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| Design, imprese, distretti.

| Un approccio all’innovazione |
a cura di: Venanzio Arquilla, Giuliano Simonelli, Arianna Vignati |
ISBN: 88-87981-66-3
© 2005 Edizioni POLI.design

via Durando 38/A – 20158 Milano


Tel. 02-2399.7206 Fax 02-2399.5970
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Coordinamento editoriale
Michela Pelizzari

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Art direction: d.com

Prima edizione gennaio 2005


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Il capitolo 1 è stato curato da Giuliano Simonelli; i capitoli 2, 3 ed i paragrafi 5.6, 5.7,


6.1, 6.2, 6.3 sono stati curati da Venanzio Arquilla; il capitolo 4 ed i paragrafi 5.1, 5.2,
5.3, 5.4, 5.5, 6.4 e 6.5 sono stati curati da Arianna Vignati; il testo contiene contributi di
Antonella Castelli, Luciano Consolati, Stefano Maffei, Francesco Zurlo, Carlo Coppola e
Carla Langella, Lidia Tralli.

Tutti i diritti sono riservati; è vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale o ad uso
interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, la memorizzazione
elettronica o altro sistema di registrazione.
Indice

Indice 3
Prefazione 7
1 Una certa idea di design 11
1.1 Introduzione 11
1.2 Saper fare, saper progettare. Il design italiano e il
cambiamento dei processi di produzione della competenza
progettuale tra delocalizzazione e re-industrializzazione 23
1.3 I sistemi produttivi locali nell’economia delle esperienze: quale
ruolo per il design? 33
2 Design e impresa 41
2.1 Introduzione 41
2.2 Il sistema imprenditoriale italiano 43
2.2.1 Elevata presenza di Piccole e Medie Imprese 44
2.2.2 Elevata incidenza delle attività manifatturiere sul PIL
47
2.2.3 Specializzazione nei settori “tradizionali” a medio-
bassa complessità 50
2.2.4 Scarsa propensione alla Ricerca e Sviluppo e
all’Innovazione Radicale 53
2.3 Sistema Italia: un sistema in difetto di competitività? 57
2.4 Il modello innovativo italiano: innovazione di design 60
2.5 Innovazione di design: quali tipologie di imprese 65
2.5.1 Imprese Branded 67
2.5.2 Le PMI Design Oriented 70
2.5.3 Le PMI 74
2.6 Conclusioni 79
3 Distretti industriali, design e percorsi di sviluppo 85
3.1 Introduzione 85
3.2 I Distretti Industriali, un modello in evoluzione 86
3.2.1 Il modello neo-marshalliano 88
3.2.2 Il modello evolutivo 95
3.2.3 L’approccio cognitivo 98
3.2.4 L’approccio relazionale 109
3.2.5 Dalla teoria alla pratica: modelli di distretto e ipotesi
del ciclo di vita 111
3.3 La Legislazione nazionale sui Distretti Industriali e le recenti
evoluzioni 117
3.3.1 Le politiche regionali (regione per regione) 121
3.3.2 Il caso Lombardia: I Metadistretti 127
3.4 Dove vanno i distretti industriali 134
3.4.1 La reazione dei distretti: una tipologia di risposte 136
3.4.2 Gli scenari futuri : dai distretti tradizionali al
metadistretto 142
3.4.3 I percorsi possibili: da una logica adattiva ad una
logica proattiva 145
4 Design e Nuove forme di distrettualità riconosciuta151
4.1 Introduzione 151
4.2 Nuove forme di distrettualità riconosciuta 153
4.3 Design e distretti non industriali: un cambiamento di
prospettiva? 157
4.3.1 L’oggetto del progetto: dal distretto al capitale
territoriale 158
4.4 Il design al servizio dello sviluppo locale 162
4.5 Un approccio del design al problema dello sviluppo di sistemi
locali 164
4.5.1 La ricerca-azione applicata al design: una metodologia
di riferimento 167
4.5.2 Un possibile modello di intervento 170
4.5.3 I designer come antenne nel territorio 174
4.6 Design for trust: fiducia e design due leve per la competizione
dei sistemi produttivi locali 175
4.6.1 Fiducia, comunità di pratica e costellazioni di comunità
di pratica 178
4.6.2 Il concetto di fiducia 179
4.6.3 Memoria comune e linguaggio condiviso 180
4.6.4 Un progetto di servizio basato sulla fiducia 181
5 Legislazione per l’innovazione ed il trasferimento
tecnologico 187
5.1 Introduzione 187
5.2 Le politiche europee a favore dell’innovazione e del
trasferimento tecnologico 189
5.2.1 Investimenti in innovazione 191
5.2.2 Politiche dell’innovazione 192
5.3 Gli indicatori europei dell’innovazione e della ricerca 193
5.3.1 La situazione SII 2004 194
5.3.2 Innovazione di tipo non tecnologico: un nuovo
indicatore 197
5.4 La situazione italiana 199
5.4.1 La politica industriale italiana 201
5.4.2 Gli incentivi all’innovazione: contributi nazionali e
regionali 205
5.5 Il caso della regione Lombardia 208
5.6 Il Design come innovazione trasferibile 211
5.6.1 Il Contesto Internazionale 212
5.6.2 la situazione italiana 215
5.7 Il ruolo dell’Università e della ricerca nel trasferimento di
design 216
6 Esperienze di trasferimento di innovazione di design 223
6.1 Introduzione 223
6.2 DXD | Design for Districts 226
6.2.1 Design e Distretti Industriali 229
6.2.2 Fasi e Azioni 230
6.2.3 I risultati reali 242
6.2.4 Conclusioni 246
6.3 DAC | Design for Arts&Crafts 248
6.3.1 Introduzione 248
6.3.2 Artigianato e Design 248
6.3.3 Il modello 251
6.3.4 Fasi e strumenti 252
6.3.5 Conclusioni 257
6.4 Il progetto Atena 259
6.4.1 Introduzione 259
6.4.2 La genesi del progetto 261
6.4.3 Lo sviluppo del progetto 264
6.4.4 Conclusioni 265
6.5 Economie del lusso: il caso PRO.GE.OR. 267
6.5.1 Introduzione 267
6.5.2 L’evoluzione degli artefatti 267
6.5.3 La progettazione generativa 269
6.5.4 Lo sviluppo del progetto 269
6.5.5 La struttura formale degli anellidi 271
6.5.6 Conclusioni 274
7 Bibliografia 275
Prefazione

Questo testo intende presentare alcune ipotesi interpretative


sulle modalità con cui il design, nei suoi significati più attuali
e contemporanei, può portare innovazione alle Piccole e
Medie Imprese, ai sistemi distrettuali ed anche allo sviluppo
equilibrato delle aree territoriali.

Le tesi sostenute sono riconducibili ai seguenti assunti:


- il design rappresenta uno dei punti di forza del sistema
italiano ed in particolare del Made in Italy, come
testimoniano molti importanti studi in campo economico;
- il design è una forma peculiare di innovazione, non
immediatamente riconducibile all’innovazione tecnologica
che anche gli indicatori europei hanno recentemente
introdotto, seppur “in forma indiretta”, alla luce dei quali
anche talune misurazioni riguardo la ricerca e sviluppo e la
capacità innovativa risultano meno penalizzati;
- il design, essendo una forma di innovazione, al pari delle
altre, è trasferibile con specifiche metodologie e può essere
finanziata attraverso opportune forme e modalità.

| 7
I quesiti ai quali il testo cerca di dare risposte sono molti.
Cosa si intende per innovazione di design? Il design è una
specifica funzione aziendale o piuttosto un processo pervasivo
che consente alle aziende una innovazione di tipo trasversale?
Esiste una relazione virtuosa tra Design, Imprese e Distretti
Industriali? Il modello italiano di sviluppo basato su una
matrice imprenditoriale di tipo distrettuale può essere
definito come modello di innovazione design driven? In che
modo trasferire l’innovazione di design?

Le riflessioni svolte nascono da alcune attività di ricerca e da


alcune azioni specifiche sviluppate all’interno del Politecnico
di Milano e degli Atenei facenti capo alla rete nazionale di
ricerca sul design SDI | Sistema Design Italia.
Come tali, non intendono essere esaustive ma vogliono
fornire uno specifico contributo al tema per lo sviluppo del
Sistema Paese.

Se, fino a qualche anno fa, la relazione design impresa ha


vissuto nel nostro paese un connubio fortunato e spontaneo
tra buone pratiche professionali e capacità imprenditoriali, che
hanno portato le Piccole e Medie Imprese italiane a diventare
leader nei principali settori a media e bassa complessità, oggi
lo scenario appare mutato. Di fronte alle sfide portate dalla
globalizzazione, le piccole imprese distrettuali italiane
manifestano evidenti problemi di competività e la relazione
spontanea tra design e impresa non è più sufficiente per
contrastare l’aggressione competitiva dei sistemi produttivi
dei paesi emergenti.

Occorre impostare strategie a lungo termine di valorizzazione


dei caratteri esclusivi della produzione nazionale con attività
di ricerca e progetto strutturali che riescano a rimettere in
moto il sistema paese.

Come più volte viene ribadito nel testo, siamo solo all’inizio
di un processo di incontro fecondo tra Università, luoghi
della Ricerca ed Imprese. Così come siamo in una fase di
ripensamento dei tradizionali modelli con cui si attua il
trasferimento tecnologico. E’ in questo sistema che

8 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


cominciano a trovare spazio le tematiche del design e
dell’innovazione non tecnologica.

Il testo si chiude con una serie di esempi concreti di progetti


di trasferimento tecnologico di innovazione design, detta in altri
termini di trasferimento di conoscenza di design, attuati dal
Politecnico e dalle altre Università Italiane, per alcuni dei più
importanti Sistemi Produttivi Locali italiani. (G.S.)

| 9
1
Una certa idea di design1

1.1 Introduzione

Storicamente si è abituati a pensare al designer come al


progettista di prodotti industriali e a metterlo in relazione ad
una singola impresa committente. Caratteristico, nella
relazione design-impresa, dato l’elevatissimo numero di PMI
(Piccole e Medie Imprese) a gestione familiare, il rapporto di
fiducia e vera e propria amicizia che si instaura tra
l’imprenditore e il designer.

Gli orizzonti stanno però cambiando a causa dell’evoluzione


dei consumatori, sempre più colti, e dei loro rinnovati
bisogni, sempre meno legati a necessità, ma anche
dell’individuazione di nuovi e interessanti sbocchi legati alla

1
di Giuliano Simonelli, con saggi di Stefano Maffei e Francesco Zurlo

| 11
professionalità del designer come il design strategico e il design
dei servizi.
Cambiano i punti di riferimento; vengono richieste dal
mercato nuove forme di collaborazione. Non sono più
soltanto le imprese a richiedere il contributo del design ma,
sempre più spesso, fanno ricorso al design gli operatori sociali
e istituzionali (enti, organizzazioni..), quelli che taluni
definiscono designer del sociale.
Inoltre, ricorrono oggi al design, o individuano nel design
una possibile leva di successo, anche intere realtà industriali e
sistemi locali.
Il distretto, nello specifico, si presenta come una realtà
produttiva dove la maggior parte degli occupati lavorano in
aziende specializzate che operano in lavorazioni di fase e dove
le professionalità vengono acquisite per esperienza e per
contatto diretto, dove si respira spirito imprenditoriale e dove
tutte le realtà produttive sono nate grazie a questo spirito e
alla volontà continua di migliorasi e di migliorare il proprio
status sociale, dove il nucleo più importante è la famiglia.
In tale realtà, sempre pressata dagli elevatissimi ritmi di
produzione, non c’è tempo per riflettere, per modificare le
produzioni se non dal punto di vista tecnico; non si
riscontrano, infatti, innovazioni radicali e la stragrande
maggioranza di imprese opera “seguendo” il mercato,
aggiornando i cataloghi in una costante emulazione dei
leader.
In una realtà così industrializzata e “tecnologica”, dal punto
di vista produttivo, il design riveste lo stesso ruolo che ha per
l’opinione pubblica: design = forma.
Gli imprenditori chiedono ai designer solo l’idea iniziale: si
rivolgono al designer con un brief (molto spesso questo non è
altro che un modello di prodotto della concorrenza) e
chiedono di produrre il progetto di un prodotto simile; dallo
schizzo di massima, grazie al lavoro di modellisti e stampisti,
realizzano l’oggetto che va in produzione nel giro di pochi
giorni.
In queste imprese fare discorsi teorici sul contributo strategico
del design o ipotizzare progetti a medio e lungo termine è
molto difficile, come difficile è coinvolgere gli imprenditori
in momenti d’incontro su questi temi.
La circolazione di informazioni, le innovazioni radicali, la

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collaborazione per lo sviluppo di progetti comuni sarebbero
tutte vie da perseguire per favorire la competitività di questi
sistemi di imprese, ma bisogna innanzitutto vincere la
diffidenza tipica degli imprenditori verso professionisti
estranei alla realtà locale. Per arrivare a proporre progetti di
sviluppo comune e di innovazione mirata bisogna che il
progetto si guadagni la fiducia degli imprenditori
appoggiandosi a strutture che riscuotono un certo credito
(enti, istituzioni, centri servizi ecc.).
Fondamentale per questa tipologia di realtà è la
sensibilizzazione sulle tematiche del design che da anni il
Politecnico sta cercando di fare con i progetti sperimentali,
che però si scontrano continuamente con le barriere dovute ai
retaggi storico culturali difficili da superare.

Un designer per le PMI e per le realtà distrettuali può


ricoprire differenti ruoli: occuparsi della progettazione dei
prodotti, della comunicazione, dei servizi, ecc. Ma è
interessante, con un’ottica più ampia, considerare come nel
distretto “ogni singola unità produttiva è da considerarsi
simultaneamente, e una entità suscettibile di una sua propria
storia autonoma …, tendenzialmente sganciata dalla sua origine
territoriale, e un ingranaggio specifico di quello specifico
2
distretto” .

La realtà distrettuale ha vari aspetti che possono essere


sfruttati se valutati attentamente, uno di questi è
l’emulazione: proprio per i rapporti informali che si vengono
a creare e per la coabitazione fisica, le imprese distrettuali
sono frequentemente portate ad imitare le aziende di maggior
successo iniziando sempre dall’osservare i vicini. Se si dovesse
quindi introdurre in una tale area un prodotto di successo la
sua diffusione sarebbe immediata; uno svantaggio potrebbe
trasformarsi in vantaggio, quindi, posto che il prodotto sia
realmente innovativo e si riuscisse a trainare il mercato e ad
identificare con questo la produzione del distretto.

2
Becattini 2000, p. 62

| 13
Un problema delle imprese di queste realtà è proprio quello
dell’anonimato: ci sono molte aziende che eseguono
lavorazioni di elevata qualità in rapporto ai concorrenti
stranieri, ma queste restano molto spesso anonime perché,
basandosi su una concorrenza di prezzo, sono costrette a
limitare i budget tagliando le spese per la comunicazione (che
non è soltanto quella pubblicitaria; viene data, per esempio,
scarsa importanza al packaging e ai servizi).
Importante sarebbe riuscire a far emergere come ogni azienda
rappresenti un ingranaggio specifico della macchina distretto
e di come si possa crescere insieme grazie a strategie di
collaborazione; con questo non si intende affermare che nel
distretto non ci si aiuta ma che una politica da incentivare è
quella della collaborazione, della cooperazione e dello
scambio di informazioni.

In parte un’avvisaglia di questo già avviene: più volte è stato


ribadito, ad esempio, di come la fitta rete di rapporti
informali faccia da tramite per le informazioni. Molto più
importante, però, risulta la condivisione di risorse come ad
esempio i modellisti o gli stampisti; sono loro, in un certo
senso, a guidare le produzioni del distretto, a diffondere le
maggiori informazioni e la base tecnica di tutte le aziende.
Bisognerebbe partire quindi dall’analizzare queste
caratteristiche e rischiare nell’introdurre politiche di
collaborazione a più ampio respiro: gli imprenditori non sono
miopi alle innovazioni hanno soltanto poco tempo per
riflettere, in quanto troppo impegnati a mandare avanti
l’azienda e a risolvere i problemi del quotidiano.
La collaborazione (o lo spirito di collaborazione) non
andrebbe poi introdotto ma soltanto esplicitato, unico modo
di farsi capire è quello di portare agli imprenditori esempi
concreti partendo dal rimarcare i loro comportamenti ”taciti”.
Il compito che spetta ai designer in un contesto così definito,
dove le distanze sono principalmente culturali, è
principalmente quello di promuovere l’innovazione e la
circolazione di conoscenze.

Per definire cosa voglia dire innovazione guidata dal design ci


affidiamo alle parole di J. Thackara, che definisce
chiaramente cosa significhi oggi praticare il design ed in che

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modo questo possa portare all’innovazione:
“Innovation is about technological invention that reinvents the
future – but it is also about the new products and services that
respond to changes in the way we live. This is where design comes
in as an instrument of innovation; design is a process that
transforms raw technology into products or processes that people
can actually use.
Design – like innovation – is one of those words which means
differet things in different contexts; despite decades of discussion,
nobody has yet come up with a commonly accepted definition.
Although many people receive design to be all about appearances,
design is not just about the way things look. Design is also about
the way things are used; how they are communicated to the
world; and the way they are produced.
There are many kinds of design process as there are design
disciplines, which is a lot. To the CEO of an airline, “design”
denotes the corporate logo applied to a thousand objects – from
aircraft to sickbags. To the owner of a hairdressing salon “design”
means the way someone’s hair is cut – or, possibly the wallpaper
pattern that adorns the salon walls. To a brand manager,
designers are responsible for the label on a can of baked beans –
and possibly the dumpbin that trips you up in the supermarket.
To an online Internet publisher, the “design” of a website lies
somewhere among its information architecture, its flow charts, its
visual appearance, and the html software that makes it work.
Some companies hire designers to enhance a product whose
function remains unchanged; others use designers to envision
future lifestyles, and to simulate the products that will be needed
to sustain them. Some companies have high-level “design
manager”, who spend millions on design; other firms “design”
great products without ever hiring, or even hearing about, the
concept of a professional designer.
The search for a universal definition of design is probably a waste
time. Can you define “creativity”, or “organisation”, or
“communication”? Probably not: but you know they are
3
important.”

3
Thackara, 1997

| 15
Definire univocamente cosa sia l’innovazione design driven è
quindi impossibile, ma si può dire che tutti i tipi di
innovazione citati da Thackara a titolo di esempio potrebbero
essere utili ad un realtà distrettuale.
Si può innovare nel prodotto, nella comunicazione, nei servizi
e si può innovare su tutte queste leve generando innovazione
a livello di sistema prodotto; ma si può innovare anche con
strategie e servizi che mettano d’accordo le unità produttive
per lo sviluppo comune del distretto.
Questo è il campo d’azione del design: “La parola strategia
non indica un programma predefinito che è sufficiente applicare
ne varientur nel tempo... Consente, movendo da una decisione
iniziale, di ipotizzare un certo numero di scenari per l’azione,
che potranno essere modificati secondo le informazioni che
arriveranno nel corso dell’azione e secondo le alee che
4
sopraggiungeranno e perturberanno l’azione. ”
Non esistono definizioni universalmente riconosciute ma
“possiamo definire come design strategico quell’attività di
progetto che è cooptata nella formulazione e nello sviluppo della
strategia aziendale. Questa attività riguarda la gestione, il
coordinamento e la proposta della pluralità mediale
(prevalentemente visuale) dell’impresa. E’ un’attività che
generalmente si interfaccia con il management (cioè con chi
decide la strategia) e che si svolge in gruppo attraverso la sinergia
5
di competenze interdisciplinari.”
Generalizzando si può dire che, come il distretto nella sua
totalità può essere paragonato ad una grande azienda, allo
stesso modo la definizione sopra esposta può essere estesa al
distretto. Quindi progettare strategie per il distretto vuol dire
gestire e coordinare la strategia distrettuale mettendo in
campo competenze interdisciplinari, interfacciandosi con gli
attori per l’innovazione locale rappresentati dagli
imprenditori, dai politici, dalle associazioni, dai centri servizi,
ecc. Ancora una volta emerge chiaramente il fattore sociale
come chiave per lo sviluppo distrettuale.
Il compito del designer per il distretto è quindi da un lato di

4
Mauri, 1996
5
Zurlo, 1999

16 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


sopperire alle necessità progettuali espresse dalle singole
aziende e dall’altro coordinare, in accordo con gli attori
sociali preposti, una strategia di sviluppo comune.

Innovazione e design sono due elementi strettamente


connessi al problema della competitività del Sistema Paese.
Il termine innovare fa riferimento ad un ottimale mix di
creatività e iniziativa che dà vita a nuove combinazioni e
logiche di creazione di valore, attraverso l’introduzione di
qualcosa che in questo contesto è nuova (ad es. nuove idee e
modi di vedere le cose, ecc.). L’innovazione (nel contesto
delle imprese), intesa come nuovo prodotto, processo o
struttura, è qualcosa che cambia le regole, stabilisce nuovi
confini, introduce qualcosa di non previsto /contemplato o
conosciuto, cambia il modo con cui qualcosa viene compreso,
creando nuovo valore per l’impresa, per l’utente ecc.
L’innovazione consiste perciò nel “trasformare una nuova
idea in un valore aggiunto per il business”. A monte di tutto
questo vi è la creatività, intesa come “una caratteristica di
persone o di gruppi di persone che consente di generare
invenzioni e innovazioni, e che consiste generalmente nella
capacità di collegare cose già esistenti ma scollegate”.

L’innovazione, se vera discontinuità rispetto al passato (e non


semplice “miglioramento” che è incrementale), diventa una
determinante fondamentale del vantaggio competitivo di
un’impresa. Vantaggio campetitivo non solo in termini di
fatturato e quindi di ricchezza, ma anche in termini di
riconoscibilità del brand, di fidelizzazione del cliente,
insomma vantaggio rispetto agli assets strategici dell’impresa
stessa. Ma l’innovazione della singola impresa si collega
strattamente ad un processo virtuoso che coinvolge le imprese
del Sistema Paese. Tanto più si instaura un meccanismo di
trasferimento di una innovazione da una impresa ad un
sistema più ampio di imprese, tanto più il processo di crescita
del vantaggio sarà diffuso.
Qual è allora il collante? Certamente è di tipo culturale:
l’innovazione diventa, un valore condiviso, ampiamente
riconosciuto, sostenuto, difeso e rafforzato da ogni singolo
elemento del sistema.

| 17
Come noto, è possibile individuare tre tipologie di
innovazione legate alla produzione industriale di prodotti e
alla relazione con il mercato:
- innovazioni radicali (che producono discontinuità)
che consistono in prodotti/servizi nuovi sia dal punto
di vista del mercato sia dal punto di vista dell’azienda;
- innovazioni per le imprese che consistono in prodotti
nuovi per l’azienda, ma già presenti sul mercato;
- innovazioni di tipo incrementale, che prevedono
novità marginali nel prodotto ma non nel mercato.

L’innovazione per un‘impresa e più in generale per un sistema


di imprese si concentra allora sempre di più, o meglio,
considera soprattutto le evidenze materiali con le quali
l’impresa stessa è riconoscibile in un mercato. Evidenze che si
configurano come elementi in grado di soddisfare i bisogni
espliciti o latenti del cliente: nella misura in cui tali artefatti
saranno in grado di configuarsi come risposta a tali bisogni,
tanto più l’innovazione sarà al servizio del cliente e porterà
vantaggio anche per l’impresa.

In questo scenario di innovazione il design ricopre un ruolo


di vero e proprio protagonista.
Se, infatti, l’innovazione si gioca sempre di più nelle evidenze
con le quali l’offerta dell’impresa si manifesta in un mercato è
evidente che la disciplina del design si configura come adatta
a gestire e supportare tali processi.
Il design perciò agisce a livello di configurazione complessiva
del sistema di offerta dell’impresa, ovvero a livello
dell’insieme di prodotto, comunicazione e servizio che forma
il sistema prodotto capace di competere nei mercati
internazionali.
Da tempo le imprese (a dire il vero non tutte) hanno
compreso, forse in modo tacito, o meglio attraverso un
processo di apprendimento continuo delle regole della
competizione globale, che non è possibile competere se non
con un sistema di offerta integrato che affianchi ad un
prodotto di qualità, una efficace strategia comunicativa (dal
packaging, alla comunicazione all’utente finale ecc.) ed un
sistema di servizi a supporto dell’utilizzo del prodotto stesso, a

18 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


favore cioè dell’intero ciclo di vita del prodotto (si pensi ai
servizi di manutenzione, assistenza post vendita ecc.).

Una innovazione che agisce a livello di questo complesso


sistema di elementi (sistema prodotto) è perciò una
innovazione di tipo design driven.
Il concetto di innovazione design driven si riferisce a dei
processi di riconfigurazione nella creazione del valore che non
sono riconducibili solo all’applicazione di una nuova
possibilità tecnica, né semplicemente l’adattamento ad una
nuova, evidente domanda di mercato, ma che sono, invece, il
risultato dell’incontro tra potenzialità tecniche e potenzialità
sociali. Un incontro che, per aver luogo, richiede una
particolare capacità di muoversi a cavallo di universi
disciplinari, organizzativi e linguistici normalmente
considerati diversi. Esistono settori del sistema produttivo
italiano (si pensi al settore del legno-arredo, dei prodotti per
la casa, dell’abbigliamento ecc.) nei quali questo confine viene
frequentemente superato; non solo, molto spesso
quest’attività è svolta da figure professionali che raramente si
definiscono designer, che non sono riconosciute come
designer e che non hanno particolari esplicite relazioni con il
design palese, che tuttavia mettendo in atto un’innovazione
design driven.

Spesso parlando di innovazione si fa riferimento a


innovazioni di tipo funzionale e prestazionale: in questo
contesto innovare significa perciò sviluppare tecnologie (di
prodotto e di processo) che permettano di svolgere nuove
funzioni o che migliorino le prestazioni di funzioni esistenti,
introducendo così nuove modalità d’uso del prodotto. I
problemi legati a questo tipo di innovazione sono pertanto
legati soprattutto allo sviluppo di tecnologie in grado di
supportare tali cambiamenti. Si pensi ad esempio al progetto
di un’automobile che utilizza differenti sistemi di
carburazione (è di grande attualità il problema del progetto di
automobili alimentate ad idrogeno): tutto il progetto della
componentistica tecnica, del motore, del sistema di
trasmissione dell’energia prodotta è il cuore del problema
progettuale. In questo scenario di innovazione tuttavia viene
trascurata (o comunque considerata in modo marginale) tutta

| 19
la dimensione di senso, che costituisce un aspetto centrale
quando si esaminano le dinamiche dell’innovazione design-
driven, soprattutto nel caso del design italiano. Anziché porsi
il problema di tecnologie, funzioni e prestazioni, ci si pone
interrogativi riguardo a linguaggi, i codici e soprattutto i
significati di un nuovo sistema prodotto. Un prodotto non è
semplicemente l’esito di soluzioni prestazionali, ma è anche
un medium capace di trasferire messaggi, valori, emozioni,
codificabili ed interpretabili dal cliente stesso.

L’area dell’innovazione design driven è perciò l’area delle


innovazioni proiettate verso nuovi significati e nuove funzioni
legate al sistema di offerta dell’impresa.
Parlare di innovazione del sistema-prodotto implica perciò
parlare di cambiamenti operati in termini di nuovi messaggi e
codici, dei quali il senso ed il significato, comprensibile e
codificabile dall’utente è sempre più rispondente ai suoi
bisogni, desideri. Innovare dal punto di vista dei significati
vuol dire avviare una ricerca ed un progetto capaci di
identificare nuovi codici, nuovi simboli, segni, dall’inaspettata
natura o conformazione o semplicemente esito di interazioni
inedite.
È da subito evidente che questo scenario si sposa
perfettamente con le peculiarità strumentali, di conoscenza e
competenze del design. Se pensiamo, infatti, a ciò che ormai
diversi anni fa, ma che risulta ancora attualissimo, diceva
Tomas Maldonado rispetto alla disciplina del design ci
accorgiamo che, nonostante i cambiamenti nello scenario
competitivo delle imprese, l’approccio al progetto del
prodotto non è cambiato: …Progettare la forma significa
coordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un
modo o nell’altro, partecipano al processo costitutivo della forma
del prodotto. E, più precisamente, si allude tanto ai fattori
relativi all’uso, alla fruizione e al consumo individuale o sociale
del prodotto (fattori funzionali, simbolici o culturali) quanto a
quelli relativi alla sua produzione (fattori tecnico-economici,
fattori tecnico-costruttivi, fattori tecnico-sistemici, fattori tecnico-

20 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


produttivi e fattori tecnico-distributivi)…
6

E’ perciò ormai tolto qualsiasi dobbio rimasto sul problema


del progetto del prodotto (ora diremo del sistema prodotto)
che non riguarda solo problemi relativi alla forma, all’estetica,
ma che unisce in un connubio indissolubile forma, funzione e
significati. Gli elementi legati alla dimensione tecnico-
prestazionale si incrociano con la dimensione dei significati
che il prodotto assume rispetto al mondo dell’utente, ai suoi
valori, alla realtà che vive.
Quando parliamo dei significati perciò alludiamo ad una
dimesione non solo legata allo styling, ma al vero e proprio
senso che il prodotto assume per il cliente, l’identità del
prodotto, il suo aspetto simbolico e cognitivo, i valori che
vogliono essere comunicati e successivamente appresi e fatti
propri. Il progetto riguarda perciò non tanto un prodotto in
quanto tale, piuttosto la piattaforma di interazione tra
impresa e cliente, piattaforma generata dall’unione di artefatti
fisici, di comunicazione ed elementi immateriali di servizio e
di relazione.
Questa puntualizzazione non solo non è superflua, anzi. Con
gli anni, a contatto con diverse imprese ed imprenditori
italiani, ci si è spesso (forse troppo spesso, e questo è uno dei
punti chiave della lettura del problema del rapporto tra
Sistema Design e impresa) scontrati con una visione del
design ancora fortemente legata alla forma del prodotto.
Visione che ha bisogno, ora più che mai di lasciare spazio ad
un approccio all’innovazione design driven capace di puntare
radicalmente sui significati, sulla relazione sempre più
empatica con i bisogni dell’utente. E’ in questo senso che il
cambiamento auspicabile è di tipo culturale, un cambiamento
che renda consapevole l’impresa di potenzialità, possibilità e
strumenti che il design può mettere a disposizione della
capacità competitiva.

Qual è lo scenario attuale entro cui si inserisce la questione


della diffusione di una cultura aziendale proiettata alle logiche
dell’innovazione, e dell’innovazione design driven?

6
Maldonado, 1991

| 21
Lo scenario non è certo dei più incoraggianti: consumi che
non crescono, export in discesa, clima diffuso di sfiducia. A
questo si aggiunge il problema di un’Europa che non sembra
uscire dal tunnel della bassa crescita, e quindi a “tirare” le
esportazioni italiane; l’economia mondiale è in balia della
precarietà e degli squilibri dell’economia americana e le
minacce del terrorismo diventano sempre più foriere di
incertezze economiche e politiche.
Come è possibile non guardare a questi fenomeni con grande
preoccupazione? C’è tuttavia una minaccia ulteriore, che
nasce da una forzata interpretazione in termini di “declino
industriale” della situazione, che non solo alimenta essa stessa
ulteriormente la crisi, ma può dare luogo a risposte e misure
più gravi del male stesso. Emergono segnali preoccupanti di
sindrome o “cultura” del declino - contro i quali anche il
Presidente della Repubblica ha esortato il Paese a reagire - che
potrebbero determinare in Italia, ma non solo, rigurgiti di
assistenzialismo, richieste di interventi pubblici, anziché
iniziative autopropulsive capaci di far ripartire lo sviluppo
dell’intero Paese.
Se è vero che tra i fattori di successo che hanno caratterizzato
la crescita dell’industria italiana nel passato c’è anche il
design, e la sua capacità di produrre innovazione, perché non
pensare a far leva su esso per il futuro? Tutto questo a partire
dagli elementi che fino ad ora sono stati leva di competitività:
- innanzitutto la capacità imprenditoriale, sottolineata
dai dati sulla nascita di nuove imprese, che
confermano l’Italia tra i primi posti nella propensione
all’autoimprenditorialià. Non solo, le neonate
imprese italiane sembrano anche godere di una
costituzione più solida, capace di farle sopravvivere
alle sfide della globalizzazione. Il design, nella sua
dimensione strategica, interviene con strumenti e
competenze a favore dell’individuazione dell’area di
opportunità nel mercato, della definizione della
business idea e della messa a punto del concept di
nuova impresa, oltre che supportare poi, i processi di
innovazione;
- in secondo luogo la capacità di innovazione. Come
delineato nei paragrafi precedenti la capacità di
innovazione che riesce a rendere sinergica

22 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


un’innovazione sui significati con una di tipo
tecnologico è quella che maggiormente è in grado di
essere efficace per la crescita dell’impresa stessa. E’ in
questo senso che le logiche delle imprese italiane (e
non pensiamo alle grandi imprese, poche a dire il
vero presenti sul tessuto nazionale, ma proprio a
partire dalla fittissima rete di piccole e medie
imprese) devono sempre più essere le logiche
dell’innovazione design driven, supportate da ricerca
e sviluppo in termini di tecnologia.
- infine, il rapporto con il territorio, inteso non più
solo come sistema locale per la produzione, ma come
parte integrante del patrimonio di conoscenza e di
identità dell’impresa. Territori che diventano bacini
per la diffusione delle conoscenze e delle tecnologie,
luoghi dove la cultura dell’innovazione, del tipo di
innovazione di cui abbiamo parlato, diventa diffusa,
condivisa, compresa.

Il modello italiano va dunque adeguato alle sfide attuali. Il


design può essere oggi protagonista di questa sfida

1.2 Saper fare, saper progettare. Il design italiano e il


cambiamento dei processi di produzione della competenza
progettuale tra delocalizzazione e re-industrializzazione7

Immaginare come cambia il modo di fare design in Italia


cambia in conseguenza del cambiamento del quadro
strutturale economico. Ecco di cosa intendiamo parlare.
Le ipotesi che guidano questa riflessione sono essenzialmente
tre:
- la prima dice che esiste una relazione inscindibile tra
il saper fare e il saper progettare, tra lo sviluppo del
sistema industriale italiano (nella sua forma
caratteristica dei sistemi distrettuali) e che le
competenze peculiari legate al saper fare sono quelle

7
a cura di Stefano Maffei

| 23
che giustificano l’eccellenza italiana nel saper
progettare;
- la seconda ipotesi dice che se la prima ipotesi è
verificata allora per capire l’evoluzione della natura
tipica dei processi di design italiani sono significativi i
processi di evoluzione-transizione dei sistemi
distrettuali;
- la terza ipotesi dice che se questi processi di
trasformazione (soprattutto quelli legati alla
delocalizzazione produttiva) portano allo
sbriciolamento dei sistemi distrettuali tradizionali
questo porta anche uno sbriciolamento di quelle che
sono le attitudini tipiche del modo italiano di
costruire processi di design.

La tesi finale sostiene che uno dei modi per conservare questa
specificità è quella di conservare (pur modificandolo) un
sistema industriale nazionale, ovvero difendere il saper fare per
difendere il saper progettare.

Cominciamo dalla presentazione e dal commento della prima


ipotesi.
Se guardiamo alla storia industriale italiana del dopoguerra
confrontandola con lo sviluppo dell’esperienza storica del
design italiano possiamo individuare una forte relazione tra il
modello di sviluppo organizzativo locale che l’ha
caratterizzata, quello del distretto industriale. In essa potremo
ritrovare un ininterrotto legame tra attività di design,
specificità merceologica e specializzazione produttiva che ben
8
si può sprimere con il concetto di Made in Italy sviluppato da
Marco Fortis . 9

I settori che lo compongono rappresentano, infatti, alcuni tra


10 11
gli ambiti principali in cui il design italiano si è

8
Rullani (Rullani, 2000, p. 160) parla di incontro tra schema merceologico del
Made in Italy e il concetto di distretto
9
Quadro Curzio e Fortis, 2000
10
Fortis li definisce come “…l’insieme dei settori operanti nelle aree moda , arredo-
casa, tempo libero ed alimentazione mediterranea, a cui vanno aggiunti i comparti
della meccanica collegata. Questa definizione qualitativa enfatizza la spiccata
specializzazione italiana nel vestir bene, nella cucina mediterranea, nel proporre

24 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


storicamente sviluppato; ciò testimonia in maniera efficace
l’idea che esista una relazione virtuosa tra lo sviluppo del
nostro sistema economico e quello del nostro sistema di
attività progettuali.
Possiamo validare quest’ipotesi affermando che il sistema
economico e il sistema del design italiano si sono modellati
con un processo d’interazione reciproca realizzatosi attraverso
meccanismi complessi di interazione e apprendimento sociale.
Sono stati gli esiti della prima grande ricerca nazionale sul
Sistema Design Italia che hanno infatti consentito di
12

analizzare e comprendere in maniera chiara questo processo


d’interazione tra le attività di design e le attività di
produzione. La ricerca ha dimostrato che all’interno dei
sistemi d’impresa distrettuali italiani esiste effettivamente una
forte attitudine esplorativa e progettuale che riguarda i processi
di innovazione produttiva. Questa capacità delle imprese ha
sempre funzionato da abilitatore per il sistema delle attività
progettuali, che ha utilizzato la conoscenza locale tacita ed
esplicita per materializzare nuovi processi, forme d’azione
organizzativa, artefatti. Per ottenere cioè quel tratto
costitutivo tipico dell’innovazione di prodotto che molti in
Italia e all’estero definiscono come creatività . 13

La ricerca ha documentato che ciò è il portato di due dati


salienti:
- la presenza di un milieu socio-produttivo e ambientale
caratteristico in cui – attraverso un processo di
interazione sociale tra gli attori significativi – si
specificano sia i processi di costruzione della cultura

prodotti per il tempo libero e lo sport, nell’arredare e rendere più funzionale la


casa…” (Quadro Curzio e Fortis, 2000, pp. 25-26); si vedano anche in proposito
(Brusco e Paba, 1997; Viesti, 1997; Fortis, 1998; Rullani, 2000)
11
Si vedano in proposito alcuni testi sulla storia del design italiano: (Gregotti, V.,
1982), (Pansera, A., 1993), (Branzi, A., 1996)
12
Questa ricerca co-finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca (1998-
2000), a cui hanno partecipato 17 sedi universitarie il cui titolo completo era
“Sistema Design Italia. Risorse progettuali e sistema economico. Il ruolo del disegno
industriale per l’innovazione di prodotto. Sviluppo delle risorse progettuali del Sistema
Italia tra risorse locali e mercati globali” è stata insignita del Premio Compasso d’Oro
2001 per la miglior ricerca di scenario; da questo lavoro sono state tratte diverse
pubblicazioni tra cui (Maffei e Simonelli, 2002) e (Zurlo et al., 2002), (Bertola et
al., 2002)
13
Bettiol e Micelli, 2005

| 25
progettuale, sia la trama di relazioni generative delle
forme organizzative ; 14

- l’esistenza di un processo di co-produzione collettiva


dei valori, dell’organizzazione, del senso operativo 15

basato su processi taciti di relazione e collaborazione


tra attori – formalizzati e non – del sistema della
produzione e del progetto.

La ricerca ha prodotto un’indagine sul campo, che ha visto lo


svolgimento di circa 90 casi studio di sistemi-
prodotto /imprese inseriti in contesti territoriali significativi.
16

L’interpretazione dei casi ha messo in evidenza un aspetto


centrale comune: la relazione tra design e la cultura 17

produttiva all’interno delle diverse realtà produttive


territoriali passa attraverso una forma di apprendimento
collettivo, sedimentato nelle pratiche, che può essere definito
come learning by interacting . 18

In esso è fortissima la componente situata , cioè relativa ad 19

una specifica collocazione spazio-temporale del fenomeno


osservato. Secondo quest’approccio interpretativo, le risorse
che gli agenti produttivi (o che si occupano del progetto a
livello sia tacito che esplicito) all’interno del contesto
distrettuale possono impiegare per lo svolgimento di
un’azione conoscitiva o operativa dipendono dalle circostanze
materiali e sociali in cui l’azione stessa si svolge.
Il senso dell’azione produttiva o progettuale si sviluppa perciò
contemporaneamente sia nel mondo materiale dei prodotti,
dei processi ecc. sia nella sfera sociale, nei luoghi
dell’interazione condivisa, attraverso i filtri delle regole
comunitarie e dei repertori di conoscenze condivise tacite o
esplicite degli attori che, a diverso titolo, si occupano di
questi processi all’interno dei sistemi produttivi locali.

14
Maffei e Zurlo, 2000
15
Maffei e Simonelli, 2002; Zurlo et al., 2002
16
Il sistema-prodotto è la combinazione degli elementi tangibili e intangibili –
comuicazione, servizio - del prodotto (Normann e Ramirez, 1995)
17
Si veda per una più chiara comprensione di cosa sia il design secondo una visione
sistemica il sintetico ma fondamentale (Maldonado, 1991)
18
Lundvall et al., 2002
19
Suchman, 1987

26 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


La storia dell’accoppiamento tra produzione e design ci
racconta l’esistenza di un apprendimento localizzato nei sistemi
territoriali che trae la sua forza dal sistema dalle relazioni
interpersonali e dalle opportunità d’azione che queste
relazioni generano. Esso si solidifica nel tempo, reificandosi
nelle strutture e nelle pratiche sociali e culturali ma anche
negli artefatti e nelle strutture produttive (sistemi-prodotto e
sistemi d'imprese).
La comprensione dei processi di produzione di conoscenza,
nelle sue pratiche di attivazione e reificazione attraverso il
contributo delle attività di design, costituisce quindi un
elemento fondamentale per la comprensione di un sistema
economico competitivo basato sulle competenze degli attori
locali.
Questa dinamica trova la sua realizzazione effettiva nei
processi di messa a punto di sistemi-prodotto che sono
portatori di insiemi di piccole innovazioni su base locale. Ciò
alimenta il processo di interazione culturale e sociale mediato
sia dagli stessi prodotti che dalle azioni e dai processi utilizzati
per produrli e concretizza quello che potremmo definire un
20

circuito innovativo tipico di produzione e circolazione di


conoscenza esplicita o tacita (progettuale, produttiva,
distributiva, comunicativa).
L'elemento fondamentale di questo processo è costituito
dall’attenzione per i bisogni e i contesti d’uso degli utilizzatori
finali dei beni : proprio i contesti d’uso sono i punti di
21

riferimento per la definizione del campo di sperimentazione


produttiva per i sistemi di piccole e medie imprese . 22

Questo modello innovativo – basato sull’idea che tutto il


corpo organizzativo e gli agenti dell’impresa partecipino al
progetto – guarda alla tecnologia e al mercato come elementi
complementari nella definizione di una configurazione del
prodotto.
Per comprenderne la specifica natura occorre indagare
piuttosto la capacità degli utenti-abitanti-partecipanti di
individuare l’insieme dei valori, delle aspettative, delle

20
Russo, 2000
21
Che possono essere normali utenti finali o parti stesse di filiere produttive
22
Zurlo et al., 2002

| 27
esigenze che guidano il processo di sviluppo di nuovi
prodotti-servizi.

L’insieme delle interazioni tra impresa distrettuale, attività di


design e territorio sono perciò l'elemento che vincola e
configura il processo di produzione cooperativo di nuova
conoscenza, che si materializza in nuove forme di
prodotto/servizio.
All’interno del territorio e dei suoi sistemi d’impresa si
realizza quindi un efficace meccanismo di conversione della
conoscenza tacita ed esplicita , che mette in campo
23

competenze di tipo pragmatico, ovverosia orientate alla


definizione di condizioni e situazioni connesse con la
possibilità di azione . 24

25
La conoscenza, attraverso un processo di learning in action ,
si accresce con una dinamica non puramente cumulativa; essa
si ricombina grazie ai processi d’interazione tra gli attori
coinvolti nel processo.
E' un'innovazione che nasce quindi da una dimensione
26
contestuale che risulta analizzabile solamente a condizione di
studiare il luogo in cui essa si sviluppa, ovvero lo spazio fisico,
sociale e produttivo dei distretti industriali.
Per compredere il context setting occorre quindi dotarsi di un
approccio etnografico evoluto, che dia conto delle complesse
e strutturate reti di relazioni sociali e azioni, quelle relazioni
generative che sono alla base dello sviluppo di soluzioni
27

innovative.
Ora se questa prima ipotesi è verificata allora per capire
l’evoluzione della natura tipica dei processi di design italiani
sono significativi i processi di evoluzione-transizione dei
sistemi distrettuali.
Molti autori parlano di evoluzione dei sistemi distrettuali e 28

23
Nonaka e Takeuchi, 1995; Reinmoller, 1998
24
Lane e Maxfield, 1997
25
Cfr. (Rullani, 2000, p. 164)
26
Si veda in questo senso il concetto di embeddedness (Polanyi, 1967), che interpreta
le attività umane come il frutto inestricabile di una relazione con i contesti sociali e
culturali
27
Lane e Maxfield, 1997; Russo, 2000
28
Sammara, 2003; Rullani, 2004a e 2004b; Bettiol e Micelli, 2005

28 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


molti altri prospettano soluzioni possibili per difenderne la
competitività: ma si sta prospettando in realtà un processo di
trasformazione molto più veloce legato alla delocalizzazione
produttiva.
L’idea che i sistemi distrettuali tradizionali possano svanire in
breve tempo ci porta qualche considerazione nuova: come
enunciato all’inizio, infatti, la natura della riflessione non può
a questo punto essere puramente qualitativa (come si
trasformerà il sistema industriale italiano?) ma piuttosto
continuerà ad esistere almeno nella forma in cui lo abbiamo
conosciuto sinora?
Senza un sistema industriale nazionale non avremmo più
neanche un sistema del saper fare e del saper progettare.
Se guardiamo alla moltiplicazione dei segni di questo
dibattito questa ci sembra una riflessione importante: in che
modo contrastare i processi di de-localizzazione della
produzione.
La questione è stata aperta in Italia da Luciano Gallino29:
quello che Gallino sostiene è che la capacità produttiva di un
Paese ne determina le prospettive complessive sulla scala
politica e culturale oltre che su quella economica. Quello che
Gallino paventa è la colonizzazione da parte di altri sistemi
economici competitivi. Nella sua tesi egli prova ad
immaginare il destino economico del Paese frutto di una
strategia vera di politica industriale, legata ad un
potenziamento degli strumenti della ricerca e
dell’innovazione, per favorire la produzione di merci
eccellenti ad alta intensità di conoscenza.
30
Se si guarda alle tesi sostenute dal recente rapporto Beffa così
31
come all’indagine di Lionel Fontagné e Jean-Hervé Lorenzi
ci si accorgere che in realtà comincia ad emergere in Europa
una corrente di pensiero che pur riconoscendo l’inevitabilità
dell’attuale transizione economica globale, comincia ad
immaginare sia di comprederne gli effetti sulla struttura

29
Gallino, 2003
30
Jean Luis Beffa, Renewing Industrial Policy, Rapporto per il Presidente della
Repubblica Francese, gennaio 2005
31
Lionel Fontagné e Jean-Hervé Lorenzi, Désindustrialisation, délocalisations, Ed. La
Documentation française, Paris, 2005, Rapporto per il Conseil d’analyse économique
du Premier ministre

| 29
industriale del Paese sia di immaginare delle strategie
compatibili di resistenza e di reindirizzamento strategico delle
strutture industriali nazionali.
Anche Fortis affronta la questione alla Gallino: da un lato
32

sostiene, dopo aver ripreso le sue tesi sulla specializzazione


produttiva del sistema industriale italiano, che le strategie
tampone sono legate a quelle che lui chiama le tre linee di
azione prioritarie per affrontare le questioni legate alla
globalizzazione produttiva ovvero crescita dimensionale e
internazionalizzazione delle imprese, promozione all’estero del
Made in Italy.
33
Dice Fortis nelle sue conclusioni:
“La crisi dell’export italiano nel 2001-2003, solo in parte
recuperata nel 2004, ha generato grandi preoccupazioni sulla
competitività del Made in Italy. Le cause del peggioramento della
nostra bilancia commerciale sono da ricercarsi in tre fattori
principali: 1) la straordinaria concorrenza della Cina su tutto
l’arco dei prodotti di eccellenza del Made in Italy (dalla moda
alle piastrelle, dai divani agli occhiali, dai rubinetti alla
gioielleria, dai casalinghi ai marmi); 2) la crisi economica della
Germania, nostro primo mercato per l’export, che compra sempre
meno prodotti italiani, mentre è cresciuto fortemente negli ultimi
anni il nostro import di auto di lusso e tecnologie tedesche; 3) il
peggioramento della bolletta energetica, letteralmente
raddoppiata rispetto a 7-8 anni fa”.

Anche sulla questione della ricerca e dell’innovazione Fortis


parla di resistenza (che guarda caso ha tra i suoi perni anche le
attività legate al design):
“...Per affrontare adeguatamente la sfida della globalizzazione il
sistema economico italiano deve però accrescere anche la propria
capacità di innovazione. L’obiettivo è duplice: nei prodotti più
tradizionali e a basso contenuto tecnologico l’innovazione –
realizzata principalmente attraverso il design - può consentirci di
mantenere una leadership nei riguardi dei Paesi con un più basso

32
Fortis, 2005
33
Si veda Marco Fortis, Il Made in Italy nel “nuovo mondo”: Protagonisti, Sfide,
Azioni, Rapporto per il Ministero delle Attività Produtive, Gennaio 2005

30 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


costo della manodopera; nei settori a più alto contenuto
tecnologico occorre invece una strategia che valorizzi - attraverso
le connessioni tra Pilastri-Distretti-Laboratori – la ricerca
“informale” e le numerose eccellenze che, nonostante il cattivo
posizionamento dell’Italia negli indicatori internazionali di
R&S, il nostro Paese esprime in vari campi della ricerca di base e
applicata.Un aspetto davvero cruciale, che andrebbe meglio
compreso, è la rilevanza che il design riveste in molti settori della
nostra industria manifatturiera: non solo nella moda ma anche
nell’arredo-casa e in vari comparti dell’automazione-meccanica,
ivi inclusi i mezzi di trasporto (auto di lusso, yacht, biciclette da
corsa, ecc.). In questi settori, il continuo sforzo di rinnovo dei
modelli, delle collezioni e dei campionari ha la stessa
importanza, ai fini di mantenere il vantaggio competitivo con le
economie emergenti, che la spesa in R&S ha nei settori high tech.
[…] non è vero, come spesso si sente dire, che l’Italia fa poca
innovazione. Ma, sicuramente, deve farla meglio e con più
metodo. I Pilastri, i Distretti e i Laboratori devono interagire a
tal fine nel quadro di una strategia-Paese che collochi finalmente
il rilancio della ricerca e dell’innovazione in cima alla lista delle
priorità italiane, in sintonia con la strategia di Lisbona...”
D’altro canto la visione di Rullani e Bonomi continua a 34

sostenere la capacità dell’impresa rete e della famiglia rete di


adattarsi e crescere flessibilmente, adattivamente e
creativamente partecipando alla formazione di un capitalismo
personale che può contribuire a costruire a creare un milieu
lavorativo che ricorda il brodo primordiale di relazioni,
interazioni, attività che Marshall aveva già definito come
atmosfera industriale.
Come nel passo di Fortis dove ritorna l’idea di un’eccellenza
della capacità di materializzazione di merci legata alla qualità
del progetto italiano, ma che inizia a mettere in luce anche la
possibilità di applicare questa capacità al territorio, al
turismo . 35

34
Enzo Rullani e Aldo Bonomi, 1° Rapporto sul Capitalismo Personale, Indagine
Confartigianato, 21 gennaio 2004 e Aldo Bonomi, La città infinita, in Alberto
Abruzzese e Aldo Bonomi (a cura di), La città infinita, Bruno Mondadori, Milano,
2004
35
le quattro A di Fortis: ambiente, arte, architettura, accoglienza

| 31
“… Ha ancora un senso, in questo contesto, difendere i campioni
nazionali? Probabilmente no, anzi bisogna promuovere il più
possibile l´integrazione europea. Ma allora bisogna puntare su
campioni europei? Probabilmente sì, come dimostrerebbero i casi
Airbus o StMicroelectronics, soprattutto in quei settori dove più
intenso è lo sforzo in ricerca e sviluppo e dove più rilevanti sono
le economie di scala. In un mercato integrato e con una moneta
unica, d´altra parte, sarebbe contraddittorio non cogliere questa
opportunità. Forse bisogna anche già lavorare a un sistema che
preveda la testa delle nostre imprese in Italia e in Europa e il
corpo produttivo altrove, in Cina, in India, in Africa e chissà
dove... Diventeremo, dunque, una sorta di centrale managerial-
logistico-decisionale di imprese che come una rete avvolgeranno il
globo intero? È possibile, probabilmente auspicabile, ma allora è
evidente che non avrebbero più senso gli incentivi
antidelocalizzazione, ma sarebbe il caso di lavorare affinché
questa rete possa avere collegamenti veloci e, soprattutto,
conservare il suo centro qui da noi … Di certo l´Italia, prima
ancora dell´Europa, ha una grande opportunità: è la forza delle
sue produzioni e dei suoi servizi di alta qualità, il suo estro per
l´estetica e il design, la sua capacità di arricchire i prodotti di
valore simbolico, il potenziale non solo turistico del suo territorio,
la sua cultura millenaria, il suo ambiente, la sua arte. In questo
senso le grandi trasformazioni del mondo possono diventare
un´enorme opportunità per il nostro Paese…
1. Dobbiamo, innanzi tutto, valorizzare al massimo e imporre
sui mercati internazionali questo triangolo costituito dalla
creatività, dal territorio e dalla produzione di beni e servizi di
qualità...
2. Impareremo a lavorare di più insieme, anche quando saremo
stati capaci di valorizzare al massimo le nostre risorse umane...
3. Fondamentale, infine, il capitolo liberalizzazioni…
Fernand Braudel ci ricorda che le civiltà non sono eterne, e che
esse "nascono, si sviluppano e cadono sulla base dell´economia". Il
destino dell´Italia e dell´Europa oggi dipende da noi. Le fasi di
transizione, tutte le fasi di transizione, possono portare alla
morte o alla rigenerazione. Tocca a noi dimostrare se per l´Italia
e l´Europa c´è, oggi come all´epoca dei luddisti, una strada
nuova da poter percorrere...”

32 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Come concludere quindi la nostra argomentazione?
E’ necessario integrare queste visioni per poter immaginare di
trovare quello che potrà essere il futuro campo delle attività di
design in Italia.
Il ruolo di questa disciplina appare (a tutti, anche a studiosi
economici che non ne avevano mai parlato sinora) uno dei
modi per conservare la nostra capacità competititva.
Le ipotesi in campo sono differenti: sicuramente l’idea di una
sopravvivenza di una disciplina con specifica rilevanza e
caratteristiche nazionali è legata alla direzione che prenderà il
nostro sistema industriale nazionale. Come dicevamo
all’inizio capire e sostenere il saper fare per capire e sostenere
saper progettare. Questo deve essere l’obiettivo. Che è anche
quello che questo libro cerca di fare. Meritevolmente.

1.3 I sistemi produttivi locali nell’economia delle esperienze:


quale ruolo per il design?36

Welcome to the Experience Economy! Recitava in questo


modo il titolo di un articolo scritto da due autori americani,
Pine e Gilmore, sulla prestigiosa Harvard Business Review.
Era il 1998. Da lì a poco sarebbe esploso, anche grazie ad un
best seller, scritto dagli stessi autori (1999), un interesse
globale per il tema dell’esperienza. L’esperienza è una nuova
entità economica, riconosciuta con premium price dal
mercato, che – in estrema sintesi – offre non solo
prodotti/servizi ma anche “ambienti” in grado di rendere
memorabile (e distinta) l’offerta delle imprese. È materia di
relazione con i canali distributivi, con il punto vendita, con le
scelte espositive e di regia del servizio complessivo. In questo
quadro solo le imprese capaci di controllare “l’ultimo,
importante, miglio” della relazione con il cliente possono
garantirsi crescita, profitto e distinzione.
Le caratteristiche strutturali dei Sistemi Produttivi Locali
italiani (piccole imprese, individualismo, assenza di una

36
a cura di Francesco Zurlo

| 33
catalizzatore istituzionale, mancato sostegno delle banche per
investimenti ecc.) evidentemente non consentono il controllo
dei canali distributivi. Delegando al punto vendita finale,
senza valutarne l’efficacia, la capacità di mettere in scena la
propria offerta.
Ritengo tuttavia che un discorso sull’esperienza non possa e
non debba solo ridursi ad una relazione efficace con il canale.
Anzi: può riguardare anche nuove strategie di comunicazione,
la capacità di costruire imprese e organizzazioni che
condividano l’esperienza del processo progettuale e
produttivo, la possibilità di stabilire una relazione proficua
con il contesto locale per costruire, proprio lì, l’esperienza di
una realtà che crea valore per sé e per gli altri. È inevitabile,
allora, partire da qualche considerazione sul concetto, parlare
dunque di esperienz[e] oltre questa (limitante) chiave di
lettura.

Anzitutto cos’è l’Esperienza? Una definizione articolata è


quella data dal filosofo americano John Dewey (1934), per
cui l’esperienza è l’interazione tra un essere vivente e il suo
ambiente naturale e sociale, con un raggio più ampio della
sola conoscenza. Dewey parla di esperienza quando c’è
un’appropriata interazione tra condizioni soggettive interne
all’individuo e condizioni oggettive esterne nell’ambiente: in
tal caso l’esperienza determina una situazione che cambia sia
il contesto che l’utente. Per Dewey un elemento potenziale di
tutta l’esperienza, quale atto di consapevolezza, sia degli stati
interni sia dell’ambiente esterno, è la componente estetica. In
questo c’è relazione con la disciplina del design, quale scienza
della buona forma (dunque con una componente estetica
rilevante). Ma c’è anche centralità della persona che è, nella
condizione d’uso, utente. Sappiamo che nel design l’utente ha
un ruolo centrale e sappiamo anche che se ne occupa, nello
specifico, un ambito disciplinare come lo User centered design
che oggi, raccogliendo gli spunti di Dewey, considera
rilevanti – oltre alle dimensioni umane – anche gli aspetti
cognitivi dell’interazione con un prodotto, ma anche
gestualità e comportamenti naturali e gli aspetti emozionali
che motivano o no l’attività dell’utente. È Donald Norman
docente di scienze cognitive ed ex vicepresidente di Apple
Computer che per primo, nel 1998, unisce al termine User il

34 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


concetto di Experience. La User Experience considera tutte le
fasi relative all’impiego del prodotto: dall’acquisto, al
momento del trasporto a casa, all’apertura del packaging, per
passare poi all’assemblaggio, al primo momento d’uso, all’uso
di routine, alla manutenzione, al rapporto con l’assistenza per
upgrade o quant’altro, fino alla dismissione. Forlizzi (2000)
sintetizza l’esperienza secondo Dewey in alcuni concetti
chiave (a supporto del progetto): esperienza come processo
che ha un inizio e una fine, composto da una catena di eventi
interconnessi, rispetto ai quali si prova un sentimento finale
di soddisfazione o insoddisfazione, un coinvolgimento in
termini emotivi e cognitivi dell’utente e come risultato la
trasformazione, sia del contesto, che dell’utente. Un’analogia
con la lettura di Dewey è quella proporsta dalla teoria
dell’esperienza ottimale (o flusso di coscienza) dello psicologo
americano Mihaly Csikszentmihalyi dell’Università di
Chicago: essa si determina in una relazione ordinata e
complessa sia tra psiche e ambiente esterno sia tra le differenti
funzioni della psiche stessa come l'affettività e l'emotività, i
processi cognitivi e i sistemi motivazionali. Quando c'è
esperienza ottimale c'è focalizzazione e attenzione ai processi
in atto, c'è interesse affettivo, appagamento e gioia, c'è
motivazione perché in questo stato l'individuo percepisce che
ciò che sta facendo in quel momento è base e ragione della
sua azione.
L’esperienza ottimale porta ad una motivazione intrinseca: io
faccio una cosa non per ricevere una ricompensa ma perché
mi appaga. Autodeterminazione (scelta autonoma del proprio
comportamento) e capacità di mettere in campo la propria
competenza sono i meccanismi che attivano tale esperienza.
L’individuo è attore protagonista dell’interazione adattativa
con l’ambiente, sente che può affrontare l’ambiente con
successo, aprendo ad attività esplorative e di scoperta.
Autodeterminazione e sentimento di competenza, se prese in
considerazione da un progettista, possono dunque migliorare
l’esperienza dell’utente.
L’interesse per l’utente, oltre ad essere l’obiettivo prevalente
del design, si sviluppa perché le circostanze della situazione –
economica e sociale – lo hanno consentito. Le tematiche più
ampie della qualità totale e la conseguente rinnovata
attenzione alle esigenze dei clienti, mantra delle strategie di

| 35
marketing postmodern, aprono la strada al successo della user
experience. Tale rilevanza è amplificata dal lavoro di Pine e
Gilmore per i quali vendere esperienze al cliente,
coinvolgendolo emotivamente, socialmente e culturalmente, è
la frontiera della nuova competizione globale. L’esperienza,
infatti, genera un legame fiduciario e una forma di
partnership tra organizzazione d’impresa e clienti ma è anche
un elemento in grado di creare delle differenze rispetto agli
altri competitor (una soluzione anti commodity). I due autori
americani pur presentando un’ampia argomentazione
tendono a far coincidere l’esperienza con forme articolate e
spettacolari di shopping o con la dimensione
dell’entertainment. In queste proposte il luogo, e il suo
progetto, hanno grande importanza. Ogni business deve
proporre un palinsesto di eventi e iniziative di
intrattenimento, facendo riferimento al repertorio culturale
dei propri clienti, se vuole continuare a competere. Trovo
questa visione limitativa e pericolosa perché vi si intravede
una sorta di disneyficazione dell’offerta, e il rischio di
manipolare, per quello che è possibile e consentito, il
comportamento delle persone.

