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Abbazia di Chiaravalle

STORIA (Simona)
Erano gli anni fra il 1134 e il 1135 quando i primi monaci cistercensi francesi si
spostarono in Lombardia, volenterosi di portare in Italia un nuovo modo di vivere la fede
che avevano scoperto nei decenni precedenti.

Giunti a Milano, ospiti dei benedettini di sant'Ambrogio, i cistercensi guidati da


Bernardo di Chiaravalle si presentarono subito in sostegno di papa Innocenzo II, nella
sua grande disputa contro l'antipapa Anacleto II.

Fu proprio Bernardo, convincendo i milanesi a sostenere papa Innocenzo II, a


porre ne alla disputa papale e alla lunga guerra che aveva contrapposto Milano al resto
della Lombardia.

Le autorità milanesi, per riconoscenza al monaco (poi Santo), si impegnarono a


costruire un grande monastero: ebbe così inizio la storia dell’Abbazia di Chiaravalle, la cui
costruzione in verità fu tutt’altro che facile. Ci vollero circa cent’anni per completare tutta
la Chiesa e Chiostro, ma i lavori sull’abbazia sono continuati per secoli.

Sta di fatto che la chiesa costituì uno dei primi esempi di architettura gotica in
Italia, e grazie alle boni che dei terreni e alle opere idrauliche dei monaci che la abitavano,
fu fondamentale per lo sviluppo economico della bassa milanese nei secoli successivi alla
sua fondazione.

In verità dalla ne del Settecento, quando Napoleone giunse in Italia e fondò la


Repubblica Cisalpina, i monaci cistercensi vennero cacciati dall’abbazia. Senza
cistercensi, furono anni di declino per l’abbazia: nel 1861, per dar spazio a una delle
prime ferrovie d’Italia, si decise persino di abbatterne un pezzo! Nel 1952, grazie
all'intervento del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, i cistercensi tornarono nell'abbazia,
con la promessa di terminarne i restauri entro nove anni.

Da non scordarsi poi il legame centenario dell’abbazia con il Grana Padano!

Sicuramente l’abitante più interessante dell’abbazia, verso la ne del Duecento,


Guglielma la Boema, una mistica e guaritrice che si crede fosse la glia di un grande re
dell’Est. Grazie alla sua fama aveva guadagnato una fama tale che, pur essendo una
donna, indossò in punto di morte l'abito monastico e venne sepolta all'interno del
chiostro. La cappella che ne ospitò le spoglie divenne luogo di culto, frequentato da
seguaci e devoti. I frati le dedicarono addirittura un altare.

L'intervento dell'Inquisizione circa venti anni dopo, nel 1300, interruppe il culto e
consegnò al rogo i suoi resti mortali e i suoi seguaci che, arsi vivi, morirono condannati
per eresia.

L’INTERNO DELL’ABBAZIA e I SUOI AFFRESCHI (Monica)


L’interno della chiesa presenta una pianta a croce latina, con transetto e abside
rettilinea   e struttura a tre navate, separate da archi a tutto sesto poggianti su pilastri
cilindrici, privi di capitello. La navata centrale è quella dalle dimensioni maggiori, ed è
costituita da quattro campate, mentre le navate laterali sono suddivise in otto campatelle

Secondo i canoni edilizi voluti da San Bernardo, inizialmente vennero banditi gli
sfarzi e fu vietata la decorazione pittorica. Tuttavia, nei secoli che seguirono la
costruzione dell’abbazia, furono apportati grandi cambiamenti e Chiaravalle divenne un
luogo prezioso per la storia dell’arte.

Ad oggi infatti possiamo ammirare sulla controfacciata il principale ciclo di a reschi


della chiesa (1613-1616) realizzato da Bartolomeo Roverio e dai fratelli Giovanni Battista e
Giovanni Mauro della Rovere. Le scene ra gurate celebrano la storia cistercense e sono
distribuite nei punti principali dell’edi cio: la fondazione dell’abbazia, l’allegoria femminile
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della chiesa con L’antipapa e i Milanesi inginocchiati al suo cospetto, i cittadini fuori da
Porta Romana che o rono il modello della chiesa al santo, un gruppo di artigiani
impegnati nella costruzione dell’edi cio e due miracoli operati dal religioso borgognone
durante la sua permanenza a Milano (la guarigione di un bambino e un esorcismo).

Sulle pareti del presbiterio sono ra gurate invece due visioni avute da S. Bernardo.
Andando avanti verso la cupola si possono notare i dipinti che decorano la base degli
spicchi che ra gurano i quattro Evangelisti e i Dottori della Chiesa Latina. Tra le nestre
del tiburio sono invece rappresentate sedici gure di santi, mentre scendendo con lo
sguardo ci troviamo di fronte alle Storie della vergine. Questi a reschi sono databili
intorno alla metà del ‘300, sono opera probabilmente di Stefano Fiorentino, allievo di
Giotto. Straordinari nella loro ra natezza compositiva, rappresentano un tema unico: il
transito di Maria in cielo, comprendente le scene dell’annunciazione a Maria della sua
morte ad opera dell’arcangelo Gabriele, la deposizione del suo corpo nel sepolcro e la
successiva Assunzione in cielo in amore e corpo. 

