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Carlo Donà, Per le vie dell'altro mondo.

L'animale guida e il mito del viaggio, Soveria Mannelli (CZ),


Rubbettino Editore, 2003, (Medioevo romanzo e orientale / Studi 13), 624pp., € 40,00.

Un cacciatore insegue una preda: su quest'azione elementare e su questi due attanti, uno
maschile e uno femminile, verte la ricerca pubblicata in questo libro. È ovviamente paradossale
ridurre a una proposizione semplice lo studio importante e voluminoso che l'autore ha dedicato al
tema dell'animale guida, scrutinando più di mezzo migliaio di testi, quasi uno per pagina – di cui
almeno un 10%, se ho contato bene, appartiene in senso stretto al Medioevo romanzo – e
pervenendo a risultati di rilievo tale da rendere questa monografia indispensabile per chiunque
voglia ancora approfondire gli argomenti trattati, in ordine sia alle specifiche interpretazioni
testuali sia alle implicazioni di carattere metodologico e scientifico più generali. L'articolazione
del volume in tre parti («La terra: lo stanziamento e i suoi miti», «Dentro e fuori dall'altro mondo»,
«Oltre l'estrema frontiera») corrisponde, grosso modo, alle principali macrovarianti narrative a cui
il tema dell'inseguimento dell'animale, fino a valicare frontiere altrimenti insuperabili, ha dato
luogo; le ultime cento pagine contengono un utile apparato, composto dal catalogo dei testi
citati, dagl'indici dei motivi, dei tipi fiabistici, degli animali, dei nomi (selettivo), oltre che dalla
bibliografia distinta in primaria (fonti) e secondaria (saggi critici). Per dare appena un'idea dei testi
utilizzati, e in grandissima misura messi a disposizione del lettore, in versione italiana, attraverso
citazioni molto estese che dovrebbero, nelle intenzioni dell'autore, riverberarsi una nell'altra e
agevolare la penetrazione nel discorso mitico, basti dire che si comincia con il mondo antico e
tardo-antico, si passa al Medioevo, soprattutto con le fonti agiografiche, che assurgono quasi al
ruolo di summa degli altri generi letterari, per confrontarsi quindi in maniera crescente col
patrimonio fiabistico internazionale (dei cinque continenti) e con le relative mitologie (leggende
siberiane, inuit, giapponesi, sioux, maya, indiane, …).1
Anche se le fonti sono esclusivamente testuali, o testualizzate, con sporadici riferimenti
all'iconografia e alla cultura materiale, giusta le predilezioni e le competenze del ricercatore, è
difficile incasellare questa ricerca nelle tradizionali divisioni disciplinari (ciò sia detto a suo merito),
che spesso rendono inafferrabile la fondamentale unità della cultura umana, per un malinteso e
miope specialismo.2 A giusto titolo, perciò, fin dalla prima pagina, il percorso si dichiara come
«una vera e propria archeologia culturale» tesa a ricostruire «uno strato antichissimo e di
immensa vitalità, le cui sopravvivenze sono rimaste estremamente cospicue, per quanto
largamente fraintese, sia nella cultura medievale che nella tradizione folklorica.» (p. 7) Proprio
questi due sistemi culturali, il Medioevo e il folklore, si rivelano sempre di più e di nuovo come «un
immenso deposito di tradizioni mitiche» che vivono nel 'tempo grande' (Bachtin), che scompiglia
le diacronie pigre e superficiali entro cui l'abitudine critica colloca i testi: uno dei punti fermi
acquisiti da questa ricerca sull'animale guida è infatti l'affermazione metodologica che «di quando
in quando la tradizione medievale e quella folklorica conservano dei materiali mitici (cioè arcaici)
in forma più intatta e più fresca della stessa tradizione classica.» (p. 226) Questo principio, più
volte ribadito da Propp nei suoi studi,3 secondo cui «quando si ha a che fare con contenuti affidati
a tradizioni memoriali di lunga durata la qualità delle testimonianze non dipende dalla
cronologia» (ibidem), è perfettamente analogo a quello pasqualiano, corrente in ecdotica,

1
Assente la tradizione ebraica, se si eccettua una fuggevole citazione del libro biblico di Giona e la versione tacitiana
dell'esodo.
2
Si leggano con attenzione le pagine poste «In limine» ricche di verve polemica.
3
Da Le radici storiche dei racconti di fate (Torino, Boringhieri, 1972: cfr. § 10 delle Premesse e passim) a La fiaba russa
(Torino, Einaudi, 1990, p. 166 e passim).

