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Capitolo 1

1) Definizione di Bene culturale


Secondo l’articolo 2 comma 2. Se una cosa ha valore di testimonianza
di civiltà, allora si tratta di un bene culturale. La nozione di bene
culturale presenta i tratti della tipicità, della pluralità e della
materialità. Per tipicità si intende che una qualsivoglia testimonianza
avente valore di civiltà diventa bene culturale in senso giuridico solo
dopo una qualificazione da parte del legislatore. Per pluralità invece
si intende che nel Codice non si configura una nozione unitaria di
bene culturale, ma sussiste una pluralità di beni culturali. Infine, i
beni culturali, presentano sempre il carattere della materialità,
trattandosi di “cose” immobili o mobili.
Nell’ordinamento italiano si configurano dei tipi di beni culturali
“extra Codice”: immateriali e minori. I beni culturali immateriali non
sono consistenti in cose e perciò definibili come “testimonianza
aventi valore di civiltà che non sono contenute e rappresentate in
una res”.
I beni culturali minori sono entità materiali che presentano un rilievo
culturale inferiore a quello necessario per la loro considerazione
come beni culturali ai sensi del Codice, ma che pur sempre rivestono
un qualche interesse culturale.

2) individuazione dei beni culturale


Per “individuazione dei beni culturali” sin intende a quel
procedimento posto in essere dalla pubblica amministrazione e volto
a identificare i beni culturali. L’individuazione è requisito sempre
sufficiente ai fini dell’operatività della disciplina prevista per i beni
culturali, ma talora non necessario. I meccanismi di individuazione
sono vari e dipendono dallo stato di appartenenza del bene culturale,
che può essere proprietà dello stato, proprietà di enti pubblici,
territoriale e non, e di persone private senza scopo di lucro, oppure di
proprietà di persone fisiche e persone giuridiche private con fine di
lucro.

3) Verifica dell’interesse culturale


Le cose mobili e immobili vengono sottoposte ad un procedimento di
verifica da parte del Mibact, per accertate la sussistenza o meno
dell’interesse (art.12) L’esito positivo corrisponde alla definitiva
sottoposizione del bene alla disciplina di tutela, mentre l’esito
negativo corrisponde alla fuoriuscita del bene dalla tutela,
sdemanializzazione e libera alienabilità. La condizione di inalienabilità
è assoluta, cioè non suscettibile di essere superata da eventuali
autorizzazioni del ministero, e concerne tanto i beni mobili che gli
immobili. La mancata comunicazione nel termine complessivo di
centoventi giorni dalla ricezione della scheda equivale a esito
negativo della verifica”. Il mancato rispetto del termine dei
centoventi giorni, risulta ora qualificabile solo come “silenzio-
inadempimento”: ciò comporta la possibilità di rivolgersi al giudice
amministrativo contro l’inerzia dell’amministrazione.
Le modalità procedurali della verifica: l’art 12 stabilisce che per gli
immobili dello Stato, i criteri per la predisposizione degli elenchi dei
beni interessati, le modalità di redazione delle schede e le modalità di
trasmissione siano fissati con decreto del Mibact e dell’Agenzia del
demanio.
4) Dichiarazione dell’interesse culturale
Secondo l’articolo 13 Cod., la modalità di individuazione consiste in
un atto di dichiarazione dell’interesse qualificato rivestito dalla cosa
in genere di proprietà di privati. La dichiarazione si deve presentare
come atto di accertamento costitutivo; e lo stato di degrado di un
bene non osta alla dichiarazione.
L’avvio del procedimento spetta al soprintendente di settore, d’ufficio
o su richiesta di un ente territoriale minore. Sono da indicare nella
dichiarazione gli elementi identificativi del bene, le ragioni che
spingono a ravvisare presenza di interesse e gli effetti cautelari
discendenti dalla comunicazione medesima.
È previsto un ricorso amministrativo per motivi di legittimità e
merito. Ciò comporta la sospensione dell’atto di dichiarazione e, se
accolto il ricorso, l’annullamento o la riforma dell’atto impugnato.

5) Natura giuridica del bene culturale


La qualificazione come bene culturale non comporta un’alterazione
della relazione di appartenenza, ma determina in particolare
l’avocazione della cosa alla proprietà pubblica. Ciò che è nuovo è la
sottoposizione a una disciplina pubblicistica che si sovrappone a
quella che la cosa aveva a prescindere dalla sua configurazione come
bene culturale. La configurazione in termini unitari dei beni culturali
fu prospettata tempo addietro da Giannini e conserva tuttora
attualità. Il punto di partenza è dato dalla distinzione tra cosa e bene
giuridico. La cosa che costituisce il bene culturale è oggetto di una
doppia qualificazione giuridica: in quanto possibile oggetto di
interessi economici essa è bene patrimoniale; in quanto portatrice di
un valore culturale essa è un bene culturale. Da qui la coesistenza di
due aree di regolamentazione giuridica, autonome l’una dall’altra, ma
necessariamente sovrapponenti, con l’effetto di comportare
limitazioni alle facoltà spettanti al soggetto proprietario e ai suoi
aventi titolo, giacché relative alla stessa entità. Ai due diversi beni
corrispondo due diversi e distinti valori: valore commerciale e valore
culturale.
Nel settore dei beni culturali vale la pena osservare che possono darsi
anche tre qualificazioni della stessa cosa: per esempio, per i beni
religiosi, è possibile configurare una terza qualificazione concernente
la cosa in quanto supporto per l’esplicazione del valore della libertà di
religione.
Di qui anche la configurazione del valore culturale come primo
elemento unificante. Altri elementi unificanti sono rappresentati
dalla immaterialità e dalla pubblicità:
- il bene culturale è immateriale poiché immateriale è il valore
culturale che opera da elemento di qualificazione della categoria (da
notare però che il Codice prende in considerazione solo le cose
materiali: quando si parla di immaterialità si intende l’idea che la cosa
materiale è bene culturale perché dotato di carattere.)
L’immaterialità viene quindi a connotare il bene culturale.
- il bene culturale è poi pubblico, in quanto bene di fruizione. Il
carattere pone in evidenza la destinazione del bene culturale a
fattore di promozione culturale, in quanto possibile oggetto di
fruizione da parte della generalità dei consociati. (Vedi articolo 9
Costituzione).

