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php/L/IT/IDPagina/1603
1. Presentazione
2. Un paese possibile (I’ve got a dream)
3. La sostenibilità ambientale
4. L’Urbanistica partecipata
5. Il Laboratorio di Urbanistica Partecipata di Locorotondo
6. Una scommessa da vincere : il PUG partecipato
7. Lähellä Pyöreäpaikka, vicino Locorotondo!
Presentazione
In un periodo in cui la politica è vista come estranea, che senso ha cercare di coinvolgere la gente in
un processo di democrazia?
Eppure, oggi più che mai c’è bisogno di “comunicare” e comunicare vuol dire parlare, ascoltare,
dialogare, scambiarsi idee e opinioni. Solo così, tutti insieme e ognuno col proprio contributo, si può
essere partecipi dei processi evolutivi della propria città, vivendoli da protagonisti.
Si tratta di costruire una città che non è fatta soltanto di mura, ma di cittadini consapevoli, che hanno
in testa un progetto di città, accogliente, solidale, giusta, rispettosa dell’ambiente e che intendono
contribuire a realizzarla.
Quando, in momenti davvero belli, lavoro con i bambini, l’idea di città che emerge è sempre la stessa:
un organismo vivente, con le sue regole, i suoi modi, le specificità delle singole parti e l’indissolubilità
delle loro interazioni. Una città è fatta di edifici, di strade che le collegano e su cui transitano i mezzi
di trasporto, di giardini, di spazi. La presenza delle persone è data per scontata, implicita nell’idea di
città, tanto che l’invito a cancellarle mentalmente fa immediatamente crollare l’idea stessa.
Riemerge come indispensabile un rapporto sano fra gli abitanti, tutti indistintamente e la città,
nonché fra gli stessi abitanti: questi, qualunque sia la loro condizione, devono poter trovare buone
risposte ai loro bisogni: i bambini devono poter giocare, andare a scuola, praticare sport, incontrare
con facilità amici e parenti. Cresce l’età e per gli adulti si aggiunge il lavoro, una diversità di soluzioni
per il tempo libero ( a cui oggi si sostituisce meglio l’idea di tempo liberato) e per le relazioni, delle
quali la Politica si fa interprete massima. Gli anziani vengono percepiti come bisognosi di aiuto, dei
lori spazi ma anche integrati nella vita familiare. Quindi, nelle visioni dei bambini c’è l’idea di città
come comunità sana e produttiva.
La visione organicistica era stata già fortemente sostenuta da Aristotele, cancellata sotto la pressione
dell’industrializzazione sette-ottocentesca, irrigidita nelle teorie ideali di fine Ottocento e poi
riproposta nelle ricerche urbanistiche degli anni Trenta. Era tornata pienamente in auge come
reazione all’orwelliano “1984” e all’onnipotenza del “grande fratello”, omologatore e dominatore del
corpo e dello spirito. Le stesse teorie urbanistiche che negli anni Sessanta emersero dal bostoniano
M.I.T. ne erano indiscusse conseguenza. Ma questo non bastò a porre dei limiti all’espansione delle
città - poli di attrazione per chi abbandonava le povere campagne e i piccoli centri - e alla
deumanizzazione del vivere in luoghi privi di identità e di strumenti per il soddisfacimento fisico e
spirituale degli abitanti.
Oggi l’omologazione e i falsi bisogni sono fattori dominanti della nostra quotidianità, il pensiero
comune calpesta chi riesce ancora a non far parte del coro e lo spionaggio dal buco della serratura
televisiva mette insieme masse convinte di assistere a quel “Grande Fratello” di cui esse stesse, invece,
sono protagoniste. Le diversità, che pur rappresentano la straordinaria ricchezza della nostra
umanità, spaventano quanti hanno scelto la Politica (deviandone il significato) quale mezzo per il
raggiungimento del potere e dei conseguenti interessi personali. Non so quanto stia facendo piacere a
George Orwell, dall’alto dei cieli, sapere che quello che aveva predetto si è totalmente avverato.