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sintetizzato nella formula recentiores non deteriores:4 in questo nesso si coglie, sia detto en
passant, un aspetto di quella convergenza fra filologia romanza e studi demo-etnologici fondati
sulla comparazione a larga scala, che, dopo una lunga eclisse, sta ritornando in auge anche grazie
a studi come quello qui recensito.
L'indagine verte dunque sul tema dell'animale guida, una figura certo non ignota ai lettori di testi
medievali e incontrata spesso anche dagli storici delle religioni, ma che non aveva finora ricevuto
la giusta considerazione, per la complessità e l'importanza che riveste; esso diventa – è il caso di
dirlo – una guida insostituibile e preziosa per ricostruire, almeno parzialmente, quella cultura
animalistica «che con una punta di disprezzo l'etnologia ha un tempo chiamato totemica» (p. 9) e
che ha rappresentato per millenni un contesto imprescindibile dell'elaborazione intellettuale
umana. Quegli animali che ci parlano dalle favole antiche e moderne, che il Medioevo venerò al
punto da creare un apposito sottogenere (la tradizione zooepica), che popolano i miti e le
leggende delle etnie più remote, ebbero in un tempo molto remoto un ruolo vitale per l'esistenza
e l'evoluzione spirituale dell'uomo: sulle loro tracce conduce questa ricerca condotta mettendo
ordine in centinaia di testi che a poco a poco rivelano alcune sorprendenti invarianze, bene
esemplificate in questo 'riassunto d'autore':
Le circostanze in cui affiora questo tema possono naturalmente variare assai ampiamente: alla caccia si possono
sostituire il rito sacrificale, il vagabondaggio senza meta, l'erranza avventurosa, la migrazione, l'esilio. Variano, sia
pure entro un ambito non eccessivamente ampio, anche gli animali che adempiono a questo compito: tori e
colombe, cervi bianchi e cinghiali, lupi e arieti, si alternano nel ruolo, almeno apparentemente, con imparziale
disponibilità. Stranamente, però, in tanta varietà di aspetti, le mete a cui l'eroe giunge seguendo la sua guida
ferina sono per lo più estremamente prevedibili, e si lasciano agevolmente raggruppare in poche categorie ben
precise. Secondo i casi, l'animale guida può infatti condurre alla conquista di un nuovo territorio oppure al luogo in
cui fondare una città o un centro di culto; può dischiudere una insperata via di salvezza a colui che si trova in una
situazione critica; può all'opposto condurre chi lo segue all'altro mondo o alla morte, ovvero può guidarne il
cammino al luogo abitato da una donna oltremondana di rapinosa e sconvolgente bellezza. Entro queste quattro
categorie principali, che chiamerò rispettivamente, versione territoriale, versione salvifica, versione oltremondana
e versione erotica, si possono raggruppare praticamente tutte le molte occorrenze del tema (p. 11)

L'approccio scelto è dunque morfologico e comparativo, volto ad enucleare attraverso riduzioni e


