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Indice
Sigle e abbreviazioni p. 9
Bologna
Costantino tra fede, economia e politica: privilegi fiscali, co-
struzioni sacre, di Rita Lizzi Testa 147
Bologna -
poli, di Mar Marcos 413
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Parte prima
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Tempus destruendi et tempus aedificandi.
«Distruzione» protocristiana del Tempio e ri/edificazione
costantiniana dei luoghi santi in Eusebio di Cesarea
di Gaetano Lettieri
Il rapporto con «il divino» non può che essere configurato attra-
verso una relazione antropologica con lo spazio, una localizzazione
relazionale della sua potenza: «il divino» abita in un «altrove» che è
al tempo stesso distinto da, confinante con e talvolta persino peri-
colosamente sconfinante nello spazio comune e quotidiano abitato,
attraversato, rappresentato dagli uomini. La «funzione» stessa del
religioso è quella di comunicare in qualche modo con il potere so-
vraumano, assicurando, attraverso la prossimità stabilita con esso, la
sua efficacia benefica, confinandolo, limitando o acquietando il suo
potere tremendo, terrificante, distruttivo (perché sempre il divino è
connesso alla morte e il sacro che gli è proprio al sacrificio)1, quindi
garantendo il corpo sociale/politico e sacralizzando dispositivi di
1
Cfr. E. BEnvEnistE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, vol. II, Pouvoir,
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droit, religion, Paris, Les Éditions de Minuit, 1969, trad. it. Il vocabolario delle istituzioni
indoeuropee, vol. II, Potere, diritto, religione, Torino, Einaudi, 1976, II ed. 2001, cap. Il
sacro, pp. 419-441, in partic. p. 426. A livello introduttivo, cfr. J. RiEs, L’uomo e il sacro
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nella storia dell’umanità, Milano, Jaka Book, 2007; in partic., sul sacro nella tradizione
semitica e biblica, pp. 47-80; nella religione romana, pp. 125-147; nelle comunità pro-
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tocristiane, pp. 205-223; e il notevole saggio, impegnato a ricostruire la genesi storica
delle categorie in questione, di J.n. BREmmER, «Religion», «Ritual» and the Opposition
«Sacred vs. Profane». Notes towards a Terminological «Genealogy», in F. GRaF (a cura di),
Ansichten griechischer Rituale. Geburtstags-Symposium für Walter Burkert, Stuttgart-Leipzig,
Teubner, 1998, pp. 9-32; ad es., si noti l’interessante ipotesi che colloca nella Francia
di fine ottocento l’origine della dicotomia terminologia sacro/profano, connetten-
dola con il processo di secolarizzazione che appunto operava una sempre più netta
distinzione tra Stato e Chiesa, quindi tra i due ambiti ideologici (pp. 30-31).
42 gaetano lettieri
2
Pur non condividendone le prospettive essenzialistiche, considero doveroso
segnalare m. EliadE, Traité d’histoire des religions, Paris, Payot, 1948, trad. it. Trattato di
storia delle religioni, Torino, Einaudi, 1957, cap. X, Lo spazio sacro: tempio, palazzo, «centro
del mondo», pp. 377-398; e id., Das Heilige und das Profane, Frankfurt a.M., Suhrkamp,
1957, nuova ed. fr. Le sacré et le profane, Paris, Gallimard, 1965, trad. it. Il sacro e il
profano, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, in partic. cap. I, Lo spazio e la sacralizzazione
del mondo, pp. 19-46, ove comunque generiche e storicamente approssimative sono
le notazioni dedicate al Tempio di Gerusalemme (p. 43) e alle basiliche cristiane; ad
es.: «Già dal tempo dell’antichità cristiana […] la struttura cosmologica dell’edificio
sacro persiste nella coscienza della cristianità», p. 44. Il limite fondamentale dell’a-
temporale prospettiva eliadeana, cosmologicamente configurata, sta nel non regi-
strare le trasformazioni storiche della nozione cristiana di tempio, misconoscendo il
carattere atopico, apocalittico (che desacralizza mondo, civitas, suoi ordini gerarchici)
e storico-escatologico dell’esperienza protocristiana dello «spazio» sacro/santo, tolto
nella comunità. Per un’introduzione al tema incircoscrivibile del tempio, rimando ai
saggi, dedicati a diversi contesti storico-religiosi, raccolti da F.V. tommasi (a cura di),
Tempio e persona. Dall’analogia al sacramento, Verona, Edizioni Fondazione Centro Studi
Campostrini, 2013. Per un’indagine filosofica su architettura sacra e tempio cristia-
no, in partic. nella contemporaneità, cfr. m.m. olivEtti, Il tempio simbolo cosmico. La
trasformazione dell’orizzonte del sacro nell’età della tecnica, Roma, Abete, 1967.
3
Per un tentativo di distinguere i due termini, cfr. BEnvEnistE, Potere, diritto,
religione, cit., pp. 426-429; originariamente sacrum indicherebbe lo «stato naturale» di
ciò che è proprio del divino, mentre sanctum sarebbe il risultato di un’operazione, del
lege sancire, volta a delimitare, confinare/separare il sacrum; progressivamente, questa
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distinzione tra il muro confinante del santo e il campo interno del sacro verreb-
be a cadere: sanctum finirebbe per coincidere con ciò che gode del favore divino,
qualificando il possesso di una virtù sovraumana (cfr. p. 428). Limitandoci all’am-
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bito ebraico-cristiano, doverosa sarebbe la tematizzazione dell’amplissimo spettro
concettuale e storico-religioso del termine ebraico qadoš, in quanto «l’elaborazione
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biblica del rapporto fra Dio (il “Santo”) e il luogo sacro (il “santuario”) [è] un rap-
porto dalle infinite modulazioni», F. mottolEsE, Luoghi e gradi di santità nell’epoca senza
Tempio: tratti sacerdotali nel giudaismo rabbinico, in tommasi (a cura di), Tempio e persona,
cit., pp. 199-218, in partic. p. 199; cfr. pp. 199-203. Sull’interpretazione arcaica del
«sacro» come forza ingovernabile (neanche Dio può sospenderla) e distruttiva, cfr.
ad esempio, Es 19,12-13, ove Dio presenta il Sinai, che pure diviene il monte dell’al-
leanza, come il luogo tremendo della sua presenza: «Metti dei confini intorno per il
popolo. Dirai: “Guardatevi dal salire sul monte o solo dal toccarne i lembi: chiunque
tempus destruendi et tempus aedificandi 43
toccherà la montagna, morrà. Nessuna mano deve toccarla. Deve essere ucciso con
frecce o pietre”». Rimando al commento del brano di P. sacchi, Sacro/profano impuro/
puro nella Bibbia e dintorni, Brescia, Paideia, 2007, pp. 47-48; ove si legge tra l’altro: «Il
sacro, come l’impuro, ha la capacità di passare da un corpo all’altro per contatto. Il
sacro, come l’impuro, doveva essere immaginato come un fluido in grado di invadere
i corpi che venissero a contatto con esso; era presente nello spazio divino, ma poteva
anche dilagare nello spazio umano, una volta che fosse penetrato in un corpo. Data
la pericolosità del sacro, la distruzione del corpo contaminato sembrava indispensa-
bile», p. 48; l’uccisione con frecce o pietre garantiva il non entrare in contatto con il
corpo contaminante. Sacchi mette comunque in rilievo come «col passare dei secoli
questo modo di concepire il sacro cambiò profondamente, tanto che l’unione con
Dio finì col divenire per molti il desiderio supremo», p. 36; cfr. pp. 35-37. In questa
sede, tenderò a identificare sacro/santo, e non affronterò la complessa questione
dell’ambiguo rapporto tra sacro/profano e puro/impuro (il segreto del religioso
starebbe nella loro corretta separazione: cfr. Lv 10,10; Ez 44,23), all’interno della
tradizione ebraica (che originariamente interpretava il sacro, natura di potenza mas-
simamente pericolosa e persino mortale per l’uomo, come affine all’impuro, natura
pericolosa e depotenziante!). Rimando, in prop., a J. nEusnER, The Idea of Purity in
Ancient Judaism, Leiden, Brill, 1973, in partic. pp. 139-142, ove è sottolineato il legame
tra nozione di purità e culto del Tempio santo, di cui si mettono in rilievo diverse
interpretazioni spiritualistiche ebraiche settarie, che lo risolvono nella comunità; a
J. Klawans, Impurity and Sin in Ancient Judaism, New York, Oxford University Press,
2000; e ancora all’intero volume di sacchi, Sacro/profano impuro/puro, cit., che sot-
tolinea l’evoluzione storica dei rapporti tra queste categorie-chiave della religiosità
ebraica, che comunque approda a una tendenziale identificazione dell’impuro con il
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peccato, che preclude la relazione di intimità con il sacro/santo, divenuta salvifica
e beatifica, piuttosto che mortale. Mentre a Qumran, tutto è impuro, tranne la co-
munità che si purifica, adeguandosi alla santità di Dio, per Gesù, nulla più è impuro
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o profano, perché tutto è di Dio, tranne il peccato dell’uomo, che è l’unica realtà
davvero impura. Generalizzando, si potrebbe dire che il Tempio di Gerusalemme è
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chiamato a rendere possibile, al tempo stesso, la separazione tra sacro e profano e
l’introduzione di Israele nella prossimità con il sacro stesso, sino a divenire sacro/
santo come Dio (a differenza degli impuri pagani).
4
Cfr. EliadE, il sacro e il profano, cit., pp. 19-20: «Nel momento in cui il sacro
si manifesta attraverso una qualsiasi ierofania, non soltanto viene interrotta l’omo-
geneità dello spazio, ma avviene contemporaneamente la rivelazione di una realtà
assoluta, in opposizione alla non-realtà della distesa che la circonda. La manifesta-
zione del sacro fonda ontologicamente il Mondo. Nella distesa omogenea ed infini-
44 gaetano lettieri
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nessun mondo può nascere nel “caos” della omogenenità e relatività dello spazio
profano».
5
Per una messa a fuoco delle difficoltà metodologiche nella definizione dell’og-
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getto storico-religioso «luogo sacro/tempio», rifratto in una pluralità di casi esem-
plari, cfr. a. vauchEz (a cura di), Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches termi-
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nologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, Roma, École Française de Rome,
2000.
6
«Vorrei rimarcare la mia distanza rispetto a una prospettiva antropologico-
religiosa che fa dello spazio sacro il centro cosmico di una cultura, già da sempre
ridecretato attraverso il rito e il tempo festivo… Al contrario, io preferisco parlare di
segni e di codici continuamente rinegoziati e ridefiniti nei quadri sociali e temporali
della memoria culturale, ossia nei processi mnemostorici che governano la messa
a fuoco dei significati», l. canEtti, Impronte di gloria. Effigie e ornamento nell’Europa
tempus destruendi et tempus aedificandi 45
8
Il riferimento al sacro come «totalmente altro [ganz Andere]» è, ovviamente,
dipendente dal grande testo di R. otto, Das Heilige.Über das Irrationale in der Idee des
Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen, Breslau, Trewendt und Granier, 1917,
trad. it. Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto al razionale, in S. Banca-
laRi (a cura di), R. Otto, Opere, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2010, pp. 203-324.
La nozione è certo storicamente connotata: Otto riconnette il totalmente Altro al-
l’«aliud, aliud valde» di Agostino (Confessiones VII 10,16), ma articola la dialettica tra
numinosum e tremendum soprattutto attraverso Lutero, senza dimenticare l’influenza di
Schleiermacher e di Kierkegaard (si pensi in parallelo alla stessa centralità barthiana
del totalmente altro). Ricordo che, per Otto, das Heilige corrisponde propriamente al
qadoš ebraico, quindi al «santo», la cui nozione andrebbe distinta da quella di «sacro»,
anche se spesso Otto lo restituisca tramite il latino sacrum. Per Otto, il sacro/santo
come numinosum, tremendum e fascinosum (a seconda che esso si riveli come condanna/
ira o dono/favore), è dimensione di radicale eccedenza, idea di una dimensione «or-
renda» e per certi aspetti irrazionale, o meglio del mysteriosum in quanto formalmente
irriducibile al pensiero concettuale: «la crisi di tutte le forze, il totalmente Altro»
(Barth). Anche per il suo rapporto critico con l’impostazione di Otto, notevolissima
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è l’interpretazione del rapporto sacro/santo – storicamente problematica e religiosa-
mente confessionale, ma di straordinaria portata filosofica – avanzata da E. lévinas,
Du Sacré au Saint. Cinq nouvelles lectures talmudiques, Paris, Minuit, 1977, trad. it. Dal
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Sacro al Santo. Cinque nuove letture talmudiche, Roma, Città Nuova, 1985: il sacro restitu-
irebbe un rapporto entusiastico di sottomissione violenta e fusione spersonalizzante
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con il «divino/numinoso», mentre il «santo», proprio perché infinitamente separato,
rivelerebbe la relazione con il Dio biblico come apertura di distanza, che presuppone
l’«ateistica» distruzione dell’idolatrico mito religioso; soltanto in questa relazione di
distanza con l’Altro, che si rivela come Bene, vi sarebbe spazio per il soggetto libero
ed eticamente responsabile, cui è comandato il rapporto di cura nei confronti dell’al-
tro uomo. Mentre per Otto l’idea di sacro/santo comporta la crisi di qualsiasi etica
filosofica (si pensi all’utilizzazione kantiana del «santo»), per Lévinas il santo diviene
scaturigine religiosa dell’etica stessa.
tempus destruendi et tempus aedificandi 47
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9
Sul Tempio come luogo sacro/santo, cfr. J.d. lEvEnson, The Jerusalem Temple
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in Devotional and Visionary Experience, in A. GREEn (a cura di), Jewish Spirituality: From
the Bible through the Middle Ages, New York, Crossroad, 1986, pp. 33-61; e E.P. sand-
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ERs, Judaism: Practice and Belief 63 BCE-66 CE, Philadelphia, Trinity Press Interna-
tional, 1992, trad. it. Il giudaismo. Fede e prassi (63 a.c. – 66 d.c.), Brescia, Morcelliana,
1999, pp. 63-162: «Il tempio era santo non solo perché il Dio santo vi era adorato,
ma anche perché egli era là», p. 96; e gli studi raccolti in o. KEEl, E. zEnGER (a
cura di), Gottesstadt und Gottesgarten. Zu Geschichte und Theologie des Jerusalemer Tempels,
Freiburg-Basel-Wien, Herder, 2002.
10
Cfr. 1Re 8,10-14. Interessante l’excursus dedicato all’ebraismo da G. Picca-
luGa, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1974,
48 gaetano lettieri
70-84, in riferimento ai segni di confine delle «pietre erette», le mass bôt. La pietra del
sogno di Giacobbe sarebbe la mass b h archetipica della casa di Dio (cfr. Gn 28,18-
22), quindi del Tempio stesso, che segnerebbe il passaggio dalla dimensione errabon-
da delle popolazioni nomadi alla stabilizzazione di un popolo divenuto sedentario,
che pertanto vede il ritorno all’erranza (di cui il deserto è simbolo) come ritorno al
caos e diaspora nel vuoto. L’arca, che è la guida divina che conduce dall’erranza alla
terra promessa, perduta/distrutta dopo la distruzione del Primo Tempio, doveva
comunque scomparire, per essere recuperata soltanto nel tempo escatologico; sto-
ricamente, essa viene sostituita con la pietra del Tempio, che alcuni testi rabbinici
interpretano come centro del mondo: «la pietra di fondazione del mondo» (Tanhuma,
Kedoshim 10). Si dà, pertanto, oscillazione tra mantenimento della presenza ed esca-
tologico ritorno dell’arca, come segno di una presenza di Dio più piena, definitiva,
garantita da ogni nuova, possibile diaspora. In tal senso, cfr. il grande, seppure con-
troverso volume di E. voEGElin, Order and History, vol. I, Israel and Revelation, Baton
Rouge, Louisiana State University Press, 1956, II ed. Columbia-London, University
of Missouri Press, 2001, trad. it. Ordine e storia, vol. I, Israele e la rivelazione, Milano,
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Vita e Pensiero, 2009, in partic. pp. 7; 151-235; 505-599, ove la storia di Israele è letta
come dialettica tra sempre eccedente dispositivo dell’esodo e ordinante dispositivo
della pragmatica strutturazione teologico-politica di tipo cosmologico, all’interno
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del quale rientrebbe la stessa fondante affermazione della centralità del Tempio di
Gerusalemme. Sull’ossessione romana per il confinamento sacrale dello spazio e il
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suo ruolo politicamente e culturalmente fondativo, cfr. la notevole indagine di G.
dE sanctis, La logica del confine. Per un’antropologia dello spazio nel mondo romano, Roma,
Carocci, 2015.
11
Cfr. smith, To Take Place, cit., pp. 2-3, ove ricorre proprio l’esempio dei di-
versi templi di Gerusalemme, luoghi simbolici dei conflitti religiosi dal giudaismo
all’Islam; e p. 79, su Costantino creatore politico della «Terra santa». Ancora sulla
conflittualità templare a Gerusalemme, cfr. G.w. Bowman, «In dubious Battle on the
Plains of Heav’n»: The Politics of Possession in Jerusalem’s Holy Sepulchre, in «History and
tempus destruendi et tempus aedificandi 49
Anthropology», 22, 3 (2011), pp. 371-399. Più in generale, sulle ideologie dei templi
gerosolimitani, cfr. A. hoFFmann, G. wolF (a cura di), Jerusalem as Narrative Space/
Erzählraum Jerusalem, Leiden, Brill, 2012; R. salvaRani, Il Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Riti, testi e racconti tra Costantino e l’età delle Crociate, Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 2012; o. PERi, Christianity under Islam in Jerusalem: The Question of the Holy Sites
in Early Ottoman Times, Leiden, Brill, 2001.
12
Cfr. Mc 12,10-11, ove ricorre la citazione di Sal 118,22-23; Rm 9,32-33; 11,9;
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1Cor 1,22-23, ove il Messia crocifisso è identificato con lo «scandalo», la pietra di
inciampo dei giudei, pure divenuta nuova pietra angolare del Tempio universale; cfr.,
in tal senso, 1Pt 2,4-10.
