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Berlino.

C'era una volta il muro

Il 9 novembre 1989 i berlinesi hanno abbattuto il simbolo della guerra fredda che divideva
in due la città. Da quel giorno il mondo non è stato più lo stesso. E nei dieci anni che sono
seguiti la storia ha accelerato il proprio corso. Nel bene e nel male.
L'idea di cicatrizzare con un cordone sanitario la 'ferita berlinese', come la chiamavano i
comunisti dell'Est germanico, non nacque né a Mosca né a Berlino. In un certo senso, l'idea
germinò all'improvviso nella testa di Nikita Kruscev, durante il breve semivertice che egli
tenne con John Kennedy a Vienna nel 1961. Fu in quei giorni fatali, destinati a produrre
mutamenti profondi e sconvolgenti sugli scenari della guerra fredda, che l'imprevedibile
dittatore dell'Unione Sovietica prese la decisione di mettere alla prova i nervi e la mente del
giovane presidente americano con la costruzione di un lungo muro conficcato nel cuore di
Berlino, separando con un taglio netto e definitivo il settore Est da quello Ovest della città
occupata da quattro eserciti.
Quella barriera divisoria avrebbe dovuto non solo frenare la continua emorragia di profughi
dalla Germania orientale, che passavano liberamente da un settore all'altro della vecchia
capitale; avrebbe dovuto altresì chiudere, una volta per tutte, l'unica frontiera aperta
dell'impero sovietico spaccando in due tronconi incomunicabili l'Europa comunista e l'Europa
occidentale.
Che Kruscev avesse maturato il piano a Vienna, e non prima, lo dimostrava il fatto che
ancora nel marzo del 1961 egli si era fermamente opposto al suggerimento di Walter
Ulbricht, presidente della Ddr, di costruire una grande barriera di filo spinato lungo il confine
delle due Berlino. Il veto del capo sovietico bloccò temporaneamente la proposta. Ulbricht,
costretto a fare marcia indietro, o meglio costretto ad aspettare ancora qualche mese.
Intanto l'emorragia delle fughe aumentava di giorno in giorno. Nulla sembrava poter
fermare quella marea inarrestabile, che andava sempre più dissanguando il corpo sociale ed
economico della Ddr dei suoi migliori tecnici, insegnanti, medici, ingegneri, operai,
giornalisti, scrittori, artisti e registi di cinema e di teatro. Una buona parte di profughi era
costituita da giovani. A ogni nuovo segnale di crisi interna, o di giro di vite nella Germania
orientale, il flusso cresceva. Gli incustoditi valichi di passaggio dell'ex capitale erano
diventati veri e propri canali di deflusso e di svuotamento della popolazione più attiva del
feudo comunista di Ulbricht e del suo braccio destro Honecker. Soltanto nei primi sei mesi
del 1961 erano fuggiti attraverso Berlino 130 mila sudditi tedesco-orientali.
Kruscev era certo al corrente della gravità della situazione, che minacciava di portare al
collasso improvviso lo stato satellite più importante dell'Urss, ma, sempre indeciso,
aspettava il momento opportuno per sferrare il colpo contro l'Occidente e in particolare
contro gli Stati Uniti. L'opportunità gliela offrì, a Vienna, un Kennedy che l'astuto contadino
russo giudicò arrogante e insicuro, artificioso e friabile sotto un'elegante corazza di stile
manageriale. Così, incollerito dai comportamenti troppo disinvolti e irrispettosi del
giovanotto harvardiano, decise di dargli una lezione e di sottoporlo, al tempo stesso, a un
durissimo test politico: il Muro.
Non più l'artigianale chilometrico cavallo di frisia proposto in marzo da Ulbricht, ma un Muro
con la maiuscola, di tutto rispetto, una mostruosa riedizione della Muraglia cinese
serpeggiante fra strade, ponti, sotterranei, corsi d'acqua di una delle più gloriose capitali
d'Europa. Collera e calcolo, desiderio di punire l'impertinente inquilino della Casa Bianca,
volontà di riconsolidare le traballanti strutture della Germania comunista, con in più la
volontà di mettere in uno stesso momento nell'angolo gli imperialisti e i maoisti cinesi che lo
accusavano di collusione con l'imperialismo: tutto ciò spinse Kruscev a infliggere, ai tedeschi
e al mondo, un insulto che spostava col Muro la frontiera della guerra fredda ai limiti
dell'olocausto atomico. Neppure Stalin, che pur nel 1948 aveva bloccato gli accessi
dall'esterno a Berlino occidentale, aveva osato tanto

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L’anniversario
Lo scorso 9 novembre tutta Berlino ha festeggiato, con grande spreco di birra, würstel,
fuochi d'artificio, convegni e comizi, il decimo anniversario della caduta del Muro e del
conseguente crollo del regime comunista tedesco- orientale. Tutta Berlino? Non
precisamente. Alcuni villaggi metropolitani abitati da testardi guerrieri rossi che resistono
coraggiosamente all'invasore capitalista boicotteranno orgogliosamente le celebrazioni
ufficiali trincerandosi dietro al loro inespugnabile muro elettorale.
Non bisogna dimenticare che in alcuni quartieri il partito degli ex comunisti ha preso il 40
per cento dei voti. Solo nostalgici? No, è la protesta di chi non ha più radici e il sintomo di
una frattura che dopo dieci anni non è ancora sanata
Alle recenti elezioni amministrative di Berlino il partito del socialismo democratico erede del
disciolto partito comunista di Erich Honecker si è riconfermato primo partito di Berlino Est. A
Berlino Ovest ha invece raggiunto solo il 4,5 per cento. In una capitale tedesca che con
grande fretta si era prodigata per cancellare i segni fisici della sua divisione interna,
continuano oggi a convivere ancora due emisferi politici e sociali che, al di là di ogni
retorica, non sono ancora riusciti a ricongiungersi.
Le ragioni del clamoroso successo elettorale dei postcomunisti hanno radici profonde in una
città che a dieci anni dalla caduta del Muro possiede ancora due giardini zoologici, due torri
televisive, due osservatori astronomici, due squadre di calcio e due contratti di lavoro
contrapposti che regolano il livello salariale dei lavoratori dipendenti. Nel settore del
pubblico impiego, per esempio, ancora oggi un dipendente di Berlino Est guadagna l'85 per
cento dello stipendio che spetta invece a un suo collega di Berlino Ovest.
Motivo sufficiente per molti abitanti per sentirsi cittadini di seconda categoria ingiustamente
puniti dall'unificazione del paese. Definire però gli elettori del Pds solo come i perdenti
dell'unificazione sarebbe semplicistico. Solo il 14 per cento dei cittadini di Berlino Est infine
rimpiange realmente la vecchia Ddr, anche se il 67 per cento si dice insoddisfatto delle
conseguenze dell'unificazione tedesca.
Per rendersene conto basta andare a Pankow, l'elegante quartiere residenziale di Berlino Est
dove un tempo viveva la nomenklatura della Ddr e dove ancora oggi risiedono le modeste
ambasciate prefabbricate di Cina, Corea del Nord, Cuba e Cambogia.
“Ci hanno preso tutto, la nostra moneta, la nostra televisione di stato, i nostri asili nido,
perfino il nostro inno nazionale' ...” questa è l’opinione di molti. Un popolo, quindi, che
sembra aver perso la propria identità.

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