identificazioni successive alcune macrovarianti che consentano di individuare alcuni significati
mitici fondamentali, dei quali possono essere considerate la realizzazione narrativa. Come in tutte
le grandi ricerche, anche in questo caso, la ricchezza e la produttività si misurano non solo sulla
quantità e saldezza dei risultati raggiunti, ma anche sulla natura e il numero delle questioni
sollevate vuoi di metodo che di merito, delle domande nuove sollecitate, delle piste aperte ma
non percorse. I presupposti dichiarati del lavoro sono dunque che storie simili, quanto agli attanti
e alle azioni, si possano illuminare a vicenda, quanto al significato, e che queste storie, id est i loro
significati, abbiano una remota origine comune (p. 20): ci si rende conto subito che i problemi
sottesi sono di quelli ad alta intensità 'ideologica' (diffusionismo / poligenesi / monogenesi /
stadialismo …),5 ma verranno affrontati solo laddove l'analisi dei testi lo renda inevitabile.
La prima parte verte sulle leggende di stanziamento e di fondazione in cui l'animale, sacro, guida
alla scoperta di una nuova terra ed è mediatore di un'autocoscienza etnica; questa 'versione
territoriale' si articola a sua volta in sottotipi, ma presenta già una rilevante stabilità di tratti: il
contesto venatorio, l'apparizione improvvisa dell'animale (inviato dal dio o sua epifania ferina), il
suo comportamento 'seduttivo', l'itinerario verso un mondo sconosciuto, il sacrificio. Due modelli
complementari, anche se antitetici, manifestano bene questa versione: il modello predatorio,
forse più arcaico, che presuppone un'identificazione, anche rituale, con un animale da preda, che
4
Per considerazioni analoghe, mi permetto di rinviare al mio I guerrieri al simposio. Morfologia di un motivo, in
«L'immagine riflessa» n.s. II (1993), spec. pp. 1-3.
5
Per non dire del paradosso di Evans Pritchard («La comparazione è il solo metodo dell'antropologia sociale, ed è
impossibile»).

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funge da antenato mitico, conferitore dell'etnonimo e del territorio,6 e il modello oracolare, in cui
l'animale (spesso erbivoro o domestico), accreditato del potere di conoscere il destino, rivela e
denomina un luogo (non un'etnia). Si tratta con ogni evidenza di «animali totemici» (p. 70), a cui si
lega l'origine o il primo insediamento di un gruppo umano o, ed è significativo, il conferimento
della sovranità.7 Nell'Europa medievale «alla migrazione e allo stanziamento del popolo nel suo
complesso si sostituisce essenzialmente la migrazione e lo stanziamento del populus christianus, e
alla creazione di nuovi stati, la fondazione di parrocchie e monasteri. Ma, come un relitto d'altri
tempi, in questo nuovo panorama l'animale guida continua a svolgere la sua primordiale funzione
di apripista guidato dalle potenze oltremondane, e a mantenere delle conoscenze preternaturali e
degli oscuri poteri oracolari.» (p. 83) Le vite dei santi (spesso d'incerta realtà storica) confermano
la persistenza dello schema (l'animale, ora strumento della Provvidenza, porta in un luogo dove si
deve edificare una 'casa di Dio') e dell'idea soggiacente e configurano i nuovi eroi della fede come
veri e propri signori degli animali: «siamo di fronte, dunque, a un processo di conservazione
dinamica e di riadattamento creativo del materiale mitico, un processo che avviene sia al livello
della tradizione dotta, sia a quello della cultura orale» (p. 94). Ma la cultura ecclesiastica rovescia il
modello predatorio, sia coniando quello della pia caccia, in cui un eremita vive isolato in mezzo al
bosco in intimità con una cerva e viene scoperto quando dei cacciatori inseguono l'animale, sia
favorendo l'identificazione del santo, e con lui del lettore, con la preda, in conformità al modello
di mansuetudine della religione dell'Agnello (p. 146). Che il mito dell'animale guida, stabile e
riconoscibile attraverso un numero ridotto di tipi narrativi, la ricorrenza di certi nessi semantici,
l'adesione a un'ideologia arcaica di immediatezza di relazioni fra l'uomo, la bestia e la terra, sia
tutt'altro che specifico di un'area circoscritta al Mediterraneo e all'Europa continentale, è provato
dalla documentazione folklorica fornita dalle zone più diverse e lontane del pianeta, tanto da
poter asserire che esso appartenga «a quel ristretto numero di archetipi mitici che sembrano
essere patrimonio comune di una larghissima parte dell'umanità.» (p. 150) L'ampiezza dell'habitat
in cui si trova testimoniato suggerisce di escludere, se non per settori limitati, l'ipotesi
diffusionistica orizzontale, e di prendere in considerazione non tanto una generica poligenesi,
quanto piuttosto il radicamento in uno «strato culturale così antico da essere condiviso dalle
civiltà più diverse» (p. 157), ovvero l'appartenenza a uno stadio di sviluppo (quello dei cacciatori
paleolitici? – p. 190) anteriore alla differenziazione etnica e sociale. Proprio le storie in cui
l'animale guida viene cacciato contengono elementi più arcaici e probabilmente vicini alla forma
primordiale del mitologema:8 il rapporto dialettico fra predatore e preda, l'identificazione della
preda col nemico ma anche con la donna, l'associazione della donna con la cerva (familiare nel
Medioevo), spesso con caratteristiche di amorevolezza, il viaggio compiuto sulle orme
dell'animale che conduce sempre in un mondo 'altro' (non umano). La persistenza dei tratti che lo
rendono riconoscibile nei testi di generi, lingue e letterature diverse e lontane non va disgiunta
dalla capacità di adattarsi alle condizioni e ai vincoli dei sistemi culturali e ideologici in cui viene