La centralià dell’utente, nell’interazione situata con il contesto


e con altre persone, è supportata dallo sviluppo di strumenti e
metodi di osservazione a supporto del progetto. È
un’osservazione che si realizza con strumenti di supporto
derivati dall’etnografia e dall’antropologia; l’obiettivo è quello
di riuscire a rappresentare, visualizzare e sintetizzare i
comportamenti degli utenti in normali contesti di vita. (un
regesto completo in Aldersey et alii, 1999). L’osservazione
dell’utente consente di capire non solo il processo
dell’esperienza per sé ma anche il meccanismo con cui
l’utente costruisce la propria esperienza (che è quello che più
di ogni altra cosa deve interessare al progettista). L’utente
costruisce la propria esperienza, dando senso al materiale
grezzo che gli fluisce attorno. Il meccanismo che guida
l’assemblaggio di pezzi di esperienze in un’immagine unitaria
è il framework (Robinson, 1994), un filtro che combina
insieme gli ingredienti di senso secondo alcune regole. I
Framework non sono elementi standardizzati ma flessibili e
mutevoli. Ogni framework si costruisce su tre livelli:

36 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


un livello individuale legato alle percezioni, alle credenze, alle
inclinazioni personali;
un livello sociale che si genera nell’esercizio delle nostre
attività, professionali o no, interagendo con i colleghi e
adottando specifici modelli interpretativi;
un livello culturale, che è alla base della percezione:
linguaggio, religione, scienza, comprensione del tempo sono
così ampi, così correlati alla nostra esistenza che non vengono
più percepiti come costruzioni sociali e dunque, come tali,
variabili e permeabili.
Comprendere i meccanismi con cui la gente costruisce questi
framework significa riuscire ad offrire esperienze
soddisfacenti.
E su questo punto credo che ci sia una prima riflessione
interessante per i Sistemi Produttivi Locali (SPL). Il loro
successo è legato alla dimensione concettualmente artigianale
che li ha connotati. Intendo una forma mentale più che una
dimensione organizzativa e strutturale. L’artigianalità diventa
valore su due fronti: da una parte nel rapporto con il mondo
del progetto (nel porsi come terreno di sperimentazione e
ricerca oltre i vincoli di organizzazioni produttive più
strutturate) dall’altra nella relazione con il proprio contesto,
sociale e culturale, di riferimento. L’artigiano, quello in
particolare di prodotti lifeware (attorno alla persona e alla sua
quotidianità di vita), interpreta pienamente i framework dei
propri clienti (si pensi ad un sarto, ad esempio, che realizza
per un suo cliente un vestito conoscendone dimensioni, gusti,
esigenze ma anche requisiti di status, di comunicazione, di
relazione). Non solo. L’artigiano, complice il design, ha colto
nel contesto esigenze culturali e sociali che sono solo
apparentemente locali. In realtà sono valori che una classe
colta e creativa, locale, negozia costantemente ma
confrontandosi con scenari evolutivi globali, con altri flussi,
rendendo quei valori universali e dunque degni di essere
interpretati da persone colte, raffinate, cool, di tutto il
mondo. Un discorso che è valido in prospettiva storica e tutto
ancora da verificare nel presente, a causa di un progressivo
depauperamento della popolazione, una complessiva
desertificazione valoriale, un minore interesse per le differenze
culturali.
Per offrire esperienza, dunque, è opportuno che questo

| 37
patrimonio straordinario di competenza e di sensibilità al
contesto (si pensi agli orafi, ai lavoratori della pelle ma anche
ai manipolatori straordinari di motori e carrozzerie del
modenese) continui a saper leggere tali framework (laddove
ovviamente il contesto prensenti ancora qualche forma di
ricchezza culturale). È un azione indirettamente legata
all’offerta di esperienza e tuttavia altrettanto importante.
Nerio Alessandri, patron di Technogym, non è un caso che
promuova la sua Romagna in ogni occasione come Wellness
Valley: è il “parco protetto”, di attitudini culturali e sociali,
da cui pescare nuove idee per i propri prodotti.

Ma altri spunti vengono fuori da un’ulteriore articolazione


del concetto di esperienza guardando alla sua dimensione di
processo e non di offerta. Un corrente dizionario indica ad
esempio che esperienza è anche conoscenza pratica della vita o
della realtà che si è costruita con esercizio e nel tempo.
Dunque l’esperienza come conoscenza pratica ha particolare
interesse per i fenomeni di creazione, trasformazione e
conservazione di conoscenza e in particolare della conoscenza
tacita, cioè di quella forma specifica di conoscenza che è
associata alla pratiche, alle persone, ai contesti. Oggi il sapere
contestuale, l’esperienza pratica, è minacciato da forme
organizzative che ne dissipano i processi; il tentativo è quello
di tutelare questi fenomeni, anche attraverso l’attualizzazione,
mediata dalla tecnologia, di tali processi. Il design svolge un
ruolo per tale esperienza sul piano dei tools e delle interfacce a
supporto delle comunità di pratica. Una forma di tutela
dell’esperienza e dei suoi processi costitutivi è quello della
fiducia. Tema complesso e articolato, poiché fiducia è un
concetto problematico denso di implicazioni. Si può
progettare? Probabilmente no ma è possibile costruire le
condizioni materiali e immateriali affinchè la fiducia emerga e
si consolidi. Si parla spesso di marchio di distretto, e in senso
più ampio di industrial cluster identity con ciò che un
concetto come identità comporta. Identità (il riconoscerla e
condividerla) è infatti condizione abilitante la fiducia. Ed è
base per la costruzione di una piattaforma di condivisione di
senso che protegge l’esperienza di ogni attore e anzi,
l’alimenta nello scambio e nella relazione.
Un altro concetto, che appartiene più al senso comune, è

38 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


quello della condivisione di un’esperienza, dunque un sistema
di valori, comportamenti, attività. L’esperienza in questo
senso si configura come l’ombrello di protezione di una
specifica comunità: con l’acquisto di un prodotto-servizio
l’individuo accede ad un universo di senso. È il tema delle
tribù (Cova, 2002): i beni e i servizi, e l’esperienza d’uso che
li connota, sono a supporto dell’azione tribale di piccoli
gruppi che adottano una logica di connessione peer to peer,
consolidando le forme di legame e relazione tra loro. In
questo quadro l’impresa che eroga quei prodotti/servizi vede
ricondizionato il suo ruolo e diventa, talvolta, facilitatrice del
legame esistente nella tribù. Lo fa in diversi modi,
promuovendo eventi, ad esempio, oppure creando luoghi di
aggregazione per i clienti. Si configura una relazionalità non
più consapevole e razionale ma basata su una fedeltà emotiva
ed affettiva.
L’impresa condivide inoltre questa forma di esperienza
costruendo una piattaforma di interazione con i propri clienti
che ha il brand come epifenomeno. L’esperienza del brand ha
l’obiettivo di amplificare i valori dell’impresa, di comunicarli
con efficacia, di piazzarli nei contesti di vita dei propri clienti.
Lavora perciò sui sistemi di senso degli stessi, disegnando per
loro esperienze ricche e appropriate.
In questo quadro come può muoversi la piccola/media di un
sistema produttivo locale? Alcuni di questi sistemi vivono in
contesti locali di grande qualità (o la cui qualità aspetta solo
di essere riscoperta). Sono territori talvolta densi di fonti di
attrattività fortissimi, intangibili, dai saperi alla cultura, al
paesaggio, alla storia e all’arte, all’immaginario e al simbolico.
“Per fare le scarpe più belle del mondo serve gente che respiri
bellezza, oltre ad avere diritti e tutele” dichiara Diego Della
Valle di Tod’s, dal piccolo centro di Casette d’Ete, nelle
splendide Marche. Il territorio diventa insomma una risorsa
che può sviluppare quella dimensione di attrattività per
specifiche tribù (si pensi ai dannati del vino in giro per le slow
cities della penisola) o che assume la pregnanza e il significato
di un brand cappello per brand di prodotto/servizio specifici.

Pine e Gilmore (1999) delineano alcune linee guida del


progetto di un’esperienza usando la metafora del teatro: essa
si mette in scena, si tematizza secondo spunti che

| 39
appartengono alla cultura (perché la cultura genera un
sentimento di empatia e dunque il riconoscimento del senso
dell’offerta); coinvolge multisensorialmente, dunque
emotivamente, gli spettatori. L’esperienza come teatro è in
armonia con le dimensioni del tempo, dello spazio, con
l’utilizzo della tecnologia, con i dettagli. Ma ciò che qui
interessa di più è il modello proposto per le persone:
l’organizzazione, infatti, nell’offrire esperienza si comporta nei
confronti degli utenti come una compagnia teatrale. Il
riferimento è al teatro dell’arte, quello che non richiede una
sceneggiatura ferrea, ma che consente ad ogni attore di
assumere un carattere (Arlecchino, Pulcinella, Gianduia) e di
adattare la propria azione secondo le circostanze. È questo un
ulteriore spunto per i SPL, non tanto negli aspetti di offerta,
quanto in quelli di processo e organizzativi. È possibile
pensare ad una forma di canovaccio interpretativo per le
persone chiave all’interno di una azienda nei SPL o per i SPL
nel complesso (chiamando in gioco le istituzioni)? La cultura
del progetto cosa può fare? Dal mio punto di vista aiutare ad
allestire il palcoscenico dell’interazione, presentare scenari
possibili, costruire elementi materiali e immateriali per
attivare positivamente un ambiente e orientare le singole
persone verso un flusso di coscienza ottimale.

Per finire non si può ovviamente ignorare il tema della


relazione con i canali della distribuzione e il teatro della
vendita. Ma questo discorso è legato evidentemente alle
forme di esperienza di processo di cui abbiamo parlato.
Conservare l’esperienza e i suoi processi costitutivi, così come
supportare l’autodeterminazione e la competenza locale (base
dei processi di esperienza ottimale) sono azioni che aprono a
cooperazione e relazione di fiducia tra gli attori presenti sul
territorio. Base di azioni concertate per risolvere la questione
problematica della relazione con l’ultimo importante miglio
della creazione del valore.

40 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


2
Design e impresa1

“When people talked about innovation in the '90s, they really meant
technology. When people talk about innovation in this decade, they
really mean design.”
Bruce Nussbaum 2

2.1 Introduzione

Cercando di definire oggettivamente il rapporto tra design e


impresa in Italia veniamo spesso abbagliati dai tanti
importanti sodalizi tra imprenditori illuminati e grandi
maestri del design, o dai designer divenuti imprenditori, che
negli anni hanno costantemente dato lustro a livello
internazionale, attraverso i propri prodotti, all’intero

1
di Venanzio Arquilla
2
http://www.businessweek.com/bwdaily/dnflash/jan2005/nf2005013_8303.htm

| 41
comparto industriale nazionale concorrendo a definire uno
stile, un modo di vivere e di essere: il design italiano.
Questi prodotti vengono riconosciuti universalmente come
capolavori del design, popolano le principali riviste settoriali,
vincono premi e sono esposti nei più importanti musei.
Parliamo dei prodotti dei settori manifatturieri tradizionali
che Fortis e Quadrio Curzio hanno definito sinteticamente
con Made in Italy, di quei settori, cioè, afferenti ai prodotti
per la persona (Moda e Abbigliamento) e per la casa (Mobili e
Arredo) ma anche alla meccanica leggera e, non ultimo,
all’agro-alimentare.
Rientrano in questa definizione “tutte le eccellenze del sistema
produttivo italiano viste nel loro insieme: dunque non solo la
moda, che è tra le manifestazioni più note, ma anche le altre
produzioni manifatturiere in cui l’Italia a partire dal secondo
dopoguerra è divenuta leader a livello internazionale… grazie al
design, all’innovazione e alla qualità dei prodotti…” 3

Dunque la letteratura di matrice economica riconosce, oggi,


al design e all’innovazione dei prodotti italiani un
fondamentale contributo all’economia nazionale tanto da
definire tali produzioni, le imprese che le realizzano ed il
modello socio-economico nel quale sono organizzate (distretti
industriali), il secondo miracolo italiano . 4

Se possiamo dare per assodato che in Italia un certo numero


di imprese definibili design oriented, cioè che usano il design
in maniera strategica, siano leader mondiali nelle produzioni
dei settori tradizionali a medio-bassa complessità, non
possiamo fare altrettanto con la maggioranza delle imprese
italiane, soprattutto quelle piccole e piccolissime a matrice
familiare, che rappresentano oltre il 90% delle realtà
produttive attive sul territorio nazionale: per queste non
possiamo affermare né che esista una relazione altrettanto
fruttuosa con il design né che si tratti di imprese altrettanto
innovative.

3
Fortis M. 2005 p.4
4
ibidem

42 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Ci sono, infatti, alcuni quesiti aperti ai quali cercheremo di
dare risposta in questo capitolo partendo dal punto di vista
disciplinare del design: come avviene la relazione tra design e
impresa che storicamente ha portato le imprese italiane ad
eccellere in alcuni settori specifici? Questa relazione è
applicabile all’intero sistema imprenditoriale italiano?
Oppure, come è logico attendersi, coinvolge esclusivamente
un ristretto numero di imprese? Di che tipo di imprese
parliamo?

Dopo una breve ricognizione sui numeri del Made in Italy e


sulla tipologia di imprese che vi fanno capo cercheremo,
passando da alcuni casi storici di grandi successi e dall’analisi
dei dati di due survey effettuati dall’agenzia SDI | Sistema
Design Italia del dipartimento INDACO del Politecnico di
Milano , di capire se davvero tutte le imprese del Made in
5

Italy possono essere definite imprese design oriented, secondo


l’accezione riportata pocanzi e che rapporto hanno con il
design (in sintesi se lo usano e come lo usano).

2.2 Il sistema imprenditoriale italiano

Il nostro sistema imprenditoriale presenta una serie di


caratteristiche distintive rispetto alla maggior parte dei Paesi
sviluppati che hanno rappresentato, dal secondo dopoguerra
fino alla metà degli anni ‘90, un vantaggio competitivo
notevole e che oggi, di fronte all’evoluzione dei mercati e alle
crescenti difficoltà della competizione globale, iniziano a
manifestare i propri limiti.

5
SDI | Sistema Design Italia è una rete di Agenzie per la ricerca, l'innovazione e la
promozione nel campo del design _ che nasce come spin off di un programma di
ricerca biennale co-finanziato dal MIUR (Ministero dell'Università e della Ricerca)
_ composta da 8 sedi attive presso sedi universitarie diffuse su tutto il territorio
nazionale (Milano, Firenze, Roma, Chieti, Genova, Palermo, NapoliFederico 2° e
la Seconda Università di Napoli) nelle quali è attivo un nucleo di ricerca e
formazione per il design. L’Agenzia SDI del dipartimento INDACO del
Politecnico di Milano in particolare coordina la Rete Nazionale e gestisce il portale
informativo http://www.sistemadesignitalia.it

| 43
I principali economisti e studiosi nazionali , gli studi del 6

Governo, di Banca d’Italia e di Confindustria concordano


chiaramente nel definire le caratteristiche peculiari del nostro
sistema imprenditoriale:
- elevata presenza di Piccole e Medie Imprese;
- elevata incidenza delle attività manifatturiere sul PIL;
- specializzazione nei settori “tradizionali” a medio-
bassa complessità;
- scarsa propensione alla Ricerca e Sviluppo e
all’Innovazione Radicale.

2.2.1 Elevata presenza di Piccole e Medie Imprese


Dai dati dell’ultimo Censimento ISTAT 2001 risulta che:
“nel 2001 le imprese manifatturiere attive in Italia erano
complessivamente 542.900, di cui oltre 530 mila, cioè il 97,7%,
era costituito da Piccole imprese (da 1 a 49 addetti). Le Medie
imprese manifatturiere (da 50 a 499 addetti) erano 11.810,
mentre quelle Grandi (oltre i 500 addetti) risultavano solo
579 … e l’occupazione manifatturiera assorbita dalle Grandi
7

imprese risulta essere solo il 16,3% del totale degli addetti, contro
l’83,7% delle PMI.” 8

6
Tra questi: Quadrio Curzio A., Fortis M., Bersani P., Letta E….
7
per la classificazione di Piccole e Medie Imprese Fortis non ha utilizzato la
classificazione standard europea (raccomandazione della Commissione europea
2003/361/CE del 6 maggio 2003) definendo Piccole imprese quelle da 1 a 49
addetti; Medie quelle da 50 a 499 addetti; Grandi quelle con 500 o più addetti. La
direttiva europea fissa, invece, a 250 addetti il limite per le Medie Imprese ma “250
addetti ci sembrano infatti davvero troppo pochi, specie nel nuovo scenario competitivo
mondiale, per definire una impresa “Grande”. D’altronde, negli Stati Uniti vi sono
addirittura schemi di classificazione che definiscono “Grande” un’impresa
manifatturiera soltanto se essa raggiunge i 1.000 addetti.” Fortis, 2005 p. 13
8
Fortis, 2005 p.14

44 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Tabella 2.1
Numero di imprese manifatturiere nei settori del “Made in Italy” e negli altri
settori. Contributo delle varie tipologie di imprese all’occupazione
manifatturiera italiana: anno 2001

Tabella 2.2
Ripartizione percentuale degli addetti manifatturieri del “Made in Italy” e degli
altri settori manifatturieri per tipologia di imprese: anno 2001

Mediobanca e Unioncamere (Mb-Uc), sempre su dati 2001,


forniscono un’ulteriore classificazione che distingue le
imprese sotto il profilo dimensionale tenendo conto sia del
numero di addetti che del fatturato; naturalmente le
percentuali cambiano leggermente ma non viene stravolto il
dato precedente: le 3.925 Medie imprese italiane hanno coperto
nel 2001 il 14% circa del valore aggiunto dell’industria
manifatturiera italiana. La quota delle grandi imprese è
valutabile intorno al 24% e, per differenza, quella delle piccole
aziende risulta pari al 62% . 9

9
Mediobanca-Unioncamere, 2004

| 45
Le statistiche confermano con i numeri una tendenza nota: in
Italia, per i settori di specializzazione del Made in Italy non
esistono o quasi le Grandi Imprese. Le poche attive oltre che
nel settore dei servizi, con il suo sistema complesso di utility e
multiutility di derivazione statale che operano con logiche
quasi monopolistiche, hanno un’incidenza maggiore sui
settori dell’automazione-meccanica, dell’alimentare e degli
altri settori manifatturieri (tra i quali rientra l’automobile).
La tabella seguente restituisce una visione sintetica della
situazione: le piccole e medie imprese insieme nel nostro
Paese rappresentano numericamente il 99,9% del totale , 10

occupano l’83.7% degli addetti e concorrono per il 76% alla


definizione del Valore Aggiunto dell’industria manifatturiera.

Tabella 2.3
Comparazione per classi dimensionali delle imprese italiane manifatturiere:
anno 2001

Imprese Piccole Medie Grandi Totale


1-49 addetti 50-499 addetti Oltre 500 addetti
Numero* 530.487 11.810 579 542.876
% Imprese* 97,7% 2,2% 0,1% 100%
% Addetti* 55,8% 27,9% 16,3% 100%
% V.A. ** 11
62% 14% 24% 100%
Fonte: elaborazione dell’autore su dati *CRANEC, ISTAT 2001 e
**Mediobanca-Unioncamere 2001

10
Basandoci sulla definizione di PMI fatta da Fortis
11
Valore Aggiunto portato all’industria manifatturiera

46 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


2.2.2 Elevata incidenza delle attività manifatturiere sul PIL
Per quanto concerne le attività economiche, anche in Italia la
maggior parte degli occupati lavora nel settore dei servizi (il
63,0%) ma con percentuali più basse rispetto alle altre
nazioni evolute; infatti il 29,3% degli addetti opera ancora
nell’industria e il 5,2% nell’agricoltura.
Tabella 2.4
Impresa e addetti per classi di addetti e settore di attività economica: anno
2003

Considerando il tipo di attività svolta, il settore del terziario


prevale sull’industria, sia in termini di addetti (oltre 9,6
milioni nel terziario, pari al 59 per cento del totale, rispetto ai
6,6 dell’industria) sia per numero di imprese (3,1 milioni
contro poco più di 1 milione). In particolare, il maggior
numero di imprese (Figura 2.1) è attivo nel settore del
Commercio (30% del totale), seguito da quello degli Altri
servizi alle imprese (22%), dalle Costruzioni (12,9%) e dalle
Attività manifatturiere (12,6%). In termini di occupazione
(Figura 2.2) è il settore manifatturiero ad impiegare il
maggior numero di addetti (29,3%), seguito dal Commercio
(20,1%), dagli Altri servizi alle imprese (14,9%), dalle
Costruzioni (10,4%), dall’Istruzione, sanità e servizi pubblici
(7,4%) e dai Trasporti (7,3%).

| 47
Grafico 2.1
Imprese per settore di attività economica: anno 2003

fonte: Istat 2004b

Sul totale manifatturiero, l’industria metallurgica presenta la


quota più rilevante sia di imprese sia di addetti
(rispettivamente pari al 19% e al 18%), seguita dalle industrie
tessili, dell’abbigliamento e del cuoio, (insieme contano circa
il 17% delle imprese ed il 16% dell’occupazione), dalle
industrie alimentari (oltre il 13% di imprese e circa il 10% di
addetti) e dalle industrie elettriche, elettroniche ed ottiche
(oltre il 9% delle imprese e dell’occupazione).

L’industria con la sua strutturazione atipica occupa ancora il


29,3% degli addetti (grafico 2.2); rispetto alle altre nazioni
sviluppate possiamo vedere come l’Italia si differenzia
notevolmente dalla media mostrando una strutturazione “più
vicina a quelle delle nazioni emergenti o in via di sviluppo che a
quella dei Paesi sviluppati” . 12

12
Fortis 2005

48 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Grafico 2.2
Addetti per settore di attività economica: anno 2003

fonte: Istat 2004b

Inoltre, come afferma anche il governatore di Banca d’Italia


Antonio Fazio, “In Italia il numero di occupati” nell’industria
“è massimo nei settori a basso contenuto tecnologico,” se si pensa
che il “16,6%” del totale opera solo” nel tessile cuoio e
calzature contro il 6,5% e il 3,1% di Francia e Germania”.
Stiamo attraversando poi un periodo di stagnazione e in
alcuni casi di recesso; la crescita del PIL corretto per i giorni
lavorativi nel 2004 è pari all’1,0%. In termini congiunturali,
le importazioni di beni e servizi sono aumentate dello 0,1 %,
mentre il totale delle risorse (prodotto interno lordo e
importazioni di beni e servizi) è diminuito dello 0,3%.
Dal lato della domanda, le esportazioni sono diminuite del
4,7%, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell’1,7%,
mentre i consumi finali nazionali sono aumentati dello 0,2%.
Nell’ambito dei consumi finali, la spesa delle famiglie
residenti e quella della pubblica amministrazione e delle
istituzioni sociali private sono cresciute entrambe dello 0,2
%. L’industria nazionale, sebbene ci si trovi in una fase di
13

transizione verso un’economia post-industriale basata sui

13
ISTAT, IV trim. 2004

| 49
sistemi di servizi, incide ancora in maniera notevole sul PIL,
manifestando un ritardo rispetto alle altre nazioni del primo
mondo.
La nostra specializzazione inoltre è forte nei settori a basso
contenuto tecnologico, come vedremo meglio nel paragrafo
seguente, questo mette ancora di più a rischio la nostra
economia rispetto alle pressioni dei produttori a basso costo
dei Paesi emergenti.

2.2.3 Specializzazione nei settori “tradizionali” a medio-bassa


complessità
Fortis, nel suo ultimo lavoro , individua le specializzazioni del
14

Made in Italy introducendo la categorizzazione delle 4 “A”


identificative delle 4 principali Areea di attività del Made in
Italy: “se passiamo ad esaminare più da vicino le specializzazioni
del Made in Italy, possiamo dire che l’Italia presenta quattro
grandi aree di attività manifatturiera che la pongono ai vertici
mondiali, anche se questa semplificazione ci porta a trascurare
realtà di rilievo che pure il nostro Paese possiede in settori come
la chimica, l’auto, l’elettronica, il cemento, la gomma e molti
altri. Definiremo qui tali 4 aree principali come le 4 “A”
dell’eccellenza manifatturiera italiana. Esse sono:

1) Abbigliamento-moda;”
il tessile-abbigliamento e relativi accessori;
le pelli-calzature-pelletteria;
l’occhialeria;
l’oreficeria-gioielleria.
“2) Arredo-casa;”
legno-mobilio;
lampade ed illuminotecnica;
piastrelle ceramiche;
pietre ornamentali.
“3) Automazione-meccanica;”
macchine industriali (legno, calzature, imballaggio, materie plastiche, industria
alimentare, ecc);
cicli e motocicli;
rubinetteria-valvolame;
casalinghi;
elettrodomestici;
macchine agricole;
panfili e imbarcazioni da diporto;

14
Fortis, M. 2005, p.8

50 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


pigiatrici e i torchi per il vino;
macchine automatiche per la vendita di prodotti;
selle per biciclette;
macchine per colare i metalli;
giostre…
“4) Alimentari e bevande.”

Dal punto di vista disciplinare del design, data la vastità del


campo di azione progettuale e non esistendo un sistema di
riferimento codificato, nel corso di alcune ricerche l’Agenzia
SDI | Sistema Design Italia ha impostato un metodo
15

autonomo di classificazione derivante dall’incrocio dei più


importanti sistemi in uso da parte di:
- Associazioni di categoria (Assolombarda);
- Associazioni nazionali sistemi produttivi locali (Club
Distretti Industriali);
- Istituti di statistica (Istat);
- Università che si occupano di Design (Politecnico di
Milano, Laboratorio Mast);

Dall’incrocio e semplificazione dei dati sono stati individuati


12 settori della produzione industriale che possono, o che
potrebbero, avere maggiore attinenza alle tematiche del
design e che possono essere definiti settori di design; di questi,
11 rientrano tra le produzioni manifatturiere . 16

Confrontando la classificazione empirica realizzata per la


selezione delle imprese alle quali sottoporre i survey
conoscitivi sulla relazione tra design e impresa con quella 17

tradizionale di Made in Italy di Fortis, emergono molte


importanti analogie o potremmo dire coincidenze, come
evidenziato anche da Maffei : 18

“La relazione tra il modello di sviluppo organizzativo locale del


distretto industriale e il sistema complementare delle attività di
design che li caratterizza può essere ritrovata all’interno della

15
cfr. nota 4
16
Legno-arredamento, Tessile-Abbigliamento, Casalinghi, Agroalimentare,
Illuminazione, Mezzi di trasporto, Macchine e apparecchiature industriali,
Calzature-Pelletteria, Elettrodomestici, Occhialeria, Oreficeria, Terziario innovativo
17
Le evidenze dei Survey sono riportate al paragrafo 2.5.3 per una trattazione più
estesa si faccia riferimento a Arquilla 2003, Arquilla, Vignati 2004 e ai siti web
www.designfocus.it e www.sistemadesignitalia.it/sdiview
18
Maffei, 2003

| 51
riflessione sulla relazione tra specificità merceologica e
specializzazione produttiva, espressa dal concetto di Made in
Italy sviluppato da Marco Fortis (Quadro Curzio e Fortis,
2000). I settori che lo compongono rappresentano infatti alcuni
degli ambiti principali in cui il design italiano si è storicamente
sviluppato; ciò testimonia in maniera concreta l’idea che esista
una relazione virtuosa tra lo sviluppo del nostro sistema
economico e quello del nostro sistema di attività progettuali.
Possiamo valicare questa ipotesi affermando che il sistema
economico e il sistema del design italiano si sono modellati con
un processo d’interazione reciproca realizzatosi attraverso
meccanismi di interazione sociale.”
Dalle evidenze infatti si nota che a parte alcune differenze
terminologiche c’è una totale sovrapposizione dei settori di
interesse, mentre alcune, piccole, diversità derivano
dall’impostazione metodologica e dagli obiettivi che la
classificazione SDI si proponeva. Innanzitutto quest’ultima
mirava ad individuare i settori di design in Lombardia e
quindi mancano alcuni settori che invece a livello nazionale
sono molto importanti come, ad esempio, l’oreficeria (polo
orafo di Vicenza) oppure le piastrelle ceramiche (Sassuolo) ed
inoltre l’obiettivo principale era quello di analizzare aziende
che andassero direttamente sul mercato operando in una
logica sostanzialmente B2C e quindi non sono stati
considerati i settori delle macchine industriali, macchine
agricole ecc.
I settori afferenti al Made in Italy quindi sono i settori che la
ricerca di design definisce settori di design o design oriented.
Scorrendo la lista di categorie specifiche riportate emergono
19

spontaneamente, agli addetti ai lavori ma anche al pubblico


più generale, molti nomi storici di imprese di successo italiane
che detengono nei propri settori leadership indiscusse e
durature e che hanno contribuito alla diffusione dell’Italian
20

Style e del design italiano a livello mondiale.


Allo stesso tempo, però, è scarsa la presenza nazionale nei

19
per l’elenco completo delle categorie merceologiche afferenti ai settori e per una
loro misurazione si faccia riferimento alle tabelle 2 e 3 di Fortis M., 2005 p.119 e
seguenti
20
di questo ci occuperemo nel paragrafo 2.5

52 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


settori strategici quali l’elettronica, la chimica, la farmaceutica
e l’aerospaziale.
A dispetto degli impegni profusi dal governo, secondo le
direttive dell’agenda di Lisbona, per incentivare le attività di
ricerca e sviluppo sui settori science based come le
biotecnologie, l’informatica e l’aerospaziale, si continuano a
riscontrare nel nostro Paese solo alcuni casi sporadici di
successi di nicchia detenuti da grandi imprese, partecipate da
multinazionali estere, come Finmeccanica/Agusta con gli
elicotteri o da gruppi di medie dimensioni e PMI, come nel
caso del biomedicale (distretto di Mirandola) e della chimica.
Abbiamo anche visto decadere alcuni casi importanti e
pionieristici, nei quali la ricerca sul prodotto ed il design uniti
ad una presenza forte dell’imprenditore avevano dato un
impulso sostanziale posizionando le imprese a livelli assoluti
di leadership, come il caso Olivetti.
Il nostro modello imprenditoriale lamenta troppe difficoltà
nell’effettuare il cambio di scala da medio-grande impresa, di
matrice familiare, a grande gruppo internazionale dotato di
capacità manageriali e gestionali in grado di affrontare la
complessità della competizione globale.

2.2.4 Scarsa propensione alla Ricerca e Sviluppo e all’Innovazione


Radicale
L’Unione Europea si è dotata di una serie di indicatori per
leggere le performance dei vari Paesi membri sia in rapporto
ai 15 storici che al nuovo totale di 25, in particolare il
Summary Innovation Index (SII) e l’European Innovation
Scoreboard (EIS). Da queste rilevazioni si riscontra come
l’Italia sia in una posizione arretrata e rientri, nella maggior
parte dei casi, tra i Paesi falling further behind cioè Paesi in
arretramento con valori SII inferiori alla media UE e trend
più basso di quello medio ad esclusione dell’indicatore che
misura i nuovi prodotti immessi sul mercato.

| 53
Grafico 2.3
Average country trend by Summary Innovation Index

fonte: SEC (2004)

Emerge, anche su questo versante, un’altra anomalia


indiscutibile per un Paese con il nostro livello di sviluppo
economico: investiamo troppo poco in R&S qualunque sia
l’indicatore prescelto, il che si riflette inevitabilmente sulla
nostra dinamica tecnologica e innovativa.
Il governatore Fazio analizza in questo modo il nostro ritardo
rispetto agli altri Stati membri: “La spesa per ricerca e sviluppo
effettuata dal settore pubblico, non arriva allo 0,6% del PIL. In
Germania e in Francia si colloca intorno allo 0,8%. Il confronto
appare sfavorevole soprattutto per il settore privato.” 21

Le carenze principali del nostro Paese sono dovute alla scarsa


propensione all’investimento strutturato in ricerca e sviluppo
del settore privato e, come abbiamo potuto vedere, questa
situazione è dovuta ai fattori contingenti sopra citati, in
primis la micro-dimensione delle imprese italiane.

21
Fazio A. Assemblea Generale Ordinaria Nazionale di Banca d’Italia, Roma _
www.bancaditalia.it

54 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Gli indicatori UE rilevano infatti la dinamica tecnologica e
22

innovativa palese e misurabile che viene ricondotta alle


attività innovative di 4 grandi categorie:
- risorse umane impiegate nelle attività di innovazione;
- la creazione di nuova conoscenza;
- il trasferimento e applicazione di nuova conoscenza;
- finanziamento, prodotti e mercati dell’innovazione.

Questi indicatori favoriscono i Paesi con un sistema di


supporto all’innovazione strutturato, definito dall’alto, con la
presenza forte di grandi imprese nell’area High-Tech e di
centri di ricerca e sviluppo.
Le migliori performance, infatti, sono appannaggio della
Svezia e della Finlandia nazioni con una importante
specializzazione nei settori high-tech si pensi tra tutti al
fenomeno Nokia (Finlandia).
Grafico 2.4
(SII) Summaty Innovation Index 2004

Fonte: SIC (2004)

“l’Italia si posiziona 11esima nella UE-15, seguita solo da


Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Grecia. Ma i 4 Paesi con le
performance peggiori (vale a dire Lussemburgo, Spagna,
Portogallo e Grecia) compensano in parte la loro situazione con il
recente miglioramento del loro sistema innovativo nazionale, a
differenza dell’Italia che si colloca, assieme all’Austria (ma dietro
a questa per livello dell’indice), tra i Paesi arrancanti-ritardatari
con un indice e un trend innovativo inferiore a quello medio

22
per un approfondimento si faccia riferimento al capitolo 5

| 55
dell’UE-15, confermandosi il Paese più arretrato nel
cambiamento tecnologico. Se consideriamo anche i Paesi di
nuova adesione, osserviamo che persino Estonia e Slovenia
precedono l’Italia, mentre altri (tra cui Polonia, Lituania,
Lettonia, Slovacchia), pur avendo un indice inferiore a quello
dell’Italia mostrano tassi di crescita dell’innovazione superiori.”
23

Figura 2.5
Performances Innovative dell’Italia rispetto alla medie EU25

fonte rielaborazione dell’autore da CS MIT 2004

Fortis , come Fazio, individua come possibili cause del


24

divario tra l’Italia e gli altri Paesi avanzati nella spesa per R&S
e nella capacità innovativa i fattori finora indicati e cioè:
- la piccola e media dimensione delle imprese (fattore
dimensionale);
- la scarsa presenza delle imprese italiane nei settori
tipicamente science based, essendo esse invece
prevalentemente concentrate nei settori tradizionali
(fattore settoriale);
- la non rilevazione della R&S informale attuata dalle
PMI (fattore informale).

Ai quali si aggiunge:
- la sostanziale carenza, malgrado qualche significativa
eccezione, di collaborazione tra imprese, università ed
enti pubblici di ricerca;

23
Fortis M., 2005
24
Quadrio Curzio, Fortis e Galli, 2002b

56 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- le insufficienze degli incentivi pubblici all’industria
italiana affinché questa realizzi investimenti in ricerca
e sviluppo.

Per le cause sopra esposte, quasi tutti gli indicatori, a partire


dal più semplice dato della spesa in R&S in rapporto al PIL,
evidenziano il cattivo posizionamento dell’Italia nella ricerca e
nell’innovazione nel confronto con gli altri Paesi ed in
generale un livello di investimenti e di dinamica innovativo-
tecnologica inferiore alla media della UE.

2.3 Sistema Italia: un sistema in difetto di competitività?

In questo particolare momento storico dunque, date per


assodate alcune dinamiche di mercato portate dalla crescente
globalizzazione, si parla, a volte anche con toni forse troppo
allarmistici ma comunque realisti, di crisi dell’industria
Italiana.
Esistono, come testimonia la ricca bibliografia di matrice
economica, una serie di concause che portano il Sistema Italia
a perdere di competitività nei confronti dei Paesi più
sviluppati. Esso infatti non ha ancora trovato la via,
economicamente e soprattutto socialmente sostenibile, a
fronte del sempre più ingente e forse necessario o obbligato
ricorso alla delocalizzazione produttiva, per attuare il
passaggio da un modello basato sulla produzione industriale
ad uno invece più rivolto al terziario ed ai servizi come
avvenuto in tutte le altre nazioni sviluppate, ad esempio
l’Inghilterra.
I Paesi in via di sviluppo o emergenti, inoltre, continuano ad
erodere quote sempre più sostanziose di mercato proprio nei
settori del Made in Italy, settori a bassa complessità facilmente
attaccabili e nei quali i grandi numeri di mercato seguono
dinamiche basate sul prezzo, che ci vedono svantaggiati di
fronte all’aggressività non sempre legale dei “nuovi”
competitori . 25

25
Arquilla, 2005

| 57
Il nostro Paese negli ultimi anni perde costantemente
competitività rispetto agli altri partner europei, fatto che
Bersani e Letta riassumono sinteticamente con alcuni numeri,
“nel biennio 2003-2004 le esportazioni italiane sono diminuite
del 7,3% determinando una costante erosione delle quote di
26

mercato internazionale che sono scese dal 4,6% al 3%”


Il Governatore della Banca d'Italia Fazio , nelle 27

Considerazioni finali dell’Assemblea di Banca d’Italia, ha


descritto gli anni di arretramento dell’industria italiana,
andando a ricostruire la situazione dal 1995, momento in cui
si sono manifestate le prime avvisaglie di perdita di
competitività poi sottovalutate.
“Tra il 1995 e il 2000 l'incremento della produttività totale dei
fattori nel settore manifatturiero è stato nullo; la produttività del
lavoro è aumentata in media dell'1% contro il 3,2% della
Germania e il 4,3% della Francia, l'indice di produzione
industriale è cresciuto dell'8% a fronte di un 14% della Francia
e della Germania”.
Al 2004, quei numeri diventano negativi, sono stati erosi tutti
i margini. Così, la quota di mercato mondiale nel '95 era del
4,6% e nel 2004 si restringe fino al 2,9%, arrotondato al 3%
per Bersani e Letta. Una debolezza che, come abbiamo
cercato di riassumere nei paragrafi precedenti, è la
conseguenza di alcune, precise, cause, o fattori come li chiama
Fortis, che si legano le une alle altre come in un circolo
vizioso: scarsi investimenti delle imprese in innovazione e
ricerca, calo della produttività, micro-dimensione delle
aziende italiane.
In dieci anni, si arriva alla crisi. “Tra il 2000 e il 2004, la
produzione industriale italiana è diminuita del 3,8% contro
l'aumento dell'1,2% francese e 2,6% tedesco; il costo del lavoro
per unità di prodotto - a causa del mancato sviluppo della
produttività - è aumentato del 12,6% mentre in Germania è
sceso del 2,8% e in Francia è cresciuto del 2,6%” . 28

26
Bersani, Letta, 2004
27
Fazio A. Assemblea Generale Ordinaria Nazionale di Banca d’Italia, Roma _
www.bancaditalia.it
28
ibidem

58 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Ma a quali settori è imputabile questa debacle? Sono i settori
del Made in Italy a trascinare verso il basso la nostra
economia?
Nonostante i grandi discorsi che si fanno sui settori quali il
tessile e l’abbigliamento in rapporto alla competizione con la
Cina, sempre secondo Fazio “La crisi dell'attività industriale è
essenzialmente riconducibile ai settori delle apparecchiature
meccaniche e delle macchine elettriche ed elettroniche e dei mezzi
di trasporto”.
Se riguardiamo gli elenchi dei settori di specializzazione del
Made in Italy possiamo vedere che sono proprio i settori che
erano maggiormente strutturati e con la più alta percentuale
di grandi imprese come quello dei mezzi di trasporto (con la
FIAT a capo) e quello delle macchine elettriche ed
elettroniche, quelli ai quali è addebitabile la diminuzione del
3,6% dell'indice industriale complessivo.
Da questi dati si evidenzia ancora una volta l’anomalia
italiana: a fronte di un’economia complessiva in stagnazione
ed in ritardo ci sono una serie di micro-settori di nicchia e di
Piccole e Medie Imprese innovative che registrano tassi di
crescita notevoli ma che, date le dimensioni relative, non
riescono ad incidere sulla bilancia commerciale come invece
fanno le grandi imprese in evidente stato di crisi.

Il coro a sostegno della forza del Made in Italy è comunque


unanime; ad esempio Carlo Sangalli, presidente di
Unioncamere, nell’ultimo rapporto Sistema/Italia 2004 -
Rapporto sulle economie e sulle società locali , sostiene:
29

“L’Italia non si arrende alle logiche del declino ma, al contrario,


si sta trasformando ed evolvendo. E’ un Paese che assomiglia
molto ad un grande laboratorio in cui vengono sperimentate
formule nuove per ricavare modelli di crescita più competitivi,
più sostenibili, più responsabili. Lo scenario delineato mostra che
le piccole e medie imprese continueranno a trainare la crescita
del Paese e che l’innovazione si diffonderà ulteriormente nel
nostro sistema d’impresa, accrescendo il tasso di competitività dei
singoli territori. Perché ciò avvenga sono necessarie reti di

29
Unioncamere 2004

| 59
diffusione delle conoscenze, sistemi di integrazione tra imprese,
centri di ricerca, università.”.
Sangalli pone alcuni interrogativi che ritornano
costantemente nella bibliografia in materia: il punto
fondamentale comunque è che saranno ancora le Piccole e
Medie Imprese a trainare la nostra economia ma che queste,
data la questione dimensionale, per essere innovative e per
generare “reti di diffusione di conoscenze” devono essere
coadiuvate dall’Università e dai Centri di Ricerca.

Emerge quindi con forza la necessità di un impegno da parte


dell’Università e dei Centri di Ricerca, pubblici e privati,
affinché si avvicinino al mondo imprenditoriale sposando la
teoria accademica alla pratica industriale per compensare il
GAP dimensionale e sopperire alla carenza di innovazione
delle singole imprese con un sistema diffuso e condiviso.
Come si vedrà nei prossimi capitoli, ed in particolare nella
sezione dei “casi studio”, il Politecnico di Milano e le altre
Università che si occupano di design, data la vicinanza della
disciplina all’impresa, stanno cercando di attuare modelli
innovativi di questo tipo proprio per supportare le imprese
nella generazione di nuova conoscenza, che si traduce in
nuovi prodotti/servizi e processi.

2.4 Il modello innovativo italiano: innovazione di design

Verificata l’importanza del Made in Italy per il futuro del


nostro sistema industriale, costituito in gran parte
dall’industria italiana del design, e contrapponendo questo
dato ai valori degli indicatori europei che mostrano invece il
basso grado di innovatività del nostro Sistema Paese, ci si
chiede come possono le imprese italiane aver raggiunto e
mantenuto negli anni tali posizioni di leadership nei settori
tradizionali?
Parliamo di una capacità innovativa guidata dall’invenzione,
dal genius italico, dalla relazione tra design e imprese alla
continua ricerca di nuovi profili di utenze e dei prodotti-
servizi atti a soddisfarli.

60 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Prendendo a prestito le parole di De Michelis:
“ […] Possiamo chiamare questo tipo di innovazione, che
pervade olisticamente la progettazione di gamme di
servzi/prodotti sotto lo stesso marchio, insieme con i reali processi
di produzione e logistica, la scelta dei canali di mercato, le
politiche di marketing e comunicazione, ecc., innovazione design
driven. La scelta del termine design per definire questo nuovo
tipo di innovazione non è casuale: da una parte, come ha
largamente dimostrato l’industria del Made in Italy, il design dei
prodotti e/o servizi gioca un ruolo rilevante nell’innovazione dei
profili degli utenti e nella creazione di un’immagine del marchio
che sia di valore; dall’altra la scuola dell’industrial design
italiano si distingue per la sua prospettiva visionaria e strategica.
[…] In questa prospettiva i designers diventano – insieme con
imprenditori, marketing managers, ricercatori e anche clienti –
attori di un nuovo approccio culturale al business, dove la
produzione deve essere in grado di sostenere i bisogni individuali
del cliente ad un livello socio/culturale.[…] L’innovazione design
driven è perciò fondata sia sulle risorse sociali e culturali di un
territorio (il suo motore) che sul comportamento mutevole del
consumatore (il suo target). Non è una novità che l’industria del
Made in Italy possa essere associata ai distretti industriali
(Becattini, 1998): tessile e abbigliamento, arredamento e
impianti di illuminazione sono settori industriali tipici in cui
l’Italia gioca un ruolo trainante per il mercato mondiale e dove
sono coinvolti con successo distretti industriali diversi.
Ciò che va considerato adesso è che tutte le imprese che operano
nei settori industriali del Made in Italy” sono caratterizzate
dalla cooperazione con designers che accrescono la qualità dei
prodotti delle imprese stesse e li arricchiscono di un’immagine
sofisticata. In alcuni casi sono addirittura i designers stessi a
creare e sviluppare le proprie imprese; in altri casi intraprendono
una collaborazione di lungo periodo con un’impresa,
influenzandone la produzione intera nonché le politiche di
marketing. […] Il design è stato l’agente che ha trasformato la
conoscenza tacita delle piccole imprese artigiane nella conoscenza
esplicita dei mercati post-moderni.” 30

30
G. De Michelis, in “Studi organizzativi”, n. 01-2001

| 61
De Michelis riassume in maniera chiara e completa il ruolo
del designer nel processo innovativo dell’impresa, un ruolo
che è interno ed esterno, un ruolo informale basato sulla
relazione diretta imprenditore-designer, un ruolo quasi
nascosto, un ruolo difficile, che solo alcune volte porta le idee
ed il progetto a vincere sulle logiche della produzione e sulla
ritrosia degli imprenditori, a tal punto che molti designer
sono costretti a diventare imprenditori di se stessi pur di poter
sviluppare i propri progetti e proporli sul mercato.
Da un verso quindi il designer può senza dubbio fregiarsi di
un contributo sostanziale all’innovatività delle imprese
dall’altro non bisogna dimenticare quella che Quadrio Curzio
e Fortis identificano come una caratteristica fondamentale per
il successo: l’identità delll’impresa, intesa in senso ampio
come tutto ciò che fa e rappresenta, con l’imprenditore come
unico vero decisore dotate del potere di orientare le strategie
aziendali.
“… l’Italia … ha avuto successo più per l’imprenditorialità e
l’innovatività spontanea che per la progettualità sistemica.
L’innovazione, infatti, non discende necessariamente dalla R&S,
e il “modello italiano” espresso dal Made in Italy e dai Distretti
industriali, caratterizzato da una innovazione basata sulla
ricerca informale legata più all’inventore-imprenditore che
all’invenzione scientifico-tecnologica progettata su larga scala e in
settori comunemente definiti ad alta tecnologia, ne è la conferma.
L’innovazione italiana, in altri termini, si è essenzialmente
basata sull’inventore che ha saputo promuovere, per esempio, una
netta superiorità dell’Italia nel campo del design o che ha saputo
applicare tecnologie sviluppate da gruppi internazionali a
prodotti o processi italiani, dilatandone le potenzialità e
adattandole alle specificità emergenti dalla specializzazione
settoriale… Sarebbe quindi un grosso errore pensare che le nostre
imprese siano scarsamente innovative e ritenere che in passato esse
siano sopravvissute nella competizione internazionale solo in
virtù delle svalutazioni (compensative) della lira e del sommerso
(tesi che talvolta è emersa nei dibattiti recenti): la leadership
dell’Italia nell’export mondiale di molti beni manifatturieri
rivela, al contrario, la elevata capacità innovativa dei distretti e
delle PMI, anche se non è realistico pensare di poter continuare

62 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


ad essere competitivi nel nuovo scenario globale senza imprimere
una maggiore progettualità sistemica agli interventi in campo
scientifico-tecnologico-innovativo e senza, quindi, un adeguato
rilancio della ricerca e sviluppo.” 31

De Michelis quindi parla del designer, Fortis parla di


imprenditore-innovatore ma anche di inventore senza chiarire
meglio di chi si tratti, se dell’imprenditore o del designer.
La letteratura di design parla di imprenditore illuminato
32

abbinato ad un designer e di imprenditore-designer, parla


cioè della relazione che si genera tra i due e che porta alla
codifica di nuova conoscenza e di progetto, parla del contributo
del designer allo sviluppo del sistema-prodotto, cioè l’insieme
integrato di prodotto, comunicazione e servizio attraverso il
quale l’impresa si presenta sul mercato.
Forse l’analogia tra il design ed il Made in Italy esiste davvero,
se è vero che l’innovazione generata dalle imprese italiane è
basata sulla ricerca informale e che, come emerge con forza
dalla prima e unica ricerca nazionale sul design , per 33

dimensioni ed importanza, il design stesso vive una doppia


dimensione: quella palese, caratterizzata dalle imprese design
oriented e dalla loro relazione virtuosa e consapevole con il
design dei grandi maestri e dei professionisti e quella tacita,
insita in tutti gli attori che partecipano, consapevolmente o
meno, al processo di sviluppo del sistema prodotto aziendale,
ad iniziare dall’imprenditore e che si manifesta attraverso i
prodotti di queste imprese. A questo punto è possibile
affermare che il modello innovativo italiano, o meglio la parte
di successo del modello innovativo italiano, quella del Made
in Italy, è basata sull’innovazione di design.
Quindi, solo per evidenziare ulteriormente l’ultima anomalia,
possiamo dire che molte Piccole e Medie imprese sono
innovatrici di design.

Il Sistema Italia non è, infatti, caratterizzato da un sistema di


supporto all’innovazione strutturato (centri di ricerca,

31
Fortis M., 2005 p.69-70
32
Maffei, Simonelli 2004, Zurlo et alii 2004, …
33
Maffei S., Simonelli G. 2002

| 63
investimenti pubblici…) ma vive un modello innovativo a
due livelli, uno esplicito e consapevole, caratteristico delle
imprese di design, e l’altro tacito, spontaneo, a volte sommerso
e di tipo imitativo (tipico dell’approccio italiano)
riconducibile alla stragrande maggioranza delle PMI;
entrambi comunque non rilevabili dagli indicatori in generale
e tantomeno da quelli Europei.
Con questo non si vuole dire che abbiamo risolto il problema
e cioè che non è vero che l’Italia sia un Paese nel quale non si
fa innovazione, ma che forse questo particolare tipo di
innovazione andrebbe valorizzato attraverso interventi
strutturali che vadano ad individuare ed esplicitare gli attuali
meccanismi taciti per generare un circuito palese
dell’innovazione e, come è successo per il modello dei distretti
industriali, codificarlo e fare in modo che anche gli indicatori
riescano a rilevarlo.
D'altronde l’Italia è il Paese delle anomalie che è vissuto, per
anni, sui successi delle piccole e medie imprese e del design
senza rendersene conto. Ora si dovrebbe tentare di
enfatizzare e rinnovare questa forza per invertire la situazione
congiunturale negativa.
Il carattere atipico della specializzazione manifatturiera
italiana e del particolare modello di innovazione generato è
stato recentemente evidenziato anche dal Centro studi
Confindustria (CsC) attraverso un’analisi comparata della
struttura dell’industria dei maggiori Paesi avanzati. Secondo il
CsC “l’industria italiana mostra di essere passata attraverso un
processo di lungo periodo il cui risultato finale è una maggiore
presenza relativa nelle produzioni del c.d. Made in Italy, nella
produzione di laterizi e rivestimenti in ceramica, e nella
carpenteria dei metalli, e una presenza minore nelle produzioni
della filiera chimica, della filiera cartario-editoriale, nella
produzione di metalli, nell’industria automobilistica e in quella
di beni meccanici di precisione” . 34

Per il CsC, il fatto che la specializzazione italiana nei beni di


consumo per la persona e la casa “abbia registrato una
conferma e in qualche caso un rafforzamento (anziché una

34
Centro studi Confindustria, 2004, p. 145

64 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


contrazione) col crescere dell’apertura del Paese al commercio
internazionale suggerisce l’esistenza di rendimenti crescenti di
tipo dinamico, connessi a meccanismi di learning che
comportano un accumulo delle conoscenze su tecniche, prodotti e
mercati. Ciò verosimilmente ha dato luogo, con l’ampliamento
della dimensione del mercato indotto dall’apertura
internazionale, a fenomeni cumulativi che hanno finito col
rafforzare i vantaggi iniziali e cristallizzato un pattern di
specializzazione atipico, se confrontato con quello degli altri
Paesi simili all’Italia in quanto a livello di sviluppo, tecnologia e
dotazione di fattori. Questi fenomeni sembrano inoltre avere
prodotto esternalità anche all’esterno del “perimetro” delle
industrie in questione: i vantaggi comparati maggiori riguardano
settori che producono macchine per l’industria di tipo
tradizionale” . 35

La Nostra industria opera nei settori tradizionali ma non in


maniera tradizionale e ripetitiva: il particolare modello socio-
economico delle imprese, la prossimità fisica e l’elevata
specializzazione hanno portato, anche secondo il CsC, a
generare meccanismi di learning evoluti che hanno permesso
che si sviluppasse un vantaggio competitivo notevole rispetto
alla concorrenza, attraverso un miglioramento incrementale e
continuo della produzione a tutti i livelli, sia tecnologici (fino
ad alcuni anni fa eravamo leader mondiali anche a livello
produttivo) che, e soprattutto, nei fattori intangibili legati a
quello che l’opinione pubblica definisce stile, ma che, come
abbiamo visto, possiamo dire essere un’innovazione di design,
derivante, cioè, dalla cultura, dai modi d’uso e
dall’anticipazione di tendenze, dalla sperimentazione di
materiali, abbinamenti e finiture.

2.5 Innovazione di design: quali tipologie di imprese

Il sistema destrutturato e d’eccellenza che costituisce i settori


del Made in Italy dunque è rappresentato in larga misura da

35
Centro Studi Confindustria, 2004, p.146

| 65
Piccole e Medie Imprese, di cui solo alcune sono realmente
eccellenti e riescono, grazie alla propria capacità pre-visionale
e di stile sui prodotti, ad emergere sui mercati internazionali
diventando ambasciatrici dell’intero sistema produttivo
nazionale.
Ma di che imprese si parla? Che dimensioni hanno
effettivamente e come riescono a coniugare una ridotta
dimensione con una così importante capacità di export? Ci
troviamo di fronte di nuovo ad un’anomalia?
Da una recente ricerca della Fondazione EDISON risulta 36

che “l’Italia possiede solo 4 Grandi “Pilastri” (ENI, Fiat,


Pirelli-Telecom ed ENEL), 22 “Pilastri” e 86 “Colonne”: in
totale sono solo 112 i gruppi o le imprese a controllo italiano
capaci di esprimere almeno 500 milioni di euro di fatturato, di
cui 43 appartengono ai 4 settori di eccellenza del Made in
Italy… I settori di eccellenza del Made in Italy possono quindi
contare su cinque “Pilastri”: Benetton, Luxottica e Merloni nella
moda e negli elettrodomestici; Ferrero e Barilla nel settore
alimentare. Mentre le “Colonne” del Made in Italy sono in totale
36 (di cui 10 alimentari e 26 non alimentari), con gruppi
importanti come Armani, Safilo, Natuzzi, Marazzi, Prada,
Ermenegildo Zegna, Seragnoli, Ferragamo, Iris Ceramica, Riello,
Lavazza, Granarolo, Campari ed altri.
Discreto è anche il numero delle Grandi imprese del Made in
Italy con fatturato superiore ai 260 milioni di euro ma inferiore
ai 500 milioni (che potremmo quindi definire quasi “Colonne”
in questa nostra classificazione generale, ma che certamente già lo
sono a tutti gli effetti nei loro settori), tra cui, ad esempio, realtà
come Dolce & Gabbana, Versace, SCM Group, Tod’s, IMA,
ecc.” 37

A queste imprese, però, non si può attribuire una grande


importanza dal punto di vista occupazionale e di export,
sempre secondo dati Fondazione EDISON. infatti “il

36
La categorizzazione messa in atto dalla Fondazione EDISON difinisce: Grandi
“Pilastri” (imprese con fatturati superiori ai 10 miliardi di euro nel 2002); “Pilastri”
(imprese con fatturati compresi tra 2 e 9,99 miliardi); “Colonne” (imprese con
fatturati compresi tra 0,5 e 1,99 miliardi). A queste poi si aggiungono i Distretti
Industriali che “che rimangono un punto di forza del nostro sistema produttivo,
nonostante le recenti difficoltà” _ Fortis M., 2005
37
ibidem

66 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


contributo delle Grandi imprese (con oltre 500 addetti)
all’occupazione manifatturiera e all’export dei settori di
specializzazione del Made in Italy appare limitato, pari,
rispettivamente, al 9,3% e al 22,3%.”

Il loro contributo fondamentale risiede nell’effetto globale di


immagine e di trascinamento che, con i loro marchi affermati
a livello internazionale, sono in grado di riversare sull’intero
sistema e quindi anche a vantaggio delle PMI.

2.5.1 Imprese Branded


Parliamo esplicitamente in questo caso delle imprese
cosiddette Branded, cioè dotate di un proprio marchio e di
una propria riconoscibilità internazionale, che hanno con il
design un rapporto proficuo e costante.
Riprendendo gli esempi portati da Fortis innanzitutto ci sono
i Pilastri:
- Benetton, con la comunicazione di Oliviero Toscani,
Fabrica, la sua retail strategy e la recente brand
extension anche al settore casa con la progettazione e
la vendita di una collezione completa dalle piastrelle
ai materassi, dalle stoviglie alle candele;
- Luxottica, che si caratterizza per il forte orientamento
al fashion design ed il co-branding , come tutta
38 39

l’industria dell’occhialeria, che vede il prodotto


occhiale più simile ad un accessorio moda che ad un
prodotto industriale, sebbene abbia caratteristiche
antropometriche e funzionali specifiche;
- Merloni azienda divenuta leader internazionale con i
marchi Ariston ed Indesit grazie anche al contributo di
importanti designer tra i quali Giugiaro e Makio
Hasuike . 40

38
Celaschi F., Ciuccarelli P., Seassaro, A., 1998
39
La Luxottica è licenziataria o proprietaria dei seguenti marchi: Anne Klein,
Arnette, Byblos, Brooks Brothers, Bulgari, Chanel, Donna Karan, DKNY, Genny,
Jil Sander, Killer Loop, Luxottica, Miu Miu, Meschino, Persol, Prada, Ray-Ban,
Revo, Salvatore Ferravamo, Sergio Tacchini, Steroflex, Versace, Versus e Vogue
(http://annual-report-2004.luxottica.com)
40
Zurlo F., 2003

| 67
Tra le Colonne ritroviamo una serie di Marchi e aziende del
settore moda come Armani, Prada, Ermenegildo Zegna,
Ferragamo che non necessitano di ulteriori presentazioni,
Marazzi e Iris Ceramica che si contraddistinguono nel
panorama internazionale per la qualità e la ricerca progettuale
sempre all’avanguardia nel prodotto ceramico (sono un
esempio le piastrelle ed i rivestimenti di Marazzi Tecnica).
Riello azienda leader nel settore della climatizzazione e nella
qualità ambientale. Lavazza, Granarolo, Campari
nell’alimentare, unici per capacità innovativa e creatività non
solo nei prodotti ma anche nella comunicazione. Campari “ci
mostra come il marketing, se mira a buoni risultati, deve
includere un piano di comunicazione efficace e d’effetto, in
quanto il “passaparola” non è sufficiente a far crescere la fama di
un prodotto”, dando origine, con i propri manifesti e l’attuale
comunicazione, ad una delle più importanti campagne
comunicative contraddistinta dai legami con i più grandi
artisti e comunicatori del tempo. Simile il discorso per
41

Lavazza rispetto alla comunicazione; alla storica e consolidata


relazione tra l’azienda e Armando Testa deve una parte
fondamentale del proprio successo, chi non ricorda
Carmencita. Per quanto riguarda il prodotto ed il servizio,
poi, l’azienda, in continua espansione, riesce a circondarsi di
nomi importanti, come ad esempio Pininfarina per la
progettazione delle macchine per il caffè da abbinare
all’innovativo servizio Lavazza Blue.
Per Safilo vale il discorso fatto per Luxottica, fatte le dovute
proporzioni dimensionali, la creatività e la dinamicità
aziendali si devono alla presenza di un gruppo creativo
interno composto da 100 designer che permette all’azienda di
proporre sul mercato 2500 nuovi prodotti all’anno . 42

41
Dopo i primi pionieristici annunci sul Corriere della Sera Campari iniziò a
collaborare con i movimenti artistici emergenti, lasciando agli artisti la massima
libertà creativa e di sperimentazione. L’arte fece il suo ingresso nella comunicazione
Campari e nel frattempo la stessa arte ne uscì influenzata. Sacchetti, Cappiello,
Dudovich, Mora, Metlicovitz, Nizzoli furono soltanto alcuni degli artisti che si
cimentarono con il rosso di Campari o il giallo del Cordial. Fino ad arrivare al
futurismo e a Depero che attribuirono alla pubblicità la dignità di una vera e
propria arte urbana, un nuovo territorio creativo per gli artisti.
http://www.campari.it/ita/gruppo/storiacom/index.asp
42
Safilo possiede i marchi Safilo, Oxydo, Blue Bay, Carrera e Smith ed è

68 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Natuzzi, invece, rappresenta una delle storie più interessanti
del panorama industriale italiano, data la rapidità con la
quale, quasi dal nulla, è riuscito a creare un gruppo
internazionale leader nel settore degli imbottiti, tanto da
essere definito il “più grande artigiano del mondo” . In questo 43

caso oltre al design dei prodotti, l’abilità è consistita nella


definizione della strategia aziendale e di vendita fortemente
incentrata sull’export.

