distretto industriale specifico. E’ stato un
intervento coordinato che ha coinvolto diverse realtà
imprenditoriali, enti ed istituzioni in attività contemporanee
di progetto sul territorio con giovani designer laureandi della
Facoltà del design del Politecnico di Milano, con la
supervisione dell’Agenzia di servizi distrettuale e l’Università a
gestire il processo di ricerca azione. Al termine della
sperimentazione concreta è stato assegnato ai migliori progetti
un Premio Internazionale di Design.
1
www.sistemadesignitalia.it
| 225
Napoli, per il consorzio orafo del Tarì.
PRO.GEOR propone un modello di intervento più classico
nel quale l’Università, a differenza degli altri casi in sui si
proponevano di base una diffusione culturale del design
insieme allo sviluppo di progetti specifici, effettua una ricerca
di tipo tecnologico ed eroga una consulenza per verificare
l’applicabilità o meglio le modalità di trasferimento di uno
specifico modello produttivo/progettuale (progettazione
generativa) applicato al contesto orafo artigianale.
2
a cura di Venanzio Arquilla, il cui progetto è stato coordinato dai prof. Flaviano
Celaschi, Luisa Collina e Giuliano Simonelli.
| 227
ricerca del disegno industriale.
Ciò che si vuole arrivare a cogliere è il valore dell’innovazione
portata dal design e come questo tipo di innovazione sia oggi
un potente motore per rafforzare le economie distrettuali.
Dar valore alle risorse di progetto, da qualunque parte esse
provengano, combinare tali risorse secondo rinnovate
modalità per ricercare nuovi vantaggi competitivi, è ciò che si
è sempre fatto nella storia delle economie locali italiane.
Il problema era, in questo caso, quello di rendere palese ed
esplicito, ad una intera comunità di imprese, il contributo
possibile del disegno industriale. Certamente in molti sistemi
produttivi locali il design ha svolto e continua a svolgere un
ruolo evidente nella costruzione del vantaggio competitivo;
altrove tutto ciò è avvenuto con molta meno forza ed
evidenza.
Un’ulteriore questione riguarda il problema della fiducia e il
superamento degli ostacoli - di natura culturale,
generazionale, di linguaggio, di mentalità - che
frequentemente si frappongono alla riuscita di iniziative come
questa; per il loro avvio esse necessitano dell’intermediazione
di un ente o di una istituzione che siano effettivamente
rappresentativi dell’insieme delle imprese localizzate entro un
determinato territorio produttivo, in qualche modo garanti
del valore del progetto, per avere da tempo stabilito con le
imprese del distretto un rapporto di costruttiva
collaborazione.
Tali realtà - siano esse Agenzie d’area o Centri erogatori di
servizi - interpretano il ruolo di facilitatori del progetto e
svolgono una preziosa azione di diffusione dei suoi contenuti
innovativi e di concreto convincimento a prendervi parte.
Nel caso di DXD è l’Agenzia Lumetel a promuovere il
progetto e ad assumere consapevolmente i succitati impegni,
dapprima ricercando la collaborazione con l’istituzione
universitaria e, successivamente, sviluppando con essa il
progetto che, una volta elaborato, vedrà i due soggetti operare
congiuntamente in tutte le sue fasi per il raggiungimento
degli obiettivi.
| 229
osservata oggi in un momento di profonda trasformazione.
Al tradizionale contributo di analisi e di comprensione dei
fenomeni dato dalle discipline economiche, dall’economia
territoriale, della sociologia, dalla storia, dall’antropologia, ma
anche, più recentemente, dall’economia della conoscenza, si
aggiunge qui il singolare punto di vista delle discipline del
progetto e della ricerca che tali discipline oggi esprimono,
affermando con forza il valore degli apporti progettuali
riconducibili alla sfera del design, autentico luogo di scambio
e di interazione, entro il quale si rinnova quel patrimonio di
conoscenze che sta alla base del successo di molte economie
locali.
Dal riconoscimento dell’importanza strategica della relazione
tra sistemi produttivi locali e risorse progettuali nasce,
dunque, il rapporto di collaborazione tra il Corso di Laurea in
Disegno Industriale del Politecnico di Milano e l’Agenzia
Lumetel, agenzia di servizi per le imprese del Distretto 3 Valli
Bresciane. Tale accordo è finalizzato all’istituzione di un
Premio internazionale di Design incentrato sui prodotti tipici
del distretto.