13
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Sul concetto neotestamentario di Spirito, mi limito a rinviare a G. thEis-
sEn, Erleben und Verhalten der ersten Christen. Eine Psychologie des Urchristentums, Güter-
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sloh, Gütersloher Verlagshaus, 2007, trad. it. Vissuti e comportamenti dei primi cristiani.
Una psicologia del cristianesimo delle origini, Brescia, Queriniana, 2010, par. Pneuma come
concetto collettivo di esperienze religiose nel cristianesimo delle origini, pp. 125-130, anche se
dissento a) con l’identificazione del dono dello Spirito con «una scintilla di eternità
nell’uomo», p. 126, e b) con l’anomala, gnosticheggiante definizione dello Spirito
come «forza che è all’opera negli esseri umani rinnovati [che] è della stessa sostanza
[homoúsios] di questo Dio dell’aldilà, dello stesso rango, della stessa dignità e dello
stesso modo di essere», p. 130.
50 gaetano lettieri
crisi della presenza teofanica: con la morte del figlio dell’uomo profe-
ta («il» messia?) del regno pare deposta la stessa realtà carismatica della
comunità gesuana. E se la fede nella resurrezione postula il ri/avveni-
re della presenza, questa è nuovamente tolta nell’annuncio dell’ascen-
sione, seppure disseminata nella pentecoste comunitaria dello Spirito.
Cristo è il morto/risorto, l’assente/presente nel suo Spirito, l’asceso/
disseminato: dove e come può avere luogo, dove e come può essere
riconoscibile? Quale tempio, quale spazio/realtà fisica può «conte-
nerlo»? Infatti, seppure la comunità apostolica continui a frequentare
il Tempio (attendendovi il ritorno del Risorto?), almeno per alcune
correnti gesuane (gli ellenisti di Stefano, i discepoli di Paolo e «Gio-
vanni») e per le tradizioni fissate nei racconti sinottici della crocifis-
sione, il trauma della morte e il miracolo della resurrezione rivelano il
centro stesso del Tempio come ormai vuoto. Quale luogo teofanico
rimane, allora? Come segnare antropologicamente l’effettiva presenza
dello Spirito, il reale av-venire della nuova teofania? Inoltre, essendo il
Tempio luogo di un rituale, senza il quale non si dà comunità14, quale
rituale caratterizza le comunità protocristiane?
Per i battezzati in Cristo, la memoriale «presenza» eucaristica
(attestata nelle lettere paoline e nei vangeli sinottici) pare divenire il
sostituto dell’effimero Tempio di Gerusalemme e del suo culto15. Il
14
Cfr. thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani, cit., pp. 373-380: «I
rituali e le comunità costituiscono un tutt’uno […] I rituali sono il fondamento della
comunità. Tutte le relazioni sociali dipendono da una comunicazione fatta di segni
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sensibili, che sono compiuti secondo modelli prevedibili», p. 373.
15
«Forse Gesù celebrò la sua ultima cena in sostituzione dei pasti sacrificali
consumati nel Tempio, dopo che con il suo attacco al Tempio aveva reso impossibile
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una sua tranquilla partecipazione al culto del tempio: in una semplice cena a base
di pane e vino i discepoli dovevano trovare un surrogato di quello che altrimenti
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trovavano in un sacrificio di comunione nel tempio (seguito da una consumazione
comune) […] La santa cena delle origini si riallacciò in ogni caso ai conviti del Gesù
storico. Però va al di là di essi. Essa non conteneva solo un’opposizione al Tempio,
ma anche trasgressioni simboliche di tabù», thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi
cristiani, cit., pp. 398-399. Sulle «trasgressioni rituali di tabù nella cena del Signore»,
interpretata dalle comunità protocristiane come sacrificio espiatorio, cfr. pp. 399-
402; queste gravissime trasgressioni rituali della prassi liturgica giudaica sono: a) il
consumare comunitariamente il sacrificio di espiazione, che, a differenza del sacri-
tempus destruendi et tempus aedificandi 51
ficio di comunione che univa tutta la comunità, era riservato dalla Legge ai soli
sacerdoti, con la netta esclusione della vittima espiatoria dalla comunità, sicché «non
è lecito mangiare comunitariamente i resti tabuizzati del sacrificio espiatorio […] Un
sacrificio di espiazione divenne così il fondamento di un sacrificio di comunione»,
ibidem, p. 400, confondendo i due piani nettamente distinti nella prassi templare; b) il
bere simbolicamente il sangue di Cristo: «Qualsiasi giudeo aveva interiorizzato il di-
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vieto di bere il sangue. Egli inorridiva all’idea di bere la sostanza portatrice della vita
e di trasgredire il comandamento […] “Non mangerete la carne con la sua vita, cioè
con il sangue” (Gn 9,4)», ibidem, pp. 401-402; cfr. pp. 602-603. Si noti comunque, alle
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pp. 410-420, la differenziazione rintracciata (già da Hans Lietzmann) nelle comunità
protocristiane tra a) pasto sacro religioso «moderato» senza trasgressione di tabù
Bologna
(=agape), cioè senza memoria della morte di Gesù, e b) pasto sacro religioso «estre-
mo» con trasgressione di tabù (=eucarestia), cioè incentrato sulla memoria rituale della
morte di Gesù. Per un’interpretazione dell’eucarestia come nuovo culto templare,
che istituisce un nuovo ordine sacerdotale, cfr. m.P. BaRBER, The New Temple, the New
Priesthood, and the New Cult in Luke-Acts, in «Letter & Spirit», 8 (2013), pp. 101-124,
in partic. pp. 116-124.
16
Cfr. Just., 1 apol. 65,1-67,8.
17
Just., 1 apol. 65,1.
52 gaetano lettieri
21
Cfr. J.z. smith, Here, There, and Anywhere, 2000, quindi in Relating Religion: Es-
says in the Study of Religion, Chicago-London, The University of Chicago Press, 2004,
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pp. 323-339, in partic. pp. 329-334. Per un approfondimento di questa prospettiva,
che spinge a interpretare come interstiziale il localizzarsi religioso delle comunità ge-
suane, cfr. a. dEstRo, m. PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, Brescia, Mor-
22
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celliana, 2005, pp. 9-10, 30-31, 67-97.
Cfr. thEissEn, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani, cit., p. 605: «A mio
Bologna
giudizio, la chiesa non è una forma sociale accanto ad altre, ma si distingue per una
struttura sociale inclusiva: essa fa spazio in sé a sette, gruppi cultuali e denominazio-
ni. Le chiese realizzano una pluralità all’interno […] Pertanto già nel cristianesimo
delle origini possiamo constatare l’esistenza di strutture e mentalità di una chiesa:
dopo la decisione del concilio degli apostoli la chiesa abbraccia gruppi con strutture
diverse. Il canone neotestamentario rispecchia questa pluralità, perché abbraccia
le lettere di Paolo quali documenti di un movimento cultuale, i vangeli sinottici
quali sedimentazioni di un movimento intragiudaico di rinnovamento e gli scritti
54 gaetano lettieri
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scE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., il notevolissimo cap. II, Le comunità
paoline di santi e fratelli, pp. 49-66. In partic.: «L’accesso a ciò che è hagios si dà solo
in una nuova e concreta aggregazione societaria: la “assemblea di Dio” (ekklêsia tou
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theou). Il paolinismo tende a negare l’esistenza di forme di accesso con ciò che è
hagios in altre aggregazioni, ad esempio nella polis. La ekklêsia non coincide cioè con
Bologna
nessun’altra forma aggregante preesistente, né con la società familiare, né con la
società politica. Proprio per questa concezione del sacro come forza aggregante a
livello culturale collettivo, nella ekklêsia il paolinismo delle origini, non diversamente
dal giudaismo, non è finalizzato ad un’esperienza religiosa esclusivamente indivi-
duale. Mira piuttosto a una dimensione fondamentalmente comunitaria», ibidem, p.
55. Ma come si accede alla comunità? «L’uomo è investito da una emanazione della
sostanza stessa della divinità. L’interiorità del singolo assorbe questa forza sacra e
ne viene trasformata […] La ekklêsia, nel pensiero di Paolo, non è quindi solo una
tempus destruendi et tempus aedificandi 55
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comunità di oranti o di praticanti, ma una comunità di quanti sono stati resi partecipi
della medesima forza divina, sottomessi a un processo di condivisione esclusiva di ciò
25
Società editrice il Mulino,
che è aghios», ibidem, pp. 56-57.
Sulla complessità delle nozioni di religio e superstitio, rimando a BEnvEnistE,
Bologna
Potere, diritto, religione, cit., cap. VII, Religione e superstizione, pp. 485-596; il termine religio
è ricondotto, con Cic., nat. deor. II 28,72, a legere/relegere/retractare, piuttosto che al ter-
tullianeo e lattanziano (quindi cristiano!) religare. Il termine designerebbe, pertanto,
l’atto soggettivo, scrupoloso della riassunzione di un culto tradizionale, stabilito; al
contrario, nella sua ultima trasformazione, superstitio indicherebbe la pratica inganne-
vole e irrazionale dell’indovino (e «i Romani avevano orrore delle pratiche divinato-
rie», p. 496), la pretesa perversa di possedere un dono della visione della presenza di
forze occulte, sottratte all’ambito della religione tradizionale condivisa.
56 gaetano lettieri
26
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Cfr. R. PFEilschiFtER, Die Spätantike. Der eine Gott und die vielen Herrscher,
München, Verlag C.H. Beck, 2014, trad. it. Il Tardoantico. Il Dio unico e i molti sovrani,
27
Società editrice il Mulino,
Torino, Einaudi, 2015, pp. 49-50.
Per la storia del cristianesimo dei primi due secoli come caratterizzata da
Bologna
questa dialettica tra «a) “comunità immaginata deterritorializzata”» e «b) “comunità
immaginata riterritorializzata”», segnalo l’importante volume di E.R. uRcioli, Un’ar-
cheologia del «noi» cristiano. Le comunità «immaginate» dei seguaci di Gesù tra utopie e territoria-
lizzazioni (I-II sec. e.v.), Milano, Ledizioni, 2013, in partic. pp. 291-305; il cristianesimo
costantiniano potrebbe essere interpretato come il compimento iperbolico di questa
precoce esigenza di riterritorializzazione, che comunque continua ad ospitare in sé
il primo dispositivo, che attiva nuove forme di deterritorializzazione. Specificherei
che la deterritorializzazione è comunque toglimento/traslazione di una territoria-
58 gaetano lettieri
copyright © 20by
origini cristiane alle teologie patristiche, in tommasi (a cura di), Tempio e persona, cit., pp.
153-197; G. lEttiERi, «Fuori luogo». Topos atopos dal Nuovo Testamento allo Pseudo-
Dionigi, in d. Giovannozzi, M. vEnEziani (a cura di), Locus Spatium. XVI Colloquio
Società editrice il Mulino,
Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, Firenze, Olschki, 2014, pp. 81-148; e G.
lEttiERi, Togliere l’immagine. Frammenti di «iconologia» protocristiana tra atopia e teofania, in
Bologna
d. Guastini (a cura di), Genealogia dell’immagine cristiana. Studi sul cristianesimo antico e le
sue raffigurazioni, Firenze-Lucca, La Casa Uscher, 2014, pp. 229-251.
29
Sarebbe qui necessario discutere le tesi, che per certi aspetti condivido (il cri-
stianesimo è un giudaismo «alteratosi»), per altri considero discutibili, di d. BoYaRin,
Border Lines: The Partition of Judaeo-Christianity, Philadelphia, University of Pennsyl-
vania Press, 2004; in questo senso cfr. anche P. FREdRiKsEn, The Birth of Christianity
and the Origins of Christian Anti-Judaism, in P. FREdRiKsEn, A. REinhaRtz (a cura di),
Jesus, Judaism, and Christian Anti-Judaism, Louisville, Westminster John Knox Press,
tempus destruendi et tempus aedificandi 59
2002, pp. 8-30. Ritengo infatti che siano il messaggio radicalmente critico e il destino
assolutamente tragico dell’ebreo Gesù, quindi la fede nella sua resurrezione (disdetta
della condanna templare) e l’interpretazione eversiva che ne propongono l’ebreo
Paolo e l’ebreo Giovanni (e non gli eresiologi protocattolici o i cristiani ellenisti
ormai privi di retroterra culturale giudaico!), a determinare la frattura, l’espulsione/
la fuoriuscita di un gruppo giudaico apocalittico «impazzito», poi la genesi di una
religione ibrida alternativa e violentemente concorrente con la sua matrice giudai-
ca. Il cristianesimo sarebbe, in questa prospettiva, una «mortale» neoplasia giudaica
apocalittico-messianica dell’organo ebraico (si pensi al caso per certi aspetti analogo
di Sabbatai Zevi), amputata per non provocarne la morte, ma capace di sopravvivere,
come una metastasi, e dilatarsi enormemente nel grande corpo ellenistico-romano,
contaminando categorie giudaiche e categorie greco-romane. Forzandola, entro qui
in risonanza con la nozione voegeliniana (massimamente ambigua!) di metastasi, at-
tribuita all’atto profetico di contestazione dell’ordine teologico-politico costituito
(inaugurato da Isaia, quindi riattivato da Geremia ed Ezechiele e, in maniera certo
diversa, dalle correnti apocalittiche): «Introdurrò il termine metastasi per indicare la
trasformazione della costituzione dell’essere che hanno in mente i profeti e parlerò
di esperienze metastatiche, di fede, speranza, volontà, visione e azione metastatica e
dei simboli metastatici che esprimono queste esperienze», voEGElin, Ordine e storia,
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cit., p. 532; cfr. in partic. pp. 9-11, 532-534, 556-557. Insomma, la metastasi sarebbe
l’affermazione di una contestazione profetica carismatica (per Voegelin già radicaliz-
zata dall’apocalittica giudaica) all’ordine teologico-politico giudaico stabilito, negato
Società editrice il Mulino,
tramite la proiezione in una metarealtà teologico-politica, divinamente promessa e
postulata come imminente. Si potrebbe interpretare la genesi intragiudaica di una
Bologna
religione universale divenuta extragiudaica come istituzionalizzazione atopica di una
specifica «metastasi», misconosciuta dalle tradizioni dominanti giudaiche. La nuo-
va religione universale nascerebbe come surrogato universale, giudaico-ellenistico,
dell’annuncio – respinto dai giudaismi dominanti – di un regno apocalittico giudaico
(annunciato dal Messia crocifisso dal Tempio e risorto nello Spirito), che tarda a
venire. Cfr. G. lEttiERi, Un dispositivo cristiano nell’idea di democrazia, cit., pp. 19-134, in
partic. pp. 43-44, la lunga nota 57, dedicata al confronto con la nozione di metastasi
voegeliniana.
60 gaetano lettieri
dal trionfante potere romano, idolatra per ogni ebreo. Nessuna suc-
cessiva concezione cristiana di tempio, immagine, rappresentazione
sacrale potrà mai prescindere da quest’irriducibile, fondativa memoria
della violenza subita, della sottrazione mortale di Gesù dal piano della
rappresentazione, del riconoscimento sacrale, della legittimità religio-
sa. Su di essa potrà innestarsi, pertanto, la riattivazione della pretesa
ebraica fondativa del «mito aniconico»30, che caratterizza, nella sua
monoteistica iconoclastia antiidolatrica, la stessa origine esodica della
religione mosaica, fedele alla peregrinante origine abramitica del patto
con Dio.
Ma quali erano i rapporti di Gesù con il Tempio? Nonostante
evidenti siano le testimonianze del costante rispetto di Gesù nei con-
fronti del Tempio, riconosciuto come luogo santo nel quale Dio è
presente31 e centro della religiosità giudaica32, certo, prima ancora del-
le riletture postpasquali delle comunità, una forte tensione tra il Gesù
storico e il Tempio di Gerusalemme parrebbe essersi data. Come in-
terpretare la profezia sulla distruzione del Tempio di Mc 11,15-2333?
30
Rimando, in proposito, a l. canEtti, Costantino e l’immagine del Salvatore. Una
prospettiva mnemostorica sull’aniconismo cristiano antico, in «Zeitschrift für Antikes Chri-
stentum», 13 (2009), pp. 233-262, in partic. pp. 233-236.
31
Cfr. Mt 23,21: «Chi giura per il Tempio, giura per il Tempio e per Colui che
lo abita».
32
Cfr. Mt 5,24 e Mc 1,40-44, ove Gesù chiede ai suoi discepoli di offrire co-
munque il dono all’altare, pur se dopo essersi riconciliati con i fratelli, e a un leb-
broso da lui guarito di recarsi dal sacerdote per offrire la purificazione ordinata da
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Mosè. E.P. sandERs, Jerusalem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, in
l.i. lEvinE (a cura di), Jerusalem. Its Sanctity and Centrality to Judaism, Christianity, and
Islam, New York, Continuum, 1999, pp. 90-103, in partic. p. 91, sottolinea l’assenza
Società editrice il Mulino,
di brani evangelici polemici nei confronti dei sacerdoti, con l’eccezione relativa di
Lc 10,29-37.
