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RILEGGENDO GLI INVENTARI DI QATNA*

Frederick Mario Fales - Udine

1. Introduzione.

a. A più di mezzo secolo dalla loro pubblicazione, gli inventari di Qatna —gli
estesi elenchi in cuneiforme relativi ai gioielli offerti come appannaggio per le divini-
tà di quest’antica città della Siria centrale— mantengono intatto tutto il loro fascino,
anche in virtù di vari elementi del loro contenuto che sono rimasti fino ad oggi elusi-
vi1. Scoperti sul sito archeologico di Tell Misherfa dal francese Robert du Mesnil du
Buisson nel 1927 come lotto unitario di una quindicina di tavolette d’argilla intere o
in frammenti2, i documenti furono assai presto distinti dall’epigrafista Charles Virol-
leaud in quattro inventari di gioielli e oggetti preziosi —di cui due attestati in più e-
semplari paralleli— databili per via paleografica e linguistica al XV sec. a.C.3.
D’altra parte, la decifrazione dei vasti archivi bilingui di Ugarit-Ras Shamra
sulla costa siriana, avviata a ritmo serrato a partire dalle prime scoperte casuali sul si-
to nei tardi anni ’20, avrebbe ben presto assorbito tutte le energie scientifiche di Vi-
rolleaud4. Gli inventari da Qatna venivano dunque affidati nel 1947 per la pubblica-
zione all’allora giovanissimo assiriologo Jean Bottéro, che —pur avendo, come ve-
dremo, accesso diretto ad una sola parte della documentazione—ne produceva
*
Un ringraziamento caloroso va alla Dr.ssa Beatrice André-Salvini, curatrice del Museo del Lou-
vre, per aver cortesemente concesso al sottoscritto la possibilità di collazionare i testi di Qatna con-
servati nel museo parigino, in vista della preparazione del presente articolo (settembre 2003), come
già l’aveva concessa alla Dr.ssa Cinzia Pappi (Università di Udine) per una ricognizione prelimina-
re dei materiali nel 1997 (v. la nota 17, infra). Per una serie di validi suggerimenti e preziosi com-
menti, forniti durante la stesura di questo saggio, sentiti ringraziamenti vanno poi agli amici e colle-
ghi Dr. Daniele Morandi Bonacossi (Università di Udine, Direttore della componente italiana presso
la Missione archeologica siro-italo-tedesca a Tell Misherfa), Prof. Stefano De Martino (Università
di Trieste), Dr. Lorenzo d’Alfonso (Universität Konstanz), Dr. Andrea Intilia (Università di Pavia),
Dr. Andrea Barro (Università di Udine), Dr.ssa Nicoletta Bellotto (Università di Padova). Last but
not least, dedichiamo un deferente saluto e un augurio affettuoso all’esimio collega Jean Bottéro, la
cui magistrale edizione degli inventari di Qatna rappresenta un modello di legato assiriologico per
interpreti successivi.
1
Cfr. Edzard — Veenhof 1976-80 sulla categoria complessiva dei testi di inventario dal Vicino O-
riente antico, con un sintetico giudizio anche sugli elenchi da Qatna.
2
Cfr. Du Mesnil 1935, per il resoconto definitivo degli scavi francesi a Tell Mishrife (o, secondo al-
tra dicitura, Tell Misherfa —ambedue essendo rese dialettali dall’arabo mu^rifa, “luogo elevato”); e
v. in particolare ibid., p. 9, per la scoperta delle tavolette nel corso della seconda campagna, nella
località allora denominata “Butte de l’Eglise”.
3
Cfr. Virolleaud 1928, per un rapporto preliminare sui testi; e Virolleaud 1930 per la ricostruzione
complessiva dell’inventario I in trascrizione e traduzione. Per la prima datazione degli inventari al
“milieu du IIe millénaire av. J.-C.”, cfr. Virolleaud 1930, 311; il giudizio verrà poi reiterato da Bot-
téro 1949, 32, con l’affermazione che “l’écriture, la graphie, et la langue des inventaires … sem-
blent nous confiner à la période cassite, aux environs du XVe siècle”. Ben più dettagliata, invece, la
datazione suggerita da Epstein 1963, su cui v. §2d, infra.
4
L’articolo di Virolleaud del 1930 si concludeva, infatti, con la notazione “à suivre” (p. 342); tutta-
via, l’assiriologo francese non avrebbe mai pubblicato il seguito, relativo agli inventari II-IV.

1
un’edizione pregevole per competenza tecnica ad appena due anni di distanza5.
Riteniamo che possa essere utile oggigiorno compiere una nuova ricognizione
dell’assetto testuale e dei contenuti di questi inventari, soprattutto perché essi hanno
rappresentato il ritrovamento epigrafico più significativo pervenuto a noi dall’antica
Qatna6, fino alla recentissima ripresa degli scavi a Tell Misherfa su larga scala, da
parte di una Missione congiunta italo-siro-tedesca7. In particolare, si ricorderà che
proprio in tali testi era indicato lo stretto rapporto tra la divinità femminile di nome
NIN.É.GAL (la “Signora del Palazzo”) e la località di URUQà\-naKI: sì da convincere
ben presto i primi scopritori che Tell Misherfa fosse da identificare, appunto, con la
città di Qatna, già allora ben attestata come qdn nelle fonti storiche e nelle liste topo-
nomastiche egiziane (dall’epoca di Tutmosi I in avanti) e nelle lettere di el-Amarna.
Questa identificazione appare tanto più plausibile oggi, dopo le scoperte e pub-
blicazioni di testi che hanno, nel corso di vari decenni, arricchito in maniera sostan-
ziale la base di dati sulla storia della Siria del II millennio a.C.. Così, il regno noto
come Qat/\anum mostra di aver occupato una posizione di notevole rilievo politico ed
economico nel XVIII sec. a.C., attraverso le notizie dell’epistolario ufficiale di Mari
(sia all’epoca di Yasma~-Addu che sotto Zimri-Lim); lo stesso regno risulta inoltre
menzionato, con una varietà di rese (Qa-at/Qa-\á/ Qat/Qa\/Qà\-na), in molteplici do-
cumenti epistolari, amministrativi e letterari di origine anatolica o siriana, datati tra
Medio e Tardo Bronzo8.

5
L’edizione dei testi è data in Bottèro 1949: si tratta di un lungo saggio suddiviso in due parti nella
medesima annata della rivista Revue d’Assyriologie, il cui indice complessivo venne invece fornito
in un contributo nel volume successivo (Bottéro 1950, 119-122). La trattazione degli inventari di
Qatna da parte di Bottéro rimane tuttora paradigmatica sul piano dello stemma testuale, con il rico-
noscimento di recensioni distinte (v. la nota 15, infra) e ancora di più su quello assiriologico (gra-
femica, lessico, traduzione), con varie intuizioni che travalicano quelle che erano le conoscenze do-
cumentarie del tempo. Essa risulta, invece, di non immediata chiarezza e di una certa imprecisione
complessiva nella presentazione degli inventari, specie per quanto attiene alla struttura compositiva
di essi. Ci si augura, dunque, che il presente contributo possa rivelarsi di qualche utilità su tali punti;
come anche riguardo alla questione più ampia della Sitz im Leben di questi importanti documenti,
anche alla luce delle ben più ricche conoscenze odierne sull’età di transizione tra Medio Bronzo e
Tardo Bronzo in Siria, rispetto a quelle del tempo dell’editio princeps.
6
Non però il solo: infatti, lo stesso Bottéro, nel già menzionato terzo saggio (Bottéro 1950), pubbli-
cava un frammento (A.O. 12960) di un testo astrologico sempre databile alla metà del II millennio,
che risulta costituire il più antico esemplare (o antesignano) della vasta serie di presagi Enūma Anu
Enlil, giunta a noi dall’epoca neo-assira, e in particolare della sezione di omina derivanti dalle eclis-
si di luna di quest’ultima. Inoltre, Bottéro editava nello stesso contributo due testi amministrativi in
grafia medio-babilonese provinciale, densi di onomastica hurrita; tali testi provenivano da un’area
non lontana da quella dell’odierno cantiere di scavo K, risultando peraltro affini alla trentina di do-
cumenti rinvenuti ivi nella campagna di scavo 2002 (pubblicazione in Eidem 2003).
7
La Missione siro-italo-tedesca opera a Tell Misherfa/Qatna dal 1999: per un primo rapporto con-
giunto, cfr. EQ 1. Per i ritrovamenti epigrafici in cuneiforme su tavolette e sigilli, cfr. per il momen-
to Richter 2001, Richter 2002, Richter 2003. Per nuova documentazione in geroglifico egiziano, v.
Roccati 2003.
8
Per un colpo d’occhio storico delle fonti relative al toponimo, v. di recente Klengel 2000. Cfr. an-
che la presentazione sintetica delle attestazioni testuali del sito di Qatna in Belmonte Marín 2001,
225-226, e una più ampia nella tesi di Laurea inedita “Toponomastica della Siria occidentale
nell’età del Tardo Bronzo” sostenuta da L. Turri presso l’Università degli Studi di Verona nel 2003,

2
E’ dunque soprattutto nell’ottica del ben documentato prestigio, di cui godeva
ancora, alla metà del II millennio a.C., questo vasto centro urbano murato ai margini
del bacino del medio Oronte –e in tal modo posto strategicamente all’incrocio tra le
vie “latitudinali” tra deserto e costa mediterranea e quelle “longitudinali” che solca-
vano le pianure del Levante9— che varrà la pena fornire una presentazione aggiornata
di questi inventari, sì da renderli più agilmente accessibili per eventuali riutilizzi fu-
turi —che potrebbero magari aver luogo già a breve termine. Per un verso, infatti,
non è certo inconcepibile che ulteriori frammenti dei medesimi testi possano venire
recuperati nel corso dei vasti scavi attualmente in corso nel sito; meglio ancora, co-
munque, ci si augurerà che le più recenti scoperte epigrafiche da Tell Misherfa con-
tribuiscano a illuminare più da presso quei rari e preziosi accenni di carattere storico
(specie prosopografico) presenti in essi10.
Inoltre, non si perderà d’occhio il fatto —ben noto da gran tempo agli storici
dell’arte siriana antica— che gli inventari di Qatna offrono la descrizione minuta di
un’ampia serie di manufatti di pregio, che erano pienamente inseriti come tali nella
cultura materiale del loro tempo; anche per questo verso, dunque, è legittimo sperare
che tali rappresentazioni scritte possano trovare puntuali riscontri archeologici in lo-
co, e forse già nell’ambito dei ricchi arredi sepolcrali recati alla luce di recente11. In-
fine, almeno un’innovazione interpretativa da noi compiuta (v. §2a) apre una prospet-
tiva per immediati riscontri con l’iconografia della statuaria a tutto tondo nota da
Qatna stessa, sia proveniente dagli scavi più antichi, sia —e soprattutto— da quelli in
corso12.

b. Riesamineremo dunque anzitutto lo stemma complessivo degli inventari di


Qatna, seguendo essenzialmente la classificazione descrittiva di Bottéro, ma con
l’aggiunta di diverse precisazioni puntuali, nate da collazioni dirette dei testi e ri-

consultata per gentile concessione dell’autore.


9
Sui traffici viari che interessavano Qatna in età antico-babilonese, v. soprattutto Durand 1987, Jo-
annes 1996, Joannes 1997.
10
Una prima possibilità in tal senso parrebbe, in effetti, essersi profilata nell’ambito di un lotto di
63 tavolette, di carattere soprattutto epistolare, scoperto dalla squadra dell’Università di Tübingen in
un corridoio sottostante al palazzo reale nel corso del 2002, e datato in via preliminare tra il tardo
XV e la prima metà del XIV secolo a.C. Infatti, tale lotto –documentato finora solo tramite fotogra-
fie e notizie su mezzi telematici— risulta includere alcuni testi con la menzione di un sovrano di
Qatna di nome Idanda: verosimilmente identico, dunque, al re noto come Idadda negli inventari
(cfr. §2c-d, infra). Invece, nelle ca. 30 tavolette intere o in frammenti rinvenute dall’équipe
dell’Università di Udine e Verona nel cantiere K durante la medesima campagna (cfr. sopra, nota
6), sembrano per il momento unicamente attestati nomi di funzionari amministrativi, ma non di
sovrani.
11
Ci si riferisce alla scoperta, avvenuta nel novembre-dicembre 2002, di una vasta tomba a più ca-
mere, posta al termine di un corridoio sottostante al palazzo reale di Qatna (cf. nota precedente),
messa in luce dall’équipe tedesca. V. Pfälzner 2003, per una prima descrizione; e cf. §3d, infra, per
alcune considerazioni su tale scoperta alla luce dello studio degli inventari.
12
Ci si riferisce in particolare alle due statue reali in trono ad altezza naturale, di basalto ma recanti
tracce di doratura, che affiancavano l’ingresso della tomba descritta nella nota precedente: cf. §3d,
infra.

3
scontri effettuati sull’ampio apparato di copie prodotte da questo studioso13.
Il primo e più vasto inventario (= n. I14) è composto da quattro distinte recen-
sioni15, attestate su vaste tavolette di forma quasi quadrata (larghezza 22-26 cm., lun-
ghezza 20-23 cm.), con la scrittura collocata entro 6 colonne affiancate (I-III sul Rec-
to, IV-VI sul Verso). Ciascuna delle colonne conteneva una sessantina di righe di
scrittura circa. Lo stato di conservazione e di accessibilità complessiva di questi e-
semplari si articola come segue:

- I. A (testo non conservato al Louvre16, e letto direttamente da Bottéro solo tra-


mite una “minuscule photographie”), cui vengono attribuite 327 righe di lun-
ghezza complessiva, sulla base della trascrizione di Virolleaud; la copia di Bot-
téro (1949, 185-189) riproduce, di fatto, solo un settore del Verso (col. IV, 182-
232; col. V, 233-272);
- I. B: una tavoletta (presente al Louvre con il numero d’inventario A.O. 12956),
con il Verso interamente bruciato; la copia di Bottéro (1949, 190-197) ripro-
duce dunque il solo Recto (col. I, 1-62; col. II, 63- 122; col. III, 123- 182)17;
- I. C (testo non conservato al Louvre), di 363 righe, e dato da Bottéro secondo
la lettura e collazione comparata degli esemplari da parte di Virolleaud18;
- I. D (recensione ricostruibile dai frammenti A.O. 12958, 12961, 12963, 12964,
12966, 12970, 12971, 12972, 12973, 12974), di 380 righe complessive. La co-
pia di Bottéro (1949, 198-208) combina i frammenti tenendo conto delle mol-
teplici lacune tra essi19, come segue: I, 1-58; II, 63-124; III, 133-199; IV, 200-
234 (resto col. IV e col. V illeggibili); VI-325-378; margine sinistro 378-380.

Con la seguente tabella (Tab. I) si intende colmare una lacuna dell’editio prin-
ceps, fornendo una ricostruzione sinottica dei diversi stati di conservazione
dell’inventario I nelle quattro recensioni A-D. Queste ultime sono dunque state tabu-
13
Bottéro 1949, 187-215.
14
Si seguono qui le sigle fornite nella classificazione di Bottéro (1949, 2).
15
Virolleaud 1930, 311, parlava solamente di “quatre exemplaires”, e il suo scopo, già dichiarato
nel suo primo breve saggio (1928, 90), era quello di “rétablir à peu près complètement le texte pri-
mitif, qui comptait environ 380 lignes”. A Bottéro si deve invece (cfr. 1949, 3 e passim)
l’innovativa classificazione dell’inventario I secondo recensioni distinte, sulla base dela presenza di
colofoni che, a seconda degli esemplari, concludevano l’elencazione in posizioni diverse nel testo.
Cfr. §2d, infra, per l’analisi di tali colofoni.
16
Questo testo, come gli altri documenti non pervenuti al museo parigino, è detto da Bottéro essere
rimasto “en Syrie”. Si tratta dunque di materiale epigrafico tuttora presumibilmente conservato nei
depositi dei musei archeologici della Repubblica Araba Siriana. Non abbiamo avuto modo di con-
sultare la tesi di Laurea inedita “Gli inventari di Qatna: i gioielli degli dèi”, sostenuta da E. Galli
presso l’Università degli Studi di Firenze nel 2000; pertanto ignoriamo se venisse ivi affrontato il
problema dell’ubicazione esatta e degli eventuali numeri d’inventario di tale documentazione.
17
Questa tavoletta è stata collazionata nel 1997 dalla Dr.ssa Cinzia Pappi (Udine)..
18
Virolleaud 1930, 311-327: il primo epigrafista della missione di Qatna aveva fornito una trascri-
zione/traduzione unitaria dei quattro testi, ancorché dotata di un apparato critico in cui le principali
variazioni grafemiche e di contenuto tra i singoli esemplari erano notate in calce.
19
Purtroppo, Bottéro non marcava nelle sue pregevoli copie i numeri d’inventario del Louvre cui
corrispondono i singoli frammenti.

4
late così come esse risultano dalle descrizioni e dalle copie di Bottéro (sigla: JB), ma
altresì in relazione ai dati desumibili dalla precedente trascrizione unitaria di Virolle-
aud, che —come detto sopra— era stata compiuta su tutti gli esemplari disponibili
(sigla: CV).

