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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DEL PATRIMONIO CULTURALE

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA

Tesi di Laurea magistrale


in
Linguaggi e teorie dell’immagine

Il modello cibernetico in Norbert Wiener

Relatore Candidata
Prof. Francesco Vitale Anna Centore
Matr. 0322601014
Correlatore
Prof. Maria Giuseppina De Luca

Anno accademico 2018/2019


Vorrei rendere omaggio a quegli scienziati più
anziani (…) che guardano con simpatia alle lotte
dei loro colleghi più giovani e che, senza voler
vedere dei piccoli cigni in tutti gli anatroccoli,
sono sempre pronti a incoraggiare la forza
e l’originalità di pensiero.

Norbert Wiener
ABSTRACT

Nel presente lavoro si approfondisce la questione inerente la fondazione e lo sviluppo della


cibernetica secondo il modello proposto da Norbert Wiener.
A partire dalla problematizzazione della specifica posizione epistemica della teoria
cibernetica, che di per sé ha carattere interdisciplinare, è stato dapprima necessario
esaminare la recente evoluzione dei paradigmi filosofico-scientifici inerenti la natura del
tempo. L’argomentazione logico-filosofica intorno ad essa ha così permesso di analizzare
il concetto di informazione ed il ben saldo legame sussistente tra teorie che solo in un primo
istante appaiono prive di terra comune, come le neuroscienze e la teoria della
comunicazione.
Dopodiché, attraverso le riflessioni di Wiener sui concetti di entropia e di feedback, è stato
possibile mostrare la connessione dell’universo teoretico con quello più applicativo,
ovvero quello che ha condotto all’effettiva costruzione di “macchine logiche” o automi in
grado di interagire con l’essere vivente.
In conclusione si è svolta un’indagine sugli sviluppi ed i limiti della società
dell’informazione e del controllo; indagine orientata a sostenere le responsabilità etiche
della scienza e della tecnica nell’epoca della cibernetica. Il richiamo alla responsabilità non
può che derivare da un critico e proficuo dialogo tra pensiero scientifico ed umanistico.
Wiener stesso si è fatto promotore di tale dialogo attraverso le sue ultime riflessioni
filosofiche, ove emerge chiaramente l’esigenza-urgenza di sensibilizzare l’opinione
pubblica intorno alle recenti innovazioni e di rendere le coscienze più consapevoli dei
connessi ed ignoti pericoli.
INDICE

Introduzione……………………………………………………………………………………… 1

1 Il ruolo del tempo……………………………….............................................................. 4

1.1 Tempo newtoniano e tempo bergsoniano...……………………………………………… 7

1.1.1 Orologi………………………………………………...………………………………… 8
1.1.2 Nuvole………………………………………………………………………………………. 12
1.1.3 Reversibilità ed irreversibilità……………………………………………........................ 17

1.2 Un metodo probabile per una realtà diveniente…………………………………………. 22

1.2.1 Il relativismo di Wiener...………………………………………………………………… 23


1.2.2 Cambio di occhiali……………………………………………………………………….. 29

2 Cybernetics……………………………………………………………………………… 34

2.1 Entropia ed informazione nel modello…………………………………………………... 37

2.1.1 Entropia………………………………………………………………………………….. 38
2.1.2 Entropia e processo di osservazione……………………………………………………... 43
2.1.3 Informazione come differenza infinitesimale…………………………………………….. 44

2.2 Entropia e progresso………………………………………………………………...…… 47

2.2.1 Riflessioni sulla nuova fisica………………………………………………………………… 47


2.2.2 L’automa moderno…………………………………………………………………………. 52
2.2.3 Limiti dello sviluppo……………………………………………………………………... 57

3 Lo sviluppo dell’era dell’informazione………………………………………………... 60

3.1 L’identità…………………………………………………………………………………. 63

3.1.1 La plasticità della mente…………………………………………………………………. 66


3.1.2 Il paradosso dell’identità………………………………………………………………… 69
3.1.3 La consapevolezza del sé sociale………………………………………………………… 72

3.2 Zone temporaneamente autonome………………………………………………………. 74

3.2.1 Istanti in movimento……………………………………………………………………… 75


3.2.2 La logica simmetrica……………………………………………………………………... 78
3.2.3 Il problema della previsione……………………………………………………… ……... 83