33
Bologna
In partic., cfr. Mc 13,1 (e i paralleli Mt 24,1-2; Lc 20,5-7): «Mentre usciva dal
tempio, un discepolo gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni”. Gesù
gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che
non sia distrutta”». Questa profezia sulla distruzione del Tempio pare dipendente
dalla conoscenza del disastro del 70, eppure potrebbe reinterpretare parole auten-
tiche di Gesù. Sul tema, cfr. l. Gaston, No Stone on Another. Studies in the Significance
of the Fall of Jerusalem in the Synoptic Gospels, Leiden, Brill, 1970. Mi pare convincente
l’interpretazione di P. FREdRiKsEn, Jesus and the Temple, Mark and the War, in «Society
tempus destruendi et tempus aedificandi 61
of Biblical Literature. Seminar Papers», 29 (1990), pp. 293-310, che interpreta il rap-
porto di Gesù con il Tempio come conflittuale, ma (ri)costruttivo: il Gesù storico
avrebbe preannunciato un’apocalittica, imminente distruzione del Tempio, ma in
vista della ricostruzione di un nuovo Tempio non fatto da mani d’uomo. Per l’iden-
tificazione di Gesù con il nuovo Tempio escatologico, cfr. il volume di t.c. GRaY,
The Temple in the Gospel of Mark: A Study in Its Narrative Role, Tübingen, Mohr Sie-
beck, 2008, in partic. le conclusioni, pp. 198-201; sull’interpretazione di Gesù come
«a counter-temple leader», erede della critica predicazione del Battista, quindi del
movimento gesuano come «an apocalyptic counter-temple movement», convinto di
realizzare la costruzione del nuovo Tempio escatologico, cfr. n. PERRin, Jesus the Tem-
ple, Grand Rapids, Baker, 2010. Al contrario, per un tentativo – a mio parere niente
affatto convincente – di restituire il conflitto tra Gesù e il Tempio come invenzione
marciana, cfr. le tesi decostruttive di B. macK, A Myth of Innocence. Mark and Christian
Origins, Philadelphia, Fortress Press, 1988, in partic. pp. 291-292. Cfr., inoltre, i testi
citati nella nota seguente.
34
In questa sede mi limito a segnalare le tesi radicali, e da me pienamente con-
divise, di E.P. sandERs, Jesus and Judaism, London, SCM Press, 1985, il cap. «Jesus and
the Temple», pp. 61-76 e pp. 363-367 (note): «The turning over of even one table
points toward destruction», p. 70; «He did not wish to purify the temple […] Nor
was he opposed to the temple sacrifices which God commanded Israel. He intended,
rather, to indicate that the end was at hand and that the temple would be destroyed,
so that the new and perfect temple might arise», p. 75. Cfr. anche sandERs, Jerusa-
lem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, cit., pp. 92-93. Sollecitata da
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Sanders, cfr. la radicale conclusione di J. nEusnER, Money-Changers in the Temple: The
Mishnah’s Explanation, in «New Testament Studies», 35 (1989), pp. 287-290: «The
overturning of the moneychangers’ tables represents an act of rejection of the most
Società editrice il Mulino,
important rit of the Israelit cult, the daily whole-offering, and, therefore, a state-
ment that there is a means of atonement other than the daily whole offering, which
Bologna
is now null. Then what was to take the place of the daily whole-offering? It was to
be the rite of the Eucharistic: table for table, whole offering for whole offering», p.
290. Su questa linea, cfr. J. Ådna, Jesus’ Symbolic Act in the Temple (Mk 11,15-17): The
Replacement of the Sacrificial Cult by His Atoning Death, in B. EGo, a. lanGE, P. PilhoFER
(a cura di), Gemeinde ohne Tempel/Community without Temple, Tübingen, Mohr Siebeck,
1999, pp. 461-475; m.E. BoRinG, Mark: A Commentary, Louisville-London, Westmin-
ster John Knox Press, 2006, pp. 321-322. Tradizionalista, invece, l’interpretazione di
Evans, che interpreta la purificazione del Tempio come atto di accusa nei confronti
62 gaetano lettieri
della classe sacerdotale e non come eversione del sistema cultuale-sacrificale vigente:
cfr. c.a. Evans, Jesus’ Action in the Temple Cleansing or Portent of Destruction?, in B.d.
chilton, c.a. Evans (a cura di), Jesus in Context: Temple, Purity, and Restoration, Leiden-
New York-Köln, Brill, 1997, pp. 395-439; e c.G. Evans, Jesus and Predictions of the
Destruction of the Herodian Temple, in Jesus and His Contemporaries: Comparative Studies,
Leiden, Brill, 2001, pp. 367-380. Potremmo definire mediatrice la tesi di t. waRdlE,
The Jerusalem Temple and Early Christian Identity, Tübingen, Mohr Siebeck, 2010, pp.
172-191, che interpreta come prevalente la critica radicale di Gesù alla condotta cor-
rotta dei sacerdoti, rispetto alla sua attesa di un’imminente distruzione del Tempio,
pure da lui profetizzata nell’attesa di un nuovo escatologico Tempio materiale a Ge-
rusalemme; giustamente, Wardle sottolinea come Gesù non possa aver predicato una
soppressione radicale del Tempio, altrimenti non si spiegherebbe come mai, dopo
la sua morte, i suoi seguaci continuassero a frequentarlo. Per l’attribuzione a Gesù
dell’autoidentificazione con il Sommo Sacerdote escatologico «secondo l’ordine di
Melchisedec», cfr. c.h.t. FlEtchER-louis, Jesus as the High Priestly Messiah: Part I, in
«Journal for the Study of the Historical Jesus», 4, 2 (2006), pp. 155-175; id., Jesus as
the High Priestly Messiah: Part II, in «Journal for the Study of the Historical Jesus», 5,
1 (2007), pp. 57-79. Cfr., inoltre, s.m. BRYan, Jesus and Israel’s Traditions of Judgement
and Restoration, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2002, cap. VI,
Jesus and the eschatological Temple, pp. 189-235. Di grande interesse il saggio di B. PitRE,
Jesus, the New Temple, and the New Priesthood, in «Letter & Spirit», 4 (2008), pp. 47-83,
seppure pesantemente viziato da una prospettiva confessionale, che finisce per attri-
buire al Gesù storico complessi dispositivi interpretativi messi in atto, dopo la morte
e la creduta resurrezione, dalle comunità dei discepoli; sicché già il Gesù sinottico
annuncerebbe di fatto la sua identificazione con il Nuovo Tempio e il Nuovo Som-
mo Sacerdote, comunicata ai suoi stessi discepoli, persino autointerpretandosi come
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l’autentica presenza ipostatica di Dio in terra (la prospettiva giovannea è retroproiet-
tata su quella sinottica, quindi sulla stessa coscienza del Gesù storico!). Stranamente,
Pitre non si occupa di Paolo, su cui tornerò ampiamente. Per un originale e convin-
Società editrice il Mulino,
cente tentativo di interpretare alcuni logia del Vangelo di Tommaso nella prospettiva del
toglimento del Tempio nella comunità carismatica, cfr. a. annEsE, The Temple in the
Bologna
Gospel of Thomas. An Interpretative Perspective on Some Words Attributed to Jesus, in m.
PEscE (a cura di), Texts, Practices, and Groups. Multidisciplinary Approaches to the History
of Jesus Followers in the First Two Centuries. First Annual Meeting of Bertinoro (2-4 October
2014), Turnhout, Brepols, 2016, di imminente pubblicazione
35
Cfr. i diversi saggi raccolti in EGo, lanGE, PilhoFER (a cura di), Gemeinde ohne
Tempel/Community without Temple, cit.; e in J. hahn (a cura di), Zerstörungen des Jerusale-
mer Tempels. Geschehen – Wahrnehmung – Bewältigung, Tübingen, Mohr Siebeck, 2002; e
il notevolissimo excursus storico introduttivo di G. GäBEl, Die Kulttheologie des Hebräer-
tempus destruendi et tempus aedificandi 63
briefes. Eine exegetisch-religionsgeschichtliche Studie, vol. II, «Der wahre Tempel». Frühjüdische
Diskurse über irdischen und himmlischen, gegenwärtigen und eschatologischen Tempel und Kult,
Tübingen, Mohr Siebeck, 2006, pp. 25-128; infine a.l.a. hoGEtERP, Paul and God’s
Temple. A Historical Intepretation of Cultic Imagery in the Corinthian Correspondence, Leu-
ven-Paris-Dudley, Mass., Peeters, 2006, in partic. pp. 27-114. Sull’autointerpretazione
qumranita della comunità come nuovo Tempio, definita in rapporto polemico con
il Tempio di Gerusalemme, cfr. già B.E. GäRtnER, The Temple and the Community in
Qumran and the New Testament: A Comparative Study in the Temple Symbolism of the Qumran
Texts and the New Testament, Cambridge University Press, Cambridge 1965, in partic.
pp. 16-46; più recentemente Y. liu, Temple Purity in 1-2 Corinthians, Tübingen, Mohr
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Siebeck, 2013, pp. 55-60. Più specificatamente sull’interpretazione del Tempio nei
primi movimenti battisti e gesuani, sino agli ellenisti, cfr. hoGEtERP, Paul and God’s
Temple, cit., pp. 115-193, ove si sottolinea il forte legame della comunità gesuana
Società editrice il Mulino,
primitiva con il Tempio. Prospettive in proposito diverse quelle di t. EsKola, A
Narrative Theology of the New Testament, Tübingen, Mohr Siebeck, 2015, il cap. Son of
36 Bologna
David as a builder of an eschatological temple, pp. 43-74.
Cfr. Mc 14,56-59 e Mt 26,59-61. Per un commento, rimando a R.E. BRown,
The Death of the Messiah: From Gethsemane to the Grave. A Commentary of the Passion Nar-
ratives in the Four Gospels, I-II, New York, Doubelday, 1994, trad. it. La morte del Messia.
Un commentario ai Racconti della Passione nei quattro vangeli, Brescia, Queriniana, 1999, II
ed. 2003, pp. 498-526.
37
Cfr. Mc 15,29-30; Mt 27,39. Cfr. BRown, La morte del Messia, cit., pp. 1108-
1118.
64 gaetano lettieri
38
«Distruggete questo Tempio [ ] e in tre giorni lo farò
risorgere [ ] […] Egli parlava del tempio del suo
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corpo [ ]», Gv 2,19 e 21; cfr. 2,20-21. Cfr. F. siEG-
ERt, «Zerstört diesen Tempel…!». Jesus als «Tempel» in den Passionsüberlieferungen,
in hahn (a cura di), Zerstörungen des Jerusalemer Tempels, cit., pp. 108-139; R.E. BRown,
Società editrice il Mulino,
The Gospel Accordint to John, New York, Doubleday, 1970, voll. I-II, trad. it. Giovanni.
Commento al vangelo spirituale, Assisi, Cittadella Editrice, 1979, II ed. 1999, pp. 148-167.
39
40 Bologna
Cfr. Mc 15,38; Mt 27,50-21.
Cfr. At 2,46; 3,1; 3,11; 5,12; 5,20-2; 21,23-26; Lc 24,53: «E stavano sempre
nel Tempio londando Dio»; e il comunque ambiguo Mt 5,23-24. Cfr. waRdlE, The
Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit., pp. 193-197.
41
Sulla storia e le prospettive ideologiche del gruppo degli «ellenisti», in partic.
su Stefano e Filippo, cfr. m. hEnGEl, Zur urchristlichen Geschichtsschreibung, Stuttgart,
Calwer Verlag, 1979, trad. it. La storiografia protocristiana, Brescia, Paideia, 1985, il par.
Gli «ellenisti» e la loro espulsione da Gerusalemme, pp. 99-111.
tempus destruendi et tempus aedificandi 65
fedeli all’assoluta santità del Tempio e della Legge) per la stessa accusa
mossa a Gesù durante il processo:
Costui non cessa di proferire parole contro questo Luogo sacro [
] e contro la Legge. Lo abbiamo udito dichiarare che
Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo [ ]
e sovvertirà i costumi [ ] tramandatici da Mosè42.
42
At 6,13-14. Cfr. waRdlE, The Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit.,
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pp. 197-202, che minimizza l’ascendente del radicale Stefano sulla comunità primi-
tiva.
43
Condivido le conclusioni sullo scontro tra tradizione giudaizzante rigorista
Società editrice il Mulino,
(Giacomo) e tradizione «liberale» ellenista – di cui Stefano è certo il primo principale
rappresentante –, cui Paolo finalmente offrirebbe una sintesi teologica potente e
Bologna
originale, proposta da i.J. ElmER, Paul, Jerusalem and the Judaisers: The Galatian Crisis
in Its Broadest Historical Context, Tübingen, Mohr Siebeck, 2009, pp. 116; 213-221. Su
Antiochia come centro identitario ellenista, profondamente influente sulla reinter-
pretazione paolina del kerygma, cfr. n. taYloR, Paul, Antioch and Jerusalem: A Study in
Relationships and Authority in Earliest Christianity, Sheffield, Sheffield Academic Press,
1992.
44
At 21,28.
45
Cfr., in tal senso, R. PEsch, Die Apostlegeschichte, Neukirchen-Vluyn, Benziger
66 gaetano lettieri
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Verlag-Zürich Neukirchener Verlag, 1986, trad. it. Atti degli apostoli, Assisi, Cittadella
editrice, 1992, II ed. 2005, pp. 810-811. Di diverso parere P. FREdRiKsEn, Judaism,
the Circumcision of Gentiles, and Apocalyptic Hope, in «Journal of Theological Studies»,
Società editrice il Mulino,
42 (1991), pp. 532-564; e id., Jesus and the Temple, cit., pp. 308-310, che, dopo avere
giustamente sottolineato come in Paolo non vi sia affatto un atteggiamento di di-
Bologna
scredito nei confronti del Tempio (cfr., ad es., Rm 9,4, ove «il culto» è riconosciuto
come uno dei doni di Dio a Israele), interpreta come storico e dotato di straordinario
valore simbolico l’ingresso in esso di Paolo con «his Gentile brother-in Christ»: l’a-
postolo avrebbe così realizzato la profezia di Isaia 56,6-8. E questo malgrado Paolo
consideri il Tempio come ormai superato: «For Paul, the kingdom wille be «in the
air» (1 Thes 4:17). No temple there», p. 309. Cfr. infra, nota 80.
46
Cfr. Ger 31,31-34 ed Ez 36,16-36.
47
Cfr. Rm 6,1-14; 7,1-6.
tempus destruendi et tempus aedificandi 67
48
1Cor 3,16-17
49
1Cor 6,15; 17; 19-20.
50
2Cor 6,16. Tornerò infra su Ef 2,19-22. Cfr. 1Pt 2,4-10. «The presence of this
communal temple imagery in the Pauline, Petrine, and Johannine streams of early
Christian tradition provides further evidence that the idea of the community as a
temple likely developed very early among the first followes of Jesus», waRdlE, The
Jerusalem Temple and Early Christian Identity, cit., p. 222, cfr. pp. 223-226. Sulla comunità
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paolina come Tempio di Dio e sui suoi eventuali rapporti con testi evangelici, cfr. l.
walt, Paolo e le parole di Gesù. Frammenti di un insegnamento orale, Brescia, Morcelliana,
2013, pp. 207-210. Su Paolo e il Tempio di Gerusalemme, cfr. P.w.l. walKER, Jesus
Società editrice il Mulino,
and the Holy City: New Testament Perspectives on Jerusalem, Grand Rapids, Eerdmans,
1996, pp. 116-143. Per una sintetica rassegna delle più significative e recenti inter-
Bologna
pretazioni della metafora del Tempio in 1Cor e 2Cor, cfr. liu, Temple Purity in 1-2
Corinthians, cit., pp. 4-9.
51
Cfr. 1Cor 12,12-27; 2Cor 5,14-17; Rm 12,4-6; Col 3,9-11; Ef 4,4-6. Proprio
perché l’estatica comunità/nuovo tempio vive dell’espropriazione vivificante opera-
ta dallo Spirito, non concordo affatto con l’interpretazione complessiva di Rm pro-
posta da s.K. stowERs, A Rereading of Romans: Justice, Jews, and Gentiles, New Haven-
London, Yale University Press, 1994, ove si afferma che il fine paolino principale sa-
rebbe quello di proporre alle élite romane un’etica di «self-mastery» o «self-control»,
68 gaetano lettieri
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invece nascosto agli ebrei; cfr. anche Aug., epist. 110,26.
53
Cfr. Es 40,34-35: «Allora la nube coprì la tenda del convegno e l’altare e la
Gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non potè entrare nella tenda del conve-
Società editrice il Mulino,
gno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva la dimora».
Così, per la costruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Salomone: «Appena
Bologna
i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nuvola riempì il tempio e i sacerdoti non po-
tevano rimanervi per compiere il servizio a causa della nube, perché la gloria del Si-
gnore riempiva il Tempio […] “un luogo per la tua dimora perenne”», 1Re 8,11. Per
il rapporto tra Gloria di Dio rivelatasi a Mosè nella nube, costruzione della Dimora/
Santuario e dell’Arca (nella quale riporre le tavole di pietra della Legge), quindi della
tenda, cfr. ovviamente Es 24,12-25,22; sul velo, cfr. anche 26,31-37. Su Mosè che si
vela il viso dopo aver parlato con Dio nella tenda, cfr. 34,29-35. Sarebbe necessario
esaminare, in tensione con i brani paolini, Ez 44,1-31, che non soltanto ribadisce la
tempus destruendi et tempus aedificandi 69
di Mosè – abbagliante per essere stato alla presenza di Dio sul Sinai,
quindi nella tenda del convegno nel deserto – corrisponde al velo
che, prescritto da Dio, è collocato all’interno della tenda/Dimora di-
nanzi all’arca della testimonianza; è questo il velo che poi nasconderà
nel Tempio di Gerusalemme il sancta sanctorum, luogo della presenza
della Gloria di Dio accessibile soltanto al sommo sacerdote. Ebbene,
in 2Cor, Paolo annuncia che il velo di Mosè, lo schermo che separa la
visione della Gloria sacro/santa di Dio, è tolto nella manifestazione
salvifica universale che Cristo offre a ogni uomo convertito, battezzato,
morto/risorto nello Spirito54. La Gloria di Dio non è più nascosta
nell’arca e velata, ma apocalitticamente rivelata nel corpo di Cristo
risorto, divenuta presente nell’Immagine divina nella quale i credenti
sono incorporati e trasformati, riflettendo «lo splendore del vange-
lo della Gloria di Cristo che è Immagine di Dio [
, ]» (4,4).
