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Istituto per le scienze religiose – Bologna

Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII

Testi e ricerche di scienze religiose


nuova serie
54

copyright © 20by
Società editrice il Mulino,
Bologna
Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII

Claus Arnold, Johann Wolfgang Goethe Universität, Frankfurt a.M.


Christophe Chalamet, Université de Genève
Francesco Citti, Università di Bologna
Philippe Denis, University of KwaZulu-Natal, South Africa

dei cristiani, Roma


Frédéric Gugelot, École des hautes études en sciences sociales, Paris
Peter Hünermann, Eberhard Karls Universität, Tübingen
Jean-Pierre Jossua, Centre Sèvres, Paris
Gaetano Lettieri, Università La Sapienza, Roma
Alberto Melloni, Fscire, Bologna
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Jürgen Miethke, Heildelberg Universität
John Pollard, University of Cambridge
Giuseppe Ruggieri, Fscire, Bologna
Violet Soen, Katholieke Universiteit, Leuven
Kirsi Stjerna, California Lutheran University, Berkeley
Christoph Theobald, Centre Sèvres, Paris
Ren Yanli, Chinese Academy of Social Sciences – Research Institute of World
copyright © 20by Religions, Beijing

Società editrice il Mulino,


Bologna

via San Vitale, 114 | 40125 Bologna | www.fscire.it


e i luoghi sacri

a cura di
Tessa Canella

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Società editrice il Mulino,
Bologna

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO


Il volume è pubblicato grazie al contributo del progetto Firb 2010, «Spazi sacri e

cristiani italiani fra Tarda Antichità e Medioevo» (coordinatore nazionale Laura


Carnevale, coordinatore locale Tessa Canella).

editrice il Mulino possono consultare il sito Internet www.mulino.it


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Società editrice il Mulino,
Bologna
ISBN 978-88-15-25463-4

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Indice

Sigle e abbreviazioni p. 9

Gli studi costantiniani: questioni di metodo, di Tessa Canella 13

Parte Prima: Premesse: fra Oriente ed Occidente, i-iV


secOlO

Tempus destruendi et tempus aedificandi. «Distruzione» protocri-


stiana del Tempio e ri/edificazione costantiniana dei luoghi
santi in Eusebio di Cesarea, di Gaetano Lettieri 41
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Shrines of Falsehood: Constantine and the Pre-Christian Re-
Società editrice il Mulino,
ligious Cults of the East, di Timothy D. Barnes 129

Bologna
Costantino tra fede, economia e politica: privilegi fiscali, co-
struzioni sacre, di Rita Lizzi Testa 147

À propos de la sacralité des lieux de culte chrétiens dans la


première moitié du IVe siècle. Quelques observations, di Mi-
chel-Yves Perrin 191
6 indice

Luoghi di culto pagano in Italia e nelle altre province dai Te-


trarchi a Teodosio: la documentazione epigrafica, di Alister
Filippini e Gian Luca Gregori p. 213

Il «monogramma» di Costantino: una storia (forse) decapita-


ta, di Carlo Carletti 239

Parte secOnda: rOma e l’Occidente

Elena e Santa Croce in Gerusalemme, di Silvia Orlandi 273

Costanzo II e il Vaticano, di Richard Westall 293

Lugares de culto en disputa: la usurpación herética de la


basílica católica de Cirta - Constantina, di María Victoria Escri-
bano Paño 309

La costruzione di uno Stato. Politica edilizia e architettura


religiosa in età costantiniana, di Arduino Maiuri 337

Sugli ultimi curatores/consulares aedium sacrarum, di Ilaria Grossi 361

Compresenze religiose e culturali nella Sicilia tardoantica. Il


di Daniela Patti 387
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Parte terzaSocietà
: l’Oriente editrice il Mulino,

Bologna -
poli, di Mar Marcos 413

di Davide Dainese 431


indice 7

Metafore di luce nelle architetture e nel decoro da Costantino


a Costanzo II, di Maria Cristina Carile p. 461

Parte quarta: discOrsi agiOgrafici, leggende di fOnda-


ziOne e cultO dei santi

Scritture agiografiche e promozione del culto: successi e in-


successi, di Adele Monaci Castagno 491

Sogni e luoghi sacri. Continuità e mutamenti da Costantino a


Teodosio II, di Luigi Canetti 517

Santuari di memoria costantiniana fra V e VI secolo, di Tessa


Canella 533

Parte quinta: mitO cOstantinianO

Les clous de la Passion et la panoplie de Constantin: enquête

impérial (fin IVe-VIe siècle), di Philippe Blaudeau 559

Costantino costruttore, Costantino distruttore: la tradizione


letteraria copta, di Paola Buzi 579
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Il Constantinus orthodoxus e la trasformazione dello spazio sa-
Società editrice il Mulino,
di Alessandro Maria Bruni 595
Bologna
Parte sesta: la fOrtuna

costantiniano, di Tommaso Caliò 621


8 indice

Roma 1913. Artisti e architetti per il centenario costantiniano:


Biagio Biagetti, Eugenio Cisterna, Giovanni Battista Conti,
Aristide Leonori e Guglielmo Palombi, di Mariella Nuzzo p. 637

Indice dei nomi 673

Indice dei luoghi 707

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Parte prima

Premesse: fra Oriente ed Occidente, I-IV secolo

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Tempus destruendi et tempus aedificandi.
«Distruzione» protocristiana del Tempio e ri/edificazione
costantiniana dei luoghi santi in Eusebio di Cesarea
di Gaetano Lettieri

Il rapporto con «il divino» non può che essere configurato attra-
verso una relazione antropologica con lo spazio, una localizzazione
relazionale della sua potenza: «il divino» abita in un «altrove» che è
al tempo stesso distinto da, confinante con e talvolta persino peri-
colosamente sconfinante nello spazio comune e quotidiano abitato,
attraversato, rappresentato dagli uomini. La «funzione» stessa del
religioso è quella di comunicare in qualche modo con il potere so-
vraumano, assicurando, attraverso la prossimità stabilita con esso, la
sua efficacia benefica, confinandolo, limitando o acquietando il suo
potere tremendo, terrificante, distruttivo (perché sempre il divino è
connesso alla morte e il sacro che gli è proprio al sacrificio)1, quindi
garantendo il corpo sociale/politico e sacralizzando dispositivi di

1
Cfr. E. BEnvEnistE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, vol. II, Pouvoir,

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droit, religion, Paris, Les Éditions de Minuit, 1969, trad. it. Il vocabolario delle istituzioni
indoeuropee, vol. II, Potere, diritto, religione, Torino, Einaudi, 1976, II ed. 2001, cap. Il
sacro, pp. 419-441, in partic. p. 426. A livello introduttivo, cfr. J. RiEs, L’uomo e il sacro
Società editrice il Mulino,
nella storia dell’umanità, Milano, Jaka Book, 2007; in partic., sul sacro nella tradizione
semitica e biblica, pp. 47-80; nella religione romana, pp. 125-147; nelle comunità pro-
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tocristiane, pp. 205-223; e il notevole saggio, impegnato a ricostruire la genesi storica
delle categorie in questione, di J.n. BREmmER, «Religion», «Ritual» and the Opposition
«Sacred vs. Profane». Notes towards a Terminological «Genealogy», in F. GRaF (a cura di),
Ansichten griechischer Rituale. Geburtstags-Symposium für Walter Burkert, Stuttgart-Leipzig,
Teubner, 1998, pp. 9-32; ad es., si noti l’interessante ipotesi che colloca nella Francia
di fine ottocento l’origine della dicotomia terminologia sacro/profano, connetten-
dola con il processo di secolarizzazione che appunto operava una sempre più netta
distinzione tra Stato e Chiesa, quindi tra i due ambiti ideologici (pp. 30-31).
42 gaetano lettieri

potere, ordini, strutturazioni gerarchiche. Il tempio2 è, allora, un’an-


tropologica, pragmatica macchina «in/quietante», che costituisce lo
spazio «sacro/santo»3. Questo spazio è tagliato, sacrificato, conse-

2
Pur non condividendone le prospettive essenzialistiche, considero doveroso
segnalare m. EliadE, Traité d’histoire des religions, Paris, Payot, 1948, trad. it. Trattato di
storia delle religioni, Torino, Einaudi, 1957, cap. X, Lo spazio sacro: tempio, palazzo, «centro
del mondo», pp. 377-398; e id., Das Heilige und das Profane, Frankfurt a.M., Suhrkamp,
1957, nuova ed. fr. Le sacré et le profane, Paris, Gallimard, 1965, trad. it. Il sacro e il
profano, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, in partic. cap. I, Lo spazio e la sacralizzazione
del mondo, pp. 19-46, ove comunque generiche e storicamente approssimative sono
le notazioni dedicate al Tempio di Gerusalemme (p. 43) e alle basiliche cristiane; ad
es.: «Già dal tempo dell’antichità cristiana […] la struttura cosmologica dell’edificio
sacro persiste nella coscienza della cristianità», p. 44. Il limite fondamentale dell’a-
temporale prospettiva eliadeana, cosmologicamente configurata, sta nel non regi-
strare le trasformazioni storiche della nozione cristiana di tempio, misconoscendo il
carattere atopico, apocalittico (che desacralizza mondo, civitas, suoi ordini gerarchici)
e storico-escatologico dell’esperienza protocristiana dello «spazio» sacro/santo, tolto
nella comunità. Per un’introduzione al tema incircoscrivibile del tempio, rimando ai
saggi, dedicati a diversi contesti storico-religiosi, raccolti da F.V. tommasi (a cura di),
Tempio e persona. Dall’analogia al sacramento, Verona, Edizioni Fondazione Centro Studi
Campostrini, 2013. Per un’indagine filosofica su architettura sacra e tempio cristia-
no, in partic. nella contemporaneità, cfr. m.m. olivEtti, Il tempio simbolo cosmico. La
trasformazione dell’orizzonte del sacro nell’età della tecnica, Roma, Abete, 1967.
3
Per un tentativo di distinguere i due termini, cfr. BEnvEnistE, Potere, diritto,
religione, cit., pp. 426-429; originariamente sacrum indicherebbe lo «stato naturale» di
ciò che è proprio del divino, mentre sanctum sarebbe il risultato di un’operazione, del
lege sancire, volta a delimitare, confinare/separare il sacrum; progressivamente, questa

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distinzione tra il muro confinante del santo e il campo interno del sacro verreb-
be a cadere: sanctum finirebbe per coincidere con ciò che gode del favore divino,
qualificando il possesso di una virtù sovraumana (cfr. p. 428). Limitandoci all’am-
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bito ebraico-cristiano, doverosa sarebbe la tematizzazione dell’amplissimo spettro
concettuale e storico-religioso del termine ebraico qadoš, in quanto «l’elaborazione
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biblica del rapporto fra Dio (il “Santo”) e il luogo sacro (il “santuario”) [è] un rap-
porto dalle infinite modulazioni», F. mottolEsE, Luoghi e gradi di santità nell’epoca senza
Tempio: tratti sacerdotali nel giudaismo rabbinico, in tommasi (a cura di), Tempio e persona,
cit., pp. 199-218, in partic. p. 199; cfr. pp. 199-203. Sull’interpretazione arcaica del
«sacro» come forza ingovernabile (neanche Dio può sospenderla) e distruttiva, cfr.
ad esempio, Es 19,12-13, ove Dio presenta il Sinai, che pure diviene il monte dell’al-
leanza, come il luogo tremendo della sua presenza: «Metti dei confini intorno per il
popolo. Dirai: “Guardatevi dal salire sul monte o solo dal toccarne i lembi: chiunque
tempus destruendi et tempus aedificandi 43

gnato alla divinità, separato dal profano, quindi deputato ritualmen-


te a ordinare «il mondo»4, a mediare e acquietare, normalizzare ritual-

toccherà la montagna, morrà. Nessuna mano deve toccarla. Deve essere ucciso con
frecce o pietre”». Rimando al commento del brano di P. sacchi, Sacro/profano impuro/
puro nella Bibbia e dintorni, Brescia, Paideia, 2007, pp. 47-48; ove si legge tra l’altro: «Il
sacro, come l’impuro, ha la capacità di passare da un corpo all’altro per contatto. Il
sacro, come l’impuro, doveva essere immaginato come un fluido in grado di invadere
i corpi che venissero a contatto con esso; era presente nello spazio divino, ma poteva
anche dilagare nello spazio umano, una volta che fosse penetrato in un corpo. Data
la pericolosità del sacro, la distruzione del corpo contaminato sembrava indispensa-
bile», p. 48; l’uccisione con frecce o pietre garantiva il non entrare in contatto con il
corpo contaminante. Sacchi mette comunque in rilievo come «col passare dei secoli
questo modo di concepire il sacro cambiò profondamente, tanto che l’unione con
Dio finì col divenire per molti il desiderio supremo», p. 36; cfr. pp. 35-37. In questa
sede, tenderò a identificare sacro/santo, e non affronterò la complessa questione
dell’ambiguo rapporto tra sacro/profano e puro/impuro (il segreto del religioso
starebbe nella loro corretta separazione: cfr. Lv 10,10; Ez 44,23), all’interno della
tradizione ebraica (che originariamente interpretava il sacro, natura di potenza mas-
simamente pericolosa e persino mortale per l’uomo, come affine all’impuro, natura
pericolosa e depotenziante!). Rimando, in prop., a J. nEusnER, The Idea of Purity in
Ancient Judaism, Leiden, Brill, 1973, in partic. pp. 139-142, ove è sottolineato il legame
tra nozione di purità e culto del Tempio santo, di cui si mettono in rilievo diverse
interpretazioni spiritualistiche ebraiche settarie, che lo risolvono nella comunità; a
J. Klawans, Impurity and Sin in Ancient Judaism, New York, Oxford University Press,
2000; e ancora all’intero volume di sacchi, Sacro/profano impuro/puro, cit., che sot-
tolinea l’evoluzione storica dei rapporti tra queste categorie-chiave della religiosità
ebraica, che comunque approda a una tendenziale identificazione dell’impuro con il

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peccato, che preclude la relazione di intimità con il sacro/santo, divenuta salvifica
e beatifica, piuttosto che mortale. Mentre a Qumran, tutto è impuro, tranne la co-
munità che si purifica, adeguandosi alla santità di Dio, per Gesù, nulla più è impuro
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o profano, perché tutto è di Dio, tranne il peccato dell’uomo, che è l’unica realtà
davvero impura. Generalizzando, si potrebbe dire che il Tempio di Gerusalemme è
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chiamato a rendere possibile, al tempo stesso, la separazione tra sacro e profano e
l’introduzione di Israele nella prossimità con il sacro stesso, sino a divenire sacro/
santo come Dio (a differenza degli impuri pagani).
4
Cfr. EliadE, il sacro e il profano, cit., pp. 19-20: «Nel momento in cui il sacro
si manifesta attraverso una qualsiasi ierofania, non soltanto viene interrotta l’omo-
geneità dello spazio, ma avviene contemporaneamente la rivelazione di una realtà
assoluta, in opposizione alla non-realtà della distesa che la circonda. La manifesta-
zione del sacro fonda ontologicamente il Mondo. Nella distesa omogenea ed infini-
44 gaetano lettieri

mente il rapporto con la potenza numinosa, comunque irriducibile


e appunto tremenda. Attraverso il rito che localizza la potenza di
un’entità sovraumana, questa si presta quasi a essere catturata, «pre-
sa in ostaggio» dai suoi devoti e dai loro sacrifici di «ingraziamento»,
che confinando la sua presenza cercano di «addomesticarla». Ne de-
riva una dimensione necessariamente politica della mediazione reli-
giosa: il tempio è la scaturigine dell’ordine cosmico, i sacerdoti sono
fondamento o funzione del potere politico. Insomma, il potere reli-
gioso ha sempre una funzione politica, così come il potere politico
ha, almeno nelle culture non secolarizzate (e persino in queste, per
molti aspetti), sempre una valenza religiosa: entrambi si fanno cari-
co di entrare in rapporto, di mediare, rappresentare la potenza so-
vraumana, per ordinare, assicurare, potenziare la comunità, come, in
tempo di crisi, di interpretare gli eventi, dando alla comunità rispo-
ste rassicuranti, compatibili con il sistema stabilito, eventualmente
ridefinendo nuove relazioni con il divino.
Queste constatazioni del tutto banali – tanto meno significati-
ve, quanto più generiche e disancorate da contesti storico-religiosi
determinati5 – non intendono mettere in alcun modo in discussio-
ne la dimensione culturale, storica, politica (piuttosto che naturale o
fenomenologicamente permanente) dell’identificazione dello spazio
sacro6; sicché a seconda delle diverse condizioni antropologiche, sto-

ta, senza punti di riferimento né possibilità alcuna di orientamento, la ierofania rivela


un “punto fisso” assoluto, un “Centro” […] Per vivere nel Mondo, bisogna fondarlo, e

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nessun mondo può nascere nel “caos” della omogenenità e relatività dello spazio
profano».
5
Per una messa a fuoco delle difficoltà metodologiche nella definizione dell’og-
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getto storico-religioso «luogo sacro/tempio», rifratto in una pluralità di casi esem-
plari, cfr. a. vauchEz (a cura di), Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches termi-
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nologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, Roma, École Française de Rome,
2000.
6
«Vorrei rimarcare la mia distanza rispetto a una prospettiva antropologico-
religiosa che fa dello spazio sacro il centro cosmico di una cultura, già da sempre
ridecretato attraverso il rito e il tempo festivo… Al contrario, io preferisco parlare di
segni e di codici continuamente rinegoziati e ridefiniti nei quadri sociali e temporali
della memoria culturale, ossia nei processi mnemostorici che governano la messa
a fuoco dei significati», l. canEtti, Impronte di gloria. Effigie e ornamento nell’Europa
tempus destruendi et tempus aedificandi 45

riche, sociali, economiche e delle diverse prospettive interpretative dei


soggetti storici che «frequentano» un tempio determinato, il rapporto
con esso può essere tradizionalmente ribadito, riconfigurato, ma an-
che messo in discussione, radicalmente innovato, persino negato. Il
tempio rappresenta un potentissimo strumento di costruzione cultu-
rale, una specifica e quasi ubiqua opzione pragmatica, non l’invariabile
fondamento onto-cosmologico, metafisico dell’uomo, senza il quale
egli sarebbe condannato a perdersi nel caos, nell’insignificanza nichili-
stica. Sicché è il rituale, sempre governato da un interesse pragmatico,
a costituire e significare lo spazio sacro7. Ma come si pone il desiderio
del singolo nei confronti del sistema sacro/santo, nel suo rapporto tra
rito, tempio e ordine sociale costituito? È mera funzione riassorbita
nella sua struttura soggettivizzante, che gli conferisce identità, prassi
e ruolo codificati, o non rappresenta una sua variante «libera», un’im-
maginazione creativa, aperta a diverse possibilità di relazione con «il
sistema sacro/santo», divenendo persino un suo possibile punto di
innovazione, reinvenzione o resistenza, crisi, effrazione?
Detto altrimenti, il religioso è soltanto confinabile all’interno
dell’economico? Il tempio è soltanto il centro di un rapporto di con-
trattazione, di scambio, d’investimento assicurativo, anche quando
sono coinvolte le «realtà» massimamente ambigue, per molti aspetti
inafferrabili del sacro/santo, del sacrificio e del dono (che è sempre
esposizione e soggezione al rischio, all’ignoto)? Qual è il rapporto, ap-
punto, tra dono, sacrificio – dell’animale, dello straniero, del nemico?
Dell’altro o di sé? –, dispendio, persino, e sistema di culto del sacro/
santo? Economia e dono coincidono, essendo forse questo stesso un
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calcolo d’interesse differito? E il tempio che li gestisce è finalizza-
to soltanto alla tutela e al potenziamento dell’identità culturale di un
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gruppo o è locus come radura, apertura a uno spazio ulteriore, a un’ec-
cedenza indisponibile, che anziché assicurare, espone all’esperienza
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del rischio assoluto? In effetti il sacro come esposizione al pericolo

cristiana, Roma, Carocci, 2012, pp. 54-55. Condivido quest’assunto metodologico


antifenomenologico e storicizzante di Canetti.
7
Cfr. J.z. smith, To Take Place. Toward a Theory in Ritual, Chicago-London, The
University of Chicago Press, 1987, pp. 103-105.
46 gaetano lettieri

mortale del «totalmente Altro»8 pare davvero luogo critico ricorrente


dell’umano: esperienza del limite invalicabile, rappresentazione della
morte stessa come verità ultima della vita; esposizione a quel caos/
possibilità infinita della differenza, irriducibile in qualsiasi forma si
tenti di identificarlo/a; pensiero grato del manifestarsi della pretesa di
un senso, della proiezione di un desiderio che non si vuole costretto
dall’ordine dato, di un dono che è esperienza di alterità, capace di
comandare/generare relazioni etiche. Pertanto, il tempio è soltanto
luogo di una violenza identitaria, di costituzione di gerarchie e di di-

8
Il riferimento al sacro come «totalmente altro [ganz Andere]» è, ovviamente,
dipendente dal grande testo di R. otto, Das Heilige.Über das Irrationale in der Idee des
Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen, Breslau, Trewendt und Granier, 1917,
trad. it. Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto al razionale, in S. Banca-
laRi (a cura di), R. Otto, Opere, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2010, pp. 203-324.
La nozione è certo storicamente connotata: Otto riconnette il totalmente Altro al-
l’«aliud, aliud valde» di Agostino (Confessiones VII 10,16), ma articola la dialettica tra
numinosum e tremendum soprattutto attraverso Lutero, senza dimenticare l’influenza di
Schleiermacher e di Kierkegaard (si pensi in parallelo alla stessa centralità barthiana
del totalmente altro). Ricordo che, per Otto, das Heilige corrisponde propriamente al
qadoš ebraico, quindi al «santo», la cui nozione andrebbe distinta da quella di «sacro»,
anche se spesso Otto lo restituisca tramite il latino sacrum. Per Otto, il sacro/santo
come numinosum, tremendum e fascinosum (a seconda che esso si riveli come condanna/
ira o dono/favore), è dimensione di radicale eccedenza, idea di una dimensione «or-
renda» e per certi aspetti irrazionale, o meglio del mysteriosum in quanto formalmente
irriducibile al pensiero concettuale: «la crisi di tutte le forze, il totalmente Altro»
(Barth). Anche per il suo rapporto critico con l’impostazione di Otto, notevolissima

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è l’interpretazione del rapporto sacro/santo – storicamente problematica e religiosa-
mente confessionale, ma di straordinaria portata filosofica – avanzata da E. lévinas,
Du Sacré au Saint. Cinq nouvelles lectures talmudiques, Paris, Minuit, 1977, trad. it. Dal
Società editrice il Mulino,
Sacro al Santo. Cinque nuove letture talmudiche, Roma, Città Nuova, 1985: il sacro restitu-
irebbe un rapporto entusiastico di sottomissione violenta e fusione spersonalizzante
Bologna
con il «divino/numinoso», mentre il «santo», proprio perché infinitamente separato,
rivelerebbe la relazione con il Dio biblico come apertura di distanza, che presuppone
l’«ateistica» distruzione dell’idolatrico mito religioso; soltanto in questa relazione di
distanza con l’Altro, che si rivela come Bene, vi sarebbe spazio per il soggetto libero
ed eticamente responsabile, cui è comandato il rapporto di cura nei confronti dell’al-
tro uomo. Mentre per Otto l’idea di sacro/santo comporta la crisi di qualsiasi etica
filosofica (si pensi all’utilizzazione kantiana del «santo»), per Lévinas il santo diviene
scaturigine religiosa dell’etica stessa.
tempus destruendi et tempus aedificandi 47

sciplinamento, o è anche luogo di ambiguo incontro fusionale, per-


sino testimonianza e/o ostacolo di un’esigenza di dischiusura, ove il
sacro/santo impone ai suoi cultori aperture all’altro (al «prossimo»,
allo straniero, al nemico!) sempre più radicali e rischiose? Rispetto a
queste confuse domande, non esiste risposta univoca, sicché davvero
pare che, circolarmente, dimensione economico/pragmatica, sempre
storicamente condizionata, e dimensione fenomenologico/metafisi-
ca, etica e veritativa del tempio o del sacro/santo che lo visita/lo ec-
cede, si escludano e si convertano nel loro opposto.
Si pensi, per uscire da queste generiche astrazioni, a un potente
esempio storico, pure qui inevitabilmente indicato tramite una brutale
semplificazione: il Dio biblico, quell’idea generica dietro la quale si
nascondono processi storici, storie di desiderio e conflitti ideologici
incredibilmente complessi. Egli fonda identità ed espone a una radi-
cale alterità, capace di mettere radicalmente in crisi lo stesso sistema
religioso rivelato attribuitogli. Egli rimane, infatti, eccedente rispetto
alla sua immanenza templare e al sistema sacrale (alla Legge) connes-
sole, sicché «oltre» al e anzi «prima» del rapporto tra sacro/santo e
mondo, egli dischiude un rapporto tra sacro/santo e storia. Il «Santo»
prende dimora nel Tempio (cfr. 1Re 8,10-16 )9, colloca la sua Presenza
nel suo «santuario» e in particolare nel tabernacolo che ne è al centro;
ma, d’altra parte, Dio mantiene la sua trascendenza rispetto ad esso
(cfr. 1Re 8,27), la quale può essere sia topologica, «celeste», sia stori-
ca, rivelativa, rinviando a una nuova teofania o forma escatologica di
avvento/presenza10, insomma a un nuovo «Tempio». Proprio la natura

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9
Sul Tempio come luogo sacro/santo, cfr. J.d. lEvEnson, The Jerusalem Temple
Società editrice il Mulino,
in Devotional and Visionary Experience, in A. GREEn (a cura di), Jewish Spirituality: From
the Bible through the Middle Ages, New York, Crossroad, 1986, pp. 33-61; e E.P. sand-
Bologna
ERs, Judaism: Practice and Belief 63 BCE-66 CE, Philadelphia, Trinity Press Interna-
tional, 1992, trad. it. Il giudaismo. Fede e prassi (63 a.c. – 66 d.c.), Brescia, Morcelliana,
1999, pp. 63-162: «Il tempio era santo non solo perché il Dio santo vi era adorato,
ma anche perché egli era là», p. 96; e gli studi raccolti in o. KEEl, E. zEnGER (a
cura di), Gottesstadt und Gottesgarten. Zu Geschichte und Theologie des Jerusalemer Tempels,
Freiburg-Basel-Wien, Herder, 2002.
10
Cfr. 1Re 8,10-14. Interessante l’excursus dedicato all’ebraismo da G. Picca-
luGa, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1974,
48 gaetano lettieri

eminemente storica, che qualifica il rapporto tra il Dio biblico e lo


spazio sacro per eccellenza che ne assicurerebbe la presenza, rivela
come questo sia realtà niente affatto cosmica, bensì eminentemente
pragmatica, polemica, «ermeneutica», ridefinita da rivalità (si pensi a
quella tra il tempio samaritano sul Garizim e quello giudaico di Ge-
rusalemme), violenze, distruzioni, stratificazioni religiose e cultuali.
A Gerusalemme, la basilica cristiano-romana del Santo Sepolcro si
sostituisce e si «sovrappone» al Tempio giudaico distrutto dai romani,
per poi essere presa, «tolta» e risettata dai musulmani, quindi disputata
dalle diverse confessioni cristiane11.

70-84, in riferimento ai segni di confine delle «pietre erette», le mass bôt. La pietra del
sogno di Giacobbe sarebbe la mass b h archetipica della casa di Dio (cfr. Gn 28,18-
22), quindi del Tempio stesso, che segnerebbe il passaggio dalla dimensione errabon-
da delle popolazioni nomadi alla stabilizzazione di un popolo divenuto sedentario,
che pertanto vede il ritorno all’erranza (di cui il deserto è simbolo) come ritorno al
caos e diaspora nel vuoto. L’arca, che è la guida divina che conduce dall’erranza alla
terra promessa, perduta/distrutta dopo la distruzione del Primo Tempio, doveva
comunque scomparire, per essere recuperata soltanto nel tempo escatologico; sto-
ricamente, essa viene sostituita con la pietra del Tempio, che alcuni testi rabbinici
interpretano come centro del mondo: «la pietra di fondazione del mondo» (Tanhuma,
Kedoshim 10). Si dà, pertanto, oscillazione tra mantenimento della presenza ed esca-
tologico ritorno dell’arca, come segno di una presenza di Dio più piena, definitiva,
garantita da ogni nuova, possibile diaspora. In tal senso, cfr. il grande, seppure con-
troverso volume di E. voEGElin, Order and History, vol. I, Israel and Revelation, Baton
Rouge, Louisiana State University Press, 1956, II ed. Columbia-London, University
of Missouri Press, 2001, trad. it. Ordine e storia, vol. I, Israele e la rivelazione, Milano,

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Vita e Pensiero, 2009, in partic. pp. 7; 151-235; 505-599, ove la storia di Israele è letta
come dialettica tra sempre eccedente dispositivo dell’esodo e ordinante dispositivo
della pragmatica strutturazione teologico-politica di tipo cosmologico, all’interno
Società editrice il Mulino,
del quale rientrebbe la stessa fondante affermazione della centralità del Tempio di
Gerusalemme. Sull’ossessione romana per il confinamento sacrale dello spazio e il
Bologna
suo ruolo politicamente e culturalmente fondativo, cfr. la notevole indagine di G.
dE sanctis, La logica del confine. Per un’antropologia dello spazio nel mondo romano, Roma,
Carocci, 2015.
11
Cfr. smith, To Take Place, cit., pp. 2-3, ove ricorre proprio l’esempio dei di-
versi templi di Gerusalemme, luoghi simbolici dei conflitti religiosi dal giudaismo
all’Islam; e p. 79, su Costantino creatore politico della «Terra santa». Ancora sulla
conflittualità templare a Gerusalemme, cfr. G.w. Bowman, «In dubious Battle on the
Plains of Heav’n»: The Politics of Possession in Jerusalem’s Holy Sepulchre, in «History and
tempus destruendi et tempus aedificandi 49

Massimamente problematico risulta, quindi, il rapporto cristiano


con il luogo sacro religiosamente riconosciuto, in quanto esso è carat-
terizzato da un evento traumatico fondativo, che irrompe a spezzare il
legame con il culto rituale finalizzato ad assicurare la presenza di Dio
nel suo Tempio elettivo: sicché i kerygmata protocristiani, pur rima-
nendo indelebilmente giudaici, assumeranno tutti – più o meno in-
tenzionalmente e accentuatamente – un’irrinunciabile configurazione
destabilizzante, desacralizzante, atopica, rispetto alla loro matrice. E in
quanto atopica, niente affatto rassicurante, ma al contrario «follemen-
te» scandalosa, estatica12, sussistente soltanto nella pretesa di essere
invasata manifestazione di uno Spirito13, che soffia altrove rispetto ai
luoghi religiosi deputati. Se, infatti, per la tradizione religiosa giudaica,
soltanto il Tempio e la Legge sono i criteri d’identificazione dell’auten-
tica rivelazione di Dio, come può essere «santificato» messianicamente
un uomo crocifisso dai sacerdoti del Tempio come eversore/distrutto-
re del Luogo sacro/santo e come maledetto dalla Legge?
Come vedremo, la crocifissione di Cristo introduce una radicale

Anthropology», 22, 3 (2011), pp. 371-399. Più in generale, sulle ideologie dei templi
gerosolimitani, cfr. A. hoFFmann, G. wolF (a cura di), Jerusalem as Narrative Space/
Erzählraum Jerusalem, Leiden, Brill, 2012; R. salvaRani, Il Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Riti, testi e racconti tra Costantino e l’età delle Crociate, Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 2012; o. PERi, Christianity under Islam in Jerusalem: The Question of the Holy Sites
in Early Ottoman Times, Leiden, Brill, 2001.
12
Cfr. Mc 12,10-11, ove ricorre la citazione di Sal 118,22-23; Rm 9,32-33; 11,9;

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1Cor 1,22-23, ove il Messia crocifisso è identificato con lo «scandalo», la pietra di
inciampo dei giudei, pure divenuta nuova pietra angolare del Tempio universale; cfr.,
in tal senso, 1Pt 2,4-10.
13
Società editrice il Mulino,
Sul concetto neotestamentario di Spirito, mi limito a rinviare a G. thEis-
sEn, Erleben und Verhalten der ersten Christen. Eine Psychologie des Urchristentums, Güter-