6
All'imitazione rituale di una fiera si ricollega anche la truce fisionomia dei guerrieri-belva ben noti alle culture
germaniche (ma non solo a quelle, beninteso).
7
Cfr. Rita Caprini, Animali totemici, in «L'immagine riflessa» n.s. VII (1998), pp. 221-36, che ripercorre l'esperienza
scientifica dei «Quaderni di Semantica», diretti da Mario Alinei, in cui la ripresa della discussione, con nuovi dati
soprattutto linguistici, sulla categoria di totemismo è in qualche modo centrale.
8
Il termine, com'è noto, risale a Kerényi che lo identificava nel materiale della mitologia, «un'antica massa di
materiale tramandata in racconti ben conosciuti che tuttavia non escludono ogni ulteriore modellamento» (da C.G.
Jung – K. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino, Boringhieri, 1972, p. 15); nello studio di cui
ci stiamo occupando, invece, mi sembra prevalente il tratto della complessità, della costellazione di motivi (p. 190),
che tuttavia non è in contrasto con la definizione del grande studioso ungherese.

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rielaborato e riattivato: «resta sempre un mitologema vivo» (p. 191) in grado di fornire un modello
e una giustificazione superiore alla conquista di uno spazio vitale.9
La seconda parte dello studio si occupa delle storie in cui l'animale guida l'eroe fuori da una
situazione difficile e che mescolano l'elemento salvifico a quello dell'itinerario verso una mèta
determinata. Siamo assai prossimi a quegli aiutanti zoomorfi che consentono ai protagonisti delle
fiabe di superare prove impossibili e, in effetti, il patrimonio favolistico esprime con chiarezza quei
contenuti mitici che la narrazione letteraria spesso traveste ricorrendo a particolari più verosimili
e naturalistici (p. 202). Si tocca qui un punto di non trascurabile importanza, perché da un lato
esemplifica l'utilità del ricorso alla documentazione folklorica per meglio interpretare il testo
letterario e, dall'altro, si ribalta un assunto spesso non consapevole di molte analisi, cioè che la
rappresentazione 'realistica' sia semanticamente più immediata e trasparente della
rappresentazione 'fantastica'. Gli «aspetti più concreti e verosimili, i precisi rapporti che legano
questi racconti con la realtà e con la storia, divengono marginali e illusori, mentre affiora
progressivamente […] una trama mitica robusta e unitaria, che li collega direttamente, non con
l'esperienza vissuta, ma con uno dei più possenti archetipi dell'immaginario.» (p. 216)10 Nei testi di
questa complessa versione del mitologema dell'animale guida compare con forte rilievo, oltre agli
elementi già noti, il motivo della porta invalicabile (o del fiume da guadare), che esprime la
frontiera fra due mondi, uno dei quali normalmente precluso all'uomo ma che, eccezionalmente,
può aprirglisi grazie alla bestia dotata di poteri soprannaturali. Questa bipartizione del cosmo,
sottesa a tutti i testi sotto diverse forme, può manifestarsi anche in un percorso 'a ritroso', in cui