Conclusioni………………………………………………………………………………………. 88

Bibliografia………………………………………………………………………………………. 94
Introduzione

Norbert Wiener. Padre dell’era dell’informazione, professore distratto e

visionario, è considerato come una delle menti più brillanti del ventesimo secolo. Nato in

una famiglia ebraica, grazie alle severe attenzioni del padre Leo Wiener sulla formazione

intellettuale dei figli, Norbert diviene da subito il “bambino prodigio di Boston”: a

diciotto mesi distingue le lettere dell’alfabeto, a tre anni inizia a leggere, a cinque anni

declama testi in greco e in latino e in tedesco subito dopo; a sette anni si dedica allo studio

della chimica, a nove approfondisce materie quali la fisica, l’algebra, la geometria, la

trigonometria, la zoologia e la botanica, mentre ad undici anni (a seguito di tre anni di

istruzione scolastica) diviene il più giovane studente universitario della scuola americana.

Nell’intervista del 1906 alla domanda del giornalista del “New York World Magazine”,

sorpreso che l’undicenne potesse preferire Huxley e Darwin ad Hansel e Gretel, Norbert

aveva risposto con sicurezza: “la filosofia è più interessante delle favole, tutto qui. (…)

Quando finisco di giocare con gli altri ragazzi, me ne ritorno al mio Huxley o al mio

Spencer. Da loro arrivano degli stimoli che spingono la mia mente a pensare a cose più

grandi”.1 Terminata la prima laurea in matematica presso la Tufts University, a soli

diciotto anni ottiene il dottorato in filosofia ad Harvard.2

1
J. PULITZER, The most remarkable boy in the world, in “New York World Magazine”, October 7, 1906; è
possibile ritrovare l’articolo in Norbert Wiener Papers, MC 22, box X, Massachusetts Institute of
Technology Institute, Archives and Special Collections, Cambridge, MA.
2
Per approfondimenti sulla vita di Wiener e sulla sua fortuna di matematico cfr. N. WIENER, Ex Prodigy:
My Childhood and Youth, Simon and Schuster, New York 1953; ID., I Am a Mathematician: The Later Life
of a Prodigy, Doubleday & McClure Company, New York 1956; e F. CONWAY, J. SIEGELMAN, Dark Hero
of the Information Age: In Search of Norbert Wiener The Father of Cybernetics, Basic Books, New York
2005 (trad. it. in L’eroe oscuro dell’età dell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, il padre della
cibernetica, Codice Edizioni, Torino 2005).

1
Sostenere un’argomentazione su una tale personalità, i cui contributi hanno

plasmato e continuano a plasmare la cultura e l’economia del mondo intero, non è

semplice; d’altra parte, vi è la necessità – data l’attualità delle tematiche – di riappropriarsi

del lascito dei suoi ammonimenti ed originali riflessioni circa la complessa relazione tra

uomini e macchine.

A Wiener si deve la fondazione e lo sviluppo della cibernetica, da intendersi non

come limitata disciplina ingegneristica ma, al contrario, come una rivoluzione

interdisciplinare – appartenente tanto alla tecnologia quanto alla vita – in grado di

concepire una nuova visione del mondo.

Innanzitutto egli ha individuato delle entità fondamentali per la comprensione

dell’universo: informazioni, feedback, entropia, messaggi, processi di controllo

automatizzati; a testimonianza del carattere interdisciplinare della sua ricerca, bisogna

sottolineare come l’individuazione delle suddette entità e l’ampliamento delle conoscenze

in cibernetica abbiano coadiuvato lo sviluppo di nuovi e diversi settori tra cui la medicina,

l’intelligenza artificiale, il cognitivismo e anche la teoria economica moderna. Dunque

risultano evidenti le motivazioni delle sue collaborazioni con illustri ingegneri, biologi e

neurofisiologi nel tentativo di decifrare i codici dei primi “cervelli elettronici

programmabili” e della comunicazione del sistema nervoso umano3.