Bologna
sloh, Gütersloher Verlagshaus, 2007, trad. it. Vissuti e comportamenti dei primi cristiani.
Una psicologia del cristianesimo delle origini, Brescia, Queriniana, 2010, par. Pneuma come
concetto collettivo di esperienze religiose nel cristianesimo delle origini, pp. 125-130, anche se
dissento a) con l’identificazione del dono dello Spirito con «una scintilla di eternità
nell’uomo», p. 126, e b) con l’anomala, gnosticheggiante definizione dello Spirito
come «forza che è all’opera negli esseri umani rinnovati [che] è della stessa sostanza
[homoúsios] di questo Dio dell’aldilà, dello stesso rango, della stessa dignità e dello
stesso modo di essere», p. 130.
50 gaetano lettieri

crisi della presenza teofanica: con la morte del figlio dell’uomo profe-
ta («il» messia?) del regno pare deposta la stessa realtà carismatica della
comunità gesuana. E se la fede nella resurrezione postula il ri/avveni-
re della presenza, questa è nuovamente tolta nell’annuncio dell’ascen-
sione, seppure disseminata nella pentecoste comunitaria dello Spirito.
Cristo è il morto/risorto, l’assente/presente nel suo Spirito, l’asceso/
disseminato: dove e come può avere luogo, dove e come può essere
riconoscibile? Quale tempio, quale spazio/realtà fisica può «conte-
nerlo»? Infatti, seppure la comunità apostolica continui a frequentare
il Tempio (attendendovi il ritorno del Risorto?), almeno per alcune
correnti gesuane (gli ellenisti di Stefano, i discepoli di Paolo e «Gio-
vanni») e per le tradizioni fissate nei racconti sinottici della crocifis-
sione, il trauma della morte e il miracolo della resurrezione rivelano il
centro stesso del Tempio come ormai vuoto. Quale luogo teofanico
rimane, allora? Come segnare antropologicamente l’effettiva presenza
dello Spirito, il reale av-venire della nuova teofania? Inoltre, essendo il
Tempio luogo di un rituale, senza il quale non si dà comunità14, quale
rituale caratterizza le comunità protocristiane?
Per i battezzati in Cristo, la memoriale «presenza» eucaristica
(attestata nelle lettere paoline e nei vangeli sinottici) pare divenire il
sostituto dell’effimero Tempio di Gerusalemme e del suo culto15. Il

14
Cfr. thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani, cit., pp. 373-380: «I
rituali e le comunità costituiscono un tutt’uno […] I rituali sono il fondamento della
comunità. Tutte le relazioni sociali dipendono da una comunicazione fatta di segni

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sensibili, che sono compiuti secondo modelli prevedibili», p. 373.
15
«Forse Gesù celebrò la sua ultima cena in sostituzione dei pasti sacrificali
consumati nel Tempio, dopo che con il suo attacco al Tempio aveva reso impossibile
Società editrice il Mulino,
una sua tranquilla partecipazione al culto del tempio: in una semplice cena a base
di pane e vino i discepoli dovevano trovare un surrogato di quello che altrimenti
Bologna
trovavano in un sacrificio di comunione nel tempio (seguito da una consumazione
comune) […] La santa cena delle origini si riallacciò in ogni caso ai conviti del Gesù
storico. Però va al di là di essi. Essa non conteneva solo un’opposizione al Tempio,
ma anche trasgressioni simboliche di tabù», thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi
cristiani, cit., pp. 398-399. Sulle «trasgressioni rituali di tabù nella cena del Signore»,
interpretata dalle comunità protocristiane come sacrificio espiatorio, cfr. pp. 399-
402; queste gravissime trasgressioni rituali della prassi liturgica giudaica sono: a) il
consumare comunitariamente il sacrificio di espiazione, che, a differenza del sacri-
tempus destruendi et tempus aedificandi 51

rito eucaristico è al tempo stesso fisico ed evanescente, realissimo –


offerta di pane e di vino – e carismaticamente disseminato in ciascu-
na comunità, sempre escatologicamente avveniente e sempre tolto/
consumato/mangiato. Inoltre, il continuare a farsi sacrificale corpo
comunitario del Cristo spirituale/volatilizzatosi pare contrarre in
sé il paradosso della dislocazione minima, dell’atopia kenotica della
nuova presenza protocristiana: lo Spirito di Cristo avviene nell’unico
nuovo Luogo ovunque dislocato della comunità sacra/santa, socio-
logicamente sfuggente, liquida, «anfibia», eppure conformatasi nella
fruizione della comunione eucaristica. Spingendosi alla metà del II
secolo, si pensi alla più antica descrizione della liturgia cristiana a
noi pervenuta, quella di Giustino: rivelativa (e storicamente del tutto
ovvia) è l’assoluta assenza di qualsiasi riferimento al luogo fisico,
all’edificio di culto o tempio tolto nella chiesa dei fedeli16. L’eucare-
stia avviene ovunque convergano i fratelli, sicché il luogo liturgico
è in un caso indicato da un semplice avverbio ( )17, nell’altro
come mera, neutra e contingente, mobile collocazione ( ,

ficio di comunione che univa tutta la comunità, era riservato dalla Legge ai soli
sacerdoti, con la netta esclusione della vittima espiatoria dalla comunità, sicché «non
è lecito mangiare comunitariamente i resti tabuizzati del sacrificio espiatorio […] Un
sacrificio di espiazione divenne così il fondamento di un sacrificio di comunione»,
ibidem, p. 400, confondendo i due piani nettamente distinti nella prassi templare; b) il
bere simbolicamente il sangue di Cristo: «Qualsiasi giudeo aveva interiorizzato il di-

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vieto di bere il sangue. Egli inorridiva all’idea di bere la sostanza portatrice della vita
e di trasgredire il comandamento […] “Non mangerete la carne con la sua vita, cioè
con il sangue” (Gn 9,4)», ibidem, pp. 401-402; cfr. pp. 602-603. Si noti comunque, alle
Società editrice il Mulino,
pp. 410-420, la differenziazione rintracciata (già da Hans Lietzmann) nelle comunità
protocristiane tra a) pasto sacro religioso «moderato» senza trasgressione di tabù
Bologna
(=agape), cioè senza memoria della morte di Gesù, e b) pasto sacro religioso «estre-
mo» con trasgressione di tabù (=eucarestia), cioè incentrato sulla memoria rituale della
morte di Gesù. Per un’interpretazione dell’eucarestia come nuovo culto templare,
che istituisce un nuovo ordine sacerdotale, cfr. m.P. BaRBER, The New Temple, the New
Priesthood, and the New Cult in Luke-Acts, in «Letter & Spirit», 8 (2013), pp. 101-124,
in partic. pp. 116-124.
16
Cfr. Just., 1 apol. 65,1-67,8.
17
Just., 1 apol. 65,1.
52 gaetano lettieri

«nello stesso [luogo]») dell’assemblea ( )18, del convenire


dei fedeli, presentati come corpo del Logos, nutrito dal pane e dal
vino sacrificali19.
Il grande tema dell’eucarestia, di difficilissima messa a fuoco
nell’ambito del cristianesimo dei primi secoli, non sarà qui affronta-
to20. Ci si concentrerà, piuttosto, sul controverso rapporto del cristia-
nesimo dei primi tre secoli e mezzo con il «T/tempio», tentando di
confrontare due capitali atti fondativi di elaborazione ideologica cri-
stiana, anzi due veri e propri paradigmi teologico-politici, certo assai
distanti nel tempo e generati in contesti storici del tutto diversi, ep-
pure, se messi in parallelo, capaci di rivelare l’impressionante torsione
storico-religiosa vissuta dal cristianesimo dei primi tre secoli.
a) La decostruzione o della sacralità/santità esclusiva
del Tempio di Gerusalemme, operata da Gesù e dalla comunità primi-
tiva; ci si concentrerà in particolare su Paolo e sulla sua identificazione
del nuovo tempio di Dio con la chiesa carismatica dei credenti, il cui
corpo è ormai l’unico luogo del sacro/santo, della presenza di Dio,
che è lo Spirito di Cristo. Definisco il paradigma teologico-politico
corrispondente come messianico-kenotico, apocalittico, escatologico-
pneumatico, prospettato da Paolo prima della distruzione romana del
Tempio nel 70.
b) La costruzione costantiniana, testimoniata e celebrata da Euse-
bio di Cesarea, di una nuova religio pubblica, attestata da una rivoluzio-
naria, sistematica opera di templarizzazione del sacro/santo cristia-
no, capace di sovrapporre, certo lentamente e attraverso persistenti
ambiguità, il sistema «sacramentale» cristiano esca-teologico-politico
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a quello pagano pubblico preesistente, cioè a quella theologia civilis/
theatrica dell’immanenza, che potremmo definire cosmo-teologico-po-
Società editrice il Mulino,
18
19 Bologna
Just., 1 apol. 67,3.
Cfr. Just., 1 apol. 66,2.
20
Cfr. w. RoRdoRF et al., L’eucharistie des premiers chrétiens, Paris, Beauchesne,
1976; E. mazza, La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, Bo-
logna, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003; e la rilevante sintesi di m.-Y. PERRin, No-
runt fideles. Silence et eucharistie dans l’orbis christianus antique, in N. BERiou, B. casEau, d.
RiGaux (a cura di), Pratiques de l’Eucharistie dans l’Églises d’Orient et d’Occident (Antiquité
et Moyen Âge), Paris, Institut des Études Augustiniennes, 2009, vol. II, pp. 737-763.
tempus destruendi et tempus aedificandi 53

litica. L’inaudita novità di un imperatore cristiano, quindi di un potere


universale assoluto che si converte a un vangelo originariamente apo-
calittico, escatologico, messianico-kenotico, è qui interpretata come
cesura storica radicale e innovazione teologico-politica epocale. Defi-
nisco questo secondo, ambiguo paradigma teologico-politico cristia-
no come messianico-imperiale, pantocratico, analogico-ontologico,
monocratico-gerarchico.
Ricorrerendo alla classificazione di Jonathan Z. Smith, la disse-
minazione comunitaria protocristiana – che dalle «chiese» di Paolo,
«Pietro», «Giovanni», «Tommaso» procedono verso Giustino e si dif-
fondono come comunità ormai pienamente ellenizzate – specifiche-
rebbe come luogo di culto e della pratica religiosa quello (praticato da
altri movimenti culturali e altri clubs «religiosi» non cristiani) dell’ovun-
que («anywhere»), da differenziarsi dal luogo di culto domestico del
qui («here») e da quello pubblico del là («there»), proprio delle teolo-
gie politiche, delle religioni civiche pagane e del Tempio giudaico21.
Nel suo transito dal contesto religioso ebraico a quello universale,
giudaico/ellenistico, il «luogo» protocristiano paolino e postpaolino,
scartando dal there del Tempio di Gerusalemme e ovviamente sottra-
endosi al there idolatrico, tenderebbe, almeno fino alla svolta costanti-
niana, nella direzione di un here notevolmente allargato, comunitario,
struttura sociale inclusiva e in sé differenziata22, capace, a partire dal

21
Cfr. J.z. smith, Here, There, and Anywhere, 2000, quindi in Relating Religion: Es-
says in the Study of Religion, Chicago-London, The University of Chicago Press, 2004,

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pp. 323-339, in partic. pp. 329-334. Per un approfondimento di questa prospettiva,
che spinge a interpretare come interstiziale il localizzarsi religioso delle comunità ge-
suane, cfr. a. dEstRo, m. PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, Brescia, Mor-
22
Società editrice il Mulino,
celliana, 2005, pp. 9-10, 30-31, 67-97.
Cfr. thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani, cit., p. 605: «A mio
Bologna
giudizio, la chiesa non è una forma sociale accanto ad altre, ma si distingue per una
struttura sociale inclusiva: essa fa spazio in sé a sette, gruppi cultuali e denominazio-
ni. Le chiese realizzano una pluralità all’interno […] Pertanto già nel cristianesimo
delle origini possiamo constatare l’esistenza di strutture e mentalità di una chiesa:
dopo la decisione del concilio degli apostoli la chiesa abbraccia gruppi con strutture
diverse. Il canone neotestamentario rispecchia questa pluralità, perché abbraccia
le lettere di Paolo quali documenti di un movimento cultuale, i vangeli sinottici
quali sedimentazioni di un movimento intragiudaico di rinnovamento e gli scritti
54 gaetano lettieri

II secolo, di divenire universale religione «privata», ove evidente risulta


la paradossalità di questa definizione. La potremmo indicare con l’e-
spressione smithiana di «fictive family», sempre più allargato comu-
nitario spazio religioso, intrapolitico, che comunque non può ancora
divenire there, celebrato in luoghi pubblici di culto, in quanto nien-
te affatto riconosciuto come religio/theologia civilis dal potere politico
e dalla maggioranza della società. In effetti, queste adunanze, che i
cristiani dei primi secoli identificano progressivamente con la vera
religione e l’autentico, disseminato tempio/culto santo di Dio, pote-
vano avere valore soltanto negativo nella prospettiva della religione
romana. Se, semplificando, soltanto ciò che è sancito pubblicamente,
politicamente dalla civitas romana è sacro/santo»23, per di più univer-
salmente disseminato, eppure esclusivo e negatore di quello pubbli-
co24? In quanto antiidolatrico, critico, separato nei confronti del culto

giovannei quale letteratura di una denominazione intraecclesiale affine alla gnosi.


Che questi diversi gruppi avessero un loro spazio nella chiesa è dimostrato dalla
loro letteratura, mediante la quale essi hanno inserito la loro eredità nel canone».
Sulla «religione cristiana delle origini» come «religiosità in sé graduata», che accoglie
fenomeni religiosi moderati e fenomeni religiosi estremi, cfr. ibidem, pp. 617-627.
Forza inclusiva ed elasticità interna spiegano la straordinaria adattabilità storica del-
la chiesa protocattolica.
23
Cfr. la nota testimonianza di Elio Gallo (fr. 14 Bremer): «Gallus Aelius ait sa-
crum esse, quocumque more atque instituto civitatis consecratum sit». Cfr. c. santi,
Alle radici del sacro. Lessico e formule di Roma antica, Roma, Bulzoni, 2004, p. 85.
24
Sulla definizione paolina della propria chiesa come «santa», cfr. dEstRo, PE-

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scE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., il notevolissimo cap. II, Le comunità
paoline di santi e fratelli, pp. 49-66. In partic.: «L’accesso a ciò che è hagios si dà solo
in una nuova e concreta aggregazione societaria: la “assemblea di Dio” (ekklêsia tou
Società editrice il Mulino,
theou). Il paolinismo tende a negare l’esistenza di forme di accesso con ciò che è
hagios in altre aggregazioni, ad esempio nella polis. La ekklêsia non coincide cioè con
Bologna
nessun’altra forma aggregante preesistente, né con la società familiare, né con la
società politica. Proprio per questa concezione del sacro come forza aggregante a
livello culturale collettivo, nella ekklêsia il paolinismo delle origini, non diversamente
dal giudaismo, non è finalizzato ad un’esperienza religiosa esclusivamente indivi-
duale. Mira piuttosto a una dimensione fondamentalmente comunitaria», ibidem, p.
55. Ma come si accede alla comunità? «L’uomo è investito da una emanazione della
sostanza stessa della divinità. L’interiorità del singolo assorbe questa forza sacra e
ne viene trasformata […] La ekklêsia, nel pensiero di Paolo, non è quindi solo una
tempus destruendi et tempus aedificandi 55

pubblico, il nuovo «sacro/santo» cristiano – disseminato nelle comunità


credenti, ma giudaicamente del tutto esclusivo nel riconoscere come
unica fonte del qadoš l’unico Dio, operante nello Spirito di Cristo
– non dovrà necessariamente coincidere con il profano? Nella pro-
spettiva romana è del tutto contraddittorio pretendere di considerare
religiosa un’occulta, privata superstitio25, che pretende persino di essere
assoluta, risultando (nella sua stessa irriducibile tensione escatologica,
che colloca nell’altrove del regno-a-venire la propria autentica, utopica
cittadinanza) eversiva dell’ordine costituito e consacrato della civitas.
Proprio per questa natura eversiva di pretesa di sacralizzare/santifi-
care il profano, costituendolo comunque come sacro/santo separato,
il «religioso» cristiano è periodicamente del tutto legittimamente per-
seguitato dall’autentico potere pubblico della civitas, l’unico a sancire,
riconoscendolo, la presenza, la proprietà del sacro. Quale dimensione
religiosa poteva, infatti, possedere un tempio identificato con un cor-
po carismatico invasato dallo Spirito di un Dio morto/risorto, cultual-
mente «révenant» e infine atteso come re escatologico, sinistro rivale
dell’imperatore regnante e sacralmente celebrato? Eppure, questa reli-
gio eversiva riuscì a farsi religio pubblica!
Questa paradossale, per molti aspetti deformante trasformazione
è stata comunque possibile perché preparata da un secolare, profon-
do processo di riconfigurazione teologica, antropologica, sociale, che
ha immediatamente segnato le comunità protocristiane, fuoriuscite
dalla matrice giudaica, quindi precocemente ibridatasi con prospetti-

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comunità di oranti o di praticanti, ma una comunità di quanti sono stati resi partecipi
della medesima forza divina, sottomessi a un processo di condivisione esclusiva di ciò
25
Società editrice il Mulino,
che è aghios», ibidem, pp. 56-57.
Sulla complessità delle nozioni di religio e superstitio, rimando a BEnvEnistE,
Bologna
Potere, diritto, religione, cit., cap. VII, Religione e superstizione, pp. 485-596; il termine religio
è ricondotto, con Cic., nat. deor. II 28,72, a legere/relegere/retractare, piuttosto che al ter-
tullianeo e lattanziano (quindi cristiano!) religare. Il termine designerebbe, pertanto,
l’atto soggettivo, scrupoloso della riassunzione di un culto tradizionale, stabilito; al
contrario, nella sua ultima trasformazione, superstitio indicherebbe la pratica inganne-
vole e irrazionale dell’indovino (e «i Romani avevano orrore delle pratiche divinato-
rie», p. 496), la pretesa perversa di possedere un dono della visione della presenza di
forze occulte, sottratte all’ambito della religione tradizionale condivisa.
56 gaetano lettieri

ve e categorie del mondo greco-romano. In particolare, decisive sono


stati: a) la precoce, eppure coerente trasformazione protocattolica
di Gesù Messia apocalittico in Logos ontoteologico, quindi dell’Im-
magine escatologica e carismatica di Dio in protologica Immagine
creatrice, idea a mio avviso del tutto assente nelle lettere autentiche
di Paolo, ma già avviata con il IV vangelo e con l’epistole deute-
ropaoline; b) lo strutturarsi del reticolo delle disseminate comunità
protocristiane in struttura istituzionale (per molti aspetti mimetica
di quella statale) gerarchicamente governata e cattolicamente coordi-
nata; c) la decisione protocattolica di costituire un nuovo testo sacro
(la Bibbia cristiana), nel quale fosse ricompresa la totalità della Bib-
bia ebraica, con la conseguente trasmissione di latenti componenti
messianico-politiche e di una logica rappresentativa della presenza
teofanica di Dio (persino all’interno di una tradizione aniconica, se
non iconoclasta), proprie della tradizione religiosa giudaica, che la
svolta costantiniana riattiverà.
La conversione di Costantino è, pertanto, il compiersi imprevisto
ed eclatante di un processo secolare cristiano di conversione al mondo
e alla storia: di surroga compensativa dell’escatologico (dell’atopico,
più ancora che dell’utopian di J.Z. Smith) con il dilatarsi teologico-
politico (la conquista cristiana del topos mondano). Già a partire dagli
Atti lucani (che comunque dispiegano un dispositivo universalistico,
quindi «protocattolico» già decisivo in Paolo), il ritardo della parou-
sia determina, come surrogato provvisorio del regno escatologico, la
progressiva occupazione del mondo e della sua cultura, giustificata
dall’ambigua identificazione del Signore messianico-apocalittico con
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il creatore e il conservatore provvidente del mondo. Nel prolungarsi
indefinito dell’attesa del ritorno di Cristo, la presenza di Dio è così
Società editrice il Mulino,
storicamente testimoniata dalla provvidenziale conversione crescen-
te delle genti, dall’ampliarsi della chiesa nuovo tempio di Dio, dal
Bologna
suo farsi altro mondo nel mondo, altra religione che toglie la religione
giudaica e demitizza quelle pagane, altra cultura monoteistica nella
quale si risolvono e si trasfigurano la cultura di Israele e quella dei
gentili, altro ordine e potere gerarchico, capace di condizionare ordini
e poteri sociali e politici. L’approdo ultimo di questo processo – ap-
prodo niente affatto scontato e certo quanto meno favorito dalla
tempus destruendi et tempus aedificandi 57

decisione arrischiata di Costantino26 – salda paradossalmente, nella


mediazione della realtà anfibia che è la chiesa, eccedenza e storia,
atopia del regno e topos mondano espugnato, apocalisse e ordine
onto-teologico-politico, carismatico tempio escatologico e religione
pubblica universale.
D’altra parte, il nuovo sistema religioso cristiano-romano non
potrà non conservare in sé l’originario dispositivo escatologico
«eversivo», quindi antitemplare o comunque metatemplare, rimasto
latente, come paralizzato nei primi decenni stupefatti della svolta
costantiniana, ma poi lentamente riaffiorante. La cristianità postco-
stantiniana non potrà che vivere di un’inesausta dialettica, persino
istituzionale, di costruzione religiosa trionfante e di (più o meno
dispiegata) decostruzione escatologico-carismatica del nuovo sacro
cristiano. E, comunque, nel nuovo tempio fisico postcostantiniano
continuerà a celebrarsi l’avvento atopico dell’eucarestia, la celebra-
zione memoriale del sacrificio salvifico di colui che, venendo, rima-
ne sempre escatologico, ulteriore, quindi latente rispetto al tempio
nel quale pure si rende presente. Il nuovo tempio cristiano, allora,
assicura, rende saldo mondo, comunità, ordine politico e potere as-
soluto, eppure, più o meno nascostamente, ospita pur sempre un’at-
tesa che lo dichiara comunque precario, talvolta persino indebito,
in un rapporto ambiguo di continuità sacrale e desacralizzante di-
scontinuità con il tempo ultimo, verso il quale il sistema religioso
cristiano non può che protendersi27.

26
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Cfr. R. PFEilschiFtER, Die Spätantike. Der eine Gott und die vielen Herrscher,
München, Verlag C.H. Beck, 2014, trad. it. Il Tardoantico. Il Dio unico e i molti sovrani,
27
Società editrice il Mulino,
Torino, Einaudi, 2015, pp. 49-50.
Per la storia del cristianesimo dei primi due secoli come caratterizzata da
Bologna
questa dialettica tra «a) “comunità immaginata deterritorializzata”» e «b) “comunità
immaginata riterritorializzata”», segnalo l’importante volume di E.R. uRcioli, Un’ar-
cheologia del «noi» cristiano. Le comunità «immaginate» dei seguaci di Gesù tra utopie e territoria-
lizzazioni (I-II sec. e.v.), Milano, Ledizioni, 2013, in partic. pp. 291-305; il cristianesimo
costantiniano potrebbe essere interpretato come il compimento iperbolico di questa
precoce esigenza di riterritorializzazione, che comunque continua ad ospitare in sé
il primo dispositivo, che attiva nuove forme di deterritorializzazione. Specificherei
che la deterritorializzazione è comunque toglimento/traslazione di una territoria-
58 gaetano lettieri

La portata e la complessità delle questioni qui trattate costrin-


geranno a una notevole genericità, imponendo di ridurre davvero al
minimo riferimenti e approfondimenti bibliografici. Verranno per-
tanto proposte tesi e analisi forse grossolane, che si spera possano
almeno evidenziare alcuni fenomeni macroscopici (il locus, il «bosco»
visto dall’alto), che una pur sempre doverosa analisi minuta dei singoli
contesti (del singolo albero del «bosco») correrebbe forse il rischio di
perdere di vista28.

1. Relazioni pericolose: Gesù, le comunità protocristiane e il Tempio

L’origine del cristianesimo come religione separatasi dal suo con-


testo giudaico è traumatica, iperbolicamente metastatica, in quanto
fondata sull’annuncio del regno escatologico che viene, «incarnato»
in un profeta/messia contestato e soppresso, quindi misconosciuto
dalla religione dominante in Israele29. Il polimorfo movimento infra-

lizzazione, che quindi presuppone. La storia del cristianesimo è quindi generata e


nutrita dalla dialettica di due dispositivi, uno escatologico, kenotico, atopico, l’altro
religioso/cultuale, glorioso, topico, dal primo presupposto e tolto/traslato. Rimando
a G. lEttiERi, Un dispositivo cristiano nell’idea di democrazia? Materiali per una metodologia
della storia del cristianesimo, in A. zamBaRBiERi, G. otRanto (a cura di), Cristianesimo e
democrazia, Bari, Edipuglia, 2011, pp. 19-134.
28
Ho approfondito e documentato le indicazioni avanzate in questo saggio
in G. lEttiERi, Note storico-critiche sul parallelismo sacramentale tra tempio e «persona» dalle

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origini cristiane alle teologie patristiche, in tommasi (a cura di), Tempio e persona, cit., pp.
153-197; G. lEttiERi, «Fuori luogo». Topos atopos dal Nuovo Testamento allo Pseudo-
Dionigi, in d. Giovannozzi, M. vEnEziani (a cura di), Locus Spatium. XVI Colloquio
Società editrice il Mulino,
Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, Firenze, Olschki, 2014, pp. 81-148; e G.
lEttiERi, Togliere l’immagine. Frammenti di «iconologia» protocristiana tra atopia e teofania, in
Bologna
d. Guastini (a cura di), Genealogia dell’immagine cristiana. Studi sul cristianesimo antico e le
sue raffigurazioni, Firenze-Lucca, La Casa Uscher, 2014, pp. 229-251.
29
Sarebbe qui necessario discutere le tesi, che per certi aspetti condivido (il cri-
stianesimo è un giudaismo «alteratosi»), per altri considero discutibili, di d. BoYaRin,
Border Lines: The Partition of Judaeo-Christianity, Philadelphia, University of Pennsyl-
vania Press, 2004; in questo senso cfr. anche P. FREdRiKsEn, The Birth of Christianity
and the Origins of Christian Anti-Judaism, in P. FREdRiKsEn, A. REinhaRtz (a cura di),
Jesus, Judaism, and Christian Anti-Judaism, Louisville, Westminster John Knox Press,
tempus destruendi et tempus aedificandi 59

giudaico apocalittico-messianico, escatologico-carismatico, scaturito


dalla predicazione di Gesù, rimane comunqe segnato dal trauma ir-
riducibile della sua crocifissione: il profeta del regno di Dio è appeso
al legno, quindi morto come maledetto dalla Legge (cfr. Dt 21,23,
citato in Gal 3,13), in seguito a una condanna decisa dalle autorità del
Tempio – fondamento della religione giudaica stabilita, riconosciuto
da Gesù e dagli stessi esponenti della comunità gesuana – ed eseguita

2002, pp. 8-30. Ritengo infatti che siano il messaggio radicalmente critico e il destino
assolutamente tragico dell’ebreo Gesù, quindi la fede nella sua resurrezione (disdetta
della condanna templare) e l’interpretazione eversiva che ne propongono l’ebreo
Paolo e l’ebreo Giovanni (e non gli eresiologi protocattolici o i cristiani ellenisti
ormai privi di retroterra culturale giudaico!), a determinare la frattura, l’espulsione/
la fuoriuscita di un gruppo giudaico apocalittico «impazzito», poi la genesi di una
religione ibrida alternativa e violentemente concorrente con la sua matrice giudai-
ca. Il cristianesimo sarebbe, in questa prospettiva, una «mortale» neoplasia giudaica
apocalittico-messianica dell’organo ebraico (si pensi al caso per certi aspetti analogo
di Sabbatai Zevi), amputata per non provocarne la morte, ma capace di sopravvivere,
come una metastasi, e dilatarsi enormemente nel grande corpo ellenistico-romano,
contaminando categorie giudaiche e categorie greco-romane. Forzandola, entro qui
in risonanza con la nozione voegeliniana (massimamente ambigua!) di metastasi, at-
tribuita all’atto profetico di contestazione dell’ordine teologico-politico costituito
(inaugurato da Isaia, quindi riattivato da Geremia ed Ezechiele e, in maniera certo
diversa, dalle correnti apocalittiche): «Introdurrò il termine metastasi per indicare la
trasformazione della costituzione dell’essere che hanno in mente i profeti e parlerò
di esperienze metastatiche, di fede, speranza, volontà, visione e azione metastatica e
dei simboli metastatici che esprimono queste esperienze», voEGElin, Ordine e storia,

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cit., p. 532; cfr. in partic. pp. 9-11, 532-534, 556-557. Insomma, la metastasi sarebbe
l’affermazione di una contestazione profetica carismatica (per Voegelin già radicaliz-
zata dall’apocalittica giudaica) all’ordine teologico-politico giudaico stabilito, negato
Società editrice il Mulino,
tramite la proiezione in una metarealtà teologico-politica, divinamente promessa e
postulata come imminente. Si potrebbe interpretare la genesi intragiudaica di una
Bologna
religione universale divenuta extragiudaica come istituzionalizzazione atopica di una
specifica «metastasi», misconosciuta dalle tradizioni dominanti giudaiche. La nuo-
va religione universale nascerebbe come surrogato universale, giudaico-ellenistico,
dell’annuncio – respinto dai giudaismi dominanti – di un regno apocalittico giudaico
(annunciato dal Messia crocifisso dal Tempio e risorto nello Spirito), che tarda a
venire. Cfr. G. lEttiERi, Un dispositivo cristiano nell’idea di democrazia, cit., pp. 19-134, in
partic. pp. 43-44, la lunga nota 57, dedicata al confronto con la nozione di metastasi
voegeliniana.
60 gaetano lettieri

dal trionfante potere romano, idolatra per ogni ebreo. Nessuna suc-
cessiva concezione cristiana di tempio, immagine, rappresentazione
sacrale potrà mai prescindere da quest’irriducibile, fondativa memoria
della violenza subita, della sottrazione mortale di Gesù dal piano della
rappresentazione, del riconoscimento sacrale, della legittimità religio-
sa. Su di essa potrà innestarsi, pertanto, la riattivazione della pretesa
ebraica fondativa del «mito aniconico»30, che caratterizza, nella sua
monoteistica iconoclastia antiidolatrica, la stessa origine esodica della
religione mosaica, fedele alla peregrinante origine abramitica del patto
con Dio.
Ma quali erano i rapporti di Gesù con il Tempio? Nonostante
evidenti siano le testimonianze del costante rispetto di Gesù nei con-
fronti del Tempio, riconosciuto come luogo santo nel quale Dio è
presente31 e centro della religiosità giudaica32, certo, prima ancora del-
le riletture postpasquali delle comunità, una forte tensione tra il Gesù
storico e il Tempio di Gerusalemme parrebbe essersi data. Come in-
terpretare la profezia sulla distruzione del Tempio di Mc 11,15-2333?

