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ROCCO A RIPETTA
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Un dato sorprendente
Questa ricerca ha portato a un dato sorprendente: a Roma, parallela-
mente alla grande colonia di Valtellinesi che gravitavano intorno
all’Arciconfraternita dei Lombardi, nel Seicento, ne esisteva un’altra
altrettanto numerosa presso l’Arciconfraternita di S. Rocco. Diciamo
altrettanto, per non dire più numerosa: dalla documentazione esaminata –
circa un terzo di quella esistente presso l’Archivio di Stato e l’Archivio
del Vicariato di Roma che riguarda i nostri emigrati nel XVII secolo – il
numero di Valtellinesi rintracciati è inferiore solo di qualche decina di
unità rispetto a quello dei convalligiani documentati presso l’Arci-
confraternita dei SS. Ambrogio e Carlo della Nazione Lombarda in Roma.
Tra l’altro, la sede del sodalizio di via del Corso e quella dell’associazio-
ne a Ripetta distano fra loro poche centinaia di metri.
La Compagnia di S. Rocco
Come per i convalligiani che, appartenendo alla corporazione dei for-
nai, entravano a far parte della confraternita dell’arte di S. Maria di
Loreto dei Fornai, così tanti nostri emigrati nell’Urbe con altre attività
confluirono nelle varie confraternite della propria corporazione. In parti-
colare, quelli che lavoravano al porto fluviale di Ripetta e nella campagna
romana si aggregarono al pio sodalizio della Compagnia di S. Rocco.
Quest’associazione esisteva già dalla fine del XV secolo. Nella prima-
vera del 1499 infatti gli osti, i barcaroli e gli scaricatori di barche del
porto di Ripetta – allora importante perchè vi approdavano numerose
imbarcazioni mercantili, provenienti lungo il Tevere dall’Umbria, dall’al-
to Lazio e dalla Sabina, con derrate, legnami, carbone, bestiame ed altre
risorse di quelle terre fertili indispensabili all’approvvigionamento
dell’Urbe – si erano rivolti a papa Alessandro VI per l’autorizzazione a
fondare una loro confraternita. E poiché proprio in quel periodo la peste,
che aveva colpito gli abitanti delle case nei dintorni del porto, era stata
debellata per intercessione di S. Rocco, chiedevano di poter fare sorgere
col sodalizio una chiesa ed un ospedale sotto l’invocazione del taumatur-
go protettore degli appestati. La Bolla pontificia Cogitantes humanae
conditionis del 1° giugno 1499 sancì l’iniziativa: i confratelli avevano
l’assenso per darsi uno statuto ed iniziare la loro fabbrica, usufruendo
della piccola chiesa dedicata a S. Martino, affidata ad eremiti dalmati e
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abbandonata in quegli anni, e del terreno attiguo, nelle vicinanze del
Mausoleo d’Augusto sulla via Flaminia e verso la pubblica strada per S.
Maria del Popolo.
Il 3 aprile 1502 la chiesa fu consacrata.
In seguito, Leone X con la Bolla Intenta semper del 30 giugno 1514,
confermando i precedenti favori, arricchì la Compagnia di numerose
indulgenze ed approvò la costruzione del suo ospedale.
Questo sorse, subito dopo, con un edificio annesso alla chiesa. Vi si
ricoveravano i malati delle varie Università di artieri congregate alla
Confraternita.
Come da statuto, a capo sia di questa che dell’Ospedale venne eletto
un prelato di Curia col titolo di Primicerio.
Riconosciuta l’opera altamente meritoria, soprattutto per la sua attivi-
tà ospitaliera e di assistenza, svolta non solo a favore dei propri associati
ma anche per gli altri cittadini bisognosi di cure nella pestilenza che infie-
rì a Roma, in seguito all’eccezionale inondazione del Tevere del 1557,
Paolo IV elevò il sodalizio al grado di Arciconfraternita e l’Ospedale a
quello di Arcispedale con l’estensione delle grazie, indulti e indulgenze
concessi a tutti gli altri Luoghi Pii di Roma (64), così da permettergli di
godere di privilegi uguali addirittura a quelli riconosciuti all’Arcispedale
pontificio del Santo Spirito. Provvedimenti che vennero confermati da Pio
IV con la Bolla Regimini universalis Ecclesiae del 28 ottobre 1560.