Recto Verso
Autore col. I col. II col. III col. IV col. V col. VI
JB B, 1-62 B, 63-122 B, 123-182 A, 182-232 A, 233-272 D, 325-380;
(copie) colofone D = l. 380
D, 1-58 D, 63-124 D, 133-199 D, 200-234
CV A A A A, C, D A, 233-274; lacuna; 292-327;
(trascr.) B B B colofone A = l. 327.
C C C B perduto C, anche con integrazioni per 275-
D D D in tutto il 291; colofone C = l. 363.
Verso D, lacuna 234-325, poi come sopra.
Tab. I.
Il secondo inventario (=II) è altresì noto in quattro recensioni, attestate in ta-
volette rettangolari; a giudicare dal solo esemplare completo, le dimensioni dovevano
essere 14,5 x 11 cm.; la scrittura è continua, cioè senza divisioni verticali in colonne,
con ca. 25 righe per faccia. Le recensioni si articolano come segue:

- II. A (presente al Louvre con il n. A.O. 12957), tavoletta intatta con 48


(24+24) righe di elencazione, priva di colofone proprio, copiata direttamente
da Bottèro (1949, 209-210).
- II. B (testo non conservato al Louvre, e copiato da Bottéro solo tramite “des
photographies suffisamment nettes”), frammento recante l’inizio delle righe 3-
26 del Recto e 31-44 del Verso, con un colofone (ll. 45-46) che conclude
l’elencazione. Copia: Bottéro 1949, 211-212.
- II. C (situazione identica a quella dell’esemplare precedente), frammento re-
cante l’inizio delle ll. 24-40, tra Verso e Recto. Copia: Bottéro 1949, 213.
- II. D (conservato al Louvre, A.O. 12965), piccolo frammento con gli inizi di 5
righe sul Verso e 3 sul Recto. Questo testo non era stato riconosciuto come par-
te di II da Virolleaud, ma fu attribuito ad esso da Bottéro, pur se come esem-
plare decisamente variante20. Copia: Bottéro 1949, 213.
Anche i restanti due inventari di Qatna (= III, IV) dovevano esaurirsi in una
sola tavoletta. Tuttavia, lo stato lacunoso dei frammenti costitutivi giunti fino a noi
impedisce la ricostruzione sicura di testi continui e la valutazione delle dimensioni o-
riginali dei pezzi iscritti.
In particolare, l’inventario III è rappresentato da due frammenti, ambedue con-
servati al Louvre (a = A.O. 12959, di 10 x 6,7 cm.; b = A.O. 12962, di 4,7 x 6 cm.).
Anche questo inventario è a scrittura continua, su Recto e Verso: in particolare, il
frammento a conserva le parti finali di 54 righe (27 per faccia)21, mentre b presenta
20
Bottéro 1949, 22.
21
Copia: Bottéro 1949, 214.

5
25 inizi di riga (13 sul Recto, 4 sul margine inferiore, 8 sul Verso)22.
L’inventario IV, infine, è costituito da un unico frammento, non presente al
Louvre, ed edito da Bottéro sulla sola base di una “médiocre photographie”. Le di-
mensioni del pezzo sono di 10, 2 x 6 cm.; la superficie della tavoletta è fortemente
abrasa sul Recto (restano unicamente i primi segni di ogni riga), mentre è possibile la
lettura delle ultime 10 righe del Verso (7 di testo, 3 di colofone).

c. Da quanto fin qui esposto, è evidente che il materiale testuale che forma
l’insieme degli “inventari di Qatna”, pur se quantitativamente limitato, mostra una di-
screta complessità interna. La si può riassumere nei punti seguenti.
(1) Sono attestati 4 distinti registri relativi al medesimo argomento generale (I-
IV), pur se del tutto diversi per aspetto formale e ampiezza di contenuto. Nello
specifico, abbiamo a che fare con una “lista grande” (=I) a 6 colonne affian-
cate e tre “liste piccole” (=II-IV) redatte per esteso sul Recto e sul Verso di
tavolette rettangolari;
(2) Per due di tali registri (I-II) sono attestate 4 recensioni distinte (A-D). Nono-
stante la loro notevole diversità formale, dunque, tali due registri dimostrano di
avere comunemente assunto la funzione di modelli redazionali standardizzati,
riguardo alla tipologia e ai contenuti dell’enunciato; e, come tali, furono rico-
piati a più riprese, al fine di compiervi nuove aggiunte.
In sintesi, dunque, gli inventari di Qatna risultano consegnati sia ad una tipo-
logia scribale di “lista grande” (=I) sia ad una di “lista piccola” (=II), con la comune
funzione di standard redazionali, dando luogo a ricopiature con successive aggiunte.
La ragione principale di questa doppia tipologia è fornita dall’intestazione che apre le
rispettive liste (cfr. §2a, infra).
(3) d’altra parte, l’inventario I mostra (a) alcune differenze nelle descrizioni dei
preziosi tra diversi settori del testo23; come anche (b) alcuni tratti di variazione
grafemica tra le diverse recensioni24. Nel loro insieme, questi elementi deline-
ano un quadro dell’inventario maggiore come opera progressiva di una plurali-
tà di artefici, dai primi compilatori ai successivi copisti: e tale quadro redazio-
nale si integra con quello della cronologia relativa evidenziata dal testo stesso
(cfr. §2c). Non altrettanto si può affermare, invece, riguardo all’inventario II
(cfr. §3b).
(4) Infine, sono presenti ancora due registri ancora di tipo “piccolo” (=III-IV),
per i quali, tuttavia, non si può a priori affermare se costituissero altri due mo-
delli redazionali, oppure se rappresentassero attività testuali individuali e/o oc-
casionali25.
22
Copia: Bottéro 1949, 215.
23
Un buon esempio di queste oscillazioni è dato dalle misure di peso per i vari gioielli, attestate con
regolarità nelle sezioni iniziali dell’inventario I, quindi assenti per ca. 200 righe, e poi riprese a in-
termittenza (v. §2a, infra).
24
Per le numerose variazioni grafemiche tra le varie recensioni, resta tuttora paradigmatica la lunga
e accurata analisi di Bottéro (1949, 3-8)
25
Più avanti (§2a-b) si indicherà come tale giudizio sia sotteso da differenze redazionali sostanziali

6
2. Struttura e contenuto degli inventari di Qatna.

a. Forniamo ora uno sguardo d’insieme alla struttura-base dei quattro inventari da
Qatna, fin qui descritti nel loro stemma. I due testi maggiori (I-II) presentano in co-
mune tre componenti strutturali fisse (anche se non conservate, di fatto, in tutti gli e-
semplari pervenuti fino a noi): l’intestazione iniziale, una lista di beni divisa in se-
zioni tramite tratti orizzontali, e il colofone conclusivo. Al contrario, i due inventari
privi di recensioni interne (III-IV) non presentano alcuna di queste componenti, al-
meno nel loro stato attuale di conservazione.
L’intestazione iniziale –o titolo, che dir si voglia—rappresenta il dato di più im-
mediato e chiaro valore contestuale nella collezione di documenti in esame. Al con-
tempo, esso rappresenta il solo elemento di effettiva conferma circa la pertinenza di
tali documenti ad un corpus in linea di massima uniforme, dal punto di vista tematico
e della funzione amministrativa. Analizzando tale intestazione caso per caso, ab-
biamo:

- I, 1-2: “Tavoletta della dotazione di gioielli (^ukuttu) della dea NIN.É.GAL, si-
gnora di Qatna” 26.
Come sintetizzato di recente da H. Behrens e J.Klein27, dNIN.É.GAL = Bēlet ekallim
è una divinità femminile, con la particolare funzione di patrona del palazzo reale e della di-
nastia regnante. Essa è attestata già in età sumerica (dall’epoca presargonica alla III dinastia
di Ur), quindi nei testi paleo-assiri e in diversi archivi di età paleo-babilonese (Ur, Larsa). Di
particolare interesse, è l’epiteto della dea come “Signora dello scettro” nei testi di Gudea di
Laga^, che farebbe sospettare fin dal III millennio un ruolo di protezione della dinastia re-
gnante e della famiglia reale nei diversi ambienti in cui era riverita28. In alcuni contesti, la

rispetto agli inventari maggiori.


26
I, Recto I, 1-2: \up-pí ^u-ku-ut-ti ^a dNIN.É.GAL / be-el-ti URUQà\-naKI. Il termine ^ukuttu è di-
scusso in esteso da Bottéro (1949, 9-10) che, pur invocando correttamente l’idea generale di
“l’ensemble des joyaux et atours qui constituent la parure”, adottava infine la traduzione più circo-
scritta di “coffre-à-bijoux”. Questa idea del primo editore circa l’esistenza di uno “scrigno” per con-
tenere i gioielli, è ripresa più estesamente altrove nel suo commentario (ibid., 25): essa si rivela mo-
tivata dalla grande abbondanza dei monili elencati, tale da rendere inverosimile allo studioso fran-
cese che essi potessero essere stati deposti tutti insieme addosso ad una statua divina (cfr. infra).
D’altra parte, anche in vista della mancanza di specifiche indicazioni negli inventari circa cassette o
bauletti per contenere gioielli (pisannu o sim.), quali ad es. sono attestate in diverse epoche
all’interno di specifici elenchi di preziosi (cfr. ad es. Durand 1990 per l’età di Mari, e Joannès 1992,
per il periodo neo-babilonese), risulta senz’altro preferibile la resa più generale, e comunemente ac-
cettata, di “dotazione di gioielli / gioielleria / tesoro” per ^ukuttu: v. già Virolleaud (1928, 90), “tré-
sor”, e cfr. AHw., 1266b-1277a, “Schmuckausstattung”, CAD &/3, 237-239, “jewels”. Peraltro, an-
che una frase degli annali di Esarhaddon sulle statue divine dell’E^arra di Babilonia, citata dallo
stesso Bottéro in appoggio alla propria interpretazione, tiqnī #ērūti ^ukuttu aqartu ki^assun utaqqin-
ma umallā irassun, risulta ben più plausibile con la traduzione più estensiva: “decorai il loro collo e
riempii il loro petto di nobili ornamenti e di una preziosa dotazione di gioielli” (K. 2801, Verso 36-
37).
27
Behrens-Klein 2000.
28
Questa connessione —di notevole utilità per la comprensione del ruolo della medesima dea a

7
“Signora del Palazzo” va intesa come ipostasi particolare di Inanna/I^tar; altre volte invece
risulta ben distinta da essa, come a Mari, ove l’intera ala sudoccidentale del palazzo reale
dovrebbe esserle stata consacrata29.
Il culto di Bēlet ekallim appare essersi diffuso in Elam, Anatolia e Siria fin dalla pri-
ma metà del II millennio a.C.: di particolare interesse in tal senso è la documentazione sui
culti ad Emar nel XIII sec., ove essa (con la resa trasparente dNIN.É.GAL-lì) figura tra le
divinità secondarie nell’ambito della festa religiosa più antica della città, in onore degli dèi
della città e del palazzo, detta zukru, in compagnia di Sin e Šama^ ^a ekalli30. Una connes-
sione della dea con Šama^ è stata peraltro suggerita anche per l’orizzonte di Mari, even-
tualmente in relazione agli inferi31 e al culto degli antenati32.
Infine, tornando a Qatna: è a nostro avviso indubbio che il culto locale di
NIN.É.GAL si concretizzasse in una statua della medesima, forse a grandezza naturale, si-
milmente a quanto è documentato per Mari, ove l’effigie risiedeva in un proprio luogo sa-
cro, circondata da altre statue33. L’approccio negativo di Bottéro su questo punto risulta con-
dizionato dalla sua difficoltà di concepire come un’eventuale immagine scolpita della dea
avrebbe potuto recare su di sé un complesso di ben 58 collane, assieme ad una varietà di
altri monili aurei, rilevanti per volume e peso (1949, 28). Da qui, in pratica, nascevano sia
l’interpretazione particolare di ^ukuttu come relativa a un “coffre-à-bijoux” ove tutto il ma-
teriale donato sarebbe stato conservato (v. nota 26, supra), sia la convinzione che l’effigie
divina descritta all’inizio dell’inventario altro non potesse essere che una statuetta d’oro di
ridotte dimensioni34.
In realtà, tuttavia, non v’è alcun accenno nel testo circa il fatto che la statua di
NIN.É.GAL dovesse giocoforza aver “indossato” tutti i monili che vennero offerti ad essa
nel corso del tempo: anzi, attestazioni in testi vicino-orientali di altre epoche documentano
chiaramente prassi del tutto contrarie a tale supposizione35. Inoltre, come si vedrà più avanti

Qatna— risulta di recente esaminata nella tesi di Dottorato di Geeta L.F. De Clercq, “Die Göttin
Ninegal / Belet-ekallim: Untersuchung einer mesopotamischen Gottheit anhand der keilschriftlichen
Quellen des 3, und 2. vorchristlichen Jahrtausend”, condotta presso l’Università di Würzburg: tale
tesi è al momento attuale inedita, ma ne è comparsa un’utile descrizione riassuntiva su sito telemati-
co (luglio 2003).
29
Così, ad es., siamo a conoscenza (da ARMT XXV, 491) dell’esistenza di “magazzini” relativi alla
dea, cui era annessa un “ufficio dei sigilli” (É ku-nu-uk-ki). Indicazioni come questa sono di indub-
bio interesse comparativo per la questione della localizzazione della statua di NIN.É.GAL (v. infra)
nell’ambito degli edifici pubblici di Qatna in base alle conoscenze archeologiche attuali.
30
Cfr. Fleming 1992, 206 e passim.
31
Durand 1990, 157128.
32
Cf. anche su questo aspetto il riassunto della tesi di G. De Clercq, citata alla nota 28, supra.
33
E’ illuminante a tal proposito la lettera A. 994 (=ARM XXVI/1, 237) in cui si narra di un sogno
premonitore di stampo negativo: “Entravo nel tempio di Belet-Ekallim; Belet-Ekallim non vi dimo-
rava più (ul wa^bat), e le statue che sono davanti a lei (^a ma~ri^a) non c’erano più. E vedendo
(ciò), mi mettevo a piangere” (Durand 1988, 478-479).
34
Bottéro (1949, 28) riteneva, specificamente, che “une statuette en or représentant la déesse avec
en main un ~urubbu” costituisse il primo oggetto elencato, ovviamente del peso complessivo di 10
sicli.
35
Ci si riferisce, in particolare, ad alcuni inventari di ^ukuttu per le divinità dei templi di Sippar, at-
testati in varie versioni successive di età caldea e achemenide, e recentemente ristudiati da F. Joan-
nès (1992). Tali documenti descrivono dotazioni di gioielli (e specie di collane) largamente unifor-
mi nelle loro tipologie —cioè, per quanto riguarda gli elementi costitutivi di base e le tecniche

8
(§3b), la nostra interpretazione sulla funzione dell’inventario I nel suo complesso, come un
vasto “promemoria storico” riguardante gli onori resi a NIN.É.GAL da parte della Casa Re-
ale di Qatna lungo l’arco di almeno un secolo, implica un interesse costantemente prioritario
per la descrizione dei gioielli offerti dal sovrano più recente. Specie in quest’ottica, dunque,
si può decisamente dubitare che venisse effettuato un qualche ricontrollo pratico sui monili
presentati da re passati (un’operazione peraltro difficile da immaginare riguardo alle molte-
plici collane, data la loro sostanziale omogeneità tipologica); mentre sicuramente
un’estrema attenzione doveva essere prestata alla registrazione per iscritto di tali beni,
da parte degli scribi successivamente impegnati nella ricopiatura del testo.
Come che sia, l’esistenza di una statua della “Signora di Qatna” è del tutto plausibile
in base ai dati dell’inventario stesso36; infatti, subito dopo l’intestazione che nomina la dea,
l’elenco dei beni in dotazione (v. §2b) si apre con la menzione della stessa, effigiata “in oro
rosso” (I, l. 2), nella cui mano era posto un piatto d’oro giallo, del peso di 10 sicli. Da que-
sta notazione si può dunque ipotizzare, sulla base di diversi paralleli nella statuaria siriana
del II millennio a.C.37, che la divinità fosse raffigurata a tutto tondo, in posizione assisa (ve-
rosimilmente su un trono), con una mano poggiata sulla coscia, con il palmo aperto verso
l’alto per tenere il piatto. L’altra mano era adornata, tra l’altro, da un bracciale (I, l. 20).