La denominazione di Concorso e di Premio internazionale di
design che viene adottata per l’iniziativa merita alcune
considerazioni; non esprime forse compiutamente la
complessità del progetto, la sua estesa dimensione temporale
(sedici mesi), il percorso di progressiva crescita e maturazione,
la pluralità degli attori che vi prendono parte, la
stratificazione degli esiti formativi e progettuali attesi lungo le
varie stazioni del progetto stesso: nell’iniziale laboratorio
incubatore di idee progettuali (condotto dentro l’università,
ma anche sul territorio), negli stage condotti dagli studenti
presso le imprese e gli enti del distretto, nella partecipazione
al concorso, nelle tesi di laurea prodotte come grande
riflessione collettiva sopra un’area distrettuale.
E' tuttavia questa la forma da cui ha origine l'intero progetto.
3
Attualmente distretto 3 Valli Bresciane
| 231
Lumetel), ed il Politecnico di Milano _ Facoltà del Design _
Corso di Laurea in Disegno Industriale hanno presentato alla
regione Lombardia un progetto di trasferimento di innovazione
design driven per il distretto industriale.
Fase 1 - Sensibilizzazione
Nella fase di promozione “intradistrettuale” ed
“extradistrettuale” dell’iniziativa è stato inviato materiale
informativo appositamente predisposto alle aziende e sono stati
4
Il Laboratorio di sintesi finale è una struttura didattica pluridisciplinare della
durata di 350 ore che viene attivata al 5° anno di corso e che si conclude con il
rilascio di un Certificato di Ammissione all’esame di Laurea.
5
Servizio RAP (Rapporto Aziende e Professionisti) che si occupa della gestione dei
tirocini obbligatori per i laureandi in disegno industriale
| 233
DXD – Design for District.
Questa fase si è conclusa con una conferenza stampa nazionale
di lancio - tenutasi a Milano presso il Politecnico - con il
coinvolgimento attivo del Club dei Distretti e della Regione
Lombardia.
Fase 2 - Analisi
La comunità del design ha dato avvio ad una fase di analisi
metaprogettuale per conoscere la realtà nella quale avrebbe
dovuto operare e per individuare i macrotemi d’intervento.
Tale fase è coincisa effettivamente con il laboratorio di sintesi
finale.
Nella prima sessione di lavoro (15 ottobre 1999 - 30 gennaio
2000) sono state svolte:
- attività didattiche pre-progettuali di analisi e
comprensione del contesto a cura di docenti interni,
relativamente a metodologie d’analisi metaprogettuali,
ricerche merceologiche, ecc.;
- attività didattiche pre-progettuali, a cura di docenti
esterni, miranti alla restituzione dei caratteri distrettuali
e della politica di sviluppo locale da contestualizzare nei
progetti;
- attività seminariali durante le quali “testimoni
privilegiati”, sono stati chiamati a restituire le proprie
esperienze relative ai temi ed ai settori in oggetto;
- attività esercitative, volte alla costruzione del brief di
progetto e finalizzate all’elaborazione di alcuni “serbatoi
di idee”.
6
“L’Ordinamento prevede che durante il V anno di corso, lo studente svolga
un’esperienza di tirocinio professionale per almeno 250 ore, necessaria per essere
ammesso a sostenere l’esame di laurea.” | Tratto dalla Guida per l’a.a. 1999-2000
del Corso di Laurea in Disegno Industriale
| 235
Questo nuovo approccio alla progettazione ha favorito la
sperimentazione pratica e la contemporanea diffusione di una
concezione del progetto più flessibile ed articolata.
Il design, così inteso, è riuscito a sfuggire alla tradizionale
equivalenza molto diffusa nel distretto, che vede il design
come semplice intervento sulla forma dei prodotti .
| 237
TIPOLOGIA DI PROGETTO RICHIESTA PER SETTORE MERCEOLOGICO DI
APPARTENENZA
100%
80%
60%
40%
20%
0%
Maniglieria Casalinghi Lavorazioni Servizi
Prodotto 33% 50% 33%
Comunicazione 67% 50% 40% 33%
Strategia 27% 67%
7
Il 12-13 e 14 Maggio 2000 si è tenuta a Vestone (Bs) presso l’Incubatore
tecnologico Lumetel una mostra/seminario denominata “Design, lavori in corso –
idee, proposte, ipotesi per il distretto 10”. L’Evento è stato organizzato dagli
studenti Arquilla Venanzio, Bianchini Massimo e Marco Di Donato nella prima
parte del loro stage presso la Lumetel.
| 239
rappresentanza del Presidente Formigoni, le massime autorità
dell’Ateneo e dell’Istituto per il commercio estero (ICE) che ha
co-finanziato l’evento.