Tra queste disposizioni c’era quella, già accordata anche
all’Arciconfraternita dei Lombardi, di poter seppellire i morti delle cor-
porazioni congregate nella sua chiesa. Questo veniva infatti autorizzato
soltanto per le chiese parrocchiali. S. Rocco a Ripetta faceva infatti parte
della parrocchia di S. Giacomo in Augusta.
L’Arciconfraternita Ospitaliera dei SS. Rocco e Martino aveva inoltre
acquisito la facoltà di ereditare qualsiasi genere di beni mobili e immobi-
li, inclusi quelli feudali ed ecclesiastici.
Il Primicerio, che per l’ospedale della Compagnia aveva le stesse pre-
rogative del Commendatore di Santo Spirito, e i Guardiani del sodalizio
avevano facoltà di spedire speciali Commissari per tutto il mondo con
l’incarico di provvedere alla questua a favore dell’ospedale.
Agli stessi Primicerio e Guardiani era riservata una facoltà decisamen-
te eccezionale: quella di poter comminare la scomunica a chi occultava o
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usufruiva abusivamente dei beni dell’ospedale, quali casali, tenute, pos-
sessioni, campi, selve, pascoli, tagliar arbori, mutar termini, circa sensi,
rendite, devoluzioni, istrumenti, contratti, testamenti, donazioni, obbliga-
zioni, o altre scritture pubbliche o private, calici, libri o altre cose di
Chiesa, bestiami, lane, cascio, butiri, orzi, biade, legumi, letti, casse,
vesti, vasi… (65). La scomunica colpiva anche tutti quelli che, a cono-
scenza di situazione del genere, non le denunciavano o altresì non si atti-
vassero subito per il ritorno della proprietà all’ospedale. La restituzione
avrebbe dovuto avvenire per intero e nel termine stabilito dallo stesso
Primicerio e dai Guardiani. In caso contrario tornava a ricorrere il diritto
di poter scomunicare solennemente e pubblicamente mentre il populo è
ragunato nelle chiese per udire li divini offici a suono di campane. E da
queste censure non potranno essere assoluti se non dal Pontefice Romano,
havendo però prima restituito intieramente e con effetto al detto
Hospitale.
Altro privilegio riconosciuto al pio sodalizio era quello che a tutti i
confratelli e, indistintamente, ai benefattori si concedeva l’indulgenza ple-
naria qualora si visitasse la chiesa dell’Arciconfraternita nelle festività dei
santi Rocco e Martino.
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andava perseguita a partire innanzitutto dal prossimo: ossia a cominciare
da chi era più vicino. Da qui l’impegno a prestarsi una reciproca assisten-
za tra i membri del sodalizio e delle loro famiglie. Altre forme di azione
caritativa venivano comunque dai sodali rivolte ai bisognosi di ogni altra
categoria ed estrazione sociale, includendo anche in certi casi la stessa
assistenza ospedaliera. Relativamente al sodalizio dei SS. Rocco e
Martino a Ripetta, nella sua prerogativa di Arciconfraternita di numerose
Corporazioni di Arti e Mestieri, ai primi del Seicento, col suo funzionale
ospedale era in grado di soddisfare perfettamente alle esigenze dei nume-
rosi associati. Fra questi c’erano anche tanti Valtellinesi. Non risultando –
se non per gli ultimi decenni del secolo – alcun registro di confratelli della
Compagnia, possiamo comunque attestarne l’appartenenza dai ricoveri
nel loro ospedale (69d) riportati sul Giornale dell’Infermi ricevuti nell’O-
spedale di S. Rocco dal 1613 al 1619:
19 agosto 1618
si ricovera ancora;
gabanaccio, doi gabanelle, con giuli 20;
dimesso il 26 agosto.
25 ottobre 1618
si ricovera per la terza volta;
doi casachacce, calzonacci, calzettacce lise e
cappellaccio;
dimesso il 2 novembre.
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LORENZO SOLTOJO 22 dicembre 1614
di Francesco si ricovera;
di Arden di Voltolina giubbonaccio liso, un’ altra gabanella lisa, due
carrettiere calzoni di tela, calzettacce e cappello ;
dimesso il 10 gennaio 1615.