6) Demanio accidentale
fanno parte del demanio accidentale dello Stato, delle Regioni, delle
Province e dei Comuni gli “immobili riconosciuti di interesse storico,
archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei
musei, delle pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche. Demanio
accidentale significa che le cose appena elencate possono essere di
proprietà pubblica o privata. Sono demaniali solo se appartengono
agli enti territoriali.

7) Demanio culturale
I beni in questione costituiscono il nuovo genus del demanio
culturale. La demanialità si estende alle pertinenze di un immobile e
alle servitù costituite a favore degli stessi beni. Sono inoltre soggetti
al regime del demanio pubblico i diritti reali spettanti a enti
territoriali e costituiti per il conseguimento di fini di pubblico
interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali

8) Demanio originale dello Stato


Rientrano nel Patrimonio indisponibile dello Stato le medesime cose,
se mobili. Tra le cose mobili indicate all’art 10 e richiamate all’art 91,
non possono ricomprendersi le raccolte dei musei, delle pinacoteche,
degli archivi e delle biblioteche, che fanno parte del demanio
culturale (art 53 Cod)

9) Bene del demanio pubblico art. 822


L’art 822 del Cod Civ parla di “immobili riconosciuti di interesse
storico a norma delle leggi in materia”: ciò suggerisce la necessità
che intervenga un atto di riconoscimento di tale interesse per la
riconducibilità di detti beni al demanio culturale. Si può quindi
dire che la demanialità culturale, per gli immobili, richieda l’esito
positivo della verifica.
La cessazione della demanialità o della indisponibilità si si verifica
quando il bene perde i caratteri del tipo previsto dalla norma, o
venga meno l’appartenenza all’ente pubblico.

Capitolo 2

10) Competenze
Il settore del patrimonio culturale è aperto all’intervento e perciò
alle azioni di diversi soggetti, tanto pubblici, come lo Stato, gli enti
pubblici territoriali e non territoriali, quanto privati, siano essi
persone fisiche, ossia singoli individui, o persone giuridiche. Vale
a dire complessi organizzati di persone e/o di cose, profit o non
profit, o enti non riconosciuti.
Nell’articolo 9 della Costituzione si legge che: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnologica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”.
In questo modo sia la tutela che la valorizzazione del patrimonio
culturale sono state riconosciute tra i doveri (tutela) e tra le
finalità (valorizzazione) della Repubblica. I precetti costituzionali
hanno la capacità di operare come fonti del diritto, ovvero sono
uno dei mezzi attraverso i quali si creano le norme giuridiche.
Il termine Repubblica ricorre più volte nel testo costituzionale:
talvolta esso è impiegato per riferirsi a ciò che, nel linguaggio
giuridico, si definisce Stato-persona o Stato-apparato, ossia al
livello di governo centrale o nazionale. L’orientamento
prevalente, oggi consolidato, è nel senso di ritenere che il
riferimento sia allo Stato-ordinamento. L’articolo 9 può perciò
annoverarsi tra le disposizioni che hanno introdotto l’esigenza di
definire il quadro delle competenze.
Con la l.cost 18 Ottobre 2001, n.3, di modifica del Titolo V, parte
seconda della Costituzione, cambiano gli assetti delle
competenze: viene riconosciuta più autonomia alle articolazioni
territoriali della Repubblica (Regioni, Province, Città
metropolitane, Comuni). Vengono perciò ribaltati i principi che
regolavano i rapporti tra Stato e autonomie territoriali.
Ciò comporta che vi siano materie e questioni assegnate alla cura
e alla competenza degli enti territoriali. Viene riscritto l’art 117
della Costituzione, ridefinendo quantitativamente e
qualitativamente gli ambiti di competenza di Stato e Regioni.

11) Potestà legislativa


Lo Stato diventa titolare di una potestà legislativa speciale, che è
legittimato a disciplinare in via esclusiva solo per una serie di
materie elencati nel comma 2 della norma.
Per le restanti materie, la potestà legislativa compete alle Regioni
(potestà legislativa concorrente). Vengono elencate le materie
sulle quali la Regione è competente di tale potestà legislativa. Per
le altre materie innominate, le Regioni dispongono di una
competenza legislativa generale-residuale.
In base a quanto dispone l’art 117 Cost, alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato è riservata la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali.
12) Potestà regolamentare
Le soluzioni accolte in materia di potestà legislativa si riflettono
sul riparto della potestà regolamentare, tramite la quale si
adottano gli atti normativi secondari, volti all’attuazione e
applicazione delle leggi (“La potestà regolamentare spetta allo
Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. [...] I comuni le Province e le Città metropolitane hanno
potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro
attribuite”).