30
Rimando, in proposito, a l. canEtti, Costantino e l’immagine del Salvatore. Una
prospettiva mnemostorica sull’aniconismo cristiano antico, in «Zeitschrift für Antikes Chri-
stentum», 13 (2009), pp. 233-262, in partic. pp. 233-236.
31
Cfr. Mt 23,21: «Chi giura per il Tempio, giura per il Tempio e per Colui che
lo abita».
32
Cfr. Mt 5,24 e Mc 1,40-44, ove Gesù chiede ai suoi discepoli di offrire co-
munque il dono all’altare, pur se dopo essersi riconciliati con i fratelli, e a un leb-
broso da lui guarito di recarsi dal sacerdote per offrire la purificazione ordinata da

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Mosè. E.P. sandERs, Jerusalem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, in
l.i. lEvinE (a cura di), Jerusalem. Its Sanctity and Centrality to Judaism, Christianity, and
Islam, New York, Continuum, 1999, pp. 90-103, in partic. p. 91, sottolinea l’assenza
Società editrice il Mulino,
di brani evangelici polemici nei confronti dei sacerdoti, con l’eccezione relativa di
Lc 10,29-37.
33
Bologna
In partic., cfr. Mc 13,1 (e i paralleli Mt 24,1-2; Lc 20,5-7): «Mentre usciva dal
tempio, un discepolo gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni”. Gesù
gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che
non sia distrutta”». Questa profezia sulla distruzione del Tempio pare dipendente
dalla conoscenza del disastro del 70, eppure potrebbe reinterpretare parole auten-
tiche di Gesù. Sul tema, cfr. l. Gaston, No Stone on Another. Studies in the Significance
of the Fall of Jerusalem in the Synoptic Gospels, Leiden, Brill, 1970. Mi pare convincente
l’interpretazione di P. FREdRiKsEn, Jesus and the Temple, Mark and the War, in «Society
tempus destruendi et tempus aedificandi 61

Mt 12,1-8 e Gv 2,13-22, che descrivono la violenta e fatale «purifi-


cazione» del Tempio intrapresa da Gesù, quanto dipendono da una
costruzione comunitaria o quanto non restituiscono, piuttosto, una
prospettiva (più o meno) eversiva del Gesù storico34, certo da riconte-

of Biblical Literature. Seminar Papers», 29 (1990), pp. 293-310, che interpreta il rap-
porto di Gesù con il Tempio come conflittuale, ma (ri)costruttivo: il Gesù storico
avrebbe preannunciato un’apocalittica, imminente distruzione del Tempio, ma in
vista della ricostruzione di un nuovo Tempio non fatto da mani d’uomo. Per l’iden-
tificazione di Gesù con il nuovo Tempio escatologico, cfr. il volume di t.c. GRaY,
The Temple in the Gospel of Mark: A Study in Its Narrative Role, Tübingen, Mohr Sie-
beck, 2008, in partic. le conclusioni, pp. 198-201; sull’interpretazione di Gesù come
«a counter-temple leader», erede della critica predicazione del Battista, quindi del
movimento gesuano come «an apocalyptic counter-temple movement», convinto di
realizzare la costruzione del nuovo Tempio escatologico, cfr. n. PERRin, Jesus the Tem-
ple, Grand Rapids, Baker, 2010. Al contrario, per un tentativo – a mio parere niente
affatto convincente – di restituire il conflitto tra Gesù e il Tempio come invenzione
marciana, cfr. le tesi decostruttive di B. macK, A Myth of Innocence. Mark and Christian
Origins, Philadelphia, Fortress Press, 1988, in partic. pp. 291-292. Cfr., inoltre, i testi
citati nella nota seguente.
34
In questa sede mi limito a segnalare le tesi radicali, e da me pienamente con-
divise, di E.P. sandERs, Jesus and Judaism, London, SCM Press, 1985, il cap. «Jesus and
the Temple», pp. 61-76 e pp. 363-367 (note): «The turning over of even one table
points toward destruction», p. 70; «He did not wish to purify the temple […] Nor
was he opposed to the temple sacrifices which God commanded Israel. He intended,
rather, to indicate that the end was at hand and that the temple would be destroyed,
so that the new and perfect temple might arise», p. 75. Cfr. anche sandERs, Jerusa-
lem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, cit., pp. 92-93. Sollecitata da

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Sanders, cfr. la radicale conclusione di J. nEusnER, Money-Changers in the Temple: The
Mishnah’s Explanation, in «New Testament Studies», 35 (1989), pp. 287-290: «The
overturning of the moneychangers’ tables represents an act of rejection of the most
Società editrice il Mulino,
important rit of the Israelit cult, the daily whole-offering, and, therefore, a state-
ment that there is a means of atonement other than the daily whole offering, which
Bologna
is now null. Then what was to take the place of the daily whole-offering? It was to
be the rite of the Eucharistic: table for table, whole offering for whole offering», p.
290. Su questa linea, cfr. J. Ådna, Jesus’ Symbolic Act in the Temple (Mk 11,15-17): The
Replacement of the Sacrificial Cult by His Atoning Death, in B. EGo, a. lanGE, P. PilhoFER
(a cura di), Gemeinde ohne Tempel/Community without Temple, Tübingen, Mohr Siebeck,
1999, pp. 461-475; m.E. BoRinG, Mark: A Commentary, Louisville-London, Westmin-
ster John Knox Press, 2006, pp. 321-322. Tradizionalista, invece, l’interpretazione di
Evans, che interpreta la purificazione del Tempio come atto di accusa nei confronti
62 gaetano lettieri

stualizzare nel suo contesto storico-religioso giudaico35? Comunque,

della classe sacerdotale e non come eversione del sistema cultuale-sacrificale vigente:
cfr. c.a. Evans, Jesus’ Action in the Temple Cleansing or Portent of Destruction?, in B.d.
chilton, c.a. Evans (a cura di), Jesus in Context: Temple, Purity, and Restoration, Leiden-
New York-Köln, Brill, 1997, pp. 395-439; e c.G. Evans, Jesus and Predictions of the
Destruction of the Herodian Temple, in Jesus and His Contemporaries: Comparative Studies,
Leiden, Brill, 2001, pp. 367-380. Potremmo definire mediatrice la tesi di t. waRdlE,
The Jerusalem Temple and Early Christian Identity, Tübingen, Mohr Siebeck, 2010, pp.
172-191, che interpreta come prevalente la critica radicale di Gesù alla condotta cor-
rotta dei sacerdoti, rispetto alla sua attesa di un’imminente distruzione del Tempio,
pure da lui profetizzata nell’attesa di un nuovo escatologico Tempio materiale a Ge-
rusalemme; giustamente, Wardle sottolinea come Gesù non possa aver predicato una
soppressione radicale del Tempio, altrimenti non si spiegherebbe come mai, dopo
la sua morte, i suoi seguaci continuassero a frequentarlo. Per l’attribuzione a Gesù
dell’autoidentificazione con il Sommo Sacerdote escatologico «secondo l’ordine di
Melchisedec», cfr. c.h.t. FlEtchER-louis, Jesus as the High Priestly Messiah: Part I, in
«Journal for the Study of the Historical Jesus», 4, 2 (2006), pp. 155-175; id., Jesus as
the High Priestly Messiah: Part II, in «Journal for the Study of the Historical Jesus», 5,
1 (2007), pp. 57-79. Cfr., inoltre, s.m. BRYan, Jesus and Israel’s Traditions of Judgement
and Restoration, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2002, cap. VI,
Jesus and the eschatological Temple, pp. 189-235. Di grande interesse il saggio di B. PitRE,
Jesus, the New Temple, and the New Priesthood, in «Letter & Spirit», 4 (2008), pp. 47-83,
seppure pesantemente viziato da una prospettiva confessionale, che finisce per attri-
buire al Gesù storico complessi dispositivi interpretativi messi in atto, dopo la morte
e la creduta resurrezione, dalle comunità dei discepoli; sicché già il Gesù sinottico
annuncerebbe di fatto la sua identificazione con il Nuovo Tempio e il Nuovo Som-
mo Sacerdote, comunicata ai suoi stessi discepoli, persino autointerpretandosi come

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l’autentica presenza ipostatica di Dio in terra (la prospettiva giovannea è retroproiet-
tata su quella sinottica, quindi sulla stessa coscienza del Gesù storico!). Stranamente,
Pitre non si occupa di Paolo, su cui tornerò ampiamente. Per un originale e convin-
Società editrice il Mulino,
cente tentativo di interpretare alcuni logia del Vangelo di Tommaso nella prospettiva del
toglimento del Tempio nella comunità carismatica, cfr. a. annEsE, The Temple in the
Bologna
Gospel of Thomas. An Interpretative Perspective on Some Words Attributed to Jesus, in m.
PEscE (a cura di), Texts, Practices, and Groups. Multidisciplinary Approaches to the History
of Jesus Followers in the First Two Centuries. First Annual Meeting of Bertinoro (2-4 October
2014), Turnhout, Brepols, 2016, di imminente pubblicazione
35
Cfr. i diversi saggi raccolti in EGo, lanGE, PilhoFER (a cura di), Gemeinde ohne
Tempel/Community without Temple, cit.; e in J. hahn (a cura di), Zerstörungen des Jerusale-
mer Tempels. Geschehen – Wahrnehmung – Bewältigung, Tübingen, Mohr Siebeck, 2002; e
il notevolissimo excursus storico introduttivo di G. GäBEl, Die Kulttheologie des Hebräer-
tempus destruendi et tempus aedificandi 63

seppure significativamente sia Marco che Matteo la presentino come


calunnia avanzata quale prova di empietà da falsi testimoni, ricorre
una notizia sulla pretesa gesuana di distruggere «questo tempio fatto
da mani d’uomo [ ]»
e di edificarne «in tre giorni un altro non fatto da mani d’uomo [
]»36. La stessa accusa
di empia pretesa di distruzione e riedificazione del Tempio è rivolta
sarcasticamente dal popolo contro Gesù crocifisso37, che viene invita-
to provocatoriamente a discendere dalla croce. Il Luogo santo viene,
quindi, contrapposto alla croce, luogo infimo della maledizione bla-
sfema.
Giovanni introduce una novità: alla fine dell’iniziale, fondativa sce-
na della purificazione del Tempio, è Gesù stesso che afferma aperta-
mente di essere in grado di ricostruire in solo tre giorni «il Tempio», che
egli stesso invita provocatoriamente a distruggere, facendo riferimento

briefes. Eine exegetisch-religionsgeschichtliche Studie, vol. II, «Der wahre Tempel». Frühjüdische
Diskurse über irdischen und himmlischen, gegenwärtigen und eschatologischen Tempel und Kult,
Tübingen, Mohr Siebeck, 2006, pp. 25-128; infine a.l.a. hoGEtERP, Paul and God’s
Temple. A Historical Intepretation of Cultic Imagery in the Corinthian Correspondence, Leu-
ven-Paris-Dudley, Mass., Peeters, 2006, in partic. pp. 27-114. Sull’autointerpretazione
qumranita della comunità come nuovo Tempio, definita in rapporto polemico con
il Tempio di Gerusalemme, cfr. già B.E. GäRtnER, The Temple and the Community in
Qumran and the New Testament: A Comparative Study in the Temple Symbolism of the Qumran
Texts and the New Testament, Cambridge University Press, Cambridge 1965, in partic.
pp. 16-46; più recentemente Y. liu, Temple Purity in 1-2 Corinthians, Tübingen, Mohr

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Siebeck, 2013, pp. 55-60. Più specificatamente sull’interpretazione del Tempio nei
primi movimenti battisti e gesuani, sino agli ellenisti, cfr. hoGEtERP, Paul and God’s
Temple, cit., pp. 115-193, ove si sottolinea il forte legame della comunità gesuana
Società editrice il Mulino,
primitiva con il Tempio. Prospettive in proposito diverse quelle di t. EsKola, A
Narrative Theology of the New Testament, Tübingen, Mohr Siebeck, 2015, il cap. Son of
36 Bologna
David as a builder of an eschatological temple, pp. 43-74.
Cfr. Mc 14,56-59 e Mt 26,59-61. Per un commento, rimando a R.E. BRown,
The Death of the Messiah: From Gethsemane to the Grave. A Commentary of the Passion Nar-
ratives in the Four Gospels, I-II, New York, Doubelday, 1994, trad. it. La morte del Messia.
Un commentario ai Racconti della Passione nei quattro vangeli, Brescia, Queriniana, 1999, II
ed. 2003, pp. 498-526.
37
Cfr. Mc 15,29-30; Mt 27,39. Cfr. BRown, La morte del Messia, cit., pp. 1108-
1118.
64 gaetano lettieri

– precisa esplicitamente il quarto vangelo – al proprio corpo, che sa-


rebbe stato resuscitato dalla morte38. Sono comunque Marco e Matteo,
e non Giovanni, a far coincidere la morte di Gesù con lo squarciarsi del
velo del Tempio39, simbolica rivelazione della vanificazione/distruzio-
ne del suo paradossale ruolo di presentificazione di Dio nello spazio
vuoto del Sancta sanctorum. Il vuoto pieno del Tempio diviene, pertanto,
un vuoto assolutamente disertato dalla presenza di Dio.
Eppure, Giacomo, Pietro e la comunità apostolica «giudeo-cristia-
na» (che tende cioè a ridurre quanto più possibile la rottura storica av-
venuta tra Israele, il suo Tempio, la Legge, le sue norme di purità e il
messia ebraico crocifisso e risorto) continuano a recarsi nel Tempio40,
luogo di preghiera (forse per loro non più di sacrificio), probabilmente
interpretato come deputato ad accogliere la seconda parousia di Cristo.
Come giudicare quest’atteggiamento, considerati l’insegnamento radi-
calmente critico, forse eversivo, di Gesù nei confronti di Tempio/classe
sacerdotale, quindi la stessa crocifissione di Gesù, promossa dal sine-
drio? La «notizia» dello squarciarsi del velo del Tempio, quindi il simbo-
lico fuoriuscire della Gloria, è allora compatibile con la comunità tradi-
zionalista e filotemplare di Giacomo e Pietro? Perché mai continuare a
pregare in un Tempio, dal quale la presenza di Dio si sarebbe assentata?
Non è un caso, allora, che il giudeo «ellenista» Stefano41 – e non
Pietro, non Giacomo! – venga lapidato da ebrei fondamentalisti (cioè

38
«Distruggete questo Tempio [ ] e in tre giorni lo farò
risorgere [ ] […] Egli parlava del tempio del suo

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corpo [ ]», Gv 2,19 e 21; cfr. 2,20-21. Cfr. F. siEG-
ERt, «Zerstört diesen Tempel…!». Jesus als «Tempel» in den Passionsüberlieferungen,
in hahn (a cura di), Zerstörungen des Jerusalemer Tempels, cit., pp. 108-139; R.E. BRown,
Società editrice il Mulino,
The Gospel Accordint to John, New York, Doubleday, 1970, voll. I-II, trad. it. Giovanni.
Commento al vangelo spirituale, Assisi, Cittadella Editrice, 1979, II ed. 1999, pp. 148-167.
39
40 Bologna
Cfr. Mc 15,38; Mt 27,50-21.
Cfr. At 2,46; 3,1; 3,11; 5,12; 5,20-2; 21,23-26; Lc 24,53: «E stavano sempre
nel Tempio londando Dio»; e il comunque ambiguo Mt 5,23-24. Cfr. waRdlE, The
Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit., pp. 193-197.
41
Sulla storia e le prospettive ideologiche del gruppo degli «ellenisti», in partic.
su Stefano e Filippo, cfr. m. hEnGEl, Zur urchristlichen Geschichtsschreibung, Stuttgart,
Calwer Verlag, 1979, trad. it. La storiografia protocristiana, Brescia, Paideia, 1985, il par.
Gli «ellenisti» e la loro espulsione da Gerusalemme, pp. 99-111.
tempus destruendi et tempus aedificandi 65

fedeli all’assoluta santità del Tempio e della Legge) per la stessa accusa
mossa a Gesù durante il processo:
Costui non cessa di proferire parole contro questo Luogo sacro [
] e contro la Legge. Lo abbiamo udito dichiarare che
Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo [ ]
e sovvertirà i costumi [ ] tramandatici da Mosè42.

Saranno Paolo e Giovanni a sistematizzare l’atopica, carismatica


sequela antitemplare, che Stefano compie con il suo martirio43. Nella
sua ultima visita alla comunità apostolica, Paolo stesso viene accusato
a Gerusalemme di essere un profanatore, un perverso distruttore del
Tempio, oltre che un blasfemo apostata dalla Legge.
Uomini di Israele, aiuto [ ]! Questo è l’uomo che va inse-
gnando a tutti e dovunque [ ] contro il popolo, contro la
Legge [ ] e contro questo luogo [
]; ora ha introdotto persino dei Greci nel Tempio [
] e ha profanato il Luogo santo [
]44.

Ma è attendibile l’accusa riportata dagli Atti? Paolo ha davvero


creato (ingenuamente?) scandalo, introducendo Greci nel Tempio,
cioè all’interno dell’area riservata agli israeliti? Oppure l’accusa è una
forzatura dei suoi avversari45?

42
At 6,13-14. Cfr. waRdlE, The Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit.,

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pp. 197-202, che minimizza l’ascendente del radicale Stefano sulla comunità primi-
tiva.
43
Condivido le conclusioni sullo scontro tra tradizione giudaizzante rigorista
Società editrice il Mulino,
(Giacomo) e tradizione «liberale» ellenista – di cui Stefano è certo il primo principale
rappresentante –, cui Paolo finalmente offrirebbe una sintesi teologica potente e
Bologna
originale, proposta da i.J. ElmER, Paul, Jerusalem and the Judaisers: The Galatian Crisis
in Its Broadest Historical Context, Tübingen, Mohr Siebeck, 2009, pp. 116; 213-221. Su
Antiochia come centro identitario ellenista, profondamente influente sulla reinter-
pretazione paolina del kerygma, cfr. n. taYloR, Paul, Antioch and Jerusalem: A Study in
Relationships and Authority in Earliest Christianity, Sheffield, Sheffield Academic Press,
1992.
44
At 21,28.
45
Cfr., in tal senso, R. PEsch, Die Apostlegeschichte, Neukirchen-Vluyn, Benziger
66 gaetano lettieri

2. «Abbattere» il Tempio/togliere il velo nello Spirito: la comunità paolina «To-


pos» aperto e Immagine vivente

Incentrando il suo kerygma di salvezza nella fede nel Cristo cro-


cifisso come maledetto dalla Legge e risorto nello Spirito, Paolo ra-
dicalizza la tensione profetica tra antica alleanza nella Legge e nuova
alleanza nello Spirito46, restituendola come dialettica tra economia di
condanna/morte ed economia di dono/rivificazione (Lex/littera occi-
dens e Spiritus vivificans). Nella persona di Gesù morto/risorto, l’eco-
nomia della morte è tolta nell’economia del dono, segnando il fine/la
fine della Legge (cfr. Rm 10,4) e dell’elezione esclusiva di Israele, cui
si sostituisce l’eccedente, gratuita elezione universale dello Spirito di
Cristo (cfr. 2Cor 3-4). Ma se la Legge di Mosè è, nel Dono dello Spi-
rito di Cristo, divenuto «il tolto [ ]» (2Cor 3,7-14), il
provvisorio svanito e svuotato di valore teofanico, ritengo che anche
il Tempio di Gerusalemme sia, per Paolo, tolto dal Messia morto/
risorto.
Con la resurrezione di Gesù, Dio ha infatti operato una vera e
propria translatio topologica: l’unico Luogo della presenza di Dio è
divenuto lo Spirito di libertà, sicché come i credenti in Gesù non sono
più sottomessi alla schiavitù di una Legge esteriore e mortifera47 (cfr.
Rm 6,1-14; 7,1-6) – che rimetteva la giustificazione all’opera impos-
sibile di un uomo comunque mortale e peccaminoso –, così essi non

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Verlag-Zürich Neukirchener Verlag, 1986, trad. it. Atti degli apostoli, Assisi, Cittadella
editrice, 1992, II ed. 2005, pp. 810-811. Di diverso parere P. FREdRiKsEn, Judaism,
the Circumcision of Gentiles, and Apocalyptic Hope, in «Journal of Theological Studies»,
Società editrice il Mulino,
42 (1991), pp. 532-564; e id., Jesus and the Temple, cit., pp. 308-310, che, dopo avere
giustamente sottolineato come in Paolo non vi sia affatto un atteggiamento di di-
Bologna
scredito nei confronti del Tempio (cfr., ad es., Rm 9,4, ove «il culto» è riconosciuto
come uno dei doni di Dio a Israele), interpreta come storico e dotato di straordinario
valore simbolico l’ingresso in esso di Paolo con «his Gentile brother-in Christ»: l’a-
postolo avrebbe così realizzato la profezia di Isaia 56,6-8. E questo malgrado Paolo
consideri il Tempio come ormai superato: «For Paul, the kingdom wille be «in the
air» (1 Thes 4:17). No temple there», p. 309. Cfr. infra, nota 80.
46
Cfr. Ger 31,31-34 ed Ez 36,16-36.
47
Cfr. Rm 6,1-14; 7,1-6.
tempus destruendi et tempus aedificandi 67

hanno più un Tempio «esteriore». Il Tempio diviene immanente in


loro, nel loro stesso corpo mortale:
Non sapete che siete tempio di Dio [ ] e che lo Spirito
di Dio abita in voi [ ]? Se uno distrugge il
tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio [
], che siete voi [ ]48. […] Non
sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo [
;]? […] Chi si unisce al Signore forma con lui
un solo Spirito [ ] […] O non
sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi [
] e che avete da Dio, e che
non appartenete a voi stessi [ ]? Infatti siete stati comprati
a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!49. […] Noi siamo
infatti il tempio del Dio vivente [ ]50.

Il corpo pneumatico della chiesa carismatica è cristologico: un


espropriato corpo morto/vivente, nel quale ogni elemento è tolto,
morendo a sé e rinascendo nell’unica vita eucaristica del tutto comune,
divenendo membro del cristico corpo di comunione51. Nello Spirito vi-

48
1Cor 3,16-17
49
1Cor 6,15; 17; 19-20.
50
2Cor 6,16. Tornerò infra su Ef 2,19-22. Cfr. 1Pt 2,4-10. «The presence of this
communal temple imagery in the Pauline, Petrine, and Johannine streams of early
Christian tradition provides further evidence that the idea of the community as a
temple likely developed very early among the first followes of Jesus», waRdlE, The
Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit., p. 222, cfr. pp. 223-226. Sulla comunità

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paolina come Tempio di Dio e sui suoi eventuali rapporti con testi evangelici, cfr. l.
walt, Paolo e le parole di Gesù. Frammenti di un insegnamento orale, Brescia, Morcelliana,
2013, pp. 207-210. Su Paolo e il Tempio di Gerusalemme, cfr. P.w.l. walKER, Jesus
Società editrice il Mulino,
and the Holy City: New Testament Perspectives on Jerusalem, Grand Rapids, Eerdmans,
1996, pp. 116-143. Per una sintetica rassegna delle più significative e recenti inter-
Bologna
pretazioni della metafora del Tempio in 1Cor e 2Cor, cfr. liu, Temple Purity in 1-2
Corinthians, cit., pp. 4-9.
51
Cfr. 1Cor 12,12-27; 2Cor 5,14-17; Rm 12,4-6; Col 3,9-11; Ef 4,4-6. Proprio
perché l’estatica comunità/nuovo tempio vive dell’espropriazione vivificante opera-
ta dallo Spirito, non concordo affatto con l’interpretazione complessiva di Rm pro-
posta da s.K. stowERs, A Rereading of Romans: Justice, Jews, and Gentiles, New Haven-
London, Yale University Press, 1994, ove si afferma che il fine paolino principale sa-
rebbe quello di proporre alle élite romane un’etica di «self-mastery» o «self-control»,
68 gaetano lettieri

vificante di Cristo risorto (cfr. 1Cor 15,45-49), che ogni battezzato in


quanto morto/resuscitato riceve con il battesimo, il nuovo Tempio in-
teriorizza il culto sacrificale, afferma la dimensione del tutto estatica,
espropriata, al tempo stesso sacerdotale, anzi teofanica della comunità
eucaristica, nuovo sancta sanctorum ove abita la Gloria di Dio, Cristo-
Immagine escatologica.
Questa sacrificale, cristologica eucarestia neotemplare è, a mio pa-
rere, riaffermata nella contrapposizione tra Legge/
e Spirito avveniente, che in 2Cor 3,4-4,6 è restituita come contrappo-
sizione tra la gloria effimera e velata propria di Mosè e l’escatologica
Gloria eterna di Cristo/Immagine, del cui luminoso volto scoperto i
credenti battezzati riflettono lo splendore, conformandovisi. Ritengo,
infatti, che essa debba essere interpretata anche in senso templare,
implicando la definizione dello stesso Tempio di Gerusalemme come
52
. Infatti, nell’Esodo53, il velo che copriva il volto

di «spirituale» enkrateia o dominio di sé (cfr. in partic. p. 51), in concorrenza con i


modelli ellenistici di formazione del sé e con quello giudaico di educazione attraver-
so la Legge (cfr. in partic. pp. 57; 74-79). Sul complesso tentativo di definire socio-
logicamente, per comparazione, le comunità paoline, cfr. id., Does Pauline Christianity
Resemble a Hellenistic Philosophy?, in camERon, millER (a cura di), Redescribing Paul and
the Corinthians, cit., pp. 219-244.
52
In questo senso, sarebbe qui opportuna un’analisi sistematica di Eb. Proprio
a partire da Eb, già Hier., Tract. in psalm. II, CCSL 78, De psalmo LXXXVIII, p.
410, metteva in relazione lo squarciarsi del velo del Tempio alla morte di Gesù e il
sollevarsi del velo dalle Scritture illuminate dallo Spirito, il cui senso cristico rimane

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invece nascosto agli ebrei; cfr. anche Aug., epist. 110,26.
53
Cfr. Es 40,34-35: «Allora la nube coprì la tenda del convegno e l’altare e la
Gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non potè entrare nella tenda del conve-
Società editrice il Mulino,
gno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva la dimora».
Così, per la costruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Salomone: «Appena
Bologna
i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nuvola riempì il tempio e i sacerdoti non po-
tevano rimanervi per compiere il servizio a causa della nube, perché la gloria del Si-
gnore riempiva il Tempio […] “un luogo per la tua dimora perenne”», 1Re 8,11. Per
il rapporto tra Gloria di Dio rivelatasi a Mosè nella nube, costruzione della Dimora/
Santuario e dell’Arca (nella quale riporre le tavole di pietra della Legge), quindi della
tenda, cfr. ovviamente Es 24,12-25,22; sul velo, cfr. anche 26,31-37. Su Mosè che si
vela il viso dopo aver parlato con Dio nella tenda, cfr. 34,29-35. Sarebbe necessario
esaminare, in tensione con i brani paolini, Ez 44,1-31, che non soltanto ribadisce la
tempus destruendi et tempus aedificandi 69

di Mosè – abbagliante per essere stato alla presenza di Dio sul Sinai,
quindi nella tenda del convegno nel deserto – corrisponde al velo
che, prescritto da Dio, è collocato all’interno della tenda/Dimora di-
nanzi all’arca della testimonianza; è questo il velo che poi nasconderà
nel Tempio di Gerusalemme il sancta sanctorum, luogo della presenza
della Gloria di Dio accessibile soltanto al sommo sacerdote. Ebbene,
in 2Cor, Paolo annuncia che il velo di Mosè, lo schermo che separa la
visione della Gloria sacro/santa di Dio, è tolto nella manifestazione
salvifica universale che Cristo offre a ogni uomo convertito, battezzato,
morto/risorto nello Spirito54. La Gloria di Dio non è più nascosta
nell’arca e velata, ma apocalitticamente rivelata nel corpo di Cristo
risorto, divenuta presente nell’Immagine divina nella quale i credenti
sono incorporati e trasformati, riflettendo «lo splendore del vange-
lo della Gloria di Cristo che è Immagine di Dio [
, ]» (4,4).
Il toglimento del velo dal cuore di chi non crede55 dipende dal riful-
gere aperto di Dio, che squarcia il velo che lo nascondeva, togliendo la
sua elettiva e non universale separazione sacrale, rendendosi diretta-
mente presente in Cristo sua Immagine/Gloria, accolta dalla comu-
nità universale suo Tempio vivente56. Ecco perché, in 2Cor 6,16, il

presenza della Gloria di Dio nel Tempio, ma definisce le norme del sacerdozio e del
servizio sacro, vietando con violenza la possibilità di accesso al tempio agli stranieri
e agli incirconcisi.
54
«E noi tutti, a volto scoperto, riflettendo come in uno specchio la Gloria

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del Signore, veniamo trasformati in quella medesima Immagine, di gloria in gloria,
secondo l’azione dello Spirito del Signore», 2Cor 3,18; «E Dio che disse: “Rifulga la
luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della
55
Società editrice il Mulino,
gloria divina che rifulge sul volto di Cristo», 4,6.
Cfr. 2Cor 4,3-4: «E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si
Bologna
perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non
vedano lo splendore glorioso del vangelo di Cristo che è Immagine di Dio».
56
Analoga la prospettiva giovannea: cfr. Gv 1,14 e 17-18. Il Logos divenuto
carne è la Gloria di Dio che è venuta a porre la sua tenda ( ) tra gli uomini;
in tal senso, Cristo toglie in sé il Tempio, la sua carne accoglie la Gloria dell’Unigeni-
to di Dio, rivelando a tutti i suoi lo stesso Dio invisibile, prima nascosto nel Tempio,
donando quindi una grazia che trascende la legge data da Mosè (le cui tavole erano
collocate nell’arca dell’alleanza nel primo Tempio). Cfr. BRown, Giovanni, cit., pp.
70 gaetano lettieri

lungo excursus sul paradossale corpo carismatico di Cristo, peregrino


dal morente tabernacolo terreno all’eterno tabernacolo celeste – al
tempio «non fatto da mani d’uomo» ove gli «uomini interiori» trove-
ranno finalmente l’escatologica, compiuta presenza della Gloria divi-
na57 –, si conclude con la celebrazione del «tempio del Dio vivente»58,
identificato con la comunità dei credenti trasfigurata dallo Spirito del
Crocifisso/Risorto, che in sé riconcilia il mondo59. Ormai, lo spazio
sacro/santo non può essere che quello ecclesiale, materiale (la comu-
nità è composta da corpi che si radunano e comunicano) e disseminato,
atopico, del tutto «secolare». Il Tempio è divenuto la vita nello Spirito
del Risorto di corpi del tutto mortali, carnali e comuni dei credenti,
al tempo stesso dispersi nel mondo e radunati nella fruizione di un
sacro/santo che li separa nettamente dal mondo60, proiettandoli nella
loro escatologica pienezza teofanica.

42-49; in partic. «La suprema manifestazione dell’amore di Dio è la Parola incar-


nata, Gesù Cristo, il nuovo tabernacolo della gloria divina […] L’inno termina con
la trionfante proclamazione di una nuova alleanza in sostituzione dell’alleanza del
Sinai», pp. 48-49; Brown, inoltre, mette in relazione il radicale skn del verbo
con il radicale ebraico škn, quindi con la teologia della shekinah (cfr. pp. 45-47). Ri-
cordo, comunque, che il termine (traducibile anche con «corpo») indica, pro-
prio in 2Cor 5,1 e 5,4, la casa/tabernacolo terreni, contrapposta/o all’escatologica

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«dimora eterna celeste, non fatta da mani d’uomo [
]», quindi all’eterno tabernacolo/corpo nel quale Dio starà presso
gli uomini.
57
58
Società editrice il Mulino,
Cfr. 2Cor 4,16-5,10.
Cfr. liu, Temple Purity in 1-2 Corinthians, cit., pp. 196-232, ove però non si
Bologna
connette la presenza dell’immagine del Tempio e l’invito alla purificazione in 2Cor
6,14-7,1 con 2Cor 3-4.
59
Cfr. 2Cor 5,14-21.
60
«Ciò che è tipico del sistema religioso paolino è che il sacro si manifesta non
in luoghi né in oggetti, né in un solo ceto di persone, ma esclusivamente in tutti i sin-
goli individui che hanno la fede [pistis] e che sono battezzati. Questa manifestazione
avviene non solo nel pneuma e nella psychê dell’uomo, ma anche nel suo corpo [sôma]»,
dEstRo, PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., p. 66.
tempus destruendi et tempus aedificandi 71

2.1. Gal 3,28 come esito dell’abbattimento delle divisioni del Tempio di Geru-
salemme

L’abbattimento concreto del Tempio è atteso da Paolo? Direi che,


certo, esso non era auspicato, malgrado una profezia di questo tipo
circolasse nelle prime tradizioni di parole di Gesù61. Gli atti di osse-
quio di Paolo nei confronti del Tempio sono documentati, anche se
residuali, forse ispirati alla sua strategia apertamente teorizzata di non
scandalizzare i deboli, e comunque paradossali (ha davvero introdotto
pagani convertiti a Cristo nel Tempio?). In Rm 9,4, «la gloria [ ]»
e «il culto [ ]», riconosciuti come doni di Dio a Israele, sono
evidentemente quelli del Tempio. Ma questo significa che Paolo pen-
sasse al mantenimento del ruolo salvifico della Legge e del Tempio,
accanto alla nuova allenza di Cristo e del suo Spirito? Ritengo un’ipo-
tesi del genere del tutto insostenibile62. Il cuore del messaggio paoli-

61
«Penso che Paolo sia consapevole […] che l’antica tradizione comprendeva
moniti solenni di Gesù sull’imminente distruzione di Gerusalemme e del Tempio.
Questo è l’evento che doveva verificarsi nel giro di una generazione», n.t. wRiGht,
Paul: Fresh Perspectives, London, Society for Promoting Christian Knowledge, 2005;
trad. it. L’apostolo Paolo, Torino, Claudiana, 2008, p. 75.
62
Cfr. l’intelligente saggio di P. FREdRiKsEn, Paul, Purity, and the Ekkl sia of
the Gentiles, in J. PastoR, m. moR (a cura di), Beginnings of Christianity. A collection of
Articles, Jerusalem, Yad Ben-Zvi Press, 2005, pp. 205-217, impegnato a comporre
lo scarto tra Paolo e la Legge e a sottolineare l’ossequio di Paolo nei confronti
del Tempio di Gerusalemme. Della Fredriksen, considero inappuntabili i rilievi

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metodologici sull’anacronismo storico, spesso utilizzato nel proporre un Paolo
liquidatore ante litteram della Legge e del Tempio; cfr. della stessa P. FREdRiKsEn,
Historical Integrity, Interpretive Freedom: The Philosopher’s Paul and the Problem of Ana-
Società editrice il Mulino,
chronism, in J.d. caPuto, l.maRtín alcoFF (a cura di), St. Paul among the Philo-
sophers, Bloomington-Indianapolis, Indiana University Press, 2007, pp. 61-73 (a
Bologna
partire dalle divergenti interpretazioni paoline di Origene e Agostino). Ma se certo
Paolo rimane intimamente giudaico e la sua concezione della redenzione rimane
essenzialmente dipendente dal Levitico, comunque mi paiono evidenti il suo ge-
sto di rottura nei confronti della Legge, dichiarata come effimera, e la sua stessa
del Tempio di Gerusalemme, tolto nel corpo carismatico dei morti/
resuscitati in Cristo. Per un’interpretazione coerente con quella della Fredriksen,
cfr. hoGEtERP, Paul and God’s Temple, cit., pp. 295-360, ove si cerca, a mio parere
piuttosto forzatamente, di argomentare a favore di un’interpretazione «inclusive»,
72 gaetano lettieri

no è affermare non certo una via bipartita di salvezza, ma l’urgente


necessità per Israele di convertirsi a Cristo morto/risorto. Soltanto
il suo Spirito vivificante comunica la presenza diretta del sacro/san-
to: questa non soltanto vanifica la prescrizione completa della Legge
(con le sue norme di purità finalizzate a rendersi degni di avvicinarsi
al Santo), ma relativizza radicalmente il Tempio con il suo culto e la
sua pretesa di accesso selettivo alla Gloria di Dio, dalla quale, seppure
con diversi gradi di approssimazione, pagani, donne, ebrei comuni
rimanevano comunque esclusi.
Ma cosa significa, concretamente, togliere e dislocare il sistema
sacro/santo del Tempio nella comunità carismatica63? Mi pare non

piuttosto che «substitutionary» (p. 358) nel rapporto tra Tempio di Gerusalemme
e tempio carismatico della comunità paolina, espressione da interpretare metaforica-
mente/analogicamente, quindi con riferimento al Tempio di Gerusalemme; «the-
refore, metaphorical levels of thought about the Temple and cultic symbolism are
not necessarily in tension with the institution of the concrete Jerusalem Temple
in contemporary Jewish traditions» (p. 384). Se è vero che la spiritualizzazione pa-
olina dipende dalla realtà storica del Tempio ed è anticipata o condivisa da alcune
prospettive giudaiche non cristiane, le questioni aperte mi paiono essere: dopo
la crocifissione di Gesù, per Paolo, che crede nella sua resurrezione, il Tempio
rimane come luogo della presenza reale di Dio, quindi come luogo dell’autenti-
co sacrificio sacerdotale? Per Paolo le distinzioni topologiche permangono, o il
Tempio non è divenuto esso stesso realtà salvificamente effimera, superata? Non
condivido, pertanto, la tesi di fondo di Hogeterp, secondo la quale Paolo presente-
rebbe, nei confronti del Tempio, una posizione meno radicale di quella di Stefano,
in quanto di fatto affermerebbe il riconoscimento di un duplice, parallelo tempio/

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sistema di culto, uno concreto per i giudei, l’altro spirituale per i pagani.
63
«The point is that the language of the Temple, sacrifice and purity pervades
Paul’s letters and frequently influcences the way he thinks about himself, his converts
Società editrice il Mulino,
and his behaviour» (m. nEwton, The Concept of Purity at Qumran and in the Letters of
Paul, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, p. 53). Sui peccati sessuali e
Bologna
l’idolatria come capaci di rendere impura la comunità, producendo quindi la com-
promissione della sua natura di nuovo tempio dello Spirito, cfr. le pagine dedicate a
Paolo da Klawans, Impurity and Sin in Ancient Judaism, cit., pp. 150-155. «La metafo-
ra [della comunità come tempio di Dio] ha un parziale parallelo nei manoscritti di
Qumran, dove si trova applicata a quella comunità (1QS 8,5.8; 4Qflor 1,6). Superan-
do ogni idea religionista e pagana di uno spazio fisico sacrale, esente da forze nega-
tive e quindi privilegiato per stabilire l’accesso al divino, essa riconosce alla chiesa
come insieme umano di credenti le stesse caratteristiche di purezza che procurano
tempus destruendi et tempus aedificandi 73

sia mai stata proposta un’interpretazione che metta in rilievo il fon-


damento topologico, per certi aspetti «letteralista» di un celeberrimo e
rivoluzionario passo paolino, che a mio parere potrebbe presupporre
un riferimento ben preciso al Tempio di Gerusalemme:
Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché
quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più
giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero; non c’è più maschio né
femmina, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù [
,
]64 .