Eppure, da tempo in molte città europee e non solo si è cercato di porre rimedio. Si è scelto di non
espandere più le grandi città; ma quando questo è avvenuto, i modelli urbanistici adottati hanno
privilegiato insediamenti di dimensioni limitate, dalla forte identità perché conseguenti a concorsi
gestiti in modi seri e qualificati e forniti di tutti i servizi necessari già all’arrivo dei primi abitanti;
hanno prestato con molta serietà attenzione all’ambiente, alla salvaguardia dell’esistente e al
consumo nonché al recupero energetico e alle fonti di produzione alternativa. Hanno implementato
fortemente il trasporto pubblico e di qualità, sostenendo in tutti i modi la mobilità urbana alternativa.
Nel contempo, le isole pedonali centrali sono state ovunque estese fino a coprire gli interi centri
storici, spesso diventati oasi nelle quali passeggiare con calma, sostare per riposarsi, ammirare un
monumento o chiacchierare con chi ci accompagna o incontriamo nel cammino sono tornati ad essere
elementi integranti della vita quotidiana. E poi, colori, musica, arte, la semplice bellezza di luoghi ben
tenuti e puliti incorniciano i recuperati bisogni reali, il tutto annaffiato da una componente
fondamentale: il tempo, tornato ad essere, nel suo scorrere lento o veloce a seconda di come lo
percepiamo, il tempo dell’Uomo.
Quei modelli urbanistici i popoli del centro e nord Europa li hanno in gran parte importati dal sud,
dove sono stati invece dimenticati per far spazio all’egemonia della massificazione e della cubatura.
Ma io ho fatto un sogno e l’ho fatto in uno dei momenti più complessi per la mia città, per quella Bari
alla quale ho dedicato, spesso calpestato ed inascoltato, tutta la mia vita. E’ un sogno ricorrente, torna
ogni volta che i bambini mi permettono di fantasticare di una città possibile; una città che faccia
davvero posto alle diversità, alla libertà di pensiero; che sappia recuperare dal degrado le sue grandi
ed anonime periferie rendendo attivi protagonisti i suoi stessi cittadini, specie i più giovani; che non
rincorra l’idea che il degrado di aree abbandonate lo si combatte con il cemento, perché anche quello
degrada e molto velocemente; che comprenda che l’enorme numero di turisti che ogni giorni sbarca
dalle gigantesche navi da crociera tornerà e porterà ricchezza se ben accolto da una città fatta di
suoni, colori, odori, anime, storie belle e da raccontare e nella quale il tempo che scorre è un valore
condiviso; che investa molto in un trasporto pubblico ai livelli europei; che faccia della produzione
culturale il proprio fiore all’occhiello e consenta a chi ha talento e capacità di non dover andare ad
esprimerli altrove. Una città nella quale i diseredati non siano più carne da macello elettorale ma
abbiano a disposizione, che contino o meno nelle gerarchie sociali, percorsi di vita possibile come
tutti gli altri. Una città nella quale si comprenda, finalmente, che Cultura, Ambiente, Recupero
urbano, possono produrre Economia e risultare fondamentali fattori di attrazione.
Ma è davvero è impossibile privilegiare una visione programmatica che consenta, anche ai cittadini
fuori dal rapporto politica-professioni, di capire cosa di qui a venti, trenta, cinquant’anni sarà delle
nostre piccole e grandi città? Per allora molti di noi non ci saranno più, ma ci saranno i nostri figli ed i
figli dei nostri figli, per i quali abbiamo pieno diritto di pretendere un futuro possibile. Nel caso di
Locorotondo, questa visione dovrebbe poter esserci fornita anche dagli studi del Piano Strategico, del
GAL e del Piano Urbanistico Generale in cui è coinvolta questa bella cittadina pugliese: una
situazione irripetibile per rimettere in marcia, tutti insieme, una straordinaria macchina territoriale
che negli ultimi anni ha perso molti colpi.