Il toglimento del velo dal cuore di chi non crede55 dipende dal riful-
gere aperto di Dio, che squarcia il velo che lo nascondeva, togliendo la
sua elettiva e non universale separazione sacrale, rendendosi diretta-
mente presente in Cristo sua Immagine/Gloria, accolta dalla comu-
nità universale suo Tempio vivente56. Ecco perché, in 2Cor 6,16, il
presenza della Gloria di Dio nel Tempio, ma definisce le norme del sacerdozio e del
servizio sacro, vietando con violenza la possibilità di accesso al tempio agli stranieri
e agli incirconcisi.
54
«E noi tutti, a volto scoperto, riflettendo come in uno specchio la Gloria
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del Signore, veniamo trasformati in quella medesima Immagine, di gloria in gloria,
secondo l’azione dello Spirito del Signore», 2Cor 3,18; «E Dio che disse: “Rifulga la
luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della
55
Società editrice il Mulino,
gloria divina che rifulge sul volto di Cristo», 4,6.
Cfr. 2Cor 4,3-4: «E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si
Bologna
perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non
vedano lo splendore glorioso del vangelo di Cristo che è Immagine di Dio».
56
Analoga la prospettiva giovannea: cfr. Gv 1,14 e 17-18. Il Logos divenuto
carne è la Gloria di Dio che è venuta a porre la sua tenda ( ) tra gli uomini;
in tal senso, Cristo toglie in sé il Tempio, la sua carne accoglie la Gloria dell’Unigeni-
to di Dio, rivelando a tutti i suoi lo stesso Dio invisibile, prima nascosto nel Tempio,
donando quindi una grazia che trascende la legge data da Mosè (le cui tavole erano
collocate nell’arca dell’alleanza nel primo Tempio). Cfr. BRown, Giovanni, cit., pp.
70 gaetano lettieri
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«dimora eterna celeste, non fatta da mani d’uomo [
]», quindi all’eterno tabernacolo/corpo nel quale Dio starà presso
gli uomini.
57
58
Società editrice il Mulino,
Cfr. 2Cor 4,16-5,10.
Cfr. liu, Temple Purity in 1-2 Corinthians, cit., pp. 196-232, ove però non si
Bologna
connette la presenza dell’immagine del Tempio e l’invito alla purificazione in 2Cor
6,14-7,1 con 2Cor 3-4.
59
Cfr. 2Cor 5,14-21.
60
«Ciò che è tipico del sistema religioso paolino è che il sacro si manifesta non
in luoghi né in oggetti, né in un solo ceto di persone, ma esclusivamente in tutti i sin-
goli individui che hanno la fede [pistis] e che sono battezzati. Questa manifestazione
avviene non solo nel pneuma e nella psychê dell’uomo, ma anche nel suo corpo [sôma]»,
dEstRo, PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., p. 66.
tempus destruendi et tempus aedificandi 71
2.1. Gal 3,28 come esito dell’abbattimento delle divisioni del Tempio di Geru-
salemme
61
«Penso che Paolo sia consapevole […] che l’antica tradizione comprendeva
moniti solenni di Gesù sull’imminente distruzione di Gerusalemme e del Tempio.
Questo è l’evento che doveva verificarsi nel giro di una generazione», n.t. wRiGht,
Paul: Fresh Perspectives, London, Society for Promoting Christian Knowledge, 2005;
trad. it. L’apostolo Paolo, Torino, Claudiana, 2008, p. 75.
62
Cfr. l’intelligente saggio di P. FREdRiKsEn, Paul, Purity, and the Ekkl sia of
the Gentiles, in J. PastoR, m. moR (a cura di), Beginnings of Christianity. A collection of
Articles, Jerusalem, Yad Ben-Zvi Press, 2005, pp. 205-217, impegnato a comporre
lo scarto tra Paolo e la Legge e a sottolineare l’ossequio di Paolo nei confronti
del Tempio di Gerusalemme. Della Fredriksen, considero inappuntabili i rilievi
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metodologici sull’anacronismo storico, spesso utilizzato nel proporre un Paolo
liquidatore ante litteram della Legge e del Tempio; cfr. della stessa P. FREdRiKsEn,
Historical Integrity, Interpretive Freedom: The Philosopher’s Paul and the Problem of Ana-
Società editrice il Mulino,
chronism, in J.d. caPuto, l.maRtín alcoFF (a cura di), St. Paul among the Philo-
sophers, Bloomington-Indianapolis, Indiana University Press, 2007, pp. 61-73 (a
Bologna
partire dalle divergenti interpretazioni paoline di Origene e Agostino). Ma se certo
Paolo rimane intimamente giudaico e la sua concezione della redenzione rimane
essenzialmente dipendente dal Levitico, comunque mi paiono evidenti il suo ge-
sto di rottura nei confronti della Legge, dichiarata come effimera, e la sua stessa
del Tempio di Gerusalemme, tolto nel corpo carismatico dei morti/
resuscitati in Cristo. Per un’interpretazione coerente con quella della Fredriksen,
cfr. hoGEtERP, Paul and God’s Temple, cit., pp. 295-360, ove si cerca, a mio parere
piuttosto forzatamente, di argomentare a favore di un’interpretazione «inclusive»,
72 gaetano lettieri
piuttosto che «substitutionary» (p. 358) nel rapporto tra Tempio di Gerusalemme
e tempio carismatico della comunità paolina, espressione da interpretare metaforica-
mente/analogicamente, quindi con riferimento al Tempio di Gerusalemme; «the-
refore, metaphorical levels of thought about the Temple and cultic symbolism are
not necessarily in tension with the institution of the concrete Jerusalem Temple
in contemporary Jewish traditions» (p. 384). Se è vero che la spiritualizzazione pa-
olina dipende dalla realtà storica del Tempio ed è anticipata o condivisa da alcune
prospettive giudaiche non cristiane, le questioni aperte mi paiono essere: dopo
la crocifissione di Gesù, per Paolo, che crede nella sua resurrezione, il Tempio
rimane come luogo della presenza reale di Dio, quindi come luogo dell’autenti-
co sacrificio sacerdotale? Per Paolo le distinzioni topologiche permangono, o il
Tempio non è divenuto esso stesso realtà salvificamente effimera, superata? Non
condivido, pertanto, la tesi di fondo di Hogeterp, secondo la quale Paolo presente-
rebbe, nei confronti del Tempio, una posizione meno radicale di quella di Stefano,
in quanto di fatto affermerebbe il riconoscimento di un duplice, parallelo tempio/
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sistema di culto, uno concreto per i giudei, l’altro spirituale per i pagani.
63
«The point is that the language of the Temple, sacrifice and purity pervades
Paul’s letters and frequently influcences the way he thinks about himself, his converts
Società editrice il Mulino,
and his behaviour» (m. nEwton, The Concept of Purity at Qumran and in the Letters of
Paul, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, p. 53). Sui peccati sessuali e
Bologna
l’idolatria come capaci di rendere impura la comunità, producendo quindi la com-
promissione della sua natura di nuovo tempio dello Spirito, cfr. le pagine dedicate a
Paolo da Klawans, Impurity and Sin in Ancient Judaism, cit., pp. 150-155. «La metafo-
ra [della comunità come tempio di Dio] ha un parziale parallelo nei manoscritti di
Qumran, dove si trova applicata a quella comunità (1QS 8,5.8; 4Qflor 1,6). Superan-
do ogni idea religionista e pagana di uno spazio fisico sacrale, esente da forze nega-
tive e quindi privilegiato per stabilire l’accesso al divino, essa riconosce alla chiesa
come insieme umano di credenti le stesse caratteristiche di purezza che procurano
tempus destruendi et tempus aedificandi 73
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un ricongiungimento immediato con Dio», R. PEnna, Le prime comunità cristiane. Per-
sone, tempi, luoghi, forme, credenze, Roma, Carocci, 2011, p. 150.
64
65
Società editrice il Mulino,
Gal 3,26-28.
Sulla modalità (tramite umiltà, rinuncia e sovvertimento) dei «reversal» dei
Bologna
«markers of status» all’interno delle comunità protocristiane, in particolare paoline
(antigerarchiche e contrarie all’esclusivismo razziale), cfr. G. thEissEn, The Religion
of the Earliest Churches, Minneapolis, Fortress Press, 1999, pp. 63-71; e id., Vissuti e
comportamenti dei primi cristiani, cit., p. 382: «A differenza della ekklesia politica, nella
comunità cristiana [paolina o postpaolina] donne e schiavi godevano di pari diritti.
Gli stranieri avevano in essa uno status pienamente parificato. Essa era socialmente
aperta […] In Paolo esiste solo un organo particolarmente distinto, il membro più
debole, in base al quale tutti gli altri devono orientarsi (Rm 12,3ss.)».
74 gaetano lettieri
66
Su Gal 3,28, pagine profonde hanno scritto a. dEstRo, m. PEscE, Antropolo-
gia delle origini cristiane, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 142-146. Notevole l’interpreta-
zione proposta da walt, Paolo e le parole di Gesù, cit., pp. 317-326: Gal 3,28 è letto in
relazione non soltanto a brani dei vangeli canonici, ma anche al Vangelo di Tommaso
o alla Seconda Lettera di Clemente ai Corinzi. Interessante l’analisi di Gal 3,28 di uRciu-
oli, Un’archeologia del «noi» cristiano, cit., pp. 76-79, ove vengono discusse le opposte
interpretazioni di Veyne, per la quale Urcioli propende, e della Baslez, per la quale
personalmente propendo, in quanto se è vero (come sostiene Urcioli) che Paolo sta
annunciando una «realtà» comunitaria carismatico-escatologica non universalizzabile
e non sta certo proclamando i diritti universali dell’uomo, d’altra parte mi pare evi-
dente come questi non sarebbero mai nati se non come secolarizzazione di quella,
preparata dalla retroproiezione patristica del kerygma di uguaglianza/fratellanza uni-
versale, carismaticamente fruita nel Cristo dai soli credenti escatologico sulla nozio-
ne di natura umana, creata universalmente ad immagine di Dio dal Cristo creatore (e,
su questo processo, Urciuoli propone considerazioni originali e convincenti). Ma di
questo, altrove. Per un tentativo di evidenziare la rilevanza sociale e di fondo antige-
rarchica delle prospettive carismatiche paoline, cfr. d. odEll-scott, Paul’s Critique of
Theocracy: A Theocracy in Corithians and Galatians, New York, T&T Clark, 2003. Questa
prospettiva non comportava una cancellazione delle identità etniche e sociali, ma
un loro superamento etico e spirituale, che certo si differenziava da quello culturale
dominante nella società greco-romana: cfr. J.B. tucKER, You Belong to Christ: Paul
and the Formation of Social Identity in 1 Corinthians 1-4, Eugene, Or., Pickwick, 2010.
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Per un’originale lettura di Rm, interpretata come polemica paolina contro tenden-
ze presenti nelle comunità romane a intepretare la salvezza come dono «imperiale»
offerto da Dio soltanto ad alcuni, ma non agli ebrei, quindi per la restituzione della
Società editrice il Mulino,
cristologia paolina come profondamente politica, perché in conflitto contro modelli
politici della «divinità» imperiale, cfr. n. Elliot, Paul’s Political Christology: Samples from
Bologna
Romans, in K. EhREnsPERGER (a cura di), Reading Paul in Context: Explorations in Identity
Formation. Essays in Honour of William S. Campbell, London-New York, T&T Clark,
2010, pp. 39-51. Cfr. a. Badiou, Saint Paul. La fondation de l’universalisme, Paris, Puf,
1997, p. 113: «Ce qui importe, homme ou femme, Juif ou Grec, esclave ou libre, c’est
que les différences portent l’universel qui leur arrive comme une grâce». Se certo l’universale
di Paolo è elettivo e carismatico, ristretto ai credenti in Cristo che vivono di Spirito,
comunque la rivoluzione teologica paolina è davvero «invenzione» di una politica
(che l’occidente secolarizzerà, liberandola dalla limitazione confessionale, quindi po-
tempus destruendi et tempus aedificandi 75
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Purity?, in «Annali di storia dell’esegesi», 29, 2 (2012), pp. 53-82.
68
«In the use of temple imagery, Paul is differentiating his audience from the
surrounding society by promoting positive group identity and moral standards that
Società editrice il Mulino,
are compatible with their new status in-Christ», K.Y. lim, Paul’s Use of Temple Imagery
in the Corinthian Correspondence: The Creation of Christian Identity, in EhREnsPERGER (a
69 Bologna
cura di), Reading Paul in Context, cit., pp. 189-208, in partic. p. 204.
Per l’evidenziazione dello scarto a Corinto tra l’ideale progetto di Paolo
(fondare una comunità carismatica) e il suo esito soltanto parziale, se non fallimen-
tare (la realtà sociologica del contesto sociale frustra l’intenzione paolina), cfr. s.K.
stowERs, Kinds of Myth, Meals, and Power: Paul and the Corinthians, in R. camERon, m.P.
millER (a cura di), Redescribing Paul and the Corinthians, Atlanta, Society of Biblical
Literature, 2011, pp. 105-150: «The idea of a community is the idea of a highly inte-
grated social group based on a common ethos, practices, and beliefs. Paul preached
76 gaetano lettieri
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the gospel, people converted, and Paul welded them into a community. With this as-
Società editrice il Mulino,
sumption, Paul’s words in 1 Cor 1:10 become the basis for asking the question, How
did the Corinthian community become divided? What false doctrine from inside the
Bologna
community, or infiltrating from the outside, corrupted the community or seduced
a portion of it? […] In my view, two things are very clear from the evidence of the
Corinthian letters: first, Paul very much wanted the people to whom he wrote to be
a community, and he held a theory saying that God had miraculously made them into
a community “in Christ”; second, the Corinthians never did sociologically form a
community and only partly and differentially shared Paul’s interests and formation»,
pp. 108-109.
70
Ef 2,12-22.
tempus destruendi et tempus aedificandi 77
71
Flavius Ioseph., Bell. Iudaic. V 219.
72
«Questo era il primo cortile. Più all’interno, a non grande distanza, c’era il
secondo, cui si accedeva salendo pochi gradini e che era recintato da un recinto
marmoreo recante una scritta che proibiva l’ingresso agli stranieri, sotto pena di
morte [
] […] Più all’interno di questo corti-
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le, il tempio non era accessibile alle donne [
]. Ancora più all’interno c’era un terzo cortile, dove era permesso entrare
soltanto ai sacerdoti. Qui c’era il santuario con davanti un altare sul quale venivano
Società editrice il Mulino,
offerti a Dio degli olocausti», Flavius Ioseph., Antiquitat. XV 5,417-420. Sulla topo-
grafia del Tempio di Gerusalemme, illustrata anche attraverso il qumranita Rotolo del
Bologna
Tempio e riferimenti alla letteratura rabbinica, e su liturgia e ierocrazia templari, cfr.
la descrizione dettagliata della struttura del Tempio di sandERs, Il giudaismo, cit., pp.
74-95; J. maiER, Zwischen den Testamenten. Geschichte und Religion in der Zeit des zweiten
Tempels, München, Echter Verlag, 1990, trad. it. Il giudaismo del secondo Tempio. Storia e
Religione, Brescia, Paideia, 1991, pp. 280-282, 288-291, 294-296. Sull’identificazione
di fragmou con il muro intermedio/recinto di separa-
zione del Tempio, cfr. m. BaRth, The Broken Wall: A Study of the Epistle to Ephesians,
Vancouver, Regent College Publishing, 1959, 20022, in partic. pp. 39-51; c. mcma-
78 gaetano lettieri
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han, «The Wall is Gone!», in «Review and Expositor», 93, 2 (1996), pp. 261-266; la
complessa e zetetica analisi di E. BEst, A Critical and Exegetical Commentary on Ephe-
Società editrice il Mulino,
sians, London-New York, T&T Clark, 1998, pp. 243-261; e m. KitchEn, Ephesians,
London-New York, Routledge, 1994, pp. 64-69. Critico nei confronti di quest’inter-
Bologna
pretazione, ma a mio parere senza essere convincente, h.w. hoEhnER, Ephesians: An
Exegetical Commentary, Grand Rapids, Baker, 2002, pp. 368-371 (che il Tempio e le
sue articolazioni fossero ancora in piedi, quando Paolo scriveva Ef (lettera che con-
sidero, invece, deuteropaolina), è uno degli argomenti portati contro l’identificazione
del muro di separazione con quello che separava Cortile dei pagani da Cortile degli
ebrei!).
73
Che l’opposizione schiavo/libero abbia soprattutto un significato etnico-
religioso, e soltanto secondariamente sociale, è provato dall’immediata prosecuzio-
tempus destruendi et tempus aedificandi 79
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si, poi, alla fondamentale profezia universalistica di Is 56,5-8 rivolta «agli stranieri
[sec. LXX: ]»: questi, sottomessi al vero Dio e disposti a divenire
suoi «servi [ ]», amando «il nome del Signore», saranno ammessi «sul monte
Società editrice il Mulino,
santo di Dio» e a loro, con gli stessi impuri eunuchi che comunque onorano Dio e
la Legge, Dio riserverà «un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie [
Bologna ] […] I loro olocasuti e i loro sacrifici sa-
liranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera pr
tutti i popoli [ ]».
La prospettiva paolina evidentemente reinterpreta messianicamente la profezia di
Isaia.
74
Nel giudaismo del I secolo, il muro/recinto di separazione ( ) era
identificato con la Legge o con la Legge orale che i farisei, costruttori del muro,
edificavano intorno alla Torah. Cfr. hoEhnER, Ephesians, cit., pp. 370-371.
80 gaetano lettieri
76
2Cor 3,17-18 e 4,4e6.