La nuova, universale comunità salvifica vive dello svuotamen-


to/superamento, della di tutte le distinzioni gerarchiche
mondane, dei markers di stato, persino delle asimmetrie naturali65.
Essa è generata dal battesimo, interpretato come partecipazione alla
morte/resurrezione di Cristo nello Spirito, quindi come entrata nel
luogo della Nuova Alleanza dello Spirito; così, in Rm 12,1-5, il «culto
spirituale [ ]» è identificato con l’offerta neotempla-
re dei propri «corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio
[ ]», fusi nell’essere «un solo corpo
in Cristo». Ma, come precisa Gal 3,28, il nuovo tempio dell’
carismatica è atopico (rispetto agli esclusivi luoghi religiosi, politici,
culturali di questo mondo), eversivo nei confronti di qualsiasi gerarchia
e, appunto, mette in comunione ( ) eletto/santo e comune/
profano, fa comunicare nell’unità dello Spirito di Cristo ogni oppo-

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un ricongiungimento immediato con Dio», R. PEnna, Le prime comunità cristiane. Per-
sone, tempi, luoghi, forme, credenze, Roma, Carocci, 2011, p. 150.
64
65
Società editrice il Mulino,
Gal 3,26-28.
Sulla modalità (tramite umiltà, rinuncia e sovvertimento) dei «reversal» dei
Bologna
«markers of status» all’interno delle comunità protocristiane, in particolare paoline
(antigerarchiche e contrarie all’esclusivismo razziale), cfr. G. thEissEn, The Religion
of the Earliest Churches, Minneapolis, Fortress Press, 1999, pp. 63-71; e id., Vissuti e
comportamenti dei primi cristiani, cit., p. 382: «A differenza della ekklesia politica, nella
comunità cristiana [paolina o postpaolina] donne e schiavi godevano di pari diritti.
Gli stranieri avevano in essa uno status pienamente parificato. Essa era socialmente
aperta […] In Paolo esiste solo un organo particolarmente distinto, il membro più
debole, in base al quale tutti gli altri devono orientarsi (Rm 12,3ss.)».
74 gaetano lettieri

sizione sacrale, politica, sociale, familiare. Il segreto messianico è il


movimento di deposizione apocalittica di tutte le asimmetrie naturali
e culturali, nella costituzione di una comunità non identica, ma paci-
ficata, riunificata, comunicata nella differenza, seppure separata dal
mondo incredulo66. Infatti, continua a essere impuro soltanto colui

66
Su Gal 3,28, pagine profonde hanno scritto a. dEstRo, m. PEscE, Antropolo-
gia delle origini cristiane, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 142-146. Notevole l’interpreta-
zione proposta da walt, Paolo e le parole di Gesù, cit., pp. 317-326: Gal 3,28 è letto in
relazione non soltanto a brani dei vangeli canonici, ma anche al Vangelo di Tommaso
o alla Seconda Lettera di Clemente ai Corinzi. Interessante l’analisi di Gal 3,28 di uRciu-
oli, Un’archeologia del «noi» cristiano, cit., pp. 76-79, ove vengono discusse le opposte
interpretazioni di Veyne, per la quale Urcioli propende, e della Baslez, per la quale
personalmente propendo, in quanto se è vero (come sostiene Urcioli) che Paolo sta
annunciando una «realtà» comunitaria carismatico-escatologica non universalizzabile
e non sta certo proclamando i diritti universali dell’uomo, d’altra parte mi pare evi-
dente come questi non sarebbero mai nati se non come secolarizzazione di quella,
preparata dalla retroproiezione patristica del kerygma di uguaglianza/fratellanza uni-
versale, carismaticamente fruita nel Cristo dai soli credenti escatologico sulla nozio-
ne di natura umana, creata universalmente ad immagine di Dio dal Cristo creatore (e,
su questo processo, Urciuoli propone considerazioni originali e convincenti). Ma di
questo, altrove. Per un tentativo di evidenziare la rilevanza sociale e di fondo antige-
rarchica delle prospettive carismatiche paoline, cfr. d. odEll-scott, Paul’s Critique of
Theocracy: A Theocracy in Corithians and Galatians, New York, T&T Clark, 2003. Questa
prospettiva non comportava una cancellazione delle identità etniche e sociali, ma
un loro superamento etico e spirituale, che certo si differenziava da quello culturale
dominante nella società greco-romana: cfr. J.B. tucKER, You Belong to Christ: Paul
and the Formation of Social Identity in 1 Corinthians 1-4, Eugene, Or., Pickwick, 2010.

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Per un’originale lettura di Rm, interpretata come polemica paolina contro tenden-
ze presenti nelle comunità romane a intepretare la salvezza come dono «imperiale»
offerto da Dio soltanto ad alcuni, ma non agli ebrei, quindi per la restituzione della
Società editrice il Mulino,
cristologia paolina come profondamente politica, perché in conflitto contro modelli
politici della «divinità» imperiale, cfr. n. Elliot, Paul’s Political Christology: Samples from
Bologna
Romans, in K. EhREnsPERGER (a cura di), Reading Paul in Context: Explorations in Identity
Formation. Essays in Honour of William S. Campbell, London-New York, T&T Clark,
2010, pp. 39-51. Cfr. a. Badiou, Saint Paul. La fondation de l’universalisme, Paris, Puf,
1997, p. 113: «Ce qui importe, homme ou femme, Juif ou Grec, esclave ou libre, c’est
que les différences portent l’universel qui leur arrive comme une grâce». Se certo l’universale
di Paolo è elettivo e carismatico, ristretto ai credenti in Cristo che vivono di Spirito,
comunque la rivoluzione teologica paolina è davvero «invenzione» di una politica
(che l’occidente secolarizzerà, liberandola dalla limitazione confessionale, quindi po-
tempus destruendi et tempus aedificandi 75

che non si converte (il puro/giudeo come l’impuro/profano pagano),


resistendo al messaggio universalmente salvifico di Cristo, rimanendo
esterno all’unica realtà santa/pura, quella dell’ /nuovo Tem-
pio . Questa comunità carismatica è ovviamente quella che Paolo,
67

in 1Cor 3,16-17; 6,19-20 e 2Cor 6,16, identifica apertamente con il


Tempio della Nuova Alleanza, che offre una nuova, salvifica e «santa»
identità sociale, irriducibile a quella pagana e giudaica del mondo cir-
costante68. Una comunità estatica e agapica, almeno nelle intenzioni
di Paolo (non di rado frustrate dal gruppo di interlocutori che cerca
di unire in comunità)69.

tenziandone la portata universalistica) dell’eccedenza accogliente dell’universale del


dono, rispetto alla proprietà reciprocamente esclusiva, identitaria e tendenzialmente
totalitaria, delle differenze in conflitto.
67
Cfr. l’affermazione criptopaolina del «Pietro» lucano, che, negando la qualifi-
ca sacralmente connotata di profano/impuro al pagano, di fatto neutralizza o seco-
larizza la nozione di , che ora viene a designare l’uomo comune partecipe della
comunione comunitaria: «Voi sapete che non è lecito [ ] per un Giudeo unirsi o
incontrarsi con persone di altra razza [ ]; ma
Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo [
]» (At 10,28). Per una convincente interpre-
tazione della continuità tra Gesù e Paolo sulla relativizzazione dell’impurità del cibo,
quindi sul passaggio da un’identificazione esterna a un’identificazione interna, mora-
le delle fonti di impurità (senza che questo significasse, per Gesù, la violazione delle
norme alimentari), eppure sull’innovazione paolina che tende a identificare il puro
e il santo con l’ gesuana e l’impuro con il mondo esterno non convertito,
cfr. m. REscio, l. walt, «There Is Nothing Unclean»: Jesus and Paul against the Politics of

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Purity?, in «Annali di storia dell’esegesi», 29, 2 (2012), pp. 53-82.
68
«In the use of temple imagery, Paul is differentiating his audience from the
surrounding society by promoting positive group identity and moral standards that
Società editrice il Mulino,
are compatible with their new status in-Christ», K.Y. lim, Paul’s Use of Temple Imagery
in the Corinthian Correspondence: The Creation of Christian Identity, in EhREnsPERGER (a
69 Bologna
cura di), Reading Paul in Context, cit., pp. 189-208, in partic. p. 204.
Per l’evidenziazione dello scarto a Corinto tra l’ideale progetto di Paolo
(fondare una comunità carismatica) e il suo esito soltanto parziale, se non fallimen-
tare (la realtà sociologica del contesto sociale frustra l’intenzione paolina), cfr. s.K.
stowERs, Kinds of Myth, Meals, and Power: Paul and the Corinthians, in R. camERon, m.P.
millER (a cura di), Redescribing Paul and the Corinthians, Atlanta, Society of Biblical
Literature, 2011, pp. 105-150: «The idea of a community is the idea of a highly inte-
grated social group based on a common ethos, practices, and beliefs. Paul preached
76 gaetano lettieri

Possiamo meglio comprendere la portata templare di Gal 3,26-28,


se ci rivolgiamo a un densissimo passo della deuteropaolina Epistola
agli Efesini, che rende esplicita la dimensione legale e templare del
vecchio Tempio «abbattuto», tolto nella nuova comunità carismatica,
proclamata in Gal 3,28:
Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cit-
tadinanza di Israele, estranei ai patti della promessa [
], senza speranza e senza Dio in questo mondo [
]. Ora in Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani siete
diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace [
], colui che ha fatto dei due un popolo solo [
], abbattendo il muro di separazione che era frammezzo [
], cioè l’inimicizia [ ], annullan-
do [ ] per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e
di decreti [ ], per creare in se stesso, dei
due, un solo uomo nuovo [ ], facendo la
pace e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo [ ],
per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto
perciò ad annunziare la pace a voi che eravate lontani e pace coloro che era-
no vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre
in un solo Spirito [ ]. Così dunque voi non siete più stra-
nieri, né ospiti [ ], ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio
[ ], edificati sopra il fondamento
degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare [ ]
lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere
tempio santo nel Signore [ ]; in lui anche voi insieme
con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello
Spirito [ ]70.

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the gospel, people converted, and Paul welded them into a community. With this as-
Società editrice il Mulino,
sumption, Paul’s words in 1 Cor 1:10 become the basis for asking the question, How
did the Corinthian community become divided? What false doctrine from inside the
Bologna
community, or infiltrating from the outside, corrupted the community or seduced
a portion of it? […] In my view, two things are very clear from the evidence of the
Corinthian letters: first, Paul very much wanted the people to whom he wrote to be
a community, and he held a theory saying that God had miraculously made them into
a community “in Christ”; second, the Corinthians never did sociologically form a
community and only partly and differentially shared Paul’s interests and formation»,
pp. 108-109.
70
Ef 2,12-22.
tempus destruendi et tempus aedificandi 77

Condivido la tesi secondo la quale queste affermazioni siano


davvero comprensibili soltanto tenendo presente la struttura fisica
del Tempio di Gerusalemme. Come ci riferisce Giuseppe Flavio, il
Tempio era articolato in tre cortili concentrici, che separavano spazi
caratterizzati da diversi gradi di purità, quindi di approssimazione al
Santo: a) il Cortile dei gentili o Atrio dei pagani; b) lo spazio al quale
potevano accedere tutti gli ebrei, ove quindi erano ammesse anche
le donne ebree, sicché esso veniva chiamato il Cortile delle donne,
attraverso il quale gli uomini passavano; c) uno spazio più interno, il
Cortile degli Israeliti, nel quale non potevano accedere le donne ebree;
d) il Cortile dei sacerdoti, al quale non potevano accedere gli ebrei
comuni; e) il Santuario vero e proprio, la cui stanza più interna era il
Sancta sanctorum, e «non c’era in lui assolutamente niente [
]»71, nel quale poteva entrare soltanto il Sommo Sacerdote,
una volta l’anno, nel Giorno dell’Espiazione. Il Cortile dei pagani e
il Cortile degli ebrei erano separati da un muro o balaustra, definito
soreg dalla Mishnàh, che prescriveva la morte per il pagano che l’avesse
valicato72.

71
Flavius Ioseph., Bell. Iudaic. V 219.
72
«Questo era il primo cortile. Più all’interno, a non grande distanza, c’era il
secondo, cui si accedeva salendo pochi gradini e che era recintato da un recinto
marmoreo recante una scritta che proibiva l’ingresso agli stranieri, sotto pena di
morte [
] […] Più all’interno di questo corti-

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le, il tempio non era accessibile alle donne [
]. Ancora più all’interno c’era un terzo cortile, dove era permesso entrare
soltanto ai sacerdoti. Qui c’era il santuario con davanti un altare sul quale venivano
Società editrice il Mulino,
offerti a Dio degli olocausti», Flavius Ioseph., Antiquitat. XV 5,417-420. Sulla topo-
grafia del Tempio di Gerusalemme, illustrata anche attraverso il qumranita Rotolo del
Bologna
Tempio e riferimenti alla letteratura rabbinica, e su liturgia e ierocrazia templari, cfr.
la descrizione dettagliata della struttura del Tempio di sandERs, Il giudaismo, cit., pp.
74-95; J. maiER, Zwischen den Testamenten. Geschichte und Religion in der Zeit des zweiten
Tempels, München, Echter Verlag, 1990, trad. it. Il giudaismo del secondo Tempio. Storia e
Religione, Brescia, Paideia, 1991, pp. 280-282, 288-291, 294-296. Sull’identificazione
di fragmou con il muro intermedio/recinto di separa-
zione del Tempio, cfr. m. BaRth, The Broken Wall: A Study of the Epistle to Ephesians,
Vancouver, Regent College Publishing, 1959, 20022, in partic. pp. 39-51; c. mcma-
78 gaetano lettieri

Al contrario, il nuovo, messianico Tempio dello Spirito si realizza


come la pacifica riunificazione degli esclusi, tramite l’abbattimento, la
dei muri o confini di separazione (si noti l’utilizzazione
del verbo in riferimento alla Legge, quindi alle regole di
purità dalle quali dipendeva la topologia discriminante del Tempio), a
partire da quello che separava mortalmente ebrei e pagani (ove la di-
struzione fisica del Tempio di Gerusalemme da parte dei romani po-
trebbe, con terribile attualizzazione, essere evocata nell’abbattimento
spirituale di Ef 2,12-22, probabilmente scritta dopo il 70). A differen-
za di Gal 3,28, qui è soltanto implicito il superamento della differenza
di perfezione/purità/prossimità al santo tra uomo e donna, che ormai
consente alla donna messianica di entrare nell’intimità stessa del Tem-
pio dello Spirito, alla presenza diretta di Dio. Mi pare invece evidente,
nel brano di Ef, il superamento della distinzione tra sacerdote e non
sacerdote. Il/la qualsiasi, il/la comune uomo o donna «cristificato/a»
nello Spirito diviene sommo sacerdote di Dio, è introdotto/a all’inti-
ma comunione con la presenza assoluta, divenendo il sancta sanctorum
nel quale Dio stesso abita.
Tornando a Gal 3,28, è possibile rintracciare le detureopaoline
prospettive di Ef 2,12-22 nel Paolo autentico? In effetti, le tre op-
posizioni riconciliate e rese in-differenti (seppure non annullate) nel
battesimo, risultano tutte «templari»: incorporati a Cristo divengono
uno il greco, la donna, lo schiavo (che designa prima il pagano, che
l’uomo di condizione sociale inferiore)73, cioè il profano/comune/in-

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han, «The Wall is Gone!», in «Review and Expositor», 93, 2 (1996), pp. 261-266; la
complessa e zetetica analisi di E. BEst, A Critical and Exegetical Commentary on Ephe-
Società editrice il Mulino,
sians, London-New York, T&T Clark, 1998, pp. 243-261; e m. KitchEn, Ephesians,
London-New York, Routledge, 1994, pp. 64-69. Critico nei confronti di quest’inter-
Bologna
pretazione, ma a mio parere senza essere convincente, h.w. hoEhnER, Ephesians: An
Exegetical Commentary, Grand Rapids, Baker, 2002, pp. 368-371 (che il Tempio e le
sue articolazioni fossero ancora in piedi, quando Paolo scriveva Ef (lettera che con-
sidero, invece, deuteropaolina), è uno degli argomenti portati contro l’identificazione
del muro di separazione con quello che separava Cortile dei pagani da Cortile degli
ebrei!).
73
Che l’opposizione schiavo/libero abbia soprattutto un significato etnico-
religioso, e soltanto secondariamente sociale, è provato dall’immediata prosecuzio-
tempus destruendi et tempus aedificandi 79

feriore. Essi hanno assunto la stessa identità santa/elettiva e la stessa


dignità sacrale del giudeo, del libero, dell’uomo, persino del sommo
sacerdote, essendosi rivestiti di Cristo stesso, che è la Gloria di Dio.
Il nuovo Tempio è, allora, l’escatologico Uomo nuovo, Cristo ultimo
Adamo, l’autentico Uomo-ad-Immagine (che Dio crea unitario «ma-
schio-femmina [ ]»: Gn 1,27), il servo/libero nel Ser-
vo [ ]-Signore [ ], il carismatico Ebreo-Pagano, o Ebreo/
Straniero [ ], quindi l’atopico Fuori/Legge (la Legge/Muro74 era
il codice ebraico d’identificazione e separazione dal pagano), il sacer-

ne del brano di Paolo, in Gal 4,1-31: pur rovesciandola in prospettiva messianico-


carismatica (che toglie universalmente i figli della schiava nei figli della libera), Paolo
riprende qui la tradizione identificazione ebraica di Israele come figlio della libera
Sara e dei pagani (Ismaele, cacciato nel deserto, si unirà poi con un’egiziana: cfr. Gn
21,21) come figli della schiava Agar. Da Paolo, la nozione di schiavo è sottoposta
a una notevole torsione: a) gli schiavi indicano i pagani, o meglio gli etno-cristiani;
b) gli schiavi indicano le persone di condizione sociale inferiore; c) gli schiavi sono
identificati con coloro che erano sottomessi al peccato o alla Legge stessa, quindi
in-differentemente con pagani ed ebrei, dalla grazia della fede in Cristo divenuti
liberi, eppure schiavi di Dio (cfr. Rm 6,17-22; 7,6). Conferma della portata princi-
palmente etnico-religiosa dell’opposizione schiavo/libero, all’interno di una pro-
spettiva battesimale, è 1Cor 12,13: «Infatti siamo stati tutti battezzati in un solo
Spirito, per formare un unico corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi [
] e tutti ci siamo abbeverati al medesimo
Spirito»; cfr. Rm 10,12. Sulla dialettica / , cfr. 1Cor 9,19-23. Che i
giudei si identificassero con «i liberi», proprio perché discendenti eletti di Abramo e
che Gesù stesso identificasse i liberi con «i figli», è provato da Gv 8,31-35. Si pen-

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si, poi, alla fondamentale profezia universalistica di Is 56,5-8 rivolta «agli stranieri
[sec. LXX: ]»: questi, sottomessi al vero Dio e disposti a divenire
suoi «servi [ ]», amando «il nome del Signore», saranno ammessi «sul monte
Società editrice il Mulino,
santo di Dio» e a loro, con gli stessi impuri eunuchi che comunque onorano Dio e
la Legge, Dio riserverà «un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie [
Bologna ] […] I loro olocasuti e i loro sacrifici sa-
liranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera pr
tutti i popoli [ ]».
La prospettiva paolina evidentemente reinterpreta messianicamente la profezia di
Isaia.
74
Nel giudaismo del I secolo, il muro/recinto di separazione ( ) era
identificato con la Legge o con la Legge orale che i farisei, costruttori del muro,
edificavano intorno alla Torah. Cfr. hoEhnER, Ephesians, cit., pp. 370-371.
80 gaetano lettieri

dotale/comune Capo/Corpo dello Spirito, nel quale tutte le opposi-


zioni/inimicizie sono abbattute, tolte e riconciliate.

2.2. Il toglimento del Tempio/Presenza in Cristo/Immagine escatologica

Insomma, quello che è del tutto evidente in Paolo (dato testuale,


niente affatto esorcizzabile come deformazione interpretativa «iper-
protestante») è:
a) Il superamento del topos santo di Gerusalemme come luogo
cultuale decisivo, tolto nel corpo ecclesiale, quindi, l’abbandono di
una localizzazione «di pietra» del sacro e della sua liturgia, che potrem-
mo definire littera/templum occidens. L’unico autentico corpo materiale
è quello del corpo «di carne» degli uomini e delle donne credenti,
vivificato dal miracoloso avvento dello Spiritus vivificans di Cristo ri-
sorto. Il Tempio di Gerusalemme, si badi prima della sua distruzione
nel 70!, è già , tolto, passato, luogo di fatto «secolariz-
zato», disertato dalla presenza di Dio, presente soltanto in Cristo e
nelle sue chiese carismatiche75. L’indubbio rispetto per il Tempio di
Gerusalemme e l’accettazione delle prassi di purificazione templare
da parte di Paolo, descritta in At 21, come la notevole insistenza sul
dovere delle collette connesse alla comunità di Gerusalemme, ma, suo
tramite, al Tempio stesso, sono, se non mera concessione caritatevole
ai deboli (come l’astensione dalla carne consacrata agli idoli suggerita,
in alcuni casi, in Rm 14), comunque riconoscimento della inestirpabile
radice israelitica della rivelazione di Cristo, quindi mira di un luogo
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certo reale, eppure ormai soltanto simbolico della realizzazione delle
profezie sulla conversione dei pagani al Dio di Israele, che appunto si
Società editrice il Mulino,
sarebbero universalmente recati «nel Tempio di Gerusalemme», cele-
brando l’unico vero Dio.
Bologna
75
Cfr. J.d.G. dunn, The Partings of the Ways. Between Christianity and Judaism and
their Significance for the Character of Christianity, London, SCM, 1991, II ed. 2006, il cap.
A Temple «made without hands», pp. 100-128, ove si tratta soprattutto di Paolo, per poi
mostrare la sostanziale coerenza, in proposito, del Nuovo Testamento, in particolare
di Giovanni e dell’Epistola agli Ebrei.
tempus destruendi et tempus aedificandi 81

b) L’inesistenza di qualsiasi nozione sacrale dell’immagine mate-


riale, dell’oggetto sacro materiale, che non sia quello comunissimo
del pane e del vino, carismaticamente assunto come corpo/sangue
sacrificale di Cristo/Spirito (cfr. 1Cor 10,15-18), comunemente offerto
e mangiato da ebreo/pagano, maschio/femmina, libero/servo, ove lo
stesso uomo profano è divenuto sommo sacerdote. La chiesa paolina
è del tutto aniconica, proprio perché corpo vivente dello Spirito, pro-
prio perché essa stessa è l’Immagine di Cristo!
c) La portata del tutto escatologica e carismatica, quindi non pro-
tologica, antropologica o ontologica (e ovviamente non materiale/
oggettuale) della nozione d’immagine, in quanto c1) in Rm 5,12-21
come in 1Cor 15,42-57, mai Paolo riconosce all’Adamo genesiaco lo
statuto di immagine di Dio; c2) l’unica Immagine è quella apocalittico-
messianica, carismatica ed escatologica, di Gesù, l’Uomo/Spirito, il
morto/risorto, l’umiliatosi/esaltato, il servo/Signore. La comunità è
conformata, carismaticamente, nell’Immagine vivente di Cristo, dive-
nendo corpo del Capo. Cristo ne è il ri-creatore, il Volto/
(2Cor 3,18; 4,4) scoperto di Dio, l’escatologico Fiat lux, la Gloria eter-
nizzante (non ancora identificata con la Sapienza «creativa» di Pro-
verbi 8, ma ormai eccedente la Legge disattivata, il di
2Cor 3,7-15).
Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi
tutti, a viso scoperto [ ], riflettendo come in
uno specchio la Gloria del Signore [ ],
veniamo trasformati in quella medesima Immagine [
], di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Si-
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gnore… Cristo è Immagine di Dio [
Rifulga la luce dalle tenebre [
]… E Dio che disse:
], rifulse nei nostri cuori
[
Società editrice il Mulino, ], per far risplendere la conoscenza della
Gloria divina che rifulge sul volto di Cristo [
Bologna ]76.

Proprio perché risorto nella potenza dello Spirito, Gesù Cristo


è primogenito della nuova creazione, concedendo ai corpi spiritual-

76
2Cor 3,17-18 e 4,4e6.
82 gaetano lettieri

mente «già» risorti dei credenti il dono escatologico (la cui pienezza
sarà realizzata soltanto nella prossima fine dei tempi) di accogliere
in loro stessi la presenza di Dio77. Il corpo pneumatico è al tempo
stesso luogo carnale di teofania e identità sociale estatica, che vive
il rapporto con il divino non più come assicurazione rituale, ma
come espropriazione radicale: Dio non assicura l’essere nel mondo
della comunità religiosa, ma la trascina al di fuori di esso, nell’atte-
sa del «Vieni» messianico, che può essere anticipato soltanto nella
solidarietà spirituale di corpi (le pietre del nuovo Tempio), che si
riconoscono e si sostengono, visitati dallo Spirito. Essere Tempio si-
gnifica vivere questa fuoriuscita dall’ambito della religione pubblica
(giudaica e pagana), fruendo di una nuova identità separata, eppure
universalmente, freneticamente accogliente l’altro (un’identità di di-
versi): un transito dal mondo a una nuova incorporazione liturgico/
templare, che integra separando78 dal peccato e dall’impurità morale,
trovando la sua unità nello Spirito e nell’amore reciproco che ne
rivela l’azione trasfigurante. Un Tempio estatico davvero parados-
sale, disseminato nel reticolato quasi invisibile di microcomunità,
carnale eppure «non fatto da mani d’uomo [ ]», vivente
soltanto di un acceso desiderio condiviso, che si crede operato dallo
Spirito, dalla Presenza di Cristo che viene! Per l’edificazione di que-
sto nuovo Tempio, Paolo predica, «esercitando l’ufficio sacro del
vangelo di Dio, perché i pagani divengano un’oblazione gradita, san-
tificata dallo Spirito Santo [ ,
]», Rm 15,16.
Eppure, il fondamento di questa nuova alleanza pneumatico-sa-
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crificale rimane l’irrevocabile elezione di Israele, pure in parte provvi-

Società editrice il Mulino,


«Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere
77

], Bologna
conformi all’Immagine del Figlio suo [
perché egli sia il primogenito [ ] tra molti fratelli», Rm 8,29.
78
Cfr. m. PEscE, Le due fasi della predicazione di Paolo. Dall’evangelizzazione alla guida
della comunità, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1994, pp. 241-244: «La chiesa è essen-
zialmente una realtà liturgica […] Come luogo dell’anticipazione dell’eschaton la chie-
sa pretende di essere uscita dalla “storia” (da “questo eone” secondo il linguaggio
gudaico paolino), la chiesa è luogo di attesa, ma anche di sperimentazione, dell’uscita
dalla storia. Sociologicamente essa è perciò il luogo della marginalizzazione del credente».
tempus destruendi et tempus aedificandi 83

soriamente indurito da Dio (cfr. Rm 11,25-35), sicché a) non soltanto


Paolo continua a raccogliere collette per la comunità gesuana di Ge-
rusalemme, dalla quale non vuole essere separato; b) soprattutto egli
considera il nuovo, etno-giudaico Tempio spirituale di Cristo come
la realizzazione della conversione universale delle genti a Gerusalem-
me, sicché Paolo non vuole «costruire su un fondamento altrui, ma
come sta scritto: “Lo vedranno coloro ai quali non era stato annun-
ziato e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno”
(Is 52,15)79», Rm 15,20-21. In Cristo, si compie la profezia veterote-
stamentaria, quindi l’edificazione di un Tempio universale e spirituale,
che paradossalmente realizza il trionfo teofanico di Israele, superando
la Legge e la sacro/santa liturgia gerarchica e divisiva del Tempio di
Gerusalemme80.