Il mio sogno non è finito, anzi è andato avanti con un azzardo che ora, grazie all’intelligenza e
sensibilità degli attuali Amministratori Comunali, sta diventando realtà: che per il bene del paese e di
tutti i suoi abitanti, ad di là degli umori e dei colori politici, intorno ad una grande tavola rotonda
possano incontrarsi tutte le massime espressioni - culturalmente, intellettualmente e
professionalmente parlando - della cittadinanza attiva e che la politica, operando in umiltà e con quel
suo ruolo di traduttrice dei veri bisogni dei cittadini, partecipi ascoltando, proponendo e consentendo
che il libero pensiero di cittadini di eccellenza, nessuno escluso, riesca finalmente a dare un
contributo di vita alle sorti della “nostra” cittadina. Mi piacerebbe molto che questo riuscisse ad
accadere anche a Bari.
La sostenibilità ambientale
Il cardine della sostenibilità è la partecipazione diretta di tutta la comunità locale alla definizione di
obiettivi, priorità e linee d’azione relative alle scelte per il proprio territorio. Soltanto in questo modo
la nostra cittadina può continuare ad arricchirsi di luoghi vissuti, amati, assaporati perché carichi di
senso e di significato; una cittadina più sicura perché ricca di legami tra le persone e con il territorio;
un luogo capace di curare se stesso e di valorizzare ogni diversità. Inoltre, attraverso processi
decisionali inclusivi, l’Amministrazione Comunale viene percepita per quello che è: non la
controparte bensì il partner, pronta a valorizzare le proposte che vengono dagli abitanti, ma anche a
stimolare affinché si ricerchino soluzioni innovative di qualità.
Spesso rischiamo di cadere nella sterile lamentela che “così va il mondo” e non possiamo farci niente;
oppure rimaniamo chiusi in rivendicazioni molto particolaristiche dei bisogni. Le esperienze che
faremo insieme svilupperanno nei partecipanti un atteggiamento più positivo; la diversità delle
riflessioni e la ricerca di proposte condivise aumenteranno la consapevolezza riguardo alla
complessità dei meccanismi decisionali legati agli interventi sul territorio. Nei gruppi di lavoro
emergeranno delle vere proposte per il bene comune e la convinzione che possiamo cambiare
qualcosa, ad immagine dei nostri desideri.
In aggiunta all’affascinante centro storico, anche le contrade di Locorotondo sono dotate di una forte
identità; sono ancora dei luoghi dove può essere bello abitare e sentirsi a casa, dove il senso di
accoglienza e di appartenenza può diventare il valore aggiunto capace di creare benessere e qualità
della vita. Il metodo di lavoro che seguiremo produrrà proposte di soluzione che tengono conto di
tutti i punti di vista, in un campo che troppo spesso tendiamo a delegare ai tecnici e ai professionisti
del settore.
Si tratta di grandi e piccole mosse, ma condivise; e questa è la loro forza. Ne può scaturire davvero,
oltre agli interventi che rispondono a bisogni immediati, un processo di cambiamento culturale, un
ripensamento dei valori dominanti, un’opera di decostruzione che ci aiuti a trovare percorsi
alternativi, modalità più soddisfacenti e giuste di progettare la convivenza.
E i vantaggi sono molti: miglioramento dei progetti che spesso, attraverso il confronto con la
cittadinanza, diventano più funzionali ed efficaci, trasformazione in risorsa di conflitti altrimenti
paralizzanti, crescita civile e rafforzamento del senso di appartenenza. Nel laboratorio di urbanistica
partecipata i cittadini potranno discutere, confrontarsi e scambiarsi informazioni, sotto la guida di
“facilitatori” ovvero, a seconda delle esigenze, architetti, psicologici, pedagogisti che hanno il compito
di far emergere e sintetizzare i contributi. Sarà fondamentale anche la partecipazione di volta in volta
dei progettisti che, incaricati di interventi pubblici, proprio dal confronto con i cittadini potranno
ricevere spunti e sollecitazioni per il progetto. L’obiettivo è promuovere le forme di cittadinanza
attiva, coinvolgendo cittadini di ogni età, compresi anziani e bambini.
L’Urbanistica partecipata
I principi dell’Urbanistica partecipata-comunicativa permettono di raggiungere importanti obiettivi
in termini di qualità, efficacia e rappresentatività del Piano, soprattutto consentono che il piano sia
sentito dalla comunità perché contiene le immagini che la comunità locale assegna ai luoghi di vita e
di relazione.