8
Tutti i progetti sono stati raccolti in un catalogo che funge da
memoria per il progetto e da importante strumento per le
aziende come specchio sulle tendenze attuali del design interpretato
dai 57 laureandi del Politecnico di Milano che hanno preso
parte all’iniziativa.
Prosecuzione
Il concorso ha rappresentato l’ultima parte “visibile” del
rapporto di collaborazione, ma il progetto DXD non si è
esaurito. Innanzitutto ci sono stati i progetti di Tesi che
rappresentano un importante momento di approfondimento
teorico degli argomenti trattati durante il tirocinio; molte di
queste infatti hanno permesso di generalizzare, partendo dalla
pratica, interpretazioni originali degli ambiti presi in esame.
Punti di Forza
I punti di forza del progetto DXD possono essere sintetizzati
come segue:
- fiducia verso il progetto. Per realizzare un progetto di
questo tipo è fondamentale riscuotere all’interno del
distretto la fiducia degli imprenditori e della
comunità a causa del tipo di rapporto che si instaura
tra gli operatori distrettuali, sempre di tipo informale
e che presuppone una conoscenza reciproca. La
fiducia si conquista, quindi, con il tempo e, se una
nuova comunità (comunità del design) intende
operare efficacemente in un distretto, o deve essere
fortemente radicata all’interno del contesto socio-
culturale o deve stringere alleanze con operatori che
sono già in possesso di tale fiducia. Il DXD ha
funzionato in quanto la Lumetel ha messo in
compartecipazione la sua reputazione nel distretto.
Questo ha permesso alla comunità del design di
operare come se riscuotesse già la fiducia della
comunità.
8
Celaschi F., Collina L., Simonelli G. (a cura di) 2001
| 241
Si aprono nuovi orizzonti per la ricerca accadomica e
si dimostra che le competenze universitarie possono
essere applicate per realizzare progetti pratici e
soprattutto che, grazie alla loro multidisciplinarità,
permettono interventi rivolti a comunità e non
soltanto a singole aziende.
43%
Progetto specifico (ex novo)
Progetto aziendale già in corso
57%
9
Delle aziende partecipanti sono state contattate esclusivamente le imprese
produttrici di prodotti finititi: Amadini Sandro & C. S.n.c., Meccanica Rossi,
Berna Ernesto S.r.l., Atp di Franco Garzoni, Manital S.r.l, Becchetti Angelo Bal,
ilcar di Bugatti S.r.l., Scaroni Mauro Angelo, Europress S.p.a., Eme Posaterie S.n.c,
Pinti Inox S.p.a., Risoli S.r.l., S.I.R. Società Italiana Ricambi, Reguitti S.p.a.
si
50% 50%
no
7 6 6
6
5
4 3 Serie1
3 2 2
2 1
1
0
Messo in Utilizzato per Brevettato Sviluppato Archiviato Altro…
produzione progetti di ulteriormente
comunicazione
o di analisi di
mercato
| 243
La collaborazione con un giovane designer è stata positiva?
13%
Si
No
87%
17%
Si
No
83%
33%
Si
No
67%
8%
Si
No
92%
7
6
6
5
5
4
4
Serie1
3
2
1
1
0
Sviluppo nuovi Progettazione aspetti Offerta di servizi Tutti
prodotti comunicativi
| 245
6.2.4 Conclusioni
Da una parte cresce l’offerta progettuale, espressa tanto da
designer professionalmente preparati quanto da una rinnovata
disponibilità dell’università a produrre ricerca per
l’innovazione; dall’altra aumenta la capacità di comprendere
ed interpretare, attraverso la ricerca stessa, le necessità palesi o
ancora inespresse di un determinato contesto produttivo.
Parallelamente, sul fronte della domanda, con crescente
decisione e consapevolezza, si esprime oggi la richiesta di
nuovi contributi progettuali per il rafforzamento dei sistemi
produttivi locali.
Ciò si configura come una vera e propria strategia di
attenzione verso il singolare e cangiante universo delle
economie locali italiane, attenzione che non ha mero carattere
speculativo, ma parte piuttosto da un assunto decisamente
operativo: cercare di comprendere come sia oggi possibile
contribuire al successo di tali economie attraverso l’azione del
design.
Il progetto ha proposto dunque una modalità di relazione tra
universi distanti che tende a scardinare diffidenze,
incomprensioni, chiusure, costruendo nel vivo dell’azione
comune - i vari progetti che le imprese e la succitata comunità
del design hanno affrontato insieme - frammenti di un nuovo
linguaggio condiviso.