- II, 1-2: “Tavoletta della dotazione di gioielli degli dèi del re”
L’intestazione (\up-pí ^u-ku-ut-ti ^a DINGIRME& LUGAL) lascia pochi dubbi sulla pre-
senza di due termini distinti, DINGIRME& e LUGAL, secondo una lettura improntata alle
norme “classiche” della grafia accadica38. In discussione risulta dunque rimasto un solo pun-

complessive di manifattura— ma che si rivelano, per contrasto, rappresentati da esemplari sempre


diversi tra una lista e quella di data successiva. Constatata tale mutazione costante dei patrimoni di
gioielli offerti alle divinità lungo l’arco di poco più di un secolo (ca. 600-480 a.C.), Joannès (1992,
176) ne traeva le seguenti conclusioni: “Il reste fort probable que les colliers étaient fréquemment
démontés et réagencés suivant des normes qui nous échappent (calendrier liturgique, valeur magi-
que des pierres en fonction du moment de l’année, etc.)”. Nel nostro caso, non vi è alcun motivo di
dubitare che, in ogni momento della sua “storia”, l’effigie scultorea della dea NIN.É.GAL abbia
mostrato all’astante una parure di monili assolutamente sontuosa; ma, al contempo non va affatto
esclusa la possibilità che —similmente ai casi di Sippar— le collane di Qatna fossero state sottopo-
sti a smontaggi, e a nuove combinazioni dei loro minuti elementi decorativi, oppure che le compo-
nenti auree fossero state fuse e poi rielaborate in altra foggia — e magari in più occasioni. Beninte-
so, eventuali decisioni a riguardo potrebbero essere state prese per qualsiasi motivo: a partire dal più
banale, quello del progressivo deterioramento chimico-fisico dei monili stessi.
36
Inoltre, si noterà che poiché l’esistenza di una statua è assai verosimile come elemento concreto
d’appoggio per i beni dell’inventario II (v. infra), non v’è alcuna ragione per non supporla anche
qui, nel caso della dea cittadina.
37
Cfr. ad es. gli esemplari in basalto da Ebla studiati da Matthiae 1991. Si noti, peraltro, che la stes-
sa posa appare caratterizzare almeno una delle statue rinvenute all’ingresso della tomba reale di Tell
Misherfa scoperta in mesi recentissimi (cfr. nota 12, supra), a stare alle foto pubblicate in siti tele-
matici.
38
Infatti, una possibile lettura alternativa, \up-pí ^u-ku-ut-ti ^a d.ME&LUGAL, appare senz’altro diffi-
cilior. Indubbiamente, come dimostrato da una molteplicità di esempi da Ugarit (Huehnergard
1989, 87-90), e in minore misura da Emar (Seminara 1998, 43-47 e passim), il marcante di pluralità
ME&
poteva affiancare vari segni dal valore di predeterminativi, precedendo in tal modo assieme ad
essi la parola principale, in diverse facies provinciali dell’accadico del medio II millennio a.C. Pe-
raltro, un ulteriore esempio di questo uso si ritrova nella documentazione dalla stessa Qatna: infatti,
una lista amministrativa di personale proveniente dal settore N del sito, pubblicata dal medesimo

9
to: se il senso del conseguente nesso genitivale fosse effettivamente da intendersi al plurale
(Virolleaud 1928, 90: “dieux du roi”), oppure invece al singolare, considerando il ME& un
mero espediente grafico (così Bottéro: “dieu du roi”)39, con incertezze fino a tempi recentis-
simi40. Alla luce del buon senso, tuttavia, può di per sé apparire sospetto, che un presunto
“dio del re” non risulti mai ricevere un’identificazione ulteriore, sì da renderlo equivalente
ad altra e più specifica divinità del pantheon locale. Avremmo insomma avuto a che fare
con una figura divina curiosamente “anonima” —a dispetto del tentativo di Bottéro di farla
corrispondere con il dio solare noto da altre fonti41. Più ragionevole è dunque aderire
all’ipotesi “pluralista”, di un riferimento ad una collettività di dèi, posti a tutela e legittima-
zione della casa reale di Qatna. La medesima combinazione di segni è poi attestato
all’interno dell’inventario: nelle ll. 30-31, viene infatti elencato un disco solare d’oro di
grandi dimensioni, su cui era stata “incisa”42 un’immagine di palmetta43, accompagnata
dall’epigrafe44 ^a DINGIRME& LUGAL.
Un elemento a precisazione di questo riferimento all’insieme degli dèi tutelari della
casa reale, si trova ancora nella sezione finale del medesimo inventario II. Infatti, alle ll. 43-
44 del Verso, abbiamo una coppa d’oro, la cui dedica suona ^a DINGIRME& a-bi; e anche un
secondo recipiente, ma d’argento, è descritto come ^a DINGIRME& a-bi nella recensione B
(pur se il parallelo al singolare nella più tarda recensione A, ^a DINGIR a-bi, fungeva da so-
stegno per l’argomentazione di Bottéro sulla scarsa significatività dei marcante di pluralità
ME&
in questi testi). Si tratta, in pratica, di dediche filiali alle divinità protettrici del padre de-

Bottéro, si apre con la menzione dei LÚ.ME&a-^a[-ri-du-ti(?)] (Bottéro 1950, 112: A, l. 1.) In
quest’ottica, dunque, anche il segno DINGIR avrebbe potuto —almeno in teoria— fungere da pre-
determinativo, conferendo valenza divina alla parola seguente LUGAL, mentre ME& ne avrebbe
marcato la pluralità. Tuttavia, al di là di questioni grafemiche, l’interpretazione risultante, “tavoletta
della dotazione di gioielli dei sovrani divinizzati” (*^a d^arrāni), darebbe luogo a non pochi pro-
blemi di verosimiglianza, almeno allo stato attuale delle conoscenze sulla Qatna di quest’epoca.
39
Cfr. Bottéro 1949, 34, che sosteneva che “ME& ne marque pas ici le pluriel”, bensì al caso una
vocale lunga, o anche una breve, quasi come capriccio scribale, invocando paralleli nuziani, da Bo-
ghazköy, e perfino neo-assiri.
40
V. Edzard – Veenhof 1976-80, 137: “Schatz der Gottheit (!) des Königs”
41
Bottéro 1949, 34, sulla base della definizione di &ama^ come DINGIR a-bi-ia, “il dio di mio pa-
dre” nella lettera EA 55 da Akizzi di Qatna ad Amenofi IV/Akhenaton (cfr. Liverani 1998, 295-
296). Tuttavia, a nostro avviso, tale testo si riferisce ad una fase un po’ più tarda e soprattutto diver-
sa della politica estera di Qatna, ormai presa fatalmente in mezzo tra l’avanzata militare degli Ittiti e
la propria alleanza con l’Egitto, in atto da qualche tempo (v. anche Epstein 1963). In ogni caso, una
ricerca su quale potrebbe essere stato il dio principale del pantheon di Qatna all’epoca di questi in-
ventari, terrà conto della recente osservazione di Novák – Pfälzner 2002, 21620, che, tra i pochi no-
mi teofori finora noti dal sito attorno alla metà del II millennio, un certo numero include il teonimo
amorreo Addu. Va ricordato, in tal senso, che il dio della tempesta semitico occidentale (il cui nome
è reso sillabicamente o con il logogramma dIM) era già ben presente nell’onomastica di Qatna
all’epoca di Mari (v. ad es. il caso del re I^~i-Addu); pur se la presenza di un A-ki-Te^^up (reso A]-
ki-dIM) nell’inventario II (cfr. nota 103, infra), indica che, nella fase dell’influenza mitannica, si era
venuto imponendo qui, come altrove in Siria, un sincretismo religioso tra questa figura e la sua con-
troparte hurrita. Infine, v. ancora EA 52 (Liverani 1998, 291-292), in cui Akizzi saluta il Faraone
come “mio signore, mio Addu”.
42
uq-qur: cfr. CAD N/2, 332a.
43
Cfr. Durand 1990, 155, per l’odierna lettura zi-nu, “palmetta”, e non #é-nu, “montone”, come se-
condo Bottéro.
44
Cioè il “nome”, per cui cfr. la nota 74, infra.

10
funto45 che, proprio per il loro inserimento in questo inventario di gioielli per “gli dèi del
sovrano”, denotano una pietà di ambito complessivamente funerario da parte dei successivi
monarchi di Qatna.
Anche questa seconda dotazione di gioielli si “appoggiava” ad una statua, benché
l’inventario II non fornisca indicazioni specifiche a riguardo. Che un tale pezzo scultoreo
esistesse, è d’altra parte evidente da due notazioni parallele nell’elencazione (cfr. §2b), rela-
tive alla sistemazione di gruppi di monili risp. sulla parte destra (^a imitti^u, l. 5) e sinistra
(^a ^umēli^u, l. 9) di esso. Che, poi, la statua fosse antropomorfa, può dedursi dalla presenza
di anelli, bracciali e braccialetti descritti nella prima sezione del testo, in rapporto alla dop-
pia sistemazione suddetta. Che, infine, essa raffigurasse un individuo di sesso maschile, è
probabile in base alla presenza di un pugnale d’oro (l. 9), e riconfermato dal pronome suffis-
so genitivale di 3° p. maschile singolare -^u annesso ai termini “destra” e “sinistra”46.
La statua —anche qui verosimilmente a grandezza naturale47— rappresentava dun-
que un personaggio maschile, forse in posizione stante48, con ambedue le mani e le braccia
lievemente alzate e libere dal corpo, su cui erano piazzati i monili indicati sopra. Poiché la
sola figura indicata al singolare nell’intestazione è il LUGAL, supporremo che proprio un re
—e verosimilmente il sovrano particolare che aveva attivato il ^ukuttu in questione (v. §3b)
— fosse l’oggetto della raffigurazione. L’iconografia complessiva sembra, così, stilistica-
mente in linea con una serie di esemplari pervenuti fino a noi, di statuaria in bronzo, dalla
Siria del II millennio a.C., denotanti (a volte in dimensioni ridotte) figure di antenati di sta-
tus reale, peraltro non privi di marcanti teofori49. Casualmente o meno, l’esemplare più si-
gnificativo di questa classe è rappresentato da una statuetta di bronzo di sovrano in trono,
oggi al Louvre (A.O. 3992), la cui provenienza è verosimilmente da Qatna stessa50.
- III: caret.
- IV: caret, pur se il peso complessivo (1 mina 1/3 e 7 sicli) delle pietre che co-
stituivano un ^ukuttu a nome dei DINGIR LUGAL[ME&(??)] 51 è ricapitolato nella

45
La forma a-bi, al caso obliquo (dipendente da ^a), dovrebbe senz’altro rappresentare un singolare,
e non plurale reso difettivamente (per *abbī/ē, “padri”), come in eventuali casi analoghi da Emar
(Fleming 1992, 300; Pitard 1996, 130-138), in quanto è abbūtu il plurale in uso in EA 55, 7, a firma
di Akizzi di Qatna e altrove nelle lettere amarniane, così come ad Alalakh (cfr. CAD A/1, 72b).
46
La presenza di statuaria raffigurante il sovrano è peraltro ben nota da diversi altri contesti docu-
mentari del II millennio a.C., e segnatamente da Mari: si veda ad es., ARM XXV, p. 280 ad 287,
per un elenco di testi che si riferiscono all’ALAM.LUGAL, spesso menzionata tra immagini scolpi-
te di dèi diversi.
47
Alla dimensione naturale dell’effigie potrebbe essere alluso attraverso la presenza di “un
braccialetto da mano d’oro, di grande taglia, a doppio giro” in II, l. 4.
48
Questa supposizione nasce dalla descrizione di una cintura (cui doveva essere appeso il pugnale),
e di cavigliere nella parte finale della sez. 1 dell’inventario.
49
Cfr. Matthiae 1990, per l’analisi di questa classe di statuette, e l’attribuzione di essa al culto degli
antenati divinizzati di status reale.
50
Cfr. ibid., 355, per una fotografia del pezzo (malauguratamente riprodotta al contrario in orizzon-
tale).
51
IV, Verso, l. 8’. La riga termina con una rottura di 1-2 segni, dove si potrebbe anche ipotizzare la
presenza di un ME& —che in questo caso, però, andrebbe annesso all’ultimo segno visibile, LUGAL.
Per la riga successiva, l’ultima del testo, non interpretata da Bottéro, ci limitiamo ad offrire il se-
guente suggerimento: x [x x ]x id-qé-e MA&KIM? x [x ()], “....radunò il funzionario (palatino)
rābi#u...” —che, se confermato, fornirebbe un’interessante indicazione contestuale per i nostri do-
cumenti.

11
sezione conclusiva della lista.
Si può ben vedere, dunque, come la distinzione di fondo tra la tipologia di “li-
sta grande” I e quella di “lista piccola” II, stabilita sopra, si leghi strettamente ai con-
tenuti dei testi rispettivi, quale vengono descritti nelle rispettive intestazioni. Mentre
la lista a più colonne rappresentava l’elencazione dei gioielli di dotazione della sola
dea NIN.É.GAL —ulteriormente specificata nel suo legame con la città di Qatna— la
lista a una sola colonna descriveva il ^ukuttu in onore degli “dèi del re”; la notevole
differenza di estensione tra le due elencazioni sembrerebbe da collegarsi —come ve-
dremo (§2b-c; 3b) —ad un elemento temporale, cioè alla diversa antichità di istitu-
zione delle dotazioni rispettive nell’ambito della vicenda storica di Qatna.

Invece, in III e IV, l’intestazione è del tutto perduta nelle lacune iniziali: ammesso
che essa sia mai esistita. Infatti, è altrettanto legittimo postulare che tali due liste (e sopratut-
to la n. III) contenessero solo elencazioni “correnti” o aggiornamenti temporanei alle dota-
zioni divine, magari da inserire in un secondo tempo in un’ulteriore recensione delle due ti-
pologie principali.

b. Successivamente all’intestazione, negli inventari maggiori (I e II) si apre


un’articolata lista di beni preziosi: questa è suddivisa in sezioni, marcate da tratti o-
rizzontali sulle tavolette52. Di fatto, comunque, alcune differenze precise marcano le
tipologie di elencazione tra I e II, sì da renderne necessarie trattazioni separate.
Nel più ampio inventario I, ciascuna delle sezioni costitutive contiene la de-
scrizione minuta di un lotto che faceva parte della dotazione d’insieme della dea
NIN.É.GAL di Qatna: questo poteva essere rappresentato da un singolo oggetto pre-
zioso o gioiello, oppure alternativamente da un complesso di gioielli diversi53. Di o-
gni manufatto, viene indicata anzitutto la funzione pratica o ornamentale (brocca, va-
so, placca, collana, pendente, ecc.), quindi la natura materiale (oro, ferro54, pietre pre-
ziose di varia natura); quindi ancora la composizione, anzi, la vera e propria “architet-
tura” interna —specie nel caso delle collane, di cui si descrivono i singoli “fili” delle
decorazioni secondarie (gemme, perle, amuleti e altri elementi) di varia forma e pre-
gio55. Altrettanto si può dire delle tecniche, che risultano descrivere questi ultimi e-
lementi come applicati o inclusi, appesi, aggettanti, a granitura, a intarsio, a sbalzo, o

52
Anche in ciò, si può osservare una differenza sostanziale tra questi due inventari e i rimanenti: in-
fatti, III è del tutto privo di sezioni interne, mentre il tratto orizzontale in IV, Verso, sembra unica-
mente atto a distinguere il precedente elenco dalla sua ultima sezione ricapitolativa, relativa alla
“dotazione di gioielli del dio del re” (v. la nota 51, supra).
53
Come ad es. nel caso della sez. 8, tradotta infra, relativa a gioielli (anelli, orecchini, bracciali) che
adornavano complessivamente la statua di NIN.É.GAL.
54
La natura del ferro in quest’epoca come metallo raro e prezioso era già segnalata da Bottéro
(1949, 18); cfr. AMMI, 288, per l’inquadramento delle attestazioni da Qatna tra le fonti coeve che
iniziano a menzionare commerci e doni di oggetti in ferro.
55
Cfr. già Bottéro (1949, 7), che segnalava la nutrita presenza di termini tecnici hurriti, con qualche
eventuale apporto ittita, in queste elencazioni ; tra le poche eccezioni, v. ad es. Wilhelm 1999, per il
termine turun(n)u (su cui cfr. in precedenza Durand 1990, 155).

12
altro56. Infine, nelle sezioni iniziali dell’inventario, viene fornita con regolarità la no-
tazione del peso complessivo del lotto, in mine, sicli e frazioni; mentre tale calcolo
ponderale risulta compiuto solo a tratti nel prosieguo 57.
Viene qui data, a mo’ d’esempio, la traduzione delle prime dieci sezioni di que-
sto inventario (I, Recto, col. I, ll. 1-26).
Sez. 1.
[l. 1] “Tavoletta della dotazione di gioielli della dea NIN.É.GAL, la signo-
ra di Qatna. (La statua) di NIN.É.GAL, di oro rosso58; nella sua mano, un piatto-
~urubbu59 di oro giallo: il suo peso è 10 sicli.
Sez. 2.
Una brocca-~uppataru60 di oro giallo61; comprendente 9 ornamenti-
gullatu62 d’oro, [l. 5] di cui 5 con elemento-pūk/qu63 di lapislazzuli e 2 con elemento-

56
Anche in questo caso, la maggior parte delle etimologie relative e dei significati puntuali non
sembra ancora risolta, se non nei casi in cui dati di altri archivi non permettano confronti funzionali:
tale è, ad es. il caso della tecnica ^a tutturi, per la quale cfr. Durand 1990, 156. V. anche la nota 69,
infra.
57
Si veda più avanti per la sez. 9, dove la descrizione “di grande taglia” va a sostituire l’effettivo
calcolo del peso di un pettorale d’oro. L’abbandono delle notazioni di peso diventa poi fisso dalla
sezione 10 in avanti, con l’inizio della lunga sequenza di collane, composte di molteplici elementi
minuti d’oro e pietre preziose; per riprendere, invece, alla l. 229, specie riguardo agli elementi aurei,
ma non in maniera del tutto consistente. Bottéro (1949, 231) spiegava queste fluttuazioni interne al
testo con il fatto che le misure ponderali erano ricopiate da tavolette precedenti, in cui erano state
inizialmente registrate le offerte dei singoli gioielli; e tale documentazione poteva essere stata per-
duta o comunque risultare irreperibile per determinati periodi.
58
Cfr. §2a, per la nostra ipotesi circa l’iconografia della statua di NIN.É.GAL. Sulla presenza di
statuaria aurea a tutto tondo da Qatna è senz’altro illuminante il passo di EA 55 (=Liverani 1998,
296) in cui il più tardo re locale Akizzi chiede ad Amenofi IV di fornirgli “il peso in oro, quanto ba-
sta” per la statua del dio solare —asportata dagli Ittiti— “perché la (ri) facciano”. Difficile, d’altra
parte, valutare se l’effigie del dio solare —ma soprattutto quella della dea NIN.É.GAL qui descrit-
ta— fosse d’oro massiccio o meno: se da un lato, si potrebbe citare la famosa lettera polemica tra
Tu^ratta di Mitanni e Amenofi IV (EA 27) circa la sostituzione di precedenti statue d’oro massiccio
con esemplari di legno, placcati d’oro, si noterà –d’altra parte— che la statuaria siro-mesopotamica
nel suo complesso rivela il largo uso di “ingenious combinations of hollow-cast parts, perhaps
sometimes even of gilded base metal, and extensive use of sheet gold on a stone or wooden base”
(AMMI, 224). In appoggio a queste considerazioni, si osserverà che la statua di NIN.É.GAL non è
provvista di indicazione ponderale in sé; inoltre, che le statue reali recentemente scoperte nella
tomba palatina di Qatna erano di basalto con dorature (cfr. la nota 12, supra).
59
Per un’interpretazione di ~urubbu come “spada”, v. Bottéro 1949, 13815. Diversamente, AHw.,
360b, “eine Metalschüssel”; CAD @, 256b, “(a dish made of metal)”. Cfr. del resto, la nota 37, su-
pra, per recipienti tenuti nella mano degli dèi nell’iconografia della statuaria coeva.
60
Bottéro 1949, 13916: “sorte de vase? ou bouclier?”; similmente, AHw.,356b, “ein Gefäss”.
61
KÙ.BABBAR ár-qú: non si tratta di “or vert”, come tradotto da Bottéro —anche se una discreta
aggiunta d’argento poteva dare all’oro una tinta verde-grigiastra (cfr. AMMI, 218a)— bensì vero-
similmente di oro “giallo”, cioè povero di rame, in opposizione a quello “rosso” della statua divina:
cfr. in tal senso la resa di CAD A/2, 300b. Sull’attenzione degli artigiani di palazzo alla quali-
tà/colorazione dell’oro loro pervenuto, è illuminante ad es. la lettera di Mari ARMT XIII, 6 , su cui
v. Durand 1990, 141.
62
Il termine gullatu è tradotto regolarmente come “demi-sphère(s)” o “renflements sémi-
sphériques” da Bottéro; cfr. anche CAD G, 128b-129a, s.v. gullatu B. Da notare come, invece,
AHw., 297a, ritenga che gullātu rappresenti il plurale di gullu “eine Schale” (v. anche CAD G,