Wiener fu in grado di intuire le innumerevoli possibilità tecniche che si andavano

profilando (ad esempio già nel 1950 ragionava di telelavoro), ma attraverso profonde

questioni filosofiche fu anche in grado di cogliere la “materia oscura” del nuovo mondo:

aveva percepito l’inevitabile spinta verso l’efficienza e la velocità delle macchine

3
Controllo, autonomia e comunicazione sono considerati sia in rapporto ai sistemi artificiali, quali le
macchine, sia in rapporto ai sistemi naturali, quali gli esseri viventi. A tal proposito possiamo ricordare
l’importanza del ruolo di Wiener nella guida dell’équipe medica che ha realizzato il primo braccio bionico
controllato dal pensiero di chi ne fruiva.

2
intelligenti, lo sviluppo ed i limiti dell’automazione industriale, nonché i sovvertimenti

politici, sociali ed economici. Si preoccupò dell’irrefrenabile processo automatizzato e

della delega di sempre più facoltà e decisioni alle macchine, oltre ad interessarsi dei

doveri e dei limiti etici degli scienziati di fronte alle conseguenze delle loro scoperte; in

sintesi si è mostrato un attento e premuroso pensatore riguardo alle nuove tecnologie ed

al futuro dell’umanità.

Nonostante l’evidente rilevanza del suo lascito, molti dei suoi aspetti sono caduti

nell’oblio o sono rimasti sostanzialmente inesplorati. Da qui nasce il tentativo di questo

lavoro di tesi, ovvero quello di far riemergere i frammenti persi ed utili a rispondere ai

nuovi enigmi ed alla complessità della nostra società basata sulla globalità

dell’informazione; frammenti di cui è intrisa inconsapevolmente l’era dell’informazione

e a partire da cui è possibile procedere ad una disamina degli effetti che si mostrano.

Nel primo capitolo si chiarirà la distinzione tra tempo newtoniano e bergsoniano,

per poi porre particolare attenzione sul fallibilismo gnoseologico di Wiener. Nel secondo

capitolo verrà presentata la parte più applicativa del discorso: si cercherà infatti di capire

il processo di evoluzione degli automi artificiali e naturali attraverso i concetti di entropia

e informazione, così da gettare uno sguardo più approfondito sulla nascente disciplina

della cibernetica. Nel terzo capitolo, attraverso le ultime analisi di Wiener, sarà proposta

un’attenta riflessione sugli sviluppi della società dell’informazione in relazione

all’identità umana ed al problema della previsione.

3
CAPITOLO 1

Il ruolo del tempo

Per quanto mi agrappi agli istanti


gli istanti si sottraggono…
Vivere significa subire la magia del possibile,
ma quando si scorge nel possibile stesso un passato a venire,
tutto diventa virtualmente passato e non vi è più né presente né futuro.

Emile M. Cioran

Sebbene tale tematica appaia spesso come una questione secondaria, o addirittura

dipendente rispetto alle argomentazioni che si intende portare avanti, in realtà la sua

concezione permea e struttura in maniera profonda e silenziosa ogni indagine filosofico-

scientifica che sia volta alla comprensione del reale. Partendo dal presupposto che scienze

fisiche e biologiche, epistemologia e filosofia, hanno offerto risposte differenti in merito

al quesito “cos’è il tempo?”; partendo dal presupposto che nel presente lavoro non vi è

alcuna pretesa di dare risposte risolutive, si procederà attraverso un’introduzione generale

sull’argomento, per poi approfondire le due concezioni di tempo individuate dal nostro

autore ed i relativi risvolti in ambito cibernetico.

È evidente come la dimensione e la misurazione del tempo appartengano

intrinsecamente all’esperienza umana – tendente ad una costante esigenza di significato

– nonché ad ogni ricerca che aspiri ad una spiegazione del fenomeno del cambiamento.

A tal proposito possiamo ricordare la definizione aristotelica di tempo: «Quando invece

percepiamo l’anteriore e il posteriore, allora parliamo di tempo. Questo è infatti il tempo:

4
numero del movimento secondo l’anteriore e il posteriore»4. Parafrasando tale

formulazione, il tempo deve intendersi come relazione della coscienza percettiva rispetto

al divenire ed al mutamento; in base a tale relazione diviene possibile misurare il tempo

attraverso le categorie del “prima” e del “poi”, attribuendogli un numero che è sempre

altro e relativo rispetto al movimento. Dunque il tempo è misura del cambiamento,

criterio che ordina e che dipende dalla percezione umana del divenire.