13) La valorizzazione alla potestà legislativa concorrente


La valorizzazione dei beni culturali e ambientali è riservata alla
potestà legislativa concorrente (la disciplina in dettaglio viene
quindi lasciata alla legge regionale).
Circa l’estensione dell’intervento consentito allo Stato, molto
dipende da ciò che s’intende come “principio fondamentale”. Le
Regioni, per esercitare le proprie competenze legislative di tipo
concorrente, non devono attendere l’eventuale determinazione
dei principi fondamentali da parte dello Stato. Inoltre, l’eventuale
intervento legislativo statale, anche di dettaglio, continua ad
applicarsi sino a che le Regioni no legiferino in materia.
14) La potestà regolamentare in materia di tutela e
valorizzazione
Quanto alla potestà regolamentare, lo Stato conserva la
legittimazione a esercitarla in materia di tutela dei beni culturali,
salva la possibilità di delega alle Regioni. In quanto alla
valorizzazione, essa è assegnata alla competenza legislativa
concorrente, cioè alle Regioni.
Dapprima, con sentenza 26-28 marzo 2003, n.94, il giudice
costituzionale ha riconosciuto uno spazio per interventi del
legislatore regionale anche in termini di tutela; in seguito, con
sentenza 19 dicembre - 20 gennaio 2004, n.26, la Corte
costituzionale ha ritenuto di leggere il nuovo quadro delle
competenze.
Lo Stato si deve perciò ritenere legittimato a esercitare anche la
propria potestà regolamentare in materia di valorizzazione,
quando riguardi beni culturali di cui esso abbia la
titolarità/disponibilità (mentre spetta alle autonomie territoriali
per gli altri beni di appartenenza pubblica). Ne deriva quindi che,
quando gli interventi abbiano a oggetto beni culturali di titolarità
statale, allo Stato spetta non soltanto la loro tutela, ma anche la
loro gestione, così come la disciplina della loro valorizzazione.

15) Riparto tra potestà legislativa e amministrativa in


materia di beni culturali
Quanto alle funzioni amministrative, il loro riparto tra i diversi
livelli di governo obbedisce ai principi enunciati nell’art.118 Cost
(“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,
per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province,
Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”).
- Sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà comporta che tra i diversi livelli di
governo cui possono essere assegnate competenze
amministrative, debba essere preferito quello inferiore, ossia il
Comune.
- Differenziazione e adeguatezza
La disposizione costituzionale, accanto a esso, richiama anche i
principi di differenziazione e adeguatezza: la scelta per
l’allocazione delle funzioni, presso il livello di governo comunale,
deve leggersi come un’indicazione di preferenza.
- Lo scorrimento delle funzioni
L’art. 118 Cost reca in sé l’idea dello scorrimento delle funzioni:
nel caso in cui la loro rilevanza e la complessità degli interventi in
cui si estrinsecano, faccia ritenere il Comune inadeguato a
esercitarle, il principio e le esigenze dell’adeguatezza comportano
lo spostamento delle competenze verso un livello di governo
superiore.
Poiché l’attribuzione di funzioni amministrative richiede un atto
di natura legislativa, i soggetti che decidono, in merito al loro
riparto, sono Stato e Regioni. (“I Comuni, le Province e le Città
metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di
quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze”). Con la legge Delrio (2014) avviene un
ridisegno dell’amministrazione locale.
Con la legge Delrio si opera un profondo ripensamento del livello
di governo intermedio, tra Stato e Regioni coincidente con le
Province e con le Città metropolitane, trasformandole in enti di
area vasta. Anche i Comuni sono interessati da un processo di
riordino: molto è demandato al legislatore regionale.
- le Province sono trasformate da enti autonomi ed elettivi in enti
di area vasta di secondo grado: non direttamente elettivi, ma
espressioni dei Comuni compresi nel loro ambito
- alle Città metropolitane vengono assegnate specifiche funzioni
metropolitane, prevedendo che sia loro rimessa la scelta di
costituirsi in forma elettiva o come enti di secondo grado
- ai Comuni viene imposta un’organizzazione dimensionalmente
adeguata all’esercizio delle funzioni, tramite ricorso a forme
associate di esercizio delle funzioni (per comuni <5000 abitanti) e
tramite processi di fusione. Questi ultimi potranno essere oggetto
di una competenza regionale. La fusione “per incorporazione”
prevede la continuità del Comune incorporante che vedrà
comunque modificarsi i propri confini oltre che la propria
situazione finanziaria.
Vi sono varie soluzioni riguardo l’applicazione del riparto delle
funzioni amministrative al settore dei beni culturali:
- quanto alla tutela, lo Stato può conferire funzioni in materia alle
autonomie territoriali, specie regionali
- quanto alla valorizzazione, potranno essere le Regioni ad
assegnare compiti e funzioni ai livelli di governo inferiori
Sempre in tema di tutela dei beni culturali si introduce un
ulteriore elemento di flessibilità: la trasformazione delle Province
ha rimesso al legislatore regionale la scelta del livello di governo
al quale assegnare le attribuzioni e i beni che, in precedenza,
erano loro imputati.

Capitolo 3

16) La tutela
La tutela costituisce una delle funzioni che le amministrazioni
pubbliche espletano in ordine ai beni culturali e paesaggistici.
Ciascuna funzione si caratterizza per le finalità generali cui tende
e si articola in istituti (nuclei di disciplina). Le funzioni relative ai
beni culturali hanno acquisito evidenza normativa in momenti
temporali diversi. La prima a emergere è stata appunto la tutela.
In tempi recenti è emersa la funzione di valorizzazione, nel segno
di un diverso approccio ai beni culturali, attenti cioè, in coerenza
con le indicazioni dell’art. 9 Cost, non solo ad assicurare la loro
conservazione, ma anche a promuoverne le potenzialità come
fattori di diffusione dei valori della cultura.
Un tentativo di elencare e definire le funzioni fu operato dagli
artt. 148 ss. Del d.lgs 112/1998. Vennero menzionate la tutela, la
gestione e la valorizzazione.
Tale indicazione si rivelò per più aspetti insoddisfacente,
sussistendo una notevole sovrapposizione tra le funzioni:
- la gestione e la valorizzazione erano entrambe finalizzate alla
fruizione del bene culturale, seppure l’una era volta ad
assicurarla, l’altra ad incrementarla
- per gli evidenti conservativi presentati, ambedue le funzioni
richiamavano la tutela, della quale sembrava peculiare il compito
di conservare e proteggere.