13
pūk/qu di cristallo di rocca: il suo peso è 1/3 di mina, 5 sicli64.
Sez. 3.
Una placca65 in oro; comprendente 9 ornamenti-gullatu d’oro, di cui una
con elemento-pūk/qu di cristallo di rocca; comprendente (anche) 25 perle a forma di
fico in oro, un ornamento in pietra–adattu in lapislazzuli di qualità superiore, 24 perle
a forma di fico, cilindri e grani/foglie di tamarisco66 in lapislazzuli di qualità superio-
re: il suo peso è 15 sicli.
Sez. 4.
Una collana, comprendente 5 ornamenti-kussu67 in oro, 2 ornamenti-
gullatu d’oro: il suo peso è 15 sicli e ¼.
Sez. 5.
[l. 10] Un pendente68 in oro, a triplo (giro), (comprendente) 6 perle a for-
ma di fico in lapislazzuli, 7 perle a forma di fico d’oro, a granitura69: il suo peso è 16
sicli.
Sez. 6.
Un pendente in oro, con intarsio70 di lapislazzuli e di cristallo di rocca,
(comprendente) 3 cilindretti di lapislazzuli, dal cappuccio d’oro, 2 gemme-^a^^innu
incrostate di lapislazzuli e di cristallo di rocca, [l. 15] 6(?) dischi solari d’oro71 (com-
prendenti) 7 (?) cilindretti di lapislazzuli e di cristallo di rocca: il suo peso è 1/3 di
mina e mezzo siclo.
Sez. 7.
Un pendente in oro di splendente luminosità, con intarsio di lapislazzuli e
di cristallo di rocca, comprendente 5 dischi solari d’oro: il suo peso è 1/3 mina, 2 sicli
½.

129a, s.v. gullu, “(a container)”), proponendo di conseguenza la resa “Goldschälchen?” per questo
contesto documentario. Anche a Mari, parrebbe trattarsi di “plateaux ronds de balance” in determi-
nati contesti, secondo Durand (1990, 156), che pure sostiene la resa di Bottéro.
63
Poiché il termine pūku si trova più volte connesso ai gullātu, Bottéro (1949, passim) lo intende
come un “cabochon” o un “bouton”. Diversamente, Durand (1990, 156) propone la lettura pūqu,
“rinserramento”, che indicherebbe la terminazione a punta della mezza sfera del gullatu stesso (v.
nota prec.).
64
L’esemplare C ha la variante “25 sicli”.
65
La lettura di questo oggetto (Bottéro 1949, 11 e passim: GI&DUB-bu) è oggi assodata come
gi^tuppu: si tratta di una placca quadrata, in metallo o pietra, nota dalle liste lessicali e dai testi di
Mari, oltre che dal presente contesto (cfr. CAD G, 109b-110a).
66
L’ornamento-bīnu –che appare finora attestato solo in questi inventari da Qatna— poteva rappre-
sentare i semi o le foglie del tamarisco, pianta ben nota in Mesopotamia e nelle regioni adiacenti
anche per i suoi usi medicinali: cfr. CAD B, 242b.
67
Non ci sono interpretazioni definitive su questo tipo di ornamento. Cfr. Durand 1990, 156, che
suggerisce “une bordure en perles obtenue au repoussé”, sul tipo del kawārum presente negli inven-
tari di Mari.
68
L’ornamento ^a napi^ti (attestato altrove anche come ^a pāni nap^āti) era verosimilmente un
pendente; esso risulta noto anche da contesti economici antico-babilonesi: cfr. CAD N/1, 304b.
69
Per tutturru, cfr. AHw., 1375a, “Blättchen, Scheibchen”. Si tratta di un termine attestato anche a
Mari: cfr. Durand 1990, 156, che lo interpreta come relativo ad una decorazione a granitura, com-
piuta a imitazione delle incrostazioni di pietre preziose.
70
tamlû dovrebbe riferirsi ad una tecnica di intarsio: cfr. di recente Durand 1990, 156.
71
Per A&-ME = ^am^atum, “disco solare”, cfr. CAD &/1, 332-335. Come chiarito con acribia da
Durand (1990, 157-158), poteva trattarsi di un ornamento complesso, in cui la forma a disco
comprendeva al suo interno una “ragnatela” di elementi decorativi secondari, irradiantisi a raggiera
da un corpo centrale più ampio, a simboleggiare il sole e i suoi raggi. Oltre che a Qatna, il monile è
noto dalla Mesopotamia di Ur III e paleo-babilonese, da Mari, e infine dalla documentazione ittita.

14
Sez. 8.
2 anelli d’oro, comprendenti un elemento- pūk/qu di cristallo di rocca; due
72
orecchini d’oro a quattro giri; un bracciale d’oro a quattro giri [l. 20] per la mano
della divinità. Il suo peso: 2/3 di mina, 6 sicli.
Sez. 9.
Un pettorale d’oro giallo, di grande taglia.
Sez. 10.
Una collana73, comprendente (un amuleto a) statuetta di lapislazzuli, la
cui epigrafe è “Obbedisci al suo ordine!”74, 4 perle d’oro, un dischetto solare d’oro,
un ornamento-gullatu d’oro, un cilindretto d’oro, [l. 25] un ornamento-ma^~u di lapi-
slazzuli a tre giri(?), 7 cilindretti di lapislazzuli, 1 cilindretto di alabastro, un gra-
no/foglia di tamarisco, una perla a forma di fico in pietra-uri~a^e75”.

L’insieme dell’inventario I comprendeva –escludendo dal calcolo alcuni tratti


del testo non conservati appieno76— un totale di 72 sezioni, o lotti di beni preziosi,
fino alla l. 327, che, come detto sopra (§1b), rappresenta il termine della più breve re-
censione A; altre 11 sezioni portavano alla fine della recensione C (l. 363); e altre 4
alla l. 380, conclusione della recensione D, per un totale massimo di 87 sezioni77.
Rispetto all’esempio tradotto sopra, il seguito della lista I mostra i seguenti e-
lementi di un certo interesse strutturale:
- collane di varia e complessa composizione sono elencate nella maggior parte
delle sezioni, e in particolare nei nn. 11-15, 16-51, 53, 57-59, 61-66, 71, 73,
78-81, 8478. Vi figurano, quasi ovunque, i medesimi elementi ornamentali in
oro o pietre preziose, pur se in una molteplicità di combinazioni reciproche, e
con costanti variazioni quantitative per gli elementi più minuti: dischetti solari,
perle in varie fogge naturalistiche o geometriche (a forma di fico, di melogra-
72
Il termine an#abtu o in#abtu designa con precisione gli “orecchini” in vari ambiti temporali, me-
sopotamici o periferici: cfr. AHw., 54b; CAD A/2, 144-145.
73
Viene qui usato ki^ādu, il termine accadico più consueto per “collana, filo di perle”, ecc.: cfr.
CAD K, 448-449.
74
Testo: MU-^u ú-#ur pí-^u, lett.: “il cui nome è ‘Obbedisci al suo ordine!’”. La nostra traduzione
per ^um^u segue quella di Bottéro (“marquée”) nel ritenere che qui —diversamente ad es., dai casi
elencati in CAD &/3, 290-291— l’espressione non indichi il vero e proprio nome affibbiato a
quest’amuleto a statuetta, bensì piuttosto il contenuto del testo che vi era vergato. Altra questione è:
chi era colui che impartiva l’“ordine”, e chi doveva invece obbedire ad esso? CAD $, 82 a, traduce
“Watch-his (the master’s)-Word!”, nel senso di una funzione protettiva imposta all’amuleto; tutta-
via, poiché na#āru in congiunzione con termini designanti “comando, parola”, ecc. (cfr. CAD N/2,
43a), mostra spesso una figura divina o regia in posizione dominante (fino alla presenza di una vera
e propria divinità dal nome di U#ur-amassu), ci si chiederà –d’accordo peraltro con Bottéro (1949,
21)— se la “statuetta” (#almu) non raffigurasse per caso una divinità collettiva o un dio personale, e
se dunque la formula di comando non fosse rivolta a colui che si trovasse a recare su di sé la colla-
na, come monito permanente a non trasgredire comandi emanati “dall’alto”. Per altre attestazioni di
oggetti iscritti, con trascrizione dell’epigrafe (il “nome”) negli inventari, cfr. I, Verso III, 179, e II,
Verso, 30.
75
Così la lettura secondo l’emendazione di AHw., 1430a. Ci si chiederà, tuttavia, se non si tratti di
un mero errore scribale per la più nota pietra mar~a^e, “marcassite”: cfr. ancora II, sez. 2.
76
Si tratta delle ll. 275-291, su cui v. già sopra, §1b.
77
Sono comprese nel calcolo anche le sezioni dedicate ai diversi colofoni presenti nelle tre recen-
sioni conservate appieno (sezioni 72, 83, 87).
78
Cfr. Bottéro 1949, 28, che segnala “au moins 58 colliers”.

15
no, ovoidale), grani/foglie di tamarisco, cilindretti, figurine-amuleto di varia
foggia (palmette, animali vari, figure mitologiche), bastoncini, placchette,
ecc.79
- attestazioni ben minori (da 1 a 5 casi) ricevono invece tutte le altre tipologie di
gioielli (esclusivamente d’oro), tra le quali le troviamo ancora anelli, placche e
pendenti, ma altresì un monile a forma di reggipetto (dudittu80) dai seni indivi-
dualmente decorati, e infine vasi di varia tipologia81.
- in determinate sezioni, l’elencazione dei preziosi è conclusa dalla presenza
della preposizione ^a, in senso possessivo, rispetto alla donazione compiuta
(“di; “a nome / per conto di”) seguita da un nome di persona, a volte accompa-
gnato da una titolatura professionale o regia. Presenteremo qui l’insieme di tali
dati onomastici, rinviando alla sezione sui colofoni (§2c) per l’inquadramento
cronologico dei casi più rilevanti.
Osservando i nomi privi di ulteriore qualificazione, troviamo una collana per con-
to di 1E-wa-ri-^ar-ri alla l. 4082. Ancora una collana è poi attribuita alla donna 1.f&e-
mu-un-ni (l. 222)83; mentre un monile composito è ascritto a 1.GI&TUKUL-bé-el-li (l.
229)84. Ancora un nome femminile, 1.fSa-pa, è associato ad un oggetto ignoto (l.
248), e una collana è ascritta alla donna 1.fPu-ú-~u (l. 377)85.
Per quanto riguarda i casi di titolature regie, troviamo anzitutto una collana a no-
me di 1Nap/Na-ap—lim-ma LUGAL alla l. 131, e ancora una volta alla l. 19986. Una
collana risulta poi a nome di 130—a-du DUMU 1Na-ap-lim-ma [LUGAL], “Sin-adu,
figlio di Naplimma, il re” (l. 232)87. Un altro sovrano compare alla l. 249 (peraltro

79
Cfr. Bottéro 1949, 13-17, per una lista dei termini e delle loro possibili interpretazioni.
80
Cfr. CAD D, 169b.
81
Cfr. Bottéro 1949, 28, per un colpo d’occhio d’insieme.
82
Questo personaggio presenta la variante logografica EN-LUGAL in B e C: cfr. NPN, 211 per il
hurrita ewri/erwi, “signore”, e Gröndahl 1967, 224-225, Hess 1993, 229, per forme e rese analoghe
da Ugarit (anche alfabetico iwrΗr), Alalakh e el-Amarna. Una lettura ewx è suggerita per WA in si-
mili nomi da Mari da Guichard 1994, 239. Epstein (1963, 243 e passim) sospetta che questo perso-
naggio fosse un primo sovrano di Qatna, anche se non risulta designato come tale; mentre Klengel
(2000, 249) ritiene che avrebbe alternativamente potuto essere un rappresentante di Mitanni a Qat-
na: cfr. §2d, infra.
83
Epstein (1963, 243) segnala la possibilità che questa donna (“clearly a person of rank”) fosse la
moglie del sovrano Naplimma, sulla scorta di una precedente indicazione di W.F. Albright (1940,
23).
84
Il nome (presumibilmente da interpretarsi come l’accadico *Tukultī-bēlī, “la mia arma protettiva
è il mio signore”) risulta rotto (GI&TUKUL-bé-[ x x ])in A, e del tutto perso in D; la sola versione
completa è dunque C.
85
Cfr. Bottéro 1949, 81, per la discussione sulla lettura e l’etimologia di questo nome hurrita; e v.
ancora Gröndahl 1967, 245.
86
La recensione A presenta qui l’errore scribale Pa-ap-lim-ma.
87
Bottéro, seguendo Virolleaud (1930, 321) trascrive costantemente ^a mSin-a-du ^arri mâri mNa-
ap-lim-ma ^arri, a suo dire sulla base di A (D è infatti lacunoso qui), indicando che C ometteva mâ-
ri mNa-ap-lim-ma ^arri (1949, 29, 160). Tuttavia, si noterà che la copia di A a p. 187 non presenta
la qualificazione LUGAL dopo il nome di 130—a-du e prima di DUMU (e che peraltro anche il
LUGAL dopo il nome del padre è in una lacuna di fine riga). In conclusione, dunque, solo
l’esemplare C, letto da Virolleaud, avrebbe potuto recare una titolatura regia per 130—a-du.

16
nella medesima sezione della donna 1.fSa-pa vista sopra): si tratta di 1.dIM-ni-r]a-ri
LUGAL, “Addu-nirārī, il re”88; costui è ancora attestato a proposito di un anello alla
l. 333 (forse senza titolatura regale)89. Il medesimo nome regio ricompare poi nella
recensione A, alle l. 305-306, a proposito di un oggetto ignoto a nome di 1].fPi[-iz-za-
al-lum] / [DUMU.SAL/DAM] ^a 1.dI[M-ni-ra-ri LUGAL], “Pizzalum, [figlia/moglie]
di Addu-nirārī, il re”90. Questa principessa è più volte attestata in seguito, ma senza
indicazioni di rango: come 1.fPi-iz-za-al-lum, a proposito di un pendente, alla l. 312, e
nella sezione seguente, come 1.fPi-iz-za-al-lum-ma (l. 324); infine, forse ancora alla l.
362, nella mutila attestazione ]-lum-mi91.
Queste titolature appaiono tutte riferirsi alla regalità locale, quale risulta peraltro
confermata dai colofoni (v. infra). La sola presenza certa di un sovrano straniero si
trova a proposito di una placca d’oro (l. 191) a nome di 1Du/|ù-ru-^a LUGAL URUQí-
is-sà, cioè il re della vicina città di Qade^92. Forse ad un alto ufficiale inviato in rap-
presentanza di qualche sovrano straniero, si riferiva infine l’attestazione di 1Lu-ul-lu

^akkanakku93 alla l. 327.
- Infine, l’inventario I ha la caratteristica particolare di presentare colofoni si-
stemati in posizioni successive del testo, diverse per ogni recensione: il primo
(=A) si trova alla l. 327, il secondo (=C) alla l. 363, il terzo (=B) alla l. 380.
Questi tre “finali” diversi che si snodano sull’asse della lunghezza del testo, in
corrispondenza con gli accumuli graduali cui fu sottoposta la dotazione di preziosi
della dea cittadina principale, rappresentano, in primis, i più chiari marcanti di una
redazione progressiva dell’inventario nel tempo, già notata sopra (§1c). Inoltre, i tre
colofoni si pongono come altrettanti termini ante quem per una ricostruzione della
cronologia relativa del testo, a base prosopografica. Infatti, è possibile operare una
collocazione diacronica dei vari donatori di monili, di rango regio o meno, secondo la
posizione che i loro nomi occupano nell’inventario in relazione alle cesure rappresen-
tate dai colofoni stessi (cfr. §2d, infra).

c. L’inventario II mostra, nel complesso, un “profilo” redazionale abbastanza


simile a quello della sua controparte più estesa, ma anche alcune differenze puntuali.
Anche qui, dopo il titolo iniziale, osserviamo la corrispondenza di ogni sezione con
un singolo monile, oppure alternativamente con un complesso di gioielli diversi, ma

88
Tale la forma in A (Bottéro 1949, 189). Per il nome, con dIM da leggersi Addu o Haddu in con-
giunzione con predicati amorrei o accadici, come in questo caso (con nī/ērāru, “aiuto, sostegno
(armato)”), v. da ultimo Hess 1993, 68-69, per altre attestazioni di età amarniana.
89
Come 1.dI[M-ni-ra-ri (LUGAL): cfr. Bottéro 1949, 207 (rec. D).
90
Il brano appartiene al pezzo di A non fornito in copia da Bottéro (cfr. §1b, supra). La variante di
C, riprodotta in trascrizione (Bottéro 1949, 1661) sembra invece presentare il solo nome 1.fPi-iz-za-
al-lum.
91
Bottéro (1949, 30) non sembra aver tenuto conto di questa possibilità di integrazione.
92
Si noti che questo nome di sovrano straniero è dato unicamente nell’esemplare A. Si tratta di una
formazione onomastica non semitica, e verosimilmente hurrita (cfr. già Epstein 1963, 245-246). Per
URU
Qí-is-sà come una delle rese coeve (e specie nelle lettere di el-Amarna) del toponimo meglio no-
to come Qade^, cfr. Belmonte Marín 2003, 226-227, con bibl. prec.
93
La resa era probabilmente quella consueta, LÚGÌR.NITÁ, ma —come nota CAD &/1, 174a— solo
la traslitterazione è, di fatto, disponibile per questa titolatura; infatti , la copia della recensione D
(Bottéro 1949, 206) presenta una versione mutila, ^a 1Lu-ul-lu L[Ú x x ].