l'animale riporta a casa l'eroe, dove però la 'casa' equivale alla patria (perduta), al luogo d'origine,
al mondo degli uomini tout court, e allora lo spazio in cui il protagonista si era smarrito o era stato
trascinato assume i connotati inquietanti del mondo dei morti (p. 250). La continua ricorrenza di
alcuni motivi («le Simplegadi e le porte oltremondane, l'acqua, magica o invalicabile, la caverna e
la tomba, la morte e la resurrezione» p. 258) ci fa convinti che tutte queste storie parlano delle
stesse cose, anche se non siamo certi di intendere con precisione che cosa ci dicono e perché ce lo
dicono attraverso l'immagine animalistica. Il viaggio come esperienza iniziatica è poi al centro di
un'altra sottovarietà di racconti imperniati sul rapimento, che esprimono in modo più schietto
quanto la volontà che induce l'essere umano a seguire l'animale sia in realtà quella di una Potenza
superiore e soprannaturale, vuoi ostile vuoi amorosa. Anche qui il materiale conservato dal
folklore serve a illuminare le rielaborazioni letterarie:11 così, «nelle fiabe in cui gli animali
rapiscono si finisce per tornare indietro dall'altro mondo: mutati, più ricchi, carichi di un nuovo
destino, ma comunque vivi e vegeti.» (p. 299) Come aveva già indicato Propp, le fiabe trascrivono
nel loro linguaggio un'esperienza transitoria di attraversamento della morte e ritorno alla vita che
ha il suo più prossimo referente antropologico nei riti di iniziazione. Il viaggio oltremondano
traduce narrativamente l'esperienza di morte, e di rinascita, propria del percorso iniziatico: negli
9
«I vari gruppi sapevano grazie al mito territoriale dell'animale guida che si trovavano, per così dire, al posto giusto, e
che avevano pieno diritto di starci perché, così facendo, adempivano a una provvida volontà superiore.» (p. 191) Ma
questo, se non erro, non è altro che il punto di vista interno alla cultura analizzata, e in sostanza al suo modello
dominante, che viene fatto coincidere, preterintenzionalmente o per adeguare l'esposizione alla struttura del
discorso mitico, con quello del ricercatore.
10
S'intende che ciascuno è poi libero di non fermarsi a questo livello di analisi e procedere ancora, domandandosi per
esempio a quali esperienze, esistenziali e storiche, facciano capo quegli archetipi dell'immaginario.
11
In questa sede non è possibile render conto della densità analitica che questo studio offre, attraverso le
interpretazioni di molti dei testi escussi, spesso con nuove intuizioni, che altri avrà cura di convalidare o rettificare,
tuttavia mi sembra di poter dire che la prospettiva prevalente tenda a far coincidere, anche solo per la giusta esigenza
di mantenere una linea espositiva coerente, i significati dei singoli testi, ognuno particolare e diverso (soprattutto
quelli a maggior caratura letteraria), con i significati del mitologema dell'animale guida, di cui esemplificano la
fenomenologia straordinariamente ricca, a parziale detrimento della loro specifica individualità semantica – in cui il
piano 'mitico' si correla e dialettizza con tutti gli altri.