17) Tutela 2
Nel nuovo art. 117 risultante dopo la riforma del Titolo V, le
funzioni in tema di beni culturali sembrano polarizzarsi nella
tutela e nella valorizzazione:

- la tutela “è diretta principalmente a impedire che il bene


possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo
contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui
si sostanzia la tutela è quella di riconoscere il bene culturale
come tale”.
- la valorizzazione “è diretta soprattutto alla fruizione del bene
culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di
conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la
fruizione e ai modi di questa”.
La Corte costituzionale considera la tutela e la valorizzazione
come due materie-attività, nelle quali assume “rilievo il profilo
finalistico della disciplina e nella quale la coesistenza di
competenze normative rappresenta la generalità dei casi”.
La nozione di tutela “consiste nell’esercizio delle funzioni e nella
disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività
conoscitiva, a individuare i beni costituenti il il patrimonio
culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini
di pubblica fruizione”.
Come tipologia di attività, la tutela consiste quindi nella
regolazione e amministrazione giuridica dei beni culturali, e
nell’intervento operativo di protezione dei beni stessi.
Tre sono le finalità che definiscono l’ambito della tutela:
1. Individuazione: qualificazione di una cosa come bene
culturale
2. Protezione: garanzia dell’integrità fisica
3. Conservazione: non dispersione giuridica o materiale del
bene

18) Vigilanza e ispezione


Allo stesso ambito della protezione e della conservazione, vanno
ascritte altresì la vigilanza e l’ispezione dei beni culturali nonché
delle cose di cui all’art.12 (di interesse culturale, di autore non
più vivente, ultracinquantennali se mobili o ultrasettantennali se
immobili, di proprietà di soggetti pubblici o privati senza fini di
lucro o ancora non sottoposte a verifica) e delle aree interessate
dalle prescrizioni di tutela indiretta.
Il potere di vigilanza è attribuito al Mibact (secondo l’art.18 Cod):
per le modalità di esercizio, il ministero può procedere anche
mediante forme di intesa e coordinamento con le Regioni.
Il potere di ispezione è assegnato all’esercizio dei soprintendenti
al fine di accertare l’esistenza e lo stato di conservazione o di
custodia dei beni culturali, nonché l’ottemperanza alle
prescrizioni di tutela indiretta.
Le strumentalità dei poteri di vigilanza e ispezione rispetto alle
funzioni di tutela si esprime nel riferimento di essi non solo alla
conservazione, ma anche alla protezione e alla stessa
individuazione dei beni culturali, in vista dell’avvio del relativo
procedimento.
L’art 20 come interventi vietati annovera la distruzione, il
danneggiamento, gli usi non compatibili con il carattere storico
artistico dei beni culturali oppure tali da recare pregiudizio alla
loro conservazione, nonché, in caso degli archivi, il loro
smembramento.
- La distruzione e il danneggiamento incidono sulla struttura
materiale del bene, comportandone l’alterazione totale o
parziale.
- Lo smembramento riguarda la destinazione unitaria di un
bene, che viene disperso nei distinti elementi materiali che lo
compongono.
- Uso non compatibile è da ritenersi quello non consono alla
dignità insita nel valore culturale presente nel bene.
Le amministrazioni statali e gli enti morali devono denunciare al
ministero gli usi a cui intendono sottoporre gli immobili rientranti
nella loro proprietà.
Solitamente, in sede di dichiarazione di interesse del bene, si
fissano gli usi incompatibili.
19) Interventi soggetti ad autorizzazioni
Si considerano interventi soggetti ad autorizzazione la rimozione
di beni culturali, la loro demolizione, lo spostamento anche
temporaneo, lo smembramento di collezioni, serie e raccolte, lo
scarto di documenti e l’esecuzione di opere e lavori di qualunque
natura su beni culturali.
- La distinzione tra demolizione e distruzione risiede nel fatto
che la prima, a differenza della seconda, è tale da permettere la
successiva ricostruzione della cosa.
- Lo spostamento riguarda una diversa collocazione di un
bene mobile.
- Per rimozione è da intendersi un distacco fisico di un bene
culturale da un immobile

20) Misure di conservazione


Mentre le misure di protezione tendono a garantire il bene
culturale da interventi pregiudizievoli dell’uomo, quelle di
conservazione si connotano per una finalità di salvaguardia del
bene da fattori naturali e in generale pongono un obbligo di fare
a carico del detentore.
Secondo l’art.29, la conservazione è assicurata da una “coerente,
coordinata e programmata attività di studio, prevenzione,
manutenzione e restauro”, intendendo le attività volte a limitare
le situazioni di rischio, il controllo delle condizioni del bene
culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza
funzionale e dell’identità del bene, e all’integrità materiale e al
recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione
dei suoi valori culturali.
Due sono i dati che contraddistinguono la nozione di restauro:
- restauro strutturale (intervento diretto sulla cosa che
costituisce il substrato materiale del bene)
- restauro finalistico (assicurare l’integrità materiale della cosa
e il recupero del suo testo critico come presupposti per la
protezione e la trasmissione del valore culturale in essa insito)
Nel tempo, poiché il restauro comporta un intervento sulla
materialità del bene, è stato posto sempre con maggior forza
l’accento sulla necessità di realizzare una conservazione
preventiva e programmata in rapporto all’ambiente del
patrimonio culturale, inteso come complesso inscindibile, rivolta
a prevenirne le cause di deterioramento e a mantenerne
l’integrità e identità.