17
uniti dalla comune collocazione94. Ogni manufatto trova nuovamente l’indicazione
della funzione pratica oppure ornamentale, quindi quella della natura materiale; e
viene anche qui descritta la composizione minuta delle gemme, perle e figurine an-
nesse, fino al dettaglio della loro posizione entro l’oggetto. Al contrario, le indicazio-
ni di peso —frequenti nel più grande inventario— sono qui assenti, salvo che nel caso
della suddivisione conclusiva (sez. 9), dedicata a vasellame vario. Inoltre, come si è
visto (§1b) l’esemplare A, un po’ più lungo dei rimanenti, non appare concluso da un
colofone proprio.
Ancora una volta, a mo’ di esempio, presentiamo in traduzione una parte del
contenuto di questo inventario, relativo alle prime tre sezioni (Verso, ll. 1-17):
Sez. 1
. [l. 1] “Tavoletta della dotazione di gioielli degli dèi del re.
Un anello d’oro, i cui elementi-pūk/qu sono di lapislazzuli di prima qualità. Un
braccialetto da mano d’oro, di grande taglia, a doppio giro; uno, da braccia, d’oro,
comprendente un cilindretto di lapislazzuli montato su un castone d’oro; [l. 5] una
lancia-imittu d’oro: il tutto, per la sua (parte) destra.
Un braccialetto d’oro a doppio giro, con 4 elementi-pūk/qu di lapislazzuli; uno,
da braccia, d’oro, comprendente un cilindretto di lapislazzuli montato su un castone
d’oro, un ornamento-barītu d’oro, un (pendaglio ad) arma d’oro, una palmetta95
d’oro: il tutto, per la sua (parte) sinistra.
Una cintura96 d’oro, 10 ornamenti a forma di seno97, [l. 10] un oggetto-ikkiltu
d’oro con intarsio di lapislazzuli, un pugnale d’oro massiccio, con il pomo di lapi-
slazzuli di prima scelta, e il fodero d’oro. Due cavigliere d’oro, a doppio giro, una
catenella d’oro.
Sez. 2.
Una collana, comprendente un ornamento a corolla d’oro, con intarsio di
lapislazzuli, corniola e marcassite. Un dischetto solare d’oro con intarsio di lapislaz-
zuli, 12 perle a forma di fico d’oro, [l. 15] 10 perle a forma di fico e ovoidali di lapi-
slazzuli; 2 perle a forma di fico in cristallo di rocca.
Sez. 3
. Una collana, comprendente una palmetta di lapislazzuli di prima scelta, di
cui l’ornamento-~īmu è intarsiato di lapislazzuli, e la base è d’oro; 13 perle ovoidali
d’oro; 16 perle ovoidali di lapislazzuli; 3 perle a forma di fico d’oro”.

L’inventario II si articola in appena 9 sezioni complessive. Le collane sono an-


che qui gli oggetti più spesso elencati (sezz. 4, 5,6, 8); mentre la sez. 7 corrisponde a
monili diversi, e l’ultima comprende un registro abbastanza esteso di coppe98 — che,
come s’è detto, rappresentano i soli materiali ad essere indicati con il loro peso. E
poiché la medesima sez. 9 è anche l’unica dell’inventario a presentare nomi di perso-
ne associati con specifici oggetti, riteniamo utile fornirne la trascrizione completa:
Sez. 9
. [l. 36] “Due coppe d’oro di tipo(?) ^erwana^e, la cui parte-na~ellu è (al-
94
Cfr. ad es. la sez. 1, per gruppi di preziosi fisicamente apposti alla statua divina.
95
Cfr. la nota 43, supra; e v. ancora la terza sezione di questo stesso testo.
96
La lettura corretta non è mi-~ir-rum (Bottéro), bensì mi-sar-rum (cfr. CAD M/2, 111a).
97
mu^^u: cfr. CAD M/2, 281a-b.
98 (DUG)
GAL, un tipo ben attestato di recipiente che Bottéro leggeva rabītu(m), ma che oggi va inte-
so come kāsu: cfr. CAD K, 256a.

18
tresì) d’oro: il loro peso è 80 mine, 6 sicli99. La loro tavola di supporto è d’oro rosso.
Una coppa d’oro di tipo(?) tumu^^e: il suo peso è 110 sicli. (A nome) di Am-
mut-pa-il100 figlio di Idadda.
[l. 40] Una coppa d’argento raffinato, (a nome) della donna Sapa. Si ricopre101
(la scritta) Sapa. (Ora è) una coppa d’argento raffinato, della (=dedicata alla) divinità
Uwarinnu: il suo peso è 27 sicli.
Una coppa d’oro, (a nome): il suo peso è 15 sicli.
Un contenitore-lakku d’argento, (a nome) degli dèi/del dio del padre102: il suo
peso è 8 sicli.
[B termina qui con il colofone, mentre A prosegue:]
[l. 45] Una coppa a testa taurina, d’argento: il suo peso è 90 mine, 8 sicli.
Una coppa d’oro rosso: il suo peso è 2/3 di mina, meno 1 siclo, (a nome) di A-
ki-Te^^ub103.
Una coppa d’argento raffinato: il suo peso è 100 sicli, (a nome) di Naplim-
104
ma , il re”.
Per commenti sui nomi dei donatori attestati in questa sezione conclusiva e sulla
mancanza di colofone nell’esemplare A, cfr. qui di seguito.

d. Il terzo elemento distintivo degli inventari di gioielli da Qatna è rappresenta-

99
Si tratta, assieme alla coppa d’argento della l. 45, degli oggetti di maggior peso di tutto l’insieme
di questi testi (cfr. Bottéro 1949, 23). Considerando una mina di 60 sicli equivalente a 480 grammi,
avremmo un peso complessivo di 38 kg. ca. per queste due coppe.
100
Resa: Am-mu-ut-pa-DINGIR. Per questo nome amorreo, che ha numerosi confronti nel II mil-
lennio, cfr. Huffmon 1965, 167; Gelb 1980, 320; 559: 452. Vale, naturalmente, la pena di ricordare
che già un re di Qatna all’età di Mari (e in particolare coevo di Zimri-Lim) aveva recato il nome A-
mu-ut-pí-DINGIR/i-la (cfr. di recente Streck 2000, 319).
101
Il testo ha qui ú-ra-AP-PA-du 1.fSa-pa. La forma verbale ha finora (cfr. AHw., 954b) sfidato ogni
interpretazione in relazione al verbo accadico rapādu, “girare, vagare”, anche in ragione della per-
sona del verbo (maschile) e del numero/modo di esso (o plurale o congiuntivo dipendente dal prec.
^a). Dopo un’ampia discussione del verbo accadico e la ricerca di una possibile alternativa “amor-
rea” attraverso lo spettro delle lingue semitiche occidentali, Bottéro (1949, 363) suggeriva, senza
piena convinzione, che si avesse qui la trascrizione confusamente sovrapposta di due formule diver-
se, di cui la prima suonava (ibid., 179) “Que Dame Sapa fait offrir (?)”. Tuttavia, tra le tante radici
che, a giudizio dello studioso francese, “ne donnent rien”, rbd risulta oggigiorno non solo attestata
in ebraico biblico, ma soprattutto in ugaritico, con il senso di “ricoprire, stratificare” (cfr. HALOT,
1176a). Suggeriamo dunque di leggere qui ú-ra-ab-bá-du 1.fSa-pa, con una 3° p. pl. maschile che
indica l’impersonalità, “essi ricoprono → si ricopre”. Quanto al tempo verbale impiegato, ci sembra
che esso renda, di fatto, giustizia all’ipotesi di sovrapposizione compiuta da Bottéro: infatti, * urab-
badū altro non può che essere un presente-futuro (lo si voglia pienamente accadico o in parte amor-
reizzato), e dunque andrebbe interpretato come la trascrizione parola per parola di quanto descrive-
va lo stato dell’epigrafe sulla coppa argentea nella seconda delle tre “fasi” di funzionalizzazione
cultuale di quest’ultima: cfr. ancora §2d, infra, su questo punto.
102
Cfr. §2a, supra.
103
Il nome è frammentario (A]-ki-dIM). Per la formazione nominale A-ki-Te^^ub, composta
dall’elemento onomastico hurrita ag, “guidare” e dal nome del dio principale del pantheon hurrita,
cfr. NPN, 199, Gröndahl 1967, 216, Hess 1993, 26-27.
104
Si noti questa grafia, che conferma e integra quelle dell’inventario I (cfr. §2b, supra).

19
to dal colofone. Inseriti in sezioni a sé stanti, i colofoni concludevano le diverse re-
censioni del testo, fornendo la data e il nome del sovrano che ne aveva commissiona-
to la redazione. Un confronto interno mostra chiaramente che le recensioni più recenti
riprendono verbatim i contenuti di quelle più antiche; tuttavia, esse omettono come
regola di riprodurre i colofoni di data precedente. E’ dunque solo grazie al fatto di
avere più recensioni dei medesimi testi, che si può stabilire la seguente sequenza dia-
cronica tra esse:

- I. A (l. 327): [ ] / 1.dIM-ni-ra-ri LUGAL, “[anno x, di] Addu-nirārī, re”;


- I. C (l. 363): MU 45.KAM / ^a [1.dIM-ni-ra-ri] LUGAL, “anno 45°, di [Addu-
nirārī], re”;
- I. D (l. 380): i-na MU 1.KAM ^a 1Id-a-da LUGAL [DUMU 1]Ú-la-^u-da
LÚ(?)[ /LU[GAL(?)], “nell’anno 1° di Idadda, re, [figlio di] Ula^udda, di pro-
fessione ….. (?) [ / r[e]”105;
- II. B (ll. 45-46): &U 1@a-^i-ya [LÚDUB.SAR(?)]/ MU 18.KAM ^a 1[, “Per ma-
no di @a^iya, [lo scriba (?)] / anno 18° di N[OME PROPRIO ”.

Tale sequenza di colofoni è cruciale, come già accennato (§2b), non solo perché
offre una griglia essenziale di cronologia relativa per le singole recensioni, ma altresì
perché ci consente di agganciare a tale griglia i nomi dei donatori, in base alla loro
collocazione nel testo. Sarà dunque opportuno riprendere i nomi dei sovrani e dei
personaggi più significativi dell’inventario I, osservandone i posizionamenti in rap-
porto alle scansioni segnate dai tre colofoni successivi; per quindi operare un con-
fronto con le ben più ridotte attestazioni onomastiche in II.
***
Si può iniziare da un semplice confronto “a ritroso” tra i colofoni dell’inventario I.
E’ infatti ovvio che Idadda ascese al trono di Qatna in seguito ad Addu-nirārī, al di là
del fatto se il proprio padre, Ula^udda, avesse indossato la corona regale o meno; e
che Addu-nirārī godette di un regno notevolmente lungo (almeno 45 anni), sì da poter
compiere due successivi aggiornamenti dell’elenco di gioielli offerti a NIN.É.GAL.
Invece, per giungere ad identificare i re precedenti ad Addu-nirārī, non indicati da co-
lofoni, sarà indispensabile prendere in esame la suddivisione del testo in sezioni,
marcate da tratti orizzontali.
Esaminando tali suddivisioni in dettaglio, e sempre procedendo a ritroso, si noterà
che l’intervallo tra le ll. 363 e 327 —ovvero tra il secondo e il primo apporto di
gioielli all’interno del regno di Addu-nirārī106— corrisponde ad appena 11 sezioni (o
lotti di preziosi). Ciò induce a ritenere che le 72 sezioni107 comprese tra la l. 327 e
l’inizio del testo potessero riferirsi solo in parte a donazioni avvenute durante la pri-

105
Come nota Bottéro (1949, 292), il segno finale non è completamente conservato: potrebbe trat-
tarsi della parte iniziale di LUGAL, o di un semplice determinativo di professione LÚ.
106
Un intervallo purtroppo non precisabile in anni, a causa della perdita della data puntuale alla l.
327; ma questo colofone non doveva in ogni caso riferirsi al 1° anno di regno, in base al ragiona-
mento svolto alla nota 108, infra.
107
Cfr. la nota 76, supra.

20
ma fase del regno di Addu-nirārī medesimo108; esse dovevano, invece, per lo più de-
scrivere gli apporti di preziosi compiuti dai suoi predecessori/antenati. I nomi di co-
storo siglavano verosimilmente recensioni più antiche della lista, non giunte fino a
noi, e i cui colofoni —come già indicato— non vennero riprodotti per prassi scriba-
le109.
Ne consegue che le identità di questi predecessori di Addu-nirārī sul trono di Qat-
na sono ricostruibili esclusivamente attraverso la casuale presenza di specifici donati-
vi a loro nome. Tra essi, va senz’altro incluso Naplimma “il re”, che risulta attestato
come titolare di un monile alla l. 131, e poi ancora alla l. 199110. Quanto al figlio di
Naplimma, Sin-adu, si è già osservato (§2b) che la condizione dei testi non consente
di affermare chiaramente se egli abbia effettivamente regnato.
In ogni caso, è plausibile inferire che un limitato numero di sezioni interposte tra un no-
me di donatore e il successivo corrispondesse ad un intervallo temporale ridotto. In tal sen-
so, l’unica menzione di Sin-adu, come titolare di un monile alla l. 232, sarebbe congrua con
una possibile successione di costui al trono paterno —magari di breve durata— in quanto
essa si situa subito prima della comparsa iniziale di Addu-nirārī sulla “scena” dei nostri in-
ventari, come donatore di rango regio (l. 249).
Infine, per quanto riguarda il settore del testo precedente alla l. 131 —forse relati-
vo a regni ancora antecedenti a quello di Naplimma— siamo totalmente all’oscuro, in
quanto il solo donatore attestato è Ewari-^arri alla l. 40, la cui eventuale titolatura non
è indicata. Allo stato dei fatti, dunque, non risulta agevole aderire alla tesi della Ep-
stein (1963, 243), di considerare questo individuo il sovrano di Qatna più anticamente
noto111.
Quanto ad altri nomi menzionati nell’inventario maggiore, vanno segnalati i se-
guenti donatori di maggior prestigio, con le loro rispettive collocazioni:
- Prima del primo colofone: Al regno di Naplimma va decisamente collegato il donati-
vo di D/|uru^a, re di Qadesh (v. §2c). Alla prima fase del regno di Addu-nirārī si ri-
feriscono invece i donativi della donna Sapa (per cui cfr. l’inventario II), di Pizza-
lum, verosimilmente figlia di Addu-nirārī stesso, e di Lullu, uno ^akkanakku.
- Prima del secondo colofone: ancora a Pizzalum vanno attribuiti uno, o forse due,
donativi forniti nella tarda fase del regno di Addu-nirārī.
108
La prima menzione di un donativo a nome di Addu-nirārī (già provvisto di titolatura regia) è alla
l. 249; ovvero —fatte salve le rotture testuali— solo 12 sezioni più indietro della l. 327. Si potrebbe
in tal senso supporre che qui, all’incirca, fosse posizionato il colofone di una recensione precedente
ad I.A., magari redatta in occasione dell’intronizzazione di questo sovrano (come nel caso di Idadda
alla l. 380).
109
Cfr. già Bottéro 1949, 29, pur se in maniera un po’ impressionistica: “Mais il est bien possible
que A n’ait pas été la première [recension]. Toute une histoire semble, en effet, apparaître à travers
les 327 premières lignes du document”. Del resto, già du Mesnil (1935, 23) aveva segnalato, sulla
scorta delle informazioni fornitegli da Virolleaud, che “Une première partie de l’inventaire jusqu’à
la ligne 131 paraît contenir la liste de “l’ancien fonds” accumulé depuis la fondation du temple jus-
qu’à la période qu’on pourrait appeler contemporaine par rapport aux derniers rois nommés”.
110
Considerando tale intervallo testuale relativamente esteso, è teoricamente possibile che anche
più di una recensione precedente ad A fosse stata redatta a nome di questo sovrano.
111
Anche se un caso relativo ad una donazione di Addu-nirārī (l. 333) potrebbe indicare che la tito-
latura regia non veniva accompagnata al nome in maniera costante in questo inventario.