A queste, se si vogliono cercare i marchi di prodotti


testimonial del Made in Italy non possiamo non aggiungere
l’Alfa Romeo, la Ducati, la Fiat, la Ferrari, la Lamborghini
(anche se non è più un marchio italiano), la Maserati, la Moto
Guzzi, l’Aprilia e la Piaggio che meriterebbero un capitolo a
parte e che comunque rappresentano una delle prime
evidenze del design italiano ancora oggi. Ad esempio la
rinnovata Alfa Romeo, dopo la cura Da Silva e Giugiaro, la
Ducati, la Ferrari, con Pinifarina uno dei sodalizi più efficaci
della storia del design e la Maserati. Oppure altre, riferite alla
storia del design, come la Fiat, 500 e Panda, solo per citarne
alcune, con Giacosa e Giugiaro, oppure la Piaggio con
l’indimenticata Vespa di Corradino D’Ascanio.
Parliamo comunque di una manciata di imprese medie e
grandi che presentano caratteristiche molto diverse rispetto
alle PMI tipiche del Made in Italy.
Sono, infatti, imprese strutturate, che, se per dimensioni non
possono competere con le grandi multinazionali, vivono di
export e sono riuscite a sfruttare, anche a spese del contesto e
dell’indotto, i vantaggi offerti dalla globalizzazione
soprattutto quelli legati alla delocalizzazione produttiva,
tenendo ben salde al proprio interno le funzioni definite ad
alto valore aggiunto, cioè quelle di Design, Marketing,
Pianificazione, Ricerca e Sviluppo.
Nel caso delle imprese manifatturiere, queste hanno in genere
un centro sviluppo prodotti e design interno dove sviluppano

licenziataria per Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Burberry, Dior,


Diesel, 55DSL, Emporio Armani, Giorgio Armani, Gucci, Imatra, Marc Jacobs,
Max Mara, Oliver, Pierre Cardin, Ralph Lauren, Stella McCartney, Valentino, Yves
Saint Laurent. http://www.safilo.com/ita/gruppo-safilo.pdf
43
http://eprints.stoa.it/178/01/caso-natuzzi.pdf

| 69
l’ingegnerizzazione dei prodotti ma collaborano comunque
costantemente con designer esterni.

Potremmo dire che questa tipologia di imprese “leader” del


Made in Italy propongono un mix, tutto italiano, delle due
categorie di imprese definite da Philip Kotler e cioè le 44

imprese design oriented e le imprese marketing oriented:


- nelle imprese design oriented c’è un atteggiamento di
carattere concessivo da parte del marketing, che
consente ai designer di operare in modo
assolutamente autonomo e senza il supporto di alcun
dato. In genere, l’impresa ricorre a professionisti di
design molto conosciuti in grado di intuire
l’evoluzione dei gusti della clientela e in certi casi in
grado di imporre una tendenza. Un atteggiamento
del genere è evidente nei settori dell’abbigliamento,
della profumeria, degli articoli per la casa;
- le imprese marketing oriented esigono dai loro
designer un rigoroso rispetto delle conclusioni
contenute nelle indagini di mercato, che indicano le
richieste della clientela. Il design è sottoposto a vari
test per verificare la rispondenza ai requisiti di brief.
Solitamente questo approccio riguarda l’industria dei
piccoli elettrodomestici e del packaging in generale.

Ma come abbiamo visto questa tipologia di imprese


rappresenta solo una piccola parte, anche se importantissima
ai fini dell’immagine e della riconoscibilità del Made in Italy a
livello globale: la vera forza di questi settori che ancora traina
la nostra bilancia commerciale sono le PMI.

2.5.2 Le PMI Design Oriented


“Dalle PMI… dipendono il 90,7% dell’occupazione e il 77,6%
dell’export del Made in Italy manifatturiero” . 45

L’attenzione degli economisti quindi, in termini di numero,


si concentra sulle Medie Imprese che, se riuscissero a

44
Kotler P., Rath A. G., 1984
45
Fortis, 2005

70 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


strutturasi, superando i limiti della matrice famigliare, e se
perseguissero strategie di espansione sfruttando le capacità
innovative contestuali e le potenzialità del design, potrebbero
aspirare a diventare grandi imprese, sfruttando anche forme
innovative di aggregazione sia in chiave commerciale che
produttiva.
“Considerando le Medie imprese manifatturiere con oltre 100
addetti, che definiremo qui Medie imprese più “strutturate”
(classe 100-499 addetti), osserviamo che in base ai dati
dell’ultimo Censimento nel 2001 esse erano in Italia
complessivamente 4.603, di cui 2.762 (cioè il 60% del totale)
risultavano attive nelle 4 aree di eccellenza del Made in Italy:
365 nell’Alimentare-bevande, 336 nell’Arredo-casa, 751
nell’Abbigliamento-moda e 1.310 nell’Automazione-meccanica.
Queste 2.762 Medie imprese “strutturate” del Made in Italy
affiancano 250 Grandi imprese (con oltre 500 addetti) attive
negli stessi settori, per un totale di 3.012 imprese del Made in
Italy con più di 100 addetti. L’occupazione generata da questo
drappello di 3.012 imprese “strutturate” era nel 2001 di circa
803 mila addetti, cioè il 25,4% di quella complessiva dei settori
manifatturieri del Made in Italy.”
Chi sono queste imprese e come funziona la loro relazione
con il design?
E’ in questa fascia di imprese che si palesa in maniera più
evidente la relazione designer e impresa tipica italiana; è qui
che sono nati i più importanti sodalizi tra imprenditori e
designer; è qui che si genera quella particolare forma di
innovazione definibile innovazione design driven. Si tratta di
imprese meno strutturate delle imprese leader, quasi
esclusivamente a matrice familiare, anche se ultimamente si
assiste ad alcune importanti evoluzioni soprattutto nel campo
del legno arredo, dopo la moda, dove grossi fondi di
investimento, orientati al lusso, come Charme e Opera, hanno
acquisito marchi storici del design italiano quali Cappellini,
Poltrona Frau, Cassina, B&B Italia.
Parliamo soprattutto delle imprese dell’arredamento (oltre a
quelle appena citate possiamo nominare, tra le altre, Kartell,
Vitra, Colombo Design, Ideal Standard, Zanussi, ecc.),
dell’illuminazione (Artemide, Flos, Luceplan, ecc.), dei prodotti
per la casa (Alessi, Gaggia, Lagostina, Pavoni, ecc.) che negli

| 71
anni hanno collaborato con i nomi storici del design italiano,
come Bellini, Branzi, Castiglioni, Citterio, De Pas D’Urbino
Lomazzi, De Lucchi, Giovannoni, Magistretti, Mari, Meda,
Mendini, Nizzoli, Ponti, Sapper, Sottsass, e straniero come
Arad, i Campana, Grcic, Hilton, Le Corbusier, Lovergrove,
Morrison, Newson, Pillet, Starck, ecc. 46

Zurlo , in un recente lavoro, utilizza la chiave di lettura del


47

brief per spiegare la relazione tra designer e Piccole e Medie


Imprese, evidenziando come la situazione italiana presenti
delle caratteristiche peculiari che permettono di parlare di
contro-brief. Riprendendo la distinzione tra imprese design
oriented e imprese market oriented secondo il modello di
Kotler il brief, cioè la richiesta strutturata da parte
dell’azienda, è completamente inesistente nelle imprese design
oriented, mentre è di rigorosa osserva in quelle market
oriented. Secondo Zurlo il modello italiano è più vicino alle
48

imprese market oriented, cioè le imprese, di solito, tendono a


formulare un brief, magari originato da semplici intuizioni
dell’imprenditore o dalla reinterpretazione di alcuni feed-back
provenienti dal mercato (rapporto diretto con la rete
commerciale). Quello che cambia è l’approccio con il quale il
designer si muove e l’importanza che la sua azione riveste
nella successiva definizione del prodotto ma anche, e
soprattutto, nei casi di maggior successo, è dove
effettivamente riesce ad imporre le sue scelte da glocal broker , 49

delle strategie aziendali.

46
Per maggiori approfondimenti sul tema si possono vedere le principali
pubblicazioni sulla storia del design: Branzi A., 1996, De Fusco R., 1985, Gregotti
V., 1982, Pansera A., 1993 e le varie raccolte di prodotti edite da Taschen o altri
come Fiell C. & P., 2001a, 2001b , 2003, cataloghi storici di mostre come Pasca
V., 2001
47
Zurlo F. in Casati B. 2004
48
ibidem
49
Zurlo definisce il designer come Glocal Broker partendo dall’analisi dei molti casi
di successo che costellano la storia del design italiano dove “la relazione e la
frequentazione del designer con l'artigiano ha spesso trasformato la cultura artigiana in
una cultura industriale trasformando il design in una sorta di agente, nei SPL, che
tramite un processo di “apprendimento relazionale”, cioè con la capacità di integrare, in
modo versatile, conoscenza specialistica sviluppata dentro il sistema locale con nuova
conoscenza derivante da sistemi esterni, trasforma le imprese di piccoli artigiani in
attori, qualche volta protagonisti, dei mercati post-moderni.”

72 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


“Ciò che insegna il modello italiano” delle imprese di successo
“è che in quel gruppo (famigliare) imprenditoriale, a supporto
della visione strategica, è stata – spesso – cooptata la figura di un
designer… Il termine contro brief… sottende una modalità di
relazione tra design e strategie d’impresa che, ad una richiesta
(strutturata o meno) da parte dell'azienda (un brief),
contrappone una visione” del designer “che va oltre quella
richiesta specifica per agire direttamente nelle scelte strategiche
aziendali (individuazione di nuovi profili di utenza, proposta di
nuovi prodotti/servizi, nuovi profili di comunicazione ecc.). Può
essere considerato, per certi settori e per certi prodotti, un
approccio tipico della relazione tra design e impresa in Italia.” 50

“Da questo punto di vista il design sembrerebbe abbandonare


una logica che lo vede come parte integrante di un sistema
dominante e alienante di produzione e consumo e diventa di
fatto, opponendosi al brief, un elemento di rottura rispetto a
questa condizione, aprendo ad un sistema di valori più esteso.
Un sistema di valori che condivide un progetto di vita
socialmente e ambientalmente sostenibile: con ciò assumendo un
ruolo proattivo rispetto ad una comunità di cui anticipa bisogni
e per la quale costruisce benessere. “Il ruolo del designer in Italia
non è soltanto quello di risolvere i problemi dell’industria, ma
anche quello di aprire nuovi problemi di ordine culturale,
sociale, civile, prima che produttivo.” (Bucci, 1998, p. 94)” . 51

Oltre a questa tipologia di imprese, che possiamo definire


PMI di design, troviamo una serie di casi in cui i designer, pur
di portare avanti la propria idea di rottura sono diventati essi
stessi imprenditori; si parla dei designer imprenditori. Sono
conosciuti i casi della moda dove il successo porta quasi
direttamente alla creazione di una propria griffe o linea di
abbigliamento. Più ardua è la situazione nei settori
manifatturieri ma si ritrovano comunque molti esempi
significativi, alcuni di grande successo; lo stesso Zurlo cita
come emblematici i casi di Cini&Nils nel campo 52

50
ibidem p. 85
51
ibidem p. 87
52
Azienda di Illuminotecnica fondata nel 1969 da due progettisti Mario Malocchi
(designer e pubblicitario sarà tra i primi in Italia ad occuparsi di packaging ha
ricevuto moltissimi riconoscimenti ed ha lavorato per importanti aziende
internazionali) e Franco Bettonica (designer di prodotto), per un approfondimento

| 73
dell’illuminazione e di MHWay nel settore delle borse ed
53

accessori tecnici ormai evoluto a marchio che produce diverse


linee, dal settore del lavoro e del tempo libero, agli accessori e
al viaggio.
Uno dei più importanti vantaggi di questa tipologie di
imprese è stata la compresenza in un’area specifica di una
innata capacità progettuale, rappresentata dai grandi maestri
del design, e da una capacità artigianale/imprenditoriale
storica delle imprese poi divenute di successo. In particolare
questa concentrazione si è avuta per i settori della moda e del
legno arredo intorno a Milano. Si parla infatti di Milano
come capitale del design con un ruolo che Milano si è
guadagnata sul campo.
“Aneddoti talvolta curiosi (lampade abbozzate su tovagliolini da
bar, divani “dettati” al telefono) sono espressione di una capacità
di relazione unica e di un’apertura culturale dell’imprenditoria
verso il design che non si riscontra altrove se non in ambito
italiano ed in particolare a Milano… La presenza di questa
doppia anima, progettuale e imprenditoriale, ha in qualche
modo alimentato una capacità di visione in grado di finalizzare
le potenzialità dell’impresa in funzione di vuoti ed esigenze
inespresse createsi nell’evoluzione dei contesti culturali e sociali” . 54

2.5.3 Le PMI
Se le PMI Design Oriented hanno con il design una relazione
che potremmo definire esplicita esse rappresentano
comunque il 25% della produzione italiana. Resta fuori un
65% che non rientra in nessuno dei canoni sopra citati.
Parliamo delle Piccole e Medie Imprese non strutturate con
meno di 100 addetti, che sono la base produttiva del Made in
Italy e che più di tutte sentono il momento di crisi ed hanno
bisogno di stimoli per reagire, stimoli che possono venire dal
design ma con una relazione tutta da costruire.
Tutte imprese che fanno del design e dell’innovazione di

si veda Simonelli G., Zurlo F., in Zurlo et alii, 2002 pp. 87-112
53
MhWay è l’azienda creata da Makio Hasuike nel 1982 divenuta leader nella
progettazione, realizzazione e distribuzione di cartelle da lavoro, valigeria business,
borse ed accessori ad alto contenuto di design e innovazione. Per un
approfondimento si veda Zurlo F. 2003
54
Simonelli G., Bertola P. 2002 in Zurlo et alii 2002

74 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


prodotto un’arma competitiva, ma che non hanno ancora
compreso appieno le potenzialità del design, inteso in termini
evoluti come design del sistema-prodotto . 55

L’agenzia SDI | Sistema Design Italia del Politecnico di


Milano negli ultimi anni ha realizzato due indagini
conoscitive, una nel 2002 con il centro TeDIS della Venice 56

International University e l’altra nel 2003 in collaborazione


con il Centro Studi della Camera di Commercio di Milano 57

proprio per cercare di comprendere dalla voce dei


protagonisti quale fosse la relazione tra design e Piccole e
Medie Imprese dei settori del Made in Italy.

Concezione del design


Il ritratto emerso descrive un’impresa mediamente
consapevole del valore del design che si divide però quasi in
parità sull’assegnazione al design di un ruolo evoluto legato
alla progettazione del prodotto industriale in tutti i suoi
aspetti, molto vicino alla definizione maldonadiana , con 58

l’altra metà che incorre nel luogo comune di considerare il


design come progettazione dell’aspetto formale del prodotto,

55
Nell’accezione più ampia ed attuale della disciplina, il disegno industriale rende
visibile la strategia complessiva dell’impresa, progettando il sistema prodotto,
ovvero quella particolare combinazione di prodotto, servizio e comunicazione con
cui un’impresa, ente pubblico o istituzione si presenta all’interno del proprio
mercato di riferimento, sia esso locale o globale. Mauri, 1996
56
TeDIS Center è il centro di ricerca della Venice International University che si
occupa del monitoraggio continuo della diffusione e dell’utilizzo delle ICT in 33
distretti industriali del Nord Est, Dell’Emilia Romagna, della Lombardia, del
Piemonte, della Toscana e delle Marche nei settori dell’arredamento, moda e
meccanica-impiantistica. Il survey è stato effettuato su un campione rappresentativo
di 182 aziende, che avevano già partecipato alle precedenti edizioni dei survey Tedis
del Nord-Est (Lombardia, Emilia Romagna e Toscana). (Allegato B) Per un
commento sintetico si veda anche Vignati A., 2004
57
Il survey, svolto nell’ambito del progetto di fattibilità per un osservatorio di
design, è stato inviato ad un totale di 272 aziende via fax o e-mail. Le risposte
pervenute sono state 100 con un tasso di risposta totale superiora al 30% da
considerarsi positivo dato il tipo d’impresa, la modalità di somministrazione e la
complessità di un questionario che aveva principalmente finalità qualitative.
Per un commento sintetico si veda anche Arquilla V., 2003
58
Progettare prodotti “ significa coordinare, integrare ed articolare tutti quei fattori
che in un modo o nell’altro, partecipano al processo costitutivo della forma del
prodotto. E, più precisamente, si allude tanto ai fattori relativi all’uso, alla fruizione
e al consumo individuale o sociale del prodotto (fattori funzionali, simbolici o
culturali) quanto a quelli relativi alla sua produzione (fattori tecnico-economici,
tecnico-costruttivi, tecnico-sistemici, tecnico-produttivi, tecnico-distributivi) “
Maldonado, 1991 p.12

| 75
riferendosi al concetto di Styling.
Le PMI italiane quindi vivono e conoscono il design, ma
l’immagine che propongono è quella di osservatori non
propriamente attenti alle reali potenzialità della disciplina,
fortemente ancorati ad una dimensione classica di styling e di
prodotto.
Pochissime imprese riconoscono al designer un ruolo relativo
al miglioramento dei processi produttivi, all’inserimento di
nuove tecnologie, alla progettazione degli aspetti
comunicativi e alla definizione delle strategie aziendali di
medio-lungo termine.
Il designer, nonostante una concezione mediamente evoluta
del suo ruolo, resta comunque un esteta visionario, la sua
mano plasma la materia, dà forma ai prodotti, crea tendenze
ed impone stili: andando ad approfondire infatti l’ambito di
azione del designer questi per le aziende riveste
un’importanza fondamentale rispetto all’estetica del prodotto
e alla dimensione legata al mercato ed alle tendenze.
Rispetto alle dimensioni competitive dell’azienda il designer
ha una spiccata capacità di generare innovazione e di definire
dei gradi di personalizzazione.
Gli aspetti comunicativi, di servizio e di strategia non
vengono ancora ricondotti ad attività di design, forse per la
dimensione delle aziende e per la loro matrice che vede
l’imprenditore rivestire un ruolo egemone rispetto alla
pianificazione e all’organizzazione dell’azienda.

Relazione con il design


Il designer è, nella stragrande maggioranza dei casi, una
risorsa esterna alla quale l’azienda ricorre per trovare
un’ispirazione o per generare innovazione, come abbiamo visto
poc’anzi.
Rispetto a quello che accade nelle aziende più strutturate, il
marketing, come funzione aziendale, è assente o
assolutamente marginale.
Il designer, professionista esterno all’azienda, porta il suo
contributo di visione e d’idea, unito alla capacità di
visualizzazione del prodotto per orientarne la produzione ma
è poco coinvolto nei processi decisionali interni.
Andando a leggere la relazione con il design in rapporto al
Processo di SNP Sviluppo Nuovi Prodotti, scomposto in 3

76 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


fasi principali (ideazione, progettazione prodotto,
ingegnerizzazione e test), si vede come il designer,
considerando gli attori esterni che partecipano al processo
decisionale relativo alla Sviluppo di Nuovi Prodotti, è quello
maggiormente coinvolto nella fase di ideazione, mentre nelle
fasi successive vede sostanzialmente decrescere il suo ruolo
fino a scomparire quasi del tutto nella fase di
ingegnerizzazione e test, a favore di figure tecniche interne.
Tra queste spicca l’ufficio, o il responsabile, tecnico che
riveste sempre un’importanza fondamentale, soprattutto nelle
fasi di ingegnerizzazione e sviluppo dei prodotti, e la funzione
commerciale, importante sonda della situazione del mercato e
delle esigenze dei clienti.
L’unico, costantemente presente, detentore del potere
decisionale in tutte le fasi, risulta essere l’imprenditore, un
imprenditore “non illuminato” come lo è quello delle imprese
design oriented. E’ quest’ultimo, o i suoi più stretti
collaboratori, molto spesso familiari, ad occuparsi della
conoscenza del mercato/cliente, della rilevazione delle
variabili qualitative relative al mercato ed ai prodotti e della
rilevazione dei trend stilistico culturali.

La sfida ed il successo nel mercato globale (si pensi che


comunque queste imprese, seppur non applichino strategie
evolute di Sviluppo Prodotti, esportano oltre il 50% della
produzione), in particolare nei mercati di nicchia, parte da
una forte e radicata conoscenza e capacità di “ascolto” locale
con un occhio attento alle innovazioni introdotte dalle
imprese leader e dalla fiducia rispetto alle intuizioni ed al
fiuto degli operatori aziendali più a contatto con il mercato.
Il designer per le PMI è quindi un “portatore di idee” esterno,
che non incide sulle decisioni e sui processi aziendali oltre a
non incidere nelle fasi finali di sviluppo del prodotto.
Anche la motivazione all’origine dell’apertura alle tematiche
del design presenta una dinamica sostanzialmente market-
push e derivata dal confronto con i concorrenti, denunciando
apertamente in questo caso la tendenza all’emulazione propria
delle aziende che insistono nei sistemi produttivi locali.
Un dato importante riguarda la diffusione delle tecnologie
per il progetto, infatti oltre il 70% delle aziende dichiara di
possedere, utilizzare e valutare positivamente sistemi CAD sia

| 77
bidimensionali che tridimensionali.
Il web viene utilizzato principalmente come canale di scambio
di informazioni attraverso l’e-mail, che sta, molto lentamente,
rispetto agli altri settori, sostituendo i tradizionali strumenti
di comunicazione, tra i quali continua ad imperare il fax.
Le tecnologie più complesse, come la prototipazione rapida
ed i sistemi di realtà virtuale, hanno una diffusione minore,
sicuramente legata alle elevate barriere sia economiche che
culturali.

Il modello innovativo
Si viene a configurare un modello innovativo ancora
sostanzialmente slegato dalla tecnologia, basato
essenzialmente sulla produzione di cose materiali, i prodotti.
Tale caratteristica viene confermata anche dalla scarsa
attenzione che le aziende intervistate hanno per il servizio, la
comunicazione e per le campagne pubblicitarie.
Riguardo poi alle modalità di promozione della propria
attività, risultano saldamente ancorate ai canali tradizionali,
quali le fiere e la stampa di settore.
La tipologia aziendale fin qui descritta fa emergere come
carattere distintivo la figura dell’imprenditore;
quell’imprenditore che con il suo fiuto e la sua capacità di
59

legarsi a professionisti esterni all’azienda per la definizione dei


propri prodotti ha reso possibile, in alcuni illuminati casi, il
successo delle imprese design oriented italiane, configurando
un modello di attività e di relazione con il design divenuto
classico, studiato in tutto il mondo come modello
imprenditoriale di successo . 60

Anche le PMI possono aspirare ad avere un rapporto così


strutturato con il design, quando riusciranno a fare il salto
concettuale che riposiziona il design nell’area strategica e
soprattutto, come testimoniato dai tanti successi storici,
quando sarà in grado di legarsi ad esso con un rapporto
costante (art direction) e duraturo e non con operazioni spot
relative esclusivamente alla fase di ideazione dei prodotti.

59
si veda paragrafo 2.4
60
si veda (Fortis 1998 e 2000), (Nonaka e Takeuchi, 1997)

78 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Il design come arma per la competitività aziendale
Il design, inteso in chiave evoluta ed integrato maggiormente
nella definizione dei processi strategici dell’azienda, può essere
ancora una volta l’arma in più delle imprese italiane nel
mercato globale.
Si apre per il design una grossa area di opportunità,
confermata anche dai dati: oltre il 90% delle aziende
intervistate ritiene che il design rivesta un importanza
fondamentale per la competitività del settore dimostrandosi
interessata e sensibile alle attività di design.

2.6 Conclusioni

Il sistema imprenditoriale presenta alcune caratteristiche


fondamentali e distintive che vanno ad incidere in maniera
sostanziale sul nostro modello innovativo italiano:
- elevata presenza di PMI;
- elevata incidenza dell’attività manifatturiera sul PIL;
- specializzazione nei settori a bassa intensità
tecnologica, settori del Made in Italy;
- scarsi investimenti in Ricerca e Innovazione.

Esiste poi una forte connotazione delle imprese italiane come


imprese di design, collegata ad una ricca tradizione nelle
pratiche del progetto e, come si è potuto vedere, c’è una
sostanziale coincidenza tra i settori afferenti al Made in Italy
ed i settori tipici del design italiano .
61

Dall’incontro tra la tradizione del design italiano e una parte


delle Piccole e Medie Imprese nazionali, in particolare di
quelle organizzate nei distretti industriali, si origina il modello
di successo del Made in Italy, quello che Fortis e molti altri
importanti economisti definiscono il secondo miracolo italiano
e che oggi manifesta evidenti segnali di crisi di fronte alle
dinamiche della globalizzazione . 62

61
paragrafo 2.2
62
paragrafo 2.3

| 79
Alla domanda: ma tutte le imprese del Made in Italy sono
Design Oriented? La risposta ovviamente è: No!
Ci sono molti fattori che incidono sulla relazione tra design e
imprese, quali la tipologia di impresa, la sua struttura
decisionale, il settore nel quale operano.

Come si può vedere dallo schema è possibile mettere in


relazione la tipologia di imprese con la loro consapevolezza e
l’uso del design, generalizzando possiamo dire che:
- le pochissime imprese branded, dotate di un
management e di una struttura decisionale ben
definita, hanno un rapporto strutturato e proficuo

80 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


con il design, una consapevolezza che arriva, nella
maggioranza dei casi, ad un uso strategico del design,
che scala la catena decisionale e che entra in maniera
integrata con il management aziendale in tutte le fasi
decisionali relative al lancio di nuovi sistemi
prodotto;
- Le PMI design oriented, sono le imprese di matrice
familiare, più strutturate e di successo del Made in
Italy dove l’imprenditore riveste un ruolo
fondamentale e la relazione designer-impresa, definita
da Zurlo come di contro brief, si configura come una
relazione a due complessa nella quale i ruoli spesso si
scambiano ed il designer, attraverso la configurazione
del sistema prodotto aziendale, orienta la produzione
e le scelte aziendali. La relazione in questo caso è
spesso storica ed in alcuni casi monogama (sono
molti i designer che hanno lavorato con una solo
azienda e viceversa) con il designer come consigliere
del re, imprenditore “illuminato” o anche con il
designer che diventa imprenditore ; 63

- La miriade di PMI al di sotto dei 100 addetti riveste


in questa relazione un ruolo di follower. La maggior
parte delle imprese, pur vivendo in un’atmosfera di
design, che le porta ad essere consapevoli
dell’importanza del design, come si è potuto vedere
dalle indagini sul campo non è in grado di attuare
politiche corrette di utilizzo del design. Una buona
parte di queste vive ancora un ruolo passivo, basato
essenzialmente sull’imitazione, le altre invece quando
usano il design lo utilizzano in chiave di styling senza
alcuna direzione strategica.

Il sistema del design è formato da una serie di attori


64

fondamentali per lo sviluppo di processi innovativi, quando


lavorano in un’ottica sistemica: parliamo del mondo dei

63
“su 30 aziende proprio del settore degli apparecchi di illuminazione, oltre il 45%
degli imprenditori sono risultati essere designer…” Simonelli G., Bertola P. 2002
in Zurlo et alii 2002
64
Bertola P., Sangiorgi D., Simonelli G. 2002

| 81
professionisti, del mondo della ricerca, del mondo della
formazione (che in Italia e in particolar modo rispetto al
design coincide con la ricerca) ma anche del mondo culturale
e della stampa, del sistema fieristico e degli eventi, del sistema
dell’assist, ecc.
Se, come abbiamo visto, il Made in Italy ed il design
rappresentano le caratteristiche distintive della nostra
produzione, forse occorre, per fronteggiare le sfide portate
dalla competizione globale, investire ulteriormente su queste
specifiche caratteristiche distintive, naturalmente con
approcci diversi rispetto alle tipologie di imprese.

Per le imprese alla vetta della piramide, le imprese branded e


le PMI design oriented, bisogna stimolare ulteriormente il loro
investimento consapevole in design, favorendo la loro
relazione con il mondo ad alto valore aggiunto della
professione, così come si è storicamente configurato affinché
vengano generate innovazioni per le fasce più alte del mercato
che definiscano tendenze e abbiano la duplice funzione di
avvalorare ulteriormente la leadeship delle stesse aziende nei
propri mercati e di funzionare da stimolo per le PMI sempre
a caccia di intuizioni.

Per le PMI inconsapevoli invece il lavoro è più complesso:


innanzitutto andrebbe fatta un’azione di base di diffusione

82 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


culturale del design inteso in chiave strategica, per aggiornare
il concetto di styling; in seguito bisognerebbe avviarle al
mondo della professione, preferibilmente al mondo giovane,
per lo sviluppo di progetti che rientrino nell’ottica di
individuazione di nuove nicchie di mercato, nella
diversificazione produttiva, della valorizzazione del sistema
prodotto aziendale attraverso strategie comunicative adeguate.

Quindi il lavoro per valorizzare il design e per rilanciare il


Made in Italy dovrebbe procedere principalmente su due linee
parallele: una che mira a rafforzare la nostra presenza nei
mercati del Lusso con le imprese più importanti e l’altro
65

invece che mira a formare una cultura di base sul design nelle
PMI meno strutturate affinché riescano a fare il salto
dimensionale e si abituino a relazionarsi con il design e a fare
design.
Un ruolo fondamentale in questa fase può essere giocato dal
66
mondo della ricerca e della formazione soprattutto nella
parte bassa della piramide c’è un’estrema necessità di cultura
del progetto e di progetto da parte di aziende, dotate del
know-how produttivo, ma lontane dalle logiche attuali di
mercato e dalla sensibilità necessaria per realizzare prodotti
che incontrino i gusti di un pubblico sempre più esigente, che
67
non cerca più semplici prodotti ma “esperienze ” ed
68
“emozioni ”.

65
Celaschi F., 2004
66
Il Politecnico di Milano è da anni impegnato in questo ambito ed ha sviluppato
una serie di progetti sperimentali che saranno presentati nella Sezione dei Casi
studio, si veda inoltre il capitolo 4
67
Pine, Gilmore, 2000
68
Norman D., 2004

| 83
3
Distretti industriali, design e percorsi di sviluppo1

3.1 Introduzione

Nel precedente capitolo è stato trattato il tema del rapporto


tra design e imprese cercando di comprenderne la relazione
fruttuosa che ha portato le Piccole e Medie Imprese italiane,
proprio grazie all’innovazione di design, a diventare leader nei
principali settori maturi. Un elemento fondamentale di
questa alchimia è rappresentato dalla particolare forma socio-
organizzativa nella quale tali imprese operano: i distretti
industriali.
Perché parlare di distretti industriali? Il design non si occupa
di prodotti o sistemi prodotto e quindi non opera
essenzialmente con le imprese?

1
Di Venanzio Arquilla, con un saggio di Luciano Consolati

| 85
La disciplina del design negli ultimi anni si sta evolvendo
molto rapidamente verso nuove forme di relazione con le
imprese, ma anche e sempre più con i contesti territoriali che
si configurano come ampi bacini di potenziale intervento del
design dove le risorse economico/produttive si intrecciano a
risorse ambientali, culturali, turistiche ecc.
Il momento di difficoltà che sta attraversando il nostro Paese,
impone che anche il design si confronti con le potenzialità di
sviluppo di tutte le risorse di cui il nostro Sistema Paese
dispone perché tali sfide diventino l’occasione di una rinascita
complessiva dell’economia nazionale. La nostra economia
infatti, come abbiamo visto nel precedente capitolo, non si
basa sull’operato delle poche imprese medio-grandi, che di
fatto hanno “solo” un problema sociale di superamento delle
difficoltà nella gestione dei processi di delocalizzazione e
internazionalizzazione già consumatisi in questi anni e che
hanno impoverito il tessuto di conoscenze e relazioni che
rappresentavano la forza dei distretti e del Made in Italy, ma
una grande area di potenzialità inespressa viene proprio dalla
miriade di piccole e piccolissime imprese (molto spesso
artigiane) che restano attive nei sistemi produttivi locali ma
che di fatto sono incapaci singolarmente di reagire alle sfide
poste dalla competizione globale.
In questo capitolo, dopo una ricognizione sulle teorizzazioni
in atto sui distretti ed una visione per mappe degli stessi, verrà
sinteticamente messa in luce l’evoluzione legislativa che ha
portato al riconoscimento di tali realtà e soprattutto
l’evoluzione in termini di caratteristiche che tale processo ha
scatenato.
In chiusura del capitolo, infine, ci sarà un saggio di Luciano
Consolati che presenterà la sua visione sulle necessità reali dei
distretti con una serie di linee di indirizzo politico per uscire
dall’attuale stato di crisi.

3.2 I Distretti Industriali, un modello in evoluzione

Parlare oggi di distretti industriali è un compito non


facilissimo; la fiorente letteratura di matrice economico
manageriale andata via via aggiornandosi propone visioni
molto diverse sia come approcci che come obiettivi.

86 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Emergono fautori e detrattori dei distretti: alcuni, con un
approccio disfattista, dichiarano ormai definitivamente
esaurita la forza propulsiva di queste realtà soggiogate dalle
logiche della globalizzazione ed altri, più ottimisti, vedono,
dopo un periodo di assestamento più o meno lungo, una
nuova via di sviluppo o almeno di mantenimento della
situazione attuale per delle realtà che sicuramente non fanno
più capo ad un modello unico e che si sono evolute molto
rapidamente, soprattutto negli ultimi anni verso forme nuove
e non codificate.
Un’interessante tentativo di sintesi relativa alle principali linee
di sviluppo dell’ampio dibattito teorico è stato effettuato dalla
Sammarra in una recente pubblicazione dal titolo: Lo
2

sviluppo dei distretti industriali. Percorsi evolutivi fra


globalizzazione e localizzazione.
Già dal titolo emergono le ipotesi chiave dell’autrice, con le
quali concordiamo, che vedono i distretti non più come un
modello unico ma come un insieme di sistemi dalle forme
polimorfe e adattative alle evoluzioni del contesto competitivo
globale.

I distretti industriali e la loro forma organizzativa hanno


risentito pesantemente negli ultimi anni degli effetti portati
dalla globalizzazione con la delocalizzazione, che ha
impoverito il tessuto sociale-relazionale-produttivo locale, e la
localizzazione operata da multinazionali all’interno dei sistemi
produttivi locali che ha destabilizzato gli equilibri interni
preesistenti minando la sopravvivenza di alcune realtà.
A questo proposito appare esaustivo il commento sulla
situazione contestuale di Bersani e Letta :3

“L’accelerazione del processo di globalizzazione ha indotto le


imprese più dinamiche a spostare parti del sistema produttivo in
aree a basso costo del lavoro e con ampie prospettive di mercato.
Nello stesso tempo la concorrenza internazionale insegue le nostre
produzioni accorciando i tempi di adeguamento tecnologico e
costringendo le imprese a spostarsi su nicchie di mercato di alta

2
Sammarra, 2003
3
Bersani, Letta, 2004, VIII

| 87
qualità. In questo contesto è in atto una fase profonda di
trasformazione dello stesso modello distrettuale. Per effetto dei
processi di delocalizzazione si indeboliscono le relazioni
produttive sul territorio, si allungano le filiere di prodotto, sia a
monte verso la ricerca sia a valle verso la commercializzazione, si
stempera la vocazione manifatturiera con effetti rilavanti sulla
tenuta dell’occupazione e della coesione sociale. Si è passati da un
modello di crescita dei distretti industriali di tipo estensivo…
(espansione volumi di produzione ed export, occupazione e
domanda relativa al Made in Italy crescente), a un modello di
tipo intensivo, nel quale lo sviluppo è più selettivo, incorpora
crescenti fattori di qualificazione strategica, a volte riduce i
livelli occupazionali, spesso ridimensiona l’ampia platea di
microimprese che popolano i sistemi produttivi locali invece di
rilanciare le opportunità di fare squadra”.

Appare quindi definitivamente superato il modello classico di


distretto (modello neo-marshalliano) con il passaggio verso
nuove forme ancora in fase di teorizzazione, ma non si può
prescindere dallo stesso per comprendere le ultime evoluzioni
delle teorie.

3.2.1 Il modello neo-marshalliano


Il termine Distretto Industriale (Industrial Districts) fu
coniato da Alfred Marshall, nella seconda metà del 1800, in
riferimento alle industrie tessili di Lancashire e Sheffield.
"Quando si parla di distretto industriale si fa riferimento ad
un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese,
facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo,
localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione
ma anche concorrenza." 4

Per Distretto Industriale Marshall intendeva un agglomerato


di piccole imprese capaci di attuare una produzione che fosse
allo stesso tempo competitiva e cooperativa in modo da
contraddistinguere il luogo come una sorta di "patria"
specializzata in quel settore di produzione.
Il merito di aver rispolverato questo termine e di averlo

4
Marshall, 1919, 283

88 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


applicato ad alcune realtà produttive italiane spetta a
Giacomo Becattini.
“Definisco il distretto industriale come un’entità socio-territoriale
caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area
territorialmente circoscritta, naturalisticamente e storicamente
determinata, di una comunità di persone e di una popolazione
di imprese industriali. Nel distretto a differenza di quanto
accade in altri ambienti, la comunità e le imprese tendono, per
così dire, ad interpenetrarsi a vicenda. […] Il processo di
localizzazione sta qui per qualcosa di diverso dall’accidentale
concentrarsi in un luogo di processi produttivi attratti da fattori
localizzativi formatisi indipendentemente; qui si tratta di un
radicamento nel territorio che non può essere separato
concettualmente dal suo processo di formazione.” 5

Il distretto fa leva sulla "congruenza dei requisiti di una certa


organizzazione del processo produttivo e le caratteristiche socio-
culturali di un certo ceppo di popolazione, formatesi lentamente
nel corso del tempo." 6

In pratica esiste una sorta di simbiosi organica fra le


potenzialità organizzative di una realtà socio-culturale e le
possibilità di questa di produrre una merce o un servizio,
capaci di assorbire la totalità della produzione, impegnando
tutte, o quasi tutte, le risorse umane della zona. "Comunità ed
imprese tendono, per così dire , ad interpenetrarsi a vicenda" .
7

La nascita di un Distretto Industriale, sebbene sia un


fenomeno auto-generativo, non si verifica spontaneamente in
ogni sistema di valori inserito nel corrispondente apparato di
istituzioni locali, ma è vincolata all’idoneità di un processo
produttivo a fornire le condizioni necessarie per il formarsi di
questo particolare tipo di organizzazione.
"I processi produttivi che si possono realizzare efficacemente nel
distretto debbono presentare certe caratteristiche: come la
scomponibilità in fasi e la possibilità di trasportare nello spazio e
nel tempo i prodotti di fase" . 8

5
Becattini 2000, p.58
6
Becattini, 1989, p.401
7
Becattini 2000, p.58
8
Becattini, 1989, p.401

| 89
Questa affermazione esemplifica il concetto chiave delle
economie esterne su cui poggia il modello marshalliano.
9

Il distretto è formato da una comunità di persone a da una


popolazione di imprese che condividono alcuni valori: l’etica
del lavoro, la famiglia, la reciprocità e il cambiamento.
Il distretto, quindi, non sono solo le aziende ma è nella realtà
produttiva che si concretizzano le famiglie e i valori storico-
culturali condivisi (concetto dell’Atmosfera industriale).
“In parallelo a questo sistema di valori si deve essere formato un
sistema di istituzioni e di regole che quei valori diffondano nel
distretto ... le istituzioni includono il mercato, l’impresa, la
famiglia, la chiesa e la scuola; ma anche l’amministrazione
pubblica, le articolazioni locali dei partiti politici, dei sindacati e
di molte altre entità, pubbliche e private, economiche e politiche,
assistenziali e culturali, religiose ed artistiche” . 10

Il sistema locale è auto-regolante, si apre a monte verso i


mercati delle materie prime e a valle verso i mercati finali,
garantendo all’interno tutte le fasi necessarie alla realizzazione
dei prodotti.
La produzione distrettuale è in genere monosettoriale, si parla
di filiera o settore verticalmente integrato.

La popolazione di imprese non si costruisce accidentalmente,


ciascuna è specializzata in una fase, o comunque in poche fasi,
del processo produttivo distrettuale. Il Distretto realizza, a
livello locale, un processo di divisione del lavoro tipico della
grande impresa. Ogni singola unità produttiva, operante in
un distretto, è allo stesso tempo un’entità in possesso della
propria storia autonoma tendenzialmente sganciata dalla sua
origine territoriale e un ingranaggio specifico del sistema
distretto.

9
Per Marshall le economie esterne sono le “economie che risultano dallo sviluppo
di industrie connesse che si aiutano a vicenda; e che talvolta sono concentrate nella
stessa località” Marshall, 1979
10
Becattini 2000, p. 60

90 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Produttori di beni finali

Sub-fornitori I° livello

Sub-fornitori II° livello

Centri servizio Enti/Associazioni


Agenzie di sviluppo territoriale

All’interno del distretto i rapporti sono regolati


dall’informalità, le leggi non sono scritte ci si muove e si
lavora a contatto diretto con gli altri, le relazioni
presuppongono la condivisione dei valori, la conoscenza
reciproca del contesto e delle specificità reciproche dei
collaboratori e tendono ad essere, proprio perché basate sulla
fiducia , di lunga durata.
11

Fondamentale per un Distretto Industriale è la presenza di


"un legame fra il sistema locale di piccoli produttori e i mercati
esterni di sbocco dei prodotti" per collocare il “surplus” di 12

prodotto dalla realtà distrettuale e che non si riesce a smaltire


all’interno.
Per Becattini è l’imprenditore puro, o capocommessa, che

11
Si veda in proposito il paragrafo 3.5
12
“L’autocontenimento e la progressività del processo di divisione del lavoro,
insieme alla specializzazione produttiva che vi si realizzano, producono un crescente
surplus di prodotti”. – Becattini 2000, p. 59

| 91
“osserva attentamente le vicende del mercato mondiale dei
prodotti del distretto e dall’altro, approfondisce in continuazione
la sua conoscenza del distretto come entità produttiva e socio-
culturale” . 13

In pratica l’imprenditore puro, che a volte non possiede


impianti o fabbriche, è il collegamento tra il distretto ed il
mondo esterno, conosce alla perfezione i produttori di fase
del distretto e si preoccupa di individuare, grazie
all’osservazione del mercato, un prodotto realizzabile con le
competenze possedute nel distretto. Egli traduce tutte le
potenzialità racchiuse nel distretto in prodotti vendibili sul
mercato.
Questo particolare ruolo mette il Distretto Industriale in
condizioni di muoversi in ambiti produttivi flessibili, in
quanto dipende soprattutto dall’azione dell’intermediario
definire il bacino di utenza al quale indirizzare i prodotti, che
restano comunque all’interno dello stesso settore o del range
di lavorazioni presenti nella comunità.

Le imprese distrettuali sono "complementari le une alle altre,


raggruppate in un’ area ristretta" . Le relazioni fra queste
14

vengono ad assumere un carattere ambivalente di


competizione e cooperazione: competizione tra imprese della
stessa fase di processo e cooperazione lungo la filiera
produttiva. La miscela di competizione e cooperazione si
realizza grazie all’equilibrio che salda gli interessi e i
comportamenti di un insieme di forze accomunate
dall’analoga cultura e dal senso di appartenenza alla comunità
distrettuale . 15

Il Distretto Industriale può quindi essere considerato come


"un complesso produttivo il cui coordinamento fra le diverse fasi
e il controllo del loro regolare funzionamento, non sono effettuati
secondo regole prefissate e/o con meccanismi gerarchici (come
accade nella grande impresa privata), ma sono invece affidati ad

13
Becattini 2000, p. 65
14
Brusco 1989, p. 309-310
15
Gli aspetti di cooperazione e competizione ed i loro meccanismi regolatori come
la reputazione e le sanzioni sociali sono stati trattati da Dei Ottati 1987 e Brusco
1989

92 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


una combinazione del giuoco automatico del mercato con un
sistema di sanzioni sociali irrogate dalla comunità" . 16

“La nascita e lo sviluppo di un distretto industriale è, quindi,


non semplicemente il risultato “locale”, già tutt’altro che facile a
realizzarsi, dell’incontro di certi tratti socio-culturali di una
comunità (sistema di valori, orientamenti, istituzioni), di
caratteristiche storico - naturalistiche di un’area geografica
(orografia, reti e nodi di comunicazione, forme di insediamento)
e di caratteristiche tecniche del processo produttivo...” . 17

Il distretto industriale rappresenta un nuovo modello di


industrializzazione post-fordista dove, ad un processo
produttivo che si realizza soprattutto attraverso l’integrazione
e il coordinamento aziendale interno, se ne sostituisce uno,
che si realizza soprattutto attraverso l’integrazione ed il
coordinamento esterno di singole unità produttive, di piccola
e media dimensione, tramite un’insieme di istituzioni locali al
cui centro sta un sistema di mercati di fase.
Piore e Sabel parlano in questo caso di Specializzazione
Flessibile che pone il modello dei distretti in antitesi con il
18

modello classico fordista.


Becattini con i suoi studi sui distretti ha spostato l’attenzione
dall’impresa, come unità a se stante, al luogo fisico del quale
fa parte, all’ambiente socio-territoriale nel quale si svolge il
19

processo produttivo, che diventa così la vera unità di


produzione.
“...ambiente sociale in cui le relazioni fra gli uomini, dentro e
fuori dai luoghi di produzione, nel momento dell’accumulazione
come in quello della socializzazione, e le propensioni degli
uomini verso il lavoro, il risparmio, il giuoco, il rischio ecc.
presentano un loro peculiare timbro e carattere...” . 20

Nei distretti industriali di successo (e nelle piccole imprese


distrettuali) il miglioramento dell'efficienza e della

16
Becattini 1989, p. 403
17
Becattini 2000, p. 68
18
Piore e Sabel, 1984
19 a
nalogamente al concetto di “mileu socio produttivo”
20
Becattini 1987, p. 8

| 93
produttività comporta un aumento della competitività è una
crescita della produzione, la crescita della produzione implica,
a sua volta, l'aumento dell'occupazione. Gli investimenti,
quindi, non sono risparmiatori di lavoro ma piuttosto,
attraverso l'innesco di interazioni dinamiche tra le imprese,
aprono strade aggiuntive per l'inserimento di forza lavoro
sempre più qualificata ed aumentano i vantaggi competitivi
dinamici del sistema locale.
Le società locali dei distretti industriali sono caratterizzate da
un elevato grado di integrazione sociale e da elevate
opportunità di mobilità sociale e quindi garantiscono, senza
necessità di grandi interventi sociali, il raggiungimento della
coesione sociale registrabile dai bassi tassi di disoccupazione. Il
territorio e la comunità locale rappresentano punti particolari
come unità di intervento strategica della politica industriale e
della politica di sviluppo.
Le politiche locali rappresentano dunque, in questa
prospettiva, l'opportunità di far emergere la cultura del
progetto e la responsabilizzazione degli attori locali dello
sviluppo per la mobilitazione di risorse soprattutto locali ma
anche esterne, per il rafforzamento dei vantaggi competitivi
locali senza tralasciare il contesto socio-culturale, che funge da
legante l’intera comunità.

In sintesi i distretti industriali sono caratterizzati da:


- specializzazione settoriale legata ad una tipologia di
materiale e a particolari lavorazioni;
- tessuto industriale formato da Piccole e Medie
Imprese;
- imprenditorialità diffusa;
- filiera verticalmente integrata (elevata specializzazione
produttori di fase, relazioni fiduciarie, spirito di
emulazione e canali confidenziali per la circolazione
delle informazioni);
- presenza di servizi pubblici e privati;
- condivisione valori socio-culturali e presenza di
istituzioni per la diffusione dei valori;
- compenetrazione tra le attività economiche e la vita
sociale e culturale.

94 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


3.2.2 Il modello evolutivo
Il contesto competitivo si sta evolvendo e la globalizzazione
ha fatto sì che si modificassero alcune caratteristiche del
modello distrettuale descritto.
Si assiste ad una progressiva apertura verso l’esterno del
sistema distretto con un allungamento della filiera che porta
alla creazione di reti transnazionali , le quali andranno a
21

sostituire o a completare le reti locali.


Questo da luogo ad un’estensione ed intensificazione
dell’outsourcing esterno che, comunque, potrebbe contribuire a
valorizzare il contesto locale attraverso un’ulteriore
specializzazione e connessione.
I distretti in sintesi subiscono da un lato l’invasione da parte
delle grandi aziende esterne, con acquisizioni e partnership
allargate e dall’altro una progressiva fuga o meglio
globalizzazione delle imprese leader del distretto.

21
Vaccà 1987

| 95
“La riproduzione evolutiva dei distretti passa attraverso un
nuovo rapporto tra dimensione locale e dimensione globale.
L’internazionalizzazione delle imprese-leader e la presenza di
integratori versatili tra i circuiti globali e locali delle conoscenze
22

possono guidare la transizione dei distretti verso la


configurazione della rete contestuale aperta... che partecipa ai
circuiti (operativi e cognitivi) dell’economia globale” . 23

Il distretto, o la sua area di azione, tendono ad allargarsi,


potrebbe essere la fine del modello distrettuale oppure questa
tendenza potrebbe segnare un ulteriore sviluppo (distretti
virtuali); su una cosa tutti gli studiosi sono d’accordo: bisogna
precedere i tempi e “organizzare la flessibilità”, per dirla con le
parole di Rullani.
“C’è spazio per una politica industriale del Made in Italy”, e
quindi dei distretti industriali, “che non sia soltanto di sostegno
alle esportazioni, ma anche di costruzione di relazioni, di
sviluppo delle conoscenze e di trasformazione organizzativa” . 24

L’approccio teorico degli ultimi anni, infatti, passa da un


prospettiva distretto-centrica, dove tutte le riflessioni erano
relative al distretto nel suo complesso o all’ambiente socio-
territoriale becattiniano (dimensione meso), ad una nuova
considerazione per le imprese che compongono questa rete
(dimensione micro).
Secondo Rullani : “l’accumulazione di conoscenze e di
25

suggestioni sul livello distretto ha finito per spostare il baricentro


dal micro al meso: protagonista della generazione del valore e del
vantaggio competitivo non è più apparsa la singola impresa, ma
il distretto nel suo insieme […] L’affermazione del distretto come
meso-unità di analisi ha comportato la contemporanea
scomparsa delle sue imprese, in quanto entità individuali
autonome.” I distretti visti come sistemi evolutivi diventano
quindi “reti organizzative e sistemi cognitivi in cui assumono
rilevanza il ruolo propulsivo delle imprese che animano il
distretto, i meccanismi di produzione della conoscenza e del

22
Becattini e Rullani, 1993
23
Grandinetti, 1998
24
Rullani in Quadrio Curzio e Fortis (a cura di), 2000, p.176
25
Rullani, 1997, p. 57

96 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


capitale sociale (cognitivo e relazionale) e le connessioni con i
circuiti transnazionali dell’economica” . 26

Carattere distintivo delle produzioni distrettuali consisterebbe


proprio nell’integrazione delle due visioni quella micro
(relativa alla singola impresa) e quella meso (relativa al sistema
produttivo locale con le sue caratteristiche storiche
economiche e sociali) . La prospettiva evolutiva comunque ha
27

avuto una fiorente evoluzione negli anni ottanta e novanta; la


Sammarra presenta in maniera sintetica le principali tappe del
dibattito in atto passando dalla prospettiva ecologica fino ad 28

26
Sammarra, 2003, p.14
27
Varaldo e Ferrucci, 1997
28
“La teoria ecologica delle popolazioni organizzative si fonda sull’idea che il
processo di cambiamento organizzativo non avviene all’interno delle singole
organizzazioni, che sono viste come sistemi caratterizzati da forze inerziali
difficilmente superabili, ma come alternarsi/sostituzione di forme organizzative di
fronte al cambiamento delle condizioni ambientali e dei rapporti di concorrenza…
Staber (1998) spiega l’evoluzione interna dei distretti in relazione ai processi di

| 97
arrivare agli attuali dibattiti sull’approccio cognitivo e
l’approccio relazionale spesso compresenti e complementari.
La stessa autrice poi, riportando la teoria alla pratica,
attraverso una lettura di vari tentativi di sistematizzazione
empirica delle tipologie di distretti arriva a definire una
propria catalogazione che combinata alla visione del ciclo di
vita distrettuale individua in un quadro sistemico le principali
traiettorie di sviluppo dei vari modelli distrettuali sia in chiave
path-dependent che path-breaking.

3.2.3 L’approccio cognitivo


E’ ormai opinione comune l’ingresso dell’attuale economia
nella Knowledge Era . La conoscenza è diventata la vera risorsa
29

a cui imprese e sistemi locali si appoggiano per produrre


valore economico e generare vantaggi competitivi nel contesto
competitivo globale . 30

“Il capitalismo industriale che ha avuto il suo archetipo fondante


nel capitale-macchine e nel lavoro di fabbrica viene oggi riletto,
sempre più concordamente come capitalismo cognitivo
(Cillario, 1996). Un capitalismo costruito cioè sul capitale-
conoscenza e sul lavoro della mente. Il capitalismo cognitivo…
genera valore… trasformando ed utilizzando pensieri, emozioni,
identità” . 31

All’interno dei distretti industriale e del modello italiano si


registra, come abbiamo visto nel capitolo precedente 32

un’anomalia che associa evidentemente all’Italia parametri


molto bassi rispetto alla capacità innovativa palese e
strutturata, dato “il progressivo ritirasi della grande impresa e
del sistema pubblico” che porta a carenze nella ricerca di base,
nella ricerca e sviluppo, nei brevetti e nell’istruzione e
formazione.

natalità e mortalità delle imprese” Sammarra 2003, p.27


29
Savage, 1996
30
L’OCSE ha fatto dell’economia basata sulla conoscenza il soggetto portante
dell’economia mondiale e l’Unione Europea (Trattato di Lisbona) ha individuato
proprio nella conoscenza il carattere peculiare e distintivo dell’economia Europea
rispetto alla concorrenza americana e asiatica.
31
Rullani 2004, p.41
32
Si faccia riferimento al paragrafo 2.2

98 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


La caratteristica distintiva del nostro modello innovativo,
invece, basato sulla capacità delle piccole e medie imprese dei
distretti industriali di lavorare “a rete” (reti della fornitura, reti
territoriali, reti personali spesso collegate tra loro), di gestire i
rapporti di interdipendenza con gli altri, per attività di
straordinario successo nella produzione estetica (moda, design,
gusto) non viene rilevata pur concretizzandosi in un’evidente e
riconosciuta capacità di sperimentazione di nuovi prodotti e
processi.
“Bisogna anche chiedersi, osservando le classifiche se … non sia il
metro di misura ad esagerare le distanze… forse sarebbe il caso
di adattare gli indicatori alle diversità nazionali” .
33

L’esperienza italiana, infatti, “suggerisce di costruire l’economia


della conoscenza in chiave di filiera cognitiva piuttosto che di
particolari settori o di singole imprese che hanno la caratteristica
di essere Knowledge intensive. La conoscenza non vive infatti
all’interno dei circuiti chiusi (nell’impresa o nel settore), ma nelle
reti sociali che la assorbono e la rilasciano continuamente
alimentando i subsistemi cognitivi di impresa e settore. ”34

Tale processo è stato negli anni passati essenzialmente locale,


ed ha visto la presenza di molti attori legati da una serie di
valori che si rifanno alla teoria distrettuale classica
(compresenza attiva in un’area territorialmente circoscritta,
condivisione tacita della conoscenza, fiducia…), questo
circuito oggi si allarga notevolmente come si allarga la
replicabilità e la mobilità di diffusione della conoscenza stessa
(indipendentemente dalla spazio e dal tempo _ ICT); deve,
perciò, evolversi anche il modo in cui gli attori locali si
relazionano con i circuiti globali, prendendone i vantaggi e
cercando attraverso forme di codifica evoluta delle conoscenze
di enfatizzate i propri caratteri distintivi.
In Rullani si legge:
“... Le conoscenze contestuali (locali, uniche) vengono messe in
valore trasformandole, con appropriati processi cognitivi, in
conoscenze codificate (trasferibili e riproducibili) in modo da

33
Rullani 2004, p. 91
34
ibidem, p. 93

| 99
conseguire il massimo delle economie di replicazione possibile.
Ma per produrre valore non basta trasferire e replicare le
conoscenze codificate in una pluralità più grande possibile di
contesti diversi: occorre anche, per ciascuno di essi, ri-
contestualizzare il sapere codificato, integrandolo con le
conoscenze strategiche che permettono all’impresa di presidiare in
modo originale, competitivo, i contesti in cui è insediata” . 35

La creazione di conoscenza rappresenta, quindi, un passo


fondamentale per le imprese dei distretti dove il processo di
socializzazione, esternalizzazione, combinazione e
internalizzazione della conoscenza descritti da Nonaka e
Takeuchi deve appunto servire per trasformare la conoscenza
36

locale tacita in esplicita, attraverso processi collettivi e


condivisi guidati da integratori/attivatori esterni all’azienda,
37

dotati della capacità critica di rielaborazione e soprattutto di


codifica dei segnali esterni in elementi comprensibili alla
realtà imprenditoriale (prodotti e processi) e dei segnali taciti
locali (abilità e know-how su prodotti e processi) in nuova
conoscenza per i contesti globali.

Modalità di conversione di conoscenza

Fonte: Nonaka, Takeuchi, 1997, p.102

35
Rullani 1998, p.141
36
Nonaka e Takeuchi 1997
37
Maffei, Simonelli, 2000, Zurlo ed alii, 2000 parlano in questo caso del ruolo che
il designer può avere, sia per le imprese che per l’intera realtà distrettuale, con
questa funzione di catalizzatore

100 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Modello della Spirale di Conoscenza

Fonte: Nonaka, Takeuchi, 1997, p.114

Per Nonaka e Takeuchi il processo di conoscenza procede


attraverso un processo ricorsivo a spirale che riguarda quattro
processi di trasformazione basati su quattro tipi differenti di
interazione sociale:
- socializzazione: “processo di condivisione di esperienze e di
creazione di forme di conoscenza tacita quali modelli mentali e
abilità tecniche condivise. Un individuo può acquisire
conoscenza tacita dalla relazione diretta con altri senza
l’intervento del linguaggio. Gli apprendisti lavorano con i
maestri ed apprendono le capacità artigianali... attraverso
l’osservazione, l’imitazione e la pratica...”;
- esternalizzazione: “espressione della conoscenza tacita
attraverso concetti espliciti... la conoscenza tacita diventa
esplicita assumendo forma di metafora, analogia, concetto, ipotesi
o modello... Lo scrivere è un atto di conversione tacita in
linguaggio articolato...”;
- combinazione: consiste nella sistemazione dei concetti in un
sistema di conoscenze, “la riconfigurazione delle informazioni
esistenti attraverso lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione e
la categorizzazione di conoscenze esplicite (resa possibile ad
esempio dai database elettronici...”;
- internalizzazione: “consiste nel tradurre concretamente
conoscenza esplicita in conoscenza tacita” , gli attori che
38

38
Questa e le precedenti citazioni fanno riferimento, dalla prima, rispettivamente a
Nonaka e Takeuchi 1997, p. 103, p.105, p. 110, p. 112.

| 101
operano con la conoscenza creata trasformano nuovamente la
conoscenza esplicita con un processo di apprendimento ed
azione che chiude il ciclo e contemporaneamente ne riapre un
altro.
Il designer attraverso i propri strumenti di azione (tool) e
l’attività di progetto contribuisce in maniera sostanziale alla
codifica delle conoscenze tacite locali e alla loro esplicitazione
attraverso la creazione di prodotti, comunicazione e servizi
che vengono esportati globalmente. In questa azione
maieutica di codifica dei segnali locali il ruolo del designer è
duplice in quanto il progetto è influenzato da un lato dalla
conoscenza tacita locale tecnica sul prodotto e dall’altro dalla
conoscenza globale, in quanto il designer è un operatore della
conoscenza che vive nel contesto globale attento
all’evoluzione di trend, tendenze e stili di vita con un occhio
sempre attento sull’utilizzatore finale, e quindi attraverso la
suo opera riesce ad attivare un percorso di esplicitazione della
conoscenza tacita locale combinata a portati della conoscenza
globale e viceversa.