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zoni di bombasina, calzette a stafa e cappello
nero;
dimesso il 27 luglio.
7 giugno 1619
torna a ricoverarsi;
gabano liso, giubbonaccio bianco, calzoni di
lana, calzette di saia a stafa, camicia e cappel-
laccio;
dimesso il 19 giugno.
2 agosto 1616
si ricovera di nuovo;
giubbone e calzoni e casacca di mezza lana lio-
nata, calzette, stivaletti, cappello con fazzolet-
to, con scudi 20 di moneta;
dimesso il 5 agosto.
18 luglio 1617
torna a ricoverarsi;
stessi vestiti e sempre gli stivaletti come l’anno
prima, ha in più scudi dieci e 60 baiocchi;
dimesso il 31 luglio.
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5 agosto 1617
si ricovera per la quarta volta;
stessi vestiti, con giuli 18;
dimesso l’11 agosto.
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scargatur lana e cappello nero, con giuli 6;
il giovane è dimesso il 16 luglio.
24 agosto 1616
torna a ricoverarsi;
stessi vestiti e stesse calze pauonacce, ha in più
una carta che contiene avvolti giuli dieci;
dimesso il 3 settembre.
10 aprile 1617
si ricovera di nuovo;
ancora gli stessi vestiti e identiche - forse le
stesse… - calzette pauonacce, con in più un
cinturino ed ha anche con l’abituale carta que-
sta volta per avvolgere giulii vinti doi;
dimesso il 16 aprile.
28 novembre 1617
si ricovera;
gabano liso, stessi calzoni e casacca di mezza
lana ora lisa, stesse berrettina e calze rosse
nonché cinturino, niente soldi stavolta;
è dimesso il 13 dicembre.
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vacaro turchine e cappello nero;
il giovane è dimesso il 27 settembre.
24 luglio 1619
torna a ricoverarsi;
ferraiolo mischio, giubbone de fustagno, calzoni
lionati, camicia, calzette agucia bianche e cappel-
lo;
dimesso il 28 luglio.
8 agosto 1617
torna a ricoverarsi;
consegna gli stessi vestiti e il cappello, che non
ha più il festone, è diventato un capellaccio;
dimesso il 21 agosto.
22 settembre 1618
si ricovera per la terza volta;
ferraiolo mischio, casaccaccia lisa, calzoni di
tela, sotto calzettacce di tela, cappellaccio;
dimesso l’1 ottobre
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GIOVANE MARTIN 3 luglio 1618
di Salvator si ricovera;
da Sondre de Voltelina ferraiolo verdone, giubbone e calzoni di mezza
vacaro lana, casacca mischia, calzette de pelle e cap-
pello, con giuli dieci;
dimesso il 5 luglio.
14 settembre 1618
si ricovera di nuovo;
stessi vestiti, comprese le calzette di pelle sotto
calzete;
dimesso il 19 settembre.
27 agosto 1618
si ricovera ancora;
gabbanella, ferrana, calzoni di tela, calzettacce
turchine, cappellaccio e coregino;
dimesso il 4 settembre.
16 novembre 1618
venne dalla Trinità, a soli due giorni che aveva
lasciato l’ospedale;
stessi vestiti;
dimesso il 22 novembre.
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PIETRO del DOS 29 agosto 1618
da Ciur di Voltolina si ricovera;
vacaro giubbonaccio, calzoni di tela, calzette verdi e
cappello;
dimesso il 4 settembre.
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GIOVAN ANTONIO FOLINI 6 agosto 1619
di Folin si ricovera;
da Ciur de Voltolina giubbonaccio e calzonacci dello stesso panno e
vacaro cappellaccio, una borseta con giuli trenta;
dimesso il 10 agosto.
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Nell’ospedale si ricoveravano i malati di ogni genere e soprattutto
quelli di febbre, per la malaria della campagna romana, i feriti e all’oc-
correnza i colpiti dalla peste. Potevano essere accolti soltanto gli uomini.
Questo fino al primo decennio del secolo.
Nel secondo decennio del Seicento il cardinale Antonio Maria Salviati,
nella sua facoltà di Protettore del sodalizio, con grande magnanimità e
lungimiranza, ne estese l’accoglienza anche alle partorienti bisognose sia
honeste che soprattutto nubili. E in una forma di riservatezza e moderni-
tà unica, quasi impensabile per quei tempi.