21
- Prima del terzo colofone: il solo donativo nominale fornito durante il regno di Idad-
da, o magari già sotto suo padre Ula^udda, è quello della donna Pū~u, altrimenti i-
gnota.
***
L’inventario II, invece, pone alcuni problemi particolari riguardo al colofone
in sé e altresì in relazione ai nomi dei “donatori”. Come visto sopra, solo la recensio-
ne B presenta il colofone: esso si riferisce ad una redazione del testo nel 18° anno di
un sovrano, il cui nome è perduto. In vista della lunga durata del regno di Addu-nirārī
vista sopra, la prima tentazione sarebbe di attribuire anche questa recensione di II a
tale re. Tuttavia, tra i donatori menzionati prima del colofone, compare Ammut-pa-il
figlio di Idadda; e dato che di Ammut-pa-il non è precisato lo status di re di Qatna, si
può più verosimilmente ipotizzare che la data mutila del colofone si riferisse al 18°
anno del regno di suo padre112.
Il secondo problema riguarda poi un inquadramento cronologico teorico per la
recensione A. Poiché in questo testo manca il colofone, e l’elencazione è di 4 righe
più lunga di quella di B, fino al termine dello spazio disponibile sulla tavoletta, se ne
concluderà che (a) A era la recensione seriore delle due113, e che (b) il suo colofone
avrebbe potuto essere iscritto su una seconda tavoletta, non giunta fino a noi114.
Su questa base, se si parte dal presupposto che il colofone di II.B si riferiva ad una
data successiva a quella dell’ultimo colofone di I, andrebbe postulato un ulteriore lasso di
tempo fino alla data dell’eventuale colofone dell’esemplare II.A. Tale intervallo temporale
potrebbe dunque condurci anche decisamente oltre la durata del regno di Idadda, cioè al
tempo di un re di Qatna suo successore: e costui avrebbe potuto essere il figlio Ammut-pa-
il, oppure altri (diversi o posteriori).
Infine, un elemento di complessità particolare è dato dai nomi dei donatori pre-
senti nell’inventario, che sono esclusivamente concentrati nella sezione 9. Qui tro-
viamo, come visto sopra, coppe d’oro di vario tipo e peso a nome dei seguenti quattro
individui:
Prima del colofone di B:
- Ammut-pa-il, figlio di Idadda;
- la donna Sapa —con ricopertura successiva del nome iscritto e nuova dedica
dell’oggetto ad una divinità;
Dopo il colofone di B (=sul solo esemplare A):
- Aki-Te^^ub;
- Naplimma, “il re”.
Ora, se si compie un rapido confronto con i nomi dell’inventario I, si noterà

112
Come terza possibile alternativa il colofone di B potrebbe riferirsi al 18° anno di Ammut-pa-il
medesimo, divenuto nel frattempo sovrano di Qatna.
113
Come visto sopra (§1b) le recensioni C e D di quest’inventario sono in stato ampiamente fram-
mentario, sì da non permettere di giudicare se esse contenessero originariamente un numero di righe
maggiore rispetto ad A e B.
114
Naturalmente, è altrettanto verosimile l’ipotesi alternativa, che la recensione A non fosse stata
conclusa da alcun colofone, per ragioni puramente scribali-amministrative o di altra natura.

22
che i personaggi qui attestati si riferiscono a fasi cronologiche del tutto diverse tra lo-
ro115. E’ peraltro curioso notare come tutti i nomi altrove noti siano sistemati in ordi-
ne cronologico inverso: il primo, infatti, è quello del figlio del sovrano più recente
dell’inventario I, mentre il secondo, quello della donna Sapa, si lascia collocare in I
prima di Addu-nirārī, o al massimo negli anni iniziali del suo regno. Tale inversione
temporale continua, peraltro, nella parte finale, aggiunta successivamente al colofone
di B, con la presenza di un donativo a nome di Naplimma, che abbiamo visto essere il
più antico re di Qatna nell’inventario maggiore. Come si dirà più avanti (§3b) da que-
sto singolare elenco è, in realtà, possibile dedurre una vaga traccia di natura conte-
stuale relativa alla formazione dell’inventario minore nel suo complesso.
Un solo nome di donatore di questo testo non ricorre, come gli altri, nell’inventario I,
quello di tal Aki-Te^^ub: potrebbe dunque trattarsi, almeno in teoria, di una personalità coe-
va alla fase dell’ultima redazione dell’inventario II. Ora, le fonti indicano due individui di
tal nome provvisti di ruoli di rilievo politico in Siria centrale: (1) un fratello del re Takuwa
di Niya, la cui notorietà è dovuta al fatto di aver riunito attorno a sé una serie di capi milita-
ri, precedentemente sudditi del regno di Mitanni, al fine di contrastare l’avanzata militare di
&uppiluliuma I in Siria (KBo I 1, 35), e (2) il padre di un personaggio invocato dagli abitanti
della città di Tunip come loro principe (EA 59:15-18) 116. D’altra parte, ambedue questi in-
dividui (se non si tratta addirittura della medesima persona) vanno collocati nella piena età
del Tardo Bronzo, e specificamente nella fase della competizione tra Ittiti ed Egiziani per il
dominio sulla Siria centrale, mentre —anche in vista dell’assenza dell’amarniano re Akizzi
di Qatna dai nostri testi— il regno di Idadda potrebbe datarsi ad una o due generazioni pri-
ma, nella fase conclusiva della dipendenza di Qatna dal regno di Mitanni. Pertanto,
l’identità del nostro Aki-Te^^ub, peraltro privo di alcuna titolatura professionale, è destinata,
almeno per ora, a restare enigmatica117.

e. Concludiamo, riportando la sequenza di regnanti locali, quale è ricostruibile sul-


la base dei colofoni e dei nomi di donatori nei due maggiori inventari. Salvo per al-
cune precisazioni tra parentesi, essa non si differenzia da quella già fornita da Botté-
ro, e in seguito più volte citata nella letteratura secondaria su Qatna118:
- Naplimma (coevo di D/|uru^a, re di Qadesh119; padre di Sin-adu);

115
Osservando queste attestazioni, Bottéro concludeva che “Il faut donc que les vases, et les noms
de leurs ‘donateurs’ aient été énumérés ici en vrac” 1949, 36-37.
116
Cfr. Liverani 1998, I, 299-300. Altri individui omonimi sono comunque noti da Ugarit, Nuzi, e
Alalakh (cfr. Hess 1993, 26-27).
117
Salvo, ovviamente, non ritenere che il testo più recente della nostra collezione, II.A, potesse es-
sere stato redatto e/o “chiuso” in una data ben posteriore quella di II.B, che, come s’è visto, è attri-
buibile ad Idadda o a un suo immediato successore; in tal caso, Aki-Te^^ub avrebbe ben potuto essre
un donatore di origine straniera, come il re di Qade^ e lo ^akkanakku Lullu dell’inventario I. Ancora
a proposito di Aki-Te^^ub, si ricorderà, a titolo puramente informativo, che du Mesnil (1935, 25)
suggeriva, al contrario, di vedere in costui un sovrano locale, che sarebbe stato “l’adorateur du So-
leil et l’introducteur du culte d’Amon à Qatna”, e dunque un diretto predecessore dell’amarniano
Akizzi.
118
Bottéro 1949, 31. Tra le trattazioni della storia di Qatna che citano tale sequenza, cfr. ad es. la
più recente, ad opera di Klengel (2000, 248).
119
La contemporaneità di questi due re è l’argomento di partenza dello studio della Epstein (1963,

23
- Sin-adu (regalità non comprovata)120;
- Addu-nirārī (almeno 45 anni di regno; padre della donna Pizzalum);
- Ula^udda (regalità non comprovata; padre di Idadda);
- Idadda (padre di Ammut-pa-il)
- Ammut-pa-il (regalità non comprovata, peraltro forse successiva al periodo
degli inventari)
In pratica, cumulando i 45 (e forse più) anni di regno di Addu-nirārī con i 18 (e
forse più) anni di Idadda (o di suo figlio) con altri indeterminati interposti, successivi
e soprattutto precedenti, si può suggerire un lasso di tempo di circa un secolo
come intervallo minimale tra la prima e l’ultima redazione degli inventa-
ri a nostra disposizione: questa tesi è peraltro in linea con la ricostruzione della
Epstein (1963, 245) che suggeriva un intervallo di 130 anni (1520-1390 a.C.) tra Na-
plimma e Ammut-pa-il. Quanto alla datazione assoluta dei testi, finora oggetto del so-
lo tentativo della Epstein medesima, ci sembra poco proficuo compiere ipotesi speci-
fiche in merito al momento attuale: non solo perché è in corso un sostanziale proces-
so di revisione cronologica comparata per il II millennio a.C.121, ma altresì perché è
ben probabile che la pubblicazione della documentazione epigrafica di recente sco-
perta sul sito di Tell Misherfa/Qatna apporti diverse nuove informazioni a riguardo122.
Per il momento, dunque, si terrà ferma una generica datazione “in blocco” dei nostri
testi tra XV e XIV sec. a.C., pur sottolineando il fatto che, in vista dell’intervallo re-
dazionale interno ricostruito sopra, la prima redazione del testo I potrebbe ben rimon-
tare alla fase più antica del dominio mitannico in Siria (fine del XVI sec.), mentre la
versione finale del testo II potrebbe riferirsi addirittura al periodo iniziale del domi-
nio ittita sull’area (metà del XIV sec.).

3. Funzione e contesto degli inventari di Qatna.

a. Ad una rilettura degli inventari di Qatna, si resta in prima istanza colpiti dai
contenuti stessi di questi testi: e in particolare dalle estese e complesse elencazioni di
monili per gli dèi, redatte con accuratezza e minuzia descrittiva ragguardevoli, e ol-

242), che identificava D/|uru^a con il re innominato di Qadesh descritto da Tutmosi III come pro-
prio avversario nella battaglia di Megiddo (da essa datata al 1481 a.C.). Da qui la Epstein (1963,
245) derivava una cronologia complessiva per la sequenza dei sovrani di Qatna, da Naplimma (ca.
1520-1495) a Ammut-pa-il (ca. 1400-1390), considerato a sua volta precursore dell’amarniano A-
kizzi (ca. 1390-1380). Come già indicato (v. nota 82, supra), la Epstein premetteva alla sequenza il
nome di Ewari-^arri (datato ipoteticamente alla prima metà del XVI secolo).
120
Cfr. la nota 87, supra.
121
Cfr. Gasche et al. 1998.
122
Per la determinazione di uno schema cronologico dei nostri testi, ci sembra indispensabile stabi-
lire la posizione temporale del regno di Idadda —menzionato, a quanto risulta, nelle tavolette da
poco scoperte (cfr. nota 10, supra)— in relazione alla fine del dominio mitannico in Siria, e specifi-
camente in relazione alle spedizioni di &uppiluliuma nella regione. Da qui potrà discendere anche
un’eventuale chiarificazione sulla vexata quaestio circa il rapporto temporale e dinastico tra i so-
vrani di Qatna noti dai nostri inventari e il re Akizzi di amarniana memoria.

24
tretutto con caratteristiche di larga omogeneità lungo l’arco di diversi regni successi-
vi. Si tratta di una precisione descrittiva invero singolare, che si estende dalla natura
materiale e forma fisica di gioielli o recipienti, alla descrizione degli elementi decora-
tivi annessi quanto al loro numero, alla tipologia, alle tecniche associative utilizzate
nella loro manifattura (fusione, intarsio, incastonatura, inanellamento), e quindi alla
loro reciproca disposizione “architettonica” entro i preziosi. Né mancano le notazioni
ancora più specifiche, su eventuali iconografie (floreali, animali, umane, o divine)
scolpite su figurine o incise su placche, o sulle epigrafi eventualmente iscritte sugli
oggetti —dalle formule apotropaiche sugli amuleti, ai nomi dei dedicanti o alle iden-
tità delle divinità celebrate su questo o quel recipiente o gioiello123.
Da questo punto di vista, questi inventari riescono dunque a offrirci —
nonostante l’abbondanza di termini tecnici, specie di origine hurrita, ancora oggi di
difficile comprensione— una ben soddisfacente “istantanea” del settore di maggior
pregio artistico della cultura materiale della Siria del tardo XV a.C.124. In un’altra ot-
tica, poi, questi elenchi testimoniano di una vasta e prolungata opera di tesaurizzazio-
ne di materie pregiate, quale veniva attuata in quest’epoca da parte delle massime i-
stituzioni cittadine: in sostanza, almeno uno dei modi in cui oro, argento e pietre pre-
ziose venivano fatti affluire nelle casse pubbliche di Qatna era sotto la forma di co-
stanti prebende dei sofisticati lavori di oreficeria qui registrati. E se tali cospicue of-
ferte avevano senz’altro la loro prima ragion d’essere in credenze religiose diffuse e
di lunga tradizione, è verosimile che esse agissero altresì da sfondo per rinverdire o
consolidare concezioni di natura propriamente politica, dalla continuità dinastica in-
terna alle relazioni di buon vicinato con i regni circostanti.
***
A partire dalla lettura dei due inventari più ampi, risp. intitolati “dotazione di
gioielli della dea NIN.É.GAL, signora di Qatna” e “dotazione di gioielli degli dèi del
re”, abbiamo suggerito, con diversi elementi d’appoggio, che due statue, verosimil-
mente a grandezza naturale, rappresentassero gli effettivi ricettacoli delle offerte
(§2a). Ma questo “ancoraggio” dei due ^ukuttu a effigi scolpite, provviste di monu-
mentalità e di valenza sacrale, rappresenta di per sé uno stimolo a formulare due do-
mande ulteriori, incentrate sulla ricostruzione storica del contesto ideologico e mate-
riale relativo alle dotazioni stesse. Quali modalità temporali e/o fattuali presiedettero
alle deposizioni di gioielli nel tempo? E quale poteva, d’altro canto, essere la colloca-
zione fisica della statuaria e/o dei preziosi —ovvero in quale ambiente degli edifici
pubblici di Qatna dovremmo ricostruirne l’ubicazione originaria?
Di fatto, come s’è visto dai brani forniti sopra in traduzione e dall’analisi fin
qui condotta, i testi —pur adombrando la presenza delle due statue sullo sfondo—
non presentano alcuna notazione esplicita circa il contesto cerimoniale e ambientale
in cui collocare le dotazioni di gioielli di Qatna. Alla luce di tale laconicità redaziona-

123
In questo senso, gli inventari di Qatna presentano un’elencazione ben più complessa e dettagliata
di altre liste di gioielli dell’epoca, come ad es. le liste per il matrimonio di Tadu~epa di Mitanni (EA
22, 25).
124
Simile il giudizio di Edzard –Veenhof 1976-80, 137: “Dank der ziemlich genauen Beschreibung
sind die I.(nventare) aus Qatna vom unschätzbarem Wert auch für den Archäologen”.

25
le, appare dunque assai arduo, allo stato attuale delle conoscenze, riuscire a porre
concretamente in risalto la Sitz im Leben dei nostri testi; tuttavia non sarà inutile ten-
tare almeno di impostare le problematiche a riguardo, secondo parametri di verosimi-
glianza e realismo.
A tal fine, appare senz’altro opportuno vagliare la nostra documentazione sullo
sfondo di scenari più ampi: da un lato, tramite confronti con altri insiemi testuali di
ambito siro-mesopotamico relativi a dotazioni di gioielli per le divinità (v. §3b, infra),
e dall’altro in rapporto alle informazioni riguardanti gli scavi archeologici di Tell Mi-
sherfa da un settantennio a questa parte —dai primi rapporti a firma di Du Mesnil du
Buisson fino ai resoconti di attività sul campo avvenute nel corso degli ultimi anni
(§3c). Sulla base di questo duplice confronto, potranno infine fornirsi alcune conside-
razioni conclusive (§3d), che terranno anche conto delle comunicazioni ancora prov-
visorie sulle scoperte più recenti.

b. Iniziamo dalla questione dei tempi e dei modi secondo cui potevano aver
avuto luogo le donazioni di gioielli descritte negli inventari. Tali aspetti, si noterà, ri-
sultano per lo più omessi nelle liste di dotazioni di statue divine entro l’ambito docu-
mentario siro-mesopotamico: così, ad esempio, i numerosi inventari di ^ukuttu per le
divinità di Sippar, di età caldea e achemenide125, presentano, come quelli di Qatna,
mere liste di gioielli in sequenza, lasciando l’interprete parimenti all’oscuro circa le
occasioni cerimoniali che potevano aver motivato le offerte. Vero è, d’altra parte, che
nelle quasi 400 righe che lo compongono, l’inventario I da Qatna mostra una “logica”
redazionale virtualmente opposta a quella di tali elenchi da epoche posteriori, tesi alla
pura e semplice registrazione dell’esistente entro il breve spazio di singole tavolette.
Infatti, come già indicato (cfr. §1c), tale inventario —seppur forse nato da simili liste
contingenti— dovette trasformarsi ben presto in un modulo redazionale conti-
nuo; e tale modulo fu, a sua volta, oggetto di plurime ricopiature d’insieme, effettua-
te al fine di includervi gli apporti progressivi di preziosi.
Un impianto testuale così concepito e articolato rivela, in tal modo, di aver a-
vuto una sola, ma ben precisa, finalità: quella di documentare la “storia” delle dona-
zioni offerte alla dea di Qatna da parte di re e di maggiorenti cittadini —che erano
forse, al contempo, membri della famiglia reale, come nel caso palese della principes-
sa Pizzalum— in una visuale diacronica culminante, recensione dopo recensione, con
l’elenco dei monili forniti durante l’epoca, e per impulso, del monarca attuale (cfr.
§2d). Insomma, l’inventario dei monili per NIN.É.GAL appare essere stato compila-
to, e continuamente aggiornato, allo scopo prioritario di evidenziare il preciso lega-
me, in ambito cultuale, tra la “dea di Qatna” e la regalità locale —un legame peraltro
del tutto in linea con il ruolo tradizionale, di protezione del palazzo reale e dei suoi
occupanti, sia vivi che defunti, rivestito dalla dea in vari contesti siro-mesopotamici
dal III millennio in avanti126.
Se dunque l’inventario I costituiva la “memoria storica” di come i successivi
sovrani di Qatna avessero onorato una dea posta a protezione della loro dinastia pas-

125
Tali testi sono stati recentemente ristudiati da F. Joannès (1992): cf. la nota 26, supra.
126
Cf. §2b, supra.

26
sata e presente, è nella sfera d’azione della regalità locale che si dovranno cercare e-
ventuali tracce di occasioni cerimoniali per le donazioni stesse. E, in effetti, una cir-
costanza pubblica, cui allude l’inventario maggiore, appare del tutto coerente con tale
assunto: si tratta, infatti, dell’intronizzazione di Idadda, qual è documentata indiret-
tamente dal colofone I.D, redatto “nel 1° anno” di questo re. Ancora agli interessi
della regalità locale sembrerebbero poi connettersi i due casi più evidenti di donazio-
ni da parte di personalità eminenti di origine straniera, il re di Qade^ e lo ^akkanakku
Lullu, rappresentante di uno stato non precisato. Ulteriori eventi cerimoniali che po-
tevano presiedere alle offerte di monili alla divinità (magari nell’ambito degli obbli-
ghi imposti ai sovrani dal calendario cultuale anno, come a Emar) sono infine ben ve-
rosimili, e assumano particolare probabilità al tempo di Addu-nīrārī, titolare di mol-
teplici donazioni durante il proprio lungo regno; purtroppo, però, la mancanza di rife-
rimenti specifici nell’inventario ci impedisce di precisarne la natura127.
***
Tant’è, dunque, per l’inventario della dotazione di NIN.É.GAL cui mostrano di
aver contribuito numerosi personaggi, ora più ora meno precisabili nella loro connes-
sione funzionale con il palazzo reale di Qatna. Ma anche l’inventario II, già di per sé
significativamente dedicato ai gioielli degli “dèi del re”, mostra qualche dato supple-
mentare sul rapporto complessivo tra la dinastia regnante e l’ambito cultuale locale.
Infatti, come si è già notato (§2d), la sezione conclusiva di questo testo presenta un
elenco di vasi d’oro e d’argento —di peso assolutamente eccezionale all’interno del
complesso degli inventari— ascritti a donatori riferibili a fasi cronologiche ben diver-
se. Tra i diversi casi, è particolarmente curiosa l’attestazione di un vaso d’oro, che era
già stato oggetto di dedica da parte di Sapa —una personalità femminile dell’epoca di
Addu-nīrārī— il cui nome fu successivamente cancellato, per fare posto a quello di
una divinità dal nome di dÚ-wa-ri-in-nu128. In sé, una tale descrizione sembra rinviare
ad una situazione di deciso reimpiego: avremmo cioè a che fare con un vaso prezioso,
già offerto in tempi precedenti, e forse collocato in altra sede di culto cittadina, che fu
successivamente spostato al fine di rimpinguare la dotazione a beneficio delle divinità
della Real Casa di Qatna.
Ora, la rimozione tout court di gioielli dall’appannaggio di una divinità per ap-
porlo a quello di un’altra, trova paralleli, ad es., nel già citato corpus di inventari da
Sippar. Infatti, viene ivi fornita la descrizione di un monile
“[appartenente alla dea] Aya, che è stato installato sulla statua della dea &ala”129.