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animali guida è perciò possibile vedere «i diretti discendenti degli spiriti in forme animali che
aiutano lo sciamano nel suo viaggio estatico o procurano l'iniziazione, trasmettendo una
conoscenza sacra e segreta, che non si deve divulgare pena la morte» (p. 337).
La versione oltremondana e quella erotica del mitologema dell'animale guida sono trattate infine,
consecutivamente, nella terza parte della ricerca, che condensa anche, se non proprio delle
conclusioni (l'ermeneutica dei materiali mitologici è ovviamente ininterrotta), alcune ipotesi
argomentate e plausibili sulla rete di relazioni semantiche che collega i testi esaminati e addita
«una sorta di metamito» (p. 523) soggiacente e risalente a una remota antichità. Il polimorfismo
delle rappresentazioni dell'aldilà non deve trarre in inganno, perché un'aria di famiglia le
accomuna, fondata su alcuni motivi ricorrenti: la distorsione temporale e la localizzazione (sotto o
sopra la terra, dentro una foresta, un lago, una montagna, un castello incantato), la presenza degli
animali, dei morti, delle fate (p. 344). Questo tipo di storie disegna talora una «catena di mutui
interessi» (p. 356) fra l'uomo e l'altro mondo, che hanno in un certo senso bisogno uno dell'altro;
per questo è indispensabile che l'uomo vi si rechi seguendo l'animale che gli indica la strada per
uscire da questo mondo. «Forse, quei lontani sapienti che hanno distillato storie come questa
sapevano che uomo, animale e dio sono una cosa sola, e che dati due di questi termini, il terzo
deve necessariamente effettuare la mediazione fra loro.» (ibidem) Se una frattura ontologica
separa il mondo umano da quell'altro, allora il viaggio sotto scorta teriomorfa – l'unica possibile –
diventa un'esperienza iniziatica per chi lo compie, una trasformazione di tutto l'essere, che non
comporta solo l'adesione a una guida animale ma può risolversi in una metamorfosi completa:
siamo, come è facile rendersi conto, in una zona di credenze sciamaniche e, più latamente,
totemistiche. Ciò che va ribadito, ed è un'acquisizione delle più notevoli di questa ricerca, è che
questa trama 'mitico-rituale' persiste con una saldezza e una pervasività inaspettate nelle
testualizzazioni letterarie del Medioevo occidentale, a prescindere dal grado di coscienza degli
autori dei testi, ma a riprova della lunghissima durata dei narremi che riflettono esperienze
primordiali (p.409n). «Dall'insieme della documentazione raccolta, dietro l'immagine complessa
di un universo a molte dimensioni, si disegna in filigrana la presenza di un modello più arcaico, un
modello bipolare che contrapponeva, in sostanza, il mondo dei vivi a quello di potenze polimorfe
che erano, insieme, defunti, animali e dei; vedeva in questo mondo la fonte della regalità e della
terra, e concepiva i rapporti con le potenze che lo abitavano nel quadro della caccia, dell'amore e
del sacrificio.» (p. 413)
L'ultimo gruppo di storie analizzato non era stato finora ricondotto al mitologema della guida
ferina, perché s'impernia anzitutto sugli amori fra un essere umano e una donna bellissima, in
tutto o in parte soprannaturale, «che sembra derivare i suoi tratti salienti da una antica dea degli
animali e della terra, della stirpe e dei morti» (p. 416). Questa fata amorosa, pronta all'unione
sessuale col cacciatore che l'ha incontrata seguendo l'animale misterioso, e a lei intimamente
legato, è Circe (pp. 429ss) e Melusina (pp. 482ss), per non citare che i due più noti avatar del
personaggio, ma è anche la principessa delle fiabe, che un 'padre' ostile deve concedere all'eroe
dopo il superamento di difficili prove che ne attestino le doti sciamaniche (p. 447), la dama cortese
che un gigante, un cavaliere coatto o un re del paese dei morti custodiscono finché un cavaliere
non riesce a liberarla, come nei romanzi medievali d'amore e d'avventura. Nelle principali
sottovarietà sono messi in risalto l'uno o l'altro di questi aspetti: il confronto col 'padre' inferico, la
liberazione dall'incantesimo, il rapimento dell'eroe nel paese della fata. In questo caso i testi
medievali forniscono una messe abbondante e sfaccettata di sviluppi narrativi, in parte ben noti
agli studiosi, ma che qui vengono riproposti in una chiave nuova e stimolante (da Durmart le
Galois a Wace, dai Mabinogion a La mule sans frein, dal Partonopeus de Blois alla Ponzela Gaia, dai
Lais anonymes alla Karlamagnussaga, ecc.); «in queste storie tutti i temi che ci hanno
accompagnato sin qui riescono a comporsi in un insieme ordinato e coerente.» (p. 505)