Tutto ciò ha offerto lo spunto per riconsiderare alcune
questioni tra loro fortemente connesse, spesso oggetto di
discussioni tanto in sede accademica che nel dibattito
economico.
Si attribuisce alle piccole e medie imprese italiane, e
segnatamente a quelle distrettuali, una scarsa capacità di
connettersi con i centri istituzionali, pubblici e privati, della
ricerca scientifica e tecnologica; per contro si imputa
all’università una sorta di cronica disattenzione verso i
problemi specifici della piccola e media impresa italiana, una
specifica difficoltà a connettersi con questa parte nient’affatto
secondaria del sistema economico nazionale.
Un’altra questione peculiare riguarda la particolare natura dei
rapporti che si stabiliscono dentro i sistemi produttivi locali
nell’ambito del trasferimento di conoscenze, rapporti che
richiedono sistemi di relazione basati sulla fiducia, interazioni
continue, presenza locale, confronto costruttivo.
| 247
6.3 DAC | Design for Arts&Crafts10
6.3.1 Introduzione
Il progetto Dac_DesignForArts&Crafts nasce nell’ambito
della Convenzione Artigianato 2003-2005, con l’intento di
favorire lo sviluppo della filiera artigianale del sistema casa. Il
progetto è stato promosso dal Consorzio Poli.design del
Politecnico di Milano in collaborazione con Confartigianato
Brescia e Università di Brescia, con il contributo della
Regione Lombardia e di Unioncamere.
Dac, avviato nel luglio 2004 e tuttora in corso, prevede lo
sviluppo di una serie di progetti di sistema-prodotto basati
sulla collaborazione tra imprese artigiane e giovani designer,
seguiti e supportati da esperti e ricercatori della Facoltà del
Design del Politecnico di Milano.
Il progetto, naturale evoluzione del progetto DXD presentato
poc’anzi, nasce come sperimentazione concreta di
connessione tra mondo del design e mondo delle imprese
artigiane, ponendosi come possibile modello di trasferimento
tecnologico di conoscenza di design dall’Università alle
piccole e piccolissime imprese artigiane lombarde.
10
Il caso è stato redatto da Venanzio Arquilla e Lidia Tralli, in particolare Venanzio
Arquilla ha redatto i par. 2.1, 2.2, 2.5 e Lidia Tralli i par. 2.3, 2.4
| 249
Riteniamo che con questo progetto il sistema del design possa
fornire alle aziende gli strumenti e la conoscenza diretta
(attraverso la sperimentazione sul campo su progetti concreti)
per poter ampliare il proprio campo di attività e migliorare la
propria offerta, ipotizzando in scala distrettuale/settoriale la
strutturazione di un nuovo “sistema casa”; un sistema che
recupera le competenze artigianali e attraverso il design arriva
ad imporsi nei mercati di nicchia e del lusso, gli unici che,
anche in periodi di crisi economica commerciale come quello
attuale, non hanno grossi problemi e sono meno attaccabili
dai concorrenti stranieri a basso prezzo.
In sintesi l’università e l’associazione di categoria, in questo
caso, offrono alle imprese una modalità convenzionata di
relazione con il design, con basse barriere all’ingresso sia
economiche che culturali, che permette alle imprese di
entrare in contatto diretto con le fasce più giovani dei
professionisti e sperimentare direttamente una modalità di
relazione che altrimenti avrebbero fatto fatica ad attuare.
Obiettivi specifici dell’intervento sono:
- diffusione nel mondo artigiano della cultura del
design;
- sperimentazione di modelli innovativi di
collaborazione e trasferimento di conoscenza tra
sistema ufficiale del design/università e piccole e
medie imprese;
- realizzazione di alcuni progetti innovativi concreti
presso aziende (innovazione di prodotto);
- promozione congiunta della filiera come “sistema”;
- professionalizzazione di giovani designer provenienti
dalle zone nelle quali si svolgerà il progetto.
Oltre alle 14 imprese coinvolte, altri destinatari indiretti
dell’azione saranno tutte le aziende della filiera del “sistema
casa” che potranno usufruire dei vari momenti collettivi e
degli strumenti di diffusione della cultura del progetto
impostati.