21) Interventi volontari


Gli interventi di conservazione sono posti a previa autorizzazione:
- Il soprintendente deve dichiarare se l’intervento può essere
ammesso a fruire di contributi statali e se esso, in vista del
conseguimento delle agevolazioni tributarie, ha carattere
necessario per la conservazione del bene. => la contribuzione
statale è disciplinata dagli artt. 35 - 37.
- Art. 35: Lo Stato può concorrere alla spesa sopportata dal
proprietario, relativa a interventi conservativi, per un ammontare
non superiore di massima alla metà della stessa.
- Art. 35: il contributo può essere in conto capitale ( erogato a
lavori ultimati e collaudati)
- Art. 37: Il contributo può essere in conto interessi (sui mutui
o altre forme di finanziamento accordati da istituti di credito, con
modalità da stabilire con convenzione), nella misura massima
corrispondente agli interessi calcolati a un tasso annuo di sei
punti percentuali sul capitale concesso al mutuo.

22) Interventi imposti


In assenza dell’iniziativa del proprietario, l’amministrazione può
attivarsi per interventi relativi ai beni culturali (interventi
imposti): tali interventi devono avere finalità conservativa; è
esclusa pertanto la finalità di valorizzazione.
Tali interventi sono realizzabili direttamente dall’amministrazione
o disposti a carico del proprietario.
Vigente il Tu, si credeva che la natura degli interventi imposti
dovesse essere di restauro e salvaguardia. Le disposizioni dell’art.
32 depongono invece ora nel senso esclusivo di salvaguardia.
Il meccanismo procedurale è disciplinato dall’art. 33.
1. E’ richiesta la relazione tecnica da parte del soprintendente
con la dichiarazione della necessità dei lavori da eseguire.
2. Il proprietario può presentare osservazioni alla
comunicazione di avvio entro trenta giorni.
3. Sulla base della risposta, il soprintendente può decidere per
l’esecuzione diretta o indiretta dell’intervento: se il proprietario
accoglie la comunicazione, esso deve presentare un progetto di
lavori (indiretta) e occuparsi della loro esecuzione. Al contrario, si
darà luogo all’esecuzione diretta.

23) Interventi sui beni culturali di enti territoriali


Norme particolari sono dettate in tema di interventi conservativi
concernenti beni culturali dello Stato o di enti territoriali.
- Salvo diverso accordo, la progettazione e l’esecuzione degli
interventi, sono assunte dall’amministrazione o dal soggetto
interessato. Nel caso di enti territoriali, salvo le ipotesi di assoluta
urgenza, le misure conservative imposte sono stabilite anch’esse
previo accordo con l’ente interessato.
- Nel caso di interventi di conservazione che coinvolgono una
molteplicità di soggetti pubblici e privati, è richiamato il genus
dell’accordo programmatico.

24) Custodia coattiva


Per i beni culturali mobili è previsto l’istituto della custodia
coattiva: il Mibact può disporre il trasporto e temporaneamente
la custodia di tali beni in pubblici istituti, privandone della
disponibilità il proprietario. La durata della custodia varia in
ragione della causa che l’ha giustificata.

25) Comodato
L’art. 44 consente ai direttori degli archivi e degli istituti che
abbiano in deposito raccolte o collezioni artistiche di ricevere in
comodato da privati proprietari beni culturali mobili per
consentirne la fruizione da parte della collettività.

26) Tutela indiretta


Le prescrizioni di tutela indiretta possono consistere nella
prescrizione di distanze fra il bene tutelato e gli altri, l’altezza
massima di questi (si tratta comunque di una categoria aperta).
Le prescrizioni vanno trascritte nei registri immobiliari, ai fini della
loro opponibilità nei confronti dei successivi proprietari,
possessori e detentori, mentre nei riguardi di quelle attuali è
prevista la notificazione. Secondo l’art. 45: “il Mibact ha la facoltà
di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette a
evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali
immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano
alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.

27) Circolazione
La circolazione dei diritti varia in ragione della condizione
giuridica del bene, che dipende dalla natura pubblica o privata del
soggetto che ne ha la proprietà e dalla categoria cui il bene va
ascritto.
Beni pubblici: la proprietà pubblica del bene culturale non è solo
funzionale al godimento da parte della collettività e alla
conservazione del bene, ma ne costituisce altresì la migliore
garanzia. Il Codice si pone come unica fonte della disciplina della
circolazione dei diritti relativi ai beni del demanio culturale e dei
beni culturali pubblici. I beni pubblici vengono distinti in beni
inalienabili e beni alienabili.

28) Alienazione
L’alienazione consiste nel trasferimento del diritto di proprietà, a
titolo oneroso o gratuito, e nella costituzione o traslazione di un
diritto reale di godimento o garanzia.

29) Beni inalienabili


I beni inalienabili comprendono i beni culturali demaniali e i beni
culturali non demaniali.
1. Beni culturali demaniali: beni immobili archeologici;
monumenti nazionali; raccolte di musei, gallerie, pinacoteche…;
archivi di enti pubblici territoriali; immobili di interesse storico-
politico; cose mobili di autore vivente o non più datati di 50 anni.
2. Beni culturali pubblici non demaniali: archivi degli enti
pubblici non territoriali; singoli documenti degli enti pubblici.
3. Cose mobili e immobili di enti pubblici e di enti privati senza
scopo di lucro.