Allora, quantunque la carità cittadina provvedesse agli esposti o espo-
siti – i figli di “nessuno” – col brefotrofio del Santo Spirito, non esisteva
un’istituzione specifica a favore delle madri: donne incinte nubili o tra-
viate, che finivano col risolvere clandestinamente il loro problema. Le
acque del Tevere rivelavano costantemente le prove degli infanticidi, a cui
tante di queste sciagurate ricorrevano come soluzione estrema. So-
prattutto le meretrici, di cui Roma abbondava. Non dimentichiamo che dei
suoi quasi 100.000 abitanti, nel 1605, gli uomini costituivano circa il 65
per cento della popolazione e che nel 35 per cento delle donne erano com-
prese le vecchie e le bambine. Così che in una città al maschile, nono-
stante la religiosità e i richiami alla virtù ed alla continenza, le cosiddette
cortigiane censite risultavano un migliaio. Fonti non ufficiali, ma sen-
z’altro indicative, dichiaravano che in realtà il numero delle prostitute
arrivasse a 13.000!… (66). Di queste, molte erano state relegate all’Or-
taccio, una zona cittadina recintata da un muro alto e con due sole porte
d’uscita, che si estendeva dagli Otto Cantoni al Mausoleo d’Augusto, nei
pressi proprio della chiesa e dell’ospedale di S. Rocco.
Per carità cristiana nei riguardi di quelle sventurate e delle loro misere
creature – la riprovazione ufficiale delle meretrici era tale, nonostante che
coi proventi delle loro tasse nel Cinquecento fosse stata sistemata l’intera
via di Ripetta, da seppellirle al Muro Torto trascinate con i piedi legati alla
coda di un cavallo (67) – ed anche per offrire una valida alternativa alle
soluzioni dettate dalla disperazione delle maternità clandestine, coi pro-
venti della tenuta di Acquasona messi a disposizione dal cardinale Salviati
che ne era il proprietario, l’ospedale di S. Rocco potè essere ampliato per
ricavarne un reparto esclusivamente riservato a loro.
Dal 1616 questo era già funzionante.
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Le madri nubili, per celare la loro gravidanza, potevano essere accolte
diverso tempo prima del parto. Non avevano alcun obbligo di dichiarare
la propria identità. Entravano in ospedale col volto coperto, che era loro
concesso di mantenere velato per tutta la degenza. Venivano ospitate in
stanze dette delle celate o depositate, dai letti protetti con tende. A garan-
zia del più stretto anonimato, le ricoverate erano contraddistinte soltanto
da un numero. Per autorizzazione di legge l’intero reparto risultava invio-
labile: interdetto perfino ai rappresentanti della giustizia. Proibito anche
alla levatrice e al medico, le uniche persone autorizzate ad avvicinare que-
ste speciali ricoverate solo quando indispensabile, rivolgere domande sul-
l’identità. Nel reparto, come ci fa sapere il Piazza, si provvedeva loro con
grand’amore et assistenza di balie, fascie, pannicelli, infasciatori et altri
arnesi della nostra povera et innocente, debole, bisognosa, stentata e
nascente umanità (68). Qualora per la sua condizione la madre non potes-
se, o anche non desiderasse, tenere con sé il neonato, questi veniva invia-
to alla Pia Casa degli Esposti al Santo Spirito. In caso di morte, sia la
madre che il bambino, venivano sepolti senza nome e col numero pro-
gressivo determinato dal libro dei decessi. Se avessero avuto disponibili-
tà finanziarie, le donne ricoverate anzitempo corrispondevano la somma
di tre scudi al mese. Sempre e comunque venivano tutte assistite gratuita-
mente durante il parto e negli otto giorni successivi. Conclusa la degenza,
le ricoverate lasciavano l’ospedale attraverso un’uscita secondaria che, ad
ulteriore protezione dell’incognito, dava su un viottolo disabitato (69).
Questa modernissima iniziativa era sostenuta anche dai nostri conval-
ligiani, con le loro quote regolarmente versate all’Arciconfraternita e
all’Ospedale. Un’adesione di chi, pur proveniendo da un ambiente
alquanto conservatore, dimostrava un’indubbia apertura ad innovazioni
costruttive.