Ulteriore ricaduta sarà quella della professionalizzazione e
dell’attrazione di giovani designer attraverso un processo
attivo di learning by doing e learning by interacting, che
potrebbe rivelarsi fruttuoso per la filiera e potrebbe favorire,
qualora se ne riscontrasse la necessità e l’utilità, la
6.3.3 Il modello
La modalità di intervento prescelta è stata quella della ricerca-
azione volta innanzitutto ad analizzare la filiera ed i settori
coinvolti per individuare alcune linee di sviluppo possibili e
realizzare, direttamente con le aziende sul territorio, attraverso
una serie di collaborazioni tra imprese e designer, alcuni
progetti specifici che avranno la valenza di progetti pilota e
serviranno da esempio e stimolo per tutte le imprese locali.
Nella sua complessità l’intervento intende far riferimento a
tutte le imprese della filiera definibile “Sistema Casa”,
comprendendo in questa una varietà articolata di settori che
vanno dal legno (arredo e complementi), al tessile per arredo
(rivestimenti, tendaggi, oggettistica), alla plastica (oggettistica,
prodotti per la tavola), prodotti di metallo (oggettistica,
prodotti per la tavola).
Il progetto si propone in concreto lo sviluppo di una serie di
progetti specifici per e con le imprese di tutti i livelli della
filiera che nel complesso daranno vita ad un intervento di
sistema teso alla valorizzazione dell’intera filiera.
Il raggiungimento degli obiettivi prefissati parte dal
presupposto che, durante il periodo di sviluppo dello
specifico progetto aziendale, si realizzi uno scambio di
competenze e approccio tra designer e impresa.
Il primo trasmetterà alle imprese artigiane locali stimoli e
suggestioni provenienti dal contesto globale, riguardanti in
particolare la cultura del progetto, le tendenze del mercato, le
nuove abitudini e gli stili di vita degli utilizzatori, secondo la
visione sistemica che gli è propria.
Il secondo fornirà concretezza all’azione progettuale
orientando le scelte in rapporto alle abilità e competenze
tipiche della sua cultura del prodotto.
Cultura del progetto e cultura del prodotto convergono
operativamente.
Al raggiungimento degli specifici obiettivi che ci si è posti, si
aggiunge la volontà di favorire una azione di potenziamento
dell’offerta delle imprese, che abbia ricadute non solo sulla
singola azienda, ma anche in un sistema a scala distrettuale o
| 251
settoriale per l’innescarsi dei tipici processi emulativi. Per
questo DAC è pensato come un modello che potrà essere
replicato ed aperto alla partecipazione di altre aziende e
settori, mirando in definitiva alla diffusione della cultura del
design, vista come elemento distintivo entro mercati sempre
più sofisticati.
I singoli progetti sviluppati vanno letti, quindi, in un’ottica
più ampia di replicabilità e consolidamento del rapporto
design-impresa, ma anche come specifici esempi di un sistema
che nel suo complesso è in grado di chiedersi cos’è
l’artigianato lombardo e quali sono le metodologie con cui il
design può intervenire.
Avvio progetto
Le attività svolte in questo primo momento hanno consentito
di analizzare il comparto artigiano lombardo, con particolare
attenzione alle province coinvolte, e la filiera del Sistema
Casa, allo scopo di delineare l’attuale stato dei settori
coinvolti e individuare possibili linee di sviluppo progettuale.
Selezione
Dopo una fase di sensibilizzazione e promozione,
Confartigianato si è occupata del contatto e della selezione
| 253
le parti che ricalca il modello di relazione tipico del rapporto
professionale e che consente il reciproco “adattamento”.
Dopo una fase di analisi metaprogettuale e di conoscenza
dell’azienda, si è proceduto ad una maggiore definizione dei
brief proposti e allo sviluppo di progetti che, allo stato
attuale, riguardano principalmente le aree del prodotto e della
comunicazione, sulla base di una visione sistemica.
Sistematizzazione risultati
Al termine del progetto è prevista una fase di raccolta e
sistematizzazione dei risultati con scopi di ricerca
(realizzazione di pubblicazioni e catalogo) e di promozione
delle attività (mostra e divulgazione dei risultati).
| 255
Le 14 aziende che hanno aderito al progetto sono attive
principalmente nel bresciano e nel lecchese ed appartengono
ad una varietà articolata di settori del sistema casa.
Le aziende rappresentano, nella maggior parte dei casi, una
fotografia del sistema artigiano nel suo complesso; si tratta
infatti di aziende di piccole e piccolissime dimensioni, con un
numero medio di addetti compreso tra 10 e 20, con casi di
imprese costituite da meno di tre persone.