30) Inalienabilità cautelare


E’ stabilito che le cose appartenenti ad enti pubblici in genere e
ad enti privati senza fini di lucro, che siano opera di autore non
più vivente o la cui esecuzione risalga a più di cinquant’anni se
mobili, o settanta se immobili, siano inalienabili fino a quando
non si concluda il procedimento di verifica.
L’esito della verifica, se positivo, comporta la definitiva
sottoposizione alla disciplina di tutela. Se negativo, comporta la
fuoriuscita dalla disciplina di tutela e la libera alienabilità in
quanto non individuata come bene culturale.

31) Beni alienabili, previa autorizzazione


Tutti gli altri beni culturali a enti pubblici sono suscettibili di
alienazione totale o parziale, previa autorizzazione del ministero.
Si possono distinguere in:
1. Beni alienabili previa autorizzazione subordinata alla
sussistenza di stringenti garanzie: si tratta dei beni immobili
demaniali.
- presupposti: la richiesta di alienazione va corredata
dall’indicazione della destinazione d’uso in atto e prevista in
futuro per il bene, delle misure di conservazione e degli obiettivi
di valorizzazione
- condizioni: il provvedimento di autorizzazione deve
contenere prescrizioni in ordine alle misure di conservazione e
alle modalità di fruizione pubblica
- regime giuridico: l’autorizzazione ad alienare comporta la
sdemanializzazione del bene culturale, ma non lo sottrae alla
disciplina di tutela
2. Beni alienabili previa autorizzazione subordinata alla
sussistenza di garanzie meno stringenti: si tratta degli altri beni
pubblici, esclusi quelli inalienabili, e dei beni immobili demaniali
utilizzati a scopo abitativo o commerciale.
- presupposti e condizioni: dall’alienazione non deve derivare
un danno alla conservazione e alla pubblica fruizione del bene.
Non sono richieste l’indicazione degli obiettivi di valorizzazione
né la conseguente valutazione di tali obiettivi.
- regime giuridico: tali beni restano sottoposti alla disciplina di
tutela.
Tale disciplina vale per ogni procedura di dismissione o di
valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni
immobili pubblici di interesse culturale.
Questa normativa si applica anche ai casi di costituzione di diritti
di godimento: le prescrizioni contenute nel provvedimento vanno
riportate nell’atto di concessione o nel contratto di locazione e
trascritte nei registri immobiliari.

32) Beni di persone giuridiche private senza scopo di lucro


Per i beni culturali appartenenti a persone giuridiche private
senza fini di lucro, la loro alienazione è soggetta a autorizzazione
ministeriale. Anche per le cose mobili o immobili appartenenti a
soggetti privati senza fine di lucro trova applicazione
l’inalienabilità cautelare, in attesa di verifica.
Capitolo 4

33) Tutela e valorizzazione


Tutela e valorizzazione devono essere considerate, innanzitutto,
come funzioni amministrative, da contestualizzare nell’ambito della
complessità che caratterizza la materia a esse riferita, ossia il
patrimonio culturale.
Tutela e valorizzazione sono le due principali funzioni in tema di
patrimonio culturale. Tra le due funzioni talvolta vi è una
conflittualità, che trova la sua area critica nell’accessibilità ai beni (la
tutela vuole regolamentarla e ridurla; la valorizzazione tende ad
accrescerla).
- TUTELA: diretta ad impedire che il bene possa degradarsi nella
sua struttura fisica e nel suo contenuto culturale; la prima attività
della tutela è il riconoscimento del bene come tale.
- VALORIZZAZIONE: diretta alla fruizione del bene culturale; anche
il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima
nei luoghi in cui avviene la fruizione.
Gli interventi di tutela e valorizzazione variano in base alla natura del
bene (mobile, immobile, pubblico, privato, culturale, paesaggistico…).

34) Competenze
La varietà di interessi rende impossibile affidare ad un unico potere
pubblico tutti i compiti legislativi e amministrativi in materia. Occorre
quindi richiamare il riparto delle competenze, legislative e
amministrative.
La Costituzione riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la
tutela dei beni culturali, mentre include la valorizzazione tra le
materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
La tutela dei beni culturali è inclusa sia tra le materie in cui lo Stato
può attribuire alle Regioni ulteriori forme di autonomia, sia tra i casi
in cui la legge statale disciplina, per l’esercizio di funzioni
amministrative, forme di coordinamento tra Stato e Regioni.
Alla legislazione Regionale compete pertanto la disciplina della
fruizione e della valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei
luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato
abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente.
Se tutela e valorizzazione esprimono aree di intervento diversificate,
è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai
fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni
destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio
culturale nonché alla loro protezione e conservazione, e, invece,
anche alle Regioni, ai fini della valorizzazione, la disciplina e l’esercizio
delle funzioni dirette alla migliore conoscenza e utilizzazione e
fruizione di quel patrimonio.
Le funzioni di tutela sono attribuite al Mibact, che le esercita
direttamente o ne può conferire l’esercizio alle Regioni, tramite
forme di intesa e coordinamento. Quanto alla valorizzazione, le
competenze amministrative, come quelle legislative, sono ripartite
secondo il criterio della disponibilità del bene. Stato, Regioni ed enti
pubblici assicurano la fruizione e valorizzazione dei beni presenti nei
luoghi a loro appartenenti; sono previste, poi, delle forme di
cooperazione (lo Stato, tramite il ministero, le Regioni e gli altri enti
pubblici definiscono appositi accordi).
Quanto alla valorizzazione, è adottato un criterio secondo il quale il
soggetto pubblico che dispone del bene potrà svolgere la funzione
nel modo più adeguato.
A livello europeo, si registra una piena applicazione del principio di
sussidiarietà nel distribuire le funzioni tra Unione Europea e Stati
membri.