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Altri Valtellinesi nella prima metà del secolo
Il numero di convalligiani che compaiono nel Registro degli Infermi
dell’Ospedale delli uomini dal 1631 al 1646 dei SS. Rocco e Martino è
decisamente esiguo (70d). Non sappiamo a cosa sia dovuto questo
improvviso calo. I mestieri che i nostri fanno restano uguali a quelli del
periodo precedente:
torna il 3 agosto
sistemato in cariola accanto al letto 4;
dimesso il 17 agosto.
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STEFANO PADROCCA 28 settembre 1639
de Antonio si ricovera;
de Caspano de Voltolina letto 12
vacaro giubbone di mezza lana, camisaccia, calzettac-
ce di tela e cappellaccio;
dimesso il 16 ottobre.
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scarigatore 4 novembre 1678
più di un anno e mezzo dopo si ricovera anco-
ra;
letto 5
giubbone di tela, camiciola rossa, camicia, cal-
zoni di mezza lana, calzette, scarpe e cappello;
dimesso il 9 novembre.
20 settembre 1682
si ricovera di nuovo;
letto 14,
dimesso il 22 settembre.
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GIOVANNI d’ORSINI 26 luglio 1677
dalla Voltolina si ricovera;
vaccaro di Cecchanibio letto 16
gabanella di panno, calzoni di mezza lana di
colore di muschio, camicia, calzette, scarpe e
cappello;
dimesso il 22 agosto.
7 novembre 1677
torna a ricoverarsi;
letto 11
giubbone di banbagia, ferraiolo e butta su di
panno color verde, camicia, calzette, scarpe e
cappello;
dimesso il 20 novembre.
17 settembre 1677
torna a ricoverarsi;
letto 9
giubbone di bambogia, calzoni di saia, fera-
gliolo di baracano, camicia, calzette di lana,
scarpe e cappello;
dimesso il 26 settembre.
8 ottobre 1677
si ricovera di nuovo;
sistemato in cariola accanto al letto 17 calzoni
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e butta su di tela, camicia, calzette di tela, scar-
pe e cappello;
dimesso il 13 ottobre.
30 novembre 1678
si ricovera per la quinta volta;
letto 19
giubbone e calzoni di panno neri, giusta core,
camicia, calzette, scarpe e cappello;
dimesso il 22 dicembre.
8 agosto 1679
si ricovera per la sesta volta;
n. 13 cariole,
dimesso il 9 agosto.
26 ottobre 1679
si ricovera per l’ottava volta;
n. 8 cariole,
dimesso l’11 novembre.
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GIOVANNI CANONI 4 agosto 1677
di Giovanni si ricovera;
vaccaro di Boccea letto 1
giubbone di saia e un altro giubbone di tela,
camicia, calzoni e sotto altri calzoni, calzette di
tela e scarpe;
dimesso il 14 agosto.
18 agosto 1677
torna a ricoverarsi;
letto 2
giubbone e calzoni tutti rotti.
Muore il 29 agosto.
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vaccaro di Tormancina letto 5
casacca e calzoni di lana tutti rotti, camicia,
calzette, scarpe e cappello;
dimesso il 2 settembre.
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vaccaro della Ciruelletta n. 13 cariole
giubbone e calzoni di mezza lana, camicia,
calzette di panno, scarpe e cappello;
dimesso il 28 settembre.
2 ottobre 1677
torna a ricoverarsi;
letto 20
stessi vestiti;
dimesso il 21 ottobre.
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vaccaro della Liprignana letto 19
giubbone e calzoni di tela, ferraiolo di panno,
camicia, calzette, scarpe e cappello;
dimesso il 3 novembre.
28 agosto 1678
torna a ricoverarsi;
n. 7 cariole,
dimesso il 3 settembre.
20 settembre 1680
si ricovera di nuovo;
letto 17,
dimesso il 25 settembre.
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vaccaro di Liprignano letto 15
giubbone e calzoni di panno, camicia, calzette,
scarpe e cappello;
dimesso l’8 dicembre.
126
di Voltolina si ricovera;
vaccaro della Valchetta letto 13,
dimesso il 19 agosto.