Dai lavori di gruppo nascono spesso dal basso contenuti progettuali interessanti che scaturiscono
dalla memoria e dall’esperienza degli abitanti e così pure possono essere compresi e risolti
conflittualità latenti o dichiarate tipici di ogni processo di trasformazione. In particolare un piano
locale di piccola area non può fare a meno di un processo partecipativo che soprattutto in un rapporto
di tipo conflittuale porta i cittadini ad una maggiore coscienza degli interessi in gioco e ad un
miglioramento del risultato.
In generale si può affermare che l’adozione dei metodi di partecipazione tende a ricostruire un
equilibrio tra attori forti (portatori di interessi economici e lobbies) e attori deboli (portatori di
interessi generali e diffusi) o, come spesso si afferma, a garantire la presenza del terzo attore (gli
abitanti) tra istituzioni e mercato.
Il tempo necessario, che con questi processi di lavoro risulta essere maggiore di quelli della
pianificazione ordinaria, soprattutto nelle fasi iniziali mentre invece si può recuperare sulle fasi finali
quando i gruppi sono più affiatati ed organizzati. Si è sperimentato che è molto più facile lavorare su
ambiti piuttosto circoscritti quali riqualificazione di quartieri periferici ed aree verdi piuttosto che su
un progetto di piano vasto di una media città; le sperimentazioni raccolte fanno spesso riferimento al
tema ambientale, che, attraverso un’ampia consultazione sulle aspettative dei cittadini, ed in
particolare dei bambini, può ottenere contributi importanti per la definizione delle regole di
trasformazione, soprattutto per ambiti da salvaguardare e da utilizzare per il tempo libero, il gioco e
lo sport (parchi urbani e territoriali, aree protette, sistema del verde, rete dei centri storici minori,
piste ciclabili ed itinerari da percorrere con mezzi alternativi.
I metodi e le professionalità:
I metodi di lavoro per realizzare la partecipazione e una comunicazione efficace sono molti,
dipendono dal territorio in esame, dalle finalità, dall’età dei cittadini coinvolti; e così pure le figure
professionali chiamate a gestire queste iniziative sono molteplici, si va dal progettista vero e proprio,
allo psicologo, al sociologo, al conduttore di gruppi, all’insegnante, al pedagogista ecc., generalmente
coordinati in un lavoro di equipe.
Di solito la prima fase di un intervento è la presa di contatto con il luogo, con la sua storia anche
sociale, poi si sviluppano le indagini sul fabbisogno, attraverso assemblee, mostre, incontri festosi,
questionari, interviste, gruppi di lavoro, poi attraverso i laboratori si ipotizzano soluzioni, si valutano
alternative, si fanno plastici e programmi, si analizzano i diversi interessi tra i vari attori della società
civile, si individuano i conflitti, si coinvolgono le istituzioni, si valutano le risorse economiche, fino ad
arrivare all’idea finale. OST - Open Space Technology” (Tecnica degli spazi aperti), con
partecipazione dei cittadini in autogestione agli incontri di discussione e riflessione.