Addetti 2003
Addetti 2003
6
5
5
4
n° aziende
n° aziende
3
3
2 2
2
1
1
0
1a3 3a5 5 a 10 10 a 20 oltre 20
6
n° aziende
5
n° aziende
4
3
3
2
1
1
0 0 0
0
0 - 50.000 50.000 - 100.000 - 250.000 - 500.000 - oltre 1.000.000
100.000 250.000 500.000 1.000.000
6.3.5 Conclusioni
I progetti sono attualmente in fase di sviluppo, i risultati
effettivi quindi potranno essere valutati solo dopo la
conclusione dei singoli progetti (data prevista settembre
2005).
Si può però sin da ora affermare che il modello ha suscitato
molto interesse ed approvazione da parte delle imprese
artigiane, che hanno dimostrato di credere molto
nell’intervento e stanno investendo notevolmente sui progetti
nei quali gli imprenditori hanno riposto i propri sogni e le
ambizioni future di sviluppo.
Questo, se da un lato può essere rischioso, perché una volta
create forti aspettative bisogna poi farle seguire da progetti
adeguati, dall’altro però rappresenta l’unica modalità per fare
in modo che i progetti vadano a buon fine. Una delle
principali incognite in progetti di questo tipo è rappresentata
proprio dalla sottovalutazione dell’azione, con conseguente
scarso impegno, da parte delle imprese; al contrario, in questo
caso specifico, grazie al filtro dell’università e
dell’associazione, le cose sembra stiano funzionando.
DAC rappresenta una strada per far avvicinare il design alle
imprese artigiane, è una prima tipologia di intervento di tipo
educativo sulle possibilità offerte alle imprese dalla
collaborazione con il design. A questo dovranno seguire altre
azioni e soprattutto una rinnovata capacità delle imprese di
investire in innovazione, un’innovazione che non deve essere
| 257
per forza tecnologica nè guidata dal mercato, ma che può
essere innovazione di design.
Nell’attuale economia basata sulla conoscenza, dove
l’esperienza sostituisce il prodotto in una logica sempre più
service oriented anche per prodotti a bassa complessità, come
quelli del Made in Italy, parlare di innovazione di design non
può più riferirsi soltanto ad un’innovazione formale (styling) o
funzionale, ma deve lavorare su nuovi bisogni, nuovi valori,
nuovi contesti d’uso, enfatizzando il lato sociale della ricerca
di design.
Il progetto, attraverso un meccanismo pratico di learning by
doing e di learning by interacting, ha permesso alle imprese di
comprendere e applicare praticamente le potenzialità
innovative del design ed ai giovani designer di fare
un’esperienza professionale concreta e di approfondire la
conoscenza tecnica sui prodotti e sui processi produttivi.
Questo caso specifico testimonia come oggi sia possibile una
connessione diretta tra istituzioni, università, associazioni di
categoria e impresa, tra governo, mondo della ricerca e
mondo della produzione, tra politiche, progetto e mercato.
I rapidi cambiamenti, infatti, impongono alle imprese,
soprattutto quelle meno strutturate come quelle italiane, una
relazione diretta con quanto viene ricercato, studiato e
appreso in università e allo stesso tempo impongono
all’università, per poter assolvere a questo nuovo ruolo di
mediatore della conoscenza, di stare più vicino al mondo
imprenditoriale.
Il Progetto DAC è un esempio di come questo collegamento
possa essere strutturato e di come si possa fare trasferimento di
conoscenza specifica attraverso lo scambio di esperienze e
competenze tra imprese e mondo universitario.
6.4.1 Introduzione
Sempre nell’ambito della connessione tra Sistema Design ed
imprese artigiane è stato sviluppato, a partire dal 2003, un
progetto di collaborazione tra Politecnico di Milano (Facoltà
del Design) e Atena, società che raggruppa giovani
imprenditrici calabresi.
ATENA nasce come esito di un progetto di emersione dal
lavoro sommerso denominato NOW Alliance, promosso in
ambito europeo da Artes, società di ricerca e consulenza
diretta da Lilia Infelise.
Alliance ha avuto come obiettivo primario la creazione di
imprese nella regione Calabria, a partire dalla necessità di
recuperare risorse e competenze tipiche della regione e dalla
necessità di coinvolgere giovani donne con spiccate capacità
imprenditoriali e residenti in Calabria a sviluppare start up di
impresa. Sono state coinvolte circa 40 giovani imprenditrici
che dopo un periodo di formazione hanno dato vita ad
imprese artigiane in diversi settori: ospitalità, produzione
tessile, produzione agroalimentare ecc.
A seguito di questo primo progetto sono state avviate da Artes
nuove iniziative di potenziamento dell’artigianato calabrese;
una delle azioni in questa direzione è stata la costituzione
della società ATENA.
