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SCHIMMELPFENNING
CAPITOLO 1: La comunità romana prima di Costantino.
Il Cristianesimo si diffuse durante l’Impero romano e per tale motivo dovette adattarsi alle sue
strutture, costumi e modi di pensare. Tuttavia, dal IV secolo i cristiani si opposero al culto romano
dell’imperatore rappresentando un pericolo per la stabilità dello stato essi vissero al di fuori della
legalità. Le prime persecuzioni iniziarono a partire dalla metà del III secolo quando le comunità
cristiane si erano stabilite in quasi tutto l’impero. Solo dal 311 al 313 si ebbe la legalizzazione del
cristianesimo con gli editti di tolleranza da parte di Costantino. Questa prima epoca può essere
suddivisa in due periodi: nel primo erano ancora in vita i testimoni diretti della fede, all’inizio del II
secolo però i cristiani furono costretti a costruire la loro dimora nel mondo senza l’aiuto dei primi
testimoni e a cercare la loro identità. Quindi il secondo periodo fu caratterizzato dalla realizzazione
di un canone della sacra scrittura e dalla compilazione di elenchi relativi alle catene relazionali con i
primi testimoni ovvero la successione apostolica, mentre nelle comunità si formava già un
ordinamento gerarchico.
La dottrina tradizionale fonda il ruolo del vescovo di Roma sul fatto che quest’ultimo sarebbe il
successore di Pietro al quale Gesù avrebbe affidato la guida della sua chiesa (potere delle chiavi
Matteo 16-18), ma solo dal III secolo si può individuare un più stretto legame tra Pietro e la
comunità romana. Pietro fu uno dei primi discepoli di Gesù e uno dei primi testimoni della sua
resurrezione, egli guidò il collegio dei dodici (imitava le dodici tribù dell’antica alleanza di Israele)
che si occupava della missione tra gli ebrei di Giudea e di Galilea. Al loro fianco vi erano 7
incaricati scelti dalla comunità detti poi diaconi responsabili della missione tra gli Ellenisti, gli ebrei
non israelitici della diaspora. Ogni componente di questa comunità era un apostolo ovvero un
nunzio del nuovo messaggio, l’accostamento dei dodici agli apostoli venne fatto successivamente.
La comunità di Gerusalemme venne perseguitata per la prima volta nel 42 d.C e rimase priva dei
suoi capi-guida, successivamente la comunità organizzò la propria conduzione in analogia agli usi
degli ebrei di Palestina relativi al reclutamento dei sacerdoti. Per molti decenni il centro dei cristiani
rimase Gerusalemme, distrutta poi nel 70 d.C da Tito e per tale motivo il cristianesimo perse il suo
centro vitale. Della vita di Pietro dopo la fuga da Gerusalemme non si conosce nulla di certo, si
suppone che si sia recato in missione fuori dalla città, tuttavia che egli sia giunto a Roma è un’idea
di generazioni successive. Dalla lettera di Paolo ai romani risulta che la comunità dell’urbe si era
costruita già a partire dalla metà del secolo tra le comunità ebraiche del luogo. Dell’attività di Pietro
non ci dà notizia né la lettera ai romani né quella indirizzata alla comunità di Filippi. Intorno al 96
d.C una lettera ricorda per la prima volta l’operato di Paolo e Pietro a Roma. Nella lettera sono citati
passi del Vecchio Testamento e di Pietro e Paolo si presuppone noto che siano attivi a Roma e che
qui siano morti. Perciò si può presupporre che nella comunità romana del I secolo fossero attivi
degli ispirati annunciatori del Vangelo dei quali forse Pietro e Paolo fecero parte, e che altri membri
della comunità a loro sottoposti si occupassero delle esigenze amministrative e cultuali. Nonostante
si sia tentato di rintracciare le tombe dei due apostoli, gli scavi non hanno dato risultati eccezionali e
ciò che resta certo è che alla fine del I secolo la comunità romana riteneva che Pietro e Paolo
fossero stati attivi al suo interno, dalla metà del III secolo anche nell’Urbe vi erano luoghi
commemorativi dei due apostoli. Più tardi scritti apocrifi descrissero leggendariamente la vita e la
morte di Pietro a Roma e si iniziò a considerarlo come il più eminente tra gli apostoli per
legittimare il primato del vescovo di Roma.