35) Valorizzazione
La valorizzazione del patrimonio culturale è una funzione recente: la
funzione di valorizzazione si manifesta in correlazione all’essere i beni
culturali destinati alla fruizione, la cui attuazione richiede misure per
consentire, agevolare e accrescere la possibilità di accesso ai valori di
cui i beni protetti sono testimonianza.
La lunga storia della valorizzazione mostra le difficoltà
dell’ordinamento italiano nel regolare una funzione amministrativa
diversa dalla tutela.
Nel 1964, l’espressione valorizzazione comincia ad essere utilizzata in
modo stabile e continuativo. Nel 2001 è inserita nell’art. 117 Cost.
Nel 2004 la valorizzazione è ridimensionata dal Codice.
L’ordinamento si è progressivamente mosso verso una nozione di
valorizzazione sostenibile.
La valorizzazione si presenta come una funzione amministrativa, in
cui il patrimonio è l’ambito di intervento e la fruizione è il fine.
La nozione di valorizzazione è aperta, poiché comprensiva di ogni
possibile iniziativa diretta a incrementare la fruizione dei beni
culturali, e dinamica, in quanto espressione di un processo di
trasformazione delle modalità di godimento dei valori di cui i beni
sono portatori. ⇒ la funzione di valorizzazione mantiene così una
natura ambigua.

36) Gestione e servizi


Art. 115 Cod ⇒ disciplina le modalità di gestione della
valorizzazione a iniziativa pubblica.
- Gestione diretta
Svolta per mezzo di strutture organizzative interne delle
amministrazioni, dotate di autonomia scientifica, organizzativa,
finanziaria e contabile, provviste di idoneo personale tecnico.
- Gestione indiretta
E’ attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione,
anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni
cui i beni partengono. La concessione può anche essere rilasciata
dagli organismi per la valorizzazione: a questi soggetti possono
partecipare anche privati proprietari di beni culturali e persone
giuridiche private senza fini di lucro. I privati che eventualmente
partecipano a questi soggetti giuridici, non possono essere individuati
quali concessionari delle attività di valorizzazione.

37) Servizi aggiuntivi


I servizi aggiuntivi possono essere attivati presso i luoghi e gli istituti
della cultura. Mirano a garantire una migliore fruizione dei beni
culturali e assicurare maggiori entrate alle pubbliche amministrazioni,
consentendo così di compiere ulteriori interventi di tutela e
valorizzazione.
Tipi di servizi aggiuntivi ⇒ servizio editoriale, vendita di cataloghi,
servizi di caffetteria, ristorazione e guardaroba, organizzazione di
mostre.
Art. 117 Cod : lista di servizi aggiuntivi
a) servizio editoriale e di vendita (cataloghi, sussidi…)
b) servizi di beni librari e archivistici
c) gestione di raccolte
d) gestione di punti vendita
e) servizi di accoglienza
f) servizi di caffetteria, ristorazione, guardaroba
g) organizzazione di mostre e manifestazioni e iniziative
promozionali
La Corte di Cassazione ha chiarito che l’affidamento dei servizi
aggiuntivi da parte dell’amministrazione può presentare profili di
promiscuità tra i caratteri di appalto e concessione, e che assume
valenza dirimente il criterio della prevalenza delle attività oggetto
dell’affidamento.
- natura concessoria ⇒ caffetteria o ristorazione
- appalto ⇒ servizi di biglietteria, pulizia e vigilanza
Art. 110 ⇒ “i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d’ingresso
agli istituti e luoghi dello Stato, sono destinati alla realizzazione di
interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi”
La natura del servizio aggiuntivo non dipende dalla procedura di gara,
ma dal concreto rapporto che si instaura tra amministrazione e
privato. I servizi aggiuntivi permettono una fruizione dei beni culturali
più ampia e assicurano maggiori entrate alle pubbliche
amministrazioni.
Per essere redditizio un servizio deve però poter contare su di un
numero consistente di visitatori; inoltre, la redditività dei servizi
aggiuntivi non è del tutto comprovata.
Negli ultimi anni, la disciplina dei servizi aggiuntivi è stata oggetto di
forti critiche, soprattutto per quanto riguarda il regime di proroga
delle concessioni. Alcuni hanno osservato che gli istituti non
dovrebbero sistematicamente procedere ad una esternalizzazione dei
servizi, ma potrebbero svolgere in forma diretta almeno quelli aventi
un carattere più marcatamente culturale.
Le regole esistenti hanno prodotto una progressiva disaffezione delle
imprese private verso il modello delle concessioni: la ridottissima
partecipazione alle gare ne è la testimonianza. La qualità
dell’intervento pubblico in materia di beni culturali è condizione
necessaria per la qualità dell’intervento privato. I servizi per il
pubblico aventi carattere commerciale hanno bisogno di spazi
adeguati e di progetti di investimento mai attuati.
Quanto al problema della organizzazione delle mostre, andrebbe
tenuta distinta la fase di ideazione dalla organizzazione materiale.
La gestione diretta è rimasta ipotesi su carta, per il prolungato blocco
delle assunzioni nel settore pubblico e le carenze di specifiche
professionalità. Il ministero ha dimostrato di essere incapace
nell’assumere un ruolo centrale di committenza: da qui la scelta di
fare ricorso a società in house.
38) Differenza tra tutela e valorizzazione oppure
differenza tra tutela e valorizzazione nella giurisprudenza
della Corte costituzionale
Tutela e valorizzazione sono le due principali funzioni che
intervengono in materia di patrimonio culturale. Se l’ambito è lo
stesso, differenti e conflittuali, però, possono essere i fini di queste
due attività. La tutela “è diretta principalmente a impedire che il bene
possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto
culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la
tutela è quella del riconoscere il bene culturale come tale. La
valorizzazione è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale,
sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a
quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione e ai modi di questa”
(così Corte cost. sent. 9/2004).