79
Ricordo che il brano citato da Paolo chiude il canto del servo sofferente del
Deutero-Isaia: «Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto in-
nalzato. Come molti si stupiranno di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo
aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – così si meraviglieranno
di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto
mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito», Is 52,13-15.
Sull’interpretazione del Servo sofferente del Deutero-Isaia come «priestly figure»,
cfr. BaRBER, The New Temple, cit., p. 116; e J.w. adams, The Performative Nature and
Function of Isaiah 40-55, New York, T&T Clark, 2006, pp. 203-206.
80
Cfr. sandERs, Jerusalem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, cit.,
pp. 97-100. Dell’interpretazione di Sanders, mi lascia perplesso un solo particolare:
affermare che Paolo «did not apply his Christology [espiatoria] to the question of

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Temple worship. He says nothing against it», ibidem, p. 99. Ma se, per Paolo, soltanto il
sacrificio di Gesù Cristo è l’espiazione universale dei peccati, quale ruolo sacro, quale
portata espiatoria potevano conservare i sacrifici del Tempio? Così, l’interpretazione
Società editrice il Mulino,
proposta da Sanders dell’entrata all’interno del Tempio di Paolo in compagnia di al-
cuni pagani, come prova del suo pieno riconoscimento del sistema di culto templare
Bologna
(cfr. ibidem, p. 100), mi pare assai debole; come poteva egli ammettere come piena-
mente validi culto e sacrifici del Tempio, violandone le regole di sacralità, profanan-
dolo con l’introduzione di pagani/ ? Mi pare invece convincente l’affermazio-
ne che Paolo interpretasse il pellegrinaggio dei pagani/cristiani a Gerusalemme e al
Tempio come realizzazione delle profezie escatologiche (cfr. ibidem, p. 102; anche E.P.
sandERs, Paul, the Law, and the Jewish People, Minneapolis, Fortress Press, 1983, London,
SCM, 1985, II ed., pp. 171-173 e 199-200), ma nel senso che era la chiesa carismatica a
togliere in sé il vecchio culto del Tempio, introducendo nel suo involucro ormai vuoto
84 gaetano lettieri

3. La reduplicazione protologica dell’escatologico: dal Tempio/Immagine cari-


smatico al Tempio/Immagine ontologico

Immediata, seppure postpaolina, è però la riconfigurazione


dell’Immagine escatologica in protologica e creativa «Immagine del
Dio invisibile», preesistente Presenza mediatrice, assoluta , sic-
ché Cristo diviene il vivente Tempio ontologico nel quale tutto le cose
sono state create81, dunque «la pienezza [ ]» precosmica,
e non soltanto escatologica. Gesù è da sempre il rivelatore del Padre
creatore. Cristo, allora, non è più soltanto il primogenito dai morti,
ma diviene il preesistente «primogenito di ogni creatura», nel quale
sussite tutto ciò che è82. Il ricreativo Capo/Tempio/Spirito escato-
logico-carismatico del corpo eletto è reduplicato in Capo/Tempio/
Spirito divino e creativo. Soltanto questa reduplicazione e assolutizza-
zione dell’apocalissi salvifica consente, paradossalmente, alle comuni-
tà postpaoline di riscattare la realtà, lo schema transeunte del mondo,
che per Paolo andava svanendo («Il tempo è breve… passa la scena/la
realtà di questo mondo [ ]»,

di presenza il vero mistero sacrale della morte/resurrezione del corpo comunitario


di Cristo vivificato dal suo Spirito. Ma questo non avrebbe dovuto comportare l’in-
gresso di un comune pagano/gesuano, profano divenuto santo, nello stesso Sancta
sanctorum, in qualsiasi giorno dell’anno? Cfr. supra, nota 45.
81
«Egli [Cristo] è immagine del Dio invisibile [ ],
primogenito di ogni creatura [ ]; poiché in lui sono state

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create tutte le cose [ ], quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le
cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e

del corpo [
Società editrice il Mulino,
tutte le cose sussistono in lui [ ]. Egli è anche il capo
], cioè della Chiesa; il principio [ ], il primoge-
Bologna
nito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Per-
ché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza [ ]e per mezzo
di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè
per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli», Col 1,15-20.
82
Per l’approfondimento dei temi superficialmente affrontati in questo capito-
lo, rimando a G. lEttiERi, Materia mistica. Spirito, corpi, segni nei cristianesimi delle origini,
cap. II, L’ultimo nel primo. L’«uomo ad immagine e somiglianza» nelle antropologie protocristia-
ne, in corso di stampa.
tempus destruendi et tempus aedificandi 85

1Cor 7,31). Se Cristo è la scaturigine amorosa e creativa dell’esse-


re, il principio archetipico di vivificazione spirituale della realtà, che
pure si compie escatologicamente, ogni realtà creata viene riscattata,
coinvolta in questo processo ubiquo di manifestazione dell’Immagi-
ne. Il rivelatore messianico non si limita più a indicare la via di fuga
dal mondo verso il regno di Dio che viene, ma diviene precosmico
garante dell’ordine, della pienezza, della bontà della creazione, che
escatologicamente porta a compimento.
Non è certo questo il luogo per accennare alla parallela, rapidis-
sima evoluzione, nella stessa direzione dell’assolutizzazione dell’i-
dentità del Messia escatologico nell’ambito della preesistenza divina,
intrapresa sia dall’Epistola agli Ebrei, che dal Vangelo di Giovanni83.
Si pensi al dialogo con la Samaritana in Gv 4,5-42: Gesù toglie in sé
il Tempio (sia quello di Gerusalemme84, che quello sul Garizim rim-
pianto dai samaritani) nel culto in Spirito e Verità di Cristo-Io Sono,
dal quale scaturisce acqua di vita eterna, insieme con il pane-cibo che
egli stesso è per i suoi, segni che appunto lo rivelano come Tempio
vivente85, la cui assunzione è pienamente compiuta con il fuoriuscire,
dal fianco di Gesù crocifisso, dell’acqua con il sangue sacrificale (cfr.
Gv 19,34), che simbolicamente toglie il sangue degli animali sacrifi-
cati, riversato in grandissima quantità, in particolare in occasione dei
riti sacerdotali della Pasqua, nei canali d’acqua del Tempio. Si pensi
ancora ad Ap 21,22-22,5, ove l’acqua scaturisce direttamente dal sacri-
ficale Agnello sgozzato seduto sul trono di Dio, al centro della casa-
tempio della Gerusalemme celeste, ormai priva di Tempio materiale.

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83
Cfr. ibidem, capitolo II, L’ultimo nel primo, in partic. par. 1.4, e cap. V, Topos
84
Società editrice il Mulino,
atopos dal Nuovo Testamento allo Pseudo-Dionigi, in partic. par. 5.
Cfr. a.R. KERR, The Temple of Jesus’ Body: The Temple Theme in the Gospel of John,
Bologna
Sheffield, Sheffield Academic Press, 2002, in partic. il cap. A New Centre of Worship:
John 4.16-24, pp. 167-204. Sulla prospettiva fortemente conflittuale che caratterizza
la restituzione giovannea dei rapporti tra Gesù e il Tempio, cfr. le importanti consi-
derazioni di dEstRo, PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., pp. 159-170,
soprattutto pp. 160-161.
85
Per un’analisi sistematica del passo e della relativa bibliografia, rimando a
lEttiERi, Materia mistica, cit., cap. III, Il corpo di Dio. La mistica erotica del «Cantico dei
cantici» dal «Vangelo di Giovanni» ai Padri, in partic. par. 3.5.
86 gaetano lettieri

Eppure quello che opera una vera rivoluzione nella strutturazione del
cristianesimo primitivo è, come si diceva nel caso delle lettere deute-
ropaoline, il raddoppiamento ontologico della rivelazione escatologi-
ca, di cui il Prologo giovanneo, quindi l’Epistola agli Ebrei sono straor-
dinari testimoni. Essi riattingono le tradizioni giudaiche sul Tempio
celeste o sulla sacerdotale dimensione predestinata, quindi in qualche
modo preesistente del Figlio dell’uomo, per fonderle con prospettive
sapienziali, influenzati da tentativi giudaico-ellenistici di convergenza
tra Bibbia e filosofia platonica (si pensi a Filone)86.
Proprio questa letterura sapienziale, protologica, ontologica di Cri-
sto-Tempio, eterna Immagine del Padre, Logos rivelatore ontologico
ed escatologico, Parola creatrice e apocalittica, potenzia enormemente
la pretesa veritativa del kerygma, consentendone una traduzione, de-
formante, eppure universalizzante, di tipo filosofico. Mi limito a qual-
che citazione. L’Epistola a Flora del valentiniano Tolomeo, a partire
dall’Epistola agli Ebrei, interpreta allegoricamente il culto del Tempio
giudaico come rivelazione criptica dell’eterno pleroma divino, quindi
della generazione di Gesù come Redentore eterno, Sommo Sacerdote
e al tempo stesso «Vittima», chiamata a discendere e a ricongiungersi
con il corpo elettivo celeste decaduto degli gnostici, «impersonificati»
da Sophia. Lo Spirito è divenuto essere, il Tempio carismatico è il
riflesso di un Tempio eterno (il pleroma), il Messia sacerdotale e la
vittima sacrificale sono l’unico , Frutto divino, che la fede elet-
ta di Flora riuscirà a «far venire» in lei, scoprendosi eone divino, ente
spirituale perché logico, persona eternamente partecipe della liturgia
mistica87. Gli stessi grandi sistemi teologici di Clemente e di Origene
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propongono una sistematica allegorizzazione del Tempio, interpreta-
to come Luogo ontologico assoluto del Logos, nel quale le creature
Società editrice il Mulino,
86
Bologna
Cfr. R. P
neotestamentaria,
Enna , I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia
vol. II, gli sviluppi, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1999, cap.
IV, La lettera agli Ebrei, pp. 265-328, in partic. il par. 4, (Sommo) Sacerdote, pp. 293-319;
E.F. mason, «You Are a Priest Forever». Second Temple Jewish Messianism and the Priestly
Christology of the Epistle to the Hebrews, Leiden, Brill, 2008, in partic. pp. 8-38.
87
Per un’analisi sistematica di questo testo capitale, primo trattato cristiano di
ermeneutica biblica, rinvio a G. lEttiERi, Il frutto nascosto. Ontologia delle Scritture e So-
phia cifrata nell’Epistola a Flora di Tolomeo gnostico, d’imminente pubblicazione.
tempus destruendi et tempus aedificandi 87

logiche accedono alla Presenza, celebrandone l’eterna liturgia: si pensi


ad Excerptum ex Theodoto 27, excursus clementino ove viene proposta
un’antivalentiniana allegorizzazione mistico-speculativa della liturgia
del Sommo sacerdote; oppure al libro X del Commento al vangelo di Gio-
vanni origeniano, dedicato all’esegesi di Gv 2,12-25, cioè di celebrazio-
ne della Pasqua, purificazione e interpretazione spirituale del Tempio,
realtà puramente logica nella quale l’universale creazione intellettuale,
riunificata dal Logos e nel Logos alla sua protologica natura pneuma-
tica, tornerà a celebrare, consumate le resistenze contingenti di qualsi-
asi peccato ilico-psichico, il culto razionale dell’unione mistica con la
presenza assoluta di Dio.

4. Rivalità e incroci teologico-politici: da Tertulliano all’avvento di Costantino

Proprio questa traiettoria, pure se qui brutalmente evocata, può


spiegare come il cristianesimo protocattolico, fuoriuscito dall’even-
to escatologico-carismatico e appropriatosi idealmente dell’ambito
dell’essere, si prepari, paradossalmente, a divenire mondo, ad espu-
gnare la storia universale occupandone gli spazi del culto pubblico.
«Origene» (come persona che rappresenta, al suo culmine, l’evoluzio-
ne logica del kerygma protocristiano) è, insomma, il presupposto teolo-
gico-mistico della teologia politica di Eusebio, capace di riconfigurare
immediatamente l’identità ideologica cristiana all’indomani dell’inau-
dita, del tutto imprevista (se non ottativamente da Lattanzio!)88 con-
versione dell’Impero all’unico Dio e al suo Logos. Questi, infatti, è
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divenuto fondamento dell’essere, Tempio eterno di cui storia e mon-
do sono manifestazione, fenomeno, ormai predisposti a riconoscersi
Società editrice il Mulino,
come convertita, divina liturgia: l’ubiqua teofania intellettuale di Ori-
gene è disponibile a divenire principio d’interpretazione dell’univer-
Bologna
sale trionfo politico cristiano, generando un’inedita ontoteologia politica,

88
Cfr. G. lEttiERi, Lattanzio ideologo della svolta costantiniana, in A. mElloni (a
cura di), Costantino I. Enciclopedia costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del
cosiddetto editto di Milano. 313-2013, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2013,
vol. II, pp. 45-57.
88 gaetano lettieri

che riunifica cielo e terra, Tempio celeste e messianismo storico-ri-


velativo, Logos eterno e creazione/storia teofanica. Analogamente,
il reticolo carismatico delle comunità paoline è divenuto reticolo ec-
clesiastico istituzionale – capace di diffondersi capillarmente nell’Im-
pero in quasi tre secoli di resistenza tenace e d’irrefrenabile impulso
missionario –, che tende ad imitare la stessa struttura istituzionale,
persino burocratica dell’Impero, predisponendosi a corrisponderle.
Ma un elemento decisivo manca alla grande Chiesa protocattolica:
lo status di religione pubblica, di culto dello Stato istituzionalizzato,
dotato di valenza e portata sociale fondativa; il suo rendersi visibile
(anche materialmente, tramite luoghi di culto comunitari bene iden-
tificabili) è, quindi, un ambiguo oscillare tra la tollerata autonomia di
un’identità privata, seppure socialmente consistente, e l’evidenza di un
corpo sociale irriducibile, al tempo stesso interno ed estraneo a quello
dell’ecumene romana, di cui spesso si è avvertita, da parte dell’Impero
pagano, la necessità della soppressione.
Eppure, due prospettive ormai la Chiesa protocattolica tende a
condividere con l’ideologia dell’Impero romano, in una relazione evi-
dente di possibile convergenza, eppure di tensione e rivalità, avvertita
da parte dello stesso potere pubblico in maniera più o meno esplicita
e violenta (si pensi alla portata fondativa delle persecuzioni anticristia-
ne durante la grande ristrutturazione imperiale dioclezianea): 1) come
segnala «il colpo di mano semantico di Tertulliano»89, la pretesa di
essere l’unica religio, di realizzare l’unico autentico culto universale del
divino; 2) l’irresistibile esigenza di universalizzazione, di espugnazione
dell’intera ecumene, sottomessa ad un unico potere assoluto capace
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di donare senso alla storia, di costruire civitas sacrale. D’altra parte, lo
stesso Tertulliano, riprendendo, eppure compromettendo il distaccato
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lealismo politico di Rm 13 (per il quale riconoscere il potere come
«stabilito» da Dio significa abbandonarlo alla sua ormai rivelata vanità
Bologna
e soggezione a Dio), aveva nell’Apologeticum interessatamente afferma-
to che le comunità cristiane pregavano Dio per ritardare la fine del

89
m. sachot, L’invention du Christ. Genèse d’une religion, Paris, Odile Jacob, 1998,
trad. it. La predicazione del Cristo. Genesi di una religione, Torino, Einaudi, 1999, p. 158,
cfr. pp. 158-163.
tempus destruendi et tempus aedificandi 89

mondo e per ottenere il provvidenziale benessere terreno degli impe-


ratori romani e delle pubbliche istituzioni90. Si stava forse spegnendo
il Marana tha!, il Vieni, Signore Gesù! paolino e apocalittico91? Come si è
messo in rilievo, il progressivo innalzamento di Cristo a Principio as-
soluto creativo e provvidenzialmente conservativo dell’essere (il Tem-
pio/Sacerdote celeste ontologico, l’Immagine protologico-creativa)
non poteva non trovare una logica corrispondenza in ambito politi-
co, rendendo irresistibile la «tentazione» della celebrazione ubiqua di
un’unica assoluta, la liturgia di un’unica Parola d’ordine (antiduali-
stica, antignostica, antianarchica), grazie alla quale riallineare il potere
assoluto politico-mondano al potere assoluto celeste: la fine escatolo-
gica può essere ritardata, proprio perché nell’ordine stesso dell’essere
creato, e persino in quello del potere secolarmente «delegato», agisce e
può agire il potere provvidenziale (ordinativo, assicurativo) e salvifico
di Cristo.
D’altra parte, due potenti tradizioni ideologiche spingevano nella
direzione di questa convergenza tra rivelazione dell’eterno Logos/Si-
gnore dell’essere e ordine teologico-politico dell’immanenza. Qualche
parola dev’essere spesa sui due sistemi teologico-politici fondativi ri-
spettivamente dell’identità religiosa cristiana e di quella imperiale pa-
gana: a) il messianismo politico giudaico e b) la theologia civilis romana.
a) Radice latente del messianismo spirituale apocalittico-cristiano
rimane, comunque, il messianismo politico giudaico, affermato all’in-
terno dell’Antico Testamento, quindi accolto nella binata Bibbia cat-
tolica. Cristo, insomma, è pur sempre discendente di Davide e non
può non ereditarne l’ideologica pretesa del dominio in terra (si pensi
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alle mai essiccatesi correnti millenaristiche cristiane, di cui il millennio
di Ap 20,1-6 è il primo affioramento evidente a noi noto). Questa
Società editrice il Mulino,
90
Bologna
Cfr. questi due testi davvero decisivi di Tert., apol.: «Nos enim pro salute im-
peratorum deum invocamus aeternum, deum verum, deum vivum [30,1]; Est et alia
maior necessitas nobis orandi pro imperatoribus, et ita universo orbe et omni statu
imperii rebusque romanis, qui vim maximam universo orbi imminentem ipsamque
clausulam saeculi acerbitates horrendas comminantem romani imperii commeatu
scimus retardari. Itaque nolumus experiri et, dum precamur differri, romanae diu-
turnitati favemus [32,1]».
91
Cfr. 1Cor 16,22; Ap 22,20.
90 gaetano lettieri

prospettiva messianica concorre nel rovesciamento della prospettiva


escatologica, kenotica, carismatica in prospettiva ontocosmologica
(Cristo pantokrator), gloriosa (Cristo-Immagine come Luce che libera
la storia dalla tenebra), politica (Cristo come fondamento dell’ordi-
ne politico), militare persino (Cristo come eversore violento del re-
gno della tenebra e distruttore della religione idolatrica). Pertanto, nel
messianismo spirituale cristiano riemergera quel latente potenziale te-
ologico-politico messianico, quindi «rappresentativo», fatto oggetto di
retractatio romano-cristiana nella persona stessa di Costantino. Il Cristo
atopico trova il suo topos analogico nell’unico imperatore universale,
che celebra nella storia, di cui è provvidenziale compimento, la divina
liturgia teologico-politica. Non è un caso, allora, che la stessa figura di
Mosè – sin dalla reinterpretazione della battaglia di Ponte Milvio, con
l’evocazione tipologica della morte per acqua di Massenzio/Faraone92
– possa essere chiamata in causa da Eusebio come typos di Costantino.
b) La concezione più articolata di religio romana è, com’è noto,
quella presentataci da Agostino nel De civitate Dei, restituendoci lunghi
frammenti delle Antiquitates rerum humanarum et divinarum di Varrone,
da Cicerone stesso indicato come supremo sistematizzatore e inter-
prete della tradizione religiosa romana93. Strutturale è la reinterpreta-
zione varroniana della theologia tripertita stoica (cfr. in partic. civ VI 2,8),
che da Crisippo, tramite la mediazione di Panezio, era stata romaniz-
zata dal pontefice massimo Scevola: la religio è di fatto identificata
con la theologia civilis (di cui la theologia theatrica o mythica è articolazione
celebrativa, funzione cultuale), il culto pubblico stabilito dalle autorità
politiche, attraverso il quale si costituisce un circuito sacrale tra potere
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92
Società
Cfr. Eus., h.e. IX 9,5-9.editrice il Mulino,
Ma cfr. v.C. I 12,1-12,2, con il paragone tra Mosè
allevato presso la corte del faraone e Costantino cresciuto (seppure come figlio del

Per unBologna
«pio» Costanzo) in un Impero pagano governato da tetrarchi tiranni e persecutori.
93
confronto tra la prospettiva varroniana del rapporto tra religio e civitas,
messa in tensione con quella agostiniana, cfr. G. lEttiERi, Riflessioni sulla teologia poli-
tica in Agostino, in P. BEttiolo, G. FiloRamo (a cura di), Il dio mortale. Teologie politiche
tra antico e contemporaneo, Brescia, Morcelliana, 2002, pp. 215-265; G. lEttiERi, Sacri-
ficium civitas est. Sacrifici pagani e sacrificio cristiano nel De Civitate Dei di Agostino, in
«Annali di Storia dell’Esegesi», 19/1 (2002), pp. 127-166; id., Civitas in Agostino, in
«Parola, Spirito e Vita», 50 (2004), pp. 181-211.
tempus destruendi et tempus aedificandi 91

istituente e spazio religioso pubblico istituito, «inventato» dai principes,


all’interno del quale è comunque molteplicemente presentificato l’u-
nico potere divino immanente nel mondo. Nessun ruolo pubblico,
religioso ha la theologia naturalis, identificata con la conoscenza filo-
sofica – eventualmente riservata all’élite politica – dell’impersonale
potenza divina immanente nel cosmo. La religio è, insomma, celebra-
zione, significazione dello spazio pubblico: essa non esiste nell’ambito
privato della coscienza (ove, ciceroniamente, possono soltanto darsi
private superstitiones), ma vive soltanto nel sistema degli spazi templari,
dei pubblici spettacoli teatrali, insomma nella liturgia civile. La media-
zione cultuale della theologia civilis è, infatti, di decisiva portata politica,
in quanto capace di formare civicamente, di promuovere fusione col-
lettiva, consenso, persuasione, piacere di massa, quindi di assicurare la
saldezza del corpo sociale, tramite la protezione che il potere divino
garantisce alla civitas e al suo potere stabilito94. Per Varrone, non ha
pertanto senso pretendere che gli dèi onorati siano veri: essi sono
appunto invenzioni politiche, poetiche, mitiche e il teatro è il loro
naturale luogo di manifestazione pubblica, di celebrazione produttiva
di unificazione e consenso politico95. Gli dèi sono pertanto persone,
maschere religiose, produttive di legame sociale, seppure in questo
sistema idolatrico politicamente governato la manifestazione del sa-
cro – fosse essa celebrata come reale presenza del numinoso o come
cogente sacralità della tradizione civica – è avvertita come del tutto
evidente96, quindi persino filosoficamente giustificata come modalità

94
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Cfr. J. RüPKE, Die Religion der Römer. Eine Einführung, München, Verlag C.H.
Beck, 2001, pp. 132-136.
95
Società editrice il Mulino,
Cfr. le citazioni varroniane in Aug., civ. VI 2-9; VII,1-6; VII,17-28, in partic.
il fondamentale capitolo 17.
96
Bologna
Scrive François Jacques, facendo riferimento a Cicerone: «Tout compor-
tement social, tout acte communautaire comprenait nécessairement une compo-
sante religieuse, et vice versa. Une métaphore, déjà employée par les anciens (par
exemple Cicéron, Lois 1, 7, 23; 2, 10, 26) aide à comprendre l’imbrication du po-
litique et du religieux; d’après cette représentation la cité est le lieu et l’expression
d’un synécisme des dieux et des hommes. C’est pour cette raison que tout acte
exprimant la volonté de cette communauté d’hommes et de dieux renvoient aux
deux groupes de citoyens qui la composent», F. JacquEs, J. schEid, Rome et l’intégra-
92 gaetano lettieri

cultuale politeistica attraverso la quale comunque si presta culto all’u-


nico dio riconosciuto dalla ragione filosofica: il logos stoico o la divina
anima del mondo immanente nell’universo97. È comunque essenziale
comprendere che a Roma, almeno in età storica,
in fondo la religione non è altro che una delle facce della medesima realtà,
che potremmo chiamare «città», «repubblica», «consenso civico». È comun-
que evidente che l’elemento religioso è consustanziale a quello politico98.

Soltanto tenendo presente queste coordinate religiose, che gover-


nano capillarmente la società dell’Impero romano, è possibile com-
prendere quanto ideologicamente violento e radicale sia stato l’atto di
conversione monoteistica cristiana di Costantino, testimoniato, come
vedremo, dalla sua attività piuttosto diffusa di distruzione dei tem-
pli pagani e di edificazione di quelli cristiani. E seppure certe sono
le prove del superiore pragmatismo politico-religioso di Costantino,
che lo induceva a tollerare per esigenza di consenso e amore di pace
i culti pagani99, seppure a tutti i livelli il sincretismo tra paganesimo
e cristianesimo è immediato e persistente, i documenti ufficiali co-

tion de l’Empire. 44 av. J.-C. – 260 ap. J.-C., t. I, Les structures de l’empire romain, Puf,
Paris, 1990, p. 112.
97
Cfr. Aug., civ. VII 6, e soprattutto 23.
98
J. schEid, La religione a Roma, Roma-Bari, Laterza, 1983, IV ed. 2004, p. 162.
99
Esponente estremista, ma intelligente della tesi di Costantino come cristiano
«tollerante» e rispettoso della coesistenza tra cristianesimo e paganesimo, è h.a.

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dRaKE, Lambs into Lions: Explaining Early Christian Intolerance, in «Past and Present»,
153 (1996), pp. 3-36, in partic. pp. 19-22; cfr. id., Constantine and Consensus, in «Church
History», 44 (1995), pp. 1-15; e soprattutto id., Constantine and the Bishops. The Politics
Società editrice il Mulino,
of Intolerance, Baltimore, John Hopkins University Press, 2000, che sottolinea come,
contro ogni intolleranza chiesastica e il radicalismo violento di vescovi e monaci, Co-
Bologna
stantino, guidato dall’imperativo prioritario di creare consenso politico, rifiutasse il
ricorso alla coercizione religiosa e ammettesse piena libertà di scelta religiosa. Ma un
politico straordinario come Costantino poteva sensatamente rovesciare le persecu-
zioni anticristiane in persecuzioni antipagane, che avrebbero dovuto colpire la netta
maggioranza della popolazione dell’Impero? Non è un vero e proprio anacronismo
storico quello che ci induce a salutare come testimonianza di tolleranza una politica
pragmatica, intenta a «normalizzare» e rendere accettabile anche ai sudditi pagani
una vera e propria rivoluzione religiosa, comunque nettamente perseguita?
tempus destruendi et tempus aedificandi 93

stantiniani paiono inequivoci, trasmessi in buona parte attraverso le


stupefatte testimonianze di Eusebio, certo «tendenziose», eppure in
sostanza oggettive. Prudenza, infatti, non significa equidistanza o ac-
cettazione indifferente della coesistenza religiosa, capace di introdurre
un elemento di divisione teologico-politica nel cuore dell’articolazio-
ne imperiale. Si pensi all’Editto ai Provinciali d’Oriente riportato da Eu-
sebio, nella Vita Constantini100, documento rivelativo della netta scelta
di campo cristiana di Costantino, il quale, pur astenendosi per amore
di pace dalla sistematica distruzione dei luoghi di culto pagani101, co-
munque invita pubblicamente alla conversione all’unico vero Dio. In
tal senso, notevole è l’applicazione del principio della libertà non co-
ercibile della scelta religiosa – che, sulla scia di Tertulliano102, Lattan-
zio aveva rivendicato per i cristiani contro le persecuzioni tetrarchiche
– anche ai seguaci della religione pagana103. Ma questa, però – ecco il
punto che mi pare capitale – ha ormai perso la sua pubblica celebra-
zione, divenendo tollerato errore privato104, se certo non perseguitato,

100
Cfr. Eus., v.C. II 48,1-60,2.
101
Cfr. Eus., v.C. II 56,1-2, in partic.: «Si tengano pure, se credono, i santuari
della falsità [ ]».
102
Cfr. G.G. stRoumsa, Tertullian on Idolatry and the Limits of Tolerance, in G.G.
stRoumsa, G.n. stanton (a cura di), Tolerance and Intolerance in Early Judaism and Chris-
tianity, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 173-184, trad. it. in G.G.
stRoumsa, La formazione dell’identità cristiana, Brescia, Morcelliana, 1999, cap. VIII,
Tertulliano, l’idolatria e i limiti della tolleranza, pp. 167-179; e, più in generale, m. maRcos,
Persecution, Apology and the Reflection on Religious Freedom and Religious Coercion in Early

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Christianity, in «Zeitschrift für Religionswissenschaft», 20 (2012), pp. 35-69.
103
Cfr. Editto ai provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 60,1, nella trad. di l. FRanco (a
cura di), Eusebio di Cesarea. Vita di Costantino, Milano, BUR, 2009, p. 223: «le convinzio-
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ni che ciascuno nutre e delle quali è persuaso, non siano il mezzo per recare offesa ad
altri; ciò che ognuno sa e di cui è convinto, se è possibile, sia di giovamento al prossi-
Bologna
mo, e se ciò invece non è possibile, è meglio lasciar perdere [
una cosa è impegnarsi volontariamente nella lotta per l’immortalità [
]. Infatti

] e un’altra è l’esservi costretto


dal timore della punizione [ ]». Cfr., in Eus., h.e.
X 5,8, affermazioni analoghe già nell’Editto di Milano di Costantino e Licinio.
104
Si pensi all’espressione, che definirei tecnica, dei pagani come «coloro che si
fanno da parte [ ]», che ricorre in Editto ai Provinciali d’Oriente,
in Eus., v.C. II 56,2.
94 gaetano lettieri

di fatto pubblicamente svalutato e sistematicamente disertato, persino


boicottato105.
Al contrario, subendo una subitanea «catastrofe», accolta dai cre-
denti, da Eusebio per primo, come miracoloso compimento della re-
denzione divina della storia, il cristianesimo viene immediatamente
riconosciuto dall’imperatore come vera religione, l’unica garante delle
sue vittorie, quindi del benessere di tutto l’Impero106. Costantino te-
meva il Dio dei cristiani, nel quale sinceramente credeva107. L’invin-
cibile imperatore aveva paura soltanto di un Monocrate assoluto più
potente di lui, la fede nel quale è generata dall’efficacia vittoriosa della
sua elezione:

105
«Il passaggio alla nuova epoca si manifestò nel modo più evidente con la
sparizione dei sacrifici. Da sempre essi erano la manifestazione più potente della
vivacità dei culti pagani […] In una legge del 319, Costantino definì la lettura delle
viscere dei sacrifici un pratica superstiziosa e, in seguito, nel 323, definì tale l’atto del
sacrificio stesso. Per i cristiani che ricoprivano incarichi pubblici fu abolito l’obbligo
di fare sacrifici. Non potevano essere costituiti nuovi culti sacrificali, alcuni templi
furono chiusi o addirittura distrutti, per presunta prostituzione sacra o per il recu-
pero di luoghi originariamente cristiani […] Nonostante la maggior parte dei luoghi
di culto pubblici continuasse a esistere, l’ardore dei sacrifici si spense nel corso del
decennio del 320 […] Le idee pagane non erano (ancora) scandalose, ma le pratiche
pagane suscitavano disapprovazione […] Offrire sacrifici non era più opportuno»,
PFEilschiFtER, Il Tardoantico, cit., p. 49. Notevole la sintesi di G. BonamEntE, La «svol-
ta costantiniana», in E. dal covolo, R. uGlionE (a cura di), Chiesa e Impero. Da Augusto

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a Giustiniano, Roma, Las, 2001, pp. 145-170. Cfr., infine, a. FRaschEtti, La conversione.
Da Roma pagana a Roma cristiana, Bari-Roma, Laterza, 1999.
106
Cfr. Editto ai Provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 55,1-56,1.
107
Società editrice il Mulino,
Sull’autenticità della fede di Costantino e sulla novità della sua concezione
provvidenzialistica del rapporto tra divino e potere imperiale, che imponeva di inter-
Bologna
pretare il proprio potere come al servizio del geloso Dio onnipotente dei cristiani,
trovo convincente l’interpretazione di P. vEYnE, Quand notre monde est devenu chrétien
(312-394), Paris, Albin Michel, 2007, pp. 108-116. Considero, in proposito, ancora
fondamentale il volume di t.d. BaRnEs, Constantine and Eusebius, Cambridge, Mass.,
Harvard University Press, 1981; cfr. l’Epilogue, pp. 272-275. Molto equilibrato il bi-
lancio di G. Rinaldi, Cristianesimi nell’antichità. Sviluppi storici e contesti geografici (Secoli
I-VIII), Chieti-Roma, Edizioni GBU, 2008, il cap. X, La svolta filocristiana dell’Impero.
L’età di Costantino, pp. 643-679.
tempus destruendi et tempus aedificandi 95

Io amo sinceramente il tuo nome, ma temo la tua potenza [


, ], che hai reso ma-
nifesta attraverso molti segni e che ha fatto diventare più salda la mia fede108.

Per il romano Costantino, il segreto della storia è la potenza; per


questo, l’unico Onnipotente dev’essere pubblicamente, religiosamente
onorato dall’unico imperatore, che Egli ha innalzato alla signoria del
mondo. Compito dell’imperatore è stabilire un sistema cultuale del
vero Dio, celebrandone universalmente quel potere, che gli empi im-
peratori pagani avevano cercato di negare, perseguitando la Chiesa e
abbattendo i luoghi di culto cristiani, privati, ma perfettamente iden-
tificabili:
Io aspiro, senza dubbio, a prendere sulle mie spalle il compito di restau-
rare la tua santissima casa [ ], che
quegli uomini, abominevoli e quanto mai empi, offesero con un’oltraggiosa
distruzione [ ]109.

Nell’avvio di un processo di pubblica (ri)edificazione templare


cristiana, Costantino salda messianismo giudaico, ideologia romana
del salvifico-sacrale Impero universale e provvidenzialistica afferma-
zione dell’unica vera religio cristiana destinata a conquistare rapidamen-
te l’intera ecumene. Se il Dio unico è onnipotente e geloso come la
sua immagine terrena, la religio universale dev’essere convertita, con
gradualità e una certa prudenza, ma con assoluta sistematicità, soprat-
tutto per quanto riguarda i luoghi-chiave, i capites simbolici del potere
imperiale cristianizzato: le capitali dell’Impero, Roma e Costantinopo-
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li/nuova Roma cristiana, quindi Gerusalemme e i luoghi santi. Occu-
pazione che è, inevitabilmente, anche riconfigurazione, inculturazione
Società editrice il Mulino,
deformante, genesi di un’ibrida realtà cristiano-romana110.