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Anzitutto, il viaggio guidato dall'animale fuori di questo mondo conduce ad acquisire una
sovranità di qualche tipo; questa sovranità sembra posseduta da un signore dell'aldilà, ma
distribuita da una 'fata-bestia' attraverso il connubio dell'eroe con lei, e si esprime anche
nell'occupazione territoriale. Con ciò le versioni del mitologema si rivelano complementari. In
secondo luogo, non si possono ignorare i contrassegni di morte che hanno l'altro mondo e i suoi
abitanti e in particolare la stessa 'fata-bestia'. «Il cacciatore va a caccia in cerca di cibo, e trova
invece l'amore; ma l'amore per la donna oltremondana è una specie di caccia rovesciata, in cui il
cacciatore stesso riveste il ruolo della preda: se mangia il cibo dell'altro mondo, o se si abbandona
alle gioie dell'amore, non riesce più a sfuggire, e come Guingamor diviene preda della fata» (p.
520). Com'è noto, infatti, nella logica del discorso mitico (del 'pensiero selvaggio') e del sacro
vigono il principio del rovesciamento e la coincidentia oppositorum (la dialettica, secondo un altro
lessico): questo spiega, o perlomeno fa intuire, perché «nell'economia di questi miti animalistici,
esistano sempre due poli, attivo e passivo, maschile e femminile, predatore e preda, che sono
entrambi essenziali e soprattutto appaiono inscindibilmente legati» (p. 525).
Alla fine di questo affascinante itinerario, il lettore – a cui di quando in quando l'autore si rivolge
invitandolo a svolgere da sé alcune implicazioni della ricerca – sarà stimolato a ripensare alcuni
punti nevralgici della cultura medievale e della metodologia di studio dei suoi testi: penso alla
riaffermata importanza della letteratura etnica («le fiabe costituiscono un immenso tesoro
narrativo […] che generalmente […] conservano materiali incredibilmente arcaici con eccezionale
freschezza; in quanto tali costituiscono il solo corpus narrativo moderno che possa essere
legittimamente confrontato con i miti antichi o etnici, o con i racconti medievali in cui più
evidente è la presenza del retaggio tradizionale», p. 136n), all'utilizzazione proficua sul piano
euristico della categoria di totemismo (pp. 70ss, 162ss, 328ss), alla verifica sempre problematica
delle ipotesi diffusionistiche (la leggenda di Sant'Eustachio derivata dalla tradizione buddista
degli Jataka, pp. 312-26) o poligenetiche (p. 446n), alla produttività dell'approccio morfologico e
comparativo («la morfologia comparata del tema vorrebbe essere esauriente e completa,
mostrando per la prima volta quanto ampia sia stata la fortuna degli animali guida negli ambiti più
diversi, ma anche quanto unitario e compatto sia rimasto il loro significato», p. 19), al peso,
spesso sottostimato, della cultura orale e alla sopravvivenza, all'interno delle stesse strutture
mentali del cristianesimo, di nessi concettuali e schemi figurativi e narrativi della cultura
animalistica pre- e proto-storica. Quanto basta per consigliarne la lettura anche agli studenti.12

MASSIMO BONAFIN
(UNIVERSITÀ DI MACERATA)

12
Magari in un'edizione ridotta e convenientemente rivista sotto il profilo editoriale; dispiace, infatti, accorgersi che
un libro come questo non abbia avuto la cura tecnica che meritava. Non dico solo per i molti refusi nel testo, quasi
tutti sanabili mentalmente da un lettore attento, ma anche per alcuni scompensi bibliografici, certo occasionati
anche dalla scelta, a mio avviso discutibile, di ricorrere ad entrambi i sistemi di citazione oggi in uso, quello 'autore-
anno' e quello 'citazione-nota', cosicché la bibliografia risulta dispersa parte nelle note (quella meno centrale per il
tema) e parte nelle liste in fondo al volume. Nelle «Fonti», in cui si mescolano edizioni vetuste, testi originali e
traduzioni moderne correnti, accade che l'elenco dei titoli abbreviati subisca sconvolgimenti alfabetici (p.es. Gesta –
Gilgamesh – Gervasio; Passio – Pausania – Paolo; Poliziano – Poema – Ponzela – Plummer; Procopio – Première –
Proverbi); nella «Bibliografia» invece il lettore non troverà lo scioglimento di alcune indicazioni in chiave incontrate
nelle note (Anderson 1932, Donà 1987-88, Eliade 1965, Harf Lancner 1986, Lévi-Strauss 1962, Philippson 1944, Rajna
1884).

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