11
a cura di Arianna Vignati
| 259
singole imprese, non avrebbero potuto realizzare.
12
Castelli, Simonelli, 2004
| 261
"Laboratorio di Creatività" con l’obiettivo di sperimentare
percorsi di sviluppo del sistema Atena non solo sul versante
dello sviluppo del prodotto, ma anche della comunicazione e
della distribuzione. Il laboratorio si è svolto in Calabria
nell’ottobre del 2003 e ha visto coinvolti 30 studenti delle
Facoltà di Design di Milano e dell’Università degli Studi di
Reggio Calabria, 10 imprenditrici del circuito Atena e un
gruppo di docenti, ricercatori ed esperti nel settore.
| 263
figura Immagini del progetto Neonè
6.4.4 Conclusioni
Questa iniziativa mette in luce non tanto una visione
conclusa di quali siano le potenzialità del design per la
valorizzazione delle imprese artigiane, quanto più un possibile
modello di integrazione tra questi due mondi, visti fino ad
ora come entità separate.
Emerge da questa esperienza come la possibilità di agire su un
tessuto di piccole e piccolissime imprese non si gioca tanto sul
contatto con la singola impresa, quanto più su azioni di
sistema, azioni di potenziamento di un gruppo di imprese che
possono acquisire visibilità solo se considerate come entità
collettiva da valorizzare.
Esiste però in questo senso una condizione primaria per
l’avvio di qualsiasi azione: che esista, sia riconosciuto e
legittimato un soggetto capace di coordinare e di convincere
un gruppo di imprese. Nel caso del progetto Atena e delle
azioni successive: la mediazione di Lilia Infelise, la presenza di
un gruppo di imprese già sistematizzate in una società
(Atena), hanno permesso di agire ad un livello avanzato di
consulenza professionale sui temi del design.
Da questa esperienza, e anche dal precedente DAC, emerge la
| 265
necessità che per legittimare l’intervento del design presso
sistemi di imprese imprese occorre innanzitutto una
collaborazione attiva di mediatori locali.
6.5.1 Introduzione
Da sempre il lusso è legato al concetto di bene raro, tendente
all’unicità. Nei Paesi industrializzati, in seguito alla
sovrapposizione, sempre più netta, della sfera
dell’immaginario individuale a quella dei bisogni e delle
necessità, è via via più difficile, per qualsiasi tipo di prodotto,
definire con precisione i margini delle classi di target, che
tendono a restringersi. In altri termini il rapporto tra
produzione e consumo evolve verso una identificazione tra
target ed individuo.
Questo fenomeno è stato incentivato, oltre che dalla
moltiplicazione delle varianti di ogni prodotto che inducono i
consumatori a desiderare sempre nuove diversificazioni,
anche dalla comunicazione pubblicitaria. Il messaggio
dell’unicità e dell’esclusività del consumatore è stato recepito
facilmente e si è immediatamente radicato, probabilmente a
causa dell’assonanza del concetto con il concetto biologico di
unicità dell’individuo e di distinzione tra i singoli individui.
Un processo, che ha interessato il mercato dei prodotti
industriali in generale, ma che è stato sentito ancora di più
nell’ambito dei prodotti di lusso ed in particolare nel settore
della gioielleria. Una tendenza che sembra voler tornare ad
una produzione di tipo artigianale, ipotesi inaccettabile, per
un comparto che deve essere sempre competitivo sul mercato
internazionale e che non può permettersi di rinunciare
all’innovazione tecnologica ed alla dimensione industriale.
13
di Carlo Coppola, Carla Langella
| 267
riequilibrio dei processi di vita dei costrutti organici. Nei suoi
processi, infatti, essa non torna mai indietro ma procede
sempre su nuove strade attraverso un aumento della
complessità che dalle forme di vita più semplici, come gli
organismi unicellulari, porta a quelle più mutevoli e
complesse, come l’uomo.
La sopravvivenza è sicuramente l’obiettivo primario posto alla
base di ogni forma di vita. Per conseguire questo obiettivo
ogni specie ha la capacità di trasformare alcuni suoi aspetti
per adattarli ai cambiamenti che avvengono all’esterno.
Ogni artefatto prodotto dall’uomo, sia artigianalmente che
industrialmente, sia casualmente che intenzionalmente, può
essere considerato come la estrinsecazione di un insieme di
principi e di caratteri finalizzati ad un obiettivo
predeterminato.
Anche per gli artefatti esiste una necessità evolutiva. I
prodotti che non si evolvono e non si trasformano in
funzione del variare delle esigenze del mercato si estinguono,
nel senso che non vengono più acquistati, ne richiesti, ne
prodotti.