La tecnica Open Space Technology (OST) è stata creata nella metà degli anni ‘80 da Harrison Owen,
un esperto americano di scienza delle organizzazioni. Si tratta di una tecnica di gestione di workshop
che consente a qualsiasi gruppo di persone, in qualsiasi tipo di organizzazione, di rendere incontri e
riunioni di lavoro particolarmente interessanti e produttive. La metodologia, che si basa
sull’autorganizzazione, permette di far lavorare insieme, su un tema complesso, gruppi con un
numero di partecipanti variabile da 5 a 1000 persone, in workshop di una giornata, convegni di tre
giorni o nella riunione settimanale di staff. EASW - European Awereness Scenary Workshop
(laboratorio europeo per uno scenario di consapevolezza), nel quale i progettisti recupereranno anche
un ruolo di facilitatori del percorso partecipativo e trasferiranno sul progetto i dati in emersione La
metodologia EASW nasce in Danimarca all’inizio degli anni ‘90. Nel 1994 è stata adottata
ufficialmente, promossa e diffusa dal programma Innovazione della Commissione Europea per
stimolare la progettualità partecipata, negoziata, consensuale e dal basso tra grandi gruppi di attori
locali. L’EASW è una metodologia che pone una particolare attenzione al ruolo dello sviluppo
tecnologico, invitando gli attori di una comunità a interrogarsi sui possibili obiettivi cui indirizzarlo e
sulle concrete modalità di azione da mettere in campo a tal fine. A livello pratico la metodologia
EASW si articola in tre fasi fondamentali: lo sviluppo di scenari; la mappatura degli stakeholder e
organizzazione locale; il workshop EASW - sviluppo delle visioni ed elaborazione di idee. Le prime
due fasi sono preparatorie al workshop e coinvolgono generalmente un gruppo ristretto di
partecipanti per lo più tecnici ed esperti sul tema trattato: in sostanza da un lato si tratta di elaborare
scenari ipotetici tenendo conto di due principali dimensioni relative a “come” saranno risolte le
situazioni locali e su “chi” dovrà occuparsene, dall’altro identificare gli attori chiave che prenderanno
parte al workshop, all’interno di quattro categorie:amministratori/politici; tecnici/esperti; settore
economico; società civile.
In Europa si sono sperimentati diversi modelli e processi partecipativi fin dagli anni Settanta.
Danimarca, Svezia e Inghilterra, alle prese con complessi programmi residenziali di riqualificazione e
di nuovi insediamenti, furono incubatori di grandi esperienze esportate poi ovunque. Nel tempo è
maturata la convinzione che la riqualificazione delle aree urbane sia una questione troppo importante
per lasciarla ai soli esperti: una scommessa strategica che si basa sullo sviluppo di numerosi progetti
di educazione permanente e che partono da un sempre maggiore controllo dei cittadini tutti, e quindi
anche dei bambini, sul loro ambiente di vita. Il metodo di molti interventi, spesso finalizzato al
recupero di aree verdi abbandonate, riqualificazioni di squallidi cortili scolastici, cortili condominiali
e parchi gioco, ricalca in parte l’esperienza delle “Comunity open space” nelle città statunitensi che ha
contribuito alla riqualificazione e gestione di migliaia di ettari di aree abbandonate e lotti vuoti,
spesso pubblici, all’interno delle città. Oramai è la stessa Unione Europea a trasmettere indirizzi di
intervento nazionale e locale tesi ad incentivare i processi partecipativi in tutte le azioni di intervento
territoriale. La Regione Puglia ha fatto propri tali indirizzi, inserendoli nei programmi di intervento
sia comunale che di area vasta
Le “Comunity open space” sono circa 600 a New York e gestiscono circa 300 ettari di “comunity
gardens”, a Filadelfia sono più di 1000 . Esse gestiscono spazi destinati a verde “attivo”, come giardini
od orti, luoghi per incontri comunitari di natura artistica o culturale, spettacoli, mostre, spazi-gioco,
per l’educazione ambientale, parchi avventura e laboratori artistici artigianali. La partecipazione della
comunità locale genera un orgoglio locale con una netta riduzione della criminalità e del vandalismo,
matura un senso di appartenenza al luogo, e si verifica una maggiore soddisfatta fruizione nell’uso di
aree progettate, attrezzate e gestite dalla stessa gente. Riporta un residente: “ ..la cosa più importante
è che ora ci conosciamo tutti..... tutti sorridono e sono interessati al futuro del quartiere. Siamo
contenti soprattutto che i giovani curino lo spazio e non lo distruggano, il giardino è il centro del
quartiere... e noi tutti siamo più amici.”
Esperienze di urbanistica partecipata:
L’urbanistica partecipata è un fenomeno in crescita, anche se ancora lontano dal rappresentare una
regola. Molte le esperienze in Emilia-Romagna. Un caso significativo ha interessato l’area dell’ex
mercato ortofrutticolo di Bologna, dove grazie al coinvolgimento e al confronto tra il quartiere Navile
e il Coordinamento di diversi comitati e associazioni di cittadini, il Comune ha modificato in misura
sostanziale e con il consenso della popolazione il Piano adottato dalla precedente Giunta oggetto di
numerose osservazioni.