30 luglio 1679
torna a ricoverarsi;
letto 17,
dimesso il 6 agosto.
14 settembre 1679
si ricovera di nuovo;
letto 13
giubbone, calzoni, camicia, calzette, scarpe e
cappello;
dimesso il 19 settembre.
24 marzo 1680
si ricovera ancora;
letto 19,
dimesso il 31 marzo.
23 aprile 1680
si ricovera per la quinta volta;
letto 12,
dimesso il 2 maggio.
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giubbone e butta su e calzoni di mezza lana,
camicia, calzette, scarpe e cappello;
dimesso il 4 aprile.
6 aprile 1680
altro ricovero a due giorni dal precedente;
letto 16,
dimesso il 10 aprile.
Il cognome nel solito registro viene scritto per intero, oppure storpia-
to, in Aschieri.
128
cappello;
dimesso il 10 novembre.
30 luglio 1679
torna a ricoverarsi;
n. 13 cariole,
dimesso il 6 agosto.
129
di Voltolina si ricovera;
vaccaro della Valchetta n. 9 cariole,
dimesso il 29 agosto.
130
dalla Valtolina si ricovera;
carettaro di Ripetta n. 15 cariole
fardellone tutto rotto;
dimesso il 30 settembre.
131
caratiero n. 14 cariole
giubbone, camicia, calzoni, calzette, scarpe e
cappello;
dimesso il 4 novembre.
28 luglio 1681
letto 14,
dimesso il 30 agosto.
132
Nel registro non compare la professione. Dai suoi vestiti si rivela pre-
sumibilmente un carrettiere.
GIOVANNI BOTTA 18 marzo 1680
dalla Voltellina si ricovera;
scarigatore letto 11,
dimesso il 22 marzo.
Indossa ancora esattamente gli stessi vestiti che portava quando si era
ricoverato nel dicembre dell’anno prima.
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di Jacomo si ricovera;
da Sondra letto 14,
casciero della Ciruelletta dimesso il 27 luglio.
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facchino di Ripetta letto 4
portò un fardellone tutto rotto;
dimesso l’11 settembre.
135
caratiero letto 12,
dimesso il 17 agosto.
10 agosto 1684
torna a ricoverarsi;
letto 14,
dimesso il 25 agosto.
136
In questa sua nuova registrazione viene segnato col cognome esatto di
BORDONI.
3 settembre 1684
letto 18,
dimesso il 20 settembre.
137
ANTONIO QUATTRINI 27 luglio 1684
di Giacomo si ricovera;
dalla Voltolina letto 4,
vaccaro di S. Marta dimesso il 3 agosto.
Nel registro dei degenti stavolta è stata aggiunta anche la paternità del
Valtellinese.
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GIOVANNI CERESA 22 settembre 1684
di Thomaso si ricovera;
vaccaro di Liprignano letto 17,
dimesso il 26 settembre.
139
di Valtolina si ricovera;
vaccaro di S. Nicola letto 4,
dimesso il 29 luglio.
140
Questi, appunto con indosso il sacco verde, cinto ai fianchi da una
corda di lana bianca e con pendente sopra la corona di Maria Santissima,
con la mozzetta di saia nera filettata da una fettuccia verde e contrasse-
gnata sulla parte sinistra dallo stemma ovale dello speciale Protettore,
nella ricorrenza dell’Assunzione al cielo della Madonna portavano in
solenne processione la reliquia del Braccio del Santo.
Il patrono veniva festeggiato il giorno dopo, 16 agosto, in cui si prov-
vedeva anche alla particolare cerimonia della distribuzione dei pani bene-
detti, a ricordo dell’esemplare attività caritativa di S. Rocco. Si procede-
va inoltre ad un’altra, e non meno importante, elargizione: quella dei dieci
sussidi dotali annui, di ben 45 scudi di moneta a ciascuna ragazza, che
erano assegnati alle povere verginelle da maritarsi in Roma. Unitamente
al privilegio dell’indulgenza plenaria per i confratelli, le consorelle e i
benefattori del pio sodalizio che in quel giorno visitavano la chiesa, sem-
pre per quella festa titolare alla Confraternita era concesso di liberare un
condannato a vita alla galera o addirittura a morte, ad esclusione del reato
di lesa maestà.