L’organizzazione della vita comunitaria dei Cristiani. In oriente ancor prima che in Occidente nella
seconda metà del II secolo apparve un gruppo di incaricati: alla sommità vi era l’episcopo che
presiedeva le funzioni liturgiche ed era l’unico a poter accogliere nuovi membri attraverso il
battesimo, guidava il collegio dei presbiteri le cui mansioni non sono definibili con chiarezza per
tutte le comunità. In giorni importanti i presbiteri celebravano con l’episcopo l’ufficio divino,
conducevano la celebrazione eucaristica nelle loro sotto-comunità e preparavano i catecumeni al
battesimo. Mentre i presbiteri attestano l’esistenza di un’unione federativa di più gruppi locali in
una comunità complessiva, i diaconi erano il prolungamento del braccio degli episcopi per
questioni riguardanti l’amministrazione e la cura caritativa. Nella Roma del III secolo vi sono altre
cariche: suddiaconi che sottoposti ai diaconi li assistevano nei loro compiti, accoliti che fungevano
da tramite tra episcopo e presbiteri, esorcisti che avevano l’incarico di scacciare i demoni, lettori
che leggevano e cantavano testi liturgici, ostiari che controllavano le aree d’ingresso agli spazi in
cui si svolgevano le celebrazioni comunitarie. Alla metà del III secolo a parte il vescovo, del clero
romano facevano parte 46 presbiteri, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, lettori e
ostiari. Il numero settenario dei diaconi e dei suddiaconi corrispondeva a quello menzionato negli
atti degli apostoli per i diaconi, per tale motivo Roma fu suddivisa nel periodo tardo antico in sette
regioni ecclesiastiche. Altre fonti ci offrono ulteriori informazioni sulla comunità cristiana, dalla
fine del II secolo di questa facevano parte tutti gli strati sociali dallo schiavo che poteva diventare
vescovo fino agli appartenenti all’alto ceto senatorio. Nel III secolo la comunità richiese una più
vasta attività amministrativa per tale motivo non solo vennero definite le regioni per l’attività di
diaconi e suddiaconi ma venero anche acquistati cimiteri per le sepolture sottoposti alla
supervisione dei diaconi e utilizzati forse anche come edifici destinati alle cerimonie liturgiche.
Importanti sono le riforme del vescovo Callisto I il quale nel 220 riconobbe come matrimoni le
unioni tra donne della comunità e schiavi cristiani o semplici liberi, limitò il numero dei peccati
mortali e si riservò l’assoluzione di un tal genere di peccati, egli si richiamò all’autorità della
cathedra della chiesa di Roma da lui occupata. Già queste disposizioni rivelano: che già allora il
vescovo si attribuì un ruolo monarchico ma non lo giustificò ancora con la successione petrina ed
una comprensione per la realtà delle cose ma allo stesso tempo un mancato rispetto per le antiche
tradizioni cristiane. Ciò portò ad una controversia tra Callisto ed il presbitero Ippolito, dalla quale
uscì vincitore il primo. Il primo scisma a Roma si ebbe dopo la persecuzione delle comunità
cristiane sotto Decio il quale volle rafforzare il culto imperiale per garantire la compattezza
ideologica, nel 257 Valeriano riprese la politica persecutoria di Decio inasprendola non solo con la
minaccia della pena capitale per gli appartenenti al clero e per i cristiani ma anche attraverso la
confisca degli edifici ecclesiastici e il divieto delle riunioni. Queste persecuzioni non ebbero
l’effetto sperato, specialmente la seconda infatti intorno al 260 il figlio di Valeriano, Gallieno
restituì il patrimonio ecclesiastico alla comunità. Negli anni successivi la comunità romana poté
svilupparsi dal punto di vista organizzativo e patrimoniale perché non minacciata da persecuzioni,
l’ultima grande persecuzioni sotto Diocleziano e Galerio del 302 fu destinata a fallire. Prima della
fine delle persecuzioni si ebbero trasformazioni sia in campo architettonico che liturgico: Callisto I
acquistò per la comunità romana le catacombe che presero poi il suo nome, alla metà III secolo vi fu
poi costruita una particolare cripta, a questo stesso periodo si deve ricondurre l’istituzione della
festa papale di Pietro e Paolo nonché la stesura degli elenchi recanti la data di inizio dell’episcopato
e di morte dei vescovi.
Il ruolo di Roma come centro dell’impero si costruì basandosi sulla lettera di Clemente intesa come
uno scritto monitorio della comunità romana a quella di Corinto. Ulteriore occasione per la
costruzione del primato di Roma fu la rivendicazione della successione apostolica. (VEDI
SUSSIDIO) Ciò non significò che i vescovi romani in carica fossero successori di Pietro si volle
indicare che dai tempi degli apostoli alla guida della comunità vi erano sempre stati esponenti in
grado di ricondurre la retta dottrina ai tempi apostolici, analogamente ad altre comunità quali
Antiochia e Smirne. Gli apostoli importanti per Roma erano Pietro e Paolo come già rivelava la
lettera di Clemente. In seguito alla costruzione della dottrina della successione apostolica divennero
d’uso due concetti fondamentali nell’ideologia papale ovvero cathedra e sedes apostolica che
indicavano a Roma come in altre comunità che il titolare della sede si inscriveva in una precisa
tradizione dottrinale ovvero in quella degli apostoli. Il ruolo di Roma fu fondato poi con la citazione
del vangelo di Matteo (16,18) con la quale si voleva indicare solo un rango della comunità romana e
del suo vescovo e non un primato. A partire dal II secolo dunque la comunità romana ed il suo
vescovo erano collegati in modo serrato con l’attività di Pietro e Paolo e che un certo primato era
loro riconosciuto nella parte occidentale dell’impero, tuttavia, nel periodo successivo ciò fu
sufficiente per sviluppare le basi di un risalto del ruolo papale.