108
EdittoBologna
ai Provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 55,2, nella trad. di l. F
Ranco, cit.,
p. 219.
109
Ibidem. «Quelli distruggevano fin dalle fondamenta i luoghi di preghiera, de-
molendoli da cima a fondo, mentre egli decretava di rendere più imponenti gli edifici
già esistenti e di innalzarne di nuovi con grande magnificenza, attingendo allo stesso
tesoro imperiale», Eus., v.C. III 1,4, trad. di l. FRanco, cit., p. 245.
110
Cfr. sachot, La predicazione del Cristo, cit., il cap. II, Il cristianesimo, religione
96 gaetano lettieri

Rispetto ai testi neotestamentari, evidente è il compiersi del pas-


saggio da una teologia politica dualistica, escatologica, secolarmente kenotica
(che oppone apocalitticamente Dio a Cesare/Mammona, quietistica-
mente abbandonati alla loro vanità, nella certezza della fine immi-
nente) a una teologia politica analogica, quindi monistica, che coordina Dio,
Cristo e Cesare, quali articolazioni divino-umane del governo monar-
chico di Dio sul reale111. L’irriducibile dualismo escatologico-apoca-

romana e cristiana, in partic. par. 2, Romanizzazione del cristianesimo e cristianizzazione della


romanità, pp. 168-186.
111
Significativa la tesi di vEYnE, Quand notre monde est devenu chrétien, cit., pp. 209-
215, per il quale il riconoscimento del rapporto di autonomia tra religione («Dio»)
e politica («Cesare») non sarebbe affatto un portato cristiano, ma al contrario un
dato di fatto «pacifico» proprio della religiosità pagana; infatti, presso i pagani, «la
religion était partout, saupoudrait toutes choses, mais elle était simple et légère, elle
revêtait de solennité toutes choses, sans obliger à grand-chose […] Au contraire,
c’est avec le triomphe du christianisme qu’entre religion et pouvoir les relations ont
cessé d’être du saupoudrage et se sont théorisées, systématisées. Dieu et César ont
cessé d’agir chacun de leur côté, Dieu s’est mis à peser sur César, il fallait que César
rendît à Dieu ce qui était dû à Dieu. Le christianisme demandera aux rois ce que le
paganisme n’avait jamais demandé au pouvoir: «Étendre le plus possible le culte de
Dieu et se mettre au service de la majesté divine», p. 215. Ritengo condivisibile il
rifiuto di forzare in anacronistico riconoscimento dell’autonomia del potere secolare
il «dare a Cesare» gesuano, che piuttosto interpreto come abbandono della potenza
politica pagana (così come di Mammona) alla sua vanità, presto apocalitticamente
manifestata; in tal senso, la svolta costantiniana introduce, effettivamente, una novità
assoluta, stabilendo una relazione ideologica organica e gerarchica tra Dio e Cesa-

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re, inaugurando quella cristianità costantiniana certo antitetica alla nozione liberale e
democratica di piena autonomia del politico rispetto a qualsiasi pre-potente e intol-
lerante ipoteca religiosa. Nelle tesi di Veyne, mi lascia, piuttosto, molto perplesso la
Società editrice il Mulino,
restituzione idealizzata, vaporosa e «tollerante» della religione pagana, che in realtà
risultava come elemento decisivo e ideologicamente funzionale del potere politico
Bologna
(religio civilis), quindi come sua sacralizzazione (violentemente ribadita dalla «riaffer-
mazione» tetrarchica della religio tradizionale); cfr., in tal senso, G. FiloRamo, La croce
e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari, Laterza, 2011, cap. La religione
politica dell’Impero romano, pp. 3-42, in partic. pp. 13-17. Insomma, se è vero che il
Dio cristiano, con Costantino, ha cominciato a pesare pre-potentemente su Cesare,
d’altra parte Cesare già pesava violentemente sulla società romana, anche tramite la
religione pagana, macchina di consenso ideologico a una struttura politica, sociale,
culturale senza dubbio violenta, imperialista, bellicista, schiavista (certo ereditata dal-
tempus destruendi et tempus aedificandi 97

littico (comunque fondante, quindi irriducibile e latente nell’identità


cristiana così potentemente trasformatasi) regredisce, è corretto mo-
nisticamente in ontologia dell’ordine sacralizzato. Questa media, atte-
nuandola, la tensione tra escatologia redentiva (eschaton) e protologia
fondativa (arche). In questa struttura teofanico-messianica, l’imperato-
re diviene il sommo sacerdote storico112, icona del Padre e imitazione
del Sommo sacerdote celeste, quindi nuovo Mosè, vero capo carisma-
tico e istituzionale della Chiesa113. D’altra parte, utilizzando il princi-

la cristianità costantiniana); si pensi alla decostruzione del mito di Roma intrapresa dal
De civitate Dei agostiniano. Sicché, certo con il passare dei secoli, mi chiedo se proprio
la subordinazione gerarchica del potere politico a un potere assoluto trascendente,
che comunque imponeva storicamente almeno la mira di ideali evangelici, non abbia
favorito, in Occidente, il processo (in prospettiva anticostantiniano) di desacralizza-
zione del potere, quindi di affermazione di valori politici ispirati a valori evangelici,
irriducibilmente kenotici, escatologici, caritatevoli-disseminativi (che, con Nietzsche,
potremmo definire protodemocratici). Cfr. lEttiERi, Un dispositivo cristiano nell’idea di
democrazia?, cit.
112
Per la centralità del modello messianico davidico nell’identificazione dell’in-
vestitura divina, che tende appunto a sovrapporre la dimensione sacerdotale su quel-
la regale del potere imperiale, quindi sulla natura provvidenziale della sua trasmis-
sione, cfr. G. dRaGon, Empereur et prêtre. Étude sur le «césaropapisme» byzantin, Paris,
Gallimard, 1995, in partic. p. 21, e cfr., su Costantino, l’intero cap. IV.
113
Considero definitivo il bilancio di Manlio Simonetti, per il quale Costantino
realizzò «in brevissimo tempo la completa integrazione della struttura della chiesa
in quella ben più vasta e complessa, anche se per vari aspetti fatiscente, dell’Impero,
un processo di vera e propria simbiosi tra i due organismi, sotto la guida unificante

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dell’imperatore […] Eusebio interpretò la carismatica figura di Costantino, novello
Mosè, quale immagine terrena del re celeste, il Logos divino, e perciò un suo rappre-
sentante in terra e l’Impero che si avviava a diventare cristiano quale la realizzazione
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del regno messianico vagheggiato dai profeti dell’AT. In questo modo veniva subi-
to sanzionata, a livello di teoria, la presa di potere che Costantino aveva realizzato
Bologna
nei confronti della chiesa, cominciando a operare, già l’indomani dell’emanazione
dell’editto di Milano, quale suo capo effettivo […] Non meravigli la subitaneità e la
mancanza di opposizione che caratterizzarono la presa di potere dell’imperatore su
una chiesa che fino a pochi decenni prima avvertiva nell’autorità dello stato un tradi-
zionale nemico. In effetti, stante la dimensione piramidale dell’organizzazione statale
romana, al vertice, cioè nell’imperatore, si assommava unitariamente tutto il potere,
del quale, come sappiamo, la componente religiosa rappresentava parte non secon-
daria e alla quale egli presiedeva nella qualità di pontifex maximus. Era perciò quanto
98 gaetano lettieri

pio dell’esemplarismo inverso, Costantino stesso finisce per assumere


una dimensione archetipica: il nuovo monocratico potere imperiale114
è, di fatto, quello su cui si compie la riconfigurazione «imperialistica»
del nuovo Dio cristiano115, in quanto (invertendo il noto assioma sch-
mittiano) tutti i concetti più pregnanti della nuova dottrina di Dio sono concetti
politici divinizzati.

5. Costantino e la teofania della croce imperiale

Per valutare l’assoluta novità dell’occupazione cristiana dello spa-


zio pubblico sacrale (progressiva, ineluttabile o imprevista, dipen-
dente soltanto dalla scelta di un uomo?), conviene cominciare dalla
metamorfosi della suprema immagine teofanica: quella della croce,
tremendo segno romano/cristiano di condanna/elezione, che Costan-

mai naturale che, messa fine all’ostilità plurisecolare che l’Impero aveva manifestato
nei confronti della chiesa e chiamata finalmente la chiesa a integrarsi nell’organismo
statale, anche di essa l’imperatore assumesse la suprema autorità, diventandone il
capo effettivo, non solo di fatto ma anche di diritto […] naturale parve, sia a lui sia ai
diretti interessati, l’estensione alla comunità cristiana dell’autorità che egli deteneva
nell’ambito della religione pagana», m. simonEtti, Il vangelo e la storia. Il cristianesimo
antico (secoli I-IV), Roma, Carocci, 2010, pp. 193-194. Sulla centralità del modello
mosaico, nella restituzione teologico-politica eusebiana di Costantino, cfr. m. amE-
RisE, Costantino il «nuovo Mosè», in «Salesianum», 67 (2005), pp. 671-700, ove si mette
in rilievo la dipendenza della Vita Constantini eusebiana dalla Vita Mosis di Filone

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d’Alessandria.
114
Sulla caratterizzazione imperiale dell’ultima fase della religione romana, pa-
radossalmente capace di favorire il successo del cristianesimo e la sua riconfigurazio-
Società editrice il Mulino,
ne in esso, cfr. schEid, La religione a Roma, cit., cap. IV, La nuova religione, pp. 139-153.
Sul potere imperiale trionfante convertito come modello per la redifinizione della
Bologna
teologia della storia cristiana, cfr. lEttiERi, Lattanzio ideologo della svolta costantiniana,
cit.; e G. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, in mElloni (a cura
di), Costantino I, cit., vol. II, pp. 163-175, in partic. p. 168.
115
In tal senso, sarebbe interessante discutere le tesi dello stimolante volume
di a. BREnt, The Imperial Cult and the Development of Church Order. Concepts and Images
of Authority in Paganism and Early Christianity before the Age of Cyprian, Leiden-Boston-
Köln, Brill, 1999; la chiesa protocattolica si definirebbe, sin dal II secolo, in un rap-
porto di rivalità e imitazione con il culto imperiale.
tempus destruendi et tempus aedificandi 99

tino assume come icona simbolica del nuovo potere divino; senza
dimenticare che, a distanza di quattro secoli, singolarmente la croce
diverrà l’unico segno sacro iconoclasta, brandito contro l’iconodu-
lia. Clamorosa è, nella Vita di Costantino, la descrizione della vera e
propria iniziazione misterica alla rivelazione teofanica, cui Eusebio è
introdotto dall’imperatore carismatico, che ritiene un «suo» vescovo
degno della visione della scaturigine miracolosa del potere assoluto
cristiano. La croce era prima apparsa in visione, poi riapparsa in so-
gno116, quindi celebrata come «eucaristica presenza reale» tramite una
preziosissima riproduzione, icona finalmente manifestata ad Eusebio
dall’imperatore liturgo:
gli si palesò un segno divino assolutamente straordinario [
] […] in mezzo al cielo un trofeo luminoso
a forma di croce che sovrastava il sole e, accanto a esso, una scritta che
diceva: «Vinci con questo [ ]» […] In sogno gli si mostrò Cri-
sto, Figlio di Dio, con il segno che era apparso nel cielo e gli ordinò di
costruire un oggetto a immagine [ ] del segno che si era palesato in
cielo e di servirsene come protezione nei combattimenti contro i nemici.
Appena fu giorno, si alzò e svelò l’arcano [ ] agli amici. Poi,
convocati alcuni orefici e artigiani delle gemme, si mise a sedere in mezzo
a loro, descrisse l’aspetto del segno [ ] e ordinò di
riprodurlo in oro e pietre preziose. Un giorno, l’imperatore in persona,
anche perché così piacque a Dio [ ], ci fece la
concessione [ ] di porre questo oggetto sotto i nostri stessi occhi.
Esso si presentava in questa forma: era una lunga asta rivestita d’oro, con
un braccio trasversale che formava una croce. In alto, sulla sommità di
tutto l’insieme, era fissata una corona intrecciata di pietre preziose e oro,
sulla quale due lettere, che indicavano il nome di Cristo attraverso i due
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primi caratteri, alludevano al titolo del Salvatore, un rho che si intersecava
esattamente nel mezzo di un chi; in seguito, l’imperatore prese l’abitudine
Società editrice il Mulino,
zione con la Bologna
116
Sulla questione della storicità del sogno fatale di Costantino, della sua rela-
precedente epifania onirica di Apollo presso Grand, infine con il rap-
porto delle opere di Eusebio con la sua notizia, non presente nell’Historia Ecclesiastica,
quindi appresa direttamente dalle parole dell’imperatore soltanto dopo il 324, trovo
condivisibili il bilancio e le considerazioni avanzati da l. canEtti, «Commonitus in
quiete». La visione di Costantino tra oracoli e incubazione, in J. vilElla masana (a cura di),
Constantino, ¿el primer emperador cristiano? Religió y política en el siglo IV, Barcelona, Publi-
cacions i Edicions de la Universitat de Barcelona, 2015, pp. 71-88.
100 gaetano lettieri

di portare queste due lettere incise sull’elmo. Sul braccio trasversale, che
stava confitto nell’asta, era appeso un tessuto: un drappo regale ricoperto
di una varietà di pietre preziose saldate insieme che emanavano bagliori
di luce, riccamente intessuto d’oro, che offriva agli sguardi uno spetta-
colo di indicibile bellezza [
] […] L’asta verticale riportava sotto il trofeo della croce l’im-
magine dell’imperatore caro a Dio, riprodotta in oro [
] accanto a quella dei suoi figli […] L’imperatore
fece sempre ricorso a questo segno salvifico come baluardo contro ogni
forza avversa e nemica [
] e ordinò che copie di esso fosse-
ro messe alla testa di tutti i suoi eserciti [
]117.

Si assiste alla prima, fondante topologizzazione pubblica (seppu-


re, nella sua scaturigine archetipica, secretata nei recessi del palazzo
come vero e proprio arcanum imperii) di un’immagine cristiana religio-
samente celebrata, sulla quale è inscritto lo stesso ritratto dell’impe-
ratore e della sua discendenza regale. Il manufatto d’oro e di gemme
è la presentificazione «magico/sacrale» del potere divino, è immagine
capace di «catturare» il miracolo, dal quale discende il carisma del po-
tere imperiale. Questo è in essa visibilmente inscritto, da essa me-
diato e garantito118, prolungato nella successione dinastica. «La croce
vittoriosa [ ]»119 si rivela, pertanto, segno sacro/
santo massimamente ambiguo: l’immagine simbolica del nuovo po-
tere monarchico cristiano toglie in sé, ritratta e vela la memoria del
supplizio infamante (per Paolo luogo atopico della fine della Legge e
del Tempio). Chiasma visibile tra i due poteri assoluti, essa è replicata
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Eus.,Società
117
editrice
v.C. I 28,1-31,3, trad. di l. FRanco il Mulino,
, cit., pp. 119-123.
Cfr. Eus., l.C. 9,8-12, trad. di m. a
118
mERisE (a cura di), Eusebio di Cesarea. Elogio

«A gran voceBologna
di Costantino, Discorso per il trentennale. Discorso regale, Milano, Paoline, 2005, p. 154:
e con stele, mostrò a tutti gli uomini il segno datore di vittoria [
], innalzando nel centro della città regale [Roma]
questo grande trofeo su tutti i nemici, segno immutabile, senza dubbio, e salvifico
dell’Impero romano e protettore del potere universale [

]», 9,8.
119
Eus., v.C. I 41,1.
tempus destruendi et tempus aedificandi 101

in statute, immagini, monete, su armi e insegne delle legioni imperia-


li120: è amuleto, arma di guerra, topos glorioso della divina benedizio-
ne dell’Impero convertito. La storia diviene una liturgia immanente,
il mondo è convertito in spazio teofanico universale, corpo/tempio,
che l’immagine impugnata ed esaltata dall’imperatore trionfante121,
nuovo Mosè (cfr. Nm 4,8-9), riconcilia con l’eterna signoria del Padre
e del suo Logos.
Proprio per la sua capacità di edificare la nuova civitas cultuale
cristiana, Costantino è apertamente restituito come messianica im-
magine vivente di Cristo: salvatore, medico delle anime, pacificatore,
eversore dei templi idolatri, egli libera dall’errore, fa trionfare univer-
salmente la vera religione122. Con una potentissima immagine di mo-
narchia teologico-politica, Eusebio proclama apertamente Costantino

120
Cfr. Eus., v.C. IV 21, trad. di FRanco, cit., p. 367: «Ora sulle armi stesse fece
imprimere il simbolo del trofeo salvifico e non fece più scortare l’esercito in armi
dai simulacri aurei degli dèi, come si usava in passato, ma unicamente dal trofeo
salvifico».
121
Cfr. Eus., h.e. X 9,10-11.
122
«L’errore di quei presuntuosi era grande anche riguardo al demone della
Cilicia e in migliaia erano irretiti da esso, nella convinzione che fosse un salvatore e
un medico […] mentre era, al contrario, un distruttore di anime, che trascinava via
dal vero Dio e attirava nell’errore del paganesimo quanti erano propensi a farsi trarre
in inganno. Costantino prese la risoluzione migliore e, facendosi forte del “Dio ge-
loso” quale autentico Salvatore, ordinò che anche quel tempio [di Asclepio ad Aigai,
in Cilicia] fosse distrutto sin dalle fondamenta», Eus., v.C. III 56,1. In riferimento

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alle scissioni e alle agitazioni della chiesa di Antiochia, Eusebio sottolinea il provvi-
denziale ruolo di pacificatore di Costantino, riconoscendolo proprio come salvatore
e medico delle anime, quindi con quegli epiteti che erano stati negati ad Asclepio
Società editrice il Mulino,
poche pagine sopra: «Ancora una volta l’imperatore, con la pazienza di un salvatore
e medico delle anime, offrì agli ammalati la cura mediante le sue parole», Eus., v.C.
Bologna
III 59,3. Cfr. u. GottER, Rechtgläubige-Pagane-Häretiker. Tempelzerstörungen in der Kirchen-
geschichtsschreibung und das Bild der christlichen Kaiser, in J. hahn, s. EmmEl, u. GottER
(a cura di), From Temple to Church. Destruction and Renewal of Local Cultic Topography
un Late Antiquity, Leiden-Boston, Brill, 2008, pp. 43-89, in partic. pp. 48-49; P.w.l.
walKER, Holy City, Holy Places? Christian Attitudes to Jerusalem and the Holy Land in the
Fourth Century, Oxford, Oxford University Press, 1990, pp. 93-120; R. wilKEn, The
Land Called Holy. Palestine in Christian History and Thought, New Haven, Yale University
Press, 1992, pp. 93-100.
102 gaetano lettieri

«l’unico imperatore dell’Uno, immagine dell’unico Re di tutto [


, ]»123.
L’imperatore è la provvidenziale, pacifica riunificazione del luo-
go cosmico-storico, riassunto nel monarchico dominio universale di
Roma, con l’assoluta monarchia teologica:
Costantino […] ricostituì, come in passato, un unico Impero romano
[ ], portan-
do sotto la sua pace la terra intera […] Tutto era pieno di luce [
]124.

123
Eus., l.C. 7,12, trad. di m. amERisE (a cura di), Eusebio di Cesarea. Elogio di
Costantino, cit., p. 145; cfr. 2 e 4,2-4, su Costantino come imago Dei imitatrice del
Logos. cfr. h.e. X 7,1. Sulla portata messianica del Costantino eusebiano, cfr. h.
BERKhoF, Die Theologie des Eusebius von Caesarea, Amsterdam, Uitgeversmaatschappij
Holland, 1939, pp. 58-60. «This language of a restored and resplendent city with a
new temple in her midst drew upon the biblical prophets of Jewish restoration, as
Eusebius intended. For the restored Jerusalem cohered theologically and politically
with Eusebius’ presentation of Constantine himself, the first Christian emperor
and thus, as God’s chosen one, a non apocalyptic messiah. Isaiah’s praises of the
eschatological peace divinely established at the end of days thus transmute in
Eusebius’ rhetoric to descriptions of Constantine’s government: the Kingdom of
God had arrived on earth in the form of the Pax Romana Christiana», P. FREdRiKsEn,
The Holy City in Christian Thought, in n. RosovsKY (a cura di), City of the Great King.
Jerusalem from David to Present, Cambridge-London, Harvard University Press, 1996,
pp. 74-92 e pp. 479-483, in partic. p. 85.
124
Eus., h.e. X 9,6-7. «Tutti i territori che si trovavano sottoposti a Roma venne-
ro riuniti: i popoli dell’oriente divennero una sola cosa con quelli della parte occiden-

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tale e sotto un’unica autorità comune a tutti, l’intero corpo dello Stato fu regolato dal
potere monarchico, che giungeva ovunque, come da una testa [
]; i raggi
Società editrice il Mulino,
splendidi della luce della fede dispensavano giorni luminosi a coloro che prima gia-
cevano nella tenebra e nell’ombra della morte […] Splendido nell’integrità della sua
Bologna
fede, l’imperatore vittorioso […] accentrò sotto di sé un’unica autorità, salda come ai
tempi dell’antica Roma e iniziò ad annunziare a tutti il regno di Dio, governando egli
stesso con il potere assoluto della signoria di Roma ogni aspetto della vita», v.C. II
19,1-3, trad. di FRanco, cit., p. 183 e 185. Così, in III 1,8, Eusebio pare ricorrere per-
sino a una parafrasi di alcuni passi del Prologo giovanneo, per esaltare la liberazione
del mondo dalla tenebra dei persecutori attraverso l’eletto di Dio che fa irrompere
la luce e la vita: «si potrebbe affermare, a ragione, che proprio in quell’epoca si sia
mostrata finalmente una vita nuova e rigogliosa [ ],
tempus destruendi et tempus aedificandi 103

Gerusalemme e Roma possono, allora, incontrarsi e sovrapporsi:


Eusebio indica l’Impero romano cristiano con evidenti caratteri mil-
lenaristici (sicché il trionfo universale romano finisce per coincidere
con quello messianico giudaico), come governo finalmente teofanico
di Dio sul mondo e gli eletti, affidato all’uomo di Dio, Costantino,
ipostasi apocalittica125, quasi nuova Sapienza incarnata126, ubiqua nel
suo risplendere, rispetto al quale Eusebio confessa «apofaticamente»
che le sue parole di lode
si arrestano senza trovare via di uscita […], senza sapere in che direzione
procedere, come colpite da uno stupore assoluto, di fronte a uno spettacolo
sbalorditivo [ ’
]. Infatti, ovunque essi si rivolgano a
scrutare con attenzione, a oriente come a occidente, su tutta la terra o verso
il cielo stesso, dappertutto e in ogni luogo, scorgono presente in tutto l’Im-

poiché una luce stupefacente, sorta da una densa tenebra, illuminò il genere umano
[ ] e si dovrebbe
ammettere che fu tutta opera di Dio [ ], il quale contrappose
come antagonista l’imperatore a sé caro alle orde degli infedeli», trad. di FRanco,
cit., p. 247. Cfr. h.e. X 8,19: Costantino eletto da Dio porta, con il braccio levato, la
luce salvifica nelle tenebre del mondo, nel quale infuriavano le persecuzioni anticri-
stiane. Per un’iperbolica analogia tra Costantino e il sole, cfr. Eus., l.C. 3,4. Rilevanti
e persuasivi, in proposito, i saggi di i. tantillo, Attributi solari della figura imperiale in
Eusebio di Cesarea, in «Mediterraneo antico», 6 (2003), pp. 41-59; e più in generale,
id., L’Impero della luce. Riflessioni su Costantino e il sole, in «Mélanges d’Archéologie et
d’Histoire de l’École Française de Rome. Antiquité», 115 (2003), pp. 985-1048, ove si

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afferma la convinta conversione di Costantino a Cristo, almeno dal 315, quindi la sua
precoce riconfigurazione cristiana del simbolo solare: cfr. pp. 1045-1048. Sono an-
cora importanti le osservazioni di n.h. BaYnEs, Constantine the Great and the Christian
125
Società editrice il Mulino,
Church, London, Oxford University Press, 1931, II ed. 1972, pp. 96-103.
«Dio stesso, già molto prima dei nostri discorsi, “non attraverso gli uomini
Bologna
né da uomo” [cfr. Gal 1,1], ma attraverso il comune Salvatore e la sua visione divina
a te spesso rivelata [ ], ti ha
svelato e manifestato ciò che era nascosto del sacro [
]», Eus., l.C. 11,1, trad. di amERisE (a cura di), Eusebio di Cesarea.
Elogio di Costantino, cit., p. 166.
126
«L’anima del sovrano possiede la sapienza di ciò che concerne il divino
e di ciò che concerne l’umano [
]», Eus., l.C. Prologo, 3, trad. di amERisE, cit., pp. 102-103).
104 gaetano lettieri

pero quel sovrano benedetto. Egli vede i propri figli propagare i suoi raggi
su tutta la terra, quali giovani fiaccole, e vede se stesso ancora vivo e nel pie-
no della sua potenza governare la vita dei sudditi (
), anche meglio che in passato, qua-
si che avesse moltiplicato la sua presenza attraverso la successione dei figli
[ ]127.

Non a caso, Costantino è riconosciuto da Eusebio come il nuovo


capo della chiesa, che convoca, poi presiede i concili e definisce il dogma
universale. A Nicea (325) e Gerusalemme (335), Eusebio riconosce a
Costantino il possesso, eminentemente teologico-politico ed ecclesial-
mente egemonico, della «virtù divina ( )»128. Costanti-
no è il caput teologico-politico di governo, il creatore della pace religiosa
universale129. Egli mette fuori luogo gli eretici130, garantendo al contrario
la chiesa come unica patria, luogo sicuro di abitazione, identificazio-
ne monoteistica tra universale corpo comune e Impero romano131,

127
Eus., v.C. I 1,2-3, trad. di FRanco, cit., pp. 79 e 81. Sul carisma immortale
della potenza imperiale del morto/vivo Costantino, trinitariamente moltiplicata nella
successione dei suoi figli, Eusebio concluderà, come vedremo infra, l’opera.
128
Eus., v.C. IV 47-48.
129
Il III libro della v.C. si chiude con l’esaltazione dell’attività antieretica dell’im-
peratore, tramite: a) la citazione di una lettera costantiniana ad Antiochia volta a
compattare i dissidi teologici (cfr. III 60,1-9); b) una lettera nel quale si loda Eusebio,
approvandone il suo rigoroso attenersi alla dottrina ecclesiastica e alla tradizione
apostolica (cfr. III 61,1-3); c) una lettera alcuni vescovi riuniti ad Antiochia, con la
quale si danno indicazioni per la soluzione della crisi che aveva lacerato la chiesa

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antiochena (cfr. III 62,1-3); infine d) la citazione del Decreto contro gli eretici di
Costantino (325 ca.), garante dell’unità della chiesa universale e del trionfo dell’orto-
dossia (cfr. III 64,1-65,3). Commenta Eusebio: «per ordine dell’imperatore furono
Società editrice il Mulino,
annientate le cospirazioni degli eterodossi e venivano anche cacciate via le belve che
avevano dato inizio all’empietà di costoro […] ora che in nessun luogo della terra
[
Bologna
] sopravviveva più alcuna setta di eretici e scismatici. Il merito di que-
sto grandioso successo va ascritto all’unico imperatore caro a Dio, tra quanti vissero
in ogni tempo, e a egli soltanto», III 66,1 e 3, trad. di FRanco, cit., pp. 343 e 345.
130
Il decreto contro gli eretici di Costantino si chiude con la messa al bando de-
gli empi: «da oggi stesso, la vostra confraternita non osi più darsi convegno in nessun
luogo né pubblico né privato [ ]», Eus.,
v.C. III 65,3, trad. di FRanco, cit., pp. 341 e 343.
131
Ineludibile, in proposito, il confronto con la celebre tesi di E. PEtERson, Der
tempus destruendi et tempus aedificandi 105

topos cultuale132, che rivela l’ubiqua gloria di Dio che governa il mondo
tramite il suo sovrano eletto (in che rapporto, ormai, con Cristo, Re
kenotico?). Il suo definirsi «vescovo di quanti si trovano all’esterno
[ ]»133 ne esalta il ruolo ubiquo, la partecipazione
(egemone!) al collegio dei vescovi e la proiezione universale e prov-
videnziale del suo potere assoluto. Pensare, al contrario, che Costan-
tino si piegasse a riconoscere il superiore carisma dei vescovi e ad
essi, in qualche modo, si sottomettesse significa, a mio parere, frain-
tendere completamente la realtà storica della rivoluzione teologico-
politica costantiniana. Costantino vive un rapporto diretto con Dio,
di tipo carismatico e teofanico (la croce ne è il segno miracoloso),
senza ricorrere a mediazioni ecclesiastiche. Né ha senso fondarsi sulla
definizione eusebiana di Costantino come «servo di Dio», in quanto
quest’epiteto cristologico presuppone l’immediata esaltazione divina:
Costantino, come un servitore buono e fedele, fece e annunciò proprio
questo, dichiarandosi subito schiavo [ ] e definendosi servo del Si-
gnore di tutto l’universo [ ],
e Dio, ricompensandolo immediatamente, lo rese signore, padrone e vinci-
tore [ ’

Monotheismus als politisches Problem. Ein Beitrag zur Geschichte der politischen Theologie im
Imperium Romanum, Leipzig, Hegner, 1935, trad. it. Il monoteismo come problema politico,
Brescia, Queriniana, 1983: l’Impero costantiniano-eusebiano sarebbe suprema rea-
lizzazione dell’equivoco teologico-politico monoteistico, confutato dall’irriducibile
dimensione escatologica del regno e dal mistero della Trinità, segreto relazionale del

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paradossale, atopico monoteismo cristiano, politicamente non analogabile/perver-
tibile.
132
«Gli eretici in buona fede e gli scismatici, riammessi nell’unica chiesa univer-

un esilio [
Società editrice il Mulino,
sale grazie al potere grazioso di Costantino, a frotte, come se fossero di ritorno da
], riguadagnavano la loro patria [ ]e
Bologna
riconoscevano la loro madre, la chiesa, lontano dalla quale avevano errato per lungo
tempo e facevano ritorno a essa con gioia e letizia e le membra del corpo comune [
] si ricongiungevano e si riunivano in un’unica armonia
e un’unica chiesa cattolica risplendeva della propria coesione [
]», Eus., v.C. III 66,3, trad.
di FRanco, cit., pp. 343 e 345. Impressionante la riattivazione costantiniana della
metaforologia paolina del corpo/tempio pneumatico di Cristo.
133
Cfr. Eus., v.C. IV 24.
106 gaetano lettieri

]: egli soltanto imbattibile e invincibile tra tutti gli imperatori di ogni


epoca134.

Inevitabilmente, il nuovo, messianico, personale topos teologico-


politico determina la definizione del dogmatico topos onto-teologico
(la Trinità rivelata è pensata come eterna ousia!) della «cristianità», che
segnerà e per certi aspetto ancora segna la storia e la cultura dell’Oc-
cidente.

6. Ricostruire il Tempio di Dio: la liturgia cristologico-imperiale in Eusebio di


Cesarea

I cristiani dei primi tre secoli erano uomini: ovviamente si muo-


vevano nello spazio e non potevano che vivere la loro fede in luoghi
privilegiati, aule di chiese domestiche prima, quindi edifici privati,
comunque socialmente identificabili come spazi di preghiera cristia-
ni, per questo in alcuni casi distrutti durante le persecuzioni tetrar-
chiche, invece ricostruiti/abbelliti da Costantino135. Così, i cristiani
identificavano e utilizzavano oggetti di culto, manufatti creduti come
dotati di un «potere» e di una «dignità» sacrale/santa. Pertanto, la
svolta costantiniana non ha ovviamente creato dal nulla luoghi e og-
getti di culto cristiani136, senza i quali essi non avrebbero potuto rap-

134
Eus., v.C. I 6, trad. di FRanco, cit., pp. 85 e 87.

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135
Cfr. Eus., v.C. III 1,4.
136
Ritengo pertanto fondata quest’affermazione di canEtti, Impronte di gloria,
cit., p. 75: «Se non si deve sottovalutare l’impatto della svolta costantiniana per com-
Società editrice il Mulino,
prendere la genesi e gli sviluppi dello spazio sacro cristiano, quella svolta andrà intesa
nel senso che il nuovo statuto pubblico del cristianesimo favorì indirettamente la li-
Bologna
berazione e la manifestazione dilagante di attitudini ed energie già presenti e radicate
anche tra i cristiani […] I diuturni riferimenti scritturali e apologetici al culto spiritua-
le e all’assenza di luoghi e di immagini di culto vanno intesi certamente come espres-
sione di una rivoluzione teologica di portata storica incalcolabile; ma non possono
leggersi come documento diretto di un nuovo e diffuso orizzonte politico e culturale
condiviso da tutti i credenti. Inoltre, non si dovrebbe mai trascurare il fatto che l’ide-
ale di una società e di una religione prive di immagini ha sempre rappresentato nella
storia di Europa, fin dall’età pre-classica, e in special modo nella cultura giudaica, un
tempus destruendi et tempus aedificandi 107

presentare, mediare, partecipare, insomma vivere la loro religione.