82 gaetano lettieri
mente «già» risorti dei credenti il dono escatologico (la cui pienezza
sarà realizzata soltanto nella prossima fine dei tempi) di accogliere
in loro stessi la presenza di Dio77. Il corpo pneumatico è al tempo
stesso luogo carnale di teofania e identità sociale estatica, che vive
il rapporto con il divino non più come assicurazione rituale, ma
come espropriazione radicale: Dio non assicura l’essere nel mondo
della comunità religiosa, ma la trascina al di fuori di esso, nell’atte-
sa del «Vieni» messianico, che può essere anticipato soltanto nella
solidarietà spirituale di corpi (le pietre del nuovo Tempio), che si
riconoscono e si sostengono, visitati dallo Spirito. Essere Tempio si-
gnifica vivere questa fuoriuscita dall’ambito della religione pubblica
(giudaica e pagana), fruendo di una nuova identità separata, eppure
universalmente, freneticamente accogliente l’altro (un’identità di di-
versi): un transito dal mondo a una nuova incorporazione liturgico/
templare, che integra separando78 dal peccato e dall’impurità morale,
trovando la sua unità nello Spirito e nell’amore reciproco che ne
rivela l’azione trasfigurante. Un Tempio estatico davvero parados-
sale, disseminato nel reticolato quasi invisibile di microcomunità,
carnale eppure «non fatto da mani d’uomo [ ]», vivente
soltanto di un acceso desiderio condiviso, che si crede operato dallo
Spirito, dalla Presenza di Cristo che viene! Per l’edificazione di que-
sto nuovo Tempio, Paolo predica, «esercitando l’ufficio sacro del
vangelo di Dio, perché i pagani divengano un’oblazione gradita, san-
tificata dallo Spirito Santo [ ,
]», Rm 15,16.
Eppure, il fondamento di questa nuova alleanza pneumatico-sa-
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crificale rimane l’irrevocabile elezione di Israele, pure in parte provvi-
], Bologna
conformi all’Immagine del Figlio suo [
perché egli sia il primogenito [ ] tra molti fratelli», Rm 8,29.
78
Cfr. m. PEscE, Le due fasi della predicazione di Paolo. Dall’evangelizzazione alla guida
della comunità, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1994, pp. 241-244: «La chiesa è essen-
zialmente una realtà liturgica […] Come luogo dell’anticipazione dell’eschaton la chie-
sa pretende di essere uscita dalla “storia” (da “questo eone” secondo il linguaggio
gudaico paolino), la chiesa è luogo di attesa, ma anche di sperimentazione, dell’uscita
dalla storia. Sociologicamente essa è perciò il luogo della marginalizzazione del credente».
tempus destruendi et tempus aedificandi 83
79
Ricordo che il brano citato da Paolo chiude il canto del servo sofferente del
Deutero-Isaia: «Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto in-
nalzato. Come molti si stupiranno di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo
aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – così si meraviglieranno
di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto
mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito», Is 52,13-15.
Sull’interpretazione del Servo sofferente del Deutero-Isaia come «priestly figure»,
cfr. BaRBER, The New Temple, cit., p. 116; e J.w. adams, The Performative Nature and
Function of Isaiah 40-55, New York, T&T Clark, 2006, pp. 203-206.
80
Cfr. sandERs, Jerusalem and its Temple in Early Christian Thought and Practice, cit.,
pp. 97-100. Dell’interpretazione di Sanders, mi lascia perplesso un solo particolare:
affermare che Paolo «did not apply his Christology [espiatoria] to the question of
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Temple worship. He says nothing against it», ibidem, p. 99. Ma se, per Paolo, soltanto il
sacrificio di Gesù Cristo è l’espiazione universale dei peccati, quale ruolo sacro, quale
portata espiatoria potevano conservare i sacrifici del Tempio? Così, l’interpretazione
Società editrice il Mulino,
proposta da Sanders dell’entrata all’interno del Tempio di Paolo in compagnia di al-
cuni pagani, come prova del suo pieno riconoscimento del sistema di culto templare
Bologna
(cfr. ibidem, p. 100), mi pare assai debole; come poteva egli ammettere come piena-
mente validi culto e sacrifici del Tempio, violandone le regole di sacralità, profanan-
dolo con l’introduzione di pagani/ ? Mi pare invece convincente l’affermazio-
ne che Paolo interpretasse il pellegrinaggio dei pagani/cristiani a Gerusalemme e al
Tempio come realizzazione delle profezie escatologiche (cfr. ibidem, p. 102; anche E.P.
sandERs, Paul, the Law, and the Jewish People, Minneapolis, Fortress Press, 1983, London,
SCM, 1985, II ed., pp. 171-173 e 199-200), ma nel senso che era la chiesa carismatica a
togliere in sé il vecchio culto del Tempio, introducendo nel suo involucro ormai vuoto
84 gaetano lettieri
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create tutte le cose [ ], quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le
cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e
del corpo [
Società editrice il Mulino,
tutte le cose sussistono in lui [ ]. Egli è anche il capo
], cioè della Chiesa; il principio [ ], il primoge-
Bologna
nito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Per-
ché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza [ ]e per mezzo
di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè
per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli», Col 1,15-20.
82
Per l’approfondimento dei temi superficialmente affrontati in questo capito-
lo, rimando a G. lEttiERi, Materia mistica. Spirito, corpi, segni nei cristianesimi delle origini,
cap. II, L’ultimo nel primo. L’«uomo ad immagine e somiglianza» nelle antropologie protocristia-
ne, in corso di stampa.
tempus destruendi et tempus aedificandi 85
copyright © 20by
83
Cfr. ibidem, capitolo II, L’ultimo nel primo, in partic. par. 1.4, e cap. V, Topos
84
Società editrice il Mulino,
atopos dal Nuovo Testamento allo Pseudo-Dionigi, in partic. par. 5.
Cfr. a.R. KERR, The Temple of Jesus’ Body: The Temple Theme in the Gospel of John,
Bologna
Sheffield, Sheffield Academic Press, 2002, in partic. il cap. A New Centre of Worship:
John 4.16-24, pp. 167-204. Sulla prospettiva fortemente conflittuale che caratterizza
la restituzione giovannea dei rapporti tra Gesù e il Tempio, cfr. le importanti consi-
derazioni di dEstRo, PEscE, Forme culturali del cristianesimo nascente, cit., pp. 159-170,
soprattutto pp. 160-161.
85
Per un’analisi sistematica del passo e della relativa bibliografia, rimando a
lEttiERi, Materia mistica, cit., cap. III, Il corpo di Dio. La mistica erotica del «Cantico dei
cantici» dal «Vangelo di Giovanni» ai Padri, in partic. par. 3.5.
86 gaetano lettieri
Eppure quello che opera una vera rivoluzione nella strutturazione del
cristianesimo primitivo è, come si diceva nel caso delle lettere deute-
ropaoline, il raddoppiamento ontologico della rivelazione escatologi-
ca, di cui il Prologo giovanneo, quindi l’Epistola agli Ebrei sono straor-
dinari testimoni. Essi riattingono le tradizioni giudaiche sul Tempio
celeste o sulla sacerdotale dimensione predestinata, quindi in qualche
modo preesistente del Figlio dell’uomo, per fonderle con prospettive
sapienziali, influenzati da tentativi giudaico-ellenistici di convergenza
tra Bibbia e filosofia platonica (si pensi a Filone)86.
Proprio questa letterura sapienziale, protologica, ontologica di Cri-
sto-Tempio, eterna Immagine del Padre, Logos rivelatore ontologico
ed escatologico, Parola creatrice e apocalittica, potenzia enormemente
la pretesa veritativa del kerygma, consentendone una traduzione, de-
formante, eppure universalizzante, di tipo filosofico. Mi limito a qual-
che citazione. L’Epistola a Flora del valentiniano Tolomeo, a partire
dall’Epistola agli Ebrei, interpreta allegoricamente il culto del Tempio
giudaico come rivelazione criptica dell’eterno pleroma divino, quindi
della generazione di Gesù come Redentore eterno, Sommo Sacerdote
e al tempo stesso «Vittima», chiamata a discendere e a ricongiungersi
con il corpo elettivo celeste decaduto degli gnostici, «impersonificati»
da Sophia. Lo Spirito è divenuto essere, il Tempio carismatico è il
riflesso di un Tempio eterno (il pleroma), il Messia sacerdotale e la
vittima sacrificale sono l’unico , Frutto divino, che la fede elet-
ta di Flora riuscirà a «far venire» in lei, scoprendosi eone divino, ente
spirituale perché logico, persona eternamente partecipe della liturgia
mistica87. Gli stessi grandi sistemi teologici di Clemente e di Origene
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propongono una sistematica allegorizzazione del Tempio, interpreta-
to come Luogo ontologico assoluto del Logos, nel quale le creature
Società editrice il Mulino,
86
Bologna
Cfr. R. P
neotestamentaria,
Enna , I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia
vol. II, gli sviluppi, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1999, cap.
IV, La lettera agli Ebrei, pp. 265-328, in partic. il par. 4, (Sommo) Sacerdote, pp. 293-319;
E.F. mason, «You Are a Priest Forever». Second Temple Jewish Messianism and the Priestly
Christology of the Epistle to the Hebrews, Leiden, Brill, 2008, in partic. pp. 8-38.
87
Per un’analisi sistematica di questo testo capitale, primo trattato cristiano di
ermeneutica biblica, rinvio a G. lEttiERi, Il frutto nascosto. Ontologia delle Scritture e So-
phia cifrata nell’Epistola a Flora di Tolomeo gnostico, d’imminente pubblicazione.
tempus destruendi et tempus aedificandi 87
88
Cfr. G. lEttiERi, Lattanzio ideologo della svolta costantiniana, in A. mElloni (a
cura di), Costantino I. Enciclopedia costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del
cosiddetto editto di Milano. 313-2013, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2013,
vol. II, pp. 45-57.
88 gaetano lettieri
89
m. sachot, L’invention du Christ. Genèse d’une religion, Paris, Odile Jacob, 1998,
trad. it. La predicazione del Cristo. Genesi di una religione, Torino, Einaudi, 1999, p. 158,
cfr. pp. 158-163.
tempus destruendi et tempus aedificandi 89
Per unBologna
«pio» Costanzo) in un Impero pagano governato da tetrarchi tiranni e persecutori.
93
confronto tra la prospettiva varroniana del rapporto tra religio e civitas,
messa in tensione con quella agostiniana, cfr. G. lEttiERi, Riflessioni sulla teologia poli-
tica in Agostino, in P. BEttiolo, G. FiloRamo (a cura di), Il dio mortale. Teologie politiche
tra antico e contemporaneo, Brescia, Morcelliana, 2002, pp. 215-265; G. lEttiERi, Sacri-
ficium civitas est. Sacrifici pagani e sacrificio cristiano nel De Civitate Dei di Agostino, in
«Annali di Storia dell’Esegesi», 19/1 (2002), pp. 127-166; id., Civitas in Agostino, in
«Parola, Spirito e Vita», 50 (2004), pp. 181-211.
tempus destruendi et tempus aedificandi 91
94
copyright © 20by
Cfr. J. RüPKE, Die Religion der Römer. Eine Einführung, München, Verlag C.H.
Beck, 2001, pp. 132-136.
95
Società editrice il Mulino,
Cfr. le citazioni varroniane in Aug., civ. VI 2-9; VII,1-6; VII,17-28, in partic.
il fondamentale capitolo 17.
96
Bologna
Scrive François Jacques, facendo riferimento a Cicerone: «Tout compor-
tement social, tout acte communautaire comprenait nécessairement une compo-
sante religieuse, et vice versa. Une métaphore, déjà employée par les anciens (par
exemple Cicéron, Lois 1, 7, 23; 2, 10, 26) aide à comprendre l’imbrication du po-
litique et du religieux; d’après cette représentation la cité est le lieu et l’expression
d’un synécisme des dieux et des hommes. C’est pour cette raison que tout acte
exprimant la volonté de cette communauté d’hommes et de dieux renvoient aux
deux groupes de citoyens qui la composent», F. JacquEs, J. schEid, Rome et l’intégra-
92 gaetano lettieri
tion de l’Empire. 44 av. J.-C. – 260 ap. J.-C., t. I, Les structures de l’empire romain, Puf,
Paris, 1990, p. 112.
97
Cfr. Aug., civ. VII 6, e soprattutto 23.
98
J. schEid, La religione a Roma, Roma-Bari, Laterza, 1983, IV ed. 2004, p. 162.
99
Esponente estremista, ma intelligente della tesi di Costantino come cristiano
«tollerante» e rispettoso della coesistenza tra cristianesimo e paganesimo, è h.a.
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dRaKE, Lambs into Lions: Explaining Early Christian Intolerance, in «Past and Present»,
153 (1996), pp. 3-36, in partic. pp. 19-22; cfr. id., Constantine and Consensus, in «Church
History», 44 (1995), pp. 1-15; e soprattutto id., Constantine and the Bishops. The Politics
Società editrice il Mulino,
of Intolerance, Baltimore, John Hopkins University Press, 2000, che sottolinea come,
contro ogni intolleranza chiesastica e il radicalismo violento di vescovi e monaci, Co-
Bologna
stantino, guidato dall’imperativo prioritario di creare consenso politico, rifiutasse il
ricorso alla coercizione religiosa e ammettesse piena libertà di scelta religiosa. Ma un
politico straordinario come Costantino poteva sensatamente rovesciare le persecu-
zioni anticristiane in persecuzioni antipagane, che avrebbero dovuto colpire la netta
maggioranza della popolazione dell’Impero? Non è un vero e proprio anacronismo
storico quello che ci induce a salutare come testimonianza di tolleranza una politica
pragmatica, intenta a «normalizzare» e rendere accettabile anche ai sudditi pagani
una vera e propria rivoluzione religiosa, comunque nettamente perseguita?
tempus destruendi et tempus aedificandi 93
100
Cfr. Eus., v.C. II 48,1-60,2.
101
Cfr. Eus., v.C. II 56,1-2, in partic.: «Si tengano pure, se credono, i santuari
della falsità [ ]».
102
Cfr. G.G. stRoumsa, Tertullian on Idolatry and the Limits of Tolerance, in G.G.
stRoumsa, G.n. stanton (a cura di), Tolerance and Intolerance in Early Judaism and Chris-
tianity, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 173-184, trad. it. in G.G.
stRoumsa, La formazione dell’identità cristiana, Brescia, Morcelliana, 1999, cap. VIII,
Tertulliano, l’idolatria e i limiti della tolleranza, pp. 167-179; e, più in generale, m. maRcos,
Persecution, Apology and the Reflection on Religious Freedom and Religious Coercion in Early
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Christianity, in «Zeitschrift für Religionswissenschaft», 20 (2012), pp. 35-69.
103
Cfr. Editto ai provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 60,1, nella trad. di l. FRanco (a
cura di), Eusebio di Cesarea. Vita di Costantino, Milano, BUR, 2009, p. 223: «le convinzio-
Società editrice il Mulino,
ni che ciascuno nutre e delle quali è persuaso, non siano il mezzo per recare offesa ad
altri; ciò che ognuno sa e di cui è convinto, se è possibile, sia di giovamento al prossi-
Bologna
mo, e se ciò invece non è possibile, è meglio lasciar perdere [
una cosa è impegnarsi volontariamente nella lotta per l’immortalità [
]. Infatti
105
«Il passaggio alla nuova epoca si manifestò nel modo più evidente con la
sparizione dei sacrifici. Da sempre essi erano la manifestazione più potente della
vivacità dei culti pagani […] In una legge del 319, Costantino definì la lettura delle
viscere dei sacrifici un pratica superstiziosa e, in seguito, nel 323, definì tale l’atto del
sacrificio stesso. Per i cristiani che ricoprivano incarichi pubblici fu abolito l’obbligo
di fare sacrifici. Non potevano essere costituiti nuovi culti sacrificali, alcuni templi
furono chiusi o addirittura distrutti, per presunta prostituzione sacra o per il recu-
pero di luoghi originariamente cristiani […] Nonostante la maggior parte dei luoghi
di culto pubblici continuasse a esistere, l’ardore dei sacrifici si spense nel corso del
decennio del 320 […] Le idee pagane non erano (ancora) scandalose, ma le pratiche
pagane suscitavano disapprovazione […] Offrire sacrifici non era più opportuno»,
PFEilschiFtER, Il Tardoantico, cit., p. 49. Notevole la sintesi di G. BonamEntE, La «svol-
ta costantiniana», in E. dal covolo, R. uGlionE (a cura di), Chiesa e Impero. Da Augusto
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a Giustiniano, Roma, Las, 2001, pp. 145-170. Cfr., infine, a. FRaschEtti, La conversione.
Da Roma pagana a Roma cristiana, Bari-Roma, Laterza, 1999.
106
Cfr. Editto ai Provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 55,1-56,1.
107
Società editrice il Mulino,
Sull’autenticità della fede di Costantino e sulla novità della sua concezione
provvidenzialistica del rapporto tra divino e potere imperiale, che imponeva di inter-
Bologna
pretare il proprio potere come al servizio del geloso Dio onnipotente dei cristiani,
trovo convincente l’interpretazione di P. vEYnE, Quand notre monde est devenu chrétien
(312-394), Paris, Albin Michel, 2007, pp. 108-116. Considero, in proposito, ancora
fondamentale il volume di t.d. BaRnEs, Constantine and Eusebius, Cambridge, Mass.,
Harvard University Press, 1981; cfr. l’Epilogue, pp. 272-275. Molto equilibrato il bi-
lancio di G. Rinaldi, Cristianesimi nell’antichità. Sviluppi storici e contesti geografici (Secoli
I-VIII), Chieti-Roma, Edizioni GBU, 2008, il cap. X, La svolta filocristiana dell’Impero.
L’età di Costantino, pp. 643-679.
tempus destruendi et tempus aedificandi 95
108
EdittoBologna
ai Provinciali d’Oriente, in Eus., v.C. II 55,2, nella trad. di l. F
Ranco, cit.,
p. 219.
109
Ibidem. «Quelli distruggevano fin dalle fondamenta i luoghi di preghiera, de-
molendoli da cima a fondo, mentre egli decretava di rendere più imponenti gli edifici
già esistenti e di innalzarne di nuovi con grande magnificenza, attingendo allo stesso
tesoro imperiale», Eus., v.C. III 1,4, trad. di l. FRanco, cit., p. 245.