102 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


L’evoluzione del modello dei distretti industriali
nell’approccio cognitivo è “spiegata in relazione ai processi di
apprendimento” sia interni alle singole imprese che esterni a
39

livello collettivo.
Come si può vedere dalla tabella seguente, esistono e si
intrecciano in sistemi complessi come i distretti, 3 livelli di
apprendimento: apprendimenti interno; apprendimento
collettivo; apprendimento cooperativo.

Processi di apprendimento nei distretti industriali

Tipo di Fattori di supporto Meccanismi Contesto


apprendimento
Interno - Bassa divisione del - Learning by Impresa
lavoro intra-aziendale specializing
- Specializzazione di - Learning by doing
fase
Collettivo - Alta mobilità della - Learning by Territorio
forza lavoro imitating

Evoluzione modello distrettuale


all’interno del - Learning by
distretto localizing
- Bassa mobilità della
forza lavoro
all’esterno del
distretto
- Imitazione di
pratiche innovative
- Spin-off locale
Cooperativo - Elevata divisione del - Learning by Network Inter-
lavoro inter-impresa cooperating Impresa
- Cooperazione
all’innovazione con
fornitori e clienti
locali e con attori
esterni
- Relazioni di
collaborazione stabili
e durature di tipo
formale o informale

Fonte: adattamento da Sammarra, 2003, Camagni, Capello 2002

39
Sammarra 2003, p.28

| 103
L’apprendimento interno è relativo alla singola realtà aziendale
e deriva dalle attività del “fare”, le forme tipiche attraverso cui
questo avviene sono: il learning by specializing, dovuto
all’elevata divisione del lavoro tra imprese e all’accentuata
specializzazione interna (concentrazione delle imprese su fasi
specifiche di lavorazione) che portano ad accumulare
un’economia di competenze ed esperienze notevoli in ambito
tecnico produttivo, e learning by doing, le persone coinvolte
nelle singole fasi di lavorazione, attraverso dinamiche
esperienziali, imparano facendo; il capitale di conoscenze
aziendale risiede quindi nelle maestranze presenti e viene
trasferito solo con il contatto diretto e la sperimentazione
(conoscenze tacite).
L’apprendimento collettivo generato dalla condivisione di più
imprese di quella che viene definita atmosfera industriale
rafforza i meccanismi di apprendimento interno e fa
riferimento al concetto di milieu innovateur . 40

All’interno del distretto esiste una logica, non sempre


consapevole, che porta le imprese a collaborare e competere
dove la principale base per l’apprendimento reciproco è data
dall’alta mobilità locale delle risorse umane. Le conoscenze
tacite accumulate dai tecnici e dai lavoratori attraverso i
meccanismi di learning by doing vengono trasferite dagli stessi
attraverso il turnover interno al distretto oppure attraverso i
fenomeni di imitazione contestuale. Il fatto stesso che
l’impresa sia localizzata in uno di questi centri di
specializzazione costituisce, quindi, una chiave privilegiata per
l’accesso allo specifico di competenze locali altrimenti non
raggiungibili, tali meccanismi vengono definiti learning by
localizing e learning by imitating.
“La mobilità interaziendale delle risorse umane, l’imitazione e la
densità delle relazioni personali che caratterizzano il sistema
distrettuale sono tutti fattori in grado di veicolare si il

40
Sammarra riporta a proposito del Milieu Innovateur la definizione di Camagni
nella quali si dice che “il milieu innovateur è definito come un insieme di relazioni che
avvengono su un territorio limitato che coinvolgono in modo coerente il sistema
produttivo, gli attori economici e sociali locali, una cultura specifica, un sistema di
convenzioni e rappresentazioni”, Sammarra 2003, p.29

104 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


trasferimento puro (replicativo) delle conoscenze tacite sia quello
non replicativo” 41

I distretti nei quali il trasferimento è puramente replicativo


sono i sistemi più statici, quelli nei quali la conoscenza messa
in circolo genera fenomeni ricombinatori delle singole
conoscenze tacite che producono innovazioni di prodotto o di
processo sono maggiormente dinamici.
In questo senso però i distretti si configurano essenzialmente
come sistemi chiusi a livello cognitivo nel senso che le
conoscenze generate sono specialistiche ed hanno una
circolazione locale, Camagni e Capello affermano che questi
42

sistemi potrebbero “morire per omologazione entropica” se non


riescono a trovare collegamenti con l’esterno e connessioni a
fonti di conoscenza codificata.
L’apertura dei distretti e le recenti evoluzioni a network inter
organizzativi delle imprese distrettuali stanno, infatti,
favorendo proprio l’apertura dei sistemi a nuovi modelli di
apprendimento collettivo (learning by cooperating).
La necessità e l’opportunità da parte delle imprese dotate della
propria conoscenza tacita di superare i confini distrettuali per
attuare politiche commerciali e di internazionalizzazione,
costringono le imprese stesse ad uno sforzo di
esternalizzazione delle proprie competenze per entrare in
contatto con i nuovi partner, che a loro volta influenzano lo
sviluppo delle imprese stesse attraverso azioni di combinazione
delle conoscenze locali con conoscenze globali e la successiva
intenalizzazione, attraverso la quale ciascuno dei partner
assorbe le conoscenze acquisite nelle scambio internazionale.
“L’affermazione di quello che abbiamo definito approccio
cognitivo allo studio dei distretti industriali riflette un diverso
modo di pensare alle modalità con cui l’innovazione ed il
progresso tecnologico si sviluppano… Oggi si riconosce da più
parti che c’è una relazione stretta fra tecnologia e sviluppo
regionale e locale (Cantwell, Braczyk, Howells). La nozione di
sistema tecnologico regionale (Carlsson) sottolinea il fatto che la
produzione di conoscenza ed il processo di innovazione non

41
Sammarra 2003, p.32
42
Camagni, Capello, 2002

| 105
origina in uno spazio astratto ma si genera localmente in un
sistema integrato che giunge a coinvolgere anche aspetti sociali ed
istituzionali… la dinamica innovativa è raramente racchiusa
all’interno dei confini organizzativi o dei laboratori di ricerca di
singole imprese. In realtà, una parte rilevante delle innovazioni
adottate dall’impresa ha origine al suo esterno e coinvolge i
clienti o i fornitori dell’impresa (Pavitt). Inoltre, lo sviluppo di
relazioni dense con soggetti presenti sul territorio quali altre
imprese, università, istituzioni di ricerca è uno dei fattori chiave
per gestire l’incertezza legata ai processi innovativi e facilitare la
produzione di conoscenza…” . 43

_______________________________________________
Meccanismi di apprendimento nei distretti Industriali
Learning by
Ambiente cooperating
esterno
I I
Learning by
external
adapting
I Network
Inter Impresa
I
I
I
Collective
learning Learning by doing,
Distretto by specilizing

Fonte Sammarra 2003

In sintesi l’approccio cognitivo, riconosciuta l’importanza


fondamentale della conoscenza nel nuovo modello di
economia, definisce che all’interno dei distretti industriali
coesistono e si compenetrano diversi meccanismi di
apprendimento a diverse scale (impresa/distretto/reti
allargate) e che la combinazione di questi porta le imprese

43
Sammarra, 2003 p.36

106 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


locali ad essere competitive sui mercati globali.
Il salto di scala e l’apertura del distretto verso l’esterno è
ormai inevitabile, spetta alle imprese trovare il modo ideale
per avviare questo processo che non necessariamente deve
essere radicale, di fuga dal locale, ma che anzi deve
concentrarsi nel recuperare il vantaggio dato dalla presenza
locale e dalla conoscenza collettiva sedimentata per riproporla
in circuiti sempre più ampi.
“Nell’era della conoscenza, è diventato evidente il fatto che
crescita economica e posizionamento competitivo dipendono, in
realtà, da altro: per esempio dalla quantità e qualità dei processi
di apprendimento realizzati; dalla possibilità di accedere alle
conoscenze distribuite in reti ampie e affidabili di specialisti
esterni e partners strategici; e, infine, dalla capacità di
propagare, in bacini d’uso sempre più ampi, le conoscenze
possedute, estraendone, alla fine, il massimo valore possibile.” 44

In questo senso, è interessante citare uno studio di Suzanne


Berger e Richard Locke nel quale gli autori si chiedono se
45

nell’era della globalizzazione la produzione integrata, ma


ancora radicata in istituzioni sociopolitiche di attività
economiche basate sul concetto di concentrazione locale, sia
ancora un vantaggio competitivo. Sebbene le reti locali su cui
si basano i distretti italiani siano molto esposte alle pressioni
della glabalizzazione, i distretti stessi resistono e un’alta
percentuale della produzione continua ad essere effettuata in
loco, diversamente da quanto succede in Paesi concorrenti.
Nel futuro dei distretti Berger e Locke non vedono un
improbabile balzo dagli odierni settori industriali alle
frontiere dell’alta tecnologia; ritengono piuttosto che abbiano
la capacità di assorbire le nuove tecnologie e di incorporarle
nei settori tradizionali: l’integrazione di ottimi standard di
produzione e di design con le nuove tecnologie consente di
creare prodotti di grande valore. Per realizzali, le aziende
devono restare in qualche modo nei proprio distretti, avere

44
Rullani, 2004 p. 43
45
Industrial Performance Center, Massachusetts Institute of Technology,
Cambridge, MA 02139
http://web.mit.edu/polisci/research/locke/il_caso_italiano.pdf

| 107
accesso e conservare quel tipo di informazioni che si trasmette
solo attraverso le relazioni sociali: integrare queste conoscenze
in nuovi prodotti ad alto valore aggiunto, e trovare una
manodopera altamente specializzata. Nel loro secondo viaggio
in Italia gli autori hanno riscontrato modi diversi di prendere
le misure alla globalizzazione e soprattutto che nuovamente i
distretti stanno mettendo a punto le loro originale
interpretazione del fenomeno.

A proposito della relazione specifica tra design, distretti e


processi di appendimento, in particolare dei distretti a forte
vocazione di design Maffei in un recente articolo propone
46

una visione che mette il relazione il territorio


all’apprendimento collettivo situato.
“Nel caso dei distretti italiani a forte componente di design – il
contesto dell’apprendimento coincide quasi sempre sia con un
luogo fisico definito che
con modalità cognitive precise. Questi due aspetti trovano un
punto di contatto nella definizione che Wenger fornisce di
comunità di pratica [Wenger, 1998], ovvero una comunità
specializzata di attori che si relazionano tra loro sulla base di
una azione comune, all’interno di un quadro di impegno
reciproco facilitato da un repertorio cognitivo e strumentale
comune. L’intersezione tra luogo e modalità cognitiva crea infatti
degli spazi dinamici dell’apprendimento, dei forum di
discussione, facilitazione, creazione: le arene [Wigren, 1999].
Nei distretti industriali, all’interno di questi spazi dinamici , il 47

processo di interazione si trasforma in un processo di


negoziazione che vede coinvolte differenti comunità di pratiche
ovvero imprenditori, professionisti, amministratori, tecnici.
Ciò origina le peculiari costellazione di pratiche [Wenger, 1998;
Wenger, McDermott and Snyder, 2002] che agiscono all’interno
del distretto e che originano una configurazione tipica di azioni,
risorse, e competenze.
Gli attori sociali che innescano o compiono azioni di progetto
(nelle sue forme tacite o esplicite) sono cioè anche quelli che in un

46
Maffei, 2003
47
Che quasi sempre corrispondono ai luoghi storici della comunità, ovvero il caffè,
il circolo sportivo, la banca, la piazza, il club…

108 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


modo o nell’altro sono i protagonisti della negoziazione
all’interno dei distretti.
Questi agenti sono i protagonisti della creazione di artefatti
negoziali attorno a cui si organizza la cultura, la competenza e
la potenzialità produttiva del distretto [Latour, 1987; 1996 e
1998].
In questo senso il modello innovativo esplicitato dalla ricerca sul
Sistema Design Italia supera il semplice schema della creazione
di conoscenza attraverso il learning by doing: il processo
innovativo nei sistemi d’impresa design-oriented è perciò
strettamente legato alla capacità di collegarsi ai processi
d’apprendimento e di partecipazione che avvengono sul
territorio. Questa connessione con il proprio intorno sociale,
economico e culturale è il punto essenziale da cui scaturisce una
strategia competitiva di produzione di conoscenza e artefatti
(sistemi-prodotto) [Lave e Wenger, 1991; Wenger, 1998;
Micelli, 1999]. Ciò riprende una delle conclusioni della ricerca
SDI: dietro alla relazione tra attività di design e distretti
industriali sta una forma originale d’innovazione in cui i
processi di creazione del valore e configurazione dei prodotti non
seguono né una logica guidata dalla pura opportunità della
traiettoria tecnologica né si plasmano sui presunti bisogni del
mercato ma sono invece il risultato di una complessa danza
interattiva di comunità di pratiche specifiche di produttori-
utenti.”

I concetti di comunità di pratiche, negoziazione e territorio


lanciano alcuni temi che saranno esplicitati nel prossimo
capitolo, appare importante rimarcare invece la conclusione
del discorso dove si parla di processi innovativi nè
essenzialmente tecnologici né tantomeno legati
esclusivamente al soddisfacimento di bisogni del mercato ma
legati ad una “complessa danza interattiva di comunità di
pratiche specifiche di produttori-utenti”.

3.2.4 L’approccio relazionale


In contemporanea all’approccio cognitivo, la “scuola
bolognese” con Lipparini e Lorenzoni, sta sviluppando
l’approccio relazionale, che come detto non si scontra con
quello cognitivo anzi presenta molti punti di contatto.

| 109
Anche in questo caso si parla di impresa e gruppi di imprese e
non di distretto in generale come attore in grado di sviluppare
l’innovazione, gli autori si sono concentrati in particolare
sulla descrizione dei modi in cui alcune imprese leader
riescano attraverso network relazionali sia interni che esterni
al distretto a generare innovazione. “La capacità innovativa
dell’impresa non è considerata una semplice funzione della
variabile dimensionale ma, piuttosto, come una conseguenza
della capacità relazionale e di coordinamento delle imprese, siano
esse grandi o piccole”. 48

In altre parole, nel caso italiano e dei distretti industriali, la


reale capacità innovativa delle imprese consiste, oggi, nella
costruzione di reti a monte, a valle ed anche nella produzione
(delocalizzazione).

Lipparini individua 3 tipologie principali di architetture


relazionali:
- imprese di piccole e medie dimensioni specializzate in
singole fasi di produzione, si potrebbe definire questa
architettura come relazionale-produttiva, non
esistono infatti tra queste imprese rapporti stabili e
finalizzati alla gestione del processo innovativo
quanto piuttosto accordi commerciali relativi al
soddisfacimento di un bisogno produttivo specifico
(es. impannatori di Prato);
- impresa grande che crea network inter organizzativo
stabile, in questo caso si esplicita una relazione
verticale orientata, dall’impresa leader, nella quale
però ogni attore (fornitore strategico) è partecipe allo
sviluppo dei processi innovativi attraverso lo sviluppo
o il co-sviluppo di parti;
- network inter organizzativo con minore asimmetria tra
impresa leader e imprese nodali, ciascuna impresa in
questo caso mantiene la propria autonomia strategica
e gestionale.

Il vantaggio sta nella creazione di relazioni il più possibile

48
Sammarra 2003, p.39

110 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


stabili e fiduciarie degli ultimi due tipi, la maggioranza dei
distretti industriali attuali appartiene infatti a queste due
categorie.
Sempre sotto questo approccio possono ricadere anche le
considerazioni di altri autori che parlano di Hyper Network e 49

Rete Neurale Multilivello . 50

Nell’hyper network sono messi in relazione i network


organizzativi di tipo verticale (impresa e singole reti di
subfornitura, commerciali e di clienti) e quelli orizzontali
(consorzi, associazioni di imprese).
La rete neurale multilivello viene definita come “rete
relazionale a più strati autonomi di tipo informativamente e
conoscitivamente incompleto, ma ordinati da forti elementi di
auto-organizzazione ed auto-coordinamento dal basso” 51

Si evidenziano in questi ulteriori approcci l’importanza delle


reti intermedie come coautori delle scelte strategiche, la
presenza di istituzioni intermedie orizzontali (meta
organizzazioni) e la natura auto-organizzativa del sistema.
La Sammarra parla di “sistema adattativo complesso” in 52

quanto ordinato da processi auto-organizzatori che manifesta


modelli di crescita e dinamiche non lineari che riportano
all’approccio cognitivo. I due approcci sono quindi
compresenti: le reti ed i network complessi che siano basano
la loro forza su processi condivisi taciti o espliciti di
generazione di conoscenza anche ad opera di attori
apparentemente esterni al network come gli attori orizzontali.

3.2.5 Dalla teoria alla pratica: modelli di distretto e ipotesi del ciclo
di vita
Dopo la ricognizione teorica è opportuno ricondurre la
riflessioni sull’osservazione della situazione reale dei distretti
industriali, dei fenomeni evolutivi, o involutivi, che ne
caratterizzano le sorti e dei modelli in atto dando per assodato
che non si può più, o forse non si è mai potuto, parlare di
modelli univoci di descrizione dei distretti se non attraverso

49
Biggiero 1999
50
Albertini, Pilotti, 1996
51
Pilotti, 1998 p. 18
52
Rullani 2002

| 111
forzature teoriche coercitive che poco rappresentano la
situazione reale di questi contesti ricchi di relazioni sociali e
produttive.
Corò e Rullani , come abbiamo già detto, leggono la nascita,
53

lo sviluppo e l’affermazione dei distretti in chiave evolutiva:


ampliando questo concetto possiamo parlare di un effettivo
Ciclo di vita distrettuale caratterizzato da una serie di fasi
54

non necessariamente successive.

Traiettorie evolutive path-dependent e path-breaking

Fasi del ciclo di vita


Formazione Sviluppo Maturità (Rivitalizzazione) Declino

Policentrico

(4)
(5)
(7)+(4)
Canonico
Tipologie di distretto

(1)
(2)
(3)
(6)
Gerarchico

Legenda
Frecce orizzontali: traiettorie path-dependent
Frecce verticali: traiettorie path-breaking
(1) = gerarchizzazione sostitutiva endogena per linee interne
(2) = gerarchizzazione sostitutiva endogena per linee esterne
(3) = gerarchizzazione sostitutiva esogena
(4) = transizione guidata
(5) = esplorazione pluralistica
(6) = sviluppo estensivo endogeno
(7) = riposizionamento strategico

fonte: Sammarra 2003 p. 82

53
Corò, Rullani, 1998
54
Parlano di Ciclo di Vita del distretto Carminucci, Casacci 1997 e Esposito 1994

112 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Nello schema precedente la Sammarra mette in relazione le
55

principali tipologie di distretto (Policentrico, Canonico e


Gerarchico) con le fasi del ciclo di vita (Formazione,
Sviluppo, Maturità, Rivitalizzazione e Declino) inserendo
anche una visione sintetica delle principali traiettorie
evolutive distinguendole in path-dependent e path-breaking.

Sintetizzando i vari lavori di ricerca empirica e classificazione


sui modelli distrettuali proposti in letteratura la Sammarra 56

parla di:
- distretti policentrici;
- distretti canonici
- distretti gerarchici

Nei distretti policentrici:


- esistono una pluralità attori guida non
necessariamente di dimensioni superiori alla media
con competenze non esclusivamente tecniche ma
anche commerciali, manageriali, di ricerca e di
networking;
- le imprese di fase rivestono un ruolo fondamentale in
quanto fornitrici di componentistica tecnologica e ad
alto valore aggiunto dalle quali dipendono i
produttori di prodotti finiti;
- i meccanismi di apprendimento sono di tipo
cooperativo con le imprese di prodotti finiti
impegnate a monte e a valle ed i subfornitori
concentrati sull’innovazione di fase;
- i rapporti con l’esterno sono molto aperti sia a livello
orizzontale che verticale senza incidere negativamente
sul sistema relazionale interno;
- le istituzioni intermedie (pubbliche o provate)
rivestono un’importanza fondamentale.
Un esempio di questa tipologia di distretto è il distretto della
calzatura sportiva di Montebelluna nel quale operano

55
Sammarra, 2003 p. 82
56
Hanno effettuato analisi sistematiche su questi temi tra gli altri: Paniccia 2002,
Pilotti 1998, 1999, Corò Grandinetti, 1999

| 113
importanti aziende nazionali ed internazionali di calzature
sportive e dove oggi alcuni produttori, con Mario Moretti
Polegato (patron di Geox) a capo, sono riusciti anche a
superare il settore caratteristico di specializzazione locale
diventando leader mondiali grazie ad attente strategie di
definizione del prodotto (nello specifico di Geox per il
corretto utilizzo del brevetto internazionale della “scarpa che
respira”), di cura della comunicazione, del servizio e del
sistema distributivo e di vendita basato su show-room
monomarca.

Nei distretti canonici:


- mancano le imprese leader, il tessuto imprenditoriale
è caratterizzato da un elevato numero di imprese di
piccole dimensioni di matrice familiare e di derivazione
artigianale nel quale esiste una forte divisione
verticale ed orizzontale del lavoro con un meccanismo
di coordinamento informale;
- l’apertura verso l’esterno è moderata e limitata ai
punti finali della filiera come è moderata la
differenziazione tra le tipologie di imprese ed attività;
- i meccanismi di apprendimento sono essenzialmente
di tipo imitativo e interattivo e l’innovazione generata
è essenzialmente incrementale sia sui prodotti che sui
processi.

Rientra in questa categoria, molto vicina al modello di


distretto neo-marshalliano, il distretto della produzione dei
prodotti in metallo per la casa (posateria, pentolame,
maniglieria…) di Lumezzane. Rispetto ad altri distretti questa
specifica tipologia, a causa della relativa chiusura verso
l’esterno e della scarsa capacità innovativa interna, risente in
maniera più evidente dei momenti di crisi e si trova in questo
particolare momento storico in una fase di stagnazione e di
declino.

Nel distretto gerarchico:


- esistono poche imprese leader di grandi dimensioni e
molte piccole o piccolissime che rappresentano
l’indotto delle grandi, si parla in questi casi di rete

114 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


centrata, le reti possono essere storiche e interne
(distretto gerarchico integrato ) oppure più recenti ed
57

esterne (distretto satellite );


58

- il meccanismo di apprendimento è di tipo istruttivo e


unidirezionale con le grandi imprese generatrici di
innovazioni e le imprese piccole che attuano
meccanismi di apprendimento basati sul fare
(learning by doing) ;
- il ruolo delle istituzioni è debole e l’apertura verso
l’esterno è mediata dall’impresa leader.

Rientrano in questa tipologia, con accezioni diverse, il


distretto di Omega dove Alessi e Lagostina hanno
praticamente fagocitato la capacità produttiva distrettuale e si
servono delle imprese locali come di un indotto diretto
(distretto gerarchico integrato) ed il distretto tessile abruzzese
della Val Vibrata formatosi dopo il decentramente produttivo
attuato da due grandi imprese estranee al territorio come
Casucci e Confezioni Vulcano (distretto satellite).

La teoria del ciclo di vita evidenzia come in una prima fase,


59

detta di formazione, ci sia una progressiva specializzazione di


fase intorno ad un nucleo originario di una serie di nuove
imprese, spesso artigianali, in gran parte impegnate nella
stessa attività produttiva. Nella fase successiva, di sviluppo, si
registra un rapido aumento del numero di imprese,
dell’occupazione e della produzione con una crescente
specializzazione sia a monte che a valle con un processo
essenzialmente endogeno basato su risorse interne. La filiera
diviene integrata e l’area si caratterizza come sistemica.
Durante la fase di maturità il distretto, raggiunto il successo
economico, deve difendersi dalle pressioni esterne: iniziano a
manifestarsi i fenomeni di delocalizzazione, gerarchizzazione
sia interna che esterna o differenziazione produttiva alla
ricerca di nuove nicchie di mercato. E’ in questo momento
che iniziano i fenomeni di rivitalizzazione che fanno vivere ed

57
Corò, Grandinetti, 1998
58
Paniccia, 2002
59
Visconti, 1996

| 115
evolvere il distretto o di impoverimento del tessuto socio-
produttivo che porta al declino.
I percorsi evolutivi però non sempre seguono dinamiche
lineari e non è detto che i distretti di una determinata
tipologia evolvano esclusivamente seguendo il proprio ciclo di
vita, come si può vedere dallo schema precedente.
Si possono individuare due forme evolutive basilari definibili
di tipo:
- path-dependent;
- path-breaking.

Vengono definite path-dependent le traiettorie evolutive nelle


quali “i fattori endogeni che avevano portato al consolidamento
della struttura distrettuale tendono a riprodursi nel tempo
determinando il mantenimento della particolare tipologia
economico-organizzativa del distretto, che quindi si comporta
come un sistema prevalentemente adattivo.” 60

Sono path-breaking le dinamiche che portano ad una


“sostanziale alterazione nel corso del tempo, della strutturazione
interna del distretto con il passaggio da una tipologia all’altra.
L’evoluzione del distretto segue dei percorsi… che riescono ad
imprimere una vera e propria mutazione nell’organizzazione
interna e nel posizionamento strategico del sistema distrettuale.” 61

Questi ultimi si manifestano solo nei casi in cui sono presenti,


nel tessuto produttivo locale o arrivano dall’esterno, imprese
particolarmente dinamiche, tali percorsi possono avere come
già detto un portare a processi involutivi di depauperamento
del tessuto relazionale socio-produttivo locale che evolutivi
dove si mantengono le dinamiche relazionali ma avviene una
concentrazione su produzioni tipologicamente diverse.

In estrema sintesi si può dire che i fenomeni endogeni sono in


linea di massima più sopportabili di quelli esterni purché
mantengano inalterate o quasi le caratteristiche di rete
preesistente.

60
Sammarra 2003, p. 74
61
ibidem

116 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Quando si assiste invece a forti fenomeni di concentrazione di
attività strategiche in network ristretti di imprese distrettuali
(gerarchizzazzione sostitutiva endogena per linee interne) o
quando avviene l’acquisizione di imprese da parte di imprese
(gerarchizzazzione sostitutiva endogena per linee esterne), o
multinazionali (gerarchizzazione sostitutiva esogena) esterne
che spostano le funzioni strategiche nel network aziendale si
vanno a minare le caratteristiche fondanti del distretto e si
assiste a fenomeni involutivi con il passaggio da modelli
canonici a modelli gerarchici.

Nei casi in cui i processi evolutivi siano attuati da imprese


guida interne o esterne (transizione guidata, esplorazione
pluralistica, sviluppo estensivo endogeno, riposizionamento
strategico) che mantengono i rapporti con il distretto e non
limitano le possibilità evolutive dei singoli attori della rete si
assiste a fenomeni evolutivi che portano ad un
riposizionamento o rivitalizzazione del distretto e permettono
il passaggio da modelli canonici a reti policentrice e da
modelli gerarchici a modelli canonici.

3.3 La Legislazione nazionale sui Distretti Industriali e le


recenti evoluzioni62

Il fenomeno dei distretti industriali, al di là dei cambiamenti


repentini nell’assetto organizzativo evidenziati nei paragrafi
precedenti, rimangono un fenomeno assolutamente
spontaneo di auto-organizzazione produttiva.
A partire dagli anni ’90, però, questa spontaneità ha visto, in
Italia, un momento importante di riconoscimento legislativo
di quelle concentrazioni industriali specializzate che, proprio
grazie a questa attenzione istituzionale potevano essere luogo
di serie politiche di sostegno e innovazione (politiche che fino
a quel momento non avevano tenuto nella giusta
considerazione l’importante ruolo della piccola e media
impresa nell’economia nazionale).

62
Il paragrafo è stato redatto da Arianna Vignati

| 117
Dal punto di vista della legislazione italiana il concetto di 63

distretto industriale viene presentato per la prima volta con la


legge n°317 del 5 ottobre 1991 (Pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n°237 del 9 ottobre 1991, supplemento ordinario
n°60), nell'ambito di una serie di interventi per l'innovazione
e lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Tale concetto
viene delineato nell'art.36 - "Distretti industriali di piccole
imprese e consorzi di sviluppo industriale". Nel comma 1 si
definiscono distretti industriali le aree territoriali locali
caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con
particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e
la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva
dell'insieme delle imprese.
Il successivo comma 2 assegna alle regioni il compito di
individuare tali aree, sentito il parere delle Unioni delle
Camere di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato,
sulla base di una serie di criteri fissati dal Decreto del
Ministero dell'Industria Commercio ed Artigianato del 21
aprile 1993 (Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 22 aprile
1993). Questo ricorso alle regioni ed alle istituzioni pubbliche
locali a contatto con le imprese, se da una parte aveva il
vantaggio di agevolare il processo di riconoscimento grazie
alla delega di tale operazione ad enti a diretto contatto con le
situazioni locali, dall’altra si è rivelato meno efficace proprio a
causa dei criteri posti come vincolo per tale riconoscimento,
criteri che di fatto dovevano essere soddisfatti
simultaneamente:
- Indice d'industrializzazione manifatturiera (quota di
addetti dell'industria sul totale delle attività
economiche locali maggiore del 30%);
- Densità imprenditoriale (rapporto tra le unità
manifatturiere e la popolazione residente superiore
all’analogo indice nazionale);
- Specializzazione produttiva (il rapporto tra addetti
settore di specializzazione ed il totale degli addetti
superiore al 30%);
- Peso occupazionale locale dell'attività specializzata (n°

63
Si veda in proposito anche Arquilla 2002 in Maffei, Simonelli 2002

118 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


addetti superiore al 30% del totale dell’industria
manifatturiera);
- Incidenza della Piccola Impresa (% addetti in imprese
del settore specifico maggiore del 50%).

La rigida schematizzazione e soprattutto la necessità di una


convivenza di tutti i parametri ha reso assai difficile per molte
regioni l’individuazione di aree che avevano tutti i requisiti
indicati. In alcuni casi un singolo indicatore impediva la
rilevazione di significativi fenomeni di aggregazione.
Viste queste oggettive difficoltà e rigidità dell’apparato
legislativo qualche anno più tardi (8 anni) è stata avanzata
una revisione del modello con la Legge 11 maggio 1999
n°140 (Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n°140 del 21
maggio 1999), contenente norme in materia di attività
produttive. L'articolo 6, comma 8, fa rientrare la definizione
di distretto industriale nel più ampio concetto di sistema
produttivo locale. Questi ultimi vengono definiti come quei
contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata
concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie
dimensioni e da una peculiare organizzazione interna.
La nuova definizione classifica come distretti industriali quei
sistemi produttivi locali, caratterizzati da un’elevata
concentrazione di imprese industriali e da una specializzazione
produttiva diffusa.
Con la nuova definizione di distretto industriale le regioni
hanno potuto individuare, con un margine di libertà
maggiore, le aree distrettuali presenti nel territorio di
competenza.
È da rilevare che ad oggi pochissime Regioni non hanno
ancora usufruito di questa opportunità; anche se, per le altre,
si è spesso trattato di un riconoscimento astratto che poco ha
modificato le potenzialità di sviluppo del territorio (distretti di
fatto); sviluppo nei fatti molto più articolato di quanto i
parametri statistici riescano a registrare.
E’ possibile tracciare un quadro delle regioni che hanno
legiferato sulla base della sola legge 317/91, quelle che lo
hanno fatto con la successiva legge 140/99 e quelle che si
sono avvalse di entrambe per una migliore identificazione
delle aree distrettuali:

| 119
Regioni che hanno individuato i distretti Abruzzo
con la legge 317/91 Campania
Liguria
Marche
Piemonte
Sardegna
Regioni che hanno individuato i distretti Basilicata
con la legge 140/99 Lazio (in corso di approvazione)
Puglia (in corso di approvazione)
Veneto
Regioni che si sono avvalse di entrambe le Friuli Venezia Giulia
leggi Lombardia
Toscana

Di fatto, a parte il Trentino Alto Adige che è regione


autonoma, le regioni che non si sono avvalse di questo
strumento legislativo sono la Val d’Aosta, l’Emilia Romagna,
l’Umbria, il Molise, la Calabria e la Sicilia. Per alcune di
queste però è possibile fare un discorso a parte.

L’Emilia Romagna ad esempio non ha proceduto ad un


riconoscimento legislativo attraverso la Regione, ma di fatto
ha individuato, tramite il lavoro dell’ERVET (ente 64

regionale), 16 distretti industriali, pubblicati nell’area


TEMISIA del sito della Regione Emilia Romagna.
65

Per Calabria e Sicilia, al di là un serio problema di


individuazione dei distretti causato dalla componente di
lavoro nero che rende difficile attenersi a parametri
quantitativi, c’è di fatto un assetto economico particolare da
tenere in considerazione. Al di là infatti di presenze ridotte di
contesti industriali di piccola e media impresa, queste regioni
sono caratterizzate da economie basate sullo sfruttamento di
risorse turistiche, culturali e di piccolo artigianato che se non
possono ( o non vogliono) favorire dei vantaggi di politiche di
sostegno di tipo industriale, certamente possono avvalersi di
tutte quelle iniziative europee di “riqualificazione delle aree

64
ERVET Politiche per le imprese S.p.A., capogruppo del "Sistema dei Centri di
Servizio" della Regione Emilia-Romagna, svolge analisi economiche e realizza
numerosi progetti innovativi su temi quali lo sviluppo territoriale, la
sperimentazione di nuove metodologie in campo ambientale, la valutazione di
interventi di politica industriale. | www.ervet.it |.
65
Cfr. http://www.regione.emilia-romagna.it/temisia/italy/italiano/er_t.htm.

120 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


depresse” (obiettivo 1) che di fatto meglio si identificano con
le esigenze e la configurazione locale.

3.3.1 Le politiche regionali (regione per regione)


Sulla base delle considerazioni generali sul recepimento da
parte delle regioni della legislazione in materia di
individuazione dei distretti industriali è possibile, per
ciascuna realtà regionale, tracciare i passi di questo percorso
di riconoscimento legislativo.
Le Mappe presentate sono state elaborate dall’Agenzia SDI |
Sistema Design Italia nell’ambito di alcune ricerche
nazionali . 66

Regione Piemonte
La Regione Piemonte, con la Deliberazione del Consiglio Regionale 26 febbraio 2002, n.
227 – 6665, Rideterminazione dei distretti industriali del Piemonte, di cui alla D.C.R. n.
250-9458 del 18 giugno 1996, ha individuato 29 Distretti Industriali (2 in phasing out:
distretto n.13 di Carpignano Sesia e distretto n.19 di LaMorra).

Regione Liguria

66
Attualizzazione a cura di Antonella Castelli

| 121
A partire dall’approvazione della legge regionale 13 agosto 2002 n. 33, (pubblicata sul
Bollettino Ufficiale Regionale 28/08/2002 n. 12), Interventi da realizzarsi nell'ambito dei
sistemi produttivi locali e dei distretti industriali, sono stati individuati 10 distretti
industriali con una particolare concentrazione nell’area genovese (3 distretti) e dal punto
di vista delle specializzazioni una forte componente produttiva è data dall’industria dei
mezzi di trasporto e della lavorazione dei metalli.

Regione Friuli Venezia Giulia


Con la legge regionale 11 novembre 1999 n. 27 sono stati istituiti i quattro distretti
industriali quali ambiti di sviluppo economico-occupazionale e quali sede di promozione
e coordinamento delle iniziative locali di politica industriale. L’approvazione della legge
da parte del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia è avvenuta con le seguenti
delibere D.G.R. n. 456,457,458,460 del 3/3/2000, Istituzione del distretto industriale
denominato distretto della sedia, del mobile, dell’alimentare e del coltello.

122 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Regione Veneto
La regione veneto ha ridefinito la mappa regionale dei distretti industriali sulla base della
legge regionale 4 aprile 2003, n. 8 (burv n. 36/2003) in cui viene prevista una nuova
tipologia di distretti (i distretti produttivi) Con le dgr n. 2502 del 08/08/2003 e n. 1766
del 18/06/2004 sono stati istituiti 40 distretti produttivi.

Regione Toscana
La Regione Toscana ha ufficialmente individuato i distretti industriali con una Delibera
del Consiglio regionale n.69 del 21/02/2001. La delibera consiliare applica le
disposizioni in materia di «definizione e individuazione dei distretti industriali»
dell’articolo 36 della legge 317 del 1991. Nel 1998 la Toscana con legge regionale
individua i propri parametri e nel febbraio 2000 individua ufficialmente i 12 distretti.

| 123
Regione Marche
La Regione Marche con la dcr n. 259 del 29 luglio 1999, “Individuazione di aree
territoriali locali a valenza distrettuale”, al fine di avviare politiche di intervento a favore
delle specializzazioni produttive regionali, ha individuato 26 distretti.

Regione Abruzzo
Sono cinque i distretti industriali abruzzesi, che riuniscono alcune fra le zone più
produttive dell’Abruzzo (Maiella agro-alimentare, Piana del Cavaliere, Vastese - San
Salvo - Gissi - Atessa meccanico, Val Vibrata - Toldino Vomano abbigliamento, Marsica
- Avezzano : agro-alimentare). Con il sesto distretto, di natura leggermente diversa, in
fase di elaborazione sulla costa: coinvolge i comuni di Pescara, Montesilvano, Spoltore,
Città Sant’Angelo, Cappelle sul Tavo e Cepagatti, e riguarda le attività legate ai servizi.

124 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Regione Campania
Sulla base degli indirizzi contenuti nelle normative nazionali di riferimento, ed in
particolare in attuazione della L. 317/91, la Regione Campania con la dcr del 15
novembre 1999, n. 25 “Individuazione dei distretti industriali. Approvazione degli
indirizzi, criteri e priorità per la promozione e la realizzazione dei “Programmi dei
distretti industriali”, ha individuato 6 distretti industriali (Calitri, Grumo Nevano-
Aversa, Nocera inferiore – Gragnano, San Giuseppe Vesuviano, San Marco dei Cavoti,
Sant’Agata dei Goti-Casapulla, Solofra) e, con le successive delibere, i rispettivi comitati
di distretto.

Regione Lazio
Attesa nel Lazio da dieci anni, con la legge 36/2001 la Regione individua le aree
distrettuali con lo scopo di valorizzare le potenzialità produttive ed i sistemi di rete del
territorio. La regione individua tre tipologie di aree distrettuali: distretti industriali,
sistemi produttivi locali ed aree laziali di investimento.
Sono 3 le aree attualmente individuate: Civita Castellana (ceramica), Valle del Liri
(abbigliamento), Monti Ausoni – Tiburtina (estrazione e lavorazione della pietra).

| 125
Regione Basilicata
Con la legge regionale n.1/01 la Regione Basilicata individua sul territorio regionale 4
aree distrettuali (Pescopagano, Vulture, Sant’Angelo Le Fratte, Matera) sulla base delle
quali avviare politiche di incentivazione alle imprese.

Regione Sardegna
Con il decreto dell’Assessore dell’industria 7 agosto 1997, n.377, la Regione Sardegna ha
provveduto a riconoscere 4 distretti industriali: distretto del sughero di Calangianus-
Tempio, distretto del marmo di Orosei, distretto del tappeto di Samugheo e distretto del
granito della Gallura. Successivamente, con delibera di Giunta 2.7.2002, n.21/38, la
Regione ha riconosciuto anche 3 sistemi produttivi locali (SPL): telecomunicazioni,
informatica, hardware e attività connesse, ricerca e sviluppo, industria alimentare.

126 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


3.3.2 Il caso Lombardia: I Metadistretti
A livello regionale l’impianto normativo per la definizione dei
Distretti Industriali è la legge 1/2000. Le delibere successive
hanno permesso l’individuazione dei distretti e dei meta-
distretti che attualmente è alla base della politica regionale di
sostegno alle imprese:
_ con la delibera della giunta regionale della Lombardia del
16/3/2001, sono stati individuati i 16 Distretti Industriali di
specializzazione produttiva, ed approvate le linee di indirizzo
per la definizione dei criteri per l’individuazione dei Distretti
tematici o Meta distretti, in attuazione della legge regionale
5/1/2000.
_ con la delibera della giunta regionale della Lombardia del
5/10/2001, sono stati individuati i 5 meta-distretti
(Biotecnologie alimentari, Biotecnologie non alimentari,
Design, Moda, Materiali) e la loro composizione comunale.
Con il D.g.r del 26 marzo 2004, n. 16917 viene individuato
anche il sesto metadistratto delle ICT.

Una nota a parte meritano i meta-distretti, non tanto per


l’efficacia della Regione nella loro individuazione, quanto per
l’importanza di questo caso sul versante della disciplina del
design: tra i 6 meta-distretti individuati dalla Regione
Lombardia ci sono, infatti, i meta-distretto del design e della
moda.

| 127
Con l'individuazione dei meta-distretti la Regione ha voluto
cogliere, in via ancora fortemente sperimentale, aree
produttive di eccellenza con forti legami esistenti o potenziali
con il mondo della ricerca, dei servizi e della produzione
dell'innovazione. La necessità di individuare i meta-distretti,
così come lo è stata l'individuazione dei distretti tradizionali,
è nata innanzitutto da esigenze di politica di sviluppo
industriale.
Con i meta-distretti la Regione ha voluto censire quelle aree

128 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


di eccellenza produttiva in grado di rappresentare, anche per
il futuro, poli di sviluppo competitivo, nazionale e soprattutto
internazionale, con un elevato potenziale tecnologico.
A partire da questo censimento l’obiettivo era comunque
quello di avviare serie politiche di incentivazione della
cooperazione tecnologica tra imprese e, soprattutto, per
favorire lo sviluppo della cooperazione tra queste ed i centri di
ricerca tecnico-scientifica. Uno dei fenomeni più
preoccupanti, infatti, non solo a livello regionale, ma a scala
nazionale, in questo momento di difficoltà nella competizione
globale, riguarda la scarsa collaborazione tra gli enti che si
occupano di ricerca ed il sistema delle imprese, fenomeno che
le politiche nazionali stanno cercando di arginare.
Le caratteristiche di base, dalla quale sono scaturiti i criteri di
individuazione dei metadistretti sono state le seguenti:
- una significativa presenza di imprese operanti in
filiere produttive qualificate;
- una significativa presenza, non necessariamente nelle
stesse aree, di centri di ricerche scientifica e
tecnologica connessi alle filiere produttrici;
- capacità dei centri di ricerca di fornire output
tecnologici di elevato livello.

Alla base di questo percorso di individuazione dei meta-


distretti c’è comunque, da parte dell’istituzione regionale, la
consapevolezza di alcuni cambiamenti sostanziali che stanno
interessando non solo il tessuto industriale economico e
produttivo della regione, ma tutto il Sistema Paese.
Innanzitutto la consapevolezza che lo sviluppo economico e la
competitività delle imprese non può prescindere da una più
significativa spinta all’innovazione tecnologica, in particolare
a quell’innovazione tecnologica che sfrutta le leve e gli
strumenti della tecnologia dell’informazione e della
comunicazione. Altro aspetto rilevante riguarda la
delocalizzazione produttiva. È stato evidenziato ampiamente
come questo fattore abbia, in pochi anni, cambiato
radicalmente gli assetti organizzativi dei sistemi produttivi
locali ed è indubbio che sempre più sarà fattore discriminante
della competitività di molti settori produttivi, specialmente
quelli cosiddetti leggeri. Terzo fattore, che chiama in gioco

| 129
specialmente il design, che la competizione internazionale si
fonda sempre di più sulle dinamiche di innovazione legate
alla conoscenza.
A partire da queste consapevolezze quindi, il tentativo di
estendere le categorie tradizionali di distretti a queste nuove
forme di organizzazione produttiva e della conoscenza è stato
il primo passo verso una nuova politica di sostegno
all’innovazione delle imprese.

Quattro sono stati i criteri emersi per l’individuazione dei


meta-distretti:
- multisettorialità: qualificabile non solo come la
presenza di un rilevante rapporto di filiera all'interno
delle aree tematiche individuate, ma anche da una
significativa presenza di settori di servizio alle imprese
(servizi di ricerca e sperimentazione);
- territorialità: il concetto di meta-distretto pur
staccandosi dal presupposto dei legami territoriali che
caratterizza il distretto industriale, riconfigura anche
l’idea di territorialità sulla base delle potenzialità
connettive dettate dall’utilizzo di nuove tecnologie e
servizi che non possono, comunque, che fondarsi su
una dinamica di rapporti fiduciari a partire anche da
una prossimità spaziale. Le tecnologie della
comunicazione si inseriscono nelle dinamiche delle
imprese come potenti amplificatori di ciò che le
dinamiche territoriali hanno permesso di costruire in
termini di relazioni, conoscenze ecc.;
- significatività: i meta-distretti si riferiscono a
specializzazioni, industriali e di ricerca, caratterizzanti
il tessuto regionale della Lombardia;
- leadership: un fattore chiave individuato è la presenza
di imprese leader in grado di rappresentare il settore e
di essere leva per lo sviluppo di una innovazione che a
cascata interessa tutto l’indotto (industriale, di ricerca
e di servizi) ad essa connesso.

130 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Sulla base di tali parametri la Regione Lombardia67 ha
riconosciuto nel territorio regionale cinque meta-distretti
(moda, design, biotecnologie non alimentari, biotecnologie
alimentari, nuovi materiali), che si sono andati ad affiancare
ai 16 distretti industriali tradizionali. Con il D.g.r del 26
marzo 2004, n. 16917.
La fase di individuazione dei meta-distretti si è concluda con
l’istituzione del sesto meta-distretto (ICT)68.
Contestualmente a quest’ultima individuazione vengono di
fatto avviate le politiche di sostegno e sviluppo dei meta-
distretti, con l’istituzione del Fondo per l’attuazione delle
politiche regionali per lo sviluppo dell’eccellenza e della
competitività dei distretti e dei metadistretti lombardi..
È importante sottolineare che tali realtà si differenziano

67
Con la legge regionale 5 gennaio 2000, n.1 la Regione Lombardia ha
stabilito la revisione della normativa in materia di distretti industriali per
consentire di adeguare la disciplina vigente, approvata nel 1993 (l.r. 7/93), al
modello organizzativo e di sviluppo socio economico che il momento richiede.
Con dgr n. VII/3839 del 16.3.2001 sono stati individuati i distretti di
specializzazione produttiva e sono state approvate le linee di indirizzo per la
definizione dei criteri per la individuazione dei distretti tematici meta-distretti.
Questo provvedimento ha segnato anche l’avvio della ridefinizione complessiva
del quadro di riferimento nella materia costituito dalla l.r. 7/93 e dai relativi
provvedimenti di attuazione. Con l’attuale provvedimento si completa la parte
relativa alla individuazione territoriale dei distretti mentre, il processo di
revisione normativa, previsto dalla l.r. 1/2000, si esaurirà con l’emanazione di
un successivo provvedimento che riguarderà, tra l’altro, i livelli organizzativi, le
politiche di intervento e le azioni di sostegno alle imprese dei distretti, nonché
gli aspetti procedurali anche con riferimento quelli attinenti le procedure per la
presentazione e l’approvazione dei progetti.
Fonte: http\\www.regione.lombardia.it
68
I metadistretti in Lombardia sono così suddivisi:
- biotecnologie alimentari: interessa 121 comuni delle 11 province lombarde e
comprende 11 centri di ricerca e 30.455 addetti.
- biotecnologie non alimentari: si sviluppa su 58 comuni della regione di 8
province lombarde e comprende 26 centri di ricerca e 46.266 addetti.
- design: 65 comuni di 6 province lombarde e comprende 11 centri di ricerca,
44.958 addetti.
- materiali: si sviluppa su 103 comuni di 10 province lombarde (esclusa
Cremona) e comprende 29 centri di ricerca e 32.748 addetti.
- moda: 126 comuni di 9 province lombarde (escluse Sondrio e Lecco) e
comprende 4 centri di ricerca e 120.406 addetti.
- ICT: 31 comuni interessati.
Fonte: http\\www.regione.lombardia.it

| 131
perciò dai distretti tradizionali sostanzialmente per un
particolare aspetto: la loro indipendenza rispetto ai limiti
territoriali. Non si tratta di configurazioni territoriali, bensì di
forme cognitive di aggregazione della conoscenza attorno a
quelle strutture che producono tale conoscenza (Università,
centri di ricerca ecc.) ed a quelle strutture (produttive) che
impiegano tale conoscenza come leva per la competitività
internazionale.
È in virtù di ciò che la “base tematica” che lega il meta-
distretto consente di pensare ad esso come una fitta rete di
relazioni tra attori anche tra loro territorialmente distanti.
Questa considerazione diventa determinante se pensiamo al
meta-distretto del design. Una delle principali caratteristiche
dell’impianto concettuale del metadistretto lombardo del
design è, infatti, quella di mettere in relazione diretta le
tradizionali aree distrettuali di specializzazione, dove da anni
le imprese utilizzano di fatto il design come leva competitiva,
con le strutture dove la conoscenza di design viene generata
(università, centri di ricerca, associazioni, centri servizi ecc.).
È indispensabile che la rete che lega virtualmente questi nodi
del sistema (imprese, università, centri di ricerca,
professionisti ecc.) diventi sempre più attivatore di un
processo continuo e virtuoso di produzione e scambio di
quella conoscenza che è alla base dei processi di innovazione
guidata dal design.

La dimensione del metadistretto è perciò finalizzata a


riconoscere questo circuito di scambio di conoscenza
progettuale, di cui le imprese in modo auto-organizzativo si
sono sempre dotate, ma che diventa fondamentale codificare
e diffondere ampiamente nel sistema imprenditoriale
lombardo.
Quello che la Regione Lombardia ha posto come azione
pionieristica impone al mondo istituzionale ed a quello della
produzione della conoscenza di interrogarsi con più decisione
sui problemi che il Sistema Paese si trova oggi ad affrontare: il
vantaggio competitivo conquistato dai distretti industriali in
passato non può ripetersi tout court con semplici azioni di
finanziamento alle imprese. Le nuove sfide della
globalizzazione impongono una riflessione ed un approccio
“contemporaneo” a favore dell’innovazione, anche a favore

132 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


del design, lasciato ai margini di qualsiasi azione di sostegno
alle imprese.

Se si possono portare due piccole critiche alla definizione dei


meta distretti, che vanno proprio in questa direzione, queste
sono riconducibili: all’indicazione di appartenenza territoriale
e alla definizione delle specializzazioni.
Rispetto all’indicazione di appartenenza territoriale, pur non
essendo più legata a requisiti di prossimità geografica, come
avveniva per i distretti tradizionali, il territorio regionale è
stato comunque mappato e, ad ogni comune, è stata assegnata
una specializzazione, ad eccezione dei comuni dove sono
concetrate le attività di formazione e ricerca, per i quali sono
ammesse più specializzazioni. Questo limita ancora la
possibilità di azione delle singole imprese di entrare in reti
tematiche a prescindere dalla localizzazione territoriale.
Riguardo alle specializzaizoni poi, nel caso specifico del
metadistretto del design, si può parlare di un’indicazione
strettamente settoriale e non tematica. La Regione ha, infatti,
riunito sotto il cappello design tutti i settori produttivi che
storicamente in Lombardia hanno avuto maggiore interazione
con il design (o caratterizzati per le produzioni di design),
senza tenere in considerazione che il design è una disciplina,
la disciplina del progetto, e che come tale può essere applicata
a qualsiasi settore . La concezione del design della regione
69

lombardia è quindi limitata essenzialmente alla produzione


dei prodotti e non arriva a comprendere fino in fondo le
potenzialità del design come driver per l’innovazione.

69
Rientrano nel meta distretto le aziende dei seguenti settori Istat: fabbricazione di
mobili (cod. Istat 36.1), fabbricazione di apparecchi di illuminazione e di lampade
elettriche (cod. Istat 31.5), fabbricazione di articoli di coltelleria e posateria (cod.
Istat 28.6.1), fabbricazione di serrature e cerniere (cod. Istat 28.63), costruzione di
stoviglie, pentolame, vasellame, attrezzi da cucina, e accessori casalinghi, articoli
metallici per l’arredamento di stanze da bagno (cod. Istat 28.75.1), costruzione di
altri articoli metallici e minuteria metallica (cod. Istat 28.75.3), fabbricazione di
rubinetti e valvole (cod. Istat 29.13), fabbricazione e installazione di macchine per
la lavorazione di legno e materie similari, compresi parti e accessori, manutenzione
e riparazione (cod. Istat 29.56.4).

| 133
3.4 Dove vanno i distretti industriali70

Negli ultimi anni il contesto competitivo con cui i distretti


sono chiamati a confrontarsi ha subito profondi mutamenti
con un’erosione del vantaggio competitivo delle aree
distrettuali, dovuto, tra l’altro:
- alla globalizzazione dei mercati, con un aumento
della pressione competitiva ad opera sia di grandi
imprese operanti in Paesi industrializzati sia di piccole
imprese operanti in Paesi ad economia emergente, le
quali oltre a poter contare su una tradizionale
competitività di costo, stanno progressivamente
sviluppando competenze tecnico-operative con un
conseguente miglioramento della qualità dei prodotti;
e che ha imposto alle imprese un approccio
“pianificato” al mercato e fatto riemergere il
problema delle economie di scala, non solo e non
tanto quelle tecnologico-produttive, quanto quelle
inerenti alla ricerca e progettazione, alla
commercializzazione, alla finanza;
- ai continui mutamenti socio-culturali incorsi nelle
società, manifestatisi attraverso la domanda di nuovi
prodotti e servizi sempre più personalizzati e con
elevati standard qualitativi;
- ai fenomeni di instabilità politico-finanziaria, fonte di
vantaggi e svantaggi competitivi;
- all’evoluzione delle tecnologie con il progressivo
affermarsi dell’information technology e delle
regolamentazioni (certificazioni della qualità, norme
sulla sicurezza e ambientali), che si riflettono
sull’organizzazione del ciclo produttivo, comportando
la codificazione della conoscenza e quindi una
parallela evoluzione delle professionalità.

In sintesi i distretti, si sono trovati di fronte a sfide di non


poco conto che hanno aperto scenari di riflessione che si

70
Il paragrafo è stato redatto da Luciano Consolati, Segretario Generale di
Confartigianato Brescia, ex presidente del “Club dei Distretti Industriali” esperto di
distretti industriali.

134 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


possono tradurre nelle seguenti domande: in che modo
l’evoluzione delle tecnologie, dei prodotti e dei mercati avrà
riflessi sulle competenze distintive delle imprese, e quindi
sulle modalità di gestione delle risorse umane? Quale
direttrice prenderà l’evoluzione della divisione del lavoro tra
le imprese del distretto e l’emergere di asimmetrie tra le
imprese, in termini di allargamento del distretto: dalle
imprese capofila, ai subfornitori specializzati, ai terzisti? Quali
potranno essere i riflessi sulle modalità di cooperazione tra le
imprese e di diffusione della conoscenza generati dallo
sviluppo delle reti telematiche: in questo nuovo contesto
quanto e come riusciranno le imprese distrettuali a far valere i
vantaggi tradizionali derivanti dall’informalità dei rapporti
interaziendali e dallo scambio di conoscenze tacite, e in che
misura sono attrezzate per fruire delle nuove opportunità?

In presenza di queste sfide che hanno posto in forte dubbio le


capacità spontanee di evoluzione dei sistemi attuali, vi è stato
un disagio crescente all’interno dei distretti. Infatti, oltre alle
sfide di cui sopra e proprio quando si stavano ancora
celebrando “ le magnifiche e progressive sorti” dei distretti
italiani sono entrati prepotentemente nello scenario
economico mondiale nuovi fattori e nuovi attori, che hanno
costretto “ i cultori della materia” e anche i policy makers
nazionali ad un brusco risveglio, passando dal mondo
ovattato della ricerca accademica e della convegnistica, a
quello più reale della sfida quotidiana per la competitività e la
sopravvivenza.
La concorrenza dei cosiddetti “Paesi Emergenti”, emergenti
fino a qualche anno fa, ma oggi diventati potenze
economiche di primissimo piano, uno fra tutti: la Cina; la
moneta unica europea, con la conseguente impossibilità di
utilizzare il tasso di cambio come leva competitiva interna,
nonché la successiva dinamica dei tassi di cambio
euro/dollaro molto penalizzante per le esportazioni dei Paesi
dell’Euro; i “trattati” europei che in questa fase agiscono più
come vincolo che non come opportunità; la saturazione dei
mercati, e altro ancora.
In un arco temporale molto breve, rispetto ai normali cicli
economici, si è passati dal cantare le “laudi” per le
performances competitive dei nostri distretti, al cantare a

| 135
volte da parte degli stessi soggetti il “de profundis” del
modello distrettuale, evidenziando in molti casi una certa
superficialità o quantomeno una certa frettolosità nel
giudizio.
Indubbiamente la sfida alla quale sono sottoposti i distretti in
questi ultimi anni ha i connotati di una sfida epocale, la
concorrenza cinese ad esempio, che, utilizzando termini soft,
vogliamo definire “asimmetrica”, impatta direttamente sulle
specializzazioni del Made in Italy, che come è noto è
fortemente “basato” territorialmente nei distretti. La perdita
di quote di mercato internazionale nei nostri settori
tradizionali che è iniziata alla fine degli anni novanta, ha
significato una perdita cumulata di assoluto rilievo in
percentuale del P.i.l. e si è tradotta anche in una perdita secca
di posti di lavoro nell’industria manifatturiera, fenomeno
aggravato anche dalle delocalizzazioni da costi avviate da
molte imprese, anche distrettuali.
Un ulteriore elemento che aggrava la situazione è che tutto
ciò è accaduto in tempi molto ridotti, quantomeno per come
noi italiani, ma in generale anche il resto degli Europei, siamo
abituati a concepire il fattore tempo. Sembra quasi che un
anno per la Cina ed altri competitors equivalga a dieci anni
dei nostri, per il passo che questi Paesi, anche per le
condizioni da cui partono, hanno impresso al loro sviluppo
economico, ma anche per nostri ritardi, certamente legati al
nostro modello di società, ma che in molti casi diventano
“patologici” e certamente non più sopportabili, in un
contesto competitivo qual’è quello attuale.

3.4.1 La reazione dei distretti: una tipologia di risposte


A fronte di questi profondi e radicali mutamenti nello
scenario economico mondiale, le analisi sui distretti hanno
subito un’intonazione via via più preoccupata, raggiungendo
livelli piuttosto drammatici. Sul fronte delle risposte, le
tematiche più ricorrenti hanno riguardato e riguardano
tuttora tre filoni orizzontali d’azione:
- risorse umane e formazione;
- internazionalizzazione/globalizzazione;
- innovazione tecnologica e tecnologie di rete.

136 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Risorse umane e formazione
Il distretto industriale fonda la sua prosperità su un tessuto
economico di tipo industriale-artigianale, in cui due dei
fattori critici di successo sono la professionalità diffusa e lo
spirito imprenditoriale.
Un elemento imprescindibile che ha favorito lo sviluppo di
queste aree è stata la cultura materiale che le caratterizza e che
ha come principio ispiratore il lavoro.
Negli ultimi anni giungono però segnali sempre più
allarmanti di una difficoltà di incontro tra domanda e offerta
di lavoro. Poiché se è vero che permangono ancora settori
produttivi o fasi di lavorazione a scarso contenuto
professionale, per i quali l’offerta di lavoro non manca, grazie
anche al fenomeno immigratorio, appare via via crescente una
domanda di lavoro maggiormente professionalizzato che non
trova corrispondenza nelle abilità professionali prodotte dal
sistema formativo. Difficoltà aumentata dall’assenza di un
vero e proprio sistema di orientamento scolastico e
professionale che indirizzi le giovani generazioni in modo
efficace rispetto alle reali esigenze del mercato del lavoro. Si
tratta, certamente, di un problema di scala nazionale, ma che
nel caso di realtà come quelle distrettuali ed in particolare per
le tipologie d’impresa in esse presenti, di tipo flessibile e
pronte a rincorrere le richieste del mercato, assume una
valenza assai più critica.
Le piccole imprese, infatti, richiedono la possibilità di
convertire le professionalità e di disporne in tempi rapidi per
poter mantenere la loro elasticità operativa, che rappresenta
uno dei loro fattori di successo.
E’ un dato di fatto che questa economia esterna, oggi, si sta
disperdendo a causa della sfasatura tra la formazione scolastica
e le esigenze del mondo lavorativo, nonché a causa delle
diverse aspettative che caratterizzano le giovani generazioni.
Lo scollamento tra domanda e offerta di lavoro, quindi, si
pone non solo sul versante dei percorsi scolastici,
dell’orientamento o dell’informazione, bensì, anche su quello
più specificamente culturale, delle aspettative e delle
immagini verso la dimensione del lavoro, e in particolare del
lavoro industriale.
A questo proposito appare determinante il ruolo della
formazione, a tutti i livelli, sia alla scala della singola impresa

| 137
che alla scala del mercato del lavoro locale e quindi del
territorio visto come contesto formativo. L’attività di
formazione non può più essere di tipo episodico, ma deve
entrare a far parte stabilmente delle strategie aziendali e
quindi come tale rappresentare una voce di costo precisa ed
enucleata nei bilanci aziendali.