È possibile sin da qui intravedere la natura problematica del concetto: per un verso

abbiamo la formulazione aristotelica che ha colto il suo aspetto relazionale e dipendente;

per altro verso abbiamo il mondo scientifico che – a partire da Isaac Newton – ha tentato

di coglierne l’assolutezza, ovvero di considerare il tempo come una realtà oggettiva ed

indipendente rispetto alla percezione umana o al divenire delle cose5.

Wiener, in continuità con la riflessione bergsoniana6, sembra essere ben consapevole

dell’importanza di tale questione, al punto da distinguere – preliminarmente al discorso

sui meccanismi di controllo e comunicazione7 – due concezioni di tempo. Le ragioni di

tale scelta sono da individuare nel suo progetto: trattare l’organismo vivente e la macchina

logica come entità-processi analoghi, nel tentativo di analizzarne e comprenderne la

comune e complessa natura del controllo e della comunicazione. Ciò che preme

maggiormente al nostro autore è proprio la possibilità di descrivere la complessità

secondo la logica formale del metodo statistico, presupponendo in questo modo la realtà

4
ARISTOTELE, Fisica, libro IV, 11, 219b, tr. it. Carocci, Roma 2012, p. 103: «ὅταν δὲ τὸ πρότερον καὶ
ὕστερον, τότε λέγομεν χρόνον· τοῦτο γάρ ἐστιν ὁ χρόνος, ἀριθμὸς κινήσεως κατὰ τὸ
πρότερον καὶ ὕστερον».
5
Tuttavia, come vedremo a breve, la concezione scientifica del tempo si è evoluta fino ad inglobare le
questioni filosofiche, al punto da tornare a sottolineare il carattere relazionale del tempo.
6
In Bergson il tempo è durata da intendersi come creazione incessante di novità ma al tempo stesso come
un qualcosa di unitario, ovvero come un flusso continuo. La questione verrà approfondita nel paragrafo
successivo.
7
Cfr. N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, MIT Press,
Cambridge 1965; tr. it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina,
il Saggiatore, Milano 1968.

5
del mondo fisico come intrinsecamente probabilistica.8 A riguardo possiamo citare un

brano tratto dalla sua autobiografia, in cui aveva annotato delle riflessioni sul fiume che

scorreva di fronte la sua stanza del MIT9:

The moods of the waters of the river were always delightful to watch. To me, as

a mathematician and a physicist, they had another meaning as well. How could

one bring to a mathematical regularity the study of the mass of ever shifting

ripples and waves, for was not the highest of mathematics the discovery of order

among disorder? At one time the waves ran high, flecked with patches of foam,

while at another they were barely noticeable ripples. Sometimes the lengths of

the waves were to be measured in inches, and again they might be many yards

long. What descriptive language could I use that would portray these clearly

visible facts without involving me in the inextricable complexity of a complete

description of the water surface?10

8
Nel corso del tempo la concezione probabilistica ha assunto diversi significati in relazione a distinte
tradizioni di pensiero; per quanto riguarda il presente lavoro ci interessa sottolineare il suo aspetto
gnoseologico. In tal senso facciamo riferimento ad una dottrina per la quale non si può avere una
conoscenza oggettivamente certa della realtà, ma è possibile procedere ad una discriminazione tra
conoscenze più e meno probabili. Per un maggiore approfondimento sul probabilismo wieneriano si
rimanda al secondo paragrafo del corrente capitolo.
9
Il Massachusetts Institute of Technology (MIT) rappresenta una delle più importanti università di ricerca
nel mondo; tradizionalmente riconosciuta per le sue ricerche in campo fisico ed ingegneristico, ad oggi
dispone di cinque acceleratori di particelle ad alta energia, un reattore nucleare ed innumerevoli laboratori;
tra questi ricordiamo il Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (detto CSAIL), il quale
ospita il W3C fondato da Tim Berners-Lee per lo sviluppo del World Wide Web.
Attraverso il sito dell’MIT è possibile reperire gran parte della documentazione wieneriana; per la
consultazione si suggerisce il seguente link: https://lib.mit.edu/search/bento?q=wiener+norbert.
10
N. WIENER, I am a mathematician, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1964, p. 33; tr. it. in L.
MONTAGNINI, Le armonie del disordine. Norbert Wiener matematico-filosofo del Novecento, Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 2005, p. 78: «Osservare l’umore delle acque del fiume è stato
sempre delizioso. Ma per me, come matematico e fisico, quello spettacolo aveva un significato ulteriore.
Come si poteva ricondurre alla regolarità matematica quella massa di mutevoli increspature e onde: non era
forse destino ultimo della matematica di scoprire l’ordine in mezzo al disordine? Alle volte le onde si
rincorrevano alte, punteggiandosi di schiuma, altre volte divenivano increspature appena percepibili.
Talvolta la loro lunghezza si poteva misurare in qualche pollice, poi di nuovo, diveniva di molte iarde.
Quale linguaggio descrittivo avrei potuto usare per rappresentare questi fatti senza essere trascinato
nell’inestricabile complessità di una descrizione completa della superficie dell’acqua?».

6
Dunque, se la realtà fisica si dà come intrinsecamente probabilistica, è solo a partire

da una riflessione critica sul tempo11 che il nostro autore può procedere nella

rappresentazione ordinata e descrittiva della mutevolezza e della varietà. Si tratta di un

originale modo di pensare rispetto alla maggior parte dei matematici e dei fisici

dell’Ottocento: per Wiener porre l’ordine non significa ridurre il complesso ad una mera

“descrizione completa della superficie”, quanto piuttosto tener conto del grado di

disordine. Ne consegue che il disordine non va eliminato ma valorizzato in quanto tale,

dal momento che risulta essere essenziale ed “inestricabile” rispetto al formarsi stesso

dell’ordine.

1.1 Tempo newtoniano e tempo bergsoniano

Wiener sostiene che storicamente si danno due modelli di scienza, ciascuno dei quali

fa riferimento ad una determinata concezione di tempo. Il primo modello è rappresentato

dall’astronomia del sistema solare e dal tempo newtoniano, il secondo dalla meteorologia

e dal tempo bergsoniano12. Tale distinzione è fondamentale poiché è alla base delle idee

di reversibilità e di irreversibilità di un sistema (sia esso di natura biologica o artificiale);

come vedremo, ne consegue la possibilità di controllare in misura minore o maggiore la

struttura e l’evoluzione dei processi automatici.

11
Del resto è evidente la funzione del tempo nel brano citato; essa è esplicitata da Wiener attraverso delle
locuzioni avverbiali, come “at one time”, “while at another (time)”, “sometimes”.
12
Cfr. N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., pp. 30-
44; tr. it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., pp. 56-72.

7
1.1.1 Orologi

Newton13, come abbiamo in parte già anticipato, considerò il tempo come un ente

teorico assoluto ed indipendente; come un elemento fisico oggettivo, vero e matematico,

non necessitante di nulla all’infuori di sé per esistere – dunque un qualcosa che ha una

sua propria natura. Era a tal punto convinto della realtà oggettiva del tempo da sostenere

l’inutilità di una sua definizione: «Non definisco […] tempo, spazio, luogo e moto, in

quanto notissimi a tutti»14.

Tuttavia – probabilmente per evidenziare l’originalità della sua intuizione – arriva a

distinguere le quantità assolute e vere da quelle relative e apparenti:

Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad

alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata;

quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed

esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al

posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, l’anno.15

13
Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 1642 – Londra, 20 marzo 1727) è considerato uno dei più
grandi scienziati di tutti i tempi. Matematico, fisico, astronomo, filosofo naturale, teologo ed alchimista
inglese, con la pubblicazione dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687 ha stabilito i
fondamenti della meccanica classica attraverso la descrizione della sua legge di gravitazione universale e
delle leggi del moto.
14
I. NEWTON, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, XI, iussu Societatis Regiae ac typis Josephi
Streater, Londini 1687; tr. it. a cura di A. Pala, Principi matematici della Filosofia naturale, in “Opere”,
vol. 1, Utet, Torino 1965, pp. 104-105.
15
ID., Principi matematici della Filosofia naturale, cit., pp. 105-106.