In termini evolutivi il prodotto industriale nella sua linea di
produzione tradizionale è molto meno flessibile rispetto a
quello artigianale, poiché apportare una modifica a un
processo produttivo industrializzato significa intervenire su di
una serie di fattori della linea produttiva, con costi e tempi
spesso molto elevati. I prodotti industriali più sono complessi
ed articolati in varie linee di assemblaggio e più sono rigidi e
difficili da trasformare; il prodotto artigianale al contrario per
trasformarsi necessita esclusivamente della capacità
dell’esecutore a recepire le necessità di trasformazione.
Le modifiche apportate ai caratteri di un sistema biologico,
più o meno complesse, implicano una modifica del suo
codice genetico. L’evoluzione biologica avviene secondo un
susseguirsi ciclico di domande, tentativi di risposta,
modifiche, verifiche e correzioni. Anche il mondo degli
artefatti industriali è dominato da leggi che ricordano la
ciclicità dei processi evolutivi. L’evoluzione degli artefatti
consiste in un continuo altalenarsi di richieste del mercato e
risposte della produzione, che generano immediatamente
nuove domande.
Questo stesso tipo di modello di interazione ciclica di matrice
14
La biomimetica è la scienza che studia come trarre ispirazione
dall’osservazione delle strutture biologiche per creare artefatti.
| 269
Università degli Studi di Napoli, coordinato da Carlo
Coppola, in collaborazione con il consorzio dell’oreficeria
Tarì. Obbiettivo del progetto era verificare l’opportunità di
utilizzare nel campo dell’oreficeria gli algoritmi di
progettazione generativa per ottenere un prodotto industriale
evoluto, lontano dai limiti di serialità e ripetitività tipici della
produzione automatizzata, che tenda all’unicità, carattere
d’eccellenza del gioiello. Nel panorama della produzione
industriale l’evoluzione tecnologica consente oggi di superare
i limiti e le caratteristiche tradizionali del prodotto
industriale: serialità e ripetitività. Tali caratteristiche, tipiche
del design sino ad oggi praticato, hanno sempre allontanato la
meccanizzazione prima e l’automazione poi dalla produzione
orafa, in cui l’unicità rimane il carattere d’eccellenza.
Nel panorama del terzo millennio lo sviluppo della tecnologia
e dell’intelligenza artificiale applicata alle macchine consente
di coniugare i vantaggi economici della produzione
industriale con la necessità di garantire la richiesta di unicità
del design. Gli algoritmi di progettazione generativa
consentono, per la prima volta, di potere realizzare nel campo
dell’oreficeria infiniti unici appartenenti tutti alla stessa specie
(o linea se si preferisce) ideata da un singolo operatore.
Il lavoro è stato sviluppato indagando l'ordine dei gioielli
attraverso la definizione, in un primo momento, di una
classificazione tassonomica e, successivamente, di una
procedura generativa prima a livello logico e poi di
modellazione.
Come individui da studiare sono stati scelti gli anellidi,
famiglia di gioielli con una struttura circolare, ad anello,
appartenente all’ordine dei gioielli. Il parallelo tassonomico
potrebbe essere il seguente:
| 271
ibride, come verifica.
La struttura dell’anello può essere chiusa (fig. 6.5.1) o aperta (fig.
6.5.2), il percorso può essere a forma di spirale (n. di giri >1) o
collegare diverse forme (allineate o incrociate). La possibile
apertura può arrivare fino ad un’ampiezza di 90°. L’anello
può assumere diverse morfologie, che devono essere
compatibili con i limiti ergonomici ( 18 mm < h < 66mm):
circolare (fig. 6.5.3), ellittica (fig. 6.5.4), costituita da curve
irregolari (fig.6.5.5), poligonale (fig.6.5.6).
R
H
H
Am
AM
R
fig. 6.5.7
fig.6.5.8
fig. 6.5.9
| 273
fig. 6.5.10
6.5.6 Conclusioni
I risultati della sperimentazione hanno riscosso grande
interesse da parte dei produttori di gioielli, poiché rivelano
uno scenario di opportunità progettuali e tecnologiche molto
ampio e interessante. È importante sottolineare che la
progettazione generativa non costituisce, per il designer, un
fattore di esclusione dal processo progettuale o di riduzione
dei margini di intervento, ma piuttosto un’occasione per
sperimentare nuovi strumenti e nuove modalità progettuali,
che vanno ad arricchire il ventaglio di scelte possibili.
| 275
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