Formazione e capitale umano quindi sono il binomio sui cui


puntare per rilanciare le sfide che i distretti stanno
raccogliendo nei nuovi contesti competitivi, il capitale umano
perciò diventa il principale asset delle aziende, ed il suo livello
di qualificazione rappresenta la vera differenziazione tra le
stesse.

Internazionalizzazione/ globalizzazione
Le dinamiche di apertura di nuovi mercati e i mutamenti
politici avvenuti hanno prefigurato scenari di ampliamento e
di delocalizzazione di attività manifatturiere, favorite da
condizioni ambientali particolari e supportate dal sempre
crescente livello di informatizzazione. Le aziende dei distretti
esportano mediamente più del 50% della loro produzione, il
distretto, perciò, appare come una struttura industriale,
quindi già internazionalizzata (nel senso che vende all’estero
gran parte dei prodotti finiti), ma non è ancora abbastanza
globale, se con questo termine si intende una catena
produttiva distribuita su una pluralità di Paesi, ciascuno dei
quali viene scelto per i vantaggi che rende accessibili alla fase
che ospita. Per passare dall’internazionalizzazione
all’organizzazione globale della catena produttiva, infatti,
bisogna inoltrarsi in processi di delocalizzazione delle fasi
“povere” della catena, in strategie di networking o di
investimento diretto all’estero, per avere accesso ai luoghi
eccellenti in cui prendono forma le nuove idee tecnologiche o
di business.
In questo senso oltre che avere come riferimento di sbocco
della produzione i mercati esteri, il processo di globalizzazione
deve coinvolgere le diverse fasi del processo di produzione.
Per quanto rimangano indispensabili e da potenziare gli
aspetti relativi alle informazioni sui mercati tradizionali e sui
nuovi mercati, l’analisi deve riguardare anche i partner
possibili e le potenzialità dei territori. Queste informazioni

138 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


devono essere raccolte e rese accessibili per supportare le
politiche di penetrazione e di eventuale partnership. Occorre
globalizzare la catena della produzione, affiancando alla fase
della distribuzione e vendita anche le fasi che possono
sfruttare convenientemente le opportunità dei territori di
nuova espansione. Diversificare cioè l’estero per luoghi di
produzione e luoghi di vendita, istituendo anche strategie di
networking e co-business che coinvolgano peculiarità proprie
degli ambiti esteri da coinvolgere.
Le aziende distrettuali possono essere supportate nelle fasi di
pianificazione e, soprattutto, nelle fasi operative, da enti e
istituzioni già esistenti che creino e forniscano strumenti di
assistenza.
Tuttavia le opportunità che si sono create con l’ampliamento
dei mercati coincidono anche con l’entrata di nuovi
competitori nel mercato interno prima e internazionale poi.
Favoriti da condizioni socioeconomiche depresse, dove fattori
come costo del lavoro e costo ambientale non incidono come
nei Paesi occidentali, nuovi attori si sono fatti largo sul
mercato dei beni, soprattutto in quei luoghi dove la
competizione avviene sulla base del prezzo.
Parimenti alle opportunità che la delocalizzazione ha portato
nell’ordine di diminuzione dell’incidenza del costo del lavoro
si sono create situazioni di svantaggio ambientale locale.
Il parallelo sviluppo delle tecnologie di rete ha supportato e
amplificato, almeno in una prima fase, il fenomeno di
destrutturazione del distretto. L’allargamento dei confini
geografici, sulla spinta dei vantaggi economici e del supporto
tecnologico, ha allentato i legami di contiguità territoriale che
caratterizzavano il distretto italiano e sui quali basava la sua
forza.
Il destino delle aziende fornitrici locali, infatti, è destinato a
cambiare. Si modifica sia l’intera configurazione della rete che
si avvicina progressivamente alla cosiddette “reti lunghe”, sia
le interconnessioni delle “reti corte”. quante imprese
distrettuali, tenuto conto che il 90% ha meno di 10 addetti,
può affrontare concretamente un serio processo di presenza su
nuovi mercati di sbocco, quando con difficoltà mantengono i
propri mercati regionali e/o nazionali? Per passare
dall’internazionalizzazione all’organizzazione globale della
catena produttiva bisogna inoltrarsi in processi di

| 139
delocalizzazione delle fasi “povere” della catena, in strategie di
networking o di investimento diretto all’estero per avere
accesso ai luoghi eccellenti in cui prendono forma le nuove
idee tecnologiche o di business. Ma in questo percorso, ad
esempio, è assai improbabile coinvolgere anche l’universo
delle microimprese che tanta parte hanno avuto anche nei
successi delle imprese leaders distrettuali, evitando
delocalizzazioni solo “da costi comparati” che rappresentano
un impoverimento del territorio.

Innovazione tecnologica e tecnologie di rete


Rispetto al problema dell’innovazione una delle difficoltà per
la maggior parte delle piccole imprese distrettuali riguarda
l’accesso alle agevolazioni pubbliche per gli investimenti
tecnologicamente innovativi. L’atteggiamento delle imprese
rispetto al ricorso ai finanziamento pubblici appare alquanto
critico, soprattutto per l’impossibilità di pianificare
investimenti innovativi sulla base dell’accettazione di
domande di finanziamento. In questa situazione, è inevitabile
che in molti casi, più che un programma di investimento in
attività innovativo da realizzare per migliorare la propria
posizione competitiva, le PMI vedano nella legge di
agevolazione una fonte importante di finanziamento del
capitale circolante dell’impresa.
Anche in questo caso si tratta di favorire forme e modalità di
finanziamento più semplici e gestibili dalle piccole imprese
distrettuali, nonché di introdurre forme di agevolazione che
favoriscano l’aggregazione di imprese su progetti congiunti di
interesse distrettuale, quantomeno a livello precompetitivo.
Ciò appare particolarmente importante per tutti quei progetti
che si riferiscono alla new economy come i portali di distretto
ecc…
A questo proposito, un’innovazione particolare che sta
interessando in modo pervasivo anche i distretti industriali è
rappresentata dalla diffusione delle tecnologie di rete
(internet based). A questo riguardo la letteratura si è via via
arricchita di posizioni tra loro spesso contrastanti sull’impatto
che tali tecnologie avranno sul modello distrettuale. Appare,
tuttavia, condivisibile la tesi che indica come la penetrazione
di tali tecnologie non metterà in discussione la formula
distrettuale, ma potrà, a certe condizioni, favorirne lo

140 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


sviluppo. Le relazioni interpersonali che regolano i rapporti
all’interno dei singoli distretti, le diverse forme di
aggregazione esterne ai luoghi di produzione, le
comunicazioni informali che si fondano sul vissuto collettivo,
la comune cultura del produrre, sono ambienti difficilmente
replicabili sulla Rete, seppur con le dovute declinazioni.
Discorso diverso deve essere fatto per le relazioni extra
distrettuali. L’enorme facilità di accesso alla comunicazione
globale deve solo riuscire a trovare una matrice, un linguaggio
comune, ed i sistemi di certificazione ne sono un esempio.
Una volta perfezionato l’idioma, e quando gli scambi di
informazioni saranno standardizzati, la capacità delle imprese
distrettuali di “fare rete” travalicherà i confini del distretto; e
questo, in parte, sta già avvenendo. I distretti industriali,
notoriamente specializzati nelle produzioni del Made in Italy,
stanno subendo delle trasformazioni. Accanto agli abituali
interlocutori, nuovi partners si stanno affiancando alle
imprese, già da tempo abituate a dialogare con i mercati esteri
in termini di sola esportazione. Globalizzazione e IT stanno
mutando il panorama di riferimento delle aziende distrettuali,
ed esse si adattano, modificano il loro approccio, ma
continuano ad essere realtà di distretto: orecchio teso al
brusio del mondo telematico e piedi ben saldi sul territorio. Si
direbbe un connubio vincente tra globale e locale.
Proprio per questo, nonostante i cambiamenti in atto, non è
possibile identificare nuovi modelli di organizzazione
produttiva alternativi agli attuali distretti industriali.
È invece più probabile, così come stiamo già notando,
un’evoluzione dei distretti che si avvalga della IT, declinata
rispetto alle diverse specificità territoriali e in cui tradizione
produttiva, flessibilità organizzativa, nuove tecnologie, stretti
legami territoriali, valori sociali condivisi ed
internazionalizzazione si fondono, dando vita alla via
distrettuale alla new economy e alla globalizzazione.
Utilizzare, ad esempio una piattaforma digitale consente di
modificare gli attributi elementari dell’informazione e questo
aspetto nell’ambito dei rapporti fra le imprese distrettuali,
assume particolare rilevanza, la possibilità, infatti, di
diffondere informazioni, anche complesse, ad un numero
elevato di soggetti senza la necessità di relazioni di natura
interpersonale (tipiche dei distretti) e ciò nell’ambito dei

| 141
rapporti fra le imprese, favorisce una
disaggregazione/riaggregazione delle attività precedentemente
legate nelle catene del valore, in nuovi cluster dalle
caratteristiche differenti.
Questa destrutturazione dei network tradizionali è 1’elemento
centrale che contribuisce a spiegare 1’impatto del commercio
elettronico sulle reti operanti nei distretti, e l’ulteriore
tendenza a ridisegnare 1’architettura, interna ma soprattutto
esterna, del sistema relazionale che governa gli scambi
economici nei distretti industriali. Rispetto alla struttura
distrettuale tradizionale, la digitalizzazione provoca, dal punto
di vista delle reti economiche, un allargamento delle
potenzialità relazionali e quindi anche e soprattutto dei
percorsi cognitivi delle imprese distrettuali.
Nasceranno progressivamente nuovi Distretti Digitali, dove a
differenza di quelli reali caratterizzati dalla prossimità fisica
delle imprese aderenti al distretto stesso, le imprese dei nuovi
Distretti apparterranno sempre allo stesso settore ma saranno
localizzate dove è più conveniente essere per svolgere l’attività
ed il ruolo di competenza.
Si può intravedere, a questo riguardo, la dilatazione del
concetto di distretto da una realtà geografica ristretta ad uno
spazio fisico più ampio e virtualmente illimitato, in cui è
possibile attivare relazioni con operatori geograficamente
distanti e fruire della cooperazione tra più attori rispetto a
quella possibile in un distretto fisico, dove tuttavia la sfida è
rappresentata dalla possibilità di ricreare i vantaggi derivanti
ad esempio dall’adiacenza degli operatori tipica dei distretti
tradizionali.

3.4.2 Gli scenari futuri : dai distretti tradizionali al metadistretto


Si è detto che alla base dell’evoluzione dei distretti stanno gli
aspetti cognitivo-relazionali dei loro principali attori, in
particolare le imprese leader che si sono andate affermando
negli ultimi anni.
Queste, alla ricerca di un miglioramento delle proprie
performance, da un lato ristrutturano i network di imprese ad
esse connesse e dall’altro attuano una modifica delle proprie
dinamiche cognitive.

142 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Tali processi di riconfigurazione organizzativa dei network
comportano una progressiva “apertura” del distretto ed un
suo allargamento al di là dei tradizionali confini territoriali,
giungendo fino a comprendere “spezzoni” di distretto in altre
regioni e anche in altri Paesi.
Il venir meno dei vincoli di continuità territoriale, almeno per
quanto riguarda il sistema delle imprese, ha allargato i confini
del distretto ai luoghi di decentramento della produzione.
Benché i soggetti coinvolti appartengano ad aree geografiche
anche molto distanti, il sistema dei valori di riferimento
rimane quello distrettuale. Alla delocalizzazione non è infatti
corrisposto un parallelo allargamento dei rapporti fiduciari
instaurati nell’ambito geografico di riferimento
Il distretto, quindi, si va strutturando su due dimensioni con
diversi “gradi” di apertura: la dimensione sociale che sembra
mantenere un livello di “chiusura” elevato, la dimensione
economica che appare invece sempre più “open”.
L’introduzione, a questo proposito, del concetto di
metadistretto cerca di cogliere e definire le trasformazioni
date dalla delocalizzazione, ridefinendo il ruolo del distretto
all’interno della filiera produttiva. Il metadistretto è il luogo,
non geograficamente definibile, della produzione sia di beni
ma anche di conoscenza. Il concetto di filiera del processo di
produzione si amplia comprendendo i luoghi di elaborazione
cognitiva, di ricerca teorica e applicata, le università, i
momenti produttivi ancora legati ad una logica territoriale, i
distretti, e le fasi di manifattura vera e propria, che possono
essere anche all’estero.
Un’ ulteriore spinta in questa direzione, come si è detto,
sembra provenire dallo sviluppo di internet e del commercio
elettronico che determinano cambiamenti rilevanti negli
assetti e nella natura delle interdipendenze competitive e
relazionali che coinvolge le imprese.
Se concordiamo, infatti, sul processo evolutivo in atto nei
principali distretti, che sostanzialmente tende a
“deterritorializzare” le reti economiche, i “metadistretti” sono
il prodotto dell’evoluzione dei distretti tradizionali.
Evoluzione che significa la riconfigurazione in atto delle
filiere principali che operano nel distretto, partendo dal
territorio e risalendo via via ai livelli più elevati della filiera
fino ai centri/enti produttori di conoscenza (università, centri

| 143
di ricerca, etc.).
Il metadistretto, quindi, parte da un processo evolutivo reale e
inserendolo nel modello distrettuale del tipo cognitivo-
relazionale, quindi, non è altro che la configurazione delle
nuove dinamiche cognitive del distretto e dei nuovi attori che
su di esse operano.
Con questo approccio il concetto di “metadistretto” è anche
più facilmente trasferibile sul fronte delle politiche. In
quest’ottica ad esempio non si tratta tanto di individuare
nuove aree settoriali, quanto di individuare nuovi sistemi di
relazioni e nuove aggregazioni di filiera a partire dai settori
“distrettuali” già presenti, o eventualmente da “nuovi settori
distrettuali” non strettamente riconducibili a quelli
tradizionali (software, design, etc.).
L’assunzione, quindi, del metadistretto come evoluzione
deterritorializzata del distretto tradizionale richiede un “salto
qualitativo”, anche sul fronte delle politiche, le quali devono
sempre più focalizzarsi non tanto e non solo su delimitazioni
territoriali specifiche, quanto su interventi sui processi di
riconfigurazione dei networks e sul sistema di relazioni che ad
essi sottendono, sul rafforzamento delle dinamiche cognitive
degli attori vecchi e nuovi e sulla costruzione di comunità
virtuali che riproducano in forme rinnovate le tradizionali reti
sociali dei distretti.
La definizione concettuale del metadistretto consente, infatti,
di ripianificare i luoghi di intervento di sostegno alle imprese
da parte delle istituzioni nazionali e locali. Per poter attuare
una politica mirata è necessario ricostruire la catena del valore
ed intervenire nei luoghi di competenza territoriale.
All’estero è necessario creare situazioni ambientali favorevoli
all’insediamento delle strutture necessarie al completamento
delle fasi cui sono preposte. La fase di manifattura, ad
esempio, più convenientemente eseguibile in Paesi con un
costo della manodopera inferiore, può essere supportata da
politiche di gemellaggio e partnership con le istituzioni e gli
enti esteri.

144 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


3.4.3 I percorsi possibili: da una logica adattiva ad una logica
proattiva
Quanto fin qui esposto si traduce in un unico obiettivo: la
necessita di migliorare le capacita competitive del modello
distrettuale, soprattutto attraverso una rinnovata capacità di
innovazione. Si tratta di favorire muove modalità gestionali
dei processi di innovazione meno casuali ed incrementali, ma
più sistematici e continui, frutto di azioni pianificate. Al fine
di acquisire una maggiore efficienza dinamica e migliorare
non solo la capacita adattativa di prevedere e rispondere ai
cambiamenti dell’ambiente, ma soprattutto di sviluppare
abilità proattive di generazione del cambiamento stesso.
Per consolidare questo disegno che va prefigurandosi, le
aziende distrettuali dovranno trovare le forme per inserire
sempre più valore aggiunto al prodotto tradizionale.
Il distretto è, e dovrà sempre più essere, un laboratorio
cognitivo in grado di decifrare i messaggi, interiorizzarli e farli
diventare occasioni di ulteriore sviluppo.
L’identità stressa del distretto dovrà muoversi dalla logica
adattativa, che lo ha sempre contraddistinto, verso una logica
proattiva. La flessibilità del distretto è stato uno dei vantaggi
competitivi del modello, ma adesso sono necessarie scelte a
livello strategico.
Le politiche da attuarsi per sostenere il riposizionamento del
distretto all’interno delle logiche globali devono essere
condotte sia dalle istituzioni locali, sia principalmente dalle
aziende e devono riguardare, come già detto, le risorse umane
e il grado d’innovazione.
La cultura imprenditoriale distrettuale deve comprendere la
validità dell’investimento oltre che in attrezzature anche nella
formazione del personale già presente in azienda o di nuova
acquisizione.
Il riposizionamento del prodotto tradizionale, così come i
nuovi prodotti, necessitano di quote d’innovazione che
aggiungano maggior valore al bene. L’investimento, oltre che
in risorse umane, va quindi anche direzionato nei confronti
della ricerca.
Fattori come la ricerca di design e le nuove tecnologie
possono introdurre quello che viene definito valore
emozionale al prodotto. La competizione si sposta dal piano
della migliore rispondenza alla funzionalità a quello del valore

| 145
aggiunto. Il rapporto con le istituzioni di alta formazione e
ricerca, come l’università, possono sopperire, tramite la
creazione di progetti mirati, alle scarse economie di scala che
la singola azienda è in grado di investire. I temi di ricerca
devono essere mirati sì al soddisfacimento dei bisogni
dichiarati dal singolo distretto o aggregazione di imprese, ma
devono soprattutto mettere in luce quegli ambiti in cui è
possibile ancora espandersi, non rilevabili con una logica di
innovazione incrementale, più efficace per il processo
produttivo, nel quale il distretto è luogo di eccellenza.
Passare da un approccio adattivo ad un approccio proattivo,
richiede ai distretti di sviluppare nuove strategie basate sulla
capacità di arricchimento dei loro prodotti con quote
crescenti di informazioni e con avanzamenti scientifico-
tecnologici prodotti dall’ambiente esterno al distretto,
finalizzate ad aumentare il valore aggiunto incorporato nei
prodotti, passando sostanzialmente da un modello di sviluppo
di tipo “estensivo” ad un modello “intensivo”.

La comprensione delle dinamiche in atto nei distretti


produttivi italiani e la definizione degli strumenti concettuali
necessari alla modellazione delle mutate realtà sono necessari
per operare politiche di supporto efficaci.
I distretti sono caratterizzati da una peculiare acefalità, la
mancanza, cioè, di un centro decisionale, sostituito da una
sommatoria di decisioni singole che diventano politica
diffusa. La caratteristica adattabilità del distretto, o meglio,
dei soggetti imprenditoriali presenti, può comprendere il
mutamento del sistema competitivo di riferimento e già, in
parte, lo ha compreso.
Per poter rispondere alle nuove sfide che questo comporta
l’imprenditore, attore principale del processo, deve poter
essere messo in grado di perseguire la sua vocazione alla
business idea, supportandolo sia con l’introduzione di figure
professionale gestionali, sia creando momenti di formazione
mirata a sviluppare la propensione all’innovazione strategica,
avendo ben chiaro le tendenze in atto che sono cosi
riassumibili:
- Lo spostamento verso un sistema governato dalla
conoscenza: il progressivo superamento della
configurazione marshalliana e l’evoluzione del

146 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


distretto verso una configurazione di rete aperta, ossia
di rete locale integrata in network globali di
produzione, circolazione e utilizzazione delle
conoscenze, “porta da un sistema di divisione
produttiva del lavoro - un sistema al centro del quale
c’è la capacità di governare le operazioni materiali di
fabbrica e nel quale le imprese distrettuali hanno
finora saputo collocarsi con successo - ad un nuovo
sistema governato dalla conoscenza, nel quale perciò la
risorsa critica è la capacità di gestire flussi informativi
globali, di saper comunicare mediante linguaggi
scientifico-tecnologici e di governare moduli
organizzativi complessi”;
- La centralità dei processi interattivi intesi come
articolazione delle relazioni cooperative e fiduciarie tra
imprenditori del distretto, organizzazione pluralistica
del processo produttivo, rapporto cooperativo tra
imprese, dimensione sistemica. L’elemento
interpretativo da indagare con attenzione riguarda la
valenza del concetto di capitale sociale all’interno del
sistema di aggregazione distrettuale e di come le
politiche rispondono alla progressiva dissipazione di
capitale sociale verso forme di degenerazione del
vivace e dinamico sistema di interazione locale;
- “Il distretto è un contenitore del caleidoscopio di
ambizioni e frustrazioni, di forme competitive,
emulative e collaborative, che solcano la comunità
retrostante, congegnato in modo tale da penalizzare,
ostracizzando i “furbastri”, i comportamenti
sfavorevoli e da premiare, conferendo patenti di
affidabilità, quelli favorevoli allo sviluppo
distrettuale”. (Beccattini)
- La rilevanza emergente di strutture di servizi che
svolgono la funzione di interfaccia cognitiva tra il
contesto locale e le reti lunghe del globale, con la
costituzione di una sorta di attore istituzionale di
distretto che si configura come agenzia che
accompagna l’evoluzione del contesto produttivo,
calibrata sulle esigenze delle imprese locali e su
meccanismi originali di competizione e cooperazione.

| 147
In conclusione, oltre a quanto fin qui esposto e a fronte delle
grandi trasformazioni che stanno interessando e che
attendono i distretti industriali nel loro immediato futuro,
pare opportuno sottolineare la necessità per i distretti
industriali, e gli attori che in essi operano, di ritrovare la
volontà ed il consenso per aggregare e perseguire gli interessi
generali del territorio. Quando si prendono in considerazione
investimenti in ricerca, in formazione continua in
infrastrutture materiali o immateriali, si vede spesso che il
circolo vizioso da vincere è proprio quello della mancanza di
convenienze individuali che si accoppia, spesso all’assenza di
istituzioni o enti capaci di funzionare come catalizzatori.
In presenza di questi circoli viziosi che bloccano le capacità
spontanee di evoluzione dei sistema attuale, è possibile
prevedere un disagio ulteriormente crescente all’interno dei
distretti.
Sul futuro dei distretti, quindi, incombe tutta una serie di
domande che sono pesanti come macigni, ma da qui a
decretare, come capita sempre più spesso, la fine dei distretti
il passo sembra un po’ azzardato. Certamente la storia
economica ci ricorda, che la realtà dei distretti industriali
come qualsiasi modello organizzativo o si evolve o scompare,
vedi ad esempio l’esperienza inglese della fine ottocento e dei
primi del novecento. Ma è convinzione, per fortuna non solo
mia, ma di molti altri più illustri “cultori”, che nel “dna” dei
principali e più consolidati distretti italiani ci siano le capacità
e le risorse umane e tecnico-economiche per reagire.
Sicuramente la fase di sviluppo estensivo è finita, ed inoltre,
probabilmente, il distretto da solo, in forma spontanea non
riesce a mettere in campo risposte adeguate al profilo delle
sfide che ha di fronte. Se vogliamo salvaguardare il
“patrimonio” dei distretti, quindi, è il momento di passare
“dalle parole ai fatti” concreti in tema di politiche per i
distretti. Politiche che riguardano senz’altro le tematiche fin
qui citate, ma affrontate con un’ottica reale di sistema, che
coinvolga tutte le tipologie delle imprese distrettuali. Ben
sapendo che se le imprese leaders non innovano o non si
internazionalizzano o non investono in formazione, ben
difficilmente lo potranno fare le microimprese che vivono di
domanda derivata. Ben sapendo che se le banche non si
“coinvolgono” nel processo di sviluppo locale, anche

148 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


attraverso strumenti innovativi (ricordo ancora il bond di
distretto), manca un pilastro fondamentale al
riposizionamento del distretto. Ben sapendo che se la
“politica” non fa il suo mestiere, anche e soprattutto a livello
europeo, attivando criteri di tutela del patrimonio industriale,
tecnologico ed umano rappresentato dai distretti italiani, con
azioni attive di difesa come marchi d’origine e, perché no,
anche criteri più restrittivi di salvaguardia, il tutto si traduce
in una perdita secca per il nostro Paese.
Dunque, allo spontaneismo, che finora ha alimentato la
crescita e l’evoluzione dei distretti, bisogna affiancare una
ridefinizione degli attori istituzionali che accompagnino
l’evoluzione del contesto produttivo, in modo calibrato sulle
esigenze delle imprese locali e sui meccanismi originali di
competizione e cooperazione, tutelando così il capitale sociale
o di rete che è tipico dei nostri distretti. I distretti, da parte
loro, devono reinvestire su se stessi attraverso una sorta di
“manutenzione del vantaggio” acquisito ripartendo dalla
definizione di progetti condivisi e dalla messa a disposizione
di risorse condivise tra pubblico e privato, con la finalità di
aggiornare e rafforzare la loro capacità competitiva. Tutto ciò
dovrebbe calarsi in un contesto di profonda rivisitazione
anche delle politiche industriali, non più infatti politiche
disorganiche e autonome di formazione, innovazione,
internazionalizzazione ecc… a scala verticale di singoli settori,
ma bensì politiche orizzontali in cui gli oggetti diventano i
sistemi produttivi e la loro organizzazione per filiere, dalla
materia prima al prodotto finito, anche organizzati in specifici
territori distrettuali.

| 149
4
Design e Nuove forme di distrettualità riconosciuta1

4.1 Introduzione

Come è emerso dai paragrafi precedenti la situazione


congiunturale negativa nella quale versa l’economia nazionale
ha fatto guardare all’intero sistema produttivo nazionale con
un occhio diverso. Ci si è sempre più resi conto che la
possibilità di rinascita del nostro Paese passa attraverso il
riconoscimento e la valorizzazione di sistemi di risorse non
più solo produttive ma anche legate alla valorizzazione di beni
differenti (culturali, ambientali, legati alle tradizioni
artigianali ecc.).
La disciplina del design, in questo specifico contesto, si è
posta il problema ed ha cercato di definire, attraverso una
serie di azioni di ricerca , come il progetto possa agire a favore
2

1
di Arianna Vignati
2
L’Agenzia SDI | Sistema Design Italia del Politecnico di Milano e la varie sedi
nazionali delle rete SDI | Sistema Design Italia partendo dalla prima ricerca sul

| 151
dell’innovazione nella complessa realtà di localismi presenti in
Italia ognuno con peculiarità, disponibilità di risorse, attori
propri e differenti. Questo capitolo si apre proprio con una
ricognizione nazionale sulle nuove forme di distrettualità
presenti a livello nazionale, scaturite da un lavoro di
riconoscimento del complesso sistema di risorse che
costituiscono il potenziale di crescita dell’intero Sistema
Paese. Accanto, infatti, a forme consolidate di distretti
industriali si sono configurate realtà distrettuali che si
fondano sulla connessione di risorse agroalimentari
(giacimenti enogastronomici), risorse turistiche (distretti
turistici), risorse culturali (distretti culturali) e risorse legate a
conoscenze specifiche e diffuse (metadistretti).
Questa complessità di situazioni ha fatto sì che la relazione tra
design e differenti conformazioni delle realtà distrettuali
venisse trattata in termini di metodologia, strumenti e
competenze in atto confrontandosi con un ampio tema che è
quello dello sviluppo locale. A partire dal riconoscimento di
questo nuovo ambito di progetto nel capitolo verranno
trattate le seguenti tematiche:
- i nuovi modelli di distretto non propriamente
industriali, distretti culturali e distretti per la
valorizzazione dei prodotti tipici locali;
- la ricerca-azione come modalità di azione del design
per i sistemi territoriali;
- design for trust, con la fiducia intesa come principale
attivatore di relazione tra sistema del design e sistemi
produttivi locali.

Sistema Design Italia co-finanziata dal MIUR (Il ruolo del Disegno Industriale per
l'innovazione di prodotto. Sviluppo delle risorse progettuali del Sistema Italia tra risorse
locali e mercati globali.) nel 2000, dopo aver mappato a livello nazionale la relazione
tra design e imprese relativamente allo sviluppo dei sistemi prodotto aziendali,
hanno esplorato le tematiche del Design, Distretti Industriali e ICT (Il Design per i
Distretti Industriali. Sistemi di competenze e nuove reti di connessione per la
competitività dei Sistemi Produttivi Locali italiani) e nel 2002 hanno esteso
ulteriormente il campo di indagine conoscitiva grazie alla ricerca Me.Design:
strategia, strumenti e operatività del disegno industriale per valorizzare e potenziare le
risorse dell'area mediterranea tra locale e globale che ha visto concentrare le attenzioni
dei ricercatori proprio sulle tematiche legate allo sviluppo locale e precisamente
sulla definizione di un ruolo del design nei processi di sviluppo locale incentrati
sulla valorizzazione del Capitale Territoriale.

152 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


4.2 Nuove forme di distrettualità riconosciuta

A partire dal processo legislativo di riconoscimento dei


distretti industriali, la prima revisione ai parametri
identificativi del fenomeno dei distretti è stato solo il primo
passo di un percorso di ampliamento del fenomeno dei
distretti non solo alle aree vocate industrialmente, ma anche a
quei sistemi economici che fondano il loro vantaggio
competitivo sui legami territoriali, sull’interdipendenza
generata dalla localizzazione di tante attività economiche in
una stessa area e sulla relazione biunivoca "identità-visibilità”.
Questo percorso di ampliamento nasce soprattutto dalla
constatazione che i processi di sviluppo del sistema industriale
italiano (che come abbiamo visto è riconducibile al fenomeno
dei distretti industriali) se è vero che nel nostro Paese ha
interessato soprattutto quei settori produttivi relativi al Made
in Italy (tessile, legno-arredo, ecc.) è altrettanto vero che ha
trovato terreno fertile in quel processo diffuso di
valorizzazione delle risorse territoriali, che sempre di più
costituiscono il fondamento economico del nostro Sistema
Paese (risorse legate al turismo, alla cultura, alla disponibilità
di oasi naturalistiche, all’artigianato, ecc.).
Un primo passo di estensione della parola distretto a quei
fenomeni, non strettamente industriali, ma con caratteristiche
simili in termini di specializzazione e di forte territorialità
riguarda i giacimenti enogastronomici che il movimento Slow
Food3 dal 1989 ha sapientemente caratterizzato con il
termine di Presidi4: lardo di Colonnata, cipolle di Tropea,

3
Fondata da Carlo Petrini, Slow Food è un’associazione internazionale che
conta 82.000 iscritti, con sedi (in ordine di nascita) in Italia, Germania,
Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, oltre a rappresentanze in 107 diversi
Paesi. Slow Food si impegna nella salvaguardia dei cibi, delle tecniche colturali
e di trasformazione ereditate dalla tradizione, nella difesa della biodiversità
delle specie coltivate e selvatiche, nonché nella protezione di luoghi conviviali
che per il loro valore storico, artistico o sociale fanno parte anch’essi del
patrimonio gastronomico.
4
Il progetto dei Presìdi mira a sostenere le piccole produzioni eccellenti che
rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano mestieri e tecniche di
lavorazione tradizionali, salvando dall’estinzione razze autoctone e antiche
varietà di ortaggi e frutta. I Presìdi coinvolgono direttamente i produttori,
offrono l’assistenza per migliorare la qualità dei prodotti, facilitano scambi fra
Paesi diversi e cercano nuovi sbocchi di mercato (locali e internazionali). In

| 153
pane di Altamura, pasticcerie di Ragusa, tartufi delle Langhe,
prosciutti di cinta senese sono solo alcuni dei prodotti
agroalimentari che fondano la loro peculiarità su una forte
contestualizzazione e concentrazione del know how
produttivo in aree vocate, che raccolgono un sistema
complesso di realtà economiche strettamente connesse ad una
particolare tipologia di prodotto agroalimentare (realtà
produttive, distributive, di comunicazione ecc.). Un know
how unico e trasversale, che va dalla produzione della materia
prima (che beneficia di un humus assolutamente unico dal
punto di vista naturalistico, dell’ambiente, del clima, ecc.) alla
trasformazione del prodotto, alla conservazione, ecc. Un
nuovo modello di distretto che anche gli economisti non
stentano ad inserire nel panorama del Made in Italy, come
conferma Fortis: tutto questo è a nostro avviso il Made in Italy:
cioè la parte più vitale della nostra economia, imperniata sulle
piccole e medie imprese e sui distretti industriali, capace di
conquistare grandi posizioni di leadership sui mercati di tutto il
mondo. Non solo moda, dunque, ….(ma anche).. prodotti
alimentari tipici e vini di riconosciuta notorietà5.

Sul versante della disponibilità ampia e diffusa di beni


culturali, grazie ad un consistente lavoro dell’Associazione
Civita6, dal 1999 si inizia ad introdurre nel pensiero collettivo
ed istituzionale il termine di distretto culturale che proprio
Civita definisce come “aree urbane che si specializzano in
quanto contengono la più alta concentrazione di attività e luoghi
per l'arte e lo spettacolo". Con l’introduzione del concetto di
distretto culturale il termine distretto si “lascia” quasi
definitivamente alle spalle quella connotazione produttiva
(dal punto di vista industriale) che lo aveva caratterizzato,

Italia sono circa 200 e tutelano i prodotti più diversi. Con i primi 65 Presìdi
internazionali l’universo di Slow Food si è allargato a tutta la biodiversità del
mondo: dal riso Adan in Malesia alla vaniglia di Mananara nel Madagascar.
5
Fortis, 1998
6
Il consorzio Civita, costituito nel 1990 per la promozione e il sostegno di
progetti e di interventi in campo culturale, raccoglie, intorno a questo
obiettivo, enti pubblici di ricerca (CNR, ENEA, Università della Tuscia) e
imprese con alti profili tecnologici (Enel, Hydro, IBM). In questi anni ha
acquisito una notevole esperienza nell’ambito della progettazione dei servizi per
la cultura, turismo e sviluppo sostenibile del territorio e delle sue economie
locali, suggerendo, a tal fine, la creazione di distretti culturali

154 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


sposando invece una dimensione di produttività più ampia:
della cultura, degli eventi, dei servizi, ecc.
Il Consorzio Civita, al 1999, individua 72 potenziali distretti
culturali: 21 nel nord-ovest, 20 nel nord-est, cinque nel
centro e 26 nel sud e nelle isole. La valorizzazione dei beni
culturali compresi in queste aree favorirebbe, vista la
significativa concentrazione al sud, una crescita economica di
tali aree soprattutto dal punto di vista occupazionale, dando
un significativo impulso a tutta l’economia locale.

Spingendo su questa leva, legata appunto alla disponibilità di


risorse fortemente connesse alla dimensione del turismo
nazionale, che ACI-CENSIS7 hanno pubblicato nel 2002 il
rapporto sui distretti turistici. Il rapporto, ha censito 299
distretti turistici (96 marini, 37 artistico culturali, 137
montani, 29 integrati) dove complessivamente vivono 22,4
milioni di italiani e operano 16.600 ristoranti e 24.300
alberghi.

Poco prima il fenomeno dei distretti turistici era stato


analizzato nel rapporto annuale Istat: “l’intero territorio che va
da Bellaria, Igea Marina sino a Cattolica è un complesso di oltre
5.000 tra esercizi e locali, caratterizzati da un’organizzazione
continuata e a rete che consente al turista di fruire di un’offerta
personalizzata, tagliata ad opera del distretto sulle esigenze della
singola domanda”. In alta stagione il distretto di Rimini impiega
40.000 persone (25.000 in più rispetto alla bassa stagione!) con
una netta prevalenza di lavoro femminile (65 a 35); “la spiaggia
è la risorsa più significativa”.

7
Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca
socioeconomica fondato nel 1964. A partire dal 1973 è divenuto Fondazione
riconosciuta con D.P.R. n. 712 dell'11 ottobre 1973, anche grazie alla
partecipazione di grandi organismi pubblici e privati. Da più di trent'anni
svolge una costante attività di studio, consulenza, valutazione e proposta nei
settori vitali della realtà sociale, ossia la formazione, il lavoro, il welfare, le reti
territoriali, l’ambiente, l’economia, lo sviluppo locale e urbano, il governo
pubblico, la comunicazione e la cultura.

| 155
I processi di "distrettualizzazione" hanno lambito,
praticamente, tutto il Paese ma non sono ancora conclusi. La
Regione Toscana, infatti, si accinge a istituire i "distretti
rurali", una nuova categoria (che non sarà certo l'ultima) il
cui riferimento ideale è costituito dal Chianti. I distretti rurali
sono stati definiti come "sistemi economico-territoriali" con
una produzione agricola "coerente con le vocazioni naturali del
territorio e significativa per l'economia locale", un'identità
storica omogenea, una consolidata integrazione tra attività
agricole e altre attività locali . 8

8
Gli articoli 1 e 13 del D.L. 18.05.2001 n. 228 ("orientamento e
modernizzazione del settore agricolo, a norma della L. 5.03.2001 n. 57")

156 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Ciò che emerge da questo quadro è certamente un contesto,
quello nazionale, complesso, variegato, ma che a ben guardare
può essere letto con un filtro di analisi che consente di
trattenerne gli aspetti caratteristici, le invarianze, le peculiarità
ricorrenti. Il territorio è una di queste, inteso come sistema
complesso di risorse produttive, ambientali, socio-culturali
ecc., la disponibilità di queste risorse è un’altra ed infine la
capacità di valorizzare con iniziative imprenditoriali queste
risorse sono certamente aspetti comuni di tutte le realtà
distrettuali evidenziate. Il punto di partenza per una
riflessione sul ruolo del design in questo contesto potrebbe
essere proprio questo: la geografia distrettuale, nella quale il
design può agire, si arrichisce quindi di nuovi sistemi
produttivi territoriali, in un processo più ampio di
valorizzazione di tutte le risorse che sono alla base del sistema
competitivo italiano.

4.3 Design e distretti non industriali: un cambiamento di


prospettiva?

Come si è detto nei paragrafi precedenti sempre più il tema


della relazione tra design e distretti industriali è oggetto di
riflessione non solo di chi si occupa di design ma anche e
soprattutto di chi si occupa di politica di sviluppo industriale.
Si fa spazio, anche a livello istituzionale, la consapevolezza
dell’importanza strategica del design in quel lungo e articolato
percorso di affermazione mondiale del cosiddetto Made in
Italy come sinonimo di qualità ed eccellenza che prodotti
come le calzature, l’abbigliamento, i prodotti per la casa, il
mobile hanno faticosamente conquistato. Sono proprio questi
settori produttivi che hanno caratterizzato e che continuano a
caratterizzare la produzione di territori che, come abbiamo
visto, dagli anni 90 sono stati riconosciuti come distretti

ridefiniscono la connotazione dell'impresa agraria e tracciano il profilo dei


distretti rurali e agroalimentari di qualità, stabilendo un collegamento diretto
tra l’impresa agraria e i sistemi produttivi agroalimentari e territoriali.

| 157
industriali. Ora che le cose, a detta dei più, “vanno male”
soprattuto per questi sistemi caratterizzati da piccole e
piccolissime imprese, si guarda al design come leva sulla quale
il sistema industriale italiano deve puntare per far fronte alla
grave situazione economica in cui versano gran parte delle
imprese italiane.

4.3.1 L’oggetto del progetto: dal distretto al capitale territoriale


Se quanto detto fino ad ora è vero allora è plausibile porsi il
problema non solo del design per l’impresa, ma anche del
design per i distretti. Cambia in un certo senso la prospettiva
dell’osservazione delle capacità di sviluppare innovazione da
parte del design: si pone innanzitutto il problema di un
progetto a favore di una collettività di imprese. Non solo.
Come abbiamo visto il termine distretto allude a contesti,
situazioni, ambiti non più solo connotati da una dimensione
industriale, bensì caratterizzati da economie che sfruttano
giacimenti enogastronomici, risorse turistiche e culturali,
bacini di conoscenze diffuse. Confrontarsi con queste realtà
vuol dire perciò occuparsi di progetto per la valorizzazione di
un complesso sistema di risorse produttive, sociali e culturali,
del know how, del sistema ambientale e territoriale che
costituiscono i plus di sistemi locali. Come abbiamo visto nei
paragrafi precedenti esistono differenti forme di distrettualità
tutte ugualmente interessanti e per le quali è possibile porsi il
problema delle potenzialità innovative del design. Ma
facciamo attenzione, nella pratica (soprattutto del progetto)
questi localismi devono essere considerati come un complesso
sistema di risorse, entro i quali è possibile individuarne alcune
che fungono sostanzialmente da leve competitive. Pensiamo
ad esempio alla situazione comasca: come non considerare in
modo integrato la dimensione diffusa e di importanza
mondiale della produzione serica con il contesto ambientale e
culturale? Como, con il suo lago, i suoi promontori, le sue
bellezze paesaggistiche ed ambientali, è (forse potremmo dire
oggi più che mai) meta di un turismo non solo nazionale, ma
sempre più internazionale. Non di rado celebrità dello
spettacolo scelgono Como per residenze di villeggiatura. Ma
Como ha anche un’anima “produttiva”: da più di un secolo è
sede di una fittissima rete di piccole e medie imprese che

158 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


producono nel settore del tessile-abbigliamento, in particolare
per ciò che riguarda le fibre a filo continuo, come la seta.
Queste due anime di fatto convivono e forse potremmo dire,
sono sinergiche tra loro in una ottica di sviluppo e
potenziamento locale. Come per Como potremmo fare
moltissimi altri esempi che servirebbero solo a confermare un
modello di lettura dei distretti che ci consente d’ora in poi di
utilizzare il termine territorio.

Capitale territoriale
La nozione di territorio che da qui in poi sarà l’ambito di
verifica di un modello di intervento del design a scala locale è
da intendersi come capitale territoriale, sposando la
definizione adottata dall’Osservatorio Leader 9

Il “capitale territoriale” è il complesso degli elementi (materiali e


immateriali) a disposizione del territorio, i quali possono
costituire punti di forza o veri e propri vincoli a seconda degli
aspetti presi in considerazione.
Il concetto di “capitale territoriale” non è una nozione statica,
bensì dinamica. Esso corrisponde alla descrizione analitica
dell’idea che si fanno del territorio coloro che sono alla ricerca di
un margine di manovra per agire. Tale concetto è pertanto legato
alla nozione di progetto di territorio, nonché alla ricerca di
competitività territoriale. Ogni territorio cerca una sua
collocazione puntando sull’accesso al mercato, la propria
immagine, il potere di attrarre nella zona abitanti e imprese, la
capacità di rinnovare la gestione degli affari pubblici, ecc. Il
capitale territoriale chiama in causa tutti gli elementi che
formano la ricchezza del territorio (attività, paesaggio,
patrimonio, know-how, ecc.), non per stilare un inventario
contabile, ma per ricercare ed individuare specificità che possono
essere valorizzate. In alcuni territori, ad esempio, ciò può
implicare il recupero di specifici elementi abbandonati, la cui

9
LEADER (Liasons Entre Action de Développement de l’Economie Rurale) è il
programma comunitario per la promozione di azioni di sviluppo locale
riguardanti le aree a vocazione rurale degli Stati appartenenti alla Comunità
Europea. Esso si colloca all’interno delle azioni riguardanti i Fondi Strutturali,
strumenti finanziari dell’Unione Europea mirati ad equilibrare le differenze
socio-economiche presenti tra i differenti Paesi appartenenti all’Unione.

| 159
scomparsa potrebbe accentuare ulteriormente il carattere
impersonale della zona.

Questa lettura del sistema locale ci consente di considerare


come ambito di possibile azione del design quell’insieme
complesso di situazioni che la legislazione e l’attività di ricerca
hanno solo in parte tentato di individuare. Considerare i
sistemi locali come “capitali territoriali” ci consente di
adottare un modello di lettura delle realtà locali complesso ed
allo stesso tempo flessibile e modellabile sulla base delle
differenti conformazioni che proprio le realtà locali assumo
(da quelle strettamente industriali, ai sistemi culturali e
turistici, ai meta-distretti ecc.).

La competitività territoriale
Sul versante delle sfide che questi sistemi locali si trovano ad
affrontare proprio l’Osservatorio Leader pone una questione
cruciale, quello della competitività territoriale, che al di là del
significato economico legato al termine, esprime un insieme
di valori e necessità al tempo stesso da considerare: un
territorio diventa competitivo se è in grado di affrontare la
concorrenza del mercato garantendo, al contempo, una
sostenibilità ambientale, economica, sociale e culturale basata
sull’organizzazione in rete e su forme di articolazione inter-
territoriale. In altri termini, la competitività territoriale
presuppone:
- la ricerca di una coerenza globale, tenendo presenti le
risorse del territorio;
- il coinvolgimento dei vari soggetti e delle istituzioni;
- l’integrazione dei settori di attività in un’ottica di
innovazione;
- la cooperazione con gli altri territori e l’articolazione con
le politiche regionali, nazionali, europee ed il contesto
globale . 10

10
“Innovazione in ambiente rurale”, quaderno n. 6 – fascicolo 1, Osservatorio
Europeo Leader

160 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Sulla base di questa importante osservazione, qualsiasi
progetto per il territorio presuppone quindi che la
competitività si sviluppi su quattro leve chiave: quella sociale,
quella ambientale, quella economica e quella globale:
- la “competitività sociale” impone la necessità di
sviluppare la capacità dei soggetti di intervenire
collettivamente ed in modo efficace a partire da un
processo di concertazione fra i vari livelli istituzionali;
- la “competitività ambientale” impone che il processo
di valorizzazione parta dalla disponibilità di risorse
presenti, garantendo comunque la tutela ed il
rinnovamento di tali risorse;
- la “competitività economica” impone che qualsiasi
processo di innovazione produca il massimo del
valore aggiunto, in un percorso sinergico di
potenziamento delle specificità dei prodotti e dei
servizi locali;
- il posizionamento rispetto al contesto globale impone
che si trovi una collocazione rispetto agli altri territori
e al mondo.

Il concetto di territorio-progetto
Come si colloca questa nozione di capitale territoriale dentro
la logica del progetto? Anche in questo caso la nozione di
territorio-progetto ripresa dall’approccio Leader ci consente,
soprattutto per le caratteristiche disciplinari del design, di
superare la nozione di territorio-unità amministrativa.
Secondo l’idea di territorio-progetto il territorio rappresenta
la base e l’asse che consente di strutturare l’intervento di
qualsiasi strategia di sviluppo. Il territorio che si configura
come il luogo delle relazioni dove si concretizzano azioni di
sviluppo ed innovazione che si diffondono proprio grazie ad
una fitta rete di relazioni locali, attraverso le quali si
scambiano beni di natura materiale ed immateriale.
L’innovazione si configura quindi come un cambiamento
che, di fatto, innesca processi di apprendimento che
coinvolgono differenti saperi, competenze e attori locali. Lo
sviluppo di un sistema locale si configura quindi come “un
processo collettivo d’innovazione territoriale iscritto in una
prospettiva temporale durevole. Esso si radica in un territorio
pertinente, ne federa e organizza in rete gli attori pubblici e

| 161
privati, la società civile organizzata e gli abitanti, e li forma ad
una cultura comune di progetto la cui finalità è il benessere
economico, sociale, ambientale e culturale della collettività e la
cui centralità è l’essere umano” . 11

Possono così essere proposte nuove ed interessanti


configurazioni territoriali, definite in virtù di bisogni di
sviluppo specifici e non soltanto su basi amministrative come
avveniva in passato. Questo approccio introduce il fattore
determinante dell’identità (culturale, storica, geografica) di un
territorio, che si configura come immagine in continua
evoluzione e quindi continuamente aggiornabile con azioni di
progetto locale: l’identità di un territorio è l’insieme delle
percezioni collettive che gli abitanti hanno del proprio passato,
delle tradizioni e del know-how, della loro struttura produttiva,
del patrimonio culturale, delle risorse materiali, del loro futuro,
ecc. Non è un’identità monolitica, ma un insieme complesso
costituito da una miriade di identità proprie ad ogni gruppo
sociale, ad ogni luogo, ad ogni centro di produzione specializzato,
ecc. Questa identità “multipla” non è immutabile ma può, al
12
contrario, evolversi, rafforzarsi, attualizzarsi .

4.4 Il design al servizio dello sviluppo locale

Parlare di design per un sistema locale vuol dire, quindi,


parlare di progetto per la valorizzazione di un sistema ampio
di risorse (produttive, culturali, turistiche ecc.). Cambia
perciò l’oggetto della progettazione: anche quando l’azione è
situata in contesti strettamente produttivi (distretti industriali
tradizionali) l’azione di design non è più, o meglio non solo,
un progetto che ha come oggetto il sistema di offerta con la
quale un’impresa è presente e compete in un mercato, bensì il
complesso sistema di offerta e di produzione delle imprese
distrettuali. Non solo. Potremmo affermare che sullo sfondo
del progetto, rimangono quelle risorse legate all’identità, alla
tradizione culturale locale, le risorse ambientali come

11
Decoster, 2000
12
Osservatorio Leader, 2000

162 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


patrimonio da conservare ecc. Si tratta perciò di un’azione
sistemica, complessa, che coinvolge una pluralità di attori
produttivi, sullo sfondo di un contesto socio-culturale ben
preciso.
Quando ci si occupa invece di contesti territoriali dove
l’economia locale si fonda sulla disponibilità di risorse
culturali, paesaggistiche, di artigianato, ecc. il design agisce al
servizio di quel contesto, mettendo a disposizione competenze
strategiche nel campo della comunicazione, del servizio, del
progetto dell’esperienza ecc.
Occuparsi del progetto per un sistema così complesso di
localismi vuole perciò dire occuparsi di un progetto che ha
come oggetto il complesso sistema di risorse territoriali, a
partire ogni volta dalle emergenze più competitive.
Un’attività progettuale che ha questo focus non può che
presentare specificità di approccio, di competenze e di
strumenti, differente dalla disciplina classica che ha come
oggetto l’offerta dell’impresa. L’azione del design che si
confronta con una dimensione di collettività e di territorialità
ha delle caratteristiche ben precise:
- agisce rispetto ad un contesto ben preciso con
caratteristiche precise (umane, sociali, economiche,
culturali, politiche, ambientali, ecc...);
- è un’attività complessa, nel senso che deve
considerare molteplicità di variabili e situazioni in
gioco;
- è una attività che agisce a scala multidisciplinare, di
forte integrazione di competenze;
- il progetto non solo deve agire a livello del singolo
(impresa, individuo), ma contemporaneamente a
livello della collettività, entro la quale il singolo
mantiene la sua identità, i benefici, i valori.

Affrontare il problema del progetto a livello di un sistema


locale rende necessario un approccio complesso, nel senso di
sistemico, ovvero capace di considerare differenti livelli e
differenti variabili.
Avanzare ipotesi di potenziamento di queste diverse
conformazioni di sistemi locali, vuol dire varcare la soglia
della sfera dello sviluppo locale, nel senso di entrare in

| 163
contatto con metodi, strumenti ed approcci che riguardano
questa scala di intervento. Perché considerare questa
dimensione: innanzitutto perché i fenomeni, le situazioni, i
contesti riguardano molteplicità di ambiti, ognuno
considerabile, analizzabile in quanto unico ed irripetibile. In
secondo luogo perché è possibile e plausibile formulare un
modello di intervento adattabile e replicabile (quindi
altamente flessibile) di azione del design per i sistemi locali di
risorse produttive, culturali, ambientali ecc.

4.5 Un approccio del design al problema dello sviluppo di


sistemi locali

Le premesse fatte nel paragrafo precedente riguardo il


configurarsi di nuovi ambiti di intervento per il design (dai
distretti industriali a sistemi locali eterogenei come abbiamo
visto per caratteristiche delle risorse presenti, dei bisogni degli
stakeholder coinvolti, delle reti di relazioni che organizzano
ecc.) consentono ora di porre le basi per una riflessione
riguardo l’approccio che il design mette in campo (in termini
di metodi, strumenti, capabilities ecc.) rispetto a questo
nuovo contesto progettuale. La variabilità delle situazioni
richiede un approccio capace di prendere in considerazione di
volta in volta differenti condizioni, riferibili alla sfera sociale,
economica, produttiva, ambientale, culturale ecc.
I progetti a scala territoriale, quindi, si confrontano
direttamente con l’ambiente nel quale si collocano, che deve
essere innanzitutto compreso, secondo un meccanismo di
ricerca ed analisi, per poi essere luogo della sperimentazione
progettuale. Il sistema locale viene perciò valutato ed
analizzato e modificato, al tempo stesso, dall’azione di
progetto. Le soluzioni proposte dall’azione progettuale si
configurano perciò come uniche, irripetibili, come soluzioni a
problemi specifici di un sistema locale ben definito. Il design
a livello di un sistema locale è perciò un’azione situata, una
sperimentazione diretta nel territorio considerato. Un’azione
diretta, della quale è possibile misurare gli effetti prodotti.
Un’azione fortemente sociale, cooperativa, negoziale e
partecipata, e cioè, di un’attività di progetto che scaturisce in
parte dalla conoscenza delle caratteristiche del sistema

164 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


territoriale, in parte dalla collaborazione dei soggetti
interessati dall’azione.
Si può dunque affermare che dal punto di vista dell’approccio
utilizzato esso si configura come iniziativa di tipo ascendente,
nel senso di approccio che in modo non impositivo coinvolge
l’insieme di attori che partecipano al progetto di innovazione
del sistema locale (ricercatori, professionisti, istituzioni,
amministrazioni, imprese, cittadini, ecc.). L’azione del design
è quindi un’azione capace di favorire la cooperazione, la
negoziazione e la partecipazione attiva degli attori locali sulla
base di condivisone degli obiettivi di progetto e di sviluppo
del territorio . 13

In uno scenario di questo tipo il design si presenta con una


veste rinnovata, o meglio ampliata. Non più solo la storica
dimensione legata ai processi innovativi delle imprese, ma il
design può spendere quest’esperienza consolidata anche in un
ambito differente, quello del potenziamento di sistemi locali.
Che cosa dell’eredità storica del rapporto proficuo con
l’impresa costituisce il punto di partenza per delineare le
capabilities che il design mette in campo in questi nuovi
contesti? Sicuramente l’approccio sistemico al problema
14

dell’innovazione. Il design, tacitamente o attraverso azioni


esplicite, dispone di capacità di organizzare e coordinare un
processo progettuale che va quindi al di là di azioni puntuali,
circoscritte e definite. Questa capacità di gestire e presiedere
un intero processo parte dalla capacità di comunicare visioni,
15

scenari di sviluppo, di rendere comprensibili e condivisi


possibili percorsi di innovazione. Il design a partire da una
visione sistemica del problema dell’innovazione mette in
campo capacità che sono di visione, di comunicazione, di
progetto di artefatti e servizi, il tutto in un’ottica di gestione e
coordinamento strategico di attori, risorse, attività ecc.
Queste competenze consolidate e diffuse nell’impresa,
possono diventare i driver necessari a sperimentare modelli e
modalità di intervento del design in sistemi locali, in contesti
quindi dove il problema progettuale non riguarda la singola

13
Villari, 2005
14
Zurlo, 1999
15
Lorenz, 1990

| 165
impresa ma una comunità di imprese, una pluralità di attori
ed interessi produttivi e sociali, una molteplicità di risorse
non solo produttive ma anche ambientali, culturali, turistiche
ecc. In questo senso possiamo affermare che l’azione
progettuale parte proprio dalla possibilità e dalla necessità di
rendere sinergiche queste differenti risorse, di integrarle tra
loro, perché possano produrre sviluppo per le differenti
comunità di stakeholders locali. Possiamo allora immaginare
il design come una “forza” che è in grado di agire nel contesto
locale nella direzione di un’integrazione tra le risorse. Questo
processo di integrazione non può che partire da una risorsa
chiave, da un attivatore di innovazione, che nel caso dei
sistemi produttivi locali, non può che essere la risorsa legata
alla dimensione produttivo-industriale, in situazioni come i
distretti culturali la disponibilità diffusa di beni storico-
artistici, nei distretti turistici dalla presenza di servizi di
ospitalità, e così via. Un progetto strategico si configura
perciò come leva che permette di dare il via ad un processo di
integrazione progressiva di tutte le risorse disponibili, in
un’ottica di reale sviluppo per il territorio.

Come dicevamo nel paragrafo precedente, questo nuovo


scenario per il design implica un cambiamento di prospettiva
che, in prima analisi, riguarda soprattutto l’oggetto del
progetto: non più quindi il sistema di offerta dell’impresa,
bensì un sistema di imprese, integrato territorialmente ad un
altrettanto complesso sistema di risorse. Ci sono in questo
senso due implicazioni importanti da sottolineare. La prima
riguarda la disciplina del design. Se è possibile contare su
metodologie e strumenti consolidati dallo storico rapporto
design-impresa, è altrettanto vero che emerge la necessità di
definire nuove modalità di azione del design (discipline,
approcci ecc) e strumenti (di ricerca/analisi,
osservazione/monitoraggio e azione) a disposizione del
designer che approccia questa nuova dimensione (complessa)
del progetto.
La seconda considerazione riguarda la relazione tra designer,
imprese ed attori locali.
La capacità e volontà di attivare percorsi di potenziamento di
un sistema locale (non solo produttivo) implica che il sistema
del progetto si confronti con una pluralità di attori (imprese,

166 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


associazioni, istituzioni, gli stessi cittadini ecc.), ognuno dei
quali reclama, a suo modo, interessi, vantaggi,
coinvolgimento. Molto spesso, di fronte alla volontà di
attivare progetti di sistema, non è facilmente riconoscibile
l’interlocutore in grado di promuovere azioni collettive e
collaborative; spesso manca distintamente una forma di
governance o di coordinamento che sia delegata ad un
progetto collettivo, che sia legittimata a questo ruolo. In
questo caso la prima azione che il designer può attivare è
quella di favorire la coesione locale, tra quegli attori che
collettivamente possono essere protagonisti del progetto.
La possibilità innovativa del design, quindi, risiede nella
possibilità di generare percorsi di crescita e sviluppo
sostenibile, a partire dalle caratteristiche del territorio nel
quale sono proposte e dalle caratteristiche degli attori locali
che saranno parte attiva del processo di potenziamento.
L’intervento del design, vista la variabilità delle situazioni,
deve essere necessariamente flessibile, adattabile e concertabile
a partire dalle peculiarità locali (differenti contesti, tipologie
di aziende, attori ecc.).

4.5.1 La ricerca-azione applicata al design: una metodologia di


riferimento
Sulla base di queste premesse emerge chiaramente la necessità
che il progetto per un sistema locale si configuri come:
- contestuale;
- ascendente;
- negoziale.

Esplorando le metodologie messe in campo da discipline che


da tempo si occupano di sviluppo locale emerge che
l’approccio della ricerca-azione, sviluppato soprattutto dalle
scienze sociali, soddisfa l’insieme delle caratteristiche
accennate sopra: contempla lo svolgimento delle attività sul
campo, permette di acquisire dati anche di natura qualitativa,
si svolge in relazione a situazioni reali coinvolgendo
ricercatori ed esterni anche in qualità di co-partecipanti alle
attività di ricerca e unisce nel corso della ricerca attività di
tipo teorico e sperimentazione pratica.
Attività di ricerca sul campo, sperimentazione in corso

| 167
d’opera, attività riflessiva sull’azione e co-progettazione sono
elementi di raccordo tra design e questa modalità di ricerca
sociale.

La ricerca-azione fonda le sue origini sul lavoro di Kurt


Lewin che conia il termine action research in riferimento al
16

campo di ricerca delle scienze sociali. Lewin descrive la


ricerca-azione come un metodo sistematico di indagine
rivolto a gruppi di persone coinvolti direttamente in un
processo sociale di cambiamento, in modo che gli stessi siano
protagonisti del cambiamento, valutandone sistematicamente
gli effetti.
Questo approccio è stato poi applicato al campo
dell’organizzazione di impresa, come strumento per lo studio
delle dinamiche di lavoro in ambito aziendale.
Ciò che differenzia questo tipo di ricerca da quella applicata
riguarda sostanzialmente lo scopo dell’indagine: la ricerca-
azione, infatti, non mira a fornire dati generalizzabili da
applicare in contesti simili, ma di ottenere risultati validi solo
per il preciso contesto alla quale è legata, anche se, i dati
raccolti possono essere utili e di supporto per favorire chi
lavora in contesti simili . 17

La ricerca-azione è caratterizzata da un approccio che prevede


un percorso ciclico di teoria e pratica, che consente di
verificare sul campo modelli di azione, strumenti,
metodologie applicati in situazioni e contesti locali.
In questo contesto uno degli strumenti di azione, configurati
e modellizzati per essere utilizzato in una dimensione di
intervento e sperimentazione a livello locale, a disposizione
del design è il Design Workshop . 18

Il workshop (laboratorio di progetto), utilizzato anche nella


formazione sul design, è risultato essere particolarmente
efficace in progetti che hanno l’obiettivo di connettere
Sistema Design, imprese, attori locali, per lo sviluppo di
progetti di potenziamento di un sistema locale. Azioni di
questo tipo infatti partono da esigenze specifiche:

16
Coonan, 2001
17
Cohen, Manion, 1984
18
Simonelli, Vignati, 2003

168 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- rispetto della diversità (culturale, produttiva, di
sensibilità ecc.) dei soggetti coinvolti nel progetto;
- necessità di condividere progetti, obiettivi ecc.;
- necessità di attivare coinvolgimento e collaborazione
non in modo impositivo ma a partire da un
coinvolgimento “dal basso”.

