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GIACOMO IN
BORGO E I NOSTRI CONVALLIGIANI
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L’Arciconfraternita del SS. Corpo di Cristo
Congiuntamente al fatto di essere Valtellinesi, così da entrare nel soda-
lizio nazionale dei Lombardi, nonché secondo l’attività di ciascuno di
doversi iscrivere alla rispettiva corporazione con la conseguente adesione
alla confraternita dell’arte, la genuina religiosità portava i nostri convalli-
giani anche voler fare parte di confraternite romane dagli scopi prevalen-
temente devozionali. Una di queste era l’Archiconfraternita del SS.mo
Corpo di Christo.
Questa Compagnia, pur non essendo come quella del Gonfalone, isti-
tuita nel XIII secolo nientemeno che da S. Bonaventura e che a ragione
l’Huetter definisce la quercia più annosa nella selva magna e multicolo-
re delle confraternite romane o come quella di S. Spirito in Sassia appro-
vata da Innocenzo III addirittura alla fine del secolo precedente oppure
come l’altra del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum la prima ad essere
elevata ad arciconfraternita, nel Seicento arrivò a costituire uno dei mag-
giori sodalizi dell’Urbe. Basti dire che, già nel 1617, poteva vantare tra le
Compagnie aggregate quelle del SS.mo Corpo di Cristo di Bologna,
Tortona, Vicenza, Macerata, Bergamo, Tolentino, Genova, Fano, Iesi,
Gubbio ed altre appartenenti alle diocesi di Ferrara, Imola, Sulmona,
Spoleto, Chiusi, Loreto, Trento e Siracusa. Insomma ben 46 confraternite
di tutta la penisola.
Sorta nel 1509 presso l’antica chiesa di S. Maria in Traspontina, il 24
settembre 1513 ebbe l’approvazione da papa Leone X con la Bolla Leo
Episcopus et Sacratissimi Corporis. A imitazione dei Carmelitani che
gestivano quel tempio, come per dimostrare la candidezza del venerabil
Sacramento, i sodali assunsero quale abito un sacco di tela bianca con
sulla spalla sinistra l’emblema di un calice nel quale è l’immagine di
Cristo con le braccia aperte in campo paonazzo dimostrante la Passione
del nostro Salvatore.
Crescendo poi di numero, nel 1520 trasferirono la loro sede presso la
chiesa parrocchiale di S. Giacomo in Borgo, detta anche di S. Giacomo
scossacavalli, ottenuta dal Capitolo e dai Canonici di S. Pietro, che
ampliarono convenientemente.
Assieme alle pratiche religiose la Compagnia esercitava varie opere di
carità, tra cui quelle inerenti all’assistenza degli infermi e all’ospitalità dei
pellegrini. Solennizzava il Giovedì Santo nella ricorrenza dell’Eucarestia.
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Nel 1572 Gregorio XIII la elevò ad Arciconfraternita.
I Fratelli istituirono un medico e un barbiere per i poveri non solo della
loro associazione, ma anche della parrocchia. Né si fermò qui la loro cari-
tà. A partire dal 1580, usufruendo di elemosine e lasciti sostanziosi,
cominciarono altresì ad assegnare alle oneste zitelle bisognose doti da 25
scudi ciascuna. A queste ragazze le Sorelle insegnavano, ogni domenica,
la dottrina cristiana nella loro chiesa.
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di Camera di Pio IV, Scipione Perotti Cameriere di Urbano VIII e Piero
Perotti Crucifero dello stesso Papa, Pompeo Ugoni Chierico Benefitiato
di S. Pietro famoso oratore, come pure Albertio Eremita fondatore di que-
gli stessi eremiti che dicono Facciamo bene adesso, che hauemo tempo
(1585), Giovan Pietro Gerosa, Domenico Fontana architetto di Sisto V,
Domenico del Nero, Domenico de Caualieri, Teodoro della Porta ed il
famoso Giovan Pietro Aloisio – ossia Pierluigi – da Palestrina Mastro di
Cappella di S. Pietro, Musico eccellentissimo.
Quando, nel 1588, in una congregazione plenaria si decretò di matto-
nare la Chiesa, ci fu chi tra i confratelli s’impegnò a donare tutti i matto-
ni occorrenti, mentre alcuni avrebbero provveduto alla calce. Tra questi il
Panichetti, che ne fornì due rubbi. Il lavoro venne eseguito da Antonio
Gerosa ed Ambrogio Luna.
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architetti Vespasiano Strada ed a Cesare e Bernardo Luna. Giovan Battista
Gerosa eseguì il disegno dell’altare. L’edificio fu completato nel gennaio
1602, con un costo di 886 scudi tutti raccolti con le elemosine.
Il nostro convalligiano non fece però in tempo a vederlo perché morì
sei mesi prima, il 26 agosto 1601. Come già il Carra e il Branchi, lo sep-
pellirono in chiesa nella Sepoltura delli Fratelli della Compagnia, come
dicono le lettere incise sulla lapide di accesso nel pavimento, sotto cui si
apriva la fossa, davanti all’altare di S. Giacomo.
Vicino a questo c’è l’altare detto della Pietra, in riferimento della
quale la chiesa assunse il nome di S. Giacomo scossacavalli. Si tramanda
che sia il santo altare del Tempio di Salomone, sopra cui la Vergine Maria
presentò Gesù Bambino nelle braccia del vecchio sacerdote Simeone. Una
scritta, apposta nel 1621, ci fa sapere:
Nella Chiesa, che è soggetta alla Basilica Vaticana, c’è anche un altro
altare da dover menzionare: quello posto nella cappella della Natività
della Beata Vergine, il cui Ius patronato è della famiglia Carcano lì sepol-
ta. L’Historica narratione, richiamandosi a sua volta a quanto già attesta-
to da Ottavio Panciroli nel suo libro dei sacri tesori nascosti di Roma ed
altresì al volume scritto a penna dal nobile Francesco del Sodo confratel-
lo del XVI secolo, attesta che la sua pietra è quella sopra la quale il
patriarca Abramo pose il suo unico figlio Isacco per sacrificarlo alla mae-
stà di Dio, che poi non volle un simile sacrificio. Aggiunge che venne
anch’essa condotta a Roma da Sant’Elena, assieme a quella dell’altare
della Pietra scossacavalli.
Riguardo a Giovan Antonio Panichetti nelle carte della Compagnia,
relative agli obblighi assunti per il mese di agosto (77), si dichiara che
essendo egli morto in quel mese fu eseguita la sua volontà, delle messe e
degli anniversari, l’anno 1625.
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