29) Conferenza dei servizi


Secondo l’art. 22, fuori dai casi in cui si ricorre alla conferenza di
servizi e alla Via, l’autorizzazione va rilasciata entro centoventi giorni
dalla presentazione della domanda, salva la protrazione del termine
per incombenti istruttori. Scaduto il termine e decorsi trenta giorni
dalla diffida a provvedere, contro il silenzio serbato
dell’amministrazione l’interessato può agire ai sensi dell’art. 21-bis
della l. 1034/1971 (silenzio-inadempimento).
In luogo dell’ordinario titolo edilizio e nei casi ammessi dalla legge,
l’art. 23 consente il ricorso al Dia (denuncia di inizio di attività).
Ove si ricorra alla conferenza di servizi si prevede che l’atto di
assenso sia rilasciato dal competente organo del ministero, con
dichiarazione motivata acquisita al verbale della conferenza,
contenente le eventuali prescrizioni al progetto. Come in sede di
conferenza di servizi, anche in sede di Via il Mibact possa indicare
eventuali prescrizioni al progetto.
Quindi io ho due strade: posso chiedere l’autorizzazione
autonomamente di cui all’articolo 21, presentarla al comune nel
momento in cui faccio la domanda di permesso di costruire, se
questo è necessario oppure è sufficiente una dichiarazione di inizio
attività con allegata autorizzazione e il progetto; oppure posso
chiedere una conferenza dei servizi. Di solito la conferenza dei servizi,
che può essere fatta anche in ufficio da parte dell’autorità oppure
può essere richiesta su sollecitazione dell’interessato, si utilizza
quando vi sono molte competenze in ordine ad una stessa vicenda.
Quando le competenze si riducono la via più breve è quella di
chiedere singole autorizzazioni e, ove possibile, procedere a
dichiarazioni di inizio attività o altre cose.

40) Situazioni di urgenza


Nel caso di assoluta urgenza possono essere effettuati gli interventi
provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato, purche'
ne sia data immediata comunicazione alla soprintendenza, alla quale
sono tempestivamente inviati i progetti degli interventi definitivi per
la necessaria autorizzazione.
Una deroga alla disciplina dell’art. 21 è prevista altresì dall’art. 27,
che consente al proprietario (possessore o detentore) l’esecuzione di
interventi senza previa approvazione. La deroga è subordinata a
presupposti rigorosi: l’assoluta urgenza, interventi provvisori
indispensabili, rischio di danni al bene, immediata comunicazione
dell’esecuzione alla soprintendenza, alla quale va invita
tempestivamente il progetto degli interventi definitivi per la
necessaria autorizzazione.

41) strumenti di autotutela


L’art. 28, poi, disciplina l’ordine di sospensione o inibizione degli
interventi, provvedimento assegnato alla competenza del
soprintendente, organo meglio in grado di garantire la tempestiva
assunzione.
Esso può avere una duplice natura: di autotutela, quando è rivolto ad
assicurare l’osservanza della disciplina dettata in tema di interventi, e
cautelare, quando tende a preservare da mutamenti la situazione di
fatto (della cosa) in vista di una sua successiva qualificazione giuridica
(come bene culturale) per effetto della quale i mutamenti
richiederebbero l’assenso dell’autorità.
- In via di autotutela, la sospensione può essere comminata nel caso
di interventi “iniziati contro il disposto degli artt. 20,21,25,26 e 27”,
ossia qualcosa si tratti di interventi vietati, di interventi intrapresi
senza autorizzazione oppure in violazione della disciplina sulla
conferenza di servizi o sulla Via oppure di interventi condotti in
difformità dall’autorizzazione rilasciata (comma 1). La disposizione
non precisa la durata della sospensione. È da pensare che la
sospensione valga fino al rilascio dell’autorizzazione o fino alla revoca
della misura sospensiva da parte del soprintendente.
- La sospensione o l’inibizione dell’avvio in via cautelare concerne
interventi relativi alle cose di cui all’art. 10 Cod., per le quali non si sia
già proceduto all’individuazione come beni culturali ai sensi dell’art.
12 o 13 (comma 2). In questo caso la misura è subordinata alla
circostanza che l’avvio del procedimento di verifica o di dichiarazione
sia comunicato non oltre trenta giorni dalla ricezione dell’ordine
sospensivo o interdittivo. Altrimenti l’ordine si “intende revocato”
(comma 3).
L’art. 28, comma 4, disciplina la c.d. archeologia preventiva. Si tratta
della possibilità per il soprintendente di richiedere, in occasione della
realizzazione di opere pubbliche, l’effettuazione a spese del
committente di saggi archeologici preventivi su aree che presentino
interesse archeologico ancorché non ancora assoggettate al relativo
vincolo, onde valutare l’impatto della realizzazione dell’opera rispetto
alle esigenze di tutela del patrimonio archeologico. La finalità è quella
di ridurre che rinvenimenti archeologici, che intervengano nel corso
dell’esecuzione dei lavori, redano necessarie modifiche significative ai
lavori in atto o addirittura ne paralizzino il compimento. Con ciò
l’armonizzazione dell’opera da realizzare con le esigenze di tutela
viene spostata in una fase anteriore all’inizio dei lavori.
Il soprintendente può disporre approfondimenti dell’indagine
archeologica, a esito dei quali saranno assunte le determinazioni
opportune, fino all’avvio del procedimento di individuazione ex art.
12 o 13 Cod., con le conseguenti modifiche del progetto o al limite la
cancellazione dell’opera.

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