L’aspetto di sperimentazione attiva in un contesto locale, che


caratterizza appunto la metodologia della ricerca-azione, trova
nel workshop di design un modello possibile di soluzione
flessibile e continuamente riconfigurabile a partire dalle
esigenze di progetto. Un altro aspetto interessante riguarda la
necessità di configurare un processo dinamico; in questo
senso, nel workshop, è possibile riconoscere differenti ruoli
per il designer che vanno dalla facilitazione comunicativa, alla
mediazione tra gli attori, all’attivazione di relazioni attraverso
strumenti della comunicazione, allo sviluppo strategico e
progettuale di prodotti, servizi ecc. Il workshop può essere
quindi visto come momento di sperimentazione sul campo,
come laboratorio di progetto in grado di connettere risorse di
design e attori del proggetto nello sviluppo di soluzioni
possibili di innovazione per la comunità locale. Certamente il
concetto di laboratorio di progetto è da intendersi in
un’ottica di flessibilità, di adattabilità e variabilità in funzione
delle situazioni, degli attori, degli obiettivi del progetto. È
possibile però identificare delle linee generali che
caratterizzano il modello del workshop:
- una fase di precomprensione della realtà nella quale si
intende intervenire (aziende, contesto locale, contesto
competitivo, mercati, risorse, attori ecc.); questo
approccio, tipico del designer nella fase di
elaborazione del concept, nella dimensione del
progetto per il territorio, assume un ruolo ancora più
determinante;
- azioni di creazione di consenso verso l’intervento del
design;
- coinvolgimento e partecipazione di una pluralità di
attori (aziende, centri servizi, associazioni, istituzioni,
cittadini ecc.) chiamati a partecipare attivamente al
progetto stesso.

| 169
Il design, perciò, si configura come disciplina capace di
favorire la creazione di consenso su un progetto concreto per
un sistema locale; attraverso una metodologia come quella
della ricerca-azione il Sistema Design è abilitato a avviare
azioni in grado di favorire la condivisione di obiettivi,
progetti, soluzioni, facendo leva sulla dimensione della
comunicazione e del progetto strategico.

4.5.2 Un possibile modello di intervento19


Il processo progettuale che viene attivato a partire dal bisogno
di potenziamento di un sistema locale è un processo che,
proprio perché si basa su un modello di ricerca-azione, si
caratterizza per essere di tipo ciclico: i risultati delle singole
azioni, delle fasi del processo, sono i punti di partenza delle
fasi successive. Un processo di questo tipo è quindi
caratterizzato dalla creazione continua di nuova conoscenza
per tutti gli attori che partecipano al progetto stesso. Se
immaginiamo di rappresentare questo processo attraverso uno
schema esso si configura come una matrice caratterizzata da
quattro polarità rappresentabili su due assi: sull’asse
orizzontale è disposta la coppia di termini apprendere-fare;
sull’asse verticale sono posizionati i termini astrarre-
concretizzare.

fig. 4.1 Matrice rappresentativa del processo di ricerca-azione

19
Il testo fa riferimento a quanto pubblicato in Villari, 2005 e Castelli, Vignati,
Villari, 2004.

170 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


L’incrocio degli assi forma quattro quadranti che
rappresentano le fasi della ricerca-azione e cioè: ricerca,
analisi, concept, progetto.
Per ognuna di queste quattro fasi è possibile individuare
attività ed obiettivi da raggiungere.
La prima fase di ricerca prevede l’avvio di attività di
conoscenza, esplorazione e di indagine del contesto di
intervento progettuale. In questa fase è di fondamentale
importanza la comprensione delle variabili interne al contesto
di intervento, ma anche delle variabili esterne che in qualche
modo influenzano, orientano e condizionano lo sviluppo del
progetto stesso. La ricerca preliminare viene perciò fatta con
l’obiettivo di individuare caratteristiche significativa del
contesto di intervento (aspetti ambientali e socio culturali del
contesto locale, caratteristiche della filiera
produttiva/economica presente, storia, popolazione,
andamenti economici, caratteristiche delle imprese,
caratteristiche delle strutture di servizio, analisi della presenza
di istituti di formazione , presenza di strutture finanziarie di
supporto agli investimenti ecc.). L’indagine preliminare ha
l’obiettivo di approfondire la conoscenza del contesto di
intervento con lo scopo di individuarne le caratteristiche
significative, i punti di forza ma anche le criticità e le aree di
debolezza. L’esito di questo tipo di attività sarà la costruzione
di un quadro critico di conoscenza necessario alla
formulazione delle azioni di progetto successive. L’indagine
svolta in questa fase si può configurare con due modalità di
indagine:
- di tipo desk, svolta quindi attraverso la consultazione
di documentazione di tipo bibliografico, fotografico,
indagini economiche, statistiche;
- ricerca sul campo attraverso il contatto diretto con gli
interlocutori locali (imprese, associazioni,
amministrazioni, enti ecc.).

Il risultato di questa fase è una lettura del contesto di


intervento, rappresentata secondo modalità comunicative
proprie della disciplina del design.
La seconda fase di analisi parte da una lettura del contesto
che, elaborata, consente di elaborare un piano di azione.

| 171
L’obiettivo di questa fase è quello di definire strategicamente
le attività da mettere in campo e, contestualmente quindi,
anche gli strumenti e le competenze disciplinari da
coinvolgere. In questa fase è fondamentale sia una attività di
sintesi dell’analisi svolta precedentemente, sia una attività di
coesione degli attori al progetto. L’attività di sintesi oltre a
prevedere un approfondimento delle caratteristiche del
contesto che possono generare possibili aree di innovazione,
deve poter spaziare con il confronto con situazioni esterne,
nelle quali sia riconoscibile un possibile orientamento, una
buona pratica di riferimento per il progetto. In questo senso
uno degli strumenti più consono è il caso studio di best
practice che può essere fonte di informazioni in termini di
scenario di riferimento, trend emergenti, driver di
cambiamento. Se infatti nel progetto per la singola impresa il
posizionamento sul mercato rispetto ai competitor è un
fattore chiave per proporre soluzioni innovative, anche nel
caso del progetto per un sistema locale la relazione con la
dimensione delle condizioni esterne, del mercato, dei grandi
cambiamenti nelle economie locali e mondiali è un fattore
determinante per la formulazione di una strategia di
intervento. Anche in questa fase l’esito delle attività sarà una
lettura orientata dei fenomeni che interessano l’ambito di
intervento, una configurazione dell’area di opportunità del
progetto, rappresentata e comunicata attraverso gli strumenti
del design.

Una volta raccolti gli elementi di conoscenza del contesto di


intervento si passa ad una fase di progetto (concept). Essa
parte innanzitutto con la formulazione di un concept di
progetto definito sulla base dall’area di opportunità delineata
nella fase precedente. Il concept di progetto permette di
delineare le caratteristiche dell’idea progettuale che poi potrà
essere sperimentata sul campo. L’obiettivo di questa attività è
quello di porre le basi del progetto, in modo che esso possa
essere condiviso ed accettato da tutti gli attori coinvolti. È in
questo senso fondamentale l’individuazione dei soggetti da
coinvolgere nelle azioni di progetto; non solo, i partner oltre
ad essere individuati, devono essere coinvolti per competenze,
interessi, vantaggi ecc. Il concept di progetto nasce dalla
connessione tra competenze progettuali e bisogni, risorse,

172 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


emergenze del contesto territoriale: in questo momento del
processo vengono proposte visioni di progetto che devono
essere condivise con il sistema di attori coinvolti e con gli
stakeholders che in qualche modo ricevono benefici dal
progetto stesso. Gli strumenti messi in campo in questa fase
dovranno consentire di condividere, selezionare e abilitare a
livello dei soggetti del progetto le visioni proposte, perché esse
possano essere sperimentate a livello locale.
La fase di progetto riguarda il vero e proprio momento di
azione nel contesto locale. Tale azione, riferita ad una
situazione ben precisa, ha l’obiettivo di connettere, in un
tempo e spazio ben preciso, competenze di progetto e
competenze locali, per lo sviluppo di un progetto di
potenziamento del sistema locale. In questa fase le idee si
concretizzano e prendono forma in artefatti di natura
differente (di prodotto, strategici, di comunicazione, di
servizio ecc.).
La fase di progetto coincide con la realizzazione del workshop,
strumento proprio del design che abbiamo introdotto nel
paragrafo precedente. Le azioni legate al workshop hanno
forma, obiettivi e risultati differenti perché differenti sono le
modalità possibili con le quali connettere Sistema del Design
e competenze/attori locali. I risultati del workshop sono di
natura differente in funzione di alcune variabili fondamentali:
- durata: una azione sul territorio di breve durata
porterà alla formulazione di concept di progetto per il
sistema di imprese locale (scenari, metaprogetti ecc.).
Azioni prolungate nel tempo consentiranno invece di
formulare progetti definiti anche in termini di
fattibilità tecnica e di fattibilità economica.
- risorse economiche disponibili: azioni circoscritte
consentiranno di identificare possibili scenari di
innovazione che potranno essere utilizzati come
punto di avvio per fasi successive, anche in funzione
della individuazione di risorse economiche per
l’implementazione del progetto. Azioni che già
dispongono di risorse economiche possono essere
condotte con un livello di approfondimento
maggiore.

| 173
In ogni caso è possibile affermare che se da un lato queste fasi
tratteggiano un processo concluso di progetto, dall’altra è
evidente che i risultati di un ciclo di azioni può essere
considerato come il punto di partenza per azioni successive. I
risultati raggiunti sono il punto di partenza per la crescita di
nuova conoscenza, per l’attivazione di nuove azioni, per
nuovi progetti di potenziamento locale. E’ evidente che in
quest’ottica i risultati più interessanti del processo sono quelli
riferibili all’apprendimento degli attori locali. Questo
apprendimento può riguardare una maggiore consapevolezza
dei soggetti coinvolti rispetto a potenzialità disponibili, a
risorse e punti di forza implementabili, ma anche potenzialità
e vantaggi derivanti dall’utilizzo delle competenze del design,
maggior consapevolezza di ciò che il design può fare per il
vantaggio della singola impresa e contemporaneamente per il
vantaggio dell’intero sistema.

4.5.3 I designer come antenne nel territorio


Nello scenario di intervento appena delineato emerge come
sia centrale in questo processo la connessione tra Sistema
Design e sistema di soggetti coinvolti nel progetto. In
particolare il momento di azione e sperimentazione concreta
nel contesto di intervento vede questi due differenti sistemi in
contatto diretto, lavorare “gomito a gomito” per proporre
soluzioni di progetto. E’ proprio in questa fase che i designer
si integrano al sistema locale per essere promotori di
innovazione, catalizzatori di risorse progettuali e di interessi
per la collettività. Nelle diverse forme che il laboratorio
progettuale assume, la figura del designer è però sempre
riconducibile a quella di una antenna inserita nel contesto
locale per coglierne peculiarità, punti di forza e debolezza e
contemporaneamente però capace di cogliere impulsi dal
mondo esterno per tradurli in scenari di progetto per il
sistema locale. E’ proprio dalla relazione diretta tra designer e
attori locali che si può generare quella contaminazione
reciproca che porta il designer ad essere più consapevole delle
dinamiche di sviluppo, azione, innovazione che caratterizzano
sistema locale di risorse, ed allo stesso tempo gli attori locali
(imprese, centri servizi, associazioni, istituzioni, enti ecc.) più
consapevoli delle potenzialità reali del design. Un contatto

174 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


diretto tra questi due mondi è necessario, proprio a partire
dalla natura dei rapporti e dalle caratteristiche del tessuto
sociale dei sistemi locali che di volta in volta possono essere
considerati: i rapporti infatti sono di natura per lo più
personale, la relazione tra le realtà economiche presenti nel
territorio avviene in modo diretto, favorita dalla prossimità
spaziale. Nella formulazione di un possibile modello di
intervento del design a favore del potenziamento di questi
sistemi locali non si poteva che partire da questo dato
fondamentale: il design per essere riconosciuto deve entrare a
stretto contatto con la dimensione concreta del contesto
territoriale. Il modello della ricerca-azione proposto prende
spunto dalla provocazione che il design deve coinvolgersi
maggiormente con il contesto nel quale interviene: i designer
diventano il terminale abilitato a livello locale attraverso il
quale il design (nella sua dimensione strategica) entra a far
parte dei processi di potenziamento competitivo della singola
impresa, dei sistemi locali di imprese e più in generale dei
differenti sistemi locali di risorse sulla base delle quali il
nostro Paese fonda il suo benessere, il suo vantaggio
competitivo, la sua economia.

4.6
Design for trust: fiducia e design due leve per la
competizione dei sistemi produttivi locali20

Come è emerso dai paragrafi precedenti parlare di design per


sistemi locali di risorse vuole dire porsi il problema di un
progetto complesso sia perché si confronta con un pluralità di
attori, sia perché esige che si considerino molteplici fattori
(produttivi, ambientali, sociali ecc.). Se ci soffermiamo sul
primo aspetto, quello della pluralità di attori coinvolti,
assume un’importanza strategica parlare di “progetto della
fiducia” perché proprio la fiducia rende possibile la coesione e
partecipazione degli attori ad obiettivi comuni e condivisi.
Per affrontare il problema del progetto della fiducia in un
contesto come ad esempio quello dei sistemi produttivi locali

20
Il paragrafo è stato redatto da Arianna Vignati con la supervisione di Francesco
Zurlo

| 175
(dove quindi la risorsa chiave e strategica è legata ai processi
produttivi diffusi) è necessario chiarire le caratteristiche e il
modus operandi degli attori che potenzialmente un progetto di
questo tipo coinvolge. Per far questo un filtro interessante da
utilizzare è certamente quello legato al concetto di “comunità
di pratica”. Una comunità di pratica si definisce come una
comunità di persone impegnate in una iniziativa comune,
dotata di un repertorio condiviso di conoscenze che non
risiedono tutte in ciascun soggetto appartenente alla
comunità ma che formano un insieme di conoscenze,
strumenti, artefatti e routines che veicolano il sapere collettivo
e che costituiscono la memoria della collettività; tali persone
sentono personalmente un impegno alla reciprocità, nel
condividere le esperienze e nell’alimentare l’apprendimento
collettivo . 21

Questo modello di comunità può essere applicabile e


riconoscibile nei sistemi produttivi locali in quanto:
- in questi ambiti (che abbiamo identificato come
distretti industriali) molte persone condividono
effettivamente una pratica cioè una attività nella
quale si sentono coinvolti nella propria interezza,
fondendo aspetti espliciti e taciti, di pensiero e di
azione; questa condivisione crea il senso di
appartenenza ed è generatrice di senso e di
innovazione;
- inoltre nei distretti industriali è radicato nel territorio
il concetto di identità, in quanto appartenenti a un
territorio, per identità si intende la percezione che un
individuo o una comunità hanno del riconoscimento
o auto riconoscimento della propria specificità e –
implicitamente – del valore di questa specificità, e del
desiderio di proporla all’esterno;
- infine alla base della comunità distrettuale esiste un
linguaggio e un repertorio condiviso che accomuna
tutto il distretto e diventa un punto di forza per
l’intera comunità . 22

21
Wenger, Leave, 1995
22
Quadrio Curzio, Fortis, 2002

176 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Inoltre il concetto di comunità di pratica è utile dal punto di
vista del design in due sensi:
- in primo luogo in quanto permette di “mappare” il
distretto come nicchia ecologica in cui convivono
varie comunità di pratica: ciascuna impegnata nella
propria attività, ma avendo contatti e contaminazioni
frequenti e un repertorio e un linguaggio condivisi,
che permettono di affrontare i problemi emergenti
senza soluzione di continuità;
- in secondo luogo in quanto essa è una “unità di
misura” molto agile da gestire, per interventi volti alla
promozione del distretto e della sua capacità di
produrre innovazione.

Il concetto di comunità di pratica funge da ponte tra distretto


e fiducia, garantendo la percezione di quanto sia in effetti
variegato il distretto.
A partire da questa considerazione è importante mettere in
luce alcuni concetti chiave che consentono di porre le basi
della riflessione sul problema del design for trust per i sistemi
produttivi locali:
- innanzitutto il concetto di identità, personale e
comunitaria, intesa come riconoscimento della
propria specificità e del valore di questa specificità, e
del desiderio di proporla all’esterno;
- in secondo luogo il concetto di repertorio condiviso,
di conoscenze, di modi di fare le cose, di eventi
passati, miti e tradizioni, capaci di rendere chiaro a
tutti gli appartenenti al gruppo, il sostrato culturale
comune e la prospettiva temporale all’interno della
quale si sviluppano i progetti;
- un altro elemento chiave è il linguaggio condiviso,
ovvero lo strumento attraverso il quale tutto questo si
attua, e che è contemporaneamente mezzo e fine;
mezzo in quanto permette agli appartenenti a una
comunità di pratica di confrontarsi sulle possibili
soluzioni ai problemi emergenti; fine in quanto,
laddove esso non sia presente, è uno degli elementi da
favorire o implementare, o del quale impadronirsi;

| 177
- infine il senso di appartenenza a una comunità, come
sentimento condiviso di avere un’identità e degli
scopi in comune con delle altre persone; non quindi
la sola condivisione del territorio, ma anche il
riconoscimento di una tradizione e degli scopi in
comune.

Qualsiasi azione progettuale (quindi che utilizzi il design nella


sua accezione sistemica) volta ad intervenire sul distretto per
valorizzarlo e per produrre innovazione non può che partire
da questi concetti chiave (identità, appartenenza, repertorio e
linguaggio condiviso). Da un approccio di Design for Trust e
quindi di design che sfrutta la fiducia come leva per agire
sulla dimensione delle comunità di pratica possiamo pensare
di passare ad una logica di Trust for Design, ovvero di azione
progettuale che agisce sulla dimensione della fiducia (e quindi
sui nodi chiave che determinano la creazione di fiducia) per
valorizzare la dimensione progettuale nelle dinamiche
innovative dei sistemi produttivi locali.

4.6.1 Fiducia, comunità di pratica e costellazioni di comunità di pratica


Il concetto di fiducia è un concetto complesso, che non ha
ancora ottenuto una sistematizzazione teorica tra tutte le
discipline che lo hanno affrontato. L’economia ne parla nei
termini della credibilità circa il proprio esito positivo
23

suscitata da una certa iniziativa o impresa; la psicologia come


della disponibilità di un individuo a porsi in condizioni di
24
vulnerabilità rispetto a un altro soggetto; la sociologia come
della rete sottesa ai rapporti interpersonali in una comunità.
Si potrebbe continuare ancora a lungo, dal momento che
ogni singola disciplina ne enfatizza un aspetto.
Eppure la forza di questo concetto, come quella del concetto
di identità, consiste proprio nell’essere trasversale a molte
discipline e nella sua evocatività: di conseguenza non è
possibile, all’interno di un discorso sulla complessità dei

23
Dasgupta, 1989
24
Mutti, 1988

178 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


distretti, ridurne la portata analizzandone un solo aspetto.
La soluzione quindi potrebbe essere quella di analizzare le
componenti della fiducia individuate dalle varie discipline, e
cercare quindi di ricombinarle per ottenere un caleidoscopio
che moltiplichi la visione delle situazioni e ne renda
contemporaneamente la bellezza e la complessità.
È perciò possibile acquisire alcuni concetti di riferimento:
dalla sociologia il concetto di capitale sociale, dall’economia
quelli di teoria dei giochi e di solvibilità, dalla psicologia
cognitiva quelli di predisposizione personale a fidarsi, mentre
dalle tecniche di negoziazione i concetti di ZOPA (zone of
possible agreement, zone di possibile accordo), di durata della
relazione, di orientamento al gruppo.
L’approccio del design è, infatti, caratteristicamente
multidisciplinare, e non cerca di ridurre l’analisi di un
problema a una sola prospettiva: al contrario, provvede al
problema adottando numerose prospettive. In questo senso,
dopo una vasta panoramica di approcci e di strumenti, è
possibile adottare un filtro per la selezione di quelli più
interessanti dal punto di vista del distretto e della
progettazione di strumenti atti a facilitare la formazione di
fiducia e l’attitudine a cooperare. Questo filtro, come già
accennato, riguarda il concetto di “comunità di pratica”.

4.6.2 Il concetto di fiducia


L’aspetto della fiducia che è stato sottolineato è quello di
“facilitatore” dei rapporti: sociali, naturalmente, ma anche
economici e progettuali.
Laddove la fiducia è presente i costi di transazione vengono
abbattuti, e la disponibilità a fornire informazioni veritiere e a
negoziare soluzioni alternative ai vari problemi è maggiore.
Visto e considerato che la negoziazione è l’unico strumento
che permette, nella risoluzione di un problema, di ottenere
più di quanto inizialmente si pensasse di dover spartire, se ne
deduce che la disponibilità a negoziare si traduce in possibilità
di implementazione della ricchezza comune . 25

La fiducia è inoltre la condizione di base che permette il

25
Fukuyama, 1996

| 179
confronto innovativo: chi – progettista o artigiano,
imprenditore o operaio – parlerebbe di una propria idea a
qualcuno del quale non si fida?
E’ comunque difficile parlare di fiducia senza riferirsi ai due
concetti di identità e appartenenza, oltre che ai già citati
repertori e linguaggi condivisi.
L’identità personale e di gruppo riguarda la percezione che un
individuo ha di sé stesso, della sua continuità ed evoluzione
nel tempo; riguarda la memoria che ha degli eventi passati,
legata anche alla situazione sociale e culturale, alla selezione
degli eventi che opera, all’interpretazione che ne dà.
L’appartenenza riguarda il sentimento di essere legato, più o
meno inscindibilmente, a un dato territorio, a delle persone, a
una data professione o ambito professionale. Riguarda il
riconoscimento di alcuni artefatti come pregni di una
memoria condivisa con gli altri membri della comunità.
Riguarda, ancora, il riconoscimento di alcuni oggetti, che
potremmo chiamare, con la terminologia di Wenger,
boundaries object . 26

Implementare ognuno di questi elementi significa


contemporaneamente implementare la fiducia, o quantomeno
la disponibilità a fidarsi.

4.6.3 Memoria comune e linguaggio condiviso


Possiamo considerare i repertori condivisi come una delle
forme attraverso le quali la comunità ricorda; il repertorio
condiviso è tuttavia solo una delle forme possibili, nel senso
che il distretto condivide una storia comune anche al di là
dell’ambito lavorativo: una memoria legata al territorio, agli
eventi passati, alle celebrazioni di riti e festività, al
superamento di problemi comuni. Elementi che il distretto
possiede, che può e deve “capitalizzare” per affrontare i
problemi dettati dal confronto con la realtà contemporanea
altamente turbolenta, sia dal punto di vista economico che da
quello politico.
Nelle comunità di pratica che compongono il distretto si
sviluppa una sorta di linguaggio locale, dotato di lemmi con

26
Wenger, Leave, 1995

180 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


valenze particolari (anche differenti da quelle di uso comune)
che permettono a chi lo comprende di elaborare discorsi
complessi ed estremamente specifici sulla pratica comune: la
comunicazione viene in tal modo dotata di una serie di
elementi che, variamente ricombinati, consentono di trovare
soluzioni innovative ai problemi emergenti.
Il vantaggio di un linguaggio condiviso, tuttavia, non si
esaurisce nello svolgimento ottimale ed economico del lavoro;
il vero vantaggio risiede nella possibilità di accedere alla
conoscenza comune, “diluita” nel gruppo, e di essere
legittimato a condividerla.
Ogni lavoratore si trova all’incrocio tra almeno due gruppi di
riferimento, l’impresa e la più ampia comunità professionale
delle persone che svolgono il suo stesso lavoro,
dall’integrazione dei quali sviluppa la sua identità
professionale. Il flusso di informazioni che si articola
orizzontalmente, cioè con le persone che svolgono la stessa
professione, può essere visto con sospetto dall’impresa in
quanto potenziale depauperatore delle conoscenze specifiche
della impresa stessa. Ciò nondimeno questo flusso di
informazioni è di vitale importanza: sia per l’individuo, che
privatone potrebbe arrestare o fortemente rallentare la propria
crescita professionale e rimanere escluso dai “temi caldi” dello
sviluppo e dell’innovazione; sia per l’impresa che lo sappia
valorizzare, limitando il flusso in uscita e incentivando quello
in entrata, cogliendone gli spunti interessanti, favorendo lo
sviluppo di soluzioni innovative, implementando il confronto
intra-aziendale.

4.6.4 Un progetto di servizio basato sulla fiducia


Che il design possa essere riconosciuto da queste comunità
locali come leva strategica di sviluppo significa nei fatti
progettare la fiducia per il design.
Il design si mette perciò al servizio delle comunità distrettuali
(con competenze, strumenti approcci ecc.) ed è per questo
che è possibile utilizzare alcuni concetti del design dei servizi ,
27

per capire come sia possibile costruire questa relazione

27
Pacenti, 2004

| 181
fiduciaria con il sistema produttivo.
Il servizio è innanzitutto una prestazione che “alcune persone
svolgono per l’utilità, la soddisfazione, il supporto dell’attività
di altre persone” ; il progetto di un servizio, di fatto è, almeno
28

in parte, il progetto dell’interfaccia tra chi svolge la


prestazione e chi la riceve. L'interfaccia è perciò il luogo, lo
spazio, l’ambiente della relazione tra un sistema che offre e un
sistema che usa il servizio. Un'interfaccia funziona se rispetta
certi meccanismi funzionali e di attribuzione di senso del
sistema dell'utenza, se crea cioè un ambiente confortevole e
manipolabile, dove l’utente può facilmente svolgere le proprie
attività. Ad esempio un'interfaccia utilizza spesso delle
analogie (il desktop) per riprodurre un modello mentale
riconosciuto (repertorio condiviso, linguaggio comune).

Un servizio funziona se le logiche di progettazione della


piattaforma sulla quale si instaura l'interazione tengono conto
dei modelli mentali, della visione del mondo, dei valori di chi
dovrà utilizzare quel servizio. La piattaforma inoltre deve
essere facilmente accessibile sia da un punto di vista cognitivo
sia da un punto di vista fisico.
Il servizio si configura pertanto come un’interazione; le
logiche relative alla struttura dell'interazione riguardano il
momento di erogazione vera e propria del servizio, momento
in cui domanda, produzione ed offerta coesistono in un luogo
e in un tempo ben preciso. È importante che l'utente capisca
l'iter dell'erogazione del servizio, che tutte le attività siano
trasparenti, che ci sia un feedback per ognuna delle
operazioni compiute.
Le forme che questa relazione assume riguardano la
consapevolezza che ogni soggetto, al quale si rivolge il
servizio, avrà proprie esigenze peculiari alle quali il servizio
stesso dovrà rispondere; esso si configura come insieme di
situazioni possibili, personalizzabili secondo le necessità dei
singoli utenti.
Le procedure di adattamento sono le modalità secondo le
quali il servizio analizza sé stesso e cerca di individuare i punti

28
Barassi, 1988

182 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


che è possibile modificare, temporaneamente o
permanentemente, per rispondere alle esigenze degli utenti.

Questi concetti possono favorire un processo di creazione di


fiducia tra comunità di professionisti del progetto e comunità
produttive locali.
Partendo da questi presupposti è possibile domandarsi come
il design intervenga nella realizzazione, tangibile e concreta di
un servizio per le comunità produttive locali.
Il servizio si concretizza in una dimensione materiale (è un
luogo riconoscibile dove avviene consulenza o scambio di
conoscenza) e immateriale (è un sistema che, attraverso le
tecnologie, consente di costruire delle reti strette tra i vari
attori in gioco). È un sistema che si sostanzia attraverso delle
fasi conoscitive, eventi e manifestazioni, e che può portare alla
creazione e condivisione di una immagine coordinata del
distretto/comunità locale. Si realizza in un “manifesto”
condiviso che contiene e comunica il sistema di valori della
comunità e le linee guida che orientano e rendono
riconoscibile nel mondo quel sistema produttivo. È un
laboratorio di ricerca e sviluppo che permette di diffondere
conoscenza tacita e conservare i processi dell’elaborazione
progettuale.
Sulla base di queste considerazioni è perciò possibile
identificare delle regole di buone pratiche che il design può
mettere in campo, sul versante della creazione di fiducia verso
il Sistema Design, al servizio dei processi di sviluppo ed
innovazione dei sistemi produttivi locali:
- la consulenza di design deve poter essere accessibile in
un luogo riconoscibile agli attori che nel sistema
produttivo locale possono usufruire di tale
conoscenza specifica; non solo, anche il soggetto che
eroga tali servizi deve poter essere riconosciuto come
affidabile e portatore di vantaggio per il singolo e per
il gruppo. In questo senso diventa fondamentale la
connessione tra Sistema del Design ed attori
istituzionali locali, attori cioè (come abbiamo visto
nei paragrafi precedenti) che si fanno portatori di un
interesse collettivo e quindi promotori di un progetto
di sviluppo per il sistema locale;
- l’intervento del design non deve configurarsi come

| 183
intervento specialistico rivolto alla singola impresa,
ma come progetto di sistema in grado di rafforzare,
creare, innovare il fitto tessuto di relazioni interne ed
esterne che coinvolgono gli attori del sistema locale
considerato. Il design, in questo senso, può e deve
potersi avvalere delle tecnologie della comunicazione
come mezzi in grado di facilitare questo processo,
tecnologie che diventano la piattaforma per
sperimentare soluzioni comunicative efficaci ed
innovative per il sistema stesso;
- il contributo disciplinare che il design può mettere in
campo riguarda innanzitutto la possibilità di rendere
manifesta un’identità del sistema produttivo locale
nel suo complesso, identità che emerge dalla
conoscenza del tessuto locale e che viene visualizzata,
comunicata e resa esplicita non soltanto al sistema di
attori esterni, ma anche e soprattutto internamente;
- il design, grazie alla capacità di mettere in relazione
tra loro differenti competenze, ruoli, capabilities, può
offrire al sistema distrettuale un contributo
progettuale che mira a creare una sorta di artefatto
progettuale condiviso, un manuale di progetto
condiviso entro il quale ogni attore (impresa,
istituzione, ente ecc.) può ritagliarsi strategie
progettuali in linea con obiettivi e risultati attesi e
specifici;
- infine, la consulenza di design si configura, per un
sistema locale di risorse (anche produttive) come un
laboratorio di progetto dove ricerca ed innovazione
sono i risultati di una continua relazione tra sistema
locale ed il complesso sistema delle competenze che il
design mette in campo (design strategico, design dei
servizi, design della comunicazione ecc. ) 29

Tracciato il quadro della disciplina del design per i sistemi


produttivi locali, a partire dalla necessità espressa in questo
paragrafo di parlare di fiducia verso il progetto, è necessario

29
Bertola, Manzini, 2004

184 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


fare un ultimo inciso proprio a partire dai cambiamenti che
questi sistemi stanno affrontando, in particolare riguardo il
complessificarsi del sistema di relazioni che le imprese dei
distretti si trovano a gestire. Relazioni che si strutturano
sempre di più come reti lunghe, dove la prossimità spaziale
viene a mancare per lasciare spazio a relazioni basate
sull’utilizzo di tecnologie della comunicazione per la
facilitazione dei processi di delocalizzazione ed
internazionalizzazione. Questo cambiamento esige che il
sistema del design si confronti con questa dinamica per
mettere in campo soluzioni di progetto capaci non solo di
facilitare la relazione complessa tra questi attori, ma anche e
soprattutto la relazione tra professionalità del design e sistema
di imprese distrettuali. In questo senso il designer può far leva
su specifiche competenze strategiche:
- nell’uso di tecnologie in grado di rendere il progetto
comunicabile, controllabile ed accessibile alle
imprese;
- nel configurare soluzioni in grado di essere comprese
e confrontate con le differenti componenti aziendali
(produzione, marketing, ecc.);
- nel controllare il processo di sviluppo del progetto
dall’ideazione alla comunicazione;
- nell’esplicitare ai differenti attori di progetto (nel caso
quindi di soluzioni che coinvolgono il sistema di
attori locali) gli obiettivi, i risultati, i processi ecc.,
perché diventino piattaforma condivisa di dialogo e
di concertazione del progetto stesso.
Il design di fatto si configura quindi come disciplina in grado
di mettere a disposizione dei sistemi produttivi locali
soluzioni di progetto capaci di affrontare le sfide che il
mercato globale in modo sempre più pressante impone. La
questione cruciale sta proprio nella possibilità di creazione di
questa piattaforma di dialogo tra Sistema del Design e sistemi
di imprese perché si instauri questa fiducia al progetto alla
base di qualsiasi azione di innovazione sistemica.

| 185
5
Legislazione per l’innovazione ed il trasferimento
tecnologico1

5.1 Introduzione

Il problema del trasferimento di conoscenza dalle università


alle imprese è un problema che non coinvolge solo il mondo
della ricerca ed il tessuto di imprese italiane ma, a ben
guardare, è una dinamica che parte innanzitutto da un
quadro politico nazionale, dagli orientamenti che la politica
di sostegno all’innovazione assume. In questo senso è chiaro
che nessun discorso specialistico sul sistema di trasferimento
della conoscenza di design alle differenti configurazioni
distrettuali, una conoscenza che quindi si rivolge al mondo

1
Il capitolo è stato redatto congiuntamente da Venanzio Arquilla e Arianna Vignati
con il contributo di Antonella Castelli, in particolare Arianna Vignati ha curato i
paragrafi 5.1, 5.2, 5.3, 5.4, 5.7, Antonella Castelli il 5.5 e Venanzio Arquilla il 5.6

| 187
delle imprese, alle istituzioni locali agli attori economici
inseriti in sistemi locali che sfruttano la disponibilità di risorse
culturali, turistiche, ambientali, ecc., non può prescindere da
un inquadramento nazionale degli attori e delle fonti di
finanziamento a disposizione di azioni di sostegno di questo
tipo. Ma se facciamo un ulteriore passo indietro ci
accorgiamo che la politica nazionale deve potersi inserire in
quadro più complesso, quello europeo, che detta le regole del
gioco della competitività degli Stati che ne fanno parte. Nella
logica di conduzione degli Stati europei verso livelli di
competitività ed innovatività certamente maggiori di quelli
attuali, ed in grado quindi di affrontare con maggiore
efficacia le sfide globali, l’UE ha configurato piani strategici
che fungono da orientamento alle singole politiche nazionali
e che, nel lungo periodo, dovrebbero portare
progressivamente ad appianare le differenze che tuttora si
registrano nelle economie degli Stati membri. Ma l’UE ha
messo a punto anche un sistema di valutazione degli
andamenti, proprio in termini di innovatività dei Paesi, che si
basa sostanzialmente su alcuni indicatori in grado di misurare
la crescita o meno di questa variabile negli stessi. Questi
parametri che, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione
frutto del trasferimento di tecnologica, penalizzano l’Italia,
hanno visto recentemente l’inserimento di un indicatore che
premia il nostro Paese perché ne legge l’innovazione frutto del
trasferimento di conoscenze specifiche, tra le quali spicca
anche il design. Questo primo importante segnale a livello
europeo di attenzione alla disciplina del design nei processi di
innovazione del Sistema Paese, ci inducono a riflettere su
quali siano le forme possibili di questo processo. Non solo, è
necessario porsi il problema di quale ruolo assuma in questo
contesto il sistema della ricerca universitaria sul versante del
design.
Le conclusioni di questo capitolo intendono solo aprire il
dibattitto sul tema che deve quanto prima diventare un
dibattito aperto a livello delle politiche nazionali di sostegno
all’impresa, e più in generale a sostegno dell’intera economia
nazionale. Il design non può più essere considerato come un
fenomeno spontaneo, incontrollabile ed autoalimentante; è
necessario che lo si riconosca come disciplina che possiede
strumenti, prassi, metodologie diffondibili e soprattutto

188 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


capaci di produrre vantaggio competitivo per il sistema
economico nazionale.

5.2 Le politiche europee a favore dell’innovazione e del


trasferimento tecnologico

Nel marzo 2002 il Consiglio europeo di Barcellona ha


formulato un invito ad adottare iniziative per aumentare gli
investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico al fine
di colmare il divario che separa l'Europa dai suoi principali
concorrenti (Stati Uniti, primo fra tutti).
Se solo consideriamo il divario negli investimenti per la
ricerca tra l'Unione europea e gli Stati Uniti, infatti, ci
accorgiamo che questo già supera 120 miliardi di Euro e sta
rapidamente aumentando, con conseguenze allarmanti per gli
sviluppi in materia di innovazione, crescita e creazione di
posti di lavoro in Europa. Tale divario si spiega, secondo il
Consiglio europeo, con le condizioni meno attraenti per gli
investimenti privati nella ricerca in Europa, dovute sia al fatto
che il sostegno pubblico è inferiore e, forse, anche meno
efficace, sia alla presenza di diversi ostacoli nelle condizioni
che regolano la ricerca e l'innovazione in Europa.
In virtù di questo allarmante segnale, che sembra peggiorare
ulteriormente se non si interviene con efficacia in termini
politico-istituzionali, la Commissione europea ha formulato
una serie di proposte di azioni proprio per potenziare e
rendere più efficienti gli investimenti in ricerca e sviluppo a
favore dell’innovazione delle imprese.
Il piano d'azione formulato mira, in generale, a garantire che
le iniziative di potenziamento necessarie a livello europeo e
nazionale siano sostenibili, coerenti e sufficienti ad apportare
miglioramenti radicali al sistema europeo di ricerca e
innovazione tecnologica.
Il contesto dell’intervento non è comunque rassicurante.
L’Europa, infatti, si trova in una situazione in cui alcuni
segnali possono ulteriormente scoraggiare gli investimenti;
solo per citarne alcuni:
- le carenze e le rigidità delle carriere nell'ambito della
ricerca hanno indotto ed inducono eccellenti

| 189
ricercatori ad abbandonare l'Europa per dedicarsi alla
ricerca in altri Stati;
- la ricerca europea, spesso di livello eccellente, sembra
essere dispersa e soprattutto poco visibile e forse poco
comunicata;
- le difficoltà incontrate dalle PMI a forte intensità
tecnologica a trovare finanziamenti per le loro
ricerche e progetti di innovazione;
- le conoscenze carenti di ricercatori e responsabili della
ricerca in materia di protezione e gestione della
proprietà intellettuale.

Per far fronte, almeno in parte, a questi problemi sono state


avviate, a livello europeo azioni mirate a sostegno ed
orientamento della ricerca e dell’innovazione:
- azioni di coordinamento: si tratta di iniziative di
coordinamento tra gli Stati membri per la messa a
punto e la creazione di "piattaforme tecnologiche
europee" che possano raggruppare organismi di
ricerca, industria, autorità di regolamentazione,
gruppi di utilizzatori, ecc. attorno alle tecnologie
fondamentali, per elaborare e applicare una strategia
comune per lo sviluppo, l'applicazione e l'uso di tali
tecnologie in Europa;
- azioni si sostegno: queste azioni hanno l'obiettivo di
migliorare il sostegno pubblico alla ricerca e
all'innovazione tecnologica. Per essere indotte a
investire nella ricerca in Europa, le imprese devono
potersi avvalere di gruppi di ricercatori di alto livello,
di una ricerca pubblica forte e ben coordinata con
l'industria e di un efficace sostegno pubblico, grazie
anche a misure di tipo fiscale. Il piano d'azione
quindi intende puntare sugli interventi finalizzati a
migliorare la carriera dei ricercatori, ad avvicinare la
ricerca pubblica all’industria e a sviluppare il
potenziale degli strumenti di finanziamento pubblici,
sia a livello nazionale che europeo. Ad esempio,
eliminando le norme connesse con molti regimi di
finanziamento pubblico, che impediscono la
cooperazione transeuropea e il trasferimento di

190 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


tecnologie, riducendo di conseguenza le opportunità
di ricerca e innovazione disponibili per i beneficiari;
- azioni di potenziamento dei finanziamenti: fattore
necessario a qualsiasi intervento è l’aumento dei
finanziamenti pubblici per la ricerca. Tali azioni sono
volte a favorire e a monitorare il riorientamento dei
bilanci pubblici e a indurre lo sfruttamento ottimale
delle possibilità di sostegno all'industria offerte dalle
norme sugli aiuti di Stato e gli appalti pubblici;
- azioni di miglioramento, del quadro generale della
ricerca e dell'innovazione tecnologica in Europa. Uno
dei focus di queste attività riguarda la protezione della
proprietà intellettuale, attraverso una
regolamentazione dei mercati dei prodotti, regole
sulla concorrenza, mercati finanziari, quadro fiscale e
trattamento della ricerca nelle pratiche di gestione e
informazione finanziaria delle imprese.

5.2.1 Investimenti in innovazione


Fino ad ora tutte le iniziative volte al potenziamento
dell’innovazione, della capacità competitiva del Sistema Paese,
soprattutto in Italia, ma in generale in tutta Europa, si sono
concentrate esclusivamente sulla relazione tra innovazione e
ricerca, dimenticando che l'innovazione prende forma a
partire da complesse interazioni tra i singoli, le organizzazioni
e l’ambiente in cui operano.
Per agire a favore dell’innovazione è quindi indispensabile
comprendere questo fenomeno in tutte le sue dimensioni e
sfaccettature. Un intervento pubblico diretto a incoraggiare e
a sostenere una popolazione più ampia, più efficace e più
efficiente di imprese innovatrici, comprese le piccole e medie
imprese, si deve perciò basare una dimensione complessa
dell'innovazione.
Per stabilire come porre rimedio alle debolezze del sistema di
innovazione in Europa, è necessario che venga sviluppato un
processo di comprensione del fenomeno dell’innovazione a
partire dai suoi fattori chiave:
- l’impresa è al cuore del processo di innovazione;
- la politica dell’innovazione deve aver un effetto
incisivo sulle imprese, sul loro comportamento, le

| 191
loro capacità e il loro ambiente;
- sebbene la ricerca fornisca un importante contributo
all’innovazione, senza iniziativa imprenditoriale non
c’è creazione di valore. È l’impresa che struttura la
creazione di valore. Le imprese si trovano sempre più
di fronte alla necessità di reagire prontamente alla
competizione globale con investimenti che hanno
una incidenza economica difficilmente sostenibile
con risorse proprie.
Da questi indicatori emerge come, nel processo di
innovazione delle imprese, la R&S (ricerca e sviluppo) sia uno
degli elementi centrali da sviluppare, potenziare e sostenere
con politiche di incentivo economico. Sebbene questa
valutazione e lettura dei fenomeni dell’innovazione sia
condivisa e anzi, affermata da esperti e politici sembra che
molti dei provvedimenti attuati siano stati formulati con
l’intenzione di promuovere l’innovazione intesa come esito di
attività di ricerca.

5.2.2 Politiche dell’innovazione


Le politiche volte a stimolare l’innovazione e
l’imprenditorialità condividono una base comune con la
politica industriale e se, sviluppate con successo, sono in
grado di generare un rinnovamento che consente all’industria
di migliorare le sue prestazioni in termini di crescita e
competitività. Rispetto alle politiche sull’innovazione è
possibile identificare tre “dimensioni” degli interventi, che
poi consentono di valutarle nella prospettiva di crescita
europea:
- “governance politica”: le politiche che hanno un
influsso sulle capacità e sul comportamento
innovativo delle imprese possono essere definite a
livello locale, regionale, nazionale comunitario o
addirittura mondiale. La coerenza e la
complementarità tra i diversi livelli sono essenziali;
- dimensione settoriale: numerosi fattori che
riguardano l’innovazione sono comuni a molti, se
non tutti, i settori industriali, anche se con pesi
differenti in relazione alle caratteristiche di ciascun
settore;

192 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- interazione con altri settori di intervento: la politica
dell’innovazione deve spesso essere integrata con altre
politiche, deve tener conto di una molteplicità di
fattori che influiscono direttamente o indirettamente
sulle attività delle imprese. Primo fra tutte riguarda
l’integrazione con le politiche sociali: se consideriamo
il fenomeno dei distretti industriali come fattore
chiave per leggere il modello industriale italiano ci
accorgiamo di quanto sia strettamente correlata la
dimensione socio-culturale a quella tecnico-
produttiva in queste aree. Politiche quindi che
intendono favorire, proprio in questi contesti, lo
sviluppo dell’imprenditorialità non possono che
basarsi su una forte integrazione di componenti
industriali e di componenti sociali.

5.3 Gli indicatori europei dell’innovazione e della ricerca

La capacità innovativa è ormai ritenuta una delle priorità


strategiche per lo sviluppo ed il benessere di un Sistema Paese,
che di fatto gioca un ruolo chiave sul fronte della
competitività internazionale (delle imprese, dei sistemi di
imprese, dei territori ecc.). Sulla base di questa constatazione
gli Stati dell’UE oltre a definire i parametri necessari allo
sviluppo dell’innovazione e della ricerca nel contesto europeo
hanno messo a punto degli indicatori necessari a valutare
l’impatto di tali politiche e quindi le variazioni rilevabili di
tale capacità innovativa.
La Commissione Europea (Direttorato Generale per la
Ricerca) ha predisposto il cosiddetto Quadro di valutazione
dell’innovazione in Europa (EIS), che attravreso i dati della
“European Community Innovation Survey (CIS)”, verifica
annualmente la strategia messa a punto dal Consiglio europeo
di Lisbona nel marzo 2000.
L’innovazione viene definita come “il rinnovamento e
l’ampliamento della gamma di prodotti e di servizi e dei relativi
mercati; nuovi metodi di produzione, fornitura e distribuzione;
l’introduzione di modifiche nel management, nell’organizzazione
del lavoro, nelle condizioni di lavoro e nelle competenze

| 193
professionali”; in particolare l’attenzione viene posta ad un
tipo di innovazione definita ad alta tecnologia al fine di
tracciare il quadro del progresso dell'Unione europea in
questo campo, evidenziando, in forma aggregata, i punti di
forza e di debolezza degli Stati membri in materia di
innovazione.
EIS comprende venti indicatori principali, scelti per
sintetizzare i più importanti propulsori dell'innovazione; a
partire dal 2004 viene fornito un solo indice sintetico
compreso tra 0 e 1: il Summary Innovation Index (SII),
basato su un numero di indicatori che varia a seconda del
Paese da 12 a 20 indicatori, copre i 25 Stati membri dell’UE,
gli USA, il Giappone, l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera, la
Bulgaria, la Romania e la Turchia.

5.3.1 La situazione SII 20042


Come negli anni precedenti, anche nel 2004 nelle posizioni
leader del Summary Innovation Index predominavano le
economie del nord Europa, cioè la Finlandia e la Svezia.

Grafico 5.1: Summary Innovation Index (SII) 2004

2
L’analisi e i grafici riportati in questa sezione provengono dal Centro Studi
Assolombarda.
Fonte: Maria Grazie DeMaglie (a cura di), Commissione di comunità europee
European Innovation Scoreboard 2004: (Quadro di valutazione dell’innovazione
in Europa), Centro Studi Assolombarda, www.assolombarda.it, dicembre 2004

194 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Al contrario gli Stati membri meridionali quali Grecia,
Portogallo, Spagna mostravano valori bassi in termini di
innovazione ma continuavano a recuperare terreno nei
confronti del resto dell’Europa. Alcuni Paesi recentemente
entrati nell’Unione Europea hanno registrato buoni risultati
ricoprendo posizioni più avanzate rispetto ad alcuni Paesi
dell’UE (Lettonia, Cipro, Slovacchia, Ungheria e Slovenia).

Il grafico 5.2 mostra il posizionamento dei Paesi analizzati


rispetto all’indice SII (asse verticale) e al trend di crescita dello
stesso nel medio termine (asse orizzontale). Il grafico è diviso
3

in quattro quadranti:
- Paesi con trend superiore alla media UE e SII
superiore a quello medio UE sono denominati in
avanzamento (moovin ahead);
- i Paesi con valori SII inferiori alla media UE e trend
superiore a quello medio sono chiamati in recupero
(catching up);
- I Paesi con valori SII inferiori alla media UE e trend
più basso di quello medio sono chiamati in
arretramento (falling further behind);
- I Paesi con valori SII superiori alla media UE e trend
più basso di quello medio sono chiamati in
rallentamento (losing momentum).

Sulla base di questa classificazione emerge che: i Paesi in fase


di recupero sono: Portogallo, Lettonia, Cipro, Ungheria,
Slovacchia, Spagna, Slovenia, Lussemburgo e Polonia. l’Italia
si trova in fase di arretramento insieme a Estonia, Repubblica
Ceca e Austria. Nella fase di avanzamento si posizionano
Islanda, Belgio, Danimarca, Germania, e Svizzera.
Gli indicatori, invece, sono risultati poco positivi in Olanda,
Francia e Irlanda che hanno evidenziato trend molto bassi
rispetto alla media europea.

3
I valori relativi al trend confrontano il dato relativo all’ultimo anno con la
media dei precedenti tre anni.

| 195
Grafico 5.2: Correlazione tra Summary Innovation Index e indicatori di
tendenza per il 2004

Gli indicatori sono suddivisi in 4 grandi categorie:


a. risorse umane impiegate nelle attività di innovazione;
1) percentuale di laureati in scienze ed ingegneria rispetto alla popolazione
compresa tra i 20 e i 29 anni;
2) numero di persone tra i 25-64 anni con qualche forma di educazione post
secondaria;
3) percentuale di persone tra i 25-64 anni impegnate in corsi educativi o di
aggiornamento durante le quattro settimane precedenti l’indagine;
4) percentuale degli addetti manifatturieri occupata in settori ad alta e medio-
alta tecnologia (cioè chimica, meccanica, apparecchiature elettriche ed
elettroniche, macchine per ufficio, apparecchi per telecomunicazioni, strumenti
di precisione, autoveicoli, mezzi aerospaziali);
5) percentuale della forza lavoro totale occupata in servizi high-tech;
b. la creazione di nuova conoscenza;
6) spesa pubblica per la ricerca in % del PIL;
7) spesa delle imprese per la ricerca in % del PIL;
8) numero di brevetti high-tech depositati presso l’EPO e l’USPTO per milione
di abitanti (con due sottoindicatori distinti);
9) numero di brevetti totali depositati presso l’EPO e l’USPTO per milione di
abitanti (con due sottoindicatori distinti);
c. il trasferimento e applicazione di nuova conoscenza;
10) percentuale di piccole e medie imprese con attività di ricerca e innovazione
interna;
11) percentuale di piccole e medie imprese con attività di ricerca e innovazione
svolta in cooperazione con altre imprese o istituzioni nei tre anni precedenti
l’indagine;
12) percentuale di spesa per ricerca e innovazione sul fatturato totale delle
imprese;
13) percentuale di piccole e medie imprese che hanno realizzato nei tre anni
precedenti l’indagine significative innovazioni non legate alla tecnologia, cioè
relative alla conduzione ed organizzazione dell’azienda o all’apparenza estetica e
al design di almeno un prodotto;

196 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


d.finanziamento, prodotti e mercati dell’innovazione.
14) percentuale di venture capital in settori ad alta tecnologia (computer,
elettronica, biotecnologie, medicina e salute, automazione industriale, servizi
finanziari);
15) percentuale di venture capital investito in attività embrionali o di start-up in
% del PIL;
16) percentuale del fatturato totale delle imprese relativo a prodotti nuovi o
significativamente migliorati introdotti (con due distinti indicatori per il
mercato e le imprese);
17) % di famiglie e imprese con accesso a Internet (2 sottoindicatori);
18) spese per ICT in % del PIL;
19) quota % di valore aggiunto manifatturiero attribuibile ai settori high tech.

Considerando gli indicatori singolarmente è possibile mettere


in evidenza che la Finlandia, la Svezia e la Danimarca si
trovano in posizioni leader per più del 50% degli indicatori.
Fra i Paesi dell’euro, la Germania ha registrato valori elevati
per un numero considerevole di indicatori (9); l’Italia, invece,
si posiziona al terzo posto soltanto una volta e in relazione
all’indice che misura le vendite di prodotti innovativi per i
mercati. I nuovi Stati Membri hanno evidenziato valori
elevati nei seguenti indicatori: occupazione in settori
manifatturieri high-tech, spese in innovazione, spese in ICT e
valore aggiunto nei comparti manifatturieri high-tech. Le
differenze maggiori fra i valori relativi ai Paesi dell’UE e quelli
degli USA si riscontrano negli indici relativi a:
- brevetti;
- popolazione in età lavorativa in possesso di una
laurea;
- spese in R&S, principalmente per la componente
privata;
- quota di valore aggiunto dei comparti manifatturieri
high-tech sul totale;
- venture capital.

Considerando la crescita registrata rispetto agli indicatori


emerge ad esempio che i valori più alti, nel contesto UE, si
registrano rispetto ai nuovi Stati Membri; questo, in parte si
spiega anche dai modesti valori di partenza.

5.3.2 Innovazione di tipo non tecnologico: un nuovo indicatore


L’innovazione tecnologica, alla base dei criteri di valutazione
fin d’ora sottolineati, ha però bisogno di processi differenti

| 197
per tradursi in nuovi mercati per le imprese: nuovi modelli di
business, modi innovativi di consegna delle merci, prodotti
integrati, management.
Sulla base di questa considerazione è possibile affermare,
almeno per ciò che riguarda la situazione europea, che
l’innovazione non tecnologica può essere un elemento in
grado di supportare le economie UE nello sfruttare appieno le
opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
A supporto di tali osservazioni è stato inserito nel SII, a
partire dal 2004, un nuovo indicatore composto da un
indicatore relativo all’innovazione non tecnologica e i tre sub
- indicatori (innovazione nella struttura organizzativa, nelle
tecniche manageriali e cambiamenti estetici del prodotto)
calcolati per 21 Paesi. Dal confronto con il Summary
Innovation Index si osserva che molti Paesi hanno registrato
valori bassi del SII, ma performance migliori per l’indicatore
non tecnologico; hanno mostrato tali caratteristiche l’Italia, la
Grecia, il Lussemburgo, il Portogallo, l’Estonia e la Slovenia.
Questo dato, oltre ad incoraggiare rispetto ad un quadro
complessivo che vede l’Italia “navigare in cattive acque”,
introduce a livello europeo la consapevolezza che parte dei
processi che hanno fino ad oggi garantito il successo e lo
sviluppo di molte economie europee (tra queste in primis
appunto quella italiana) non riguardano le tecnologie, quanto
più il trasferimento di conoscenze specifiche in grado di
supportare i processi di innovazione aziendali (tra queste
conoscenze c’è di fatto anche quella di design).

A ben guardare però, nonostante venga considerato questo


nuovo indicatore che valuta l’innovazione non tecnologica, di
fatto poi la classificazione delle imprese a livello europea viene
fatta solo rispetto alle attività di innovazione tecnologica.
In questo senso il rapporto suddivide le imprese innovative in
quattro gruppi:
- Strategic innovators (21,9% delle imprese innovative):
per queste imprese, l’innovazione e una componente
essenziale delle strategie per la competitività. La spesa
in ricerca e sviluppo è alla base del processo
innovativo che viene, inoltre, trasmesso anche ad altre
imprese.

198 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- Intermittent innovators (30,7% delle imprese
innovative): le aziende investono in ricerca e sviluppo
all’interno solo quando è necessario, ma l’innovazione
non è essenziale per la strategia competitiva.
- Tecnology modifiers (26,3% delle imprese innovative):
queste imprese innovano i prodotti o i processi
attraverso attività non basate sulla ricerca e sviluppo.
- Tecnology adopters (21% delle imprese innovative): le
aziende che rientrano in questa categoria innovano
principalmente adottando le innovazioni sviluppate
da altre aziende o organizzazioni.

La classificazione si basa quindi essenzialmente su due criteri:


le novità introdotte dalle imprese innovative e lo sforzo in
creatività delle imprese nelle attività innovative svolte
all’interno.

5.4 La situazione italiana

Rispetto alla situazione italiana l’EIS conferma, purtroppo,


una tendenza manifestatasi anche nel 2002 e 2003, che
vedeva il nostro Paese peggiorare costantemente le proprie
performances innovative . Secondo
4
l’IMD World
Competitiveness Yearbook 2004, l’Italia nel 2004 è al 51esimo
posto (su 60 nazioni) per quanto riguarda la competitività,
con una perdita di ben dieci posizioni rispetto al 2003. Tra le
quattro macro-aree prese in considerazione dall’indice
dell’IMD (performance economica, efficienza del governo,
efficienza del settore privato, infrastrutture), le maggiori
criticità provengono dall’efficienza del governo (56esimo
posto) e dall’efficienza del settore privato (54esimo posto).
Ulteriori indicazioni negative per il nostro Paese provengono
dal rapporto Europe in the creative age, pubblicato nel 2004
da Richard Florida e Irene Tinagli, nel quale vengono
presentati vari indicatori per valutare il livello di creatività

4
Rapporto Innovazione di Sistema. Analisi comparata del potenziale innovativo dei
principali Paesi industrializzati- 2004, Fondazione Rosselli-Corriere della Sera,
2004

| 199
delle nazioni dell’Unione Europea e degli USA. L’Italia è al
terzultimo posto nell’Euro-Creativity Index, la misura di
sintesi adottata dagli autori (comprende vari indicatori relativi
all’intensità brevettuale, al capitale umano e al numero di
lavoratori della classe creativa). Inoltre, per quanto riguarda
l’Euro-Creativity Trend Index, vale a dire la valutazione
dinamica dei progressi fatti registrare dalle diverse nazioni dal
1995 ad oggi, l’Italia risulta essere una delle nazioni “meno
creative” d’Europa, non solo, i Paesi che attualmente la
seguono in graduatoria stanno facendo registrare, negli ultimi
anni, dei notevoli passi avanti che potrebbero determinare a
breve termine un ulteriore scivolamento del nostro Paese.
All’interno dell’Euro-Creativity Matrix, ossia della
correlazione tra il valore dell’indice di creatività e la linea
tendenziale di sviluppo della creatività, l’Italia è, con la
Francia, l’unico Paese che si segnala per avere valori inferiori
alla media in ambedue i settori.
Questi studi a confronto portano a constatare come per molti
versi debba essere considerata critica la situazione italiana,
anche se è possibile individuare aree che stanno facendo
registrare andamenti positivi. Una di queste riguarda gli
indicatori relativi all’area delle “nuove tecnologie di ICT”.
Sono aumentati gli utenti di Internet, è diminuito il costo
medio relativo all’accesso ad Internet e la spesa in
telecomunicazioni è rimasta sostanzialmente invariata (anche
se il commercio elettronico stenta a crescere a causa del basso
numero web server sicuri).
L’area critica per l’Italia si conferma essere quella relativa al
capitale umano. In particolare l’Italia è tra le ultime nazioni
per quanto riguarda il numero di ricercatori ogni 1000 unità
di forza lavoro. Inoltre, i dati contenuti nell’OCSE Science
and Technology Statistical Compendium 2004 confermano che
l’Italia è l’unico Paese dell’area OCSE per il quale il numero
di ricercatori nel settore privato sia calato dal 1995 ad oggi.
Se a ciò aggiungiamo le stime del fenomeno legato alla fuga di
cervelli il problema del capitale umano si configura come
destinato a diventare drammatico soprattutto nei prossimi
anni. I pochi ricercatori presenti in Italia dimostrano, però, di
avere un’elevata produttività, confermata dal numero di
brevetti e delle pubblicazioni scientifiche. Quello che risulta
particolarmente penalizzante per l’Italia in quest’area è

200 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


rappresentato dalla scarsa protezione dei diritti di proprietà
intellettuale e dalla scarsa efficienza dei processi di
trasferimento tecnologico tra università e imprese.
Per quanto riguarda il sostegno finanziario alle attività di
R&S, aumenta il gap che separa l’Italia dagli altri Paesi
dell’UE.
Grossi problemi si registrano inoltre nell’area relativa alle
caratteristiche del contesto istituzionale. Emerge un quadro
nazionale nel quale l’efficienza dello Stato è estremamente
bassa, le nuove tecnologie non sono promosse e le leggi non
vengono applicate e rispettate. Per quanto riguarda le
infrastrutture non si registrano cambiamenti anche se emerge
sempre di più un problema legato alla qualità e all’efficienza
dei servizi legati all’energia e ai trasporti.
Sul versante della ricerca e dell’innovazione quasi tutti gli
indicatori evidenziano il cattivo posizionamento dell’Italia nel
confronto con gli altri Paesi ed in generale un livello di
investimenti e di dinamica innovativo-tecnologica inferiore
alla media della UE. L’innovazione italiana, in questi anni, si
è essenzialmente basata sulla ricerca informale legata più
all’inventore-imprenditore che allo sviluppo di tecnologia; in
questo senso l’Italia ha saputo promuovere una netta
superiorità nel campo del design anche grazie allo
sfruttamento di innovazioni tecnologiche sviluppate da grandi
multinazionali. Questa capacità italiana di produrre
innovazione senza ricerca formale appare anche dai dati dello
European Innovation Scoreboard 2004, dai quali emerge che
l’Italia eccelle nell’indicatore relativo alla percentuale di
prodotti nuovi o significativamente migliorati introdotti sul
mercato dalle imprese, con un posizionamento nettamente
più elevato della media europea . 5

5.4.1 La politica industriale italiana


Per far fronte a questa situazione piuttosto preoccupante di
fatto la politica nazionale si avvale del lavoro trasversale di
diversi Ministeri. Soprattutto sul versante del supporto ai
processi di innovazione delle imprese, esistono politiche di

5
Fortis, 2005

| 201
tipo orizzontale sviluppate da Ministeri diversi da quello delle
Attività produttive, che sfruttano strumenti legislativi
differenti, con obiettivi e finalità differenti.
Queste politiche orizzontali si collocano trasversalmente alle
politiche del Ministero delle Attività Produttive, che
dovrebbe in qualche modo essere il traino delle azioni di
potenziamento dell’imprenditorialità e dell’innovazione per le
imprese. Di fatto possiamo classificare gli attori nazionali che
partecipano alla costruzione e attuazione delle politiche di
ricerca e innovazione in Italia in due categorie:
- gli enti finanziatori e attuatori delle politiche e azioni;
- gli enti e istituzioni che usufruiscono e mettono in
pratica la ricerca.

