Il petrolio è un insieme di idrocarburi liquidi, gassosi e solidi; gli idrocarburi
sono composti chimici formati da idrogeno e carbonio, con aggiunta di ossigeno, azoto e zolfo. Il petrolio è la più importante risorsa energetica mondiale ed è anche la materia prima di base dell’industria petrolchimica che ci fornisce prodotti come la plastica, le fibre sintetiche, i concimi chimici. Esso è il prodotto della trasformazione di organismi vegetali ed animali, in seguito a processi fisici e chimici che hanno portato alla formazione di rocce chiamate sedimentarie. I mari della terra sono stati popolati per milioni di anni da esseri viventi e da organismi piccoli marini conosciuti con il nome di plancton. Alla loro morte questi organismi precipitano sui fondali, mescolandosi ai detriti e tali depositi sul fondo marino prendono il nome di sedimenti. In questi sedimenti gli organismi si scompongono in sostanze chimiche formate da idrogeno e carbonio: gli idrocarburi. Gli idrocarburi possono essere liquidi o gassosi; essi tendono a risalire e a concentrarsi nella parte più alta delle rocce; tali rocce prendono il nome di rocce magazzino e sono delle trappole petrolifere. Il petrolio impregna le rocce, non forma nel sottosuolo laghi o fiumi sotterranei, ma si trova nelle tante piccole porosità delle rocce magazzino, dove è presente anche una certa quantità d’acqua. Per trovare un giacimento petrolifero, bisogna sapere se il sottosuolo è costituito da rocce sedimentarie e se tra queste, inoltre, vi sono rocce contenenti idrocarburi. Occorre anche identificare una trappola, localizzandola attraverso vari sistemi: Il rilevamento aerofotografico mette in evidenza gli affioramenti rocciosi e ne indica la direzione e l’inclinazione. Il metodo dei controlli diretti, che si basa sulla misura del magnetismo e della gravità della zona dove si effettua la ricerca. Il metodo più preciso è il metodo sismico a riflessione, in grado con precisione di localizzare la trappola. Nel sottosuolo si provocano delle vibrazioni e le onde sismiche prodotte, in parte attraversano il terreno, in parte vengono riflesse; le onde riflesse vengono raccolte da speciali microfoni e registrate. A questo punto si procede allo scavo di un pozzo esplorativo, che sarà l’unico modo per definire con certezza se in quel luogo vi è una trappola e se c’è, se contiene idrocarburi e quanti. La durata di questa fase dipende dalla profondità del pozzo e comunque richiede da un minimo di un anno fino a cinque anni e più. La perforazione di un pozzo di petrolio è una operazione complessa e costosa: si innalzano le torri di trivellazione, che devono sostenere la trivella, una specie di grosso trapano che porta sulla cima la sonda di trivellazione. Man mano che la sonda di trivellazione avanza, perfora la roccia e il pozzo viene successivamente rivestito con tubi di acciaio, cementati alla roccia. Quando il pozzo raggiunge la trappola petrolifera, gli idrocarburi che impregnano la roccia fuoriescono liberamente, spinti dalla pressione del gas o dell’acqua. A questo punto si toglie la sonda di trivellazione e si inserisce un tubo d’acciaio forato, fissando alla testa del pozzo un complesso di valvole che regolano il flusso di petrolio, chiamato albero di Natale per la sua forma. Solo una parte di petrolio (circa il 30%) viene estratta dal giacimento; la restante parte aderisce fortemente alla roccia e non può essere staccata. Il petrolio grezzo estratto dal giacimento è immesso in grandi serbatoi di sedimentazione, dove si depositano i fanghi, i frammenti di roccia e l’acqua. Il petrolio grezzo viene poi portato, attraverso delle tubazioni chiamate oleodotti, alle raffinerie o a grandi centri di raccolta vicini ai porti di imbarco, dove delle grandi navi petrolifere lo caricano e lo trasportano alle raffinerie di destinazione. Il petrolio greggio è un miscuglio di idrocarburi, molto diversi tra loro per la composizione chimica delle loro molecole. Di conseguenza è necessario sottoporlo a delle lavorazioni in modo da separare i vari componenti: ciò avviene nelle raffinerie. Il primo trattamento cui è sottoposto il petrolio greggio è la distillazone frazionata (o topping). Il petrolio, riscaldato, è inviato in una speciale torre o colonna di frazionamento, che contiene un certo numero di piatti, sui quali si condensano i diversi idrocarburi. Sui piatti posti in cima alla colonna si depositeranno gli idrocarburi più leggeri, su quelli inferiori gli idrocarburi più pesanti. Al fondo si raccoglieranno i componenti più complessi, che costituiscono il residuo della distillazione frazionata. I piatti hanno dei fori per consentire il passaggio da un piatto all’altro. Dalla colonna escono dei condotti che trasportano gli idrocarburi all’esterno, pronti per subire le operazioni successive. I prodotti ottenuti con la distillazione frazionata sono, a partire dalla cima della torre, gas di raffineria, benzine, kerosene, gasoli, oli pesanti, residuo. Tali idrocarburi però devono subire ulteriori processi di raffinazione per eliminare le impurità e migliorarne le caratteristiche fisico-chimiche. Il residuo di topping viene nuovamente distillato entro torri a bassa pressione, con temperature inferiori a quelle precedenti e in questo modo si ottengono nuovi kerosene, gasoli e oli lubrificanti. I residui di questa seconda distillazione costituiscono i bitumi, impiegati soprattutto nella produzione di asfalto per le strade. Le benzine sono il prodotto più conosciuto tra i derivati del petrolio e costituiscono all’incirca il 20% di tutti i prodotti del topping, ma il mercato ne richiede una quantità superiore e soprattutto di alta qualità (come i motori delle automobili), con caratteristiche che consentano lo sviluppo di una maggiore potenza e meno consumi. Oltre che con il topping, si ottengono benzine di qualità migliore attraverso un altro processo, chiamato cracking, che consiste nel rompere le molecole più grosse e complesse che costituiscono la struttura chimica del gasolio. Le benzine, infine, possono raggiungere migliori prestazioni attraverso un ulteriore processo, detto reforming, che consiste nell’aggiunta di una particolare sostanza che rallenta le reazioni della combustione: il piombo tetraetile. Si tratta però di un prodotto molto velenoso, che inquina l’aria disperdendosi insieme ai gas di scarico delle automobili. Per questo motivo l’uso del piombo nelle benzine è stato limitato in questi ultimi anni in molti Paesi.