Eppure essa ha «inventato» una modalità del tutto inedita del culto
cristiano, modalità in parte mimetica dello stesso sistema religioso
pagano, tolto, ritrattato in quello cristiano-romano, sintesi dialettica di
due sistemi religiosi rivali, incompatibili, eppure mediati nel segno
dell’assolutismo imperiale. Questa mediazione ha reso possibile la
risignificazione pubblica, pubblicamente religiosa di quelli che erano
ambiti ed elementi privati, comunque rischiosamente marginali e del
tutto privi di un ruolo civile. L’esempio religioso veterotestamentario
ha, in tal senso, fornito un modello di riconfigurazione monoteistica
dello spazio sacrale pubblico, seppure la disseminazione delle co-
munità carismatiche prima, delle chiese istituzionali poi, ha favorito
la disseminazione dell’unico Tempio di Gerusalemme nella pluralità
dei nuovi templi cristiani, nei quali la presenza teofanica dell’eucare-
stia, così come le reliquie viventi dei martiri, frammenti dell’immo-
lato corpo di Cristo137, troveranno ubiquo, pubblico riconoscimento
sacrale. Il luogo sacro/santo cristiano, pertanto, può configurarsi
unicamente come un memoriale, la templarizzazione di un dono sa-
crificale che inaugura una storia di sequela e di attesa, quindi una
cristologica dialettica temporale di passato/futuro, morte/resurre-
zione, che inevitabilmente storicizza, inquieta e persino relativizza
la templarizzazione del luogo, aperto su un altrove che ancora deve
compiere la sua definitiva irruzione salvifica138.

“confortevole mito” teso a inficiare il valore mediatico delle immagini materiali di-

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sinnescandone la persistente efficacia teologico-politica attraverso il racconto di una
fase originaria puramente spirituale del culto divino». L’espressione «confortevole
mito [comfortable myth]» è tratta da d. FREEdBERG, The Power of Images. Studies in
Società editrice il Mulino,
the History and Theory of Response, Chicago University Press, Chicago-London, 1989,
trad. it. Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino,
137 Bologna
Einaudi, 1993, p. 92.
Cfr. il notevole volume di l. canEtti, Frammenti di eternità. Corpi e reliquie tra
Antichità e Medioevo, Roma, Viella, 2002.
138
Sulla sacralizzazione/santificazione cristiana degli spazi come operazione
eminentemente storica, dipendente da una presa di coscienza del proprio passa-
to fondativo, quindi da un atto spirituale di riconoscimento memoriale, cfr. R.a.
maRKus, How on Earth Could Places Become Holy? Origins of the Christian Idea of Holy
Places, in «Journal of Early Christian Studies», 2 (1994), pp. 257-271, in partic. pp.
108 gaetano lettieri

Per quanto non sistematico139, l’atto imperiale di distruzione/to-


glimento dei templi pagani140 e di riconsacrazione/riedificazione dei

269-271; di fatto, è la memoria del martirio, inscritto nell’evento salvifico della morte
redentiva di Cristo, a rendere possibile la santificazione di un luogo fisico: «A sense
of sacred space, and of a sacred Christian topography, was, however, a late arrival
on the Christian scene, and one in large measure produced by the enhanced sense of
the past, and the need to experience it as present», p. 271.
139
Con questo non s’intende certo misconoscere la portata notevole dell’ampli-
ficazione ideologica e agiografica, già eusebiana, dell’attività edificatoria di Costan-
tino. Cfr. il prezioso lavoro storico-documentario condotto da v. aiEllo, Edilizia
religiosa e finanziamento imperiale al tempo dei Costantinidi, in «Cristianesimo nella storia»,
33, 2 (2012), pp. 425-448; e id., Costantino, il vescovo di Roma e lo spazio del sacro, in G.
BonamEntE, n. lEnsKi, R. lizzi tEsta (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino/
Constantine Before and After Constantine, Bari, Edipuglia, 2012, pp. 181-208: l’attribu-
zione a Costantino di un’imponente attività di (ri)edificazione templare cristiana, in-
terpretata come elemento rilevante del precoce mito di Costantino come imperatore
cristiano, è criticamente ridimensionata (soprattutto a Roma), seppure riconosciuta
come rilevantissima a Gerusalemme.
140
Cfr. Eus., v.C. III 54,1-58,2. Sull’incapacità dei falsi dèi pagani di prevedere
la distruzione dei loro culti, dei loro templi e degli idoli, realizzatasi con l’avvento
del «nuovo culto» e del «regno sacro e pietoso [ ]»
di Costantino, cfr. l.C. 9,2-6, in partic. 5. Costantino è quindi lo strumento provvi-
denziale di Cristo stesso, che, suo tramite, «subito innalzò trofei di vittoria dapper-
tutto sulla terra, ornando tutto il mondo [ ] con templi
santi [ ] e venerabili case di preghiera [
], dedicando a Dio re di tutto e Signore di tutte le cose, in ogni città e
in ogni villaggio e in tutte le regioni, anche in quelle deserte dei barbari, costruzioni

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sante [ ]; queste costruzioni sono state degne di avere il nome del
Signore e infatti sono chiamate kuriakoi [ ], in quanto non hanno ricevuto
il nome dagli uomini [ ]. E dunque chi
Società editrice il Mulino,
vuole venga a imparare: dopo questa grande distruzione e rovina, ha di nuovo in-
nalzato le costruzioni dalle fondamenta fino alla cima e ha reso ciò che era privo
Bologna
di speranza degno di una seconda rinascita, molto più potente della precedente [

]», Eus., l.C. 17,4-5, trad. di amERisE, cit., p. 221. Sull’abbandono ge-
nerale dei templi pagani, certo entusiasticamente esagerato da Eusebio, cfr. v.C. III
57,1. Cfr. G. FiloRamo, La croce e il potere, cit., par. La politica edilizia di Costantino,
pp. 121-127; e soprattutto s. EmmEl, u. GottER, J. hahn, «From Temple to Church»:
Analysing a Late Antique Phenomenon of Transformation, in hahn, EmmEl, GottER (a
cura di), From Temple to Church, cit., pp. 1-22; mi limito qui a una rilevante afferma-
tempus destruendi et tempus aedificandi 109

nuovi templi cristiani è allora di epocale, rivoluzionaria portata teolo-


gico-politica, anche perché fondato sul rovesciamento della persecu-
zione in liberazione141.
Tutti gli uomini furono liberati dall’oppressione dei tiranni […] Ma vi
fu una gioia indicibile soprattutto per noi, che avevamo riposto le speranze
nel Cristo di Dio, e una divina letizia fiorì in tutti, perché vedevamo che
tutti i luoghi [ ] poco prima distrutti dall’empietà dei tiranni co-
minciavano a rivivere come dopo una lunga devastazione mortale e i templi
si ergevano di nuovo dalle fondamenta fino ad un’altezza immensa [
] ed assumevano uno
splendore molto più grande di quelli un tempo distrutti142.

L’iperbole architettonica intende sottolineare come l’intervento


di edificazione costantiniano non sia affatto meramente restaurativo,
estetico, o quantitativo (la trasformazione di tradizionali luoghi di me-
moria e culto in tempio), bensì evidente salto qualitativo, non soltanto
simbolico, ma giuridico: atto di riconoscimento religioso imperiale, rivo-
luzionaria celebrazione pubblica di una vera e propria re-

zione, che certo non esclude la straordinaria portata simbolica delle poche distru-
zioni di templi pagani, finalizzate alla costruzione di nuovi templi cristiani (si pensi
alla basilica del Santo Sepolcro) intraprese da Costantino: «Many things point to
a conclusion that the mere fact that a temple was reused as a church most often
represents a much less spectacular phenomenon – and perhaps also can document
religious transformation only to a much more modest extent – than is often assu-
med», p. 13.

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141
In tal senso, le tesi da me proposte non sono affatto originali, anzi potrei
definirle tradizionaliste. Nella sostanza, ritengo pertanto ancora del tutto fondato il
classico studio di l. völKl, Die konstantinischen Kirchenbauten nach Eusebius, in «Rivista
Società editrice il Mulino,
di archeologia cristiana», 29 (1953), pp. 49-66, pp. 187-206. Semplice, ma efficace
la ricostruzione di J. halGREn KildE, Sacred Power, Sacred Space. An Introduction to
Bologna
Christian Architecture and Worship, Oxford, Oxford University Press, 2008, in partic. il
cap. Imperial Power in Constantinian and Byzantine Churches, pp. 39-60. Banali le pagine
dedicate al cristianesimo dei primi secoli da R.w. stumP, The Geography of Religion:
Faith, Place, and Space, Lanham-Plymouth, Rowman & Littlefield, 2008, pp. 159-165.
142
Eus., h.e. X 2,1. Si noti, comunque, la singolare relazione di continuità tra le
chiese precostantiniane, definite templi, ma soltanto in quanto socialmente identifi-
cabili come luoghi privati di culto collettivo, e le chiese postcostantiniane, in effetti
giuridicamente riconosciute e persino favorite dalla legislazione imperiale.
110 gaetano lettieri

ligiosa. La sacralità pubblica romana si unifica con la sacralità «priva-


ta» cristiana, passando attraverso la distruzione o l’abbandono (quindi
il sopravvivere come tollerato) dei luoghi sacrali pagani. Certo, le co-
munità cristiane si erano, nei primi tre secoli, disseminate a macchia
d’olio come reticolo carismatico, cultuale e istituzionale privato (e non
si dà reticolo cultuale senza struttura istituzionale, come non si dà
istituzione senza formalizzazione di ruoli, riti, spazi, atti antropologi-
camente segnati dall’uso di determinati oggetti identificativi). Questo
reticolo cultuale era precocemente divenuto capace, per la sua enti-
tà, di affiorare precocemente come identificabile, divenendo talvolta
persino rilevantissimo a livello sociale. Eppure, soltanto l’atto di rico-
noscimento imperiale lo innalza a livello di rete istituzionale pubbli-
camente riconosciuta, con l’esito di sovrapposizione tra la proiezione
universalistica carismatico-ecclesiastica e l’universalistica struttura di
potere giuridica, religiosa, istituzionale dell’Impero romano. Se non è
rivoluzione questa, non riesco a capire come, dove, quando si possa
utilizzare questo sostantivo.
Chiaramente, è di capitale rilevanza storica la lunga descrizione
eusebiana, nel III libro della Vita di Costantino, dell’attività edifica-
toria avviata da Costantino e da sua madre Elena a Gerusalemme,
quindi a Betlemme143. Tramite l’imperatore eletto, Dio ricostruisce
il suo autentico Tempio a Gerusalemme, che è però quello nuovo del
Santo Sepolcro (consacrato il 14 settembre 335), di fatto antitetico

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143
Cfr. Eus., v.C. III 25-40, la descrizione dell’edificazione della basilica del
Santo Sepolcro; cfr., in partic., in III 30-32,2, la lettera di Costantino al vescovo di
Gerusalemme, ove l’imperatore impartisce indicazioni sulla sua costruzione. Cfr.,
Società editrice il Mulino,
poi, v.C. III 41,1-43,4, ove si descrive la costruzione delle basiliche della Natività a
Betlemme e dell’Ascensione a Gerusalemme, sotto l’impulso di Elena. L’imperatore
Bologna
dedica alla memoria della madre le nuove chiese (41,2); Elena viene ricordata in
42,2,1-2, ove si descrive il suo pellegrinaggio a Gerusalemme, poco prima della mor-
te; le si attribuiscono soltanto le iniziative della costruzione della chiesa della Natività
e dell’Ascensione in 43,1-3; Elena è lungamente lodata in 43,4-47,3. Nulla è detto
dell’inventio crucis, che Gelasio di Cesarea, quindi Ambrogio, Paolino di Nola, Rufino,
Sulpicio Severo, Socrate, attribuiranno a Elena. Cfr. Y. tsaFiR, Byzantine Jerusalem: The
Configuration of a Christian City, in lEvinE (a cura di), Jerusalem, cit., pp. 133-150, in
partic. pp. 138-139.
tempus destruendi et tempus aedificandi 111

all’antico, distrutto Tempio giudaico. La grotta della resurrezione


è infatti definita con l’espressione , tradizionalmente
riferita da ebrei e dallo stesso Nuovo Testamento al Tempio: «quel
luogo santo [ ] […] che era il centro del tutto [
]» , «il luogo più meraviglioso del mondo [
144

]»145.
L’imperatore eletto avvia lo scavo perché «ispirato dallo stesso
Salvatore [ ’ ]», «colto
da ispirazione divina» . Imperatore «sognante», nuovo Salomone147,
146

Costantino è direttamente chiamato da Dio a ricostruire il nuovo,


escatologico «Santo dei santi», finalmente consacrato a Cristo, unica
legittima «presenza» di Dio in terra:
L’antro «santo dei santi» riacquistò lo stesso aspetto che aveva nel mo-
mento della resurrezione [
]148.

L’antro/immagine della suprema presenza teofanica (la resur-


rezione) è il supremo tabernacolo, il luogo visibile dell’onnipotenza
dell’Invisibile, del sacro Eccedente. Come la croce, che da segno ob-
brobrioso di atopia diviene segno teofanico mostrato «liturgicamente»
da Costantino al vescovo Eusebio149, così il santuario del sepolcro, il

144
Eus., v.C. III 30,4 e 34.
145
Eus., v.C. III 31,3, passo della lettera a Macario di Gerusalemme.

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146
Eus., v.C. III 26,1. «Gli sembrò necessario che il luogo [ ] somma-
mente benedetto della resurrezione del Salvatore a Gerusalemme apparisse a tutti
illustre e venerando. Così diede subito disposizione che vi si costruisse un luogo di
Società editrice il Mulino,
preghiera e questa idea non gli si presentò alla mente senza un ausilio divino, ma fu
ispirato dallo stesso Salvatore», Eus., v.C. III 25, trad. di FRanco, cit., p. 279. Cfr.
l.C. 17,2.
147 Bologna
Cfr. il sogno di Salomone in 1Re 3,5-15; sulla decisione della costruzione del
Tempio, preannunciata da Dio al padre Davide in 2Sam 7,12-13, cfr. 1Re 5,17-20.
148
Eus., v.C. III 28.
149
Cfr. Eus., v.C. I 28,1-31,3. In particolare: «Un giorno l’imperatore in persona,
anche perché così piacque a Dio, ci fece la concessione [ ] di porre sotto i
nostri stessi occhi questo oggetto [l’aurea croce gemmata che Costantino fa realiz-
zare a immagine dell’epifania concessagli da Dio]», 30, trad. di FRanco, cit., p. 121.
112 gaetano lettieri

centro del nuovo Tempio, diviene metafora della ricapitolazione della


storia sacra nel nuovo caput teologico-politico. Nello stesso imperato-
re, che edifica l’(anti!)apocalittica nuova Gerusalemme, pare tolta la
differenza irriducibile tra storia secolare ed eschaton, Impero cristiano
e regno di Dio, locus immanente e civitas avveniente150. La fondativa,
protocristiana traslazione spirituale del Tempio in Gesù e nel suo cul-
tuale corpo mistico è, ormai, divenuta anche materiale, spaziale, pro-
prio perché introdotta in una stuttura religiosa pubblica, quindi in un
complesso sistema di funzionamento pragmatico, politico151: la chiesa
diviene cristiano-romana.
Così, in una coerente teologia della vittoria insieme romana e
(paradossalmente!) giudaico-messianica, il trionfo del potere divino
si compie non soltanto attraverso la memoria della passione salvifica
di Cristo, ma anche attraverso l’annientamento del nemico, di quello
pagano/idolatra, come di quello giudaico (già avvenuto, eppure ora
«cristianamente» celebrato)152: doppia violenza rifondatrice, che co-
munque abbatte per riedificare una nuova identità trionfante nel seco-
lo, seppure orientata verso un’apoteosi escatologica, rispetto alla quale
comunque è certo attenuato il rapporto di scarto, salto, rottura, come
se millenaristicamente, la gloria trascendente e ultima di Dio già fosse
universalmente partecipata dalla storia e dal mondo.
La descrizione dello smantellamento del tempio di Afrodite, che
era venuto a ricoprire la grotta del sepolcro/della resurrezione153, as-
sume pertanto una portata teofanica, che pare replicare il miracolo

150
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Cfr. R. salvaRani, Costantino e la nascita dei santuari cristiani, in C. alzati, l.
vaccaRo (a cura di), Una Città tra Terra e Cielo. Gerusalemme. Le Religioni – Le Chiese,
Società editrice il Mulino,
Roma-Milano, Libreria Editrice Vaticana/Fondazione Ambrosiana Paolo VI, 2014,
pp. 123-156, in partic. pp. 133-151; e salvaRani, Il Santo Sepolcro a Gerusalemme, cit., il
151 Bologna
cap. La tradizione agiopolita e il cantiere costantiniano, pp. 23-66.
«In Jerusalem, story, ritual, and place could be one», J.z. smith, To Take Place,
cit., p. 79.
152
Sulla precoce sovrapposizione tra fondazione antipagana e fondazione anti-
giudaica della basilica del Santo Sepolcro, cfr. o. iRshai, The Jerusalem Bishopric and the
Jews in the Fourth Century: History and Eschatology, in lEvinE (a cura di), Jerusalem, cit.,
pp. 204-220, in partic. pp. 209 e 217.
153
Cfr. Eus., v.C. III 26,5-28.
tempus destruendi et tempus aedificandi 113

assoluto della resurrezione di Cristo: il riportare alla luce l’antico, san-


tissimo luogo, tramite l’annientamento della deformazione idolatrica
che l’aveva sepolto nelle tenebre, diviene metafora della resurrezione
dalla morte, persino attribuendo all’atto edificatorio di Costantino
un’efficacia conversiva, riverberazione del potere salvifico della resur-
rezione di Cristo154.
Analogamente, alla distruzione dell’idolo pagano non può non
corrispondere una riattivazione ideologicamente violenta dell’origina-
rio annuncio della distruzione carismatica del Tempio ebraico155.
Così proprio presso il sepolcro del Salvatore fu fondata la nuova Ge-
rusalemme, contrapposta a quella antica e celebrata [
, ] che, dopo la sanguina-
ria uccisione di Cristo, abbattuta fino alla rovina più estrema [ ’
], espiò la colpa dei suoi empi abitanti156.

Così, il Proemio dell’VIII libro della Demonstratio evangelica connette


sistematicamente l’avvento di Cristo alla sistematica distruzione/ever-
sione dell’economia giudaica, quindi alla realizzazione della pace uni-
versale e del governo monarchico del mondo, a imitazione dell’unico
Dio creatore, riconosciuto nel culto pubblico universale:
In antico vigevano, presso gli ebrei, tre illustri dignità, delle quali il po-
polo si gloriava: il regno, la profezia e, sopra tutti, il sommo sacerdozio.
Ebbene, le Scritture profetizzano che la loro contemporanea fine e la loro
completa distruzione sarebbero stati segni della venuta del Cristo [

copyright © 20by
154
«L’antro “santo dei santi” […] dopo essere sprofondato nelle tenebre, torna-
Società editrice il Mulino,
va di nuovo alla luce [
permetteva a coloro che vi si approssimavano di vedere chiaramente la testimonian-
]e

Bologna
za degli eventi prodigiosi che erano avvenuti in quel luogo, attestando con l’evidenza
dei fatti più che con qualsiasi parola la resurrezione del Salvatore», Eus., v.C. III 28,
trad. di FRanco, cit., p. 283, a parte l’espressione «L’antro “santo dei santi”», che è
mia traduzione letterale di .
155
Sulla necessità di «completare» la distruzione desacralizzante del Tempio
giudaico, per corrispondere alla cristianizzazione di Gerusalemme, cfr. wilKEn, The
Land Called Holy, cit., pp. 143-148.
156
Eus., v.C. III 33,1, trad. di FRanco, cit., p. 289.
114 gaetano lettieri

]. Indizi di questo evento sarebbero stati anche l’aboli-


zione [ ] del culto mosaico, la devastazione [ ] di Ge-
rusalemme e del santuario che era in essa, e infine la schiavitù [ ] di
tutto il popolo dei giudei sotto il giogo di nemici e avversari. Aggiungiamo
anche altri segni di quei medesimi tempi: la pienezza della pace [
], l’abolizione [ ] di governi locali e cittadini che da tempo
vigevano tra i popoli nelle città, il rifiuto [ ] dell’idolatria politei-
sta e demoniaca, la conoscenza religiosa [ ] dell’unico
Dio creatore dell’universo»157.

Questo significa saldare l’annuncio di fede protocristiano – che


vede nell’avvento di Gesù, nella sua morte e resurrezione, il defini-
tivo superamento universalistico dell’economia giudaica – alla logica
imperialistica romana, ideologicamente celebrata come realizzazione
della pace e della giustizia universale. L’annientamento del Tempio
di Gerusalemme e della stessa identità politica del popolo giudaico
coincide non soltanto con l’affermazione di un ubiquo culto spirituale
al quale sono chiamate tutte le genti158, ma anche con la proiezio-
ne verso il compimento della storia159, segnata dall’edificazione del

157
Eus., d.e. VIII, Proemio, 2-3.
158
Cfr. Eus., d.e. I 6,57-58; I 10,18; I 10,36-39.
159
Cfr. J. ulRich, Euseb von Caeserea und die Juden. Studien zur Rolle der Juden in der
Theologie des Eusebius von Caesarea, Berlin-New York, De Gruyter, 1999, in partic. pp.
133-153, ove si mette in rilievo come per Eusebio fare teologia sia sostanzialmente
proporre una ri/costruzione monoteistica, quindi rigorosamente unitaria della storia;
all’interno di questa prospettiva, il giudaismo non convertito a Cristo non può che

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assumere un ruolo di resto (o una «Randposition»: 124) assolutamente problematico.
La teologia della storia si prospetta, pertanto, come imperialistica reductio ad unum, in
quanto esalta la vittoria cristiana del potere assoluto e vero sul nemico assoggetta-
Società editrice il Mulino,
to e sconfitto; paradossalmente, in questa teologia della vittoria storico-economica,
che celebra il trionfo cristiano su giudaismo e paganesimo, convergono sia l’ideolo-
Bologna
gia messianico-politica giudaica del potere favorito da Dio, che quella imperalistica
romana. Cfr. a.s. JacoBs, Remains of the Jews: The Holy Land and Christian Empire in
Late Antiquity, Stanford, Calif., Stanford University Press, 2004: «What we see in
Eusebius is a new epistemic totality that strives for an absolute and comprehensive
historical vision of Christian identity and Jewish difference. Historical construction,
and totalizing absorption of difference (that is, the Jew), becomes a towering struc-
ture, almost (but non quite) too unwieldly for the Christian historian to master; the
achievement of control over this enormous history (and the others within is) thus
tempus destruendi et tempus aedificandi 115

nuovo tempio dell’universale religione cristiano-romana. Così, in VIII


2,101-126, in riferimento a Dn 9,26-27, la profetizzata distruzione
di Gerusalemme operata da un principe straniero, identificato con il
sovrano romano, viene fatta coincidere con l’insediarsi nel Tempio
dell’abominio delle desolazioni, corrispondente alla crocifissione di
Cristo e al conseguente abbandono della divina «potenza [ ],
che da molto tempo fino a quel momento aveva sorvegliato e tutelato
quel luogo: li lasciò soli», 112. Lo squarciarsi del velo del Tempio fa
fuoriuscire la presenza elettiva di Dio dal Tempio, abolendo sacrificio
e libagione, tolti paolinamente nella croce di Cristo. Ma la lacerazione
del velo del Tempio, la sua radicale secolarizzazione, quindi la sua eco-
nomica distruzione per mano dei romani coincide con la dissemina-
zione della presenza di Dio in un ordinamento di culto universale del
vero Dio, nella moltiplicazione di «capanne», cioè di luoghi di culto
cristiani, profetizzata in Zc 2,14-15 e 9,9-10, connessi con la profezia
di Zc 14,4, sopra ricordata:
Da quando proprio il nostro Signore Gesù, il Cristo di Dio, era sul
monte degli Ulivi che è posto di fronte a Gerusalemme, si è compiuta
la profezia che diceva: «E staranno saldi i suoi piedi in quel giorno sul
monte degli Ulivi di fronte a Gerusalemme» [Zc 14,4], vale a dire allor-
ché sarà stato edificato un ordinamento religioso in tutta la terra abitata
dagli uomini [ ’ ’
]. Da allora tutte le nazioni,
secondo la profezia, festeggiano «la festa delle capanne» in ogni luogo
in onore del Dio dei profeti e gli egiziani, da allora, avendo conosciuto il
Dio dell’universo, hanno costruito le loro capanne in ogni città e regione.
Queste sono le chiese del Cristo che si trovano nei vari luoghi [
copyright © 20by ]. Queste, molto più nobili delle capanne
di cui si parla nel libro di Mosè, sono state costruite dalla potenza del Sal-
Società editrice il Mulino,
Bologna
demonstrates Christian cognitive control in a grand sense. The objects of historical
reconstruction become the objects of Christian imperial knowledge and control»,
pp. 28-29. Più in generale, nella Gerusalemme cristianizzata, «the Jewish “other” was
at once expelled and internalized, erased and appropriated, the signifier of Christian
difference that could never be totally eradicated but must always leave traces for the
imperial Christian to master […] Complex phenomenon of erasure and appropria-
tion», pp. 142-143. Cfr. il cap. «This Exalted City»: Christian Jerusalem and Its Jews,
pp. 139-198.
116 gaetano lettieri

vatore nostro Gesù Cristo in tutta la terra abitata, per dare la possibilità a
ogni stirpe umana e a tutte le nazioni di celebrare la festa delle capanne in
onore del Dio dell’universo160.

E che le capanne siano da interpretare non soltanto come comu-


nità dei credenti, ma anche come visibili uffici di culto, è confermato
dalla prosecuzione del testo. Infatti, se, con Is 19,1-3 e 19,19-21, Eu-
sebio sottolinea come ancora persistano nell’Egitto del mondo paga-
no culti idolatrici, che resistono all’inarrestabile diffondersi del culto
del vero Dio, subito egli precisa che «altri hanno costruito in tutta la
terra d’Egitto un altare [ ] in ogni chiesa al Signore dei
profeti», sicché «quanto non è ancora compiuto, si sta tuttavia già
realizzando»161.
Rivelativa, in proposito, una lunga sezione del VI libro della Demon-
stratio evangelica, che commenta Zc 14,1-10a162, ove si afferma che «la
distruzione e la desolazione [ ] di Gerusalemme»163
corrispondono all’abbattimento del muro elettivo che circondava la vi-
gna di Israele164, rivelatasi infruttuosa, quindi alla diffusione dell’oliveto
della chiesa del Signore tra le genti. Questo passaggio dell’alleanza divi-
na da Israele alle genti è rappresentata dalla localizzazione della grotta
della passione, appunto situata sul Monte degli Ulivi, cioè in un luogo
esterno e fisicamente contrapposto alla città di Gerusalemme. Questa
grotta, ove Eusebio indica come visibili le autentiche orme dei piedi di
Gesù sofferente all’inizio della sua passione165, viene identificata con il
luogo della stessa Ascensione. Riconosciuta come decisivo luogo teo-

160
copyright © 20by
Eus., d.e. VIII 4,25-26.
161
Eus., d.e. VIII 5,4.
162
163
Società editrice il Mulino,
Cfr. Eus., d.e. VI 16,1-18,53, in partic. 18,18-28.
Cfr. Eus., d.e. VI 18,23.
164
Bologna
«È pertanto naturale che, essendo questa vigna infruttuosa, Dio abbia demo-
lito il suo recinto e il suo muro [
] e l’abbia consegnata ai nemici perché la distruggessero e la calpestassero [
], secondo la profezia di Isaia [cfr. Is 5,5], procurandosi,
quindi, un altro campo. Questo campo è qui chiamato oliveto, in quanto composto
di olivi che vengono da Dio ed è piantato da Cristo con piante vigorose», Eus., d.e.
VI 18,19.
165
Cfr. Eus., d.e. VI 18,23-25; cfr. canEtti, Impronte di gloria, cit., pp. 83-90.
tempus destruendi et tempus aedificandi 117

fanico già dalle comunità primitive166, questo luogo di tradizionale culto


cristiano è comunque pubblicamente celebrato dall’attività edificatrice
di Costantino, che nella grotta del Monte degli Ulivi colloca il terzo san-
tuario-chiave, nel quale si celebra la conclusione delle vicende decisive
(nascita, morte/resurrezione, passione/apoteosi) della vita di Gesù167.
La storia salvifica si compie quando la rivelazione cristica si traduce in
religione pubblica, quindi in universale teofania templare!
In questa prospettiva è da interpretare il celebre panegirico da
Eusebio riportato/dedicato a Paolino per l’edificazione della chiesa
di Tiro, prima descrizione cristiana di un luogo pubblico di culto cri-
stiano168: il testo è notevole per il suo spessore e la sua natura davve-
ro dialettica, capace di congiungere entusiasticamente riaffermazione
(neopaolina e origeniana) della dimensione carismatico/intellegibile
dell’autentico Tempio di Dio169 e lode della sua universale sensibile
manifestazione170, quindi della sua vera e propria «incarnazione» tem-

166
Cfr. s.-c. mimouni, Le judéo-christianisme ancien. Essais historiques, Paris, Édi-
tions du Cerf, 1998, pp. 347-366.
167
Cfr. Eus., v.C. III 40-41,1, trad. di FRanco, cit., p. 295: «L’imperatore fece co-
struire il santuario come testimonianza evidente [ ] della resurre-
zione del Salvatore […] Quando venne a sapere che esistevano nella zona altri luoghi
venerati dove si trovavano due grotte sacre […], attribuì gli onori adeguati all’antro
in cui il Salvatore si mostrò per la prima volta [la grotta della natività a Betlemme],
là dove egli nacque e si fece uomo, e nell’altro luogo sacro intese celebrare il ricordo
dell’ascensione al cielo che avvenne sulla cima del monte».
168
Cfr. Eus., h.e. X 4,1-72. Per un’attenta analisi del panegirico di Paolino, cfr.

copyright © 20by
K. hEidEn, Die Sakralisierung der christlichen Basilika in Eusebs Kirchenweihrede für Tyros
(h. e. 10,4), in K. hEYdEn, P. GEmEinhaRdt (a cura di), Heilige, Heiliges und Heiligkeit
in spätantiken Religionskulturen, Boston-Berlin, De Gruyter, 2012, pp. 85-110; e J.m.
Società editrice il Mulino,
schott, Eusebius’ Panegyric on the Building of Churches (HE 10.4.2-72): Aesthetics and the
Politics of Christian Architecture, in s. inowlocKi, c. zamaGni (a cura di), Reconsidering
Bologna
Eusebius. Collected Papers on Literary, Historical, and Theological Issues, Leiden-Boston,
Brill, 2011, pp. 177-198.
169
Cfr., in partic., Eus., h.e. X 4,21-22; e 55-56, ove l’intelligenza dell’uomo ad
immagine è identificato con il perfetto tempio di Dio e del suo Logos.
170
Lo splendido, nuovo tempio visibile cristiano diviene, pertanto, specchio
della stessa creazione, immagine del Tempio celeste e immateriale, origenianamente
pensato come luogo di culto puramente logico: «Tale è il grande tempio che il Ver-
bo, il grande Demiurgo dell’universo, ha costruito nel mondo intero sotto il sole,
118 gaetano lettieri

plare, resa possibile dalla svolta costantiniana, attraverso la quale Dio


si rivela come onnipotente trionfatore della storia171. Inoltre, il lungo
discorso eusebiano colpisce per l’attribuzione al vescovo, immagine di
Cristo, di quelle caratteristiche davvero teofaniche, che Eusebio rico-
nosce eminentemente a Costantino. La localizzazione della nuova pre-
senza del sacro duplica il suo monarchico rifulgere: come il mondo è
riconciliato e convertito in Costantino unico imperatore, così la chiesa
può celebrare la sua sacra liturgia visibile nella mediazione dei vescovi,
capi della comunità, nuovi sommi sacerdoti, seppure ormai dissemina-
ti in tutta l’ecumene convertita. La presenza di Dio è garantita da due
poteri ugualmente teofanici, seppure essi stessi gerarchicamente su-
bordinati. Persino all’interno della celebrazione del potere episcopale,
quando Eusebio si dedica a descrivere la redenzione universale dell’a-
nima umana peccatrice/tabernacolo di Dio caduta in preda al demo-
nio e da questi interrata172, contrae in maniera impressionante l’intera
storia del cristianesimo, facendo dipendere la sua salvezza, certo ope-
rata da Dio e dal suo Logos, dalla provvidenziale azione delle «anime
dei sommi imperatori»; come in una sineddoche teologico-imperiale,
alla perversione dei tiranni e del loro corpo storico pervertito corri-
sponde l’elezione degli imperatori eletti (Costantino e, allora, ancora

formando ancora sulla terra quest’immagine intellegibile [ ] delle volte


celesti dell’aldilà, perché il Padre suo potesse essere onorato e venerato da tutto il
creato e dagli esseri viventi e pensanti della terra [
]», Eus., h.e. X 4,69.