Nella prima categoria di attori rientrano sia istituzioni


pubbliche che private che, attraverso legislazioni specifiche,
deliberano e attuano politiche ad hoc per la ricerca e
l’innovazione. A livello pubblico questo ruolo è svolto dal
Governo che demanda ai singoli Ministeri il compito di agire
sui rispettivi fronti di interesse. Allo Stato, in generale, spetta
il compito di creare le condizioni favorevoli all’innovazione in
campo legislativo e macroeconomico e di definire la strategia
di Ricerca&Sviluppo dirigendo le attività di ricerca pubbliche
e private verso specifici campi dell’innovazione. Le politiche
relative a ricerca e innovazione sono portate avanti da tre
Ministeri in particolare:
- il MAP, Ministero delle Attività Produttive è
responsabile della promozione e dello sviluppo delle
attività produttive, includendo il commercio,
l’assicurazione, l’energia ed il turismo;
- il MIT, Ministero dell’innovazione e delle nuove
tecnologie, ha il compito di riunire le migliori
capacità ed esperienze a livello nazionale ed
internazionale per elaborare una strategia per lo
sviluppo della società dell’informazione per il Paese;
- il MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca è responsabile della promozione
dell’educazione e della ricerca scientifica e tecnologica
e della guida e del coordinamento dei corpi
universitari.

202 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Ogni ministero, sulla base dell’orientamento strategico
complessivo dettato dal Governo, propone un piano di azione
specifico: il MIUR nell’anno 2004-2005 ha emanato il Piano
nazionale della Ricerca 2005-2007, un documento che ha
l’obiettivo di fornire un quadro della situazione del settore
della ricerca scientifica e tecnologica e di formulare indirizzi e
proposte del Governo. Il MAP e il MIT, invece, nel gennaio
2005 hanno prodotto il Secondo Piano per l’innovazione
digitale delle imprese.

La struttura di collegamento tra i vari Ministeri è il CIPE, il


comitato interministeriale per la programmazione economica.
Il CIPE sulla base degli indirizzi fissati dal Governo stabilisce
le linee generali di politica economico-finanziaria ed elabora
gli indirizzi delle diverse politiche settoriali, assicurandone da
un lato il coordinamento con gli obiettivi occupazionali e di
sviluppo (soprattutto delle aree depresse) e verificandone,
dall’altro, la coerenza con le politiche comunitarie.
Oltre al Cipe, una società di supporto all’innovazione
collegata agli enti pubblici è AGITEC (Agenzia per
l’Innovazione Tecnologica), società di servizi avanzati,
costituita da Mediocredito Centrale, ENEA, Unioncamere,
ed Istituto per la Promozione Industriale su impulso del
Ministero dell’Industria per assistere le imprese nella
realizzazione di investimenti in innovazione tecnologica.
L’Agenzia si occupa del coordinamento dei soggetti attivi
nell’ambito della promozione dell’innovazione tecnologica,
dell’assistenza agli investimenti produttivi e del supporto
all’internazionalizzazione delle imprese, in Italia e nei Paesi
esteri.
Accanto ai Ministeri, a livello nazionale, è possibile
identificare altre strutture pubbliche che favoriscono la ricerca
e l’innovazione:
- enti istituzionali come il sistema camerale delle
Camere di Commercio e di Unioncamere;
- enti di rappresentanza come Confindustria e
Confartigianato e le Associazioni di categoria.

Affiancano queste strutture di natura pubblica una fitta rete


di enti di natura privata come le Fondazioni Bancarie,
Universitarie e d’Impresa.

| 203
Accanto al sistema di attori che approvano i piani strategici ed
erogano i finanziamenti, troviamo gli attori che, invece,
usufruiscono e mettono in pratica la ricerca finalizzata allo
sviluppo dell’innovazione.
Anche in questo caso è possibile identificare due categorie di
soggetti:
- istituzionali di formazione e ricerca (Università,
Dipartimenti, Consorzi universitari ecc.);
- enti di ricerca e trasferimento tecnologico.

In Italia il settore della formazione e della ricerca post-


secondaria è composto da circa 87 università. Sono in
prevalenza Università dello Stato, che ricoprono un ampio
spettro di discipline: dai Politecnici e le Università degli
Studi, che realizzano studi nei campi dell’ingegneria e
dell’economia e del design, alle Università di stampo
umanistico e sociologico, ecc. Il tipo di ricerca svolta da
questo tipo di istituzioni è soprattutto di base anche se negli
ultimi decenni numerosi atenei stanno avviando iniziative
volte a connettere maggiormente il sistema della conoscenza
con il mondo delle imprese, in particolare con le PMI, a cui
offrono servizi di consulenza e di trasferimento tecnologico.

Per quanto riguarda gli enti di ricerca e trasferimento


tecnologico, in Italia operano circa 112 centri di ricerca
industriale riuniti nell’Associazione Italiana per la Ricerca
Industriale (AIRI), costituita nel 1974 con lo scopo di
divenire il principale riferimento nazionale nel sistema delle
attività di ricerca, sviluppo e innovazione nei processi di
produzione industriale. È possibile suddividere i centri di
ricerca secondo tre macro categorie:
- centri di ricerca legati alla formazione;
- centri di ricerca e sviluppo aziendali;
- centri di servizi alle imprese.
Questi ultimi comprendono diverse fome di strutture:
- BIC (Business Innovation Center), sono strutture che
supportano la creazione di imprese innovative ed
aiutando le imprese esistenti ad innovare e ad
incrementare la propria competitività;

204 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- gli incubatori tecnologici ed accelleratori d’impresa,
sono strutture di supporto agli imprenditori, e
soprattutto alle fase di start up di impresa;
- Agenzie territoriali di servizio, supportano le PMI
attraverso servizi innovativi a sostegno delle politiche
di sviluppo aziendale.
- Centri per lo sviluppo territoriale. Anche in questo caso
è possibile identificare diverse tipologie di strutture:
Parchi scientifici e tecnologici, Istituti ed enti di ricerca
nazionale (CNR, INFM, ENEA).

5.4.2 Gli incentivi all’innovazione: contributi nazionali e regionali


Sulla base degli orientamenti delle Politiche nazionali di
sviluppo dell’innovazione sono stati messi a punto differenti
strumenti di accesso agli incentivi messi a disposizione dello
Stato a favore dell’imprenditorialità e dello sviluppo
dell’industria. Tali incentivi, a favore della ricerca e del
trasferimento tecnologico, possono essere ricondotti a tre
livelli strategici di intervento:
- un livello regionale, di normative e leggi formulate ad
hoc rispetto alle specifiche emergenze riconoscibili a
livello del territorio regionale (emergenze produttive,
socio-culturali, di beni storico-artistici ecc.);
- un secondo livello riguarda i macro interventi a
livello nazionale, che mirano a favorire a grande scala
lo sviluppo della ricerca e la connessione tra mondo
della ricerca e sistema industriale nazionale;
- un terzo livello è quello degli interventi comunitari
che spingono nella direzione di progetti
transnazionali di diffusione della ricerca e
dell’innovazione sia a livello delle imprese, sia degli
enti/istituti di ricerca.

Incentivi Regionali
Ogni Regione, in virtù delle caratteristiche specifiche del
tessuto industriale del territorio di competenza, come risposta
ad un progressivo processo di aumento dell’autonomia di
azione, mette in campo leggi regionali formulate ad hoc e che
permettono l’accesso a contributi di differente natura:
- contributi a favore dell’implementazione di

| 205
tecnologia e servizi (acquisizione di brevetti, di diritti
di utilizzazione di nuove tecnologie produttive cc.);
- contributi per la realizzazione di progetti di ricerca
scientifica e applicata e di iniziative di trasferimento e
di diffusione dei risultati della ricerca (rivolti in
particolare alle università, agli enti pubblici di ricerca
e agli organismi pubblici di ricerca);
- contributi in favore dello sviluppo di attività di
formazione di personale qualificato da inserire in
azienda;
- contributi a favore dello start up di nuove imprese.

Incentivi Nazionali
Il principale strumento di finanziamento nazionale alla ricerca
e al trasferimento tecnologico è il PRN_ Programma
Nazionale della Ricerca
Il Programma Nazionale della Ricerca, si articola in tre
tipologie di azioni prioritarie:
- azioni di natura strutturale con ritorno sul medio-lungo
periodo: prevedono interventi per il rafforzamento e
l'ampliamento della base scientifica del Paese
mediante il sostegno alla ricerca di base e interventi di
sostegno alla ricerca orientata allo sviluppo di
tecnologie strategiche per i sistemi economici,
ambientali e sociali.
- azioni con ritorno sul breve-medio periodo: presentano
interventi per la valorizzazione di risultati della ricerca
scientifica (spin off della ricerca e la formazione
superiore per imprenditori e manager), interventi per
il potenziamento tecnologico del sistema produttivo
esistente ed il sostegno allo sviluppo di reti di piccole
medie imprese, interventi per la valorizzazione degli
strumenti, delle metodologie e dai prodotti offerti
dalla scienza e dalla tecnologia per rispondere ai
bisogni sociali ed economici;
- azioni trasversali: prevedono il sostegno
all'internazionalizzazione del sistema scientifico
nazionale, la realizzazione ed il rafforzamento di un
sistema di monitoraggio e valorizzazione dei risultati,
la diffusione delle tematiche e dei risultati,

206 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


l'attivazione di forme di concertazione e cooperazione
Stato-regioni.

All’interno del PRN vi sono poi azioni specifiche di


finanziamento a favore dello sviluppo della ricerca industriale
(FAR- Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca Industriale,
FIT- Fondi per l’Innovazione Tecnologica, FIRB- Fondo per
gli Investimenti della Ricerca di Base).

Incentivi Comunitari
Il VI Programma Quadro di R&S (VI PQ) è lo strumento
dell'Unione Europea per l'attuazione della politica
comunitaria di ricerca e sviluppo tecnologico nella
programmazione 2002-2006, e che costituisce il punto di
riferimento, anche a livello nazionale, per azioni di
potenziamento del sistema industriale in un’ottica
transanazionale.
La Commissione Europea ha, in questo programma,
introdotto tre nuovi strumenti di partecipazione che stanno
alla base della realizzazione dello Spazio Europeo della
Ricerca. Gli strumenti attraverso i quali vengono attuati gli
obiettivi del VIPQ sono:
- Progetti Integrati (IP): sono progetti concepiti per
imprimere maggiore slancio alla competitività
dell'Europa rispondendo ai principali bisogni della
società, mobilitando una massa critica di risorse e
competenze per raggiungere alti obiettivi di ricerca e
sviluppo tecnologico;
- Reti di eccellenza (NoE): sono progetti indirizzati a
rafforzare l'eccellenza scientifica e tecnologica
dell'Europa in un determinato settore di ricerca
mediante il raggiungimento di una massa critica di
risorse e competenze.

Il VI PQ individua poi delle priorità tematiche in base alle


quali vengono valutate e selezionate le proposte; queste
priorità possono essere sintetizzate in 7 macroaree: Scienze
della vita, Nanotecnologie, Aeronautica e spazio; Sicurezza e
qualità dei prodotti alimentari; Sviluppo sostenibile,
Cittadinanza e governance nella società della conoscenza.

| 207
5.5 Il caso della regione Lombardia6

Le attività di ricerca scientifica e sviluppo sperimentale (R&S)


nell’industria manifatturiera offrono un contributo essenziale
all’evoluzione del sistema produttivo, generando nuova
conoscenza scientifica e tecnologica potenzialmente
utilizzabile nel miglioramento dei processi di produzione e
nella creazione di nuovi prodotti. In Lombardia, nel periodo
1994-2000, le spese per R&S sono incrementate del 28,7%.
Tra i settori più impegnati si trova l’industria chimica ed il
settore della fabbricazione di autoveicoli e mezzi di trasporto.
Nonostante l’Italia abbia dei livelli di spesa per R&S, in
rapporto al PIL, inferiori rispetto a quelli di numerosi Paesi
membri dell’OCSE e dell’Unione Europea, la Lombardia si
caratterizza per un’alta percentuale di spesa (33,1% del totale
nazionale), confermando la vitalità del proprio sistema
produttivo. Sono le grandi imprese che sostengono circa
l’80% della spesa per R&S mentre i settori più attivi risultano
essere quelli della fabbricazione di apparecchiature elettriche
ed elettroniche, della chimica e della fabbricazione di
autoveicoli e di altri mezzi di trasporto, che complessivamente
spendono più del 50% del totale.

La Regione Lombardia, a seguito delle disposizioni Nazionali,


ogni 3 anni emana un documento programmatico
denominato Documento Strategico per la Ricerca e
l’Innovazione che descrive gli obiettivi, i principi, le risorse
finanziarie ed il percorso strategico della Regione. L’obiettivo
del documento è quello di esplicitare e innovare la strategia
della Regione Lombardia per la R&I, attraverso un processo
di rilettura del percorso svolto fino a quel momento.

La Regione si propone di realizzare un ambiente il più


possibile aperto all’innovazione e allo scambio di conoscenze
tra soggetti diversi, promuovendo sia il trasferimento
tecnologico tra centri di ricerca e mondo industriale, sia la
creazione di imprese ad alto contenuto innovativo.

6
a cura di Antonella Castelli

208 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Il sostegno alla Ricerca e Sviluppo e all’innovazione
tecnologica si sono sviluppati nel tempo secondo varie
modalità operative : 7

- intervento diretto e cofinanziamento degli


investimenti e dei costi sostenuti dalle imprese per la
progettazione di innovazione tecnologica di processo
e di prodotto;
- promozione della costituzione a livello settoriale e
territoriale di specifiche strutture di servizio e di
assistenza tecnologica alle PMI e all’artigianato;
- costituzione, sottoscrizione e gestione di fondi
mobiliari per la partecipazione a capitali di rischio per
favorire l’apporto di capitale da parte di investitori
specializzati in imprese medio piccole con elevato
potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti,
nuovi servizi, nuove tecnologie;
- realizzazione di strutture ed infrastrutture in cui
collocare attività di ricerca e di trasferimento
tecnologico coinvolgendo produttori di ricerca
(università, centri di ricerca pubblici e privati,…) ed
Enti Locali e potenziali utilizzatori dei risultati della
ricerca (imprese);
- intesa, sottoscritta nel 2000, in materia di
innovazione tecnologica tra Regione Lombardia e
Ministero delle Attività Produttive (MAP), intesa con
il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica
(MIUR), accordi di rafforzamento del partenariato
con gli Enti Locali (in particolare la Provincia).

Il recente trasferimento della responsabilità di definire ed


attuare iniziative per la ricerca e l’innovazione alla dimensione
regionale ha reso necessaria la formulazione di una strategia
regionale chiara ed unitaria. Arrivare alla definizione di un
simile modello strategico partendo da un terreno, non
precedentemente battuto, non è stato semplice: si è dovuto
delineare un percorso con un’opportuna sequenza di

7
Fonte: “Regione Lombardia. Strategia e interventi in Ricerca & Sviluppo”,
Innovare, n. 2, 10-11, giugno 2002

| 209
interventi e sperimentazioni distribuiti nel tempo. La Regione
Lombardia è finalmente giunta alla formulazione di una
strategia articolata nelle seguenti linee:
- governance: azioni volte a rafforzare i processi di
formulazione, realizzazione e valutazione delle
strategie regionali di ricerca ed innovazione;
- politiche trasversali: azioni che agiscono sui
meccanismi di creazione e circolazione delle
conoscenza e dell’innovazione;
- politiche di portafoglio: azioni volte a formulare un
pacchetto integrato di interventi sull’insieme dei
settori/aree tecnologiche della Regione ed, in
particolare, politiche focalizzate e multisettoriali.

Negli ultimi anni i fondi destinati alla ricerca e


all’innovazione sono stati significativamente aumentati: nel
decennio 1990-2000 gli aiuti regionali per la R&I sono,
infatti, più che decuplicati. Nei prossimi tre anni è previsto
un ulteriore aumento dei fondi pubblici connessi all’azione
regionale; gli investimenti futuri saranno orientati soprattutto
al potenziamento degli strumenti finanziari e di supporto alla
programmazione e allo sviluppo delle politiche di portafoglio
focalizzate.
I flussi di finanziamento erogati dai diversi enti pubblici e
privati regionali sono diretti in parte alle imprese, in parte alla
cooperazione tra imprese ed enti di ricerca, ed infine
direttamente rivolti a consorzi e università per attività di
ricerca.

La Regione Lombardia rappresenta un caso interessante


rispetto alle politiche di sostegno alla ricerca e all’innovazione
delle imprese, soprattutto perché ha riconosciuto, anche se
ancora in modo parziale, le potenzialità innovative della
disciplina del design a favore della competitività del sistema
economico regionale. Alcune linee di finanziamento, come
quella relativa al metadistretto del design o allo start up di
imprese innovative nel campo della moda e del design, sono
primi segnali che fanno ben sperare in nuove e più profique
vie di finanziamento alla ricerca su questa discplina.

210 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


5.6 Il Design come innovazione trasferibile8

ll design, come abbiamo potuto vedere nei capitoli precedenti


è innovazione, un’innovazione non tecnologica, di
significato . Un particolare tipo di innovazione che ha
9

caratterizzato fino ad oggi la produzione italiana ma che si è


generata ed è vissuta sostanzialmente in maniera autonoma e
spontanea.
Questa specifico tipo di innovazione attuato dalle Piccole e
Medie Imprese continua però a concorrere in maniera
sostanziale alla definizione del bilancio commerciale italiano,
rappresentando l’unica voce in attivo.
Gli attuali meccanismi di codificazione della conoscenza
attuati dalle singole imprese non sono più sufficienti a
supportarle di fronte alle sfide della globalizzazione.
Essendo un patrimonio unico e distintivo del modello
industriale italiano, al pari della forma organizzativa nel quale
le imprese italiane operano, i distretti industriali, necessita di
attività di ricerca di base e di una strutturazione disciplinare
sui quali investire, affinché si possa rimettere in moto il
volano propulsivo della nostra impresa.
A livello nazionale, infatti, come si è potuto vedere dai
paragrafi precedenti, si assiste ad un ritardo storico in questo
campo rispetto a quanto avviene nelle altre nazioni avanzate
ed emergenti. In questi il design entra in primo piano tra gli
attori per lo sviluppo e i singoli governi si preoccupano di
impostare specifiche politiche a supporto dei sistemi del
design nazionali.
In Italia, invece, non esiste alcuna linea strutturale di
finanziamento diretto per la ricerca di design; quando si parla
di innovazione, infatti, questa è quasi sempre di matrice
tecnologica.

Invece di investire sulla replicazione di quelli che sono i nostri


punti di forza ci ostiniamo a perseguire modelli di sviluppo
che parlano lingue diverse rispetto alla nostra.

8
di Venanzio Arquilla
9
Verganti 2002 in Maffei, Simonelli, 2002

| 211
5.6.1 Il Contesto Internazionale
A livello internazionale le attività di promozione e di
diffusione del design come disciplina progettuale sono tenute
in grande considerazione.
La “tutela” e la ricerca di design vengono gestite sia a livello
delle singole nazioni, con un insieme di centri di design e di
Istituzioni preposte alla ricerca , sia da organismi 10

internazionali come l’ICSID .


L’ICSID è un’associazione non profit creata nel 1927 per
diffondere il design a livello internazionale, in particolare la
Mission rivista nel biennio 1997-99 mette in evidenza i
cinque ambiti di intervento dell’associazione ed è
rappresentativa per le attività svolte da quelle che abbiamo
precedentemente definito come Istituzioni:
- ricerca sui principi del Design e l’evoluzione del
Design;
- la professione del Design, il suo stato in società e la
protezione della proprietà dei diritti intellettuali;
- la formazione del Design e il continuo sviluppo della
pratica del design;
- le attività del Design e prodotti, servizi e sistemi ben
progettati nel mondo;
- maggiore comprensione del design da parte del
pubblico.

In generale, a livello internazionale, si riscontra un aumento


di considerazione nei confronti del design anche nel campo
del management, il design strategico assume sempre maggiore
importanza.
Per quanto riguarda l’aspetto di ricerca sul design, o di
design, queste vengono promosse dalle istituzioni del design e
sono improntate ad evidenziare l’importanza della disciplina
all’interno del tessuto aziendale per il successo dei prodotti.
L’importanza dell’innovazione legata al design viene
riconosciuta anche dall’Unione Europea che già nel 1988
promuoveva le aziende design oriented attraverso l’European
Community Design Price con il supporto di alcune

10
Si veda in proposito Arquilla V. in Casati B. 2004

212 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


organizzazioni di promozione del design di alcuni stati
membri.
Il premio veniva assegnato ad un numero limitato di aziende
di successo, in particolare a PMI, operanti in area europea, e
non in funzione di un prodotto particolare né ad un design
individuale, ma per i team di lavoro, a testimonianza
dell’importanza riservata dall’Unione per il lavoro in team e
per i modelli di innovazione di tipo processuale.
Le aziende che partecipano al premio dovevano dimostrare
l’estensione del design all’interno del processo complessivo di
sviluppo prodotto, per incrementarvi funzionalità e qualità,
nonché carica comunicativa, oltre a migliorare la qualità
dell’ambiente fisico nel quale l’azienda opera.
Il criterio principale della Giuria è legato all’innovazione,
attraverso l’introduzione o la sperimentazione di nuove
tecnologie per la realizzazione di nuovi prodotti, di nuovi
processi o per incrementare la funzionalità di prodotti e/o
servizi esistenti.

Le “istituzioni di coordinamento” rivestono un ruolo di


fondamentale importanza sull’attività di ricerca e pratica di
design all’interno delle singole nazioni, di parla in questo caso
dei design center e di altre istituzioni simili. Tra tutti basta
11

citare come modello il Design Council inglese . 12

Gli inglesi sono stati i primi a creare un organismo, il Council


of Industrial Design, che si occupasse di tutelare e diffondere
la cultura del design nel 1944 e negli ultimi anni stanno
cavalcando l’onda delle professioni creative e della 13

fascinazione che una città come Londra può esercitare su

11
Arquilla, 2004
12
Founded in 1944, the Design Council has for over fifty years been striving to
promote the effective use of design - and design thinking - in business, in education
and in government. Our purpose is 'to inspire the best use of design by the UK, in
the world context, to improve prosperity and well-being.' The Design Council is
independent of Government and run as an autonomous, non-profit making public
body. It is funded through a grant from the Department of Trade and Industry.
Most organisations are at their best when working with others and the Design
Council is no exception. We work with partner organisations to ensure all our
activities have the biggest impact and influence.
13
Florida R. 2002

| 213
questo tipo di persone, inserendosi a pieno titolo nel novero
delle capitali mondiali della creatività attraverso l’iniziativa
Creative London gestita dalla London Creativity Agency

L’operato del Design Council ha avuto un tale riscontro che


nel 1999 con il favore del Primo Ministro Tony Blair è
riuscito ad istituire a tutela della propria attività un gruppo di
interesse parlamentare l’APGDI The Associated Parlia
mentary Group for Design and Innovation . 14

Il gruppo lavora per rafforzare la consapevolezza del design in


Parlamento ed ha ottenuto una serie di importanti successi
dimostrando le potenzialità del design su argomenti quali
educazione, salute, lotta al crimine, business, ambiente e
trasporti.
Anche se indipendente dal governo, il Design Council è stato
fondato dal Ministero del commercio e dell’Industria e
coinvolge in ogni sua iniziativa le massime cariche dello stato
per perseguire sempre il proprio obiettivo di diffusione e
valorizzazione del design nazionale. Le sue attività sono
molteplici, fondamentale a nostro avviso è la funzione di
coordinamento di ricerche sul design e di diffusione delle
politiche di design.

In Inghilterra il design riveste, quindi, un ruolo di


fondamentale importanza, forse proprio grazie all’operato del
Design Council tanto che Stephen Byers, Secretary of State
for Trade and Industry, in merito a design, innovazione e
conoscenza afferma:

“Nobody disputes that the knowledge driven economy is the


future.
The debate must now turn to how to exploit knowledge more
effectively, so as to improve prosperity and well being. The
challenge for the Government, the education system, for
businesses – for everyone involved in planning the future – is to
start creating new ways to employ knowledge successfully.
This will change the business landscape.

14
http://www.designinparliament.org.uk

214 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


But UK businesses are well placed to do this and to exploit our
world class reputation for creativity, innovation and design. We
know these skills provide us with the opportunity to thrive, and
to realise the benefits of the knowledge revolution.
Design is one of the key skills which businesses need to turn
innovation into successful products and services.
As Gary Hamel (of Harvard) put it last year: ‘companies who
live by the sword will be shot by those who don’t’.
A thought I would commend every company in the UK. Our
nation’s prosperity depends upon the ability of businesses to be
innovative and creative and to use design to turn this into world
beating products and services. I am delighted that the Design
Council is playing such an important role in this area by
engaging business leaders in the debate on all this, and by
encouraging them to develop all the skills and tools which will
enable them to open the doors to the future.”

Si vede chiaramente come, da un lato quelle che abbiamo


definito istituzioni di coordinamento e dall’altro il governo
attraverso i suoi rappresentanti, tengano in considerazione il
design ed abbiano individuato nell’innovazione e nella
diffusione della conoscenza la chiave del successo per il
futuro.

Il design viene utilizzato anche e soprattutto come strumento


di promozione del prodotto nazionale, è l’arma dei governi
per diffondere il proprio stile, attraverso prodotti ben
progettati ma anche attraverso iniziative a carattere
internazionale di alto impatto, esempio sempre inglese può
essere rappresentato dal Millennium Product .

5.6.2 la situazione italiana


L’Italia evidenzia una situazione particolare: a fronte di una
cultura progettuale di design storicamente molto forte si
riscontra un ritardo dal punto di vista della ricerca e
dell’istruzione.
Questo in parte può essere connaturato al fatto che, a livello
professionale, i designer italiani hanno sempre riscosso un
successo unanimemente riconosciuto, che ha portato ad
individuare la nostra nazione come la patria del design e in

| 215
Milano la capitale della moda e del design.

Negli ultimi anni, con l’evoluzione degli scenari competitivi,


il vantaggio del design italiano (Italian Style) va
assottigliandosi di fronte ad una concorrenza internazionale
sempre più preparata ed organizzata.

Gradatamente comincia a diffondersi in ambito accademico,


anche in Italia, l’offerta di Corsi di Laurea in Disegno
Industriale, con a capo il Politecnico di Milano che ha
istituito, soltanto nel 1994, il primo corso di laurea in
Disegno Industriale, ora Facoltà del Design.
Nella nostra nazione non manca la cultura o la pratica del
design, manca invece un ruolo o una figura (l’istituzione) di
coordinamento per orientare la ricerca e l’innovazione.

Fino ad oggi il vantaggio del Design Italiano nei confronti dei


concorrenti, grazie anche alla natura industriale italiana legata
alle PMI, era fin troppo evidente tanto da non necessitare di
un circuito di ricerca legato al Design ed al suo rapporto con
il Made in Italy, ritenuti fenomeni spontanei e connaturati
nella capacità o come alcuni dicono estro di professionisti ed
imprenditori.
E’ stata l’università, sostituendosi all’istituzione di
coordinamento assente, la prima a porsi il problema di
avvicinare i due mondi quello della produzione e quello del
design.

5.7 Il ruolo dell’Università e della ricerca nel trasferimento di


design15

Anche su questo versante comunque le cose cominciano a


muoversi grazie anche a uno dei principali strumenti
finanziari a sostegno della ricerca promossi dal MIUR.
I bandi PRN, per la ricerca cofinanziata, hanno dato la
possibilità alle università italiane di individuare aree di ricerca

15
a cura di Venanzio Arquilla

216 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


da approfondire; è tra queste che si inserisce il progetto “Il
disegno industriale per l’innovazione del prodotto. Sviluppo delle
risorse progettuali del Sistema Italia tra mercati globali e risorse
locali” iniziato nel 1998 e conclusasi nel 2000 con la
partecipazione di 17 unità di ricerca, distribuite in 12 sedi
universitarie sparse in tutta Italia come “sensori” dei modi e
delle opportunità di relazione tra design e comunità di
imprese locali.
E’ questa una delle prime attività di ricerca italiane che ha
generato una serie di iniziative concrete sul territorio e che si
è interrogata sul ruolo del design nei sistemi produttivi locali.
L’agenzia SDI, nata proprio da questa ricerca, sta sviluppando
un repertorio di classificazioni, analisi, casi studio che
pongono le basi per una mappatura e interpretazione del
sistema italiano del design e delle sue relazioni con il contesto
economico, sociale e istituzionale.
In particolare l’agenzia sta svolgendo un duplice lavoro: da un
lato essa sta approfondendo questo tema con particolare
attenzione alle situazioni milanese e lombarda; dall’altro sta
svolgendo un ruolo di coordinamento delle attività di ricerca
della rete nazionale.
A questa prima ricerca sono seguite molte altre attività sia a
livello nazionale che europeo.

L’università italiana come luogo della ricerca e in particolare il


Politecnico di Milano, come centro di eccellenza per il
design, sta assumendo sempre più un duplice ruolo:
- elabora ricerca per la didattica;
- elabora ricerca direttamente spendibile nella realtà
produttiva.

L’università diventa un catalizzatore di risorse e comincia ad


occuparsi del loro smistamento per le singole realtà.
Un compito che, come abbiamo visto pocanzi, all’estero viene
demandato ad istituzioni diverse, viene oggi ricoperto dalla
nuova università italiana.
Questo testimonia come il nostro Paese lamenti un ritardo in
questo campo e come, anche grazie a carenze storiche legate
alla cultura del design italiana, solo i centri di eccellenza si
siano resi conto delle tendenze in atto e si stiano adoperando

| 217
per recuperare il gap.
La nuova modalità della ricerca universitaria è caratterizzata
da alcuni aspetti interessanti necessari per una sua
applicazione ai contesti produttivi locali.

Il Politecnico di Milano, e più precisamente la Facoltà del


Design, si è presentato nelle realtà locali non come struttura
universitaria ma fungendo da rappresentante della comunità
del design.
La comunità del design, formata da studenti, operatori del
progetto, professionisti e accademici (docenti e ricercatori)
del design ha individuato una modalità di approccio per i
diversi contesti territoriali che ha previsto l’”uscita” della
comunità dall’università per recarsi fisicamente nella realtà
produttiva.
L’università va quindi nei distretti per progettare; è
indispensabile dare riscontri tangibili del rapporto di
collaborazione, per fare in modo che questo venga accettato
dagli imprenditori come opportunità di sviluppo.
Oltre al carattere propositivo dell’università è necessario avere
anche la fiducia della comunità locale come già detto e che
questa percepisca il bisogno di un intervento progettuale: per
operare nel contesto dei sistemi produttivi locali e innescare
investimenti correttivi è necessario che ci sia una avanzata fase
di percezione di crisi e che tali investimenti possano portare
benefici a breve termine.

E’ questo il nuovo ruolo dell’università, la ricerca diventa


operativa e si pone anche obiettivi tangibili oltre alla canonica
ricerca analitica per la didattica.
La Facoltà del Design si è dimostrata attiva in questo campo e
disponibile ad evolversi sia come struttura che come obiettivi.

I primi interventi sviluppati, in questa ottica, hanno


riguardato azioni di diffusione culturale, miste a piccole
sperimentazioni con PMI e imprese artigiane, interventi che
riprendendo lo schema proposto nel capitolo 2 si 16

16
p. 82

218 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


posizionano nella parte bassa della piramide.

Si tratta di un meccanismo specifico di trasferimento


tecnologico di innovazione di design che, sfruttando il
meccanismo “trasferimento” fisico di “agenti per
l’innovazione”, ovvero di giovani designer, presso le imprese,
ha portato allo sviluppo concreto di progetti di prodotto,
comunicazione e servizio con le imprese stesse, con il
supporto continuo dei ricercatori dell’università.
Il modello è quello della crescita dello human capital e del
livello di competenze presente all’interno delle imprese visto
in una prospettiva action based.

Sul versante della disciplina del design, in particolare, il


sistema della ricerca nella prospettiva di crescita della capacità
innovativa dell’intero Sistema Paese (quindi della capacità di
implementare, diffondere, supportare la ricerca&sviluppo e
l’innovazione) si inserisce con importanti contributi:
- innanzitutto nella lettura dei grandi cambiamenti di
scenario che sono alla base di strategie di ampio
respiro e a lungo termine indispensabili nella logica di
un superamento delle barriere di crescita che la
competizione globale ha reso difficili da superare;

| 219
- in secondo luogo perché il valore dell’innovazione
portata dal design può oggi, di fatto, essere un
potente motore per rafforzare quei sistemi economici
che fondano le economie locali sulla disponibilità e la
messa a sistema di risorse produttive, culturali,
agroalimentari, turistiche, dell’artigianato ecc.
- in terzo luogo perché può contare su un apparato
nazionale di ricerca, su un network (lo testimonia
l’esperienza dell’Agenzia Sistema Design Italia) di
ricercatori che ha sperimentato percorsi di ricerca e
comprensione dei cambiamenti che stanno
attraversando non solo le imprese (distretti, sistemi
produttivi locali, ecc.) ma anche i sistemi locali di
risorse, per arrivare a formulare strumenti,
metodologie, approcci a disposizione dei designer che
si confrontano con questi cambiamenti.

Quello del progetto e quello delle economie locali sembrano


essere quindi mondi differenti, ciascuno dei quali contiene un
ricco panorama di valori, sistemi di conoscenze / competenze
/ abilità, che hanno bisogno però di incontrarsi perche si
possa dare forma a percorsi di sviluppo sostenibile
dell’economia nazionale.
Ed è proprio il sistema della ricerca sul design il collante di
questi universi distanti, il tramite che può rendere esplicite al
mondo dell’impresa, delle istituzioni, degli enti, le capacità
innovative portate dal design, ed al mondo del progetto lo
scenario entro il quale si gioca la partita della competizione
globale.

220 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Casi Studio
6
Esperienze di trasferimento di innovazione di design

6.1 Introduzione

Dal 1998 ad oggi con alcuni progetti pionieristici prima di


ricerca e poi di ricerca azione, il Dipartimento INDACO, la
Facoltà del Design ed il Consorzio POLI.design del
Politecnico di Milano insieme alle altre Università italiane,
facenti capo alla rete SDI | Sistema Design Italia, hanno
avviato una serie di azioni che hanno portato alla
sperimentazione, sul territorio nazionale e in alcuni distretti,
di modelli innovativi di collaborazione e trasferimento di
conoscenza tra sistema ufficiale del design ed imprese.
Interventi sistemici che hanno coinvolto centinaia di aziende
dei settori più disparati del Made in Italy, dall’industria
manifatturiera all’artigianato, dall’agroalimentare al settore
turistico.

| 223
Azioni di design strategico, che attraverso workshop e
progetti concreti con le aziende, hanno permesso sia la
diffusione della cultura del design e la conoscenza da parte
delle imprese delle potenzialità offerte oggi dal design, sia
l’avvio di una serie di progetti concreti che aprono nuovi
ambiti di applicazione per il design stesso e per i sistemi
territoriali e le imprese coinvolte.
Parliamo della disciplina del design sempre più matura e
consapevole, descritta nei capitoli precedenti, che non opera
più solo a livello di impresa, ma che è attenta all’evoluzione
del modello economico e con questo si confronta
costantemente, nel tentativo di trovare una legittimazione che
possa permettere alle imprese ed ai contesti territoriali di
superare le barriere della chiusura rispetto all’esterno,
concorrendo a definire nuovi modelli di creazione del valore.
I 4 Casi selezionati rappresentano uno spaccato interessante
delle possibilità di intervento sistemico del design per contesti
distrettuali specifici e per particolari tipologie di aziende, dove
i risultati hanno una duplice valenza: di progetto e stimolo
all’investimento in innovazione per le singole realtà
imprenditoriali coinvolte e di sistema, in quanto
coinvolgendo più attori di contesti specifici sono identificativi
di una linea di tendenza e promotori di best practice o azioni
possibili per le altre imprese dello stesso contesto o di contesti
analoghi.
Il pionieristico Progetto DXD | Design for District, avviato
nel 1998 dall’unità dal Corso di Laurea in Disegno
Industriale del Politecnico di Milano in collaborazione con
l’Agenzia Lumetel Scrl dell’allora distretto 10, ora distretto 3
di Lumezzane, è il capostipite di questa tipologia di progetti e
rappresenta un esempio di come il design, inteso in senso
strategico, possa servire da stimolo per le Piccole e Medie
Imprese di un distretto industriale specifico. E’ stato un
intervento coordinato che ha coinvolto diverse realtà
imprenditoriali, enti ed istituzioni in attività contemporanee
di progetto sul territorio con giovani designer laureandi della
Facoltà del design del Politecnico di Milano, con la
supervisione dell’Agenzia di servizi distrettuale e l’Università a
gestire il processo di ricerca azione. Al termine della
sperimentazione concreta è stato assegnato ai migliori progetti
un Premio Internazionale di Design.

224 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Riprendendo il modello DXD ed adattandolo alla realtà
artigiana, il progetto DAC Design for Arts&Crafts, realizzato
da POLI.design in collaborazione la Confartigianato Brescia,
rappresenta un ulteriore esempio di questa tipologia di azione
e conferma la bontà del modello sperimentato: alcune
specifiche tipologie di imprese, in particolare le imprese
artigiane, hanno assoluto bisogno di progetti di
disseminazione culturale del valore del design, in quanto non
ne percepiscono l’utilità diretta per il loro business quotidiano
e lo vedono distante ed inaccessibile, relegato al mondo delle
grandi imprese.
In questo caso specifico, il modello di intervento, pur
mantenendo inalterate le finalità (ad esclusione del Premio di
Design finale), ha visto l’introduzione di specifiche varianti
pensate per il mondo artigiano in particolare: i progetti sono
stati sviluppati in ottica consulenziale da una serie di giovani
neo-laureati alla prima esperienza progettuale e l’università ha
effettuato una serie di attività di ricerca a supporto dello
sviluppo dei progetti, dapprima di inquadramento e
definizione del settore artigiano e poi di audit presso le
imprese, per individuare le aree di intervento e definire i brief
di progetto sui quali stanno ora lavorando i designer.
Anche il caso Atena rappresenta un modello specifico per un
sistema di piccoli imprenditori artigiani. In questo caso però
la modalità di intervento utilizzata è stata quella del workshop
progettuale, un’attività progettuale intensiva di una settimana
definito laboratorio di creatività, che ha visto coinvolti un
consorzio di piccolissime imprese artigiane femminili
specializzate nella produzione tessile, il consorzio Atena, ed
una serie di studenti, progettisti e ricercatori del Politecnico
di Milano e delle altre università nazionali coinvolte nella
ricerca Me.design , nello sviluppo di alcuni concept di
1

progetto, per attualizzare le produzioni locali e renderle


appetibili a livello internazionale.
L’ultimo caso presentato riguarda il progetto PRO.GEOR,
sviluppato da alcuni ricercatori del Corso di Laurea di
Disegno Industriale della Seconda Università degli Studi di

1
www.sistemadesignitalia.it

| 225
Napoli, per il consorzio orafo del Tarì.
PRO.GEOR propone un modello di intervento più classico
nel quale l’Università, a differenza degli altri casi in sui si
proponevano di base una diffusione culturale del design
insieme allo sviluppo di progetti specifici, effettua una ricerca
di tipo tecnologico ed eroga una consulenza per verificare
l’applicabilità o meglio le modalità di trasferimento di uno
specifico modello produttivo/progettuale (progettazione
generativa) applicato al contesto orafo artigianale.

6.2 DXD | Design for Districts2

Il progetto DXD | Design for Districts, realizzato nel biennio


1999-2001 dal Politecnico di Milano in collaborazione con
l’Agenzia distrettuale Lumetel Scrl di Lumezzane e finanziato
dalla Regione Lombardia nell’ambito delle azioni di supporto
ai Distretti Industriali, è stato il primo progetto pilota
sistemico e pragmatico di avvicinamento del mondo della
formazione e della ricerca del design all’universo delle PMI
distrettuali.
Esso ha rappresentato un’importante e pionieristica
sperimentazione didattica, vera e propria “avventura”
formativa che si è connotata come autentico percorso
conoscitivo (ricerca) e che esibisce, allo stesso tempo una
peculiare capacità di intervento in una data realtà (azione).
Essa rappresenta un’importante tappa sul cammino di un
deciso avvicinamento del design, in nuove forme e secondo
rinnovate modalità, all’universo produttivo dei sistemi
produttivi locali e segnatamente dei distretti industriali.
Il tentativo compiuto con il progetto DXD - “Design for
District” è stato quello di saldare sul corpo di una
discussione spesa in ambito prevalentemente economico, le
riflessioni che sul tema della conoscenza e del valore possono
giungere dall’interno delle discipline del progetto,
connettendo il percorso formativo conclusivo di circa

2
a cura di Venanzio Arquilla, il cui progetto è stato coordinato dai prof. Flaviano
Celaschi, Luisa Collina e Giuliano Simonelli.

226 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


sessanta studenti del corso di laurea in disegno industriale con
un’esperienza di ricerca-azione a contatto diretto con la realtà
dell’ex distretto 10, attualmente distretto 3, il distretto di
Lumezzane, Valle Trompia Valle Sabbia, uno dei distretti
lombardi di più lunga storia e tradizione.
Tutto ciò si inserisce nel quadro di una visione ampia dei
compiti del design, che penetra in differenti modi e con
diversi livelli di responsabilità nel processo di creazione del
valore del prodotto e che allarga progressivamente il proprio
orizzonte operativo all’intero arco processuale:
dall’individuazione, o meglio dall’anticipazione, dei bisogni,
ai modi con cui oggi si accompagna l’approdo del prodotto al
mercato, in una logica di soddisfacimento delle nuove
esigenze di un consumo più consapevole.
Al centro della riflessione progettuale si pongono le
problematiche della progettazione, della produzione, della
distribuzione e del consumo di un’intera merceologia di
prodotti, quelli derivanti dalle particolari competenze ed
abilità storicamente insediatesi nell’area di Lumezzane:
soprattutto oggetti per la tavola, rubinetterie e valvolame,
maniglie.
Ma non solo, la riflessione si spinge a ripensare la natura
stessa dell’impresa distrettuale, così come si è affermata entro
il milieu socio-culturale del distretto, l’impresa produttrice di
beni finali, ma anche quella di fornitura, fino a considerare,
nel loro insieme, i possibili comportamenti collettivi, di
un’intera comunità di imprese.
DXD - “Design for District” non esaurisce il suo valore
innovativo nel pur fecondo incontro/confronto tra un
frammento significativo della comunità del design -
rappresentata da un team di docenti e ricercatori di diverse
discipline della Facoltà del Design del Politecnico di Milano,
da designer professionisti che partecipano anch’essi allo
sviluppo del progetto e dal nutrito gruppo di studenti
dell’ultimo anno del corso di laurea, che hanno scelto di
essere i principali attori dell’iniziativa - con la comunità delle
imprese del distretto Valle Trompia - Valle Sabbia.
Il progetto DXD – “Design for District” ha assunto il
carattere di progetto-pilota, che ha avviato una riflessione
sull’importanza delle risorse di progetto messe a disposizione
delle economie distrettuali, secondo un percorso interno alla

| 227
ricerca del disegno industriale.
Ciò che si vuole arrivare a cogliere è il valore dell’innovazione
portata dal design e come questo tipo di innovazione sia oggi
un potente motore per rafforzare le economie distrettuali.
Dar valore alle risorse di progetto, da qualunque parte esse
provengano, combinare tali risorse secondo rinnovate
modalità per ricercare nuovi vantaggi competitivi, è ciò che si
è sempre fatto nella storia delle economie locali italiane.
Il problema era, in questo caso, quello di rendere palese ed
esplicito, ad una intera comunità di imprese, il contributo
possibile del disegno industriale. Certamente in molti sistemi
produttivi locali il design ha svolto e continua a svolgere un
ruolo evidente nella costruzione del vantaggio competitivo;
altrove tutto ciò è avvenuto con molta meno forza ed
evidenza.
Un’ulteriore questione riguarda il problema della fiducia e il
superamento degli ostacoli - di natura culturale,
generazionale, di linguaggio, di mentalità - che
frequentemente si frappongono alla riuscita di iniziative come
questa; per il loro avvio esse necessitano dell’intermediazione
di un ente o di una istituzione che siano effettivamente
rappresentativi dell’insieme delle imprese localizzate entro un
determinato territorio produttivo, in qualche modo garanti
del valore del progetto, per avere da tempo stabilito con le
imprese del distretto un rapporto di costruttiva
collaborazione.
Tali realtà - siano esse Agenzie d’area o Centri erogatori di
servizi - interpretano il ruolo di facilitatori del progetto e
svolgono una preziosa azione di diffusione dei suoi contenuti
innovativi e di concreto convincimento a prendervi parte.
Nel caso di DXD è l’Agenzia Lumetel a promuovere il
progetto e ad assumere consapevolmente i succitati impegni,
dapprima ricercando la collaborazione con l’istituzione
universitaria e, successivamente, sviluppando con essa il
progetto che, una volta elaborato, vedrà i due soggetti operare
congiuntamente in tutte le sue fasi per il raggiungimento
degli obiettivi.

228 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


6.2.1 Design e Distretti Industriali
Nel documento di lancio del progetto DXD - “Design for
District” presentato in queste pagine, si faceva esplicito
riferimento all’esteso repertorio di opportunità offerto dal
disegno industriale, che coincide con il sistema di opportunità
riconosciuto ed indagato nella ricerca stessa.
A proposito del vantaggio competitivo del Sistema Italia si
affermava in quell’occasione che esso:
“si basa sul successo di prodotti che sono l’espressione di
competenze peculiari e di specificità produttive e culturali dei
sistemi territoriali che lo compongono. In molti settori produttivi
e in un’estesa pluralità di ambiti territoriali il disegno
industriale svolge da tempo una significativa azione di stimolo e
valorizzazione delle capacità innovative delle imprese; ad esso
viene internazionalmente riconosciuto il carattere di peculiare
espressione della realtà del sistema produttivo italiano.
Nell’accezione più ampia ed attuale della disciplina, il disegno
industriale rende visibile la strategia complessiva dell’impresa,
progettando il sistema prodotto, ovvero quella particolare
combinazione di prodotto, servizio e comunicazione con cui
un’impresa, ente pubblico o istituzione si presenta all’interno del
proprio mercato di riferimento, sia esso locale o globale.
Ciò significa quindi non solo dare una forma esteticamente
gradevole ai prodotti, quanto interagire con i vari processi – a
livello aziendale, ma anche a livello di una comunità di imprese
– attraverso gli strumenti e le pratiche proprie della disciplina.
Il disegno industriale italiano materializza così la creatività degli
attori coinvolti nei processi progettuali e produttivi,
trasformando le competenze sedimentate nel territorio in prodotti
che rispondono alle aspettative del mercato.
Esso ha dato prova di saper essere determinante a livello di
capacità di intervento nelle scelte strategiche aziendali; ciò ha
permesso alle aziende italiane con una forte componente di design
di acquisire una riconoscibilità e un vantaggio competitivo
rispetto alle aziende di altri sistemi economici nazionali”.
Sulla particolare realtà dei distretti industriali italiani e sui
vantaggi competitivi che essi detengono si confrontano
discipline differenti, nello sforzo comune di aggiornare
continuamente l’elaborazione intorno a questa peculiare
forma organizzativa delle capacità produttive del Paese,

| 229
osservata oggi in un momento di profonda trasformazione.
Al tradizionale contributo di analisi e di comprensione dei
fenomeni dato dalle discipline economiche, dall’economia
territoriale, della sociologia, dalla storia, dall’antropologia, ma
anche, più recentemente, dall’economia della conoscenza, si
aggiunge qui il singolare punto di vista delle discipline del
progetto e della ricerca che tali discipline oggi esprimono,
affermando con forza il valore degli apporti progettuali
riconducibili alla sfera del design, autentico luogo di scambio
e di interazione, entro il quale si rinnova quel patrimonio di
conoscenze che sta alla base del successo di molte economie
locali.
Dal riconoscimento dell’importanza strategica della relazione
tra sistemi produttivi locali e risorse progettuali nasce,
dunque, il rapporto di collaborazione tra il Corso di Laurea in
Disegno Industriale del Politecnico di Milano e l’Agenzia
Lumetel, agenzia di servizi per le imprese del Distretto 3 Valli
Bresciane. Tale accordo è finalizzato all’istituzione di un
Premio internazionale di Design incentrato sui prodotti tipici
del distretto.
La denominazione di Concorso e di Premio internazionale di
design che viene adottata per l’iniziativa merita alcune
considerazioni; non esprime forse compiutamente la
complessità del progetto, la sua estesa dimensione temporale
(sedici mesi), il percorso di progressiva crescita e maturazione,
la pluralità degli attori che vi prendono parte, la
stratificazione degli esiti formativi e progettuali attesi lungo le
varie stazioni del progetto stesso: nell’iniziale laboratorio
incubatore di idee progettuali (condotto dentro l’università,
ma anche sul territorio), negli stage condotti dagli studenti
presso le imprese e gli enti del distretto, nella partecipazione
al concorso, nelle tesi di laurea prodotte come grande
riflessione collettiva sopra un’area distrettuale.
E' tuttavia questa la forma da cui ha origine l'intero progetto.

6.2.2 Fasi e Azioni


Il progetto nella sua complessa articolazione e nella sua lunga
estensione temporale è stato suddiviso in fasi.

230 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Fase 0 - Pianificazione
Nella fase di pianificazione i due principali attori, l’Agenzia
3
Lumetel S.c.r.l., agenzia d’area del distretto 10 (da adesso

3
Attualmente distretto 3 Valli Bresciane

| 231
Lumetel), ed il Politecnico di Milano _ Facoltà del Design _
Corso di Laurea in Disegno Industriale hanno presentato alla
regione Lombardia un progetto di trasferimento di innovazione
design driven per il distretto industriale.

La proposta prevedeva la realizzazione di un progetto sistemico


che comprendeva:
- attività di ricerca ad opera dell’università che si è
concretizzata nel laboratorio di sintesi finale DXD;
- attività di sperimentazione con 60 tirocini
contemporanei avviati dal team di progetto sul territorio
che hanno coinvolto 25 tra imprese, enti ed istituzioni
locali;
- attività di diffusione dei risultati sia in itinere, con una
mostra ed una serie di seminari ed incontri tematici
tenutisi sul territorio, sia al termine del progetto con
una pubblicazione, una mostra ed un convegno
conclusivo;
- il premio internazionale di design con 60 progetti
suddivisi nelle categorie prodotto, comunicazione e
servizi;
- una riflessione teorica con circa 60 tesi di laurea su
argomenti legati al distretto.

Nella concreta articolazione del progetto, a partire dagli elementi


contenuti nella sua prima formulazione, si individuano con
chiarezza le finalità dell’iniziativa:
- contribuire a promuovere l’immagine complessiva del
distretto attraverso il design;
- favorire una maggiore diffusione della cultura del design
tra le imprese, vista come leva competitiva vincente su
mercati sempre più sofisticati, compiendo un deciso
passo in avanti rispetto alla più consueta proposta dei
concorsi di design.

Ottenuto il finanziamento si è dato avvio alle attività di progetto


che in 18 mesi hanno coinvolto oltre 100 persone.

Fase 1 - Sensibilizzazione
Nella fase di promozione “intradistrettuale” ed
“extradistrettuale” dell’iniziativa è stato inviato materiale
informativo appositamente predisposto alle aziende e sono stati

232 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


effettuati alcuni incontri con gli imprenditori e gli operatori
pubblici e privati locali.
Sin dall’inizio l’impostazione data al progetto ha teso ad
evidenziare con chiarezza la sua duplice valenza, che presuppone,
in corso di svolgimento, differenti livelli di azione; essa si
manifesta tanto nella dimensione locale - DXD come azione
specificatamente rivolta al Distretto 10 - quanto in una
dimensione più allargata - DXD come progetto pilota di
trasferimento d’innovazione guidata dal design per i sistemi
produttivi locali italiani.
La Lumetel ed i docenti del Politecnico hanno praticato una
dura opera di proselitismo svolta nel distretto che ha permesso di
individuare 23 aziende disponibili a partecipare al progetto,
ospitando tirocinanti ed esprimendo una serie di indicazioni
precise sul tipo di stagista o stagisti dei quali avevano bisogno.

Al Politecnico il nucleo interno di docenti e ricercatori è riuscito


a conciliare le esigenze del progetto e delle aziende distrettuali
con le “necessità” didattiche degli studenti grazie alla
personalizzazione della struttura didattica del Laboratorio di
4 5
sintesi finale integrata con la collaborazione del servizio R.A.P.
per la successiva gestione ad hoc di tutti tirocini.
Ha preso vita, quindi, il Laboratorio di sintesi finale DXD –
Design for District con un corpo docenti che oltre al nucleo
interno (Flaviano Celaschi, Luisa Collina, Giuliano
Simonelli), presentava una serie di professionisti di fama
internazionale (Makio Hasuike, Perry King, Santiago
Miranda, Luca Gafforio), esperti di comunicazione aziendale
e sociologia (Silvano Custoza e Francesco Schianchi),
rappresentanti del distretto (Luciano Consolati) oltre alla
presenza di vari contributi esterni.
La particolarità di questo Laboratorio rispetto a quelli
tradizionali è stata, oltre alla particolare tematica e alla modalità
di intervento sul distretto, la possibilità per gli studenti e,
indirettamente, per le aziende che li hanno ospitati, di
concorrere all’assegnazione del Premio Internazionale di Design _

4
Il Laboratorio di sintesi finale è una struttura didattica pluridisciplinare della
durata di 350 ore che viene attivata al 5° anno di corso e che si conclude con il
rilascio di un Certificato di Ammissione all’esame di Laurea.
5
Servizio RAP (Rapporto Aziende e Professionisti) che si occupa della gestione dei
tirocini obbligatori per i laureandi in disegno industriale

| 233
DXD – Design for District.
Questa fase si è conclusa con una conferenza stampa nazionale
di lancio - tenutasi a Milano presso il Politecnico - con il
coinvolgimento attivo del Club dei Distretti e della Regione
Lombardia.

Fase 2 - Analisi
La comunità del design ha dato avvio ad una fase di analisi
metaprogettuale per conoscere la realtà nella quale avrebbe
dovuto operare e per individuare i macrotemi d’intervento.
Tale fase è coincisa effettivamente con il laboratorio di sintesi
finale.
Nella prima sessione di lavoro (15 ottobre 1999 - 30 gennaio
2000) sono state svolte:
- attività didattiche pre-progettuali di analisi e
comprensione del contesto a cura di docenti interni,
relativamente a metodologie d’analisi metaprogettuali,
ricerche merceologiche, ecc.;
- attività didattiche pre-progettuali, a cura di docenti
esterni, miranti alla restituzione dei caratteri distrettuali
e della politica di sviluppo locale da contestualizzare nei
progetti;
- attività seminariali durante le quali “testimoni
privilegiati”, sono stati chiamati a restituire le proprie
esperienze relative ai temi ed ai settori in oggetto;
- attività esercitative, volte alla costruzione del brief di
progetto e finalizzate all’elaborazione di alcuni “serbatoi
di idee”.

Il laboratorio di sintesi si è formalmente concluso nel mese di


febbraio con una prima valutazione accademica del livello
qualitativo e d’approfondimento raggiunto dal progetto dei
diversi gruppi di studenti.

Durante il Laboratorio di sintesi gli studenti hanno avuto modo


di confrontarsi con i docenti, i professionisti ed esperti di varie
discipline attraverso lezioni ex-cattedra e visite presso alcune
aziende del distretto.
Questa fase di conoscenza ha permesso agli studenti, suddivisi in
gruppo, di individuare autonomamente una tematica
d’intervento (macrotema progettuale).

234 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Fase 3 - Sperimentazione
In seguito ogni studente è stato associato ad una delle
aziende/enti reclutate nella fase di sensibilizzazione per lo
6
svolgimento del tirocinio ordinamentale : gli accoppiamenti,
elaborati dai docenti del laboratorio in accordo con il R.A.P., in
linea di massima, hanno cercato di abbinare la tematica prescelta
dagli studenti alle richieste che erano pervenute dalle aziende che
hanno preso parte all’iniziativa per permettere, oltre allo
sviluppo concreto di un progetto di prodotto, comunicazione o
servizio per l’azienda durante il del tirocinio con la possibilità di
partecipare al concorso con i progetti elaborati, l’impostazione
parallela di una ricerca propedeutica alle tesi di laurea.
Nella seconda sessione di lavoro (1 marzo 2000 - 15 giugno
2000) i laureandi hanno svolto attività di tirocinio sperimentale
sui progetti concordati presso le aziende al fine di calarsi in
modo continuativo nella realtà aziendale.

L’università in questa fase (57 studenti, 10 docenti e


professionisti del Laboratorio di Sintesi finale DXD) si è
trasferita fisicamente sul territorio.
Sono state coniugate le esigenze curriculari degli studenti con il
bisogno di progettualità delle aziende.
I tirocini in questo caso sono stati volutamente “pilotati” dai
docenti del laboratorio in accordo con la Lumetel: un gruppo
corposo di studenti che ha affrontato nel laboratorio la stessa
tematica si è trovato a collaborare all’interno di una stessa realtà
territoriale, sotto l’egida degli organizzatori, consentendo al
progetto di assumere la valenza collettiva auspicata.

Le imprese o enti che hanno aderito al progetto sono stati:


Europress, Sir, Bal, Pressytal, Reguitti, Fin Sibi, Berna Ernesto,
Risolì, Ilcar, Atp, Biesse, Eme, Manital, Ghidini Pietro,
Pyntinox, Eurobrass, Lumetel, Comune di Lumezzane, Gruppo
Bossini, Scaroni, Amadini Custom, Rossi Meccanica.

6
“L’Ordinamento prevede che durante il V anno di corso, lo studente svolga
un’esperienza di tirocinio professionale per almeno 250 ore, necessaria per essere
ammesso a sostenere l’esame di laurea.” | Tratto dalla Guida per l’a.a. 1999-2000
del Corso di Laurea in Disegno Industriale

| 235
Questo nuovo approccio alla progettazione ha favorito la
sperimentazione pratica e la contemporanea diffusione di una
concezione del progetto più flessibile ed articolata.
Il design, così inteso, è riuscito a sfuggire alla tradizionale
equivalenza molto diffusa nel distretto, che vede il design
come semplice intervento sulla forma dei prodotti .

Per ogni singolo tirocinio le modalità di rapporto e la finalità


complessive sono state decise e modificate in itinere.
Inizialmente c’era verso gli studenti, da parte degli imprenditori,
una palese diffidenza derivante soprattutto dalla non-
consapevolezza delle capacità di questi ultimi e delle modalità
con le quali azienda e stagista avrebbero potuto collaborare.
Tutto ciò derivava soprattutto dal fatto che il design in questi
“luoghi della produzione” viene spesso, come già accennato,
frainteso e malinterpretato, di frequente a causa della mancanza
di tempo da dedicare ad attività diverse dalla produzione.
Dopo un primo momento di “empasse” e di necessario

236 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


affiatamento, gli studenti hanno goduto di una certa libertà
nello sviluppo dei brief imposti dalle aziende, grazie sia alla loro
capacità che alla struttura del progetto ed al supporto
dell’università e dell’agenzia Lumetel come mediatori, che ha
facilitato l’instaurarsi di un rapporto fiduciario.
In molti casi i progetti elaborati hanno superato ampiamente le
aspettative aziendali, sia dal punto di vista concettuale che dal
punto di vista pratico.
Un vantaggio di questo tipo di collaborazione è stato che gli
studenti hanno dimostrato in breve tempo alle aziende oltre che
interessanti capacità teoriche, anche un’inattesa padronanza dei
moderni strumenti per la progettazione, che si è dimostrata
subito utile e funzionale alle esigenze aziendali.
Le aziende hanno avuto la possibilità di interagire con studenti
che hanno fattivamente collaborato allo sviluppo dei progetti,
limitando al minimo l’intralcio alle normali attività di gestione
dell’azienda.
L’instaurarsi graduale di fiducia e la conoscenza reciproca ha
permesso lo sviluppo di rapporti di tipo consulenziale, piuttosto
che assistenziale come spesso avviene tra stagista e azienda.
Gli studenti si sono dimostrati valide risorse per l’azienda che,
tra l’altro, grazie al progetto DXD ha potuto usufruire della
consulenza indiretta dei docenti del Laboratorio di Sintesi, i
quali hanno seguito i progetti passo passo con costanti revisioni.
Molti studenti, inoltre, non hanno effettuato tutto lo stage
presso l’azienda, limitando al minimo l’utilizzo di risorse e
l’impegno del tutor aziendale: hanno portato avanti un percorso
autonomo e originale di analisi e sviluppo del progetto che
prevedeva revisioni periodiche in azienda, proprio come avviene
nella normale prassi tra professionisti del design e aziende.
Le richieste iniziali di progetti da parte delle aziende, divise per
aree, ha seguito l’nadameto riportato nel grafico seguente.