110
Cfr. sachot, La predicazione del Cristo, cit., il cap. II, Il cristianesimo, religione
96 gaetano lettieri
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re, inaugurando quella cristianità costantiniana certo antitetica alla nozione liberale e
democratica di piena autonomia del politico rispetto a qualsiasi pre-potente e intol-
lerante ipoteca religiosa. Nelle tesi di Veyne, mi lascia, piuttosto, molto perplesso la
Società editrice il Mulino,
restituzione idealizzata, vaporosa e «tollerante» della religione pagana, che in realtà
risultava come elemento decisivo e ideologicamente funzionale del potere politico
Bologna
(religio civilis), quindi come sua sacralizzazione (violentemente ribadita dalla «riaffer-
mazione» tetrarchica della religio tradizionale); cfr., in tal senso, G. FiloRamo, La croce
e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari, Laterza, 2011, cap. La religione
politica dell’Impero romano, pp. 3-42, in partic. pp. 13-17. Insomma, se è vero che il
Dio cristiano, con Costantino, ha cominciato a pesare pre-potentemente su Cesare,
d’altra parte Cesare già pesava violentemente sulla società romana, anche tramite la
religione pagana, macchina di consenso ideologico a una struttura politica, sociale,
culturale senza dubbio violenta, imperialista, bellicista, schiavista (certo ereditata dal-
tempus destruendi et tempus aedificandi 97
la cristianità costantiniana); si pensi alla decostruzione del mito di Roma intrapresa dal
De civitate Dei agostiniano. Sicché, certo con il passare dei secoli, mi chiedo se proprio
la subordinazione gerarchica del potere politico a un potere assoluto trascendente,
che comunque imponeva storicamente almeno la mira di ideali evangelici, non abbia
favorito, in Occidente, il processo (in prospettiva anticostantiniano) di desacralizza-
zione del potere, quindi di affermazione di valori politici ispirati a valori evangelici,
irriducibilmente kenotici, escatologici, caritatevoli-disseminativi (che, con Nietzsche,
potremmo definire protodemocratici). Cfr. lEttiERi, Un dispositivo cristiano nell’idea di
democrazia?, cit.
112
Per la centralità del modello messianico davidico nell’identificazione dell’in-
vestitura divina, che tende appunto a sovrapporre la dimensione sacerdotale su quel-
la regale del potere imperiale, quindi sulla natura provvidenziale della sua trasmis-
sione, cfr. G. dRaGon, Empereur et prêtre. Étude sur le «césaropapisme» byzantin, Paris,
Gallimard, 1995, in partic. p. 21, e cfr., su Costantino, l’intero cap. IV.
113
Considero definitivo il bilancio di Manlio Simonetti, per il quale Costantino
realizzò «in brevissimo tempo la completa integrazione della struttura della chiesa
in quella ben più vasta e complessa, anche se per vari aspetti fatiscente, dell’Impero,
un processo di vera e propria simbiosi tra i due organismi, sotto la guida unificante
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dell’imperatore […] Eusebio interpretò la carismatica figura di Costantino, novello
Mosè, quale immagine terrena del re celeste, il Logos divino, e perciò un suo rappre-
sentante in terra e l’Impero che si avviava a diventare cristiano quale la realizzazione
Società editrice il Mulino,
del regno messianico vagheggiato dai profeti dell’AT. In questo modo veniva subi-
to sanzionata, a livello di teoria, la presa di potere che Costantino aveva realizzato
Bologna
nei confronti della chiesa, cominciando a operare, già l’indomani dell’emanazione
dell’editto di Milano, quale suo capo effettivo […] Non meravigli la subitaneità e la
mancanza di opposizione che caratterizzarono la presa di potere dell’imperatore su
una chiesa che fino a pochi decenni prima avvertiva nell’autorità dello stato un tradi-
zionale nemico. In effetti, stante la dimensione piramidale dell’organizzazione statale
romana, al vertice, cioè nell’imperatore, si assommava unitariamente tutto il potere,
del quale, come sappiamo, la componente religiosa rappresentava parte non secon-
daria e alla quale egli presiedeva nella qualità di pontifex maximus. Era perciò quanto
98 gaetano lettieri
mai naturale che, messa fine all’ostilità plurisecolare che l’Impero aveva manifestato
nei confronti della chiesa e chiamata finalmente la chiesa a integrarsi nell’organismo
statale, anche di essa l’imperatore assumesse la suprema autorità, diventandone il
capo effettivo, non solo di fatto ma anche di diritto […] naturale parve, sia a lui sia ai
diretti interessati, l’estensione alla comunità cristiana dell’autorità che egli deteneva
nell’ambito della religione pagana», m. simonEtti, Il vangelo e la storia. Il cristianesimo
antico (secoli I-IV), Roma, Carocci, 2010, pp. 193-194. Sulla centralità del modello
mosaico, nella restituzione teologico-politica eusebiana di Costantino, cfr. m. amE-
RisE, Costantino il «nuovo Mosè», in «Salesianum», 67 (2005), pp. 671-700, ove si mette
in rilievo la dipendenza della Vita Constantini eusebiana dalla Vita Mosis di Filone
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d’Alessandria.
114
Sulla caratterizzazione imperiale dell’ultima fase della religione romana, pa-
radossalmente capace di favorire il successo del cristianesimo e la sua riconfigurazio-
Società editrice il Mulino,
ne in esso, cfr. schEid, La religione a Roma, cit., cap. IV, La nuova religione, pp. 139-153.
Sul potere imperiale trionfante convertito come modello per la redifinizione della
Bologna
teologia della storia cristiana, cfr. lEttiERi, Lattanzio ideologo della svolta costantiniana,
cit.; e G. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, in mElloni (a cura
di), Costantino I, cit., vol. II, pp. 163-175, in partic. p. 168.
115
In tal senso, sarebbe interessante discutere le tesi dello stimolante volume
di a. BREnt, The Imperial Cult and the Development of Church Order. Concepts and Images
of Authority in Paganism and Early Christianity before the Age of Cyprian, Leiden-Boston-
Köln, Brill, 1999; la chiesa protocattolica si definirebbe, sin dal II secolo, in un rap-
porto di rivalità e imitazione con il culto imperiale.
tempus destruendi et tempus aedificandi 99
tino assume come icona simbolica del nuovo potere divino; senza
dimenticare che, a distanza di quattro secoli, singolarmente la croce
diverrà l’unico segno sacro iconoclasta, brandito contro l’iconodu-
lia. Clamorosa è, nella Vita di Costantino, la descrizione della vera e
propria iniziazione misterica alla rivelazione teofanica, cui Eusebio è
introdotto dall’imperatore carismatico, che ritiene un «suo» vescovo
degno della visione della scaturigine miracolosa del potere assoluto
cristiano. La croce era prima apparsa in visione, poi riapparsa in so-
gno116, quindi celebrata come «eucaristica presenza reale» tramite una
preziosissima riproduzione, icona finalmente manifestata ad Eusebio
dall’imperatore liturgo:
gli si palesò un segno divino assolutamente straordinario [
] […] in mezzo al cielo un trofeo luminoso
a forma di croce che sovrastava il sole e, accanto a esso, una scritta che
diceva: «Vinci con questo [ ]» […] In sogno gli si mostrò Cri-
sto, Figlio di Dio, con il segno che era apparso nel cielo e gli ordinò di
costruire un oggetto a immagine [ ] del segno che si era palesato in
cielo e di servirsene come protezione nei combattimenti contro i nemici.
Appena fu giorno, si alzò e svelò l’arcano [ ] agli amici. Poi,
convocati alcuni orefici e artigiani delle gemme, si mise a sedere in mezzo
a loro, descrisse l’aspetto del segno [ ] e ordinò di
riprodurlo in oro e pietre preziose. Un giorno, l’imperatore in persona,
anche perché così piacque a Dio [ ], ci fece la
concessione [ ] di porre questo oggetto sotto i nostri stessi occhi.
Esso si presentava in questa forma: era una lunga asta rivestita d’oro, con
un braccio trasversale che formava una croce. In alto, sulla sommità di
tutto l’insieme, era fissata una corona intrecciata di pietre preziose e oro,
sulla quale due lettere, che indicavano il nome di Cristo attraverso i due
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primi caratteri, alludevano al titolo del Salvatore, un rho che si intersecava
esattamente nel mezzo di un chi; in seguito, l’imperatore prese l’abitudine
Società editrice il Mulino,
zione con la Bologna
116
Sulla questione della storicità del sogno fatale di Costantino, della sua rela-
precedente epifania onirica di Apollo presso Grand, infine con il rap-
porto delle opere di Eusebio con la sua notizia, non presente nell’Historia Ecclesiastica,
quindi appresa direttamente dalle parole dell’imperatore soltanto dopo il 324, trovo
condivisibili il bilancio e le considerazioni avanzati da l. canEtti, «Commonitus in
quiete». La visione di Costantino tra oracoli e incubazione, in J. vilElla masana (a cura di),
Constantino, ¿el primer emperador cristiano? Religió y política en el siglo IV, Barcelona, Publi-
cacions i Edicions de la Universitat de Barcelona, 2015, pp. 71-88.
100 gaetano lettieri
di portare queste due lettere incise sull’elmo. Sul braccio trasversale, che
stava confitto nell’asta, era appeso un tessuto: un drappo regale ricoperto
di una varietà di pietre preziose saldate insieme che emanavano bagliori
di luce, riccamente intessuto d’oro, che offriva agli sguardi uno spetta-
colo di indicibile bellezza [
] […] L’asta verticale riportava sotto il trofeo della croce l’im-
magine dell’imperatore caro a Dio, riprodotta in oro [
] accanto a quella dei suoi figli […] L’imperatore
fece sempre ricorso a questo segno salvifico come baluardo contro ogni
forza avversa e nemica [
] e ordinò che copie di esso fosse-
ro messe alla testa di tutti i suoi eserciti [
]117.
«A gran voceBologna
di Costantino, Discorso per il trentennale. Discorso regale, Milano, Paoline, 2005, p. 154:
e con stele, mostrò a tutti gli uomini il segno datore di vittoria [
], innalzando nel centro della città regale [Roma]
questo grande trofeo su tutti i nemici, segno immutabile, senza dubbio, e salvifico
dell’Impero romano e protettore del potere universale [
]», 9,8.
119
Eus., v.C. I 41,1.
tempus destruendi et tempus aedificandi 101
120
Cfr. Eus., v.C. IV 21, trad. di FRanco, cit., p. 367: «Ora sulle armi stesse fece
imprimere il simbolo del trofeo salvifico e non fece più scortare l’esercito in armi
dai simulacri aurei degli dèi, come si usava in passato, ma unicamente dal trofeo
salvifico».
121
Cfr. Eus., h.e. X 9,10-11.
122
«L’errore di quei presuntuosi era grande anche riguardo al demone della
Cilicia e in migliaia erano irretiti da esso, nella convinzione che fosse un salvatore e
un medico […] mentre era, al contrario, un distruttore di anime, che trascinava via
dal vero Dio e attirava nell’errore del paganesimo quanti erano propensi a farsi trarre
in inganno. Costantino prese la risoluzione migliore e, facendosi forte del “Dio ge-
loso” quale autentico Salvatore, ordinò che anche quel tempio [di Asclepio ad Aigai,
in Cilicia] fosse distrutto sin dalle fondamenta», Eus., v.C. III 56,1. In riferimento
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alle scissioni e alle agitazioni della chiesa di Antiochia, Eusebio sottolinea il provvi-
denziale ruolo di pacificatore di Costantino, riconoscendolo proprio come salvatore
e medico delle anime, quindi con quegli epiteti che erano stati negati ad Asclepio
Società editrice il Mulino,
poche pagine sopra: «Ancora una volta l’imperatore, con la pazienza di un salvatore
e medico delle anime, offrì agli ammalati la cura mediante le sue parole», Eus., v.C.
Bologna
III 59,3. Cfr. u. GottER, Rechtgläubige-Pagane-Häretiker. Tempelzerstörungen in der Kirchen-
geschichtsschreibung und das Bild der christlichen Kaiser, in J. hahn, s. EmmEl, u. GottER
(a cura di), From Temple to Church. Destruction and Renewal of Local Cultic Topography
un Late Antiquity, Leiden-Boston, Brill, 2008, pp. 43-89, in partic. pp. 48-49; P.w.l.
walKER, Holy City, Holy Places? Christian Attitudes to Jerusalem and the Holy Land in the
Fourth Century, Oxford, Oxford University Press, 1990, pp. 93-120; R. wilKEn, The
Land Called Holy. Palestine in Christian History and Thought, New Haven, Yale University
Press, 1992, pp. 93-100.
102 gaetano lettieri
123
Eus., l.C. 7,12, trad. di m. amERisE (a cura di), Eusebio di Cesarea. Elogio di
Costantino, cit., p. 145; cfr. 2 e 4,2-4, su Costantino come imago Dei imitatrice del
Logos. cfr. h.e. X 7,1. Sulla portata messianica del Costantino eusebiano, cfr. h.
BERKhoF, Die Theologie des Eusebius von Caesarea, Amsterdam, Uitgeversmaatschappij
Holland, 1939, pp. 58-60. «This language of a restored and resplendent city with a
new temple in her midst drew upon the biblical prophets of Jewish restoration, as
Eusebius intended. For the restored Jerusalem cohered theologically and politically
with Eusebius’ presentation of Constantine himself, the first Christian emperor
and thus, as God’s chosen one, a non apocalyptic messiah. Isaiah’s praises of the
eschatological peace divinely established at the end of days thus transmute in
Eusebius’ rhetoric to descriptions of Constantine’s government: the Kingdom of
God had arrived on earth in the form of the Pax Romana Christiana», P. FREdRiKsEn,
The Holy City in Christian Thought, in n. RosovsKY (a cura di), City of the Great King.
Jerusalem from David to Present, Cambridge-London, Harvard University Press, 1996,
pp. 74-92 e pp. 479-483, in partic. p. 85.
124
Eus., h.e. X 9,6-7. «Tutti i territori che si trovavano sottoposti a Roma venne-
ro riuniti: i popoli dell’oriente divennero una sola cosa con quelli della parte occiden-
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tale e sotto un’unica autorità comune a tutti, l’intero corpo dello Stato fu regolato dal
potere monarchico, che giungeva ovunque, come da una testa [
]; i raggi
Società editrice il Mulino,
splendidi della luce della fede dispensavano giorni luminosi a coloro che prima gia-
cevano nella tenebra e nell’ombra della morte […] Splendido nell’integrità della sua
Bologna
fede, l’imperatore vittorioso […] accentrò sotto di sé un’unica autorità, salda come ai
tempi dell’antica Roma e iniziò ad annunziare a tutti il regno di Dio, governando egli
stesso con il potere assoluto della signoria di Roma ogni aspetto della vita», v.C. II
19,1-3, trad. di FRanco, cit., p. 183 e 185. Così, in III 1,8, Eusebio pare ricorrere per-
sino a una parafrasi di alcuni passi del Prologo giovanneo, per esaltare la liberazione
del mondo dalla tenebra dei persecutori attraverso l’eletto di Dio che fa irrompere
la luce e la vita: «si potrebbe affermare, a ragione, che proprio in quell’epoca si sia
mostrata finalmente una vita nuova e rigogliosa [ ],
tempus destruendi et tempus aedificandi 103
poiché una luce stupefacente, sorta da una densa tenebra, illuminò il genere umano
[ ] e si dovrebbe
ammettere che fu tutta opera di Dio [ ], il quale contrappose
come antagonista l’imperatore a sé caro alle orde degli infedeli», trad. di FRanco,
cit., p. 247. Cfr. h.e. X 8,19: Costantino eletto da Dio porta, con il braccio levato, la
luce salvifica nelle tenebre del mondo, nel quale infuriavano le persecuzioni anticri-
stiane. Per un’iperbolica analogia tra Costantino e il sole, cfr. Eus., l.C. 3,4. Rilevanti
e persuasivi, in proposito, i saggi di i. tantillo, Attributi solari della figura imperiale in
Eusebio di Cesarea, in «Mediterraneo antico», 6 (2003), pp. 41-59; e più in generale,
id., L’Impero della luce. Riflessioni su Costantino e il sole, in «Mélanges d’Archéologie et
d’Histoire de l’École Française de Rome. Antiquité», 115 (2003), pp. 985-1048, ove si
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afferma la convinta conversione di Costantino a Cristo, almeno dal 315, quindi la sua
precoce riconfigurazione cristiana del simbolo solare: cfr. pp. 1045-1048. Sono an-
cora importanti le osservazioni di n.h. BaYnEs, Constantine the Great and the Christian
125
Società editrice il Mulino,
Church, London, Oxford University Press, 1931, II ed. 1972, pp. 96-103.
«Dio stesso, già molto prima dei nostri discorsi, “non attraverso gli uomini
Bologna
né da uomo” [cfr. Gal 1,1], ma attraverso il comune Salvatore e la sua visione divina
a te spesso rivelata [ ], ti ha
svelato e manifestato ciò che era nascosto del sacro [
]», Eus., l.C. 11,1, trad. di amERisE (a cura di), Eusebio di Cesarea.
Elogio di Costantino, cit., p. 166.
126
«L’anima del sovrano possiede la sapienza di ciò che concerne il divino
e di ciò che concerne l’umano [
]», Eus., l.C. Prologo, 3, trad. di amERisE, cit., pp. 102-103).
104 gaetano lettieri
pero quel sovrano benedetto. Egli vede i propri figli propagare i suoi raggi
su tutta la terra, quali giovani fiaccole, e vede se stesso ancora vivo e nel pie-
no della sua potenza governare la vita dei sudditi (
), anche meglio che in passato, qua-
si che avesse moltiplicato la sua presenza attraverso la successione dei figli
[ ]127.
127
Eus., v.C. I 1,2-3, trad. di FRanco, cit., pp. 79 e 81. Sul carisma immortale
della potenza imperiale del morto/vivo Costantino, trinitariamente moltiplicata nella
successione dei suoi figli, Eusebio concluderà, come vedremo infra, l’opera.
128
Eus., v.C. IV 47-48.