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171
«Ma ora non più per sentito dire, né a parole soltanto, conosciamo il braccio
sublime e la destra celeste del nostro Dio di bontà e Re sommo: nelle opere stesse
[ ], per così dire, e con gli stessi occhi [ ] vediamo che quelle

[
Società editrice il Mulino,
cose che furono anticamente affidate alla memoria sono degne di fede e veritiere
]», Eus., h.e. X 4,6.
172
Bologna
Cfr. Eus., h.e. X 4,57-58; in partic.: «Una volta caduta, quell’anima che era
stata fatta ad immagine di Dio fu devastata […] da un demonio corruttore e da belve
spirituali, che la infiammarono anche con le passioni come con dardi infuocati della
loro malvagità: “Hanno appiccato il fuoco al santuario di Dio” veramente divino
[ ], “e hanno profanato, gettandolo a terra,
il tabernacolo del suo nome [ ]” [Salmi 73,7]. Poi
seppellirono [ ] la sventurata sotto un grande cumulo di terra e le tol-
sero ogni speranza di salvezza», 58.
tempus destruendi et tempus aedificandi 119

Licinio) e del loro corpo storico redento173. Soltanto subordinatamen-


te vengono indicati i vescovi, prima «nascosti», ora finalmente «portati
all’aperto», quindi prima oggetto, soltanto secondariamente soggetto
di quel processo universale di scavo e di restituzione alla luce della na-
tura ad immagine dell’intelligenza umana, prima sommersa dalla terra
dei peccati e delle violenze perverse inflitte dagli imperatori idolatri174.
Come se la chiesa peregrina, esule attraverso il mondo e le persecuzioni,
quasi non riuscisse a trovare consistenza storica, condannata a una
precaria evanescenza sotto gli assalti periodici del potere demoniaco.
Ma Dio, finalmente, opera attraverso gli imperatori la conversione
universale del mondo, affidando infine l’intelletto/tempio della chie-
sa, apparsa in tutto il suo irradiante splendore glorioso, al governo del
vescovo, che la adorna di oro e pietre preziose, realizzando la profezia
dell’escatologica rivelazione storica della Gerusalemme celeste; ove la
costruzione della basilica di Tiro è immagine della costruzione della
religione universale, che, comunque attraverso la costituzione di ordi-
ni gerarchici proporzionati ai meriti, fa ascendere la nuova umanità/
tempio di Dio dalla storia alla trascendenza175. La storia della salvezza

173
«Ma il suo protettore, il Logos che è luce divina e Salvatore, dopo che essa
subì la giusta pena dei suoi peccati, la riaccolse di nuovo, obbedendo alla clemenenza
di un Padre che è somma bontà. Dapprima si scelse quindi le anime dei sommi im-
peratori [ ] e per mezzo loro, carissimi a Dio,
purificò [ ) il mondo intero [ ] da tutti gli uomini empi e
funesti e dai tiranni stessi, tremendi e nemici di Dio», Eus., h.e. X 4,59-60.

copyright © 20by
174
«Portò poi all’aperto [ ] gli uomini a Lui [Dio] ben noti, quelli che
da tempo gli si erano consacrati per la vita, segretamente nascosti [ ],
come in una tempesta di mali, dalla sua protezione. E per mezzo loro purificò e net-
Società editrice il Mulino,
tò ancora una volta con sarchie e zappe, cioè con gli insegnamenti penetranti delle
sue dottrine, le anime poco prima insozzate e ricoperte da ogni genere di materiale e
175 Bologna
da un cumulo di ingiunzioni empie», Eus., h.e. X 4,60.
«E dopo aver reso splendente e limpido il luogo del vostro intelletto, Egli lo
consegnò per il futuro al capo della chiesa qui presente, sommamente saggio e caro
a Dio. E questi, accorto e prudente in ogni cosa, riuscì a discernere e distinguere
l’intelletto delle anime a lui affidate; e dal primo giorno, per così dire, fino ad oggi
non ha mai cessato di edificare [ ], incastonando in voi tutti oro lucente,
argento saggiato e puro e pietre preziose di gran valore, così che di nuovo si compie
in voi con i fatti la profezia sacra e mistica [segue Is 54,11-14]», Eus., h.e. X 4,61.
120 gaetano lettieri

riproduce, pertanto, lo stesso epocale atto costantiniano di disseppel-


limento della basilica del Santo Sepolcro, di passaggio dalla rimozio-
ne del nascondimento alla luce universale della teofania, con il quale
si compie perfettamente la redenzione inaugurata dalla resurrezione
di Cristo. Il potere ecclesiastico stesso è oggetto di metamorfosi, da
nascosto a teofanico, comunque subordinato al messianico avvento
salvifico dell’imperatore amato da Dio.

7. L’apoteosi messianica di Costantino

Ma sono soprattutto i brani conclusivi della Vita Constantini a ri-


velare il culmine dell’esaltazione teologico-politica dell’imperatore,
proprio attraverso la clamorosa costruzione, oltre alle basiliche di
Nicomedia e di Antiochia, di un Tempio davvero celeste, che può
rivaleggiare con la stessa basilica del Santo Sepolcro. Mi riferisco all’e-
dificazione del meraviglioso «Tempio ( )» dei Dodici Apostoli a
Costantinopoli, nel quale Costantino colloca il suo stesso mausoleo:
Egli stesso fece innalzare l’intero tempio fino a un’altezza indicibile
[ ] e lo rese fulgido dei
più svariati tipi di pietre preziose, lo fece lastricare dal pavimento fino in
cima e ricoprì d’oro il soffitto […] La costruzione riluceva di molto oro, in
modo che, se i raggi del sole vi si riflettavano, emetteva degli scintillii alla
vista di quanti la osservavano da lontano […] L’imperatore consacrò tutti
questi edifici per perpetuare in eterno la memoria degli Apostoli del nostro
Salvatore [
copyright © 20by ]. Ma li edificò mirando a un
altro scopo, che sulle prima passò inosservato, ma alla fine risultò chiaro a
tutti. Infatti egli aveva tenuto quel luogo [ ] in serbo per
sé [ Società editrice il Mulino,
] per il momento della sua morte, provvedendo, con un impeto di
fede straordinaria, che le sue spoglie, dopo la sua dipartita, partecipassero
Bologna
del nome degli Apostoli [
], in modo tale che anche dopo la sua fine egli
potesse trarre giovamento della preghiere che lì sarebbero state pronunciate
in onore degli Apostoli. Pertanto ordinò che in quel santuario si celebrasse-
ro anche le funzioni e vi fece sistemare un altare proprio nel mezzo. Nello
stesso luogo, inoltre, dopo aver fatto innalzare dodici sarcofagi [ ], a
guisa di sacre stele in onore e memoria della schiera degli Apostoli [
], fece
tempus destruendi et tempus aedificandi 121

collocare esattamente nel centro la propria tomba [


]176.

La di Costantino, che pare davvero degna del principe di


Tiro177, si spiega con la «pia» pretesa di realizzare in terra, nella nuova
capitale cristiana del mondo ormai sottomesso al potere universale del
messianico monarca, la Gerusalemme celeste descritta in Ap 21,10-
22,5: la città collocata su un alto monte, risplendente della gloria di
Dio, rilucente d’oro e di pietre preziose, con dodici fondamenta/por-
te; al centro non vi è tempio, perché vi è il trono stesso di Cristo/Dio,
dal quale scaturisce un fiume che diffonde l’acqua viva, che è il carisma
vivificante e luminoso del potere assoluto di Dio. Malgrado Eusebio
(sottolineando come Costantino ricercasse unicamente di partecipare
del carisma redentivo emanato dalla memoria degli apostoli e dalle
preghiere loro rivolte) cercasse di attenuare lo scandalo oggettivo di
una sepoltura evidentemente «cristica» – al centro dei dodici apostoli
presenti «in immagine» –, la portata capitale della decisione dell’im-
peratore è, alla fine dell’opera, apertamente riconosciuta e celebrata:
Ancor oggi si possono vedere le spoglie di quell’anima tre volte benedet-
ta [ ], divenute partecipi della gloria del
nome degli Apostoli [ ]
ed entrate nel novero del popolo di Dio, essere degne di ricevere l’ono-
re dei culti divini e della liturgia mistica [
] e godere delle sante preghiere, sempre conti-
nuando a detenere l’autorità imperiale anche dopo la morte [
]. Così il Vincitore Massimo
Augusto continua a esercitare la sua autorità sui Romani con pieno po-
tere [ copyright © 20by , M
], proprio come fosse risorto
[
Società editrice il Mulino,
], […] in modo simile al suo Salvatore [

176
Eus.,Bologna
v.C. IV 58; e 60,1-3, trad. di F , cit., pp. 411 e 413. Cfr. P. F
Ranco Ranchi
dE’ cavaliERi, I funerali ed il sepolcro di Costantino Magno, in «Mélanges d’archéologie et
d’histoire», 35 (1915), pp. 205-261.
177
Cfr. Ez 28 – maledizione dell’empia autoesaltazione del trionfante monarca
terreno che si esalta come dio –, che sarebbe interessante leggere in tensione con
Ap 21,10-22,5, esaltazione dell’escatologica signoria assoluta di Dio e del suo agnello
sacrificale nella civitas celeste.
122 gaetano lettieri

], che come il seme del grano, moltiplicandosi da un solo


germe, con la benedizione di Dio, produsse la spiga e riempì l’intera ecu-
mene dei suoi frutti [
]. A sua somiglianza, il sovrano tre volte benedetto, da uno solo
divenne molteplice mediante la successione dei figli [

]178.

Eusebio non può qui nascondere che, incredibilmente, il fuo-


co «pentecostale» del tempio di Costantinopoli è Costantino stesso,
immagine vivente di Cristo179 e centro della divina liturgia mistica,
intorno al quale ruotano le memorie degli apostoli, ai quali pure la
basilica è dedicata. Il mausoleo accoglie il corpo dell’imperatore, che,
da poco battezzato180 e circonfuso di luce divina181, muore proprio
a mezzogiorno del giorno della Pentecoste, «l’ultimo giorno […], la

178
Eus., v.C. IV 71,2-72,1, trad. di FRanco, cit., pp. 425 e 427.
179
Non comprendo, pertanto, perché G. dRaGon, Empereur et prêtre, cit., de-
finisca l’interpretazione cristica della struttura sepolcrale di Costantino come
un’«incongruité», ibidem, p. 152. Ricordo come immagine e nomi di Costantino e di
sua madre Elena, sancti oggetti di culto, compaiono persino sulle ostie eucaristiche:
cfr. m. KauFmann, Konstantin und Helena auf einem griechischen Hostientempel, in «Oriens
Christianus», 4 (1915), pp. 85-87, cit. in E.h. KantoRowicz, The King’s Two Bodies. A
Study in Mediaeval Political Theology, Princeton, Princeton University Press, 1957, II ed.
1985, trad. it. I due corpi del re, Torino, Einaudi, 1989, p. 80. Per un riconoscimento del
ruolo storicamente fondativo, per la concezione occidentale di regalità, dell’afferma-
zione eusebiana del «governo post mortem di Costantino il Grande», cfr. ancora id., I

copyright © 20by
due corpi del re, cit., p. 420; cfr. anche l’Epilogo, pp. 487-497, in partic. pp. 494-497 con
rilevanti riferimenti a Costantino.
180
Cfr. Eus., v.C. IV 62,1-4; e il notevole volume di m. amERisE, Il battesimo
Società editrice il Mulino,
di Costantino il Grande: storia di una scomoda eredità, Stuttgart, Franz Steiner Verlag,
2005, che indaga la parallela rimozione agiografica del battesimo impartito dall’aria-
Bologna
no Eusebio di Nicomedia e la genesi della leggenda del battesimo impartito da papa
Silvestro. Su questa leggenda dall’epocale portata teologico-politica, punto fermo è
ormai il volume di t. canElla, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino
imperatore, Spoleto, CISAM, 2006.
181
«Ricevendo l’onore del sigillo divino esultò nello spirito, si rinnovò e fu col-
mato di luce divina [ ], rallegrandosi nell’anima per la stra-
ordinarietà della sua fede, colpito dall’evidenza della potenza divina», Eus., v.C. IV
62,4, trad. di FRanco, cit., p. 417.
tempus destruendi et tempus aedificandi 123

festività per eccellenza». Il nuovo unto di Dio, typos storico del Reden-
tore, vive la sua apoteosi nella festa dell’irraggiamento dello Spirito,
che compie il periodo inaugurato dall’ascensione al cielo di Cristo182.
Il divino Costantino connette terra e cielo, mondo riunificato nella
nuova fede e Trinità divina: morto già «risorto», seme che interrato
moltiplica il suo frutto, scaturigine di un immortale carisma salvifico,
(antipetersoniano!) irraggiamento trinitario dell’unica essenza del po-
tere assoluto, donato nella sua origine immanente come indiviso alla
gemmata trinità dei suoi figli (Costante, Costantino II, Costanzo II)
che ne partecipano183. La rappresentazione di questo mimeticamente
cristologico topos di mediazione non può che essere fisica: il sepolcro
dell’imperatore è il capo vivente del corpo di Costantinopoli, la nuova
Gerusalemme in terra eletta da Costantino, la città celeste «incarnata-
si» in universale, ecumenica liturgia teologico-politica, all’interno della
quale gli stessi apostoli divengono segni di pietra184.

182
Cfr. Eus., v.C. IV 64,1-2.
183
Per un’eccellente messa in questione della postulazione petersoniana di una
dottrina trinitaria nicena come garanzia antiidolatrica dell’eccedenza del Dio cristia-
no rispetto a qualsiasi possibilità di giustificare monoteisticamente un potere politico
assoluto, cfr. F. Fatti, Tra Peterson e Schmitt. Gregorio Nazianzeno e la «liquidazione di ogni
teologia politica», in G. FiloRamo (a cura di), Teologie politiche. Modelli a confronto, Brescia,
Morcelliana, 2005, pp. 61-101, ove si mostra come l’interpretazione «cappadoce» del
dogma fosse, da Gregorio Nazianzeno, immediatamente e con piena consapevolez-
za teologico-politica interpretata come fondamento per un’interpretazione analogica
di un potere imperiale condiviso (nel caso di Graziano e Teodosio): cfr. in partic. pp.

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83-100. In base a quanto sopra rilevato in riferimento a v.C. IV 71,2-72,1, il neoni-
ceno Gregorio si dimostra, in questo ambito, erede coerente del filoariano Eusebio.
184
Per un ridimensionamento della caratterizzazione cristiana di Costantino-
Società editrice il Mulino,
poli, cfr. R. PFEilschiFtER, Il Tardoantico, cit., pp. 45-46; egli comunque deve ricono-
scere la natura altamente simbolica del sepolcro di Costantino: «Costantino si fece
Bologna
seppellire in mezzo ai dodici apostoli. A entrambi i lati di Costantino si trovavano
rispettivamente sei cenotafi, in questo modo i sepolcri formavano una lunga fila con
Costantino al centro. Spiegazioni cristiane successive cercarono di giustificare tale
disposizione sostenendo che Costantino volesse soltanto prendere parte all’adora-
zione degli apostoli, che egli al limite volesse essere uguale agli apostoli. Tuttavia,
per questo fine il sarcofago di Costantino in posizione centrale emergeva in modo
eccessivo. L’interpretazione più ovvia è che Costantino si stilizzasse come uguale a
Cristo – come Gesù che insegna in mezzo agli apostoli», p. 46.
124 gaetano lettieri

La profonda fedeltà all’origeniana teologia dell’assoluta trascen-


denza immateriale ed escatologica del regno di Dio si congiunge
con l’ammirata esaltazione dell’universale presa di potere di Dio sul
mondo tramite la religione pubblica cristiana, generando quella che
possiamo definire una teologia della storia neo-millenarista. Almeno
simbolicamente, il Logos assolutamente trascendente e immateriale
torna a ritrovare il suo corpo rivelativo, la sua carne storica nel potere
assoluto convertito: in Costantino imperatore convertito, principio
di universale riordinamento cristiano del mondo e della storia uni-
versale.

8. «Decostruire» Costantino

All’altezza del IV secolo, non era possibile per la grande Chiesa,


stupefatta per la miracolosa conversione del potere imperiale, denun-
ciare come pericolosa o addirittura perversa la nuova cristianità post-
costantiniana (pure messa immediatamente in discussione dal dona-
tismo), essendo il sistema teologico-politico romano-cristiano ormai
apprezzato come irreversibile e provvidenziale: il monarca assoluto
riconosce come suo fondamento trascendente il monoteismo, di
cui la religio catholica è univoca celebrazione. Eppure, nell’ambito del-
le controversie trinitarie, viene precocemente condannata la pretesa
«cesaropapista» di suprema rappresentazione del divino e di gover-
no della Chiesa. Diviene, pertanto, comprensibile come quello stesso
Costantino, riconosciuto come persona teofanica e santo messianico,
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potesse essere fatto subito oggetto di radicale messa in discussione,
demitizzazione e persino demolizione, soprattutto in Egitto e in Oc-
Società editrice il Mulino,
cidente, a partire dalla resistenza antiariana185. Presentato come icona
storica del Salvatore, l’imperatore era divenuto troppo simile a Cristo,
Bologna
per non essere sospettato di essere un vero e proprio Anticristo, cor-
ruttore del dogma e violento autocrate, responsabile di voler catturare

Cfr. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit.; segnalo
185

anche lo studio di m. di maRco, La figura di Costantino in Occidente fra tardo antico e alto
Medioevo (s. IV ex. – VIII in.), in «Gregorianum», 95, 2 (2014), pp. 365-391.
tempus destruendi et tempus aedificandi 125

la trascendenza di Dio e la libertà del suo carisma nell’idolatrico siste-


ma di un cristianesimo ideologicamente strumentalizzato.
Vi è, in tal senso, una connessione profonda tra la novecentesca
protesta anticostantiniana di Peterson e l’interpretazione di Costan-
tino nel De civitate Dei, la cui redazione è avviata nel 412. A un secolo
esatto dalla sua inaugurazione, il novum saeculum cristiano-romano
è messo in radicale questione: persino la fondazione della nuova
capitale cristiana (Costantinopoli che toglie in sé Bisanzio), seppure
salutata come «priva» di templi pagani e adornata dei nuovi «templi»
cristiani, viene implicitamente indicata da Agostino come in qualche
modo analoga alla civitas terrena cainitica e alla Roma terrena. Come
Caino e Romolo fratricidi danno il nome del figlio o proprio alla
civitas da loro fondata nel sangue, così il monarca assoluto cristiano
Costantino (uccisore dell’empio socius Licinio, ma anche di moglie
e figlio) fonda una città dedicata «al suo nome». Costantinopoli è
indicata, ambiguamente, come Romae filia186, riecheggiando la sini-
stra definizione di «Roma velut altera Babylon et velut prioris filia
Babylonis»187. In effetti, Agostino sospetta che nella Costantinopoli
cristiana si nasconda (come nella Chiesa cattolica, d’altra parte) velut
altera Babylon, a partire dalla perversa celebrazione sacrale – pure
se tramite l’esaltazione della religione del vero Dio188 – del trionfo
mondano del suo fondatore. Molto probabilmente, Agostino so-
spetta che Costantino, di cui conosce le crudeli uccisioni dei parenti
e l’eretico battesimo ariano, sia un civis terrenus, pur definendo ge-
nericamente gli imperatori cristiani come coloro che ad regnum Dei
pertinent189. Non a caso, i due esemplari imperatori cristiani sono
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affiancati, ma come per indicare lo scarto tra natura terrena (essa
stessa dipendente dall’onnipotenza provvidenza di Dio) e grazia ce-
Società editrice il Mulino,
leste (elettivamente gratis data): Dio colma Costantino di quei doni
unicamente terreni (cfr. civ. V 25), che nel capitolo precedente sono
Bologna
186
Aug., civ. V 25.
187
Aug., civ. XVIII 22.
188
Cfr. Aug., civ. XV 7: Caino, pur sacrificando al vero Dio, lo fa con un amor
sui proprio dei cives terreni.
189
Aug., civ. V 24.
126 gaetano lettieri

stati indicati come doni che Dio concede anche agli adoratori di
demoni190: lunga durata del regno, trasmissione del trono ai figli,
vittorie sui nemici esterni e repressione dei nemici interni; e nient’al-
tro! Dell’ortodosso Teodosio, invece, Agostino celebra i celesti doni
divini di grazia191 (cfr. V 26). A differenza del grande Costantino,
il confessante Teodosio è apertamente indicato come civis coelestis,
capace di deporre, da umile penitente visitato dallo Spirito di Dio, la
gloria del suo potere ai piedi di Ambrogio192. Ed è proprio Ambro-
gio la «santa» impersonificazione dell’inversione cristiana occidenta-
le dei rapporti gerarchici tra nuova comunità carismatica (Chiesa) e
potere istituzionale terreno (Impero). Il vescovo di Milano è, infatti,
il vero creatore di quell’ambrosianesimo (piuttosto che agostinismo) po-
litico più o meno latentemente teocratico, che avrebbe caratterizza-
to dualisticamente la storia del potere e della civiltà occidentali. Al
punto che lo stesso mito, soprattutto occidentale, di Elena, madre
santa e pia (quindi figura della chiesa) dell’ambiguo imperatore, è
funzionale all’addomesticamento ecclesiastico di un potere assoluto
cristiano avvertito come evidentemente pericoloso193.

190
Cfr. Aug., civ. V 24; e XV 4-7, ove la corrispondente distinzione tra doni
terreni e doni celesti di grazia è riferita alla distinzione tra Caino, civis terrenus e pri-
mo fondatore di civitas sacrale, e Abele, civis coelestis, che non fonda città, in quanto
peregrina verso la trascendenza assoluta del regno. Si noti, in XV 7, come Agostino
insista che spesso lo stesso culto ebraico o cristiano portato al vero Dio è terreno,
in quanto interessato a beni unicamente terreni e ispirato unicamente dall’amor sui.

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191
Cfr. Aug., civ. V 26. La principale fonte biblica per la distinzione tra beni
terreni e celesti è il sogno di Salomone in 1Re 3,5-15
192
Cfr. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit., pp. 168-171;
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id., Teologia politica ed escatologia politica nel De ciuitate Dei. Il dispositivo apocalittico-paolino
matrice decostruttiva del pensiero e del politico occidentali, in ch. müllER (a cura di), Kampf
Bologna
oder Dialog? Begegnung von Kulturen im Horizont von Augustins «De ciuitate dei». Internatio-
nales Symposion, Roma 25.-29. September 2012, Würzburg, Augustinus bei echter, 2015,
pp. 387-463, in partic. il cap. Costantino «civis terrenus»? La precoce decostruzione di impe-
rum/saeculum cristiani, pp. 434-441. Prospettiva in qualche modo analoga, seppure
assai più prudente, è quella dell’interessante saggio di J.-m. salamito, Constantin vu
par Augustin. Pour une relecture de Civ. 5,25, in BonamEntE, lEnsKi, lizzi tEsta (a cura
di), Costantino prima e dopo Costantino, cit., pp. 549-562.
193
Cfr. G. lEttiERi, Omnipotentia e subiectio: una teologia trinitaria imperiale.
tempus destruendi et tempus aedificandi 127

D’altra parte, come interpretare l’emergere, in Occidente, della


figura teologico-politica rivale del pontifex maximus romano-cristiano?
Non torna la lunga ombra di Costantino a prolungarsi non soltanto
sulla nuova figura carismatica del papa universale, come sua nascosta
scaturigine romana imperialista, ma persino su una dottrina teologica
trinitaria, che pensa il Dio di Cristo come atto di potenza assoluta, sca-
turigine trascendente di ogni potere monocratico e imperiale? Coeren-
temente, Costantino potrà allora vivere, tramite i suoi eredi imperiali e
regali, le sue rivincite nei confronti dell’Occidente suo decostruttore (si
pensi alla stessa leggenda silvestrina del battesimo romano di Costan-
tino): lungo i secoli, contro il papa, l’imperatore verrà riscoperto come
potere carismatico alternativo, ormai secolarizzante, decostruttivo del-
la pretesa mono-teocratica romana e più in generale teocratica, con-
dannata come idolatrica. Ne scaturisce una storia cristiana scandita dai
conflitti tra imperatori, papi e comunità/pretese carismatiche, teatro
di costruzioni e decostruzioni cristiane ambiguamente in lotta per la
rivendicazione della localizzazione del supremo potere sacrale, comun-
que sempre relativizzato dal rapporto con la trascendenza escatologica
del regno di Cristo. Per secoli e secoli, insomma, la storia cristiana ri-
perpetuerà questo processo conflittuale di rivalità topologica, potente
o kenotica, costruttiva o decostruttiva del sacro/santo, in/fedele alla
memoria di peregrinare verso un eschaton atopico.
Nella sua ambiguità, comunque la cristianità postcostantiniana
«templarizza», sacralizza come verità pubblica – pur contraddicendo-
lo sistematicamente nell’affermazione di logiche identitarie di potere,
dominio, violenza, giudizio, intolleranza – il vangelo dell’eversione
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escatologica, della decostruzione confessiva di qualsiasi «proprietà»
religiosa, dell’avvento del dono, dell’esposizione al rischio dell’altro
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come segreto salvifico della propria identità, dell’esaltazione dell’ulti-
mo e del minore, dell’impossibile e sempre ulteriore amore del nemi-
Bologna
co come destino universale dell’umano.

Aspetti della polemica anti-ariana nel De fide di Ambrogio, in R. PassaRElla (a cura di),
Ambrogio e l’arianesimo, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni Editore, 2013,
pp. 47-78; lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit., pp. 167-168.
128 gaetano lettieri

Qualunque sia, infatti, l’influenza dell’istituzione sul dato cristiano, la


religio romana christianaque propone, come cuore del proprio messaggio, il
messaggio evangelico, che è una critica delle istituzioni, incluse quelle reli-
giose […] L’organizzazione materializzata costituita dalla religio romana chri-
stianaque ha in se stessa la propria contestazione diacritica: le forze tramite cui
essa tiene e si struttura sono le medesime che la contestano e le intimano in permanenza
di giustificarsi194.

Fino alla fine della modernità, in quale direzione la cristianità è


evoluta? La secolarizzazione crescente l’ha del tutto dissolta, ripriva-
tizzando la Chiesa? Cosa resta, nello spazio pubblico, della sua dialet-
tica di edificazione e distruzione? Ancora un surrogato in/fedele della
sua «folle» speranza estatica, un resto secolarizzato del vangelo… la
democrazia, forse195?

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194
sachot, La predicazione del Cristo, cit., pp. 193-194; cfr. G. lEttiERi, Il rom-
Società editrice il Mulino,
picapo della religione cristiana. In margine a «Il travaglio del cristianesimo», postfazione a R.
taGliaFERRi, Il travaglio del cristianesimo. Romanitas christiana, Assisi, Cittadella Editrice,
195 Bologna
2012, pp. 293-323.
Per un ancora approssimativo tentativo di riflessione sulla storia del cristia-
nesimo occidentale come paradossale processo, già in origine secolarizzante, di co-
struzione e autodecostruzione ontoteologico politica – il cristianesimo come religione
della fuoriuscita dalla religione (Gauchet) –, dal quale scaturiscono come effetto secon-
dario, anche in relazione polemica nei confronti della loro matrice cristiana, gli ideali
liberali e democratici dell’età moderna e contemporanea, cfr. lEttiERi, Un dispositivo
cristiano nell’idea di democrazia?, cit.
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Finito di stampare nell’ottobre 2016


dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino
Testi e ricerche di scienze religiose

Nuova serie

1. Giuseppe Battelli, Un pastore tra fede e ideologia. Giacomo M. Radini


Tedeschi, 1857-1914, pp. XIII-456
2. Francesca Della Salda, Obbedienza e pace. Il vescovo A.G. Roncalli tra
, pp. XIII-318
3. Massimo Toschi, Per la Chiesa e per gli uomini. Don Giovanni Rossi,
1887-1975, pp. XIII-364
4. Alberto Melloni, Innocenzo IV. La concezione e l’esperienza della cri-
stianità come regimen unius personae, pp. X-311
5. Lorenzo Milani, , a cura di G. Battelli,
pp. XVII-492
6. Giacomo Lercaro, , a cura di
A. Alberigo, pp. XI-237
7. -
tà, a cura di G. Ruggieri, pp. XXXI-281
8. Antonio Indelicato, Difendere la dottrina o annunciare l’evangelo. Il
dibattito nella Commissione centrale preparatoria del Vaticano II, pp.
XVII-346
9.
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«Con tutte le tue forze». I nodi della fede cristiana oggi. Omaggio a
Giuseppe Dossetti, a cura di A. e G. Alberigo, pp. 399
10. Società editrice il Mulino,
Alberto Melloni, Fra Istanbul, Atene e la guerra. La missione di A.G.
, pp. 325
11. Bologna
preparazione conciliare, a cura di G. Alberigo e A. Melloni, pp. 504
12. Giuseppe Dossetti, , a cura di A. Mel-
loni, pp. 420
13. Il Vaticano II fra attese e celebrazione, a cura di G. Alberigo, pp. 250
14. L’alterità. Concezioni ed esperienze nel cristianesimo contemporaneo,
a cura di A. Melloni e G. La Bella, pp. 306
15. Dietrich Bonhoeffer. La fede concreta, a cura di G. Ruggieri, pp. 156
16. Mauro Velati,
, pp. 502
17. Valeria Martano,
fra crisi della coabitazione e utopia ecumenica, pp. 548
18. Cristianesimo nella storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo, a cura
di A. Melloni, D. Menozzi, G. Ruggieri e M. Toschi, pp. 770
19. I nemici della cristianità, a cura di G. Ruggieri, pp. 234
20. L’evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II, a
cura di M.T. Fattori e A. Melloni, pp. 534
21. Riccardo Burigana, La Bibbia nel concilio. La redazione della costitu-
zione «Dei verbum» del Vaticano II, pp. 514
22. Giuseppe Dossetti. Prime prospettive e ipotesi di ricerca, a cura di G.
Alberigo, pp. 146
23. Episcopato e società tra Leone XIII e Pio X. Direttive romane ed espe-
rienze locali in Emilia-Romagna e Veneto, a cura di D. Menozzi, pp.
266
24. Giovanni Turbanti, Un concilio per il mondo moderno. La redazione
della costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Vaticano II, pp. 830
25. Giuseppe Alberigo, Dalla Laguna al Tevere. Angelo Giuseppe Roncalli
da San Marco a San Pietro, pp. 288
26. Alberto Melloni, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il concilio
, pp. 410
27.
Vaticano II, a cura di J. Doré e A. Melloni, pp. 446
28. , a cura di G.
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Alberigo, pp. 262
29. Giuseppe Dossetti, Per una «chiesa eucaristica». Rilettura della por-
Società editrice il Mulino,
tata dottrinale della Costituzione liturgica del Vaticano II. Lezioni del
, a cura di G. Alberigo e G. Ruggieri, pp. 254
30. Bologna
Giuseppe Ruggieri, Cristianesimo, chiese e vangelo, pp. 373
31. Silvia Scatena, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazio-
ne «Dignitatis humanae» sulla libertà religiosa del Vaticano II, pp. 602
32. Araldo del Vangelo. Studi sull’episcopato e sull’archivio di Giacomo
, a cura di N. Buonasorte, pp. 314
33. Martirio di pace. Memoria e storia del martirio nel XVII centenario di
Vitale e Agricola, a cura di G. Malaguti, pp. 556
34. Marcello Malpensa, Alessandro Parola, Lazzati. Una sentinella nella
, pp. 872
35. Enrico Galavotti, Processo a Papa Giovanni. La causa di canonizzazio-
, pp. 530
36. Massimo Faggioli, Il vescovo e il concilio. Modello episcopale e ag-
giornamento al Vaticano II, pp. 476
37. Nicla Buonasorte, Siri. Tradizione e Novecento, pp. 444
38. Enrico Galavotti,
, pp. 250
39. Giuseppe Dossetti: la fede e la storia. Studi nel decennale della morte,
a cura di A. Melloni, pp. 416
40. Silvia Scatena, In populo pauperum. La chiesa latinoamericana dal
, pp. 546
41. Antonino Indelicato, Il sinodo dei vescovi. La collegialità sospesa,
, pp. 402
42. Giuseppe Alberigo, Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II,
pp. 896
43. Paolo Bernardini, Un solo battesimo, una sola chiesa. Il concilio di
, pp. 524
44. Marco Ferrini,
, pp. XCI-428
45. Gianmaria Zamagni, Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genea-
logica di un concetto critico, pp. 198
46. Federico Ruozzi, Il concilio in diretta. Il Vaticano II e la televisione tra
informazione e partecipazione, pp. 566
47. Pier Cesare Bori, , pp. 166
48. copyright © 20by
Enrico Galavotti, Il professorino. Giuseppe Dossetti tra crisi del fasci-
, pp. 886
49. Società editrice il Mulino,
Roberto Osculati,
lettura, pp. 658
50. Bologna
Alberto Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana
, pp. 580
51. Riccardo Saccenti, Conservare la retta volontà. L’atto morale nelle
, pp.
248
52. Mauro Velati, Separati ma fratelli. Gli osservatori non cattolici al Vati-
, pp. 748
53. Matteo Al Kalak, Il riformatore dimenticato. Egidio Foscarari tra In-
, pp. 280

serie: FoNti e strumeNti di ricerca

1. Il concilio inedito. Fonti del Vaticano II, a cura di M. Faggioli e G.


Turbanti, pp. 166
2. -
-
setti. Inventario, a cura di M. Tancini, con la collaborazione di P. Alber-
tazzi, pp. 358
3. Antonella Cavazza, «La Chiesa è una» di A.S. Chomjakov. Edizione
documentario-interpretativa, pp. 366
4.
Catalogo, a cura di L. Fiorani, pp. 878
5. Mauro Velati, Dialogo e rinnovamento. Verbali e testi del segretaria-
to per l’unità dei cristiani nella preparazione del concilio Vaticano II
, pp. 940

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