Si può osservare come la richiesta di professionalità sia stata varia


rispetto alle aspettative tradizionali per un designer: la richiesta
di progetti di comunicazione si avvicina molto a quella di
prodotto, mentre, per quanto riguarda l’analisi e la ricerca, sono
soprattutto il settore delle lavorazioni e dei servizi a richiedere
stagisti.

| 237
TIPOLOGIA DI PROGETTO RICHIESTA PER SETTORE MERCEOLOGICO DI
APPARTENENZA

100%

80%

60%

40%

20%

0%
Maniglieria Casalinghi Lavorazioni Servizi
Prodotto 33% 50% 33%
Comunicazione 67% 50% 40% 33%
Strategia 27% 67%

La figura del designer oggi deve essere pluridisciplinare; prende


sempre più piede la specializzazione di comunicazione, come
richiesto dal mercato, grazie anche alla diffusione delle
Information and Communication Technology e al grande
successo che internet sta riscuotendo come mezzo di
comunicazione e come nuovo canale commerciale e di servizi.

I progetti elaborati all’interno delle imprese hanno partecipato al


Premio Internazionale di Design.

Duplice livello di attenzione _ la valenza collettiva


Gli studenti hanno iniziato a collaborare attivamente all’interno
delle aziende su progetti concreti, ma il progetto DXD aveva
anche altre aspettative. Per enfatizzare la valenza collettiva e locale
del progetto DXD nella sua totalità, ovvero come intervento per
la comunità distrettuale, è stato organizzato un evento di
socializzazione dello stato di avanzamento dei progetti a meno di
due mesi dall’inizio dei tirocini.
Il progetto ha riservato un’attenzione costante nel bilanciare la
logica immersiva e puntuale, tesa a creare le migliori condizioni
per cui i singoli progetti potessero raggiungere i risultati
auspicati, e una logica che mirava a diffondere la cultura del

238 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


design e gli esiti della collaborazione verso la collettivà.
Come si è potuto vedere ogni singola fase ha prodotto degli
importanti output verso l’esterno, si pensi alla conferenza
stampa in occasione dell’avvio e agli incontri organizzati con gli
imprenditori per l’inizio dei tirocini.
A questi si è aggiunta una Mostra, Seminario tenutasi a Vestone
7
(BS) che ha avuto a livello locale un impatto rilevante ed ha
visto coinvolte varie amministrazioni comunali, la comunità
montana e soprattutto la stampa e la televisione locale.

Fase 4 - Il Premio Internazionale di Design


L’obiettivo della collaborazione tra il Corso di Laurea in
Disegno Industriale e l’Agenzia Lumetel ha trovato il suo esito
più rilevante nel Concorso che ha avuto come tema
l’assegnazione di un Premio internazionale di design per progetti
d’innovazione di prodotto, di comunicazione e di strategia,
relativi ai principali settori merceologici del Distretto 10, alle
imprese e al distretto nella sua accezione di impresa-territorio.

All’interno delle tre sezioni nelle quali si è articolato il concorso -


Design del prodotto, Design della comunicazione e Design dei
servizi, ogni laureando partecipante, singolo o in gruppo, è stato
chiamato ad elaborare una proposta progettuale compiuta, per
un settore merceologico e relativamente ad uno dei tre ambiti
specifici. I progetti miravano a soddisfare sia le esigenze e i
bisogni di singole imprese che della comunità di imprese nel suo
complesso.
I luoghi della sperimentazione sono state le 25 imprese e gli enti
del distretto che hanno aderito all’iniziativa. Gli studenti sono
stati supportati dai docenti del Laboratorio di sintesi finale.

Fase 5 - Socializzazione Risultati


La premiazione si è tenuta al Palazzo delle Stelline, in corso
Magenta a Milano il 16 febbraio 2001 in occasione di un
convegno a cui erano presenti l’Assessore Industria, PMI,
Cooperazione e Turismo della Regione Lombardia Zanello in

7
Il 12-13 e 14 Maggio 2000 si è tenuta a Vestone (Bs) presso l’Incubatore
tecnologico Lumetel una mostra/seminario denominata “Design, lavori in corso –
idee, proposte, ipotesi per il distretto 10”. L’Evento è stato organizzato dagli
studenti Arquilla Venanzio, Bianchini Massimo e Marco Di Donato nella prima
parte del loro stage presso la Lumetel.

| 239
rappresentanza del Presidente Formigoni, le massime autorità
dell’Ateneo e dell’Istituto per il commercio estero (ICE) che ha
co-finanziato l’evento.
8
Tutti i progetti sono stati raccolti in un catalogo che funge da
memoria per il progetto e da importante strumento per le
aziende come specchio sulle tendenze attuali del design interpretato
dai 57 laureandi del Politecnico di Milano che hanno preso
parte all’iniziativa.

Prosecuzione
Il concorso ha rappresentato l’ultima parte “visibile” del
rapporto di collaborazione, ma il progetto DXD non si è
esaurito. Innanzitutto ci sono stati i progetti di Tesi che
rappresentano un importante momento di approfondimento
teorico degli argomenti trattati durante il tirocinio; molte di
queste infatti hanno permesso di generalizzare, partendo dalla
pratica, interpretazioni originali degli ambiti presi in esame.

Punti di Forza
I punti di forza del progetto DXD possono essere sintetizzati
come segue:
- fiducia verso il progetto. Per realizzare un progetto di
questo tipo è fondamentale riscuotere all’interno del
distretto la fiducia degli imprenditori e della
comunità a causa del tipo di rapporto che si instaura
tra gli operatori distrettuali, sempre di tipo informale
e che presuppone una conoscenza reciproca. La
fiducia si conquista, quindi, con il tempo e, se una
nuova comunità (comunità del design) intende
operare efficacemente in un distretto, o deve essere
fortemente radicata all’interno del contesto socio-
culturale o deve stringere alleanze con operatori che
sono già in possesso di tale fiducia. Il DXD ha
funzionato in quanto la Lumetel ha messo in
compartecipazione la sua reputazione nel distretto.
Questo ha permesso alla comunità del design di
operare come se riscuotesse già la fiducia della
comunità.

8
Celaschi F., Collina L., Simonelli G. (a cura di) 2001

240 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- modello della ricerca-azione. Il modello della ricerca-
azione è un modello vincente in questi casi, gli
operatori, professionisti del design, conoscono la
realtà mentre ci lavorano dentro e riescono a
ricavarne allo stesso tempo un’esperienza pratica di
progettazione ed una conoscenza codificata specifica
che diventa trasferibile e che quindi fa crescere
indirettamente il distretto.
- coinvolgimento di più aziende in progetti differenti. Il
progetto DXD ha coinvolto nel distretto 25 tra
aziende ed enti per un totale di circa 50 progetti
realizzati in meno di un anno di contatto diretto (gli
stage andavano dalle 250 alle 1000 ore). Soltanto una
comunità del design o più in particolare una scuola,
un’università, come nel nostro caso, riesce ad
intervenire in una realtà distrettuale e a coinvolgere
più aziende contemporaneamente. Ciò permette,
oltre alla realizzazione dei singoli progetti, di
instaurare un circuito di rapporti e relazioni che
portano movimento positivo all’interno della realtà
distrettuale, favorendo i fenomeni di cooperazione a
scapito di quelli di competizione.
- facilità di accesso al progetto da parte delle imprese.
L’impostazione data al progetto e la presenza di soci
finanziatori ha fatto in modo che le barriere
all’ingresso per le aziende fossero molto basse in
rapporto ai benefici raggiunti. In un primo periodo
sono state più elevate le difficoltà dovute alla
diffidenza verso i giovani progettisti piuttosto che
quella economica, che di solito blocca l’iniziativa
delle aziende in materia di innovazione e ricerca.
Grazie alla facilità d’accesso, è stato possibile
diffondere il progetto a livello distrettuale e molti,
anche se all’inizio titubanti, si sono convinti
dell’importanza del progetto e delle capacità dei
designer del Politecnico di Milano.
- l’università trasferisce le sue competenze sul territorio. Il
progetto ha consentito all’università di verificare le
sue capacità come operatore di progetti per la
collettività anche all’esterno della realtà accademica.

| 241
Si aprono nuovi orizzonti per la ricerca accadomica e
si dimostra che le competenze universitarie possono
essere applicate per realizzare progetti pratici e
soprattutto che, grazie alla loro multidisciplinarità,
permettono interventi rivolti a comunità e non
soltanto a singole aziende.

6.2.3 I risultati reali


A cinque anni dal progetto siamo tornati sul territorio e,
sempre in collaborazione con Lumetel, sono state effettuate
una serie di interviste alla imprese che hanno partecipato al
progetto per verificare effettivamente quali siano stati i
risultati: se sono diventati prodotti, se hanno avuto
importanza ai fini del fatturato, se sono scaturiti brevetti, se è
proseguita la relazione con i designer ecc.

Dall’analisi dei risultati dei survey si può vedere come, pur


9

non avendo avuto come unico obiettivo quello dello sviluppo


concreto di progetti specifici per le imprese, dato il carattere
sperimentale e il tempo limitato, il progetto DXD nel
complesso ha avuto dei risultati molto soddisfacenti ed è
servito da stimolo per le aziende per sviluppare nuovi
progetti.

Tipologia di progetto sviluppato con il DXD

43%
Progetto specifico (ex novo)
Progetto aziendale già in corso
57%

9
Delle aziende partecipanti sono state contattate esclusivamente le imprese
produttrici di prodotti finititi: Amadini Sandro & C. S.n.c., Meccanica Rossi,
Berna Ernesto S.r.l., Atp di Franco Garzoni, Manital S.r.l, Becchetti Angelo Bal,
ilcar di Bugatti S.r.l., Scaroni Mauro Angelo, Europress S.p.a., Eme Posaterie S.n.c,
Pinti Inox S.p.a., Risoli S.r.l., S.I.R. Società Italiana Ricambi, Reguitti S.p.a.

242 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Il 50% dei progetti avviati è proseguito in azienda, a
dimostrazione della maturità dell’approccio e dell’utilità da
parte delle imprese di partecipare a quest’iniziativa
sperimentale.
Il progetto è proseguito in azienda?

si
50% 50%
no

Sviluppi del progetto

7 6 6
6
5
4 3 Serie1
3 2 2
2 1
1
0
Messo in Utilizzato per Brevettato Sviluppato Archiviato Altro…
produzione progetti di ulteriormente
comunicazione
o di analisi di
mercato

Per quanto riguarda i progetti nello specifico, 6 sono stati


utilizzati per progetti di comunicazione o di analisi di
mercato; rispetto a quelli di prodotto 2 sono stati subito
inseriti in produzione (Pinti Inox e Amadini Sandro & C), 1
è stato brevettato (Atp), 3 sono stati ulteriormente sviluppati,
6 sono stati archiviati per immaturità delle proposte e per
l’indisponibilità momentanea dell’azienda ad investire
maggiormente sulla definizione ulteriore dei progetti, 2 sono
ancora in attesa o in stand by come hanno specificato le
imprese.

| 243
La collaborazione con un giovane designer è stata positiva?

13%

Si
No

87%

Quasi all’unanimità le aziende hanno confermato la bontà del


progetto, affermando che la collaborazione con un giovane
designer è stata positiva ed il progetto ha comunque avuto un
esito di diffusione culturale del design presso le PMI (l’83%
delle imprese ha ammesso che la partecipazione al progetto ha
permesso loro di comprendere le reali potenzialità del design).
Comprensione potenzialità del design

17%

Si
No

83%

Il 67% delle imprese sarebbe inoltre intenzionata a ripetere il


progetto.
Il 92% pensa di investire in futuro sul design per il
miglioramento delle performance competitive della propria
impresa.

244 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Disponibilità a ripetere il progetto

33%

Si
No

67%

Investimenti futuri in design

8%

Si
No

92%

Aree di investimento futuro

7
6
6
5
5
4
4
Serie1
3
2
1
1
0
Sviluppo nuovi Progettazione aspetti Offerta di servizi Tutti
prodotti comunicativi

Nello specifico della tipologia degli investimenti previsti, si


vede come il progetto abbia portato ad un approccio più
evoluto rispetto al design: 4 imprese infatti affermano di voler
investire su tutti gli aspetti, cioè sul sistema prodotto, 1
direttamente sull’offerta di servizi, 6 sulla comunicazione e
“solo” 5 sullo sviluppo dei prodotti.

| 245
6.2.4 Conclusioni
Da una parte cresce l’offerta progettuale, espressa tanto da
designer professionalmente preparati quanto da una rinnovata
disponibilità dell’università a produrre ricerca per
l’innovazione; dall’altra aumenta la capacità di comprendere
ed interpretare, attraverso la ricerca stessa, le necessità palesi o
ancora inespresse di un determinato contesto produttivo.
Parallelamente, sul fronte della domanda, con crescente
decisione e consapevolezza, si esprime oggi la richiesta di
nuovi contributi progettuali per il rafforzamento dei sistemi
produttivi locali.
Ciò si configura come una vera e propria strategia di
attenzione verso il singolare e cangiante universo delle
economie locali italiane, attenzione che non ha mero carattere
speculativo, ma parte piuttosto da un assunto decisamente
operativo: cercare di comprendere come sia oggi possibile
contribuire al successo di tali economie attraverso l’azione del
design.
Il progetto ha proposto dunque una modalità di relazione tra
universi distanti che tende a scardinare diffidenze,
incomprensioni, chiusure, costruendo nel vivo dell’azione
comune - i vari progetti che le imprese e la succitata comunità
del design hanno affrontato insieme - frammenti di un nuovo
linguaggio condiviso.
Tutto ciò ha offerto lo spunto per riconsiderare alcune
questioni tra loro fortemente connesse, spesso oggetto di
discussioni tanto in sede accademica che nel dibattito
economico.
Si attribuisce alle piccole e medie imprese italiane, e
segnatamente a quelle distrettuali, una scarsa capacità di
connettersi con i centri istituzionali, pubblici e privati, della
ricerca scientifica e tecnologica; per contro si imputa
all’università una sorta di cronica disattenzione verso i
problemi specifici della piccola e media impresa italiana, una
specifica difficoltà a connettersi con questa parte nient’affatto
secondaria del sistema economico nazionale.
Un’altra questione peculiare riguarda la particolare natura dei
rapporti che si stabiliscono dentro i sistemi produttivi locali
nell’ambito del trasferimento di conoscenze, rapporti che
richiedono sistemi di relazione basati sulla fiducia, interazioni
continue, presenza locale, confronto costruttivo.

246 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Quando la componente sociale diventa importante, sia per la
comprensione dei fenomeni dell'innovazione, sia per l'avvio
di processi di trasferimento dell'innovazione medesima, come
nel caso dei sistemi produttivi locali, allora l’attività di ricerca,
anche quella del disegno industriale, può avvicinarsi alle
scienze sociali, in particolare alla psicologia sociale e
all’antropologia.
Diventa, in altri termini, necessario essere dentro una realtà
per cogliere l’essenza e le caratteristiche dei fenomeni, essere a
contatto con le persone, stabilire relazioni di fiducia e rispetto
reciproco con gli attori in loco. La modalità più consona per
leggere la complessità – strutturale e sociale dei sistemi
produttivi locali, è quella della ricerca azione, una modalità
che prevede la presenza attiva di un ricercatore direttamente
nella struttura oggetto di ricerca.
Da questo punto di vista una possibile strada per portare
avanti questo tipo di ricerca è proprio quella di rendersi
riconoscibile e visibile dentro un sistema produttivo locale,
così come è avvenuto nel progetto DXD, grazie anche
all'importante attività di mediazione condotta dall'Agenzia
d'area del distretto.
Il progetto DXD - “Design for District” ha offerto una
risposta originale a queste problematiche, propugnando un
modello secondo il quale il sistema delle competenze e delle
conoscenze, detenuto nei luoghi d’elaborazione della ricerca
scientifica e tecnologica, esce dal chiuso dell’istituzione per
situarsi sul territorio, là dove si esprimono oggi le concrete
necessità dell’impresa distrettuale, entro un quadro mutevole
e dinamico che richiede continui adattamenti e forte capacità
di risoluzione di problemi connessi con l’innovazione, non
solo di processo, ma anche di prodotto e di sistema.
DXD si mostra infine come concreto esempio di
trasferimento di innovazione guidata dal design presso le
piccole e medie imprese di una tra le più importanti aree
distrettuali italiane. Questa specifica peculiarità del progetto è
stata confermata anche dai numeri, come si è potuto vedere
nel paragrafo precedente.

| 247
6.3 DAC | Design for Arts&Crafts10

6.3.1 Introduzione
Il progetto Dac_DesignForArts&Crafts nasce nell’ambito
della Convenzione Artigianato 2003-2005, con l’intento di
favorire lo sviluppo della filiera artigianale del sistema casa. Il
progetto è stato promosso dal Consorzio Poli.design del
Politecnico di Milano in collaborazione con Confartigianato
Brescia e Università di Brescia, con il contributo della
Regione Lombardia e di Unioncamere.
Dac, avviato nel luglio 2004 e tuttora in corso, prevede lo
sviluppo di una serie di progetti di sistema-prodotto basati
sulla collaborazione tra imprese artigiane e giovani designer,
seguiti e supportati da esperti e ricercatori della Facoltà del
Design del Politecnico di Milano.
Il progetto, naturale evoluzione del progetto DXD presentato
poc’anzi, nasce come sperimentazione concreta di
connessione tra mondo del design e mondo delle imprese
artigiane, ponendosi come possibile modello di trasferimento
tecnologico di conoscenza di design dall’Università alle
piccole e piccolissime imprese artigiane lombarde.

6.3.2 Artigianato e Design


Artigianato e Design, Tradizione e Innovazione: non esiste
dicotomia tra questi termini, anzi è proprio l’integrazione e la
forte coesione fra questi elementi che rappresenta il valore
aggiunto nelle imprese artigiane.
La capacità di coniugare a metodi di lavorazione tradizionali
una produzione di artigianato/design rispondente a “esigenze”
attuali può costituire un segno distintivo volto alla
riqualificazione di peculiarità locali, con la costruzione di una
simbiosi tra design, tecnica, tecnologie e natura.
Considerare il contributo del design nella dimensione
produttiva dell’artigianato (quindi quella della piccola e
piccolissima impresa) significa affrontare il problema del
progressivo passaggio da un sistema di conoscenze tacite,

10
Il caso è stato redatto da Venanzio Arquilla e Lidia Tralli, in particolare Venanzio
Arquilla ha redatto i par. 2.1, 2.2, 2.5 e Lidia Tralli i par. 2.3, 2.4

248 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


prevalentemente locali, attualmente in uno stato di
sofferenza, ad un sistema del progetto esplicito, aperto al
mondo, capace di risposte in positivo alle minacce attuali
della competizione globale.
Il design può avere un ruolo importante nell’orientare il
processo di qualificazione dell’impresa artigiana, perché, di
fatto, può svolgere una funzione di regia nello sviluppo
dell’innovazione, affiancando l’imprenditore in fase
decisionale e di indirizzo; una regia legata ad una dimensione
strategica dell’impresa, del prodotto, del mercato e ad una
azione lungo tutto l’arco del processo di creazione di valore di
un bene o di un servizio.
All’interno del sistema delle imprese artigiane, dove la qualità,
l’”unicità” del prodotto e la cura dei particolari rivestono
un’importanza fondamentale, in una logica slegata dai grandi
numeri propria dei mercati di nicchia, il design inteso in
senso strategico (partendo dal prodotto, di concerto con
l’imprenditore-artigiano detentore del know-how tecnico
realizzativo, riuscendo a sviluppare anche tutto il sistema
comunicativo e di servizio) potrebbe essere un importante
volano per il rafforzamento della posizione competitiva delle
imprese stesse. Il rapporto design–impresa ha contribuito al
successo di tante aziende italiane, ma prevede una
strutturazione interna, degli investimenti ed una cultura del
progetto lontane dalle logiche e dalle possibilità con la quale
operano le imprese artigiane di matrice familiare, votate
esclusivamente alla produzione, molto spesso su commessa.
La capacità artigianale sul prodotto potrebbe, se associata
correttamente alle competenze del design, riprodurre in
piccola scala quella relazione fruttuosa imprenditore-designer
che ha reso grandi i marchi italiani e sicuramente potrebbe
aiutare le imprese artigiane ad uscire dall’anonimato
produttivo, individuando nuovi prodotti o nuovi modi di
comunicare e vendere i prodotti e le competenze possedute.
Stiamo parlando in questo caso di un sistema di piccole e
piccolissime imprese che operano in quei mercati definiti del
lusso e che, per poter essere vincenti in questi, non possono
prescindere dalla qualità del prodotto (dove le nostre imprese
artigiane sono già eccellenti) e dal design inteso come
innovatività/unicità delle proposte, dalla comunicazione e dal
servizio.

| 249
Riteniamo che con questo progetto il sistema del design possa
fornire alle aziende gli strumenti e la conoscenza diretta
(attraverso la sperimentazione sul campo su progetti concreti)
per poter ampliare il proprio campo di attività e migliorare la
propria offerta, ipotizzando in scala distrettuale/settoriale la
strutturazione di un nuovo “sistema casa”; un sistema che
recupera le competenze artigianali e attraverso il design arriva
ad imporsi nei mercati di nicchia e del lusso, gli unici che,
anche in periodi di crisi economica commerciale come quello
attuale, non hanno grossi problemi e sono meno attaccabili
dai concorrenti stranieri a basso prezzo.
In sintesi l’università e l’associazione di categoria, in questo
caso, offrono alle imprese una modalità convenzionata di
relazione con il design, con basse barriere all’ingresso sia
economiche che culturali, che permette alle imprese di
entrare in contatto diretto con le fasce più giovani dei
professionisti e sperimentare direttamente una modalità di
relazione che altrimenti avrebbero fatto fatica ad attuare.
Obiettivi specifici dell’intervento sono:
- diffusione nel mondo artigiano della cultura del
design;
- sperimentazione di modelli innovativi di
collaborazione e trasferimento di conoscenza tra
sistema ufficiale del design/università e piccole e
medie imprese;
- realizzazione di alcuni progetti innovativi concreti
presso aziende (innovazione di prodotto);
- promozione congiunta della filiera come “sistema”;
- professionalizzazione di giovani designer provenienti
dalle zone nelle quali si svolgerà il progetto.
Oltre alle 14 imprese coinvolte, altri destinatari indiretti
dell’azione saranno tutte le aziende della filiera del “sistema
casa” che potranno usufruire dei vari momenti collettivi e
degli strumenti di diffusione della cultura del progetto
impostati.
Ulteriore ricaduta sarà quella della professionalizzazione e
dell’attrazione di giovani designer attraverso un processo
attivo di learning by doing e learning by interacting, che
potrebbe rivelarsi fruttuoso per la filiera e potrebbe favorire,
qualora se ne riscontrasse la necessità e l’utilità, la

250 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


strutturazione di un sistema di offerta di servizi di design
proprio per le piccole e piccolissime imprese artigiane.

6.3.3 Il modello
La modalità di intervento prescelta è stata quella della ricerca-
azione volta innanzitutto ad analizzare la filiera ed i settori
coinvolti per individuare alcune linee di sviluppo possibili e
realizzare, direttamente con le aziende sul territorio, attraverso
una serie di collaborazioni tra imprese e designer, alcuni
progetti specifici che avranno la valenza di progetti pilota e
serviranno da esempio e stimolo per tutte le imprese locali.
Nella sua complessità l’intervento intende far riferimento a
tutte le imprese della filiera definibile “Sistema Casa”,
comprendendo in questa una varietà articolata di settori che
vanno dal legno (arredo e complementi), al tessile per arredo
(rivestimenti, tendaggi, oggettistica), alla plastica (oggettistica,
prodotti per la tavola), prodotti di metallo (oggettistica,
prodotti per la tavola).
Il progetto si propone in concreto lo sviluppo di una serie di
progetti specifici per e con le imprese di tutti i livelli della
filiera che nel complesso daranno vita ad un intervento di
sistema teso alla valorizzazione dell’intera filiera.
Il raggiungimento degli obiettivi prefissati parte dal
presupposto che, durante il periodo di sviluppo dello
specifico progetto aziendale, si realizzi uno scambio di
competenze e approccio tra designer e impresa.
Il primo trasmetterà alle imprese artigiane locali stimoli e
suggestioni provenienti dal contesto globale, riguardanti in
particolare la cultura del progetto, le tendenze del mercato, le
nuove abitudini e gli stili di vita degli utilizzatori, secondo la
visione sistemica che gli è propria.
Il secondo fornirà concretezza all’azione progettuale
orientando le scelte in rapporto alle abilità e competenze
tipiche della sua cultura del prodotto.
Cultura del progetto e cultura del prodotto convergono
operativamente.
Al raggiungimento degli specifici obiettivi che ci si è posti, si
aggiunge la volontà di favorire una azione di potenziamento
dell’offerta delle imprese, che abbia ricadute non solo sulla
singola azienda, ma anche in un sistema a scala distrettuale o

| 251
settoriale per l’innescarsi dei tipici processi emulativi. Per
questo DAC è pensato come un modello che potrà essere
replicato ed aperto alla partecipazione di altre aziende e
settori, mirando in definitiva alla diffusione della cultura del
design, vista come elemento distintivo entro mercati sempre
più sofisticati.
I singoli progetti sviluppati vanno letti, quindi, in un’ottica
più ampia di replicabilità e consolidamento del rapporto
design-impresa, ma anche come specifici esempi di un sistema
che nel suo complesso è in grado di chiedersi cos’è
l’artigianato lombardo e quali sono le metodologie con cui il
design può intervenire.

6.3.4 Fasi e strumenti


Il progetto molto complesso dal punto di vista gestionale è
stato realizzato secondo una serie di fasi successive:

Avvio progetto
Le attività svolte in questo primo momento hanno consentito
di analizzare il comparto artigiano lombardo, con particolare
attenzione alle province coinvolte, e la filiera del Sistema
Casa, allo scopo di delineare l’attuale stato dei settori
coinvolti e individuare possibili linee di sviluppo progettuale.
Selezione
Dopo una fase di sensibilizzazione e promozione,
Confartigianato si è occupata del contatto e della selezione

252 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


delle imprese, con un risultato finale di 14 aziende
partecipanti. Parallelamente sono stati selezionati i designer
attraverso l’organizzazione di un concorso rivolto a neo-
laureati o laureandi in Design del Politecnico di Milano, che
ha portato ad una prima rosa di 80 candidati con differenti
specializzazioni.
Definizione brief
La fase che ha portato alla definizione dei brief ha
rappresentato un momento importante di incontro diretto tra
aziende e Università, che si è concretizzato con una sorta di
audit aziendale, con un duplice intento:
- divulgativo, poiché ha permesso di illustrare alle
aziende le competenze e le potenzialità tipiche del
design;
- progettuale, poiché lo staff di ricercatori, in accordo
con gli imprenditori, ha potuto definire
concretamente il campo di intervento specifico del
progetto.

A partire dalla costruzione dei casi studio aziendali, dalle


interviste strutturate effettuate e dalla conoscenza diretta delle
singole imprese si è potuto procedere alla definizione dei brief
di progetto, in accordo con le reali esigenze delle aziende e le
possibili linee di sviluppo individuate nella fase iniziale.
Abbinamento
Sulla base dei brief impostati dal team di ricercatori e dalle
imprese, sono stati selezionati 15 tra i designer candidati,
tramite l’esame dei curricula, dei portfolii e colloqui
personali.
Si è definito, quindi, lo staff di progetto tramite
l’abbinamento impresa, designer e tutor, ovvero un designer
senior responsabile della supervisione del progetto e
dell’intermediazione tra le parti.
Sviluppo progetti (attualmente in corso)
Lo sviluppo dei singoli progetti aziendali viene svolto con
modalità consulenziali, non prevedendo, quindi, una presenza
fissa del progettista in azienda, salvo casi in cui sia
esplicitamente richiesto, ma con incontri di avanzamento
periodici. Si tratta di una modalità soft di avvicinamento tra

| 253
le parti che ricalca il modello di relazione tipico del rapporto
professionale e che consente il reciproco “adattamento”.
Dopo una fase di analisi metaprogettuale e di conoscenza
dell’azienda, si è proceduto ad una maggiore definizione dei
brief proposti e allo sviluppo di progetti che, allo stato
attuale, riguardano principalmente le aree del prodotto e della
comunicazione, sulla base di una visione sistemica.
Sistematizzazione risultati
Al termine del progetto è prevista una fase di raccolta e
sistematizzazione dei risultati con scopi di ricerca
(realizzazione di pubblicazioni e catalogo) e di promozione
delle attività (mostra e divulgazione dei risultati).

Lo svolgimento di tutte le fasi ha potuto avvalersi del


supporto del sito web www.sistemadesignitalia.it /dac,
progettato per essere un vero e proprio strumento sia
operativo che comunicativo.
Il sito prevede, infatti, un’area pubblica istituzionale e di
divulgazione del progetto e un’area di lavoro condivisa tra
designer, ricercatori, aziende e tutor.
Questa piattaforma ha permesso:
- la selezione dei designer, che hanno potuto entrare in
contatto diretto con l’iniziativa e proporre la propria
candidatura on line;
- la gestione, il monitoraggio e la condivisione degli
avanzamenti di progetto e delle comunicazioni
interne ai singoli team;

254 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


- la strutturazione delle informazioni relative alle
aziende e la gestione automatizzata delle interviste;
- la divulgazione ad un pubblico ampio dell’esistenza e
delle iniziative correlate al progetto.

Le fasi di progetto sono state accompagnate anche da un’altra


serie di attività più strettamente promozionali, come il
progetto della comunicazione, l’organizzazione di convegni, la
partecipazione a fiere e la diffusione dei risultati finali, tramite
cataloghi e mostre.
Gli attori
DAC coinvolge 14 imprese e 15 designer per lo sviluppo di
un totale di 15 progetti. Poli.design, consorzio del
Politecnico, è la struttura che nello specifico ha messo a
disposizione competenze e strumenti maturati in differenti
esperienze precedenti sul tema della connessione design e
imprese, secondo la metodologia della ricerca-azione.
Confartigianato Brescia, attraverso i propri mandamenti, ha
operato sul fronte del contatto diretto con le piccole imprese
del territorio. Il team misto, costituito dai promotori, ha
permesso la definizione di quelli che sono i veri e propri attori
del progetto: gli abbinamenti giovane designer-impresa
artigiana.

| 255
Le 14 aziende che hanno aderito al progetto sono attive
principalmente nel bresciano e nel lecchese ed appartengono
ad una varietà articolata di settori del sistema casa.
Le aziende rappresentano, nella maggior parte dei casi, una
fotografia del sistema artigiano nel suo complesso; si tratta
infatti di aziende di piccole e piccolissime dimensioni, con un
numero medio di addetti compreso tra 10 e 20, con casi di
imprese costituite da meno di tre persone.
Addetti 2003
Addetti 2003
6

5
5

4
n° aziende
n° aziende

3
3

2 2
2
1
1

0
1a3 3a5 5 a 10 10 a 20 oltre 20

Il fatturato risulta comunque significativo, con valori che in


molti casi superano il milione di euro.
Fatturato 2003
Fatturato 2003
8
7
7

6
n° aziende

5
n° aziende

4
3
3

2
1
1
0 0 0
0
0 - 50.000 50.000 - 100.000 - 250.000 - 500.000 - oltre 1.000.000
100.000 250.000 500.000 1.000.000

Insieme ai designer selezionati e al team di ricercatori e


designer senior, le imprese stanno sviluppando 8 progetti di
prodotto e 7 di comunicazione.
È significativo rilevare che, in seguito al colloquio diretto con
il team o dopo l’avvio delle attività con il designer, le scelte
delle imprese circa il tema progettuale si sono spesso ri-
orientate (per esempio dal prodotto alla strategia

256 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


comunicativa), segno della graduale comprensione delle
effettive possibilità del design e della necessità di reimpostare
alcune strategie.
Per molte aziende è, in effetti, emersa una scarsa percezione
del valore delle attività comunicative e di servizio, a favore
delle competenze sul prodotto.
I progetti attualmente in corso, partendo dall’analisi del
sistema-prodotto aziendale, affrontano tematiche che
mettono l’accento sulla strutturazione e comunicazione dei
servizi, sulla creazione di nuovi marchi, sulla rivalutazione
dell’immagine aziendale o la penetrazione di nuovi mercati
attraverso nuove linee di prodotti, sul progetto della strategia
comunicativa e dell’offerta dei prodotti.

6.3.5 Conclusioni
I progetti sono attualmente in fase di sviluppo, i risultati
effettivi quindi potranno essere valutati solo dopo la
conclusione dei singoli progetti (data prevista settembre
2005).
Si può però sin da ora affermare che il modello ha suscitato
molto interesse ed approvazione da parte delle imprese
artigiane, che hanno dimostrato di credere molto
nell’intervento e stanno investendo notevolmente sui progetti
nei quali gli imprenditori hanno riposto i propri sogni e le
ambizioni future di sviluppo.
Questo, se da un lato può essere rischioso, perché una volta
create forti aspettative bisogna poi farle seguire da progetti
adeguati, dall’altro però rappresenta l’unica modalità per fare
in modo che i progetti vadano a buon fine. Una delle
principali incognite in progetti di questo tipo è rappresentata
proprio dalla sottovalutazione dell’azione, con conseguente
scarso impegno, da parte delle imprese; al contrario, in questo
caso specifico, grazie al filtro dell’università e
dell’associazione, le cose sembra stiano funzionando.
DAC rappresenta una strada per far avvicinare il design alle
imprese artigiane, è una prima tipologia di intervento di tipo
educativo sulle possibilità offerte alle imprese dalla
collaborazione con il design. A questo dovranno seguire altre
azioni e soprattutto una rinnovata capacità delle imprese di
investire in innovazione, un’innovazione che non deve essere

| 257
per forza tecnologica nè guidata dal mercato, ma che può
essere innovazione di design.
Nell’attuale economia basata sulla conoscenza, dove
l’esperienza sostituisce il prodotto in una logica sempre più
service oriented anche per prodotti a bassa complessità, come
quelli del Made in Italy, parlare di innovazione di design non
può più riferirsi soltanto ad un’innovazione formale (styling) o
funzionale, ma deve lavorare su nuovi bisogni, nuovi valori,
nuovi contesti d’uso, enfatizzando il lato sociale della ricerca
di design.
Il progetto, attraverso un meccanismo pratico di learning by
doing e di learning by interacting, ha permesso alle imprese di
comprendere e applicare praticamente le potenzialità
innovative del design ed ai giovani designer di fare
un’esperienza professionale concreta e di approfondire la
conoscenza tecnica sui prodotti e sui processi produttivi.
Questo caso specifico testimonia come oggi sia possibile una
connessione diretta tra istituzioni, università, associazioni di
categoria e impresa, tra governo, mondo della ricerca e
mondo della produzione, tra politiche, progetto e mercato.
I rapidi cambiamenti, infatti, impongono alle imprese,
soprattutto quelle meno strutturate come quelle italiane, una
relazione diretta con quanto viene ricercato, studiato e
appreso in università e allo stesso tempo impongono
all’università, per poter assolvere a questo nuovo ruolo di
mediatore della conoscenza, di stare più vicino al mondo
imprenditoriale.
Il Progetto DAC è un esempio di come questo collegamento
possa essere strutturato e di come si possa fare trasferimento di
conoscenza specifica attraverso lo scambio di esperienze e
competenze tra imprese e mondo universitario.

258 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


6.4 Il progetto Atena11

6.4.1 Introduzione
Sempre nell’ambito della connessione tra Sistema Design ed
imprese artigiane è stato sviluppato, a partire dal 2003, un
progetto di collaborazione tra Politecnico di Milano (Facoltà
del Design) e Atena, società che raggruppa giovani
imprenditrici calabresi.
ATENA nasce come esito di un progetto di emersione dal
lavoro sommerso denominato NOW Alliance, promosso in
ambito europeo da Artes, società di ricerca e consulenza
diretta da Lilia Infelise.
Alliance ha avuto come obiettivo primario la creazione di
imprese nella regione Calabria, a partire dalla necessità di
recuperare risorse e competenze tipiche della regione e dalla
necessità di coinvolgere giovani donne con spiccate capacità
imprenditoriali e residenti in Calabria a sviluppare start up di
impresa. Sono state coinvolte circa 40 giovani imprenditrici
che dopo un periodo di formazione hanno dato vita ad
imprese artigiane in diversi settori: ospitalità, produzione
tessile, produzione agroalimentare ecc.
A seguito di questo primo progetto sono state avviate da Artes
nuove iniziative di potenziamento dell’artigianato calabrese;
una delle azioni in questa direzione è stata la costituzione
della società ATENA.

ATENA raggruppa imprese artigiane che realizzano prodotti


tessili in linea con tradizioni locali, reinterpretate secondo una
sensibilità contemporanea e proiettata ad un mercato
internazionale. Le imprese artigiane si configurano come
botteghe nelle quali vengono prodotti esemplari unici,
prodotti di alto artigianato artistico, prodotti a mano con
tecniche artigianali.
La creazione di un sistema di piccole imprese sotto il
“cappello” di ATENA ha avuto lo scopo non solo di garantire
l’unicità dei processi artigianali, ma anche di poter sviluppare
strategie di comunicazione e distribuzione che altrimenti, le

11
a cura di Arianna Vignati

| 259
singole imprese, non avrebbero potuto realizzare.

Questa iniziativa ha consentito alle imprese di sopravvivere,


ma anche di poter auspicare ad una dimensione di
distribuzione dei prodotti non solo locale ma anche
internazionale. I prodotti che rientrano nel catalogo ATENA
sono per lo più prodotti per la casa e la persona (dalla cucina,
alla tavola, al letto, al bagno, al giardino ecc.), nella maggior
parte dei casi di fattura tessile.

La collaborazione tra Politecnico di Milano e Atena è nata da


una esigenza evidente di questa produzione: quella cioè di
avere una visione progettuale dello sviluppo del prodotto, e di
avere una strategia comune alle differenti imprese anche nel
lungo periodo, un’identità comune ed un posizionamento
preciso sul mercato.

Figura I prodotti tessili della produzione Atena

260 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


6.4.2 Le fasi del progetto12

La collaborazione tra Politecnico di Milano ed ATENA è


partita innanzitutto da un percorso di conoscenza reciproca:
da un lato il design aveva bisogno di farsi conoscere dalle
imprese artigiane calabresi, dall’altra i ricercatori del
Politecnico avevano bisogno di acquisire una conoscenza più
dettagliata delle imprese, del contesto territoriale in cui
operano (risorse, attori, ecc.) per poi formulare ipotesi di
intervento.
Questo reciproco percorso di conoscenza è avvenuto
direttamente sul campo: i ricercatori sono stati a contatto con
la realtà calabrese per diversi giorni, hanno incontrato gli
artigiani, visitato le botteghe e conosciuto i rappresentanti di
alcune istituzioni del luogo.
Ne è emersa una immagine della Calabria, ricca di risorse
tipiche: dalle produzioni agroalimentari, al paesaggio
ambientale, ai luoghi storici, alle diverse produzioni di
artigianato artistico, quali la ceramica, il legno e il tessuto.
Rispetto al comparto tessile locale è stata evidente la necessità
di individuare una “nuova” produzione artigianale capace di
differenziarsi dall’usuale produzione di artigianato locale, a
partire dall’individuazione di una identità riconoscibile
rispetto alla concorrenza locale, ed in sintonia con le esigenze
di un mercato internazionale. Accanto alle abilità produttive
era perciò necessario integrare una visione sistemica di
progetto, capace di individuare canali di comunicazione ad
hoc e modalità di distribuzione e vendita efficaci.
La necessità di partenza è stata dunque quella di poter
configurare la produzione dell'artigianato tessile come un
sistema di imprese con un forte carattere territoriale capace di
inserirsi in un mercato anche internazionale comunicando i
valori legati alla preziosità delle lavorazioni e alla loro unicità.

A partire dall’indagine sul campo è stato formulata una


ipotesi di intervento progettuale che si è concretizzata in un

12
Castelli, Simonelli, 2004

| 261
"Laboratorio di Creatività" con l’obiettivo di sperimentare
percorsi di sviluppo del sistema Atena non solo sul versante
dello sviluppo del prodotto, ma anche della comunicazione e
della distribuzione. Il laboratorio si è svolto in Calabria
nell’ottobre del 2003 e ha visto coinvolti 30 studenti delle
Facoltà di Design di Milano e dell’Università degli Studi di
Reggio Calabria, 10 imprenditrici del circuito Atena e un
gruppo di docenti, ricercatori ed esperti nel settore.

Il laboratorio ha avuto un duplice obiettivo, sia formativo sia


di sperimentazione. Formativo perché si è avviato uno
scambio di conoscenza all'interno di una realtà locale tra
design e artigianato locale: le artigiane hanno potuto
confrontarsi con una dimensione progettuale differente dalla
propria, i designer si sono confrontati con una realtà
differente da quella con cui interagisce abitualmente il
progettista, sperimentando nuove modalità di progetto. Di
sperimentazione perché all'interno del workshop, oltre a
condividere un metodo di lavoro progettuale, si è agito, con
l'aiuto di professionalità competenti, su progetti e prodotti
reali per la valorizzazione della collezione ATENA.
Il brief del laboratorio si è articolato su due livelli:
1- la progettazione di artefatti comunicativi, di sistemi
distributivi per la valorizzazione dell'identità dei prodotti
tessili di Atena;
2- la messa a punto di prodotti, artefatti comunicativi e
servizi per l'integrazione dei prodotti artigianali di Atena con
le altre risorse tipiche calabresi (ceramica, risorse
agroalimentari, ambientali ecc.). La produzione Atena, infatti,
può essere valorizzata a partire da un processo di integrazione
con il ricco sistema di risorse della Calabria: tradizioni eno-
gastronomiche, risorse ambientali, risorse artigianali ecc.

Nell’ambito del laboratorio sono state approfondite ed


affrontate progettualemnte diverse tematiche:

- identità-comunicazione. L'identità delle produzioni


artigianali rispecchia le tradizioni locali e diventa
anche un fattore di riconoscibilità e di
comunicazione. Progettare l'identità di un prodotto
significa renderlo unico e tipico del territorio (i valori

262 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


che la comunicazione deve esprimere sono perciò
intrinseci al prodotto stesso) e al tempo stesso
proiettato nella dimensione di un mercato globale;
- distribuzione-mercati di riferimento. La struttura
produttiva del territorio calabrese si esprime
attraverso un grande numero di realtà di piccole
dimensioni, spesso artigianali che, per questioni
storico-culturali, privilegiano lo sviluppo di strategie e
distribuzione individuali;
- sistema/prodotto-design strategico. In Calabria sono
presenti sistemi di risorse differenti i cui progetti di
valorizzazione camminano su strade parallele ma
separate. La progettazione dell'integrazione delle
risorse pone le basi per uno sviluppo più omogeneo
del territorio e una riconoscibilità e forza maggiore
dell'intero sistema di risorse calabresi.
Dal laboratorio sono emerse soluzioni possibili per potenziare
e valorizzare la produzione artigianale di ATENA
comunicando una visione di progetto, un metodo, un
approccio al problema che parte da una visione sistemica della
situazione. Le visioni sviluppate reinterpretano le tradizioni,
la storia, il know how locale per proiettarlo e ri-collocarlo in
una dimensione contemporanea, di necessità e bisogni di
mercati nazionali ed internazionali.
Tra i concept emersi nel laboratorio il progetto Neonè è stato
poi effettivamente messo in produzione e presentato ad una
fiera internazionale dei prodotti di artigianato d’arte. Neonè
prevedeva una nuova strategia di comunicazione e di
distribuzione per i prodotti tessili Atena, riferite in particolare
ad una nuova linea tessile dedicata all’infanzia.

figura Immagini del progetto Neonè

| 263
figura Immagini del progetto Neonè

Oltre a risultati concreti di progetto, sono stati raggiunti


risultati in termini di consapevolezza delle imprenditrici e
degli attori coinvolti delle potenzialità del design e delle
possibili vie di potenziamento dell’artigianato locale.

6.4.3 Lo sviluppo del progetto


A partire dai risultati del laboratorio la collaborazione tra
Atena e Politecnico di Milano è proseguita, sulla base di
necessità specifiche di Atena stessa. Una di queste riguarda
l’individuazione di una strategia a breve termine finalizzata al
rinnovamento della collezione, all’individuazione di nuovi
canali distributivi e all’identificazione di una serie di linee
guida progettuali per riformulare la strategia comunicativa.
L’obiettivo prioritario per Atena è quindi quello di giungere
ad una prima ridefinizione del proprio portfolio prodotti,
attraverso interventi progettuali di rinnovamento della
collezione volti a:
- individuare i prodotti dell’attuale produzione che
risultano inadeguati o privi delle caratteristiche
qualitative per raggiungere i target identificati e che
quindi devono essere eliminati;
- riprogettare i prodotti dell’attuale collezione che non
sono “coerenti” con i target di riferimento
identificati;
- elaborare concept di nuovi prodotti per
l’ampliamento ed il completamento della collezione;.
- individuare nuovi canali distributivi, in virtù del fatto
che gli attuali non presentano le caratteristiche

264 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


necessarie per garantire un adeguato ritorno
economico.
- sviluppare una strategia comunicativa più incisiva,
per individuare le modalità con cui Atena può
promuovere adeguatamente il proprio sistema di
offerta, identificando gli strumenti comunicativi più
appropriati per valorizzare a livello informativo e
promozionale le proprie attività presso i canali
distributivi e il cliente finale.

Obiettivo principale della collaborazione è perciò quello di


giungere alla realizzazione di una nuova linea di prodotti, in
sintonia con le tendenze attuali nella produzione di prodotti
per il sistema casa, adeguatamente valorizzata e comunicata, e
di testare direttamente sul mercato l’efficacia degli artefatti
progettati, realizzando una mini-serie distribuite presso alcuni
punti vendita, individuati e selezionati sulla base di un’attività
di mappatura precedente.

6.4.4 Conclusioni
Questa iniziativa mette in luce non tanto una visione
conclusa di quali siano le potenzialità del design per la
valorizzazione delle imprese artigiane, quanto più un possibile
modello di integrazione tra questi due mondi, visti fino ad
ora come entità separate.
Emerge da questa esperienza come la possibilità di agire su un
tessuto di piccole e piccolissime imprese non si gioca tanto sul
contatto con la singola impresa, quanto più su azioni di
sistema, azioni di potenziamento di un gruppo di imprese che
possono acquisire visibilità solo se considerate come entità
collettiva da valorizzare.
Esiste però in questo senso una condizione primaria per
l’avvio di qualsiasi azione: che esista, sia riconosciuto e
legittimato un soggetto capace di coordinare e di convincere
un gruppo di imprese. Nel caso del progetto Atena e delle
azioni successive: la mediazione di Lilia Infelise, la presenza di
un gruppo di imprese già sistematizzate in una società
(Atena), hanno permesso di agire ad un livello avanzato di
consulenza professionale sui temi del design.
Da questa esperienza, e anche dal precedente DAC, emerge la

| 265
necessità che per legittimare l’intervento del design presso
sistemi di imprese imprese occorre innanzitutto una
collaborazione attiva di mediatori locali.

266 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


6.5 Economie del lusso: il caso PRO.GE.OR.13

6.5.1 Introduzione
Da sempre il lusso è legato al concetto di bene raro, tendente
all’unicità. Nei Paesi industrializzati, in seguito alla
sovrapposizione, sempre più netta, della sfera
dell’immaginario individuale a quella dei bisogni e delle
necessità, è via via più difficile, per qualsiasi tipo di prodotto,
definire con precisione i margini delle classi di target, che
tendono a restringersi. In altri termini il rapporto tra
produzione e consumo evolve verso una identificazione tra
target ed individuo.
Questo fenomeno è stato incentivato, oltre che dalla
moltiplicazione delle varianti di ogni prodotto che inducono i
consumatori a desiderare sempre nuove diversificazioni,
anche dalla comunicazione pubblicitaria. Il messaggio
dell’unicità e dell’esclusività del consumatore è stato recepito
facilmente e si è immediatamente radicato, probabilmente a
causa dell’assonanza del concetto con il concetto biologico di
unicità dell’individuo e di distinzione tra i singoli individui.
Un processo, che ha interessato il mercato dei prodotti
industriali in generale, ma che è stato sentito ancora di più
nell’ambito dei prodotti di lusso ed in particolare nel settore
della gioielleria. Una tendenza che sembra voler tornare ad
una produzione di tipo artigianale, ipotesi inaccettabile, per
un comparto che deve essere sempre competitivo sul mercato
internazionale e che non può permettersi di rinunciare
all’innovazione tecnologica ed alla dimensione industriale.

6.5.2 L’evoluzione degli artefatti


Ogni organismo complesso può essere letto come l’evoluzione
di un organismo più semplice al quale le mutate richieste di
prestazioni impongono un aumento di capacità di risposta.
Questo processo è quello che adotta la natura per il

13
di Carlo Coppola, Carla Langella

| 267
riequilibrio dei processi di vita dei costrutti organici. Nei suoi
processi, infatti, essa non torna mai indietro ma procede
sempre su nuove strade attraverso un aumento della
complessità che dalle forme di vita più semplici, come gli
organismi unicellulari, porta a quelle più mutevoli e
complesse, come l’uomo.
La sopravvivenza è sicuramente l’obiettivo primario posto alla
base di ogni forma di vita. Per conseguire questo obiettivo
ogni specie ha la capacità di trasformare alcuni suoi aspetti
per adattarli ai cambiamenti che avvengono all’esterno.
Ogni artefatto prodotto dall’uomo, sia artigianalmente che
industrialmente, sia casualmente che intenzionalmente, può
essere considerato come la estrinsecazione di un insieme di
principi e di caratteri finalizzati ad un obiettivo
predeterminato.
Anche per gli artefatti esiste una necessità evolutiva. I
prodotti che non si evolvono e non si trasformano in
funzione del variare delle esigenze del mercato si estinguono,
nel senso che non vengono più acquistati, ne richiesti, ne
prodotti.
In termini evolutivi il prodotto industriale nella sua linea di
produzione tradizionale è molto meno flessibile rispetto a
quello artigianale, poiché apportare una modifica a un
processo produttivo industrializzato significa intervenire su di
una serie di fattori della linea produttiva, con costi e tempi
spesso molto elevati. I prodotti industriali più sono complessi
ed articolati in varie linee di assemblaggio e più sono rigidi e
difficili da trasformare; il prodotto artigianale al contrario per
trasformarsi necessita esclusivamente della capacità
dell’esecutore a recepire le necessità di trasformazione.
Le modifiche apportate ai caratteri di un sistema biologico,
più o meno complesse, implicano una modifica del suo
codice genetico. L’evoluzione biologica avviene secondo un
susseguirsi ciclico di domande, tentativi di risposta,
modifiche, verifiche e correzioni. Anche il mondo degli
artefatti industriali è dominato da leggi che ricordano la
ciclicità dei processi evolutivi. L’evoluzione degli artefatti
consiste in un continuo altalenarsi di richieste del mercato e
risposte della produzione, che generano immediatamente
nuove domande.
Questo stesso tipo di modello di interazione ciclica di matrice

268 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


tipicamente biologica determina il grado di complessità insito
in un progetto, che cresce di passaggio in passaggio.

6.5.3 La progettazione generativa


La progettazione generativa si propone come una soluzione,
in chiave biomimetica , al problema dell’esigenza di unicità
14

del prodotto industriale, che di per se appare una


contraddizione. Si tratta di un nuovo modo di concepire la
produzione industriale automatizzata (quella robotizzata, a
controllo numerico, ecc.) in modo da ottenere una
differenziazione dei prodotti appartenenti ad una medesima
linea di produzione. Il progetto stesso viene ad essere
rivoluzionato, poiché non è più teso a concepire un singolo
oggetto, bensì un processo di produzione di valenze tutte
perseguibili attraverso un insieme (una specie) di prodotti
equi/valenti ma tutti diversi e riconoscibili come insieme
anche nella loro diversità.
Nel progetto generativo cambia la dimensione del progetto
stesso che non riguarda un singolo artefatto ma una “specie”
di artefatti, alla quale appartengono le infinite varianti, tutte
diverse tra loro ma accomunate da alcuni caratteri “di specie”.
Le ipotesi di specie vengono testate progressivamente
simulando la produzione di un numero di esemplari molto
elevato sul quale, di volta in volta, viene effettuata la verifica e
la correzione del codice generativo, che si identifica come
insieme dei caratteri ricorrenti in ogni singolo artefatto, fino
ad ottenere quello ritenuto dal progettista più adatto rispetto
agli obiettivi del progetto.
Il successivo passaggio nell’applicazione nel disegno
industriale è la produzione, generazione di artefatti
rispondenti al codice generativo prescelto.

6.5.4 Lo sviluppo del progetto


Il progetto PRO.GE.OR (Progetto Generativo per
l’Oreficeria), è stato sviluppato da un team di ricercatori del
Corso di Laurea di Disegno Industriale della Seconda

14
La biomimetica è la scienza che studia come trarre ispirazione
dall’osservazione delle strutture biologiche per creare artefatti.

| 269
Università degli Studi di Napoli, coordinato da Carlo
Coppola, in collaborazione con il consorzio dell’oreficeria
Tarì. Obbiettivo del progetto era verificare l’opportunità di
utilizzare nel campo dell’oreficeria gli algoritmi di
progettazione generativa per ottenere un prodotto industriale
evoluto, lontano dai limiti di serialità e ripetitività tipici della
produzione automatizzata, che tenda all’unicità, carattere
d’eccellenza del gioiello. Nel panorama della produzione
industriale l’evoluzione tecnologica consente oggi di superare
i limiti e le caratteristiche tradizionali del prodotto
industriale: serialità e ripetitività. Tali caratteristiche, tipiche
del design sino ad oggi praticato, hanno sempre allontanato la
meccanizzazione prima e l’automazione poi dalla produzione
orafa, in cui l’unicità rimane il carattere d’eccellenza.
Nel panorama del terzo millennio lo sviluppo della tecnologia
e dell’intelligenza artificiale applicata alle macchine consente
di coniugare i vantaggi economici della produzione
industriale con la necessità di garantire la richiesta di unicità
del design. Gli algoritmi di progettazione generativa
consentono, per la prima volta, di potere realizzare nel campo
dell’oreficeria infiniti unici appartenenti tutti alla stessa specie
(o linea se si preferisce) ideata da un singolo operatore.
Il lavoro è stato sviluppato indagando l'ordine dei gioielli
attraverso la definizione, in un primo momento, di una
classificazione tassonomica e, successivamente, di una
procedura generativa prima a livello logico e poi di
modellazione.
Come individui da studiare sono stati scelti gli anellidi,
famiglia di gioielli con una struttura circolare, ad anello,
appartenente all’ordine dei gioielli. Il parallelo tassonomico
potrebbe essere il seguente:

REGNO artefatti animale


ORDINE gioielli primati
FAMIGLIA anellidi ominidi
SPECIE anelli umana
RAZZA a fascia bianca
a sezioni gialla
ecc. ecc.
tab. 6.5.1

270 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


Per definire i dati da immettere specificamente relativi al
campo degli anelli e dell’oreficeria, sono stati identificati
alcuni caratteri di relazione sull’aspetto ergonomico della
portabilità (spessori differenziati della struttura in funzione
della morfologia delle dita, levigatezza delle superfici,
smussatura degli angoli a contatto con il corpo, ecc.).
Successivamente sono state stabilite delle possibili linee di
sviluppo e intervalli accettabili relativi alla forma (andamento
della struttura, numero massimo e minimo delle iterazioni
strutturali, varietà delle generatrici di sezione, ecc.) da fare
interagire tra loro continuamente e diversificatamene per
produrre a getto continuo un numero indeterminato di
individui anello.
L’ampiezza degli intervalli accettabili, nell’ambito dei quali il
motore di produzione generativa articola i parametri definiti,
determina la vastità del campo di diversificazione tra vari
individui e la loro riconoscibilità come appartenenti ad una
specie comune.
Il grado di complessità può essere aumentato sia in funzione
delle trasformazioni operate in sede di progetto sia in
funzione della complessità dei caratteri di start-up.
Attraverso questo approccio, inoltre, è possibile generare degli
ibridi, dei codici genetici di diversi progetti di specie, secondo
una logica simile a quella applicata dalla natura nella
evoluzione naturale per la creazione di esemplari meticci.

6.5.5 La struttura formale degli anellidi


La famiglia degli anellidi appartiene all’ordine dei gioielli, e si
articola in specie definite come anellidi da dito (anelli),
anellidi da braccio o caviglia (bracciali), anellidi da collo
(collier o collane).
Nell’ambito di PRO.GE.OR. si è scelto di studiare
prioritariamente gli individui selezionati nell’insieme degli
anelli, che hanno costituito il campo di indagine per la
definizione del primo algoritmo generativo.
L’indagine è consistita nell’analisi e nella codificazione delle
strutture genetiche possibili, per razze di anelli, in riferimento
ad alcune produzioni attuali. Da questa codifica sono stati
estratti successivamente i caratteri evolutivi delle possibili
famiglie alternative ed anche quelli relativi ad alcune specie

| 271
ibride, come verifica.
La struttura dell’anello può essere chiusa (fig. 6.5.1) o aperta (fig.
6.5.2), il percorso può essere a forma di spirale (n. di giri >1) o
collegare diverse forme (allineate o incrociate). La possibile
apertura può arrivare fino ad un’ampiezza di 90°. L’anello
può assumere diverse morfologie, che devono essere
compatibili con i limiti ergonomici ( 18 mm < h < 66mm):
circolare (fig. 6.5.3), ellittica (fig. 6.5.4), costituita da curve
irregolari (fig.6.5.5), poligonale (fig.6.5.6).

R
H

360° Opening 90°

fig. 6.5.1 fig. 6.5.2 fig. 6.5.3

H
Am
AM
R

fig. 6.5.4 fig. 6.5.5 fig.6.5.6

Il paradigma di specie degli anelli studiati deriva dalla


struttura formale esperita, attraverso il descrittore geometrico
appropriato al progetto, nel nostro caso percorso e sezioni.
La generazione della sezione quindi costituisce un passaggio
fondamentale per la creazione di un anello. L’evoluzione della
sezione è influenzata sia dai fattori ergonomici, che
influiscono sull’evoluzione del profilo sia dagli altri caratteri
che entrano in gioco. Oltre ai fattori ergonomici viene
considerata anche la larghezza dell’anello (b) che può variare
tra 16 e18 mm; inoltre per una questione di indossabilità lo
spessore della sezione deve essere compreso nell’intervallo 0,1
and 4 mm. (Fig 6.5.7)

272 | Design, imprese, distretti. | Arquilla, Vignati, Simonelli


a b

fig. 6.5.7

L’approccio prescelto per la generazione della forma


dell’anello è stato definire i caratteri dell’anello facendo
riferimento a tutti i punti corrispondenti alle sezione
fondamentale, in questo modo è stato possibile disegnare la
forma, creata dalla superficie che li unisce tutti tra loro.

fig.6.5.8

fig. 6.5.9

Nell’esempio riportato (fig. 6.5.8) sono state analizzate sezioni


multiple, individuate mediante le loro coordinate su un piano
Cartesiano (fig. 6.5.8-6.5.9). Ad ogni punto corrisponde
un’altezza e uno spessore. Un’altra variabile considerata è
anche la posizione della sezione centrale rispetto all’anello, le
sezioni esterne, invece, non subiscono traslazioni (Fig.6.5.10).

| 273
fig. 6.5.10

6.5.6 Conclusioni
I risultati della sperimentazione hanno riscosso grande
interesse da parte dei produttori di gioielli, poiché rivelano
uno scenario di opportunità progettuali e tecnologiche molto
ampio e interessante. È importante sottolineare che la
progettazione generativa non costituisce, per il designer, un
fattore di esclusione dal processo progettuale o di riduzione
dei margini di intervento, ma piuttosto un’occasione per
sperimentare nuovi strumenti e nuove modalità progettuali,
che vanno ad arricchire il ventaglio di scelte possibili.

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