129
Il III libro della v.C. si chiude con l’esaltazione dell’attività antieretica dell’im-
peratore, tramite: a) la citazione di una lettera costantiniana ad Antiochia volta a
compattare i dissidi teologici (cfr. III 60,1-9); b) una lettera nel quale si loda Eusebio,
approvandone il suo rigoroso attenersi alla dottrina ecclesiastica e alla tradizione
apostolica (cfr. III 61,1-3); c) una lettera alcuni vescovi riuniti ad Antiochia, con la
quale si danno indicazioni per la soluzione della crisi che aveva lacerato la chiesa
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antiochena (cfr. III 62,1-3); infine d) la citazione del Decreto contro gli eretici di
Costantino (325 ca.), garante dell’unità della chiesa universale e del trionfo dell’orto-
dossia (cfr. III 64,1-65,3). Commenta Eusebio: «per ordine dell’imperatore furono
Società editrice il Mulino,
annientate le cospirazioni degli eterodossi e venivano anche cacciate via le belve che
avevano dato inizio all’empietà di costoro […] ora che in nessun luogo della terra
[
Bologna
] sopravviveva più alcuna setta di eretici e scismatici. Il merito di que-
sto grandioso successo va ascritto all’unico imperatore caro a Dio, tra quanti vissero
in ogni tempo, e a egli soltanto», III 66,1 e 3, trad. di FRanco, cit., pp. 343 e 345.
130
Il decreto contro gli eretici di Costantino si chiude con la messa al bando de-
gli empi: «da oggi stesso, la vostra confraternita non osi più darsi convegno in nessun
luogo né pubblico né privato [ ]», Eus.,
v.C. III 65,3, trad. di FRanco, cit., pp. 341 e 343.
131
Ineludibile, in proposito, il confronto con la celebre tesi di E. PEtERson, Der
tempus destruendi et tempus aedificandi 105
topos cultuale132, che rivela l’ubiqua gloria di Dio che governa il mondo
tramite il suo sovrano eletto (in che rapporto, ormai, con Cristo, Re
kenotico?). Il suo definirsi «vescovo di quanti si trovano all’esterno
[ ]»133 ne esalta il ruolo ubiquo, la partecipazione
(egemone!) al collegio dei vescovi e la proiezione universale e prov-
videnziale del suo potere assoluto. Pensare, al contrario, che Costan-
tino si piegasse a riconoscere il superiore carisma dei vescovi e ad
essi, in qualche modo, si sottomettesse significa, a mio parere, frain-
tendere completamente la realtà storica della rivoluzione teologico-
politica costantiniana. Costantino vive un rapporto diretto con Dio,
di tipo carismatico e teofanico (la croce ne è il segno miracoloso),
senza ricorrere a mediazioni ecclesiastiche. Né ha senso fondarsi sulla
definizione eusebiana di Costantino come «servo di Dio», in quanto
quest’epiteto cristologico presuppone l’immediata esaltazione divina:
Costantino, come un servitore buono e fedele, fece e annunciò proprio
questo, dichiarandosi subito schiavo [ ] e definendosi servo del Si-
gnore di tutto l’universo [ ],
e Dio, ricompensandolo immediatamente, lo rese signore, padrone e vinci-
tore [ ’
Monotheismus als politisches Problem. Ein Beitrag zur Geschichte der politischen Theologie im
Imperium Romanum, Leipzig, Hegner, 1935, trad. it. Il monoteismo come problema politico,
Brescia, Queriniana, 1983: l’Impero costantiniano-eusebiano sarebbe suprema rea-
lizzazione dell’equivoco teologico-politico monoteistico, confutato dall’irriducibile
dimensione escatologica del regno e dal mistero della Trinità, segreto relazionale del
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paradossale, atopico monoteismo cristiano, politicamente non analogabile/perver-
tibile.
132
«Gli eretici in buona fede e gli scismatici, riammessi nell’unica chiesa univer-
un esilio [
Società editrice il Mulino,
sale grazie al potere grazioso di Costantino, a frotte, come se fossero di ritorno da
], riguadagnavano la loro patria [ ]e
Bologna
riconoscevano la loro madre, la chiesa, lontano dalla quale avevano errato per lungo
tempo e facevano ritorno a essa con gioia e letizia e le membra del corpo comune [
] si ricongiungevano e si riunivano in un’unica armonia
e un’unica chiesa cattolica risplendeva della propria coesione [
]», Eus., v.C. III 66,3, trad.
di FRanco, cit., pp. 343 e 345. Impressionante la riattivazione costantiniana della
metaforologia paolina del corpo/tempio pneumatico di Cristo.
133
Cfr. Eus., v.C. IV 24.
106 gaetano lettieri
134
Eus., v.C. I 6, trad. di FRanco, cit., pp. 85 e 87.
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135
Cfr. Eus., v.C. III 1,4.
136
Ritengo pertanto fondata quest’affermazione di canEtti, Impronte di gloria,
cit., p. 75: «Se non si deve sottovalutare l’impatto della svolta costantiniana per com-
Società editrice il Mulino,
prendere la genesi e gli sviluppi dello spazio sacro cristiano, quella svolta andrà intesa
nel senso che il nuovo statuto pubblico del cristianesimo favorì indirettamente la li-
Bologna
berazione e la manifestazione dilagante di attitudini ed energie già presenti e radicate
anche tra i cristiani […] I diuturni riferimenti scritturali e apologetici al culto spiritua-
le e all’assenza di luoghi e di immagini di culto vanno intesi certamente come espres-
sione di una rivoluzione teologica di portata storica incalcolabile; ma non possono
leggersi come documento diretto di un nuovo e diffuso orizzonte politico e culturale
condiviso da tutti i credenti. Inoltre, non si dovrebbe mai trascurare il fatto che l’ide-
ale di una società e di una religione prive di immagini ha sempre rappresentato nella
storia di Europa, fin dall’età pre-classica, e in special modo nella cultura giudaica, un
tempus destruendi et tempus aedificandi 107
“confortevole mito” teso a inficiare il valore mediatico delle immagini materiali di-
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sinnescandone la persistente efficacia teologico-politica attraverso il racconto di una
fase originaria puramente spirituale del culto divino». L’espressione «confortevole
mito [comfortable myth]» è tratta da d. FREEdBERG, The Power of Images. Studies in
Società editrice il Mulino,
the History and Theory of Response, Chicago University Press, Chicago-London, 1989,
trad. it. Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino,
137 Bologna
Einaudi, 1993, p. 92.
Cfr. il notevole volume di l. canEtti, Frammenti di eternità. Corpi e reliquie tra
Antichità e Medioevo, Roma, Viella, 2002.
138
Sulla sacralizzazione/santificazione cristiana degli spazi come operazione
eminentemente storica, dipendente da una presa di coscienza del proprio passa-
to fondativo, quindi da un atto spirituale di riconoscimento memoriale, cfr. R.a.
maRKus, How on Earth Could Places Become Holy? Origins of the Christian Idea of Holy
Places, in «Journal of Early Christian Studies», 2 (1994), pp. 257-271, in partic. pp.
108 gaetano lettieri
269-271; di fatto, è la memoria del martirio, inscritto nell’evento salvifico della morte
redentiva di Cristo, a rendere possibile la santificazione di un luogo fisico: «A sense
of sacred space, and of a sacred Christian topography, was, however, a late arrival
on the Christian scene, and one in large measure produced by the enhanced sense of
the past, and the need to experience it as present», p. 271.
139
Con questo non s’intende certo misconoscere la portata notevole dell’ampli-
ficazione ideologica e agiografica, già eusebiana, dell’attività edificatoria di Costan-
tino. Cfr. il prezioso lavoro storico-documentario condotto da v. aiEllo, Edilizia
religiosa e finanziamento imperiale al tempo dei Costantinidi, in «Cristianesimo nella storia»,
33, 2 (2012), pp. 425-448; e id., Costantino, il vescovo di Roma e lo spazio del sacro, in G.
BonamEntE, n. lEnsKi, R. lizzi tEsta (a cura di), Costantino prima e dopo Costantino/
Constantine Before and After Constantine, Bari, Edipuglia, 2012, pp. 181-208: l’attribu-
zione a Costantino di un’imponente attività di (ri)edificazione templare cristiana, in-
terpretata come elemento rilevante del precoce mito di Costantino come imperatore
cristiano, è criticamente ridimensionata (soprattutto a Roma), seppure riconosciuta
come rilevantissima a Gerusalemme.
140
Cfr. Eus., v.C. III 54,1-58,2. Sull’incapacità dei falsi dèi pagani di prevedere
la distruzione dei loro culti, dei loro templi e degli idoli, realizzatasi con l’avvento
del «nuovo culto» e del «regno sacro e pietoso [ ]»
di Costantino, cfr. l.C. 9,2-6, in partic. 5. Costantino è quindi lo strumento provvi-
denziale di Cristo stesso, che, suo tramite, «subito innalzò trofei di vittoria dapper-
tutto sulla terra, ornando tutto il mondo [ ] con templi
santi [ ] e venerabili case di preghiera [
], dedicando a Dio re di tutto e Signore di tutte le cose, in ogni città e
in ogni villaggio e in tutte le regioni, anche in quelle deserte dei barbari, costruzioni
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sante [ ]; queste costruzioni sono state degne di avere il nome del
Signore e infatti sono chiamate kuriakoi [ ], in quanto non hanno ricevuto
il nome dagli uomini [ ]. E dunque chi
Società editrice il Mulino,
vuole venga a imparare: dopo questa grande distruzione e rovina, ha di nuovo in-
nalzato le costruzioni dalle fondamenta fino alla cima e ha reso ciò che era privo
Bologna
di speranza degno di una seconda rinascita, molto più potente della precedente [
]», Eus., l.C. 17,4-5, trad. di amERisE, cit., p. 221. Sull’abbandono ge-
nerale dei templi pagani, certo entusiasticamente esagerato da Eusebio, cfr. v.C. III
57,1. Cfr. G. FiloRamo, La croce e il potere, cit., par. La politica edilizia di Costantino,
pp. 121-127; e soprattutto s. EmmEl, u. GottER, J. hahn, «From Temple to Church»:
Analysing a Late Antique Phenomenon of Transformation, in hahn, EmmEl, GottER (a
cura di), From Temple to Church, cit., pp. 1-22; mi limito qui a una rilevante afferma-
tempus destruendi et tempus aedificandi 109
zione, che certo non esclude la straordinaria portata simbolica delle poche distru-
zioni di templi pagani, finalizzate alla costruzione di nuovi templi cristiani (si pensi
alla basilica del Santo Sepolcro) intraprese da Costantino: «Many things point to
a conclusion that the mere fact that a temple was reused as a church most often
represents a much less spectacular phenomenon – and perhaps also can document
religious transformation only to a much more modest extent – than is often assu-
med», p. 13.
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141
In tal senso, le tesi da me proposte non sono affatto originali, anzi potrei
definirle tradizionaliste. Nella sostanza, ritengo pertanto ancora del tutto fondato il
classico studio di l. völKl, Die konstantinischen Kirchenbauten nach Eusebius, in «Rivista
Società editrice il Mulino,
di archeologia cristiana», 29 (1953), pp. 49-66, pp. 187-206. Semplice, ma efficace
la ricostruzione di J. halGREn KildE, Sacred Power, Sacred Space. An Introduction to
Bologna
Christian Architecture and Worship, Oxford, Oxford University Press, 2008, in partic. il
cap. Imperial Power in Constantinian and Byzantine Churches, pp. 39-60. Banali le pagine
dedicate al cristianesimo dei primi secoli da R.w. stumP, The Geography of Religion:
Faith, Place, and Space, Lanham-Plymouth, Rowman & Littlefield, 2008, pp. 159-165.
142
Eus., h.e. X 2,1. Si noti, comunque, la singolare relazione di continuità tra le
chiese precostantiniane, definite templi, ma soltanto in quanto socialmente identifi-
cabili come luoghi privati di culto collettivo, e le chiese postcostantiniane, in effetti
giuridicamente riconosciute e persino favorite dalla legislazione imperiale.
110 gaetano lettieri
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143
Cfr. Eus., v.C. III 25-40, la descrizione dell’edificazione della basilica del
Santo Sepolcro; cfr., in partic., in III 30-32,2, la lettera di Costantino al vescovo di
Gerusalemme, ove l’imperatore impartisce indicazioni sulla sua costruzione. Cfr.,
Società editrice il Mulino,
poi, v.C. III 41,1-43,4, ove si descrive la costruzione delle basiliche della Natività a
Betlemme e dell’Ascensione a Gerusalemme, sotto l’impulso di Elena. L’imperatore
Bologna
dedica alla memoria della madre le nuove chiese (41,2); Elena viene ricordata in
42,2,1-2, ove si descrive il suo pellegrinaggio a Gerusalemme, poco prima della mor-
te; le si attribuiscono soltanto le iniziative della costruzione della chiesa della Natività
e dell’Ascensione in 43,1-3; Elena è lungamente lodata in 43,4-47,3. Nulla è detto
dell’inventio crucis, che Gelasio di Cesarea, quindi Ambrogio, Paolino di Nola, Rufino,
Sulpicio Severo, Socrate, attribuiranno a Elena. Cfr. Y. tsaFiR, Byzantine Jerusalem: The
Configuration of a Christian City, in lEvinE (a cura di), Jerusalem, cit., pp. 133-150, in
partic. pp. 138-139.
tempus destruendi et tempus aedificandi 111
]»145.
L’imperatore eletto avvia lo scavo perché «ispirato dallo stesso
Salvatore [ ’ ]», «colto
da ispirazione divina» . Imperatore «sognante», nuovo Salomone147,
146
144
Eus., v.C. III 30,4 e 34.
145
Eus., v.C. III 31,3, passo della lettera a Macario di Gerusalemme.
copyright © 20by
146
Eus., v.C. III 26,1. «Gli sembrò necessario che il luogo [ ] somma-
mente benedetto della resurrezione del Salvatore a Gerusalemme apparisse a tutti
illustre e venerando. Così diede subito disposizione che vi si costruisse un luogo di
Società editrice il Mulino,
preghiera e questa idea non gli si presentò alla mente senza un ausilio divino, ma fu
ispirato dallo stesso Salvatore», Eus., v.C. III 25, trad. di FRanco, cit., p. 279. Cfr.
l.C. 17,2.
147 Bologna
Cfr. il sogno di Salomone in 1Re 3,5-15; sulla decisione della costruzione del
Tempio, preannunciata da Dio al padre Davide in 2Sam 7,12-13, cfr. 1Re 5,17-20.
148
Eus., v.C. III 28.
149
Cfr. Eus., v.C. I 28,1-31,3. In particolare: «Un giorno l’imperatore in persona,
anche perché così piacque a Dio, ci fece la concessione [ ] di porre sotto i
nostri stessi occhi questo oggetto [l’aurea croce gemmata che Costantino fa realiz-
zare a immagine dell’epifania concessagli da Dio]», 30, trad. di FRanco, cit., p. 121.
112 gaetano lettieri
150
copyright © 20by
Cfr. R. salvaRani, Costantino e la nascita dei santuari cristiani, in C. alzati, l.
vaccaRo (a cura di), Una Città tra Terra e Cielo. Gerusalemme. Le Religioni – Le Chiese,
Società editrice il Mulino,
Roma-Milano, Libreria Editrice Vaticana/Fondazione Ambrosiana Paolo VI, 2014,
pp. 123-156, in partic. pp. 133-151; e salvaRani, Il Santo Sepolcro a Gerusalemme, cit., il
151 Bologna
cap. La tradizione agiopolita e il cantiere costantiniano, pp. 23-66.
«In Jerusalem, story, ritual, and place could be one», J.z. smith, To Take Place,
cit., p. 79.
152
Sulla precoce sovrapposizione tra fondazione antipagana e fondazione anti-
giudaica della basilica del Santo Sepolcro, cfr. o. iRshai, The Jerusalem Bishopric and the
Jews in the Fourth Century: History and Eschatology, in lEvinE (a cura di), Jerusalem, cit.,
pp. 204-220, in partic. pp. 209 e 217.
153
Cfr. Eus., v.C. III 26,5-28.
tempus destruendi et tempus aedificandi 113
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154
«L’antro “santo dei santi” […] dopo essere sprofondato nelle tenebre, torna-
Società editrice il Mulino,
va di nuovo alla luce [
permetteva a coloro che vi si approssimavano di vedere chiaramente la testimonian-
]e
Bologna
za degli eventi prodigiosi che erano avvenuti in quel luogo, attestando con l’evidenza
dei fatti più che con qualsiasi parola la resurrezione del Salvatore», Eus., v.C. III 28,
trad. di FRanco, cit., p. 283, a parte l’espressione «L’antro “santo dei santi”», che è
mia traduzione letterale di .
155
Sulla necessità di «completare» la distruzione desacralizzante del Tempio
giudaico, per corrispondere alla cristianizzazione di Gerusalemme, cfr. wilKEn, The
Land Called Holy, cit., pp. 143-148.
156
Eus., v.C. III 33,1, trad. di FRanco, cit., p. 289.
114 gaetano lettieri
157
Eus., d.e. VIII, Proemio, 2-3.
158
Cfr. Eus., d.e. I 6,57-58; I 10,18; I 10,36-39.
159
Cfr. J. ulRich, Euseb von Caeserea und die Juden. Studien zur Rolle der Juden in der
Theologie des Eusebius von Caesarea, Berlin-New York, De Gruyter, 1999, in partic. pp.
133-153, ove si mette in rilievo come per Eusebio fare teologia sia sostanzialmente
proporre una ri/costruzione monoteistica, quindi rigorosamente unitaria della storia;
all’interno di questa prospettiva, il giudaismo non convertito a Cristo non può che
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assumere un ruolo di resto (o una «Randposition»: 124) assolutamente problematico.