127
In via generale, dato l’impianto precisamente diacronico del testo I, si potrebbe addirittura so-
spettare che la suddivisione interna di esso in sezioni, dedicate a singoli preziosi, riflettesse dona-
zioni avvenute in occasioni fisse, che avrebbero potuto essere a cadenza annuale o pluriennale. Ma-
lauguratamente, tuttavia, la perdita di una parte del testo tra le ll. 275 e 291 impedisce di corrobora-
re appieno questa tesi, anche per il ben documentato di Addu-nīrārī.
128
Il nome parrebbe essere hurrita; e ci si chiederà se esso presenti per caso una relazione con il se-
condo termine del nesso na-wa-ri ú-wa-ri, apparentemente corrispondente al nome divino Bēlet-
Nagar nei ben noti testi di incantesimo in hurrita da Mari (v. da ultimo Sharlach 2002, 113).
129
CT 55, 311: V. 1’-2’; cfr. Joannès 1992, 179.

27
Ma se il vaso di Sapa fa senz’altro intravedere uno scenario di reimpiego di
beni di lusso —magari con esplicita dislocazione da un ^ukuttu divino ad un altro—
non è detto che consimili vicende non si celassero dietro la presenza degli altri pre-
ziosi elencati nella sezione finale di II. Si potrebbe infatti sospettare che un analogo
spostamento fosse alla base della presenza del recipiente recante il nome del re Na-
plimma, vissuto quasi un secolo prima dei sovrani Idadda o Ammut-pa-il, cui si rife-
risce questo inventario.
Inoltre, l’elenco conclusivo di II presenta due ulteriori coppe in metallo prezio-
so, recanti in comune la dedica “agli dèi del padre”. Ora, si è già notato come tale e-
pigrafe risulti pienamente in linea con l’intento complessivo di un ^ukuttu per gli “dèi
del re”. D’altra parte, l’elencazione di tali recipienti accanto a possibili prodotti di
reimpiego potrebbe far sospettare che anch’essi facessero parte della medesima cate-
goria, oppure —in alternativa— che si trattasse di vasi prodotti ex novo, a partire da
pezzi precedenti in metallo, sottoposti a fusione e a rimodellamento in nuove fogge.
Che quest’ultima pratica fosse di relativa frequenza e normalità, è ben docu-
mentato, ad es., dai testi epistolari dal palazzo di Mari: specie ove integrati dalle noti-
zie di registri amministrativi di gioielli, che ci tramandano le descrizioni di offerte per
le divinità, oppure della composizione di doti matrimoniali, oppure ancora dei doni di
lusso di sovrani stranieri in entrata al palazzo130. Ad esempio, è illuminante il passo
seguente, che illustra l’uso di fondere manufatti aurei di specifiche dotazioni divine al
fine di costituirne dei nuovi, destinati addirittura ad altro culto:
“15 sicli d’oro, rappresentante un grande disco solare, proprietà della dea I^tar di Ra-
dan, per farne tre montagne formanti i fermagli dei grandi dischi solari, proprietà della dea
Annunitum; 4 sicli, peso delle mole a cloisonné, proprietà della dea I^tar di Radan, da met-
tere al forno”131
Un consimile uso di “strappare” l’oro da dotazioni divine per nuove esigenze
decorative/cultuali, è peraltro attestato anche per l’età neo-assira. Si veda, ad es., un
testo amministrativo dell’età di Sargon II (SAA VII, 79), in cui viene elencato in più
voci il ragguardevole totale di 4 talenti e 57 mine d’oro —tra “pesante” e “raffina-
to”— verosimilmente destinato al rifacimento di statue e arredi nella nuova capitale
di Dur-&arruken. L’origine dell’oro è chiarita dalla seguente intestazione (Recto, ll. 1-
3):
“L’oro, che proviene da sopra [le statue(?)132], della dotazione di ornamenti (^u-kut-
te) degli dèi133, che A^^ur-bani, governatore di Kal~u, ha recato giù”.
***

130
La maggior parte di tali testi furono pubblicati in ARMT XXV (1986) da H. Limet (v. in partico-
lare i nn. 537 segg.); ma cfr. Durand 1990, per nuove letture e interpretazioni, con aggiunte di ulte-
riori materiali afferenti, specie di carattere epistolare.
131
ARM VII, 4: 9-12; cfr. Durand 1990, 128-129.
132
Questa emendazione si basa sul fatto che il primo elemento effettivo della lista (Recto, l. 6) è “47
mine d’oro, da sopra (le statue) animali” (TA* UGU ú-ma-{ma!}-ni).
133
Il testo ha {MUL!}ME&, ma —come indicato nell’edizione— potrebbe trattarsi di una svista scri-
bale per DINGIR ME&, in quanto una dotazione di preziosi per “le stelle” dà poco senso.

28
Com’è ovvio, tutti questi tentativi di ricostruzione contestuale riguardo ai vasi
cumulativamente descritti nell’ultima sezione di II sono largamente ipotetici. Resta
però il fatto, già notato sopra (§2d), che tale sezione presenta un inconsueto concen-
tramento di tali recipienti dal valore ponderale cospicuo, i cui donatori si riferiscono a
fasi tra loro diverse della vicenda politica di Qatna. Per questa ragione —come anche
per il fatto di articolarsi in pochi lotti di preziosi— si può senz’altro concludere che
l’inventario II manca del tutto di quel respiro documentario diacronico, e del conse-
guente intento “storiografico”, che abbiamo visto invece costituire il tratto distintivo
principale del testo sul ^ukuttu accumulato dai sovrani di Qatna per la dea cittadina.
Ma proprio a partire dalle caratteristiche suddette —la brevità dell’elencazione
e l’ammassamento privo di regola dei donatori al termine di essa— ci si chiederà se
questo inventario minore non debba considerarsi come la testimonianza di un atto
singolo, finalizzato esplicitamente alla creazione di una dotazione unitaria di preziosi
a favore degli “dèi del re”. In altre parole, ci si chiederà se l’inventario II (almeno
nelle sue prime 44 righe fino al colofone di B) non documenti la costituzione ini-
ziale di un ^ukuttu, formato attorno ad una statua maschile di valenza teofora tramite
l’apporto di alcuni lotti di gioielli disponibili, a cui sarebbero stati aggiunti pezzi di
vasellame di pregio eccezionale, tratti da altre sedi e destinazioni cultuali di ambito
cittadino o magari rimodellati all’uopo. Una tale dotazione rinvierebbe, senza ombra
di dubbio, alla dinastia regnante su Qatna: se già il culto di NIN.É.GAL mostrava
precisi elementi di rimando alla regalità locale con implicazioni verso il mondo degli
inferi, con quest’altro ^ukuttu avremmo un segno ancora più evidente di una religiosi-
tà familiare-funeraria, tesa esplicitamente a celebrare i monarchi defunti tramite il ri-
ferimento alle divinità tutelari della stirpe regale.
L’ipotesi che l’inventario II rappresentasse una dotazione del tutto nuova (e
magari, costituita ex abrupto) potrebbe poi avere alcuni riflessi —finora non chiara-
mente evidenziati— sulla cronologia comparata dei due inventari maggiori. Partendo,
infatti, dalla data per la recensione più tarda del testo maggiore (I.D) al primo anno di
regno di Idadda, assumerebbe un rilievo particolare il fatto, che il colofone II.B possa
attribuirsi ancora al regno di Idadda o a quello del suo possibile successore Ammut-
pa-il. In sostanza, nell’ottica della creazione innovativa di un secondo ^ukuttu da par-
te dei re di Qatna, la successione temporale, assai stretta, tra I.D e II.B potrebbe non
doversi attribuire unicamente al caso, come finora ritenuto, bensì —in alternativa—
alla possibile insorgenza di decisioni e/o circostanze specifiche.
Si veda, a riguardo, la seguente tabella II:

Inventario I Inventario II
Re più antichi (?)
Naplimma
(Sin-adu)
Addu-nirārī – I.A, I.B
Idadda , 1° anno – I.D
Idadda (o Ammut-pa-il), 18° anno – II.B
Re più recenti (?) – II.A
Tab. II.

29
Quale potrebbe essere stato il possibile sfondo contestuale per questo —
senz’altro singolare— “concatenamento” cronologico tra i due inventari, tale da fare
iniziare la vicenda redazionale di II più o meno in coincidenza con il termine della
“storia” più che centenaria di I? Si dovrà forse ritenere che Idadda abbia operato un
qualche mutamento nella “politica” della dinastia regnante di Qatna in materia cultua-
le? Oppure si dovrà sospettare che egli sia stato costretto a riversare la sua attenzio-
ne sulla pietà per gli antenati reali, anziché continuare —come i re suoi predecessori
da almeno un secolo— ad onorare la “Signora di Qatna”?
E, in tal caso, tanto per azzardare un’ultima ipotesi: si dovrà per caso supporre
che la statua della dea NIN.É.GAL, assieme alla sua dotazione corrente di gioielli,
non fosse più al suo posto tradizionale quando Idadda (o Ammut-pa-il) mise mano al-
la costituzione del nuovo ^ukuttu per il più generico insieme degli “dèi del re”? In-
dubbiamente, risposte in merito potranno essere fornite unicamente tramite l’apporto
di documentazione ulteriore sulle vicende, di politica interna ed estera, che ebbero
Idadda e i suoi immediati successori come protagonisti.

c. Possiamo a questo punto affrontare —sia pure in breve— la seconda delle


questioni poste sopra: quella relativa alla possibile collocazione in antico delle dota-
zioni di gioielli elencate negli inventari. Iniziamo dall’interpretazione proposta da
Robert du Mesnil du Buisson relativamente alle proprie scoperte sul campo a Tell
Misherfa. L’archeologo francese identificava, fin dalla campagna del 1927,
l’ambiente complessivo di ritrovamento del lotto omogeneo degli inventari, nella zo-
na occidentale della cosiddetta “Butte de l’Eglise”, come sede di un tempio dedicato
alla dea NIN.É.GAL medesima, posto all’esterno del palazzo reale di Qatna, ma in
stretta adiacenza con gli ambienti di rappresentanza di quest’ultimo (cf. fig. 1)134.
Secondo i rapporti parziali e finali pubblicati da du Mesnil, il “Tempio di
NIN.É.GAL” corrispondeva ad una vasta spianata intonacata (17,20 x 42 m. ca.), la
cui zona centrale conteneva un sostanziale accumulo di cenere, carboni e frammenti
ceramici135. Agli angoli N e SE, grandi ortostati in pietra (di cui du Mesnil identifica-
va le basi) costeggiavano, ad un’altezza di ca. 30 cm. rispetto al livello del suolo cir-
costante, il muro in mattoni crudi (per lo più soggetto a spoliazione) che costituiva la
cinta dell’ambiente. Un accesso al “Tempio” doveva trovarsi nel mal conservato lato
occidentale; d’altra parte, è sul lato Est che du Mesnil pone la porta principale, in di-
rezione degli ambienti di rappresentanza del Palazzo reale di Qatna136. Si tratta della
cosiddetta “Porte royale”, costituita da due lunghe anticamere parallele in senso N-S
(ca. 17, 50 m.), unite da un passaggio più ristretto (5,80 m.), che collegava la spianata
del “Tempio” con la cosiddetta “Sala del Grande Vaso”, considerata di indiscutibile
afferenza palatina137.
134
“Cet édifice (cioè. il “Tempio di NIN.É.GAL”) a eté identifié par la découverte des grandes ta-
blettes portant ‘l’inventaire de la déesse Nin-Egal, dame de Qa\na’” (Du Mesnil 1935, 71).
135
Du Mesnil 1935, 72.
136
Du Mesnil 1935, 75.
137
E’ di un certo interesse notare come la metodologia complessiva adottata dal Conte du Mesnil a
Tell Misherfa rappresentasse un interessante coacervo, in cui tecniche di scavo relativamente preci-

30
L’angolo NE dell’ambiente del “Tempio” era occupato da una ridotta cinta ret-
tangolare (10,45 x 6 m.), anch’essa bordata da alti ortostati di calcare o alabastro. Qui
Du Mesnil rinveniva il lotto delle tavolette, assieme a due statue egizie e alcune cop-
pe basaltiche. Questa cinta minore —che du Mesnil ipotizzava fosse il Sancta sancto-
rum, riservato al culto della divinità— rivelava anche una base di basalto infossata
nel suolo intonacato, mentre a lato giacevano i resti di una tavola rotonda di alaba-
stro, identificata dall’archeologo come l’altare138. Anche quest’ambiente interno do-
veva avere un proprio ridotto accesso verso Est, che —attraverso un’anticamera in-
termedia— lo collegava con la cosiddetta “Sala della Pietra Nera”: quest’ultima era
caratterizzata dalla presenza di un frammento di betilo basaltico di 55 cm. d’altezza,
recante tracce d’incendio. Du Mesnil suggeriva che tale betilo, originariamente
presente nel Sancta sanctorum come effigie sacra, fosse stato trasportato in questa
sorta di “sacrestia”, in seguito a mutamenti di indirizzi religiosi; in una prima lettura,
comunque, la “Sala della Pietra Nera” era stata considerata l’ambiente ove poteva
essere stato depositato il complesso dei gioielli attestato negli inventari, la “tesoreria
di NIN. É.GAL”139.
Infine, al centro della spianata del “Tempio” con estensione verso il lato occi-
dentale, una cinta pressoché quadrata (11 x 10 m.) si presentava con l’intonaco pog-
giante su una preparazione di ghiaietto mista a sabbia, e pertanto con il suolo rialzato
di ca. 10 cm. rispetto alla spianata stessa: ne delimitavano i bordi quattro grandi basi
di colonne (di cui tre effettivamente ritrovate, a NE, SE, e —sia pure più consunta e
infossata—a NO), mentre una vasca basaltica rotonda (diametro: 1,75 m.) era posta al
centro del quadrato. Quest’area —denominata “cinta del Lago Sacro”— era interpre-
tata da du Mesnil come provvista di una copertura, forse un vasto baldacchino soste-
nuto da quattro pali poggianti sulle basi angolari140.
***
Questa rapida sintesi può bastare ad evidenziare come la scoperta delle tavolet-
te degli inventari abbia condizionato l’interpretazione complessiva della vasta spiana-
ta intonacata, del “ripostiglio” minore nel suo angolo NE, del quadrilatero di basi di
colonna con vasca al centro, e infine dell’adiacente ambiente con il betilo. Influenza-
to dalle risultanze epigrafiche, insomma, il primo archeologo di Qatna “lesse” tali
ambienti come una serie di strutture dedicate funzionalmente al culto, e specifica-
mente a quello della dea NIN.É.GAL, dal “Tempio” maggiore al Sancta sanctorum al
“Lago Sacro”, senza omettere una “sacrestia” con funzioni di deposito del ^ukuttu
della dea.

se sfociavano poi in tentativi di interpretazione contestuale basati su conoscenze archeologiche ac-


quisite e specifiche, oppure —faute de mieux— su casistiche di modelli abitativi (o di organizzazio-
ne spaziale) di tipo “universale”: così, se —come s’è visto— per l’ambiente complessivo del “Tem-
pio di NIN.É.GAL” viene attinto liberamente ad un repertorio di partizioni spaziali di tipo “sacro”,
per il palazzo di Qatna viene invece evocato il modello dell’abitazione araba e turca, con individua-
zione di comparti funzionali sul tipo dell’harem e del salamlık (du Mesnil 1935, 79 segg.).
138
Du Mesnil 1935, 75.
139
Ibid.
140
Du Mesnil 1935, 77.