Un’esperienza pilota, tutt’ora in corso, è a Modena con l’atelier di progettazione urbana “Città media
felix” che coinvolge 6 quartiere e altrettanti gruppi di facilitatori professionali, forniti dalle facoltà di
architettura della regione, per un vero e proprio laboratorio di qualità urbana.
Ma ci sono altri casi in cui, grazie al coinvolgimento attivo della cittadinanza, vanno in porto
esperienze di riqualificazione urbana. Un esempio è a Pianoro (Bo) dove sono stati coinvolti i cittadini
per un intervento di riqualificazione di un’area di edilizia economica popolare con problemi di
degrado e insicurezza, nel centro della città. Anche a Correggio (Re) un lungo processo di
partecipazione ha coinvolto soprattutto i più giovani, porterà alla realizzazione del quartiere “Le
Coriandoline” interamente a misura di bambino, con ampi spazi verdi e dieci case tutte diverse fra
loro, nate dalle indicazioni dei più piccoli. A Lucca il “Laboratorio di urbanistica partecipata” è
impegnato in una campagna nazionale di salvaguardia dei resti dell’antico “Porto delle formiche”che
rischia di soccombere alle ruspe nella realizzazione di un grosso complesso residenziale. A Bari il
“Laboratorio Urbano” opera dal 1993 al recupero e valorizzazione dei luoghi della memoria storica,
degradati e abbandonati dal disinteresse della politica e dei cittadini, ma anche promuovendo azioni
tese a dare dignità urbana alle aree emarginate. Sono stati ideati e promossi nella loro realizzazione la
“Cittadella della Cultura” nell’ex Macello Comunale, il “Centro civico polifunzionale” nell’ex
Ospedaletto dei Bambini, il Mercato dei Paranzieri al Molo S.Antonio e tante altre iniziative nel
centro storico e nelle periferie di grande impatto socio-culturale, che hanno meritato due premi della
Presidenza della Repubblica, uno della Federazione Internazionale delle Comunità Educative e, lo
scorso aprile, il Premio “Carlo Magno per la Gioventù” del Parlamento Europeo. Con i bambini del
C.D. Montello, il Laboratorio Urbano di Bari coordinò nel 1997 la proposta progettuale di
riqualificazione del complesso residenziale INA Casa - IACP di via Giulio Petroni e, lo scorso anno, la
proposta di riqualificazione della piazzetta di viale Concilio Vaticano II, in un progetto PON che vide
insieme lo scrivente e la prof.ssa Luciana Bozzo, docente di Sociologia Urbana al Politecnico di Bari.
Al suo interno, oltre a cittadini attivi e disponibili alla cooperazione, saranno presenti professionisti
in grado di tradurre sul piano tecnico le idee e le proposte emerse dal pubblico confronto. A tal fine, il
laboratorio si collegherà in rete con altre strutture simili presenti sul territorio regionale e nazionale.
A voler dar forza alla convinzione che è partito un grande progetto di conoscenza, il prof. Giovanni
Martino Bonomo, presidente degli “amici di Locorotondo” ha annunciato, nella sua duplice veste di
responsabile regionale del FAI, che sarà dedicata a Locorotondo una delle “giornate di primavera” del
prossimo anno. Un annuncio anche da parte dell’arch. Eugenio Lombardi, promotore e moderatore
della serata: l’8 maggio del prossimo anno porterà a Locorotondo le rappresentanze scolastiche
giunte a Bari con il “Treno Europeo dell’Amicizia”, progetto che ha recentemente ricevuto dal
Parlamento Europeo il premio “Carlo Magno per la Gioventù”. In quella occasione, nei suoi auspici, si
esibirà la neonata “Euroensamble Giovanile delle Culture”, iniziativa musicale a cui seguirà quella dei
“corsi estivi di musica barocca”, embrione di una “orchestra barocca della Valle d’Itria”.