Anche nei due unici registri giunti fino a noi (72d), che riguardano spe-
cificatamente i congregati della Compagnia, vi compaiono emigrati
Valtellinesi. In particolare nel Registro de Fratelli e Sorelle
dell’Arciconfraternita di S. Rocco dal 1675 al 1720, limitatamente all’ul-
tima parte del Seicento, ne riportiamo i nominativi:
FRANCESCO BONETTI viene ammesso all’Ordine il 14 gennaio 1675
141
Sono intervenuti a questa seconda domenica del mese:
FRANCESCO PINI per l’intero anno 1695, 1696, 1697, 1698, 1699
AGOSTINO DOTTI sono presenti tutte le seconde domeniche
dei vari mesi.
142
E’ antica usanza che Mons. Chierico di Camera, presidente delle Ripe,
per far godere tali stesosi avvenimenti, riceva gli altri Monsignori
Chierici suoi colleghi e diversi personaggi in certe stanze e logge che
sogliono prepararsi a questo effetto nella medesima riva, temperando con
rinfreschi il caldo che in quel tempo reca molestia maggiore.
Il presidente, Mons. Camillo de’ Massimi, Patriarca di Gerusalemme e
Maestro di Camera di N. S., secondando egli il suo splendissimo genio,
ha voluto oltre il solito invitare il signor Cardinale e i Signori Principi
Altieri, Nepoti di di S.S. (Clemente X), ricevendoli nelle abitazioni sud-
dette adornate di paramenti sontuosi e pompa conveniente; eccedere nel
far la ricreazione e con magnificenza regia diffondere ad essi personag-
gi, Dame e Cavalieri che vi concorsero, frutti canditi, confetture e bevan-
de soavissime di latte e acque gelate di molto pregio in tanta copia, che
parevano rinnovate le delizie dell’antica Roma sua patria…
L’austero papa Innocenzo XI (1676-1689), al secolo il comasco
Benedetto Odescalchi confratello dell’Arciconfraternita dei Lombardi e
già cardinale a 34 anni – beatificato da Pio XII nel 1956 -, che il pontefi-
ce precedente aveva definito il padre dei poveri e che i romani sopranno-
minarono “Papa minga” per i suoi numerosi divieti dettati dal profondo
rigore morale e di vita in un ambiente e in un clima cittadino non proprio
spartano, intervenne a vietare questa consuetudine per la ragione che
quelle cose non onoravano il Santo, ma gravavano soltando sull’Ospedale
a danno degli infermi (73).
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Quanto all’aspetto del santo, parlando di un individuo mal ridotto o che
non ha disponibilità finanziarie, si dichiara senza tanti complimenti:
sta a quattrini come san Rocco a carzoni (74).
Queste, purtroppo, erano le condizioni in cui si venivano ancora a tro-
vare diversi nostri convalligiani a Roma anche negli ultimi decenni del
Seicento. Le annotazioni del priore dell’ospedale di S. Rocco sullo stato
dei vestiti consegnati al momento del ricovero è abbastanza eloquente:
calzonacci, gipponaccio, camisacia, calzettacce, fardelone tutto rotto.
Che altro dire? Fortunatamente la Compagnia a cui appartenevano, con la
costante attività ospitaliera prodigata grazie ai suoi 50 efficienti posti letto
del proprio ospedale, riusciva quasi sempre almeno a rimetterli in forze. I
nostri Valtellinesi comunque avevano la scorza dura dei montanari, di
gente che non è disposta ad arrendersi. Mai. Gente che non si tira indie-
tro, che affronta la vita col coraggio sostenuto dalla speranza di un doma-
ni migliore per sé e soprattutto per la famiglia. Questa è sempre stata la
filosofia pratica, ma grande, dei nostri emigranti. Erano decisamente in
tanti, in quegli anni, a rischiare la vita nella campagna romana infestata
dalla malaria. Tanti anche quelli che fin dalle prime luci dell’alba si tro-
vavano già curvi sotto il peso dei carichi massacranti di legname, dei sac-
chi di carbone, delle derrate scaricate da chiatte e barconi per essere siste-
mate nei magazzini oppure su carri e carrette. Tanti altresì gli stessi car-
rettieri. Tutti emigrati dalla Voltolina. Per averne un’idea basta scorrere i
nominativi di quelli riportati nel Registro dell’Infermi ricevuti
nell’Ospedale di S. Rocco dal 1685 al 1712, naturalmente soltanto per il
Seicento (74d):
LUISIO della MITA 22 novembre 1685
di Michele si ricovera;
dalla Voltolina letto 11,
vaccaro della Ciruelletta dimesso il 27 novembre.