La teologia della storia si prospetta, pertanto, come imperialistica reductio ad unum, in
quanto esalta la vittoria cristiana del potere assoluto e vero sul nemico assoggetta-
Società editrice il Mulino,
to e sconfitto; paradossalmente, in questa teologia della vittoria storico-economica,
che celebra il trionfo cristiano su giudaismo e paganesimo, convergono sia l’ideolo-
Bologna
gia messianico-politica giudaica del potere favorito da Dio, che quella imperalistica
romana. Cfr. a.s. JacoBs, Remains of the Jews: The Holy Land and Christian Empire in
Late Antiquity, Stanford, Calif., Stanford University Press, 2004: «What we see in
Eusebius is a new epistemic totality that strives for an absolute and comprehensive
historical vision of Christian identity and Jewish difference. Historical construction,
and totalizing absorption of difference (that is, the Jew), becomes a towering struc-
ture, almost (but non quite) too unwieldly for the Christian historian to master; the
achievement of control over this enormous history (and the others within is) thus
tempus destruendi et tempus aedificandi 115
vatore nostro Gesù Cristo in tutta la terra abitata, per dare la possibilità a
ogni stirpe umana e a tutte le nazioni di celebrare la festa delle capanne in
onore del Dio dell’universo160.
160
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Eus., d.e. VIII 4,25-26.
161
Eus., d.e. VIII 5,4.
162
163
Società editrice il Mulino,
Cfr. Eus., d.e. VI 16,1-18,53, in partic. 18,18-28.
Cfr. Eus., d.e. VI 18,23.
164
Bologna
«È pertanto naturale che, essendo questa vigna infruttuosa, Dio abbia demo-
lito il suo recinto e il suo muro [
] e l’abbia consegnata ai nemici perché la distruggessero e la calpestassero [
], secondo la profezia di Isaia [cfr. Is 5,5], procurandosi,
quindi, un altro campo. Questo campo è qui chiamato oliveto, in quanto composto
di olivi che vengono da Dio ed è piantato da Cristo con piante vigorose», Eus., d.e.
VI 18,19.
165
Cfr. Eus., d.e. VI 18,23-25; cfr. canEtti, Impronte di gloria, cit., pp. 83-90.
tempus destruendi et tempus aedificandi 117
166
Cfr. s.-c. mimouni, Le judéo-christianisme ancien. Essais historiques, Paris, Édi-
tions du Cerf, 1998, pp. 347-366.
167
Cfr. Eus., v.C. III 40-41,1, trad. di FRanco, cit., p. 295: «L’imperatore fece co-
struire il santuario come testimonianza evidente [ ] della resurre-
zione del Salvatore […] Quando venne a sapere che esistevano nella zona altri luoghi
venerati dove si trovavano due grotte sacre […], attribuì gli onori adeguati all’antro
in cui il Salvatore si mostrò per la prima volta [la grotta della natività a Betlemme],
là dove egli nacque e si fece uomo, e nell’altro luogo sacro intese celebrare il ricordo
dell’ascensione al cielo che avvenne sulla cima del monte».
168
Cfr. Eus., h.e. X 4,1-72. Per un’attenta analisi del panegirico di Paolino, cfr.
copyright © 20by
K. hEidEn, Die Sakralisierung der christlichen Basilika in Eusebs Kirchenweihrede für Tyros
(h. e. 10,4), in K. hEYdEn, P. GEmEinhaRdt (a cura di), Heilige, Heiliges und Heiligkeit
in spätantiken Religionskulturen, Boston-Berlin, De Gruyter, 2012, pp. 85-110; e J.m.
Società editrice il Mulino,
schott, Eusebius’ Panegyric on the Building of Churches (HE 10.4.2-72): Aesthetics and the
Politics of Christian Architecture, in s. inowlocKi, c. zamaGni (a cura di), Reconsidering
Bologna
Eusebius. Collected Papers on Literary, Historical, and Theological Issues, Leiden-Boston,
Brill, 2011, pp. 177-198.
169
Cfr., in partic., Eus., h.e. X 4,21-22; e 55-56, ove l’intelligenza dell’uomo ad
immagine è identificato con il perfetto tempio di Dio e del suo Logos.
170
Lo splendido, nuovo tempio visibile cristiano diviene, pertanto, specchio
della stessa creazione, immagine del Tempio celeste e immateriale, origenianamente
pensato come luogo di culto puramente logico: «Tale è il grande tempio che il Ver-
bo, il grande Demiurgo dell’universo, ha costruito nel mondo intero sotto il sole,
118 gaetano lettieri
copyright © 20by
171
«Ma ora non più per sentito dire, né a parole soltanto, conosciamo il braccio
sublime e la destra celeste del nostro Dio di bontà e Re sommo: nelle opere stesse
[ ], per così dire, e con gli stessi occhi [ ] vediamo che quelle
[
Società editrice il Mulino,
cose che furono anticamente affidate alla memoria sono degne di fede e veritiere
]», Eus., h.e. X 4,6.
172
Bologna
Cfr. Eus., h.e. X 4,57-58; in partic.: «Una volta caduta, quell’anima che era
stata fatta ad immagine di Dio fu devastata […] da un demonio corruttore e da belve
spirituali, che la infiammarono anche con le passioni come con dardi infuocati della
loro malvagità: “Hanno appiccato il fuoco al santuario di Dio” veramente divino
[ ], “e hanno profanato, gettandolo a terra,
il tabernacolo del suo nome [ ]” [Salmi 73,7]. Poi
seppellirono [ ] la sventurata sotto un grande cumulo di terra e le tol-
sero ogni speranza di salvezza», 58.
tempus destruendi et tempus aedificandi 119
173
«Ma il suo protettore, il Logos che è luce divina e Salvatore, dopo che essa
subì la giusta pena dei suoi peccati, la riaccolse di nuovo, obbedendo alla clemenenza
di un Padre che è somma bontà. Dapprima si scelse quindi le anime dei sommi im-
peratori [ ] e per mezzo loro, carissimi a Dio,
purificò [ ) il mondo intero [ ] da tutti gli uomini empi e
funesti e dai tiranni stessi, tremendi e nemici di Dio», Eus., h.e. X 4,59-60.
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174
«Portò poi all’aperto [ ] gli uomini a Lui [Dio] ben noti, quelli che
da tempo gli si erano consacrati per la vita, segretamente nascosti [ ],
come in una tempesta di mali, dalla sua protezione. E per mezzo loro purificò e net-
Società editrice il Mulino,
tò ancora una volta con sarchie e zappe, cioè con gli insegnamenti penetranti delle
sue dottrine, le anime poco prima insozzate e ricoperte da ogni genere di materiale e
175 Bologna
da un cumulo di ingiunzioni empie», Eus., h.e. X 4,60.
«E dopo aver reso splendente e limpido il luogo del vostro intelletto, Egli lo
consegnò per il futuro al capo della chiesa qui presente, sommamente saggio e caro
a Dio. E questi, accorto e prudente in ogni cosa, riuscì a discernere e distinguere
l’intelletto delle anime a lui affidate; e dal primo giorno, per così dire, fino ad oggi
non ha mai cessato di edificare [ ], incastonando in voi tutti oro lucente,
argento saggiato e puro e pietre preziose di gran valore, così che di nuovo si compie
in voi con i fatti la profezia sacra e mistica [segue Is 54,11-14]», Eus., h.e. X 4,61.
120 gaetano lettieri
176
Eus.,Bologna
v.C. IV 58; e 60,1-3, trad. di F , cit., pp. 411 e 413. Cfr. P. F
Ranco Ranchi
dE’ cavaliERi, I funerali ed il sepolcro di Costantino Magno, in «Mélanges d’archéologie et
d’histoire», 35 (1915), pp. 205-261.
177
Cfr. Ez 28 – maledizione dell’empia autoesaltazione del trionfante monarca
terreno che si esalta come dio –, che sarebbe interessante leggere in tensione con
Ap 21,10-22,5, esaltazione dell’escatologica signoria assoluta di Dio e del suo agnello
sacrificale nella civitas celeste.
122 gaetano lettieri
178
Eus., v.C. IV 71,2-72,1, trad. di FRanco, cit., pp. 425 e 427.
179
Non comprendo, pertanto, perché G. dRaGon, Empereur et prêtre, cit., de-
finisca l’interpretazione cristica della struttura sepolcrale di Costantino come
un’«incongruité», ibidem, p. 152. Ricordo come immagine e nomi di Costantino e di
sua madre Elena, sancti oggetti di culto, compaiono persino sulle ostie eucaristiche:
cfr. m. KauFmann, Konstantin und Helena auf einem griechischen Hostientempel, in «Oriens
Christianus», 4 (1915), pp. 85-87, cit. in E.h. KantoRowicz, The King’s Two Bodies. A
Study in Mediaeval Political Theology, Princeton, Princeton University Press, 1957, II ed.
1985, trad. it. I due corpi del re, Torino, Einaudi, 1989, p. 80. Per un riconoscimento del
ruolo storicamente fondativo, per la concezione occidentale di regalità, dell’afferma-
zione eusebiana del «governo post mortem di Costantino il Grande», cfr. ancora id., I
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due corpi del re, cit., p. 420; cfr. anche l’Epilogo, pp. 487-497, in partic. pp. 494-497 con
rilevanti riferimenti a Costantino.
180
Cfr. Eus., v.C. IV 62,1-4; e il notevole volume di m. amERisE, Il battesimo
Società editrice il Mulino,
di Costantino il Grande: storia di una scomoda eredità, Stuttgart, Franz Steiner Verlag,
2005, che indaga la parallela rimozione agiografica del battesimo impartito dall’aria-
Bologna
no Eusebio di Nicomedia e la genesi della leggenda del battesimo impartito da papa
Silvestro. Su questa leggenda dall’epocale portata teologico-politica, punto fermo è
ormai il volume di t. canElla, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino
imperatore, Spoleto, CISAM, 2006.
181
«Ricevendo l’onore del sigillo divino esultò nello spirito, si rinnovò e fu col-
mato di luce divina [ ], rallegrandosi nell’anima per la stra-
ordinarietà della sua fede, colpito dall’evidenza della potenza divina», Eus., v.C. IV
62,4, trad. di FRanco, cit., p. 417.
tempus destruendi et tempus aedificandi 123
festività per eccellenza». Il nuovo unto di Dio, typos storico del Reden-
tore, vive la sua apoteosi nella festa dell’irraggiamento dello Spirito,
che compie il periodo inaugurato dall’ascensione al cielo di Cristo182.
Il divino Costantino connette terra e cielo, mondo riunificato nella
nuova fede e Trinità divina: morto già «risorto», seme che interrato
moltiplica il suo frutto, scaturigine di un immortale carisma salvifico,
(antipetersoniano!) irraggiamento trinitario dell’unica essenza del po-
tere assoluto, donato nella sua origine immanente come indiviso alla
gemmata trinità dei suoi figli (Costante, Costantino II, Costanzo II)
che ne partecipano183. La rappresentazione di questo mimeticamente
cristologico topos di mediazione non può che essere fisica: il sepolcro
dell’imperatore è il capo vivente del corpo di Costantinopoli, la nuova
Gerusalemme in terra eletta da Costantino, la città celeste «incarnata-
si» in universale, ecumenica liturgia teologico-politica, all’interno della
quale gli stessi apostoli divengono segni di pietra184.
182
Cfr. Eus., v.C. IV 64,1-2.
183
Per un’eccellente messa in questione della postulazione petersoniana di una
dottrina trinitaria nicena come garanzia antiidolatrica dell’eccedenza del Dio cristia-
no rispetto a qualsiasi possibilità di giustificare monoteisticamente un potere politico
assoluto, cfr. F. Fatti, Tra Peterson e Schmitt. Gregorio Nazianzeno e la «liquidazione di ogni
teologia politica», in G. FiloRamo (a cura di), Teologie politiche. Modelli a confronto, Brescia,
Morcelliana, 2005, pp. 61-101, ove si mostra come l’interpretazione «cappadoce» del
dogma fosse, da Gregorio Nazianzeno, immediatamente e con piena consapevolez-
za teologico-politica interpretata come fondamento per un’interpretazione analogica
di un potere imperiale condiviso (nel caso di Graziano e Teodosio): cfr. in partic. pp.
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83-100. In base a quanto sopra rilevato in riferimento a v.C. IV 71,2-72,1, il neoni-
ceno Gregorio si dimostra, in questo ambito, erede coerente del filoariano Eusebio.
184
Per un ridimensionamento della caratterizzazione cristiana di Costantino-
Società editrice il Mulino,
poli, cfr. R. PFEilschiFtER, Il Tardoantico, cit., pp. 45-46; egli comunque deve ricono-
scere la natura altamente simbolica del sepolcro di Costantino: «Costantino si fece
Bologna
seppellire in mezzo ai dodici apostoli. A entrambi i lati di Costantino si trovavano
rispettivamente sei cenotafi, in questo modo i sepolcri formavano una lunga fila con
Costantino al centro. Spiegazioni cristiane successive cercarono di giustificare tale
disposizione sostenendo che Costantino volesse soltanto prendere parte all’adora-
zione degli apostoli, che egli al limite volesse essere uguale agli apostoli. Tuttavia,
per questo fine il sarcofago di Costantino in posizione centrale emergeva in modo
eccessivo. L’interpretazione più ovvia è che Costantino si stilizzasse come uguale a
Cristo – come Gesù che insegna in mezzo agli apostoli», p. 46.
124 gaetano lettieri
8. «Decostruire» Costantino
Cfr. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit.; segnalo
185
anche lo studio di m. di maRco, La figura di Costantino in Occidente fra tardo antico e alto
Medioevo (s. IV ex. – VIII in.), in «Gregorianum», 95, 2 (2014), pp. 365-391.
tempus destruendi et tempus aedificandi 125
stati indicati come doni che Dio concede anche agli adoratori di
demoni190: lunga durata del regno, trasmissione del trono ai figli,
vittorie sui nemici esterni e repressione dei nemici interni; e nient’al-
tro! Dell’ortodosso Teodosio, invece, Agostino celebra i celesti doni
divini di grazia191 (cfr. V 26). A differenza del grande Costantino,
il confessante Teodosio è apertamente indicato come civis coelestis,
capace di deporre, da umile penitente visitato dallo Spirito di Dio, la
gloria del suo potere ai piedi di Ambrogio192. Ed è proprio Ambro-
gio la «santa» impersonificazione dell’inversione cristiana occidenta-
le dei rapporti gerarchici tra nuova comunità carismatica (Chiesa) e
potere istituzionale terreno (Impero). Il vescovo di Milano è, infatti,
il vero creatore di quell’ambrosianesimo (piuttosto che agostinismo) po-
litico più o meno latentemente teocratico, che avrebbe caratterizza-
to dualisticamente la storia del potere e della civiltà occidentali. Al
punto che lo stesso mito, soprattutto occidentale, di Elena, madre
santa e pia (quindi figura della chiesa) dell’ambiguo imperatore, è
funzionale all’addomesticamento ecclesiastico di un potere assoluto
cristiano avvertito come evidentemente pericoloso193.
190
Cfr. Aug., civ. V 24; e XV 4-7, ove la corrispondente distinzione tra doni
terreni e doni celesti di grazia è riferita alla distinzione tra Caino, civis terrenus e pri-
mo fondatore di civitas sacrale, e Abele, civis coelestis, che non fonda città, in quanto
peregrina verso la trascendenza assoluta del regno. Si noti, in XV 7, come Agostino
insista che spesso lo stesso culto ebraico o cristiano portato al vero Dio è terreno,
in quanto interessato a beni unicamente terreni e ispirato unicamente dall’amor sui.
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191
Cfr. Aug., civ. V 26. La principale fonte biblica per la distinzione tra beni
terreni e celesti è il sogno di Salomone in 1Re 3,5-15
192
Cfr. lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit., pp. 168-171;
Società editrice il Mulino,
id., Teologia politica ed escatologia politica nel De ciuitate Dei. Il dispositivo apocalittico-paolino
matrice decostruttiva del pensiero e del politico occidentali, in ch. müllER (a cura di), Kampf
Bologna
oder Dialog? Begegnung von Kulturen im Horizont von Augustins «De ciuitate dei». Internatio-
nales Symposion, Roma 25.-29. September 2012, Würzburg, Augustinus bei echter, 2015,
pp. 387-463, in partic. il cap. Costantino «civis terrenus»? La precoce decostruzione di impe-
rum/saeculum cristiani, pp. 434-441. Prospettiva in qualche modo analoga, seppure
assai più prudente, è quella dell’interessante saggio di J.-m. salamito, Constantin vu
par Augustin. Pour une relecture de Civ. 5,25, in BonamEntE, lEnsKi, lizzi tEsta (a cura
di), Costantino prima e dopo Costantino, cit., pp. 549-562.
193
Cfr. G. lEttiERi, Omnipotentia e subiectio: una teologia trinitaria imperiale.
tempus destruendi et tempus aedificandi 127
Aspetti della polemica anti-ariana nel De fide di Ambrogio, in R. PassaRElla (a cura di),
Ambrogio e l’arianesimo, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni Editore, 2013,
pp. 47-78; lEttiERi, Costantino nella patristica latina tra IV e V secolo, cit., pp. 167-168.
128 gaetano lettieri
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194
sachot, La predicazione del Cristo, cit., pp. 193-194; cfr. G. lEttiERi, Il rom-
Società editrice il Mulino,
picapo della religione cristiana. In margine a «Il travaglio del cristianesimo», postfazione a R.
taGliaFERRi, Il travaglio del cristianesimo. Romanitas christiana, Assisi, Cittadella Editrice,
195 Bologna
2012, pp. 293-323.
Per un ancora approssimativo tentativo di riflessione sulla storia del cristia-
nesimo occidentale come paradossale processo, già in origine secolarizzante, di co-
struzione e autodecostruzione ontoteologico politica – il cristianesimo come religione
della fuoriuscita dalla religione (Gauchet) –, dal quale scaturiscono come effetto secon-
dario, anche in relazione polemica nei confronti della loro matrice cristiana, gli ideali
liberali e democratici dell’età moderna e contemporanea, cfr. lEttiERi, Un dispositivo
cristiano nell’idea di democrazia?, cit.
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