1. siano determinati gli obiettivi, espressione della volontà politica dell’Amministrazione Comunale;
2. sia delineato il programma partecipativo e concertativo che accompagnerà la formazione dl PUG,
prevedendo:
• Apertura di confronto pubblico sulla prima fase progettuale, che è stata finalizzata alla
redazione del Documento Programmatico Preliminare (DPP) e che si è presumibilmente svolta
attraverso incontri di lavoro strutturati con:
a) le associazioni;
b) le categorie professionali;
c) gli operatori economici nei diversi settori produttivi (agricoltura, industria, artigianato,
commercio, turismo);
d) i settori della formazione (la scuola in particolare).
• Nella seconda fase progettuale relativa alla redazione del PUG, si dovranno tradurre gli
obiettivi del DPP in scelte progettuali. Il “laboratorio di Urbanistica partecipata” inteso come
“laboratorio progettuale permanente” promuoverà incontri, dibattiti e confronto delle idee, in
una continua interazione tra conoscenze tecniche e conoscenze diffuse, secondo una sequenza
temporale e di temi in discussione da definire in modo flessibile in corso di redazione del
progetto e con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati. La definizione delle scelte
conclusive potrà così avvalersi di valutazioni multiple di tipo sociale, ambientale ed economico.
• Al fine di contribuire validamente al procedimento di elaborazione del PUG, il Laboratorio di
Urbanistica partecipata praticherà forme di cooperazione con l’intera struttura tecnica
comunale, al fine di rendere non solo partecipi, ma anche consapevoli del progetto, i funzionari
tecnici incaricati di gestire l’implementazione delle scelte di Piano. In tale ottica, il
“Laboratorio” assume, di fatto, le funzioni di Ufficio partecipativo di Piano.
Strategica sarà la cooperazione del “laboratorio di Urbanistica partecipata” al coordinamento
dei contenuti del PUG con le scelte e gli obiettivi del Piano Strategico e del GAL per la Valle
d’Itria, sui quali l’Amministrazione Comunale e gli abitanti di Locorotondo hanno deciso di
puntare, nella convinzione di poter vincere la grande scommessa per il futuro di questa
splendida Comunità.
Nasceva così il mio rapporto con questa cittadina immersa, ancora oggi, nel tempo dell’Uomo: tempo
scandito dai ritmi della natura e non dalle angustie, dalle ansie, dai falsi bisogni della città. Un luogo
in cui i cambiamenti, lenti e progressivi, si affiancano allo scorrere, inesorabile ma giusto, del tempo
della vita, consentendoci, alla fine del percorso, di ritrovarci saldamente ancorati alle radici del nostro
essere di queste terre.
Da allora ho accompagnato con orgoglio molti amici, per lo più finlandesi, a visitare questa
bomboniera, quasi ci fossi nato, trasmettendo loro l’attesa per la scoperta, dietro ogni angolo, di un
palazzetto, un balcone fiorito, una piccola piazza. Le pietre parlavano e altri sono venuti, certi di
incontrare uno dei posti più incantevoli ed esclusivi della Puglia. Fotografie, acquerelli, racconti
hanno riscaldato le fredde sere dell’inverno nordeuropeo. Ed ancora oggi, quando invio agli amici
lontani le immagini delle mie frequenti fughe dalla città, ricordo loro le foto di quella mostra, “lähellä
Pyöreäpaikka”, vicino Locorotondo!
Gli occhi di un turista che tale più non è si fanno allora più penetranti, indagano nei ritmi quotidiani
volendo tendere, pur coscienti che la meta non sarà raggiunta, alla perfezione. Perché le tante auto,
che anche qui occupano spesso gli spazi degli umani, distraggono il paesino dalla sua vera essenza. Le
stradine, la passeggiata sul mare che non c’è, il belvedere su uno dei più straordinari affacci che la
natura potesse regalarmi, preferirei vederli più ricchi di bambini, di giovani di tutte le età, di pittori,
musicisti, di suoni, di colori, di odori della straordinaria terra pugliese. Talvolta la natura ha bisogno
di aiuto per dare il massimo di sé e quando l’uomo è stato bravo a non calpestarla ma poi si distrae, è
allora giusto ricordargli quale è la vera ricchezza del luogo che lo ospita. A Locorotondo, questa
ricchezza si chiama Armonia.
(*) Riflessioni pubblicate sulla rivista “Paese vivrai” del mese di agosto 2008