31
Una revisione critica delle interpretazioni di du Mesnil circola da vario tempo
in alcuni settori dell’ambiente archeologico, specie alla luce delle interessanti analo-
gie tra le strutture architettoniche della “Butte de l’Eglise” e il Palazzo reale di Mari
di epoca “amorrea”, con le sue numerosi corti sistemate in sequenza141. Più di recen-
te, tale rilettura è stata proposta in maniera organica da M. Novák e P. Pfälzner, in
occasione della ripresa sistematica degli scavi —da parte tedesca e italiana—
nell’area della cosiddetta “Collina centrale” di Tell Misherfa/Qatna, già individuata
come sede di maggiori edifici pubblici della città antica. Specificamente, fin da un
primo approccio al sito nel 1999, i due archeologi tedeschi segnalavano la possibilità
che il cosiddetto “tempio di NIN.É.GAL” fosse da interpretarsi come una “Innen-
und Verteilerhof”, con una certa analogia con la corte 106 del palazzo di Zimri-Lim a
Mari142.
I rapporti preliminari, pubblicati con encomiabile regolarità, sono poi venuti a
precisare progressivamente la stratigrafia complessiva dell’area: così, il “Tempio” —
denominato oggigiorno Sala C— ha ricevuto una prima datazione d’insieme tra Me-
dio Bronzo e Tardo Bronzo (fase 5)143, poi ulteriormente precisata in due fasi abitati-
ve distinte, l’una più antica —fase 8 o “paleosiriana II”, corrispondente alla Qatna
dell’epoca di Mari— e l’altra più recente (fase 7, o “neosiriana”, relativa alla parte
più antica del Tardo Bronzo) 144. Sebbene l’ambiente C sia attestato —tramite le fon-
damenta dei suoi muri perimetrali— già nella fase più antica145, è al periodo più tardo
che andrebbero riferite le nostre tavolette e gli altri reperti scoperti in loco da du Me-
snil; alla stessa partizione cronologica, poi, andrebbero altresì rapportate le notizie te-
stuali, di data un po’ successiva, relative ai timori del sovrano Akizzi per l’avanzata
di &uppiluliuma I verso la città. La stratigrafia complessiva dell’area palatina nel suo
insieme non mostrerebbe ulteriori fatti insediativi di rilievo fino all’inizio dell’Età del
Ferro (fase 6 = IX/VIII sec. a.C.).
Lo scavo accurato dell’ambiente C portava poi ad ulteriori messe a punto di ri-
lievo. Trovati tutti i limiti murari dell’ambiente (ivi compresi i muri S e O, sfuggiti a
du Mesnil), la sala veniva a configurarsi ad impianto quadrato, con lati di 37 m. circa.
Nella zona centrale, veniva di fatto ribaltata l’interpretazione di du Mesnil circa la
funzione del cosiddetto “recinto del ‘Lago Sacro’”: proprio questa zona, con la sua
vasca basaltica al centro (ritrovata dagli archeologi tedeschi in situ146) avrebbe in
realtà marcato un impluvium delimitato dal quadrilatero di colonne, il solo settore a
cielo aperto entro l’ambiente (cf. fig. 2). Il rimanente della Sala C sarebbe invece
stato coperto da una soffittatura sorretta da travi costituite da robusti cedri del vicino
Libano, tali da congiungere i muri perimetrali nonostante la loro ragguardevole
distanza reciproca. In vista di tale soffittatura, poi, le bordature di ortostati di calcare
141
Sarebbe tuttavia fuorviante sostenere che tale revisione sia universalmente condivisa: v. una ras-
segna emblematica sulle diverse opinioni in proposito da parte di Novák—Pfälzner 2000, 26135. Del
tutto aderente alla visuale “templare” di du Mesnil è, ad es., la presentazione dei risultati di scavo in
Abou Assaf 1997.
142
Novák—Pfälzner 2000, 263-264.
143
Ibid., 275-282.
144
Novák—Pfälzner 2001, 165, 167 segg.
145
Novák—Pfälzner 2000, 279.
146
Novák—Pfälzner 2001, 168, Abb. 5.

32
reciproca. In vista di tale soffittatura, poi, le bordature di ortostati di calcare e alaba-
stro lungo i muri perimetrali non avrebbero avuto la funzione di scarico dell’acqua
piovana, bensì un ruolo meramente decorativo, in una certa analogia con il palazzo di
Yarim-Lim di Alalakh VII147.
Dal punto di vista funzionale, in sostanza, la sala C andrebbe considerata come
parte integrante e significativa del complesso palatino —pur tenuto conto del fatto
che tale ambiente andrebbe ad aggiungersi ad altre sale di notevole ampiezza poste in
sequenza tra i settori O ed E del palazzo di Qatna148. D’altro canto, soprattutto per la
presenza del Sancta Sanctorum nel settore NE della sala, individuato a grandi linee e
rinominato ambiente P, ma la cui funzione resta essenzialmente oscura, non è stata
esclusa la possibilità che una sede sacra legata alla dea NIN.É.GAL potesse essere
stata ubicata qui, come componente del complesso palatino stesso —come peraltro
nel caso del palazzo di Mari, che resta tuttora un modello di riferimento per la rico-
struzione delle “istruzioni per l’uso” del vasto palazzo di Qatna149. D’altra parte, per
ammissione degli stessi archeologi tedeschi, non sarebbe neppure da rigettare
l’opzione che il tempio della divinità —nella misura in cui essa era effettivamente la
“dea di Qatna”, come dichiarato dai nostri testi— giacesse altrove, e magari in una
sede più prestigiosa, ubicata al di fuori delle mura palatine150.
In pratica, dunque, nonostante i notevoli progressi metodologici e fattuali com-
piuti dalla Missione internazionale incaricata della ripresa degli scavi a Tell Misherfa,
rimane tuttora irrisolto il problema della contestualizzazione delle tavolette degli in-
ventari di Qatna, in relazione al luogo del loro ritrovamento da parte del Conte du
Mesnil du Buisson. Né la vasta sala C ha fornito testimonianze atte a chiarire la pro-
pria funzione precipua entro l’insieme di strutture che occupavano la “Collina centra-
le” di Qatna, né il ridotto ambiente P ha rivelato un eventuale ruolo distintivo
all’interno di questa corte ad impluvium, di cui forma l’angolo NE. Se dunque gli
scavi tra il 1999 e il 2001 hanno dato luogo a un ricontrollo dettagliato delle scoperte
precedenti in questo settore, dotandole peraltro di una ben più solida base stratigrafica
(con importanti riflessi sull’inquadramento cronologico e architettonico-funzionale),
alcune delle domande poste fin dai tempi di du Mesnil riguardo agli inventari di Qat-
na —per quale ragione i testi fossero ubicati collettivamente in quest’area, e se tale
luogo di rinvenimento avesse un rapporto con quello in cui erano custoditi i gioielli
elencati in essi— sembrano fatalmente destinate ad un ulteriore rinvio.

d. A parziale correzione di questo quadro —e, al contempo, a mo’ di riflessio-


ne conclusiva— sarà indispensabile far menzione della mirabile scoperta, compiuta
negli ultimi mesi del 2002 da parte degli stessi archeologi tedeschi, di una vasta tom-

147
Novák—Pfälzner 2001, 167-168.
148
Si tratterebbe, cioè, di una “zentraler Innenhof vor der Thronsaalgruppe” (Novák—Pfälzner
2000, 279).
149
Novák—Pfälzner 2002, 216: “Denkbar ware, dass Bēlet-Ekallim einen Schrein oder ein Heilig-
tum im Inneren des Palastes besessen hat, auf dessen Ausstattung sich die Auflistung bezog, und
dass dieser mit Raum P zu identifizieren ist”.
150
Ibid., 21620.

33
ba a più camere, posta al termine di un lungo dromos discensionale sottostante al pa-
lazzo reale, ove erano in precedenza venute alla luce 65 tavolette dell’epoca del re I-
danda —chiaramente da identificarsi con il sovrano Idadda dei nostri inventari 151.
Tale scoperta potrebbe, infatti, rappresentare un elemento rilevante per impostare in
una prospettiva più avanzata le questioni, poste sopra, circa la funzione e la conte-
stualizzazione degli inventari di Qatna.
Pur se le informazioni disponibili sul ritrovamento sono ancora scarse al mo-
mento della stesura di questo studio, si osserverà che l’ampio ipogeo, a più camere
sepolcrali posto ca. 7 metri sotto il palazzo reale, risulta includere classi di reperti che
rinviano con precisione ad un orizzonte tecnico e ideologico del tutto conforme a
quello disegnato dai nostri inventari. Ci si concentrerà, in particolare, sulle due statue
reali in trono ad altezza naturale, di basalto con doratura superficiale, poste fianco a
fianco ai due lati di una cappella esterna della tomba, e ancor più sul ricchissimo te-
soro delle camere interne, che comprendeva —frammisti a numerosi resti ossei umani
sparsi qua e là— ca. 1900 oggetti, tra i quali “two sarcophagi, pottery and alabaster
vessels, an ivory figurine, golden plaques decorated with floral and figurative scenes,
jewellery of gold, lapis, and carnelian, cylinder seals, and many more objects”152.
Già a prima vista, dunque, questo complesso monumentale d’eccezione mostra
di allinearsi perfettamente con lo sfondo ideologico-religioso a valenza funeraria, in
connessione precipua con la famiglia reale, che abbiamo ricostruito sopra per le dota-
zioni dei due inventari maggiori di Qatna: una sacralità proiettata verso l’aldilà sia di
carattere più tradizionale, qual è ricostruibile per la figura della dea NIN.É.GAL da
diversi altri contesti documentari, sia di carattere specificamente locale, qual è imme-
diatamente ovvia nel caso della dotazione di gioielli per “gli dèi del re” (o “dèi del
padre”). Inoltre, la presenza di statuaria reale a grandezza naturale trova una precisa
correlazione almeno con uno dei due pezzi scolpiti di cui si è postulata l’esistenza,
quello che fungeva da ricettacolo simbolico-pratico per le offerte elencate
nell’inventario II. Ancora, è il contenuto stesso delle tombe —anche solo nella de-
scrizione sommaria attualmente disponibile— a suggerire un quadro di manifattura e
oreficeria di elevatissimo pregio, del tutto analogo a quello che si è evinto dalle accu-
rate descrizioni di collane, coppe e placchette contenute nei due inventari maggiori. E
infine, la prossimità spaziale alla tomba delle tavolette attribuite al regno di Idan-
da/Idadda offre per il momento, se non altro, la suggestione che l’orizzonte cronolo-
gico dell’ipogeo sia non lontano da quello dei nostri inventari, tra la fine del Medio e
l’inizio del Tardo Bronzo —una suggestione che l’iconografia delle due statue reali
sembrerebbe peraltro confortare.
***
Si dovrà dunque ritenere che l’ipogeo reale di Tell Misherfa contenesse, in par-
te o in toto, quei medesimi monili che erano stati dedicati nel corso di quasi un secolo
151
Cf. le note 10, 11 e 12, supra.
152
Pfälzner 2003. I reperti risultano per il momento unicamente documentati tramite fotografie su
mezzi telematici. Di particolare pregio, ad es. una mano d’oro a quattro dita (verosimilmente per usi
di libagione), e un ornamento composto di un’elegante coppia di teste d’anatra rivestite d’oro con
piume a fine bassorilievo granulato; il perno tra le due figure è sormontato da una testa umana di
apparente tipo hathorico.

34
alla dea NIN.É.GAL, “signora di Qatna”, e/o quelli che erano stati, più di recente, de-
stinati al culto funerario degli “dèi del re”? Una risposta decisa a tale domanda è ov-
viamente prematura. Al minimo, comunque, l’eccezionale fattura e l’enorme massa
dei preziosi stipati nelle camere interne di questa tomba regia inducono a sospettare
che i donativi compiuti dai sovrani di Qatna —o da personaggi di spicco della corte
per loro conto— in onore di divinità poste a protezione della Real Casa, potessero a-
ver seguito i successivi monarchi defunti nella loro estrema (ed estremamente ben ce-
lata) dimora, e non essere rimasti in bella vista, invece, nei templi o nelle cappelle del
palazzo. In questi luoghi all’aperto e in superficie, infatti, avrebbero certamente ri-
schiato di fare la fine della statua dorata del dio solare —trafugata ad Akizzi dagli It-
titi— o magari anche di quella della “Signora del palazzo, signora di Qatna”, il cui
inventario specifico sembra cessare ad un certo punto, e la cui effigie non è finora sta-
ta rinvenuta.

ENGLISH ABSTRACT.
More than fifty years after their publication by J. Bottéro, the inventories of Qatna still hold
their full fascination, due to some aspects of their contents which have hitherto proved elusive. Es-
pecially in the light of the most recent archaeological discoveries on the site of Tell Misherfa/Qatna
(late 2002), a full-scale and updated re-examination of the Qatna inventories proves to be urgent.
The author’s aim (§1a) is thus to set forth the main contextual and historical problems stemming at
present from these inventories, through a structural examination of the texts and with the aid of col-
lations on the Louvre materials, as groundwork for scholars concerned with the newer textual and
artefactual evidence from Qatna.
The analysis opens (§1b) with a revised view of the textual layout of the inventories, which
brings to light the data directly available to Bottéro vs. the information derived from Virolleaud’s
transliterations (Fig. 1), and clarifies the inner differences between nos. I and II, which are en-
dowed with four constitutive manuscripts each, as against nos. III and IV. Specifically, the two
former inventories prove to have had the function of similar, but distinct, editorial models, to which
additions were repeatedly and progressively made, while it is not clear whether the latter two —in
their very fragmentary state— represented mere provisional listings, or variant models outright.
The second part is concerned with the structure of the two main inventories I-II, which are
characterized in common by a heading, by a list subdivided into constitutive sections, and by one
colophon for each manuscript. The headings of the lists are discussed first (§2a): both mention an
“endowment of jewels” (^ukuttu), resp. in honor of “NIN.É.GAL, Lady of Qatna” (I) and “the gods
of the king” (II). In both cases, textual hints allow to deduce the existence of full-size statues acting
as practical and symbolic receptacles for the donations; despite their difference, both these cultic
images may be understood against a common cultural background of funerary piety on behalf of the
ruling dynasty. The actual list of jewelry is then examined (§2b-c), especially in regard to the indi-
viduals named as offering particular jewels, who comprised kings. high-ranking palace personnel,
and foreign rulers (e.g. the king of Qadesh). The distinctive element of the colophons (§2d) is then
taken up, as a basic “grid” for the fixation of the relative chronology of the various manuscripts of I
and II. Particular attention is paid to the correlation between the colophons and the names of donors
in a chronological light; thus, the problems arising from the jumbled temporal sequence of the
names in the final section of II is noted. A revised list of the rulers of Qatna named in the invento-
ries, spanning a period of more than one century, concludes this part (§2e).
The third part deals with the function and context of the inventories. How (§3a) were the of-
ferings made, in practice, and in the course of time? And where could the jewels and the relevant
statuary have been stored, within the public buildings of the town? The first question is tackled on
the basis of textual parallels from other periods (§3b): as a result, the unique character of I as a “his-
torical record” of the offerings of jewels made on official/ceremonial occasions by subsequent kings

35
of Qatna during more than a century is established; by contrast, the concrete possibility is brought
forth that II was a newer and somewhat haphazard inventory, which originated more or less when
the older and larger one came to an end (Fig. 2). Was this shift of attention from the cult of
NIN.É.GAL to that of the “gods of the king” perchance due to factual circumstances, which caused
the statue of the “Lady of Qatna” to be no longer in its place, from a certain moment onward?
As for the second question, the author searches for the possible emplacement of the statues
and their attached jewelry through a rapid survey of the published archeological evidence (§3c),
noting that most recent excavations at Tell Misherfa do not favor the original interpretation by du
Mesnil du Buisson, that a “Temple de NIN.É.GAL” lay by itself outside of the precinct of the Pal-
ace of Qatna. Rather, the relevant enclosure (Hall C, now known to be roofed, with a central implu-
vium) was quite surely part of a system of sequentially placed courtyards within the palace itself;
and, at most, one may (in some analogy with the layout of the “Amorite” palace of Mari) surmise
here the presence of a chapel or sanctuary dedicated to the goddess (Room P). On the other hand, no
new evidence, as to where the precious material described in the inventories could have been stored,
has hitherto been brought forth.
A partial correction to this picture (§3d), such as to guide future researchers in answering the
above-mentioned problems of context and function, might however be offered by the outstanding
discoveries of late 2002, of 65 tablets from a royal archive, as well as of a vast royal tomb replete
with precious objects. Even on the basis of the scanty information as yet available, it seems safe to
say that a number of elements resulting from the royal hypogeum of Tell Misherfa tally in full with
the ideological and technical horizon of the inventories: from the overall funerary overtones of a
cult tied to the royal family of Qatna, to the presence of two seated life-size royal statues at the en-
trance of the tomb, to the specific materials and techniques employed in the approx. 1900 objects
discovered in the inner chambers, to —finally— the general proximity to the sepulcher of the ar-
chive of tablets, which date from the reign of Idanda —quite surely the same individual as king
Idadda, mentioned in both the main inventories.
Should we take all this to mean that the hypogeum held all or part of the very same jewels
that are described in the Qatna inventories? It is certainly too early to say; however, one may sus-
pect that the plentiful donations made to the gods by the successive rulers of Qatna during their life-
time could have accompanied them, at their death, in this safe subterranean abode, instead of being
left outside in the city temples and palatial chapels —thus avoiding this rich treasure the sad fate of
the golden statue of the Sun-god, which was stolen by the Hittites from a later king, Akizzi (cf. EA
55), and perhaps also of the image of the goddess NIN.É.GAL herself, which has been never
archaeologically located.

36
Fig. 1. Il “Tempio di NIN.É.GAL” e ambienti annessi nella ricostruzione di
R. du Mesnil du Buisson (da du Mesnil 1935, p. 72).

37
Fig. 2. Gli interventi archeologici della componente tedesca nelle campagne
1999-2001 (da Novák—Pfälzner 2002, Abb. 1).
Il vasto ambiente C corrisponde al “tempio di NIN.É.GAL” di du Mesnil; il più
ridotto ambiente P al suo interno, al Sancta sanctorum.

38
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