Il transetto di destra presenta l’ Albero genealogico della famiglia cistercense, e


sulla stessa parete si trova la scala che porta all’antico dormitorio; sopra di essa la
Madonna con bambino e Angeli, capolavoro del grande maestro rinascimentale
Bernardino Luini (1512).

IL CHIOSTRO (Katia)
A ridosso del anco destro della chiesa, in corrispondenza del braccio maggiore
della croce, si trova il chiostro. La sua realizzazione viene attribuita agli stessi anni della
chiesa, il periodo a cavallo tra il XII secolo e il seguente. Tuttavia della struttura originale
rimangono soltanto il lato addossato alla chiesa e due campate. Entrando nel chiostro,
sopra la porta di accesso, si può ammirare un a resco che rappresenta la Madonna in
trono col bambino, onorata dai padri fondatori dell'Ordine cistercense monaci di
Chiaravalle (cistercensi).

A destra la lapide che ricorda la data di fondazione dell’11 febbraio 1135 e la


consacrazione del 1221. Il chiostro è caratterizzato da arcate ogivali su colonne binate,
tra cui alcune presentano capitelli con motivi antropomor e zoomor . Un elemento
di uso delle abbazie cistercensi sono le colonne “annodate”, poste sul lato nord-ovest,
mentre sul lato sud si trova il refettorio trecentesco. Sul fronte est del chiostro si apre la
Sala Capitolare, luogo di decisioni in merito al governo dell’abbazia e dei monaci.

All’interno, sui muri, sono rappresentate tre vedute di Milano: il Duomo in


costruzione, il Castello Sforzesco con la torre del Filarete e un frammento del campanile
di una chiesa. Viene custodita al suo interno anche l’antica pala dell’altare maggiore
dell’abbazia, che ra gura l’Incoronazione della vergine con i Ss. Benedetto e Bernardo. Il
pavimento della sala, caratterizzato da preziosi intarsi di marmo, proviene dal Duomo di
Milano, mentre la cattedra abbaziale dalla basilica di S. Ambrogio.

LA TORRE NOLARE e IL CAMPANILE DELL’OROLOGIO (Katia)


La costruzione della torre nolare dell’abbazia risale al 1329, due secoli dopo
quella del monastero di Chiaravalle, e viene attribuita a Francesco Pecorari di Cremona.
La torre, alta 56,2 m, fu realizzata in muratura piena, e con il suo complicato intreccio di
piani e combinazioni rimanda allo stile tardo gotico lombardo, in contrasto con i canoni di
architettura austera voluta da San Bernardo. E’ costituita da tre corpi sovrapposti a pianta
ottagonale, ciascuno composto da tre piani. 

Nel dialetto milanese la torre viene chiamata “ciribiciaccola”, e di questo soprannome si


trovano tracce in un’antica lastrocca dialettale. Probabilmente il termine indica la
cicogna, che in passato nidi cava sulla torre.

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Il campanile dell’orologio passa piuttosto inosservato se paragonato alla torre
nolare. In realtà la sua storia è molto interessante. La torre originale risale al 1368, e ce ne
parla pure Leonardo da Vinci. Secondo quello che ci dice, all’interno la torre ospitava
“l’oriolo della torre di Chiaravalle, il quale mostra luna, sole ore e minuti”. Si trattava di un
orologio astronomico, progettato secondo le teorie geocentriche di use all’epoca, che
indicava su di erenti quadranti le ore, i minuti e il movimento della luna e del
sole. Secondo alcune fonti, nei primi dell’Ottocento l’orologio  era ancora presente sulla
torre campanaria anche se, dopo i saccheggi e ettuati dai francesi alla ne del XVIII
secolo, subì dei danni. Da allora non se ne ha più traccia.

Storia della produzione del grana nell’abbazia (Simona)


L’abbondante produzione di foraggio, utilizzato come nutrimento per gli animali
da allevamento, comportò una maggiore produzione di latte da parte delle mucche, al
punto che i monaci dovettero inventare un sistema di conservazione. 

Storicamente questo fatto è molto interessante, dal momento che nel medioevo gli
uomini erano condizionati dal clima e dall’ambiente in cui vivevano e non potevano che
seguire i ritmi naturali e le leggi biologiche. Per quanto riguarda l’agricoltura e
l’allevamento, questo signi cava sottostare alle stagioni e accettare i cibi che la natura
o riva di mese in mese. 

I monaci dunque, per conservare più a lungo il formaggio, provarono a cuocere a


lungo il latte, per poi aggiungerci caglio e sale, cosa che portò alla creazione di un
formaggio duro e stagionato, e che quindi poteva essere conservato a lungo.

In virtù della sua lunga stagionatura i monaci chiamarono questo nuovo formaggio
"caseus vetus" ovvero "formaggio vecchio", per sottolineare ciò che lo distingueva da
altri formaggi di tradizione precedente che, in quanto freschi, venivano consumati
rapidamente. Tuttavia la gente delle campagne, che non aveva dimestichezza con il
latino, preferì chiamarlo "grana" in virtù della sua pasta compatta punteggiata di granelli
bianchi, ovvero piccoli cristalli di calcio residui del latte trasformato.

La fama del "grana" prodotto nella zona padana si consolidò nel tempo e ben
presto esso divenne un formaggio pregiato, protagonista dei banchetti rinascimentali di
principi e duchi. Già nel 1504 gli Este di Ferrara usavano il grana!
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