8
Secondo tale concezione il tempo assoluto, contrariamente alla visione aristotelica,

non ha alcunché di relativo né di soggettivo: è indipendente rispetto all’esistenza del

mondo fisico o alla nostra percezione. Se vi è la possibilità di scandire la durata in ore,

giorni ed anni, si deve ad un nostro criterio misurativo che, per quanto possa essere esatto,

rimane sempre sensibile e relativo al moto dei fenomeni astronomici; in definitiva anche

il tempo astronomico non è che un’approssimazione. Tale misurazione rimane “esterna”

rispetto al tempo assoluto, poiché si serve di un qualcosa d’altro, ovvero del movimento

dei corpi celesti; tuttavia ci sembra che essa debba essere ricompresa all’interno del

tempo, perché questo è l’unico che, da vero, perfetto ed assoluto, possa porsi come

principio fondativo.

Allora tempo e durata non sono altro che due nomi di una stessa entità oggettiva ed

universale che fluisce uniformemente al di sopra degli eventi particolari: il movimento e

la posizione dei corpi risulteranno essere funzione del tempo16. Questo scorrere uniforme

del tempo comporta l’assenza di variazioni: è ciò che nella fisica classica si sintetizza

attraverso l’idea di moto rettilineo uniforme17. Affinché vi sia uniformità, non vi devono

essere forze esterne che agiscano in qualità di variabili; appunto si deve essere in presenza

di un tempo e di uno spazio assoluti che generano delle ripetizioni. Da questo genere di

considerazioni Newton ha definito la nota formula che mette in relazione spazio e tempo:

v=d/t (velocità = distanza/tempo).

La credenza in queste entità assolute, non può che comportare la credenza in un

universo discreto: il movimento di ogni corpo-sistema può essere determinato e

16
La complessità è data dal fatto che, sebbene in quest’ottica i movimenti risultano essere funzione del
tempo – dunque possiamo valutare i movimenti attraverso il tempo – tuttavia circolarmente noi abbiamo
bisogno dei movimenti per misurare il tempo.
17
In generale un corpo si muove di moto rettilineo uniforme se nel percorrere una traiettoria rettilinea copre
spazi uguali in tempi uguali: significa che vi è assenza di accelerazione, ovvero assenza di variazioni
temporali della velocità del corpo in movimento.

9
conosciuto meccanicamente applicando le leggi fisiche del moto; conseguentemente si

può avere pieno controllo del suddetto corpo. Un universo di questo genere è ben

rappresentato dal modello dell’orologio meccanico: esso infatti rappresenta lo strumento

fisico in grado di fornire un ciclo periodico di riferimento; è lo strumento attraverso cui

siamo in grado di controllare un movimento periodico18. Dunque per la fisica classica il

tempo è un parametro: ogni volta che facciamo uso di un orologio, noi non misuriamo il

tempo assoluto ma il numero di intervalli (dunque il numero delle distanze percorse)

effettuati da un sistema che noi prendiamo come riferimento per la sua regolarità, per il

fatto che ripete un suo movimento in maniera regolare ed uniforme19.

Tale prospettiva, ovvero quella di vivere in un universo discreto e di poter far uso del

parametro tempo, è di non poco conto se riflettiamo in termini di causalità: grazie ad una

profonda conoscenza delle leggi fisiche e delle condizioni iniziali di un corpo (o di un

intero sistema), si è in grado di determinarne velocità e posizioni future. Effettuare una

tale previsione circa l’evoluzione futura di un corpo implica che il futuro sia già

determinato in maniera meccanica e necessaria. Una delle più celebri formulazioni del

determinismo meccanicista è rinvenibile in Laplace20:

Dobbiamo dunque considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo

stato anteriore e come la causa di quello che seguirà. Un'intelligenza che, in un

18
Il movimento periodico è tutto ciò che si ripete identicamente in intervalli di tempo uguali; si tratta
esattamente della concezione newtoniana del tempo che scorre in maniera uniforme