144
si ricovera ancora dopo due anni;
letto 10,
dimesso il 19 agosto.
2 giugno 1686
torna a ricoverarsi;
letto 13
portò un fardellone tutto rotto;
dimesso il 18 giugno doppo pranzo.
145
BARTOLOMEO CROMA 2 luglio 1686
dalla Voltolina si ricovera;
scarigatore letto 8
portò un fardellone tutto rotto;
dimesso il 10 luglio doppo pranzo.
146
ANTONIO BELLOTTINI 20 luglio 1686
di Jacomo si ricovera;
dalla Voltolin letto 14,
vaccaro della Ceruelletta dimesso il 27 luglio.
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vaccaro di Boccea letto 3,
dimesso il 16 novembre.
Sia lo Zuccho che lo Zecco sono la stessa stessa persona, che lavora
presso la tenuta di Boccea. La differenza sta soltanto nel cognome dop-
piamente storpiato, presumibilmente al posto di ZECCA. In questa secon-
da scrittura è riportata anche la paternità.
19 febbraio 1689
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si ricovera un ennesima volta;
letto 12,
dimesso il 5 marzo.
149
ANDREA SPAGNOLO 10 novembre 1687
di Giacomo si ricovera;
dalla Voltolina letto 11,
scarigatore dimesso il 16 novembre.
150
dalla Voltolina letto 12,
vaccaro di Valerano dimesso il 4 agosto.
151
GIOVANNI SPAGNOLO 19 luglio 1692
di Giacomo si ricovera;
dalla Voltolina letto 11,
scarigatore dimesso il 27 luglio.
28 agosto 1694
torna a ricoverarsi;
letto 9,
dimesso il 21 settembre.
11 agosto 1695
si ricovera di nuovo;
letto 8,
dimesso il 19 agosto.
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dalla Voltolina letto 17,
scarigatore dimesso l’ 11 settembre.
6 maggio 1696
torna a ricoverarsi;
letto 4,
dimesso l’ 11 maggio.
9 dicembre 1696
si ricovera di nuovo;
letto 13,
dimesso il 2 gennaio 1697.
6 dicembre 1697
si ricovera ancora;
letto 9,
dimesso il 21 dicembre.
31 gennaio 1698
si ricovera per la quinta volta;
letto 8,
dimesso il 3 di marzo.
16 luglio 1698
si ricovera per la sesta volta;
letto 13
camicia, camisciola di tela bianca, calzoni di
panno neri, sotto calzoni di tela, calzette di
bambacia, scarpe e cappello;
dimesso il 25 luglio.
14 dicembre 1699
settimo ricovero;
153
letto 9,
dimesso il 23 dicembre.
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La proprietà dell’ospedale e della sua Compagnia va ubicata nella zona
di Ponte Galera, nei pressi di Roma.
Il fatto che, anche lui come i vaccari che stavano in campagna, indos-
sasse a luglio due paia di calzoni rende l’idea di quanto potesse essere
umida la zona del porto di Ripetta dove lavorava, soprattutto il mattino.
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carattiero giusta core di panno di cerreto, camicia, calzo-
ni e sotto calzoni di tela, calzette, scarpe e cap-
pello;
dimesso il 25 agosto doppo pranzo.
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bene a servizio e che mangi in maniera soddisfacente. Gli altri Valtellinesi
invece si ricoveravano tutti prima di pranzo – e non certo per la preoccu-
pazione di doversi sottoporre ad analisi – e sempre tutti, immancabilmen-
te, una volta guariti si accomiatavano dopo pranzo. L’ospedale costituiva
infatti una rara occasione, in quella loro vita di stenti, di poter finalmente
mangiare qualcosa di decente.
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- in seguito, dal 1680 al 1689, i contributi andarono da un minimo di
59,90 scudi ad un massimo di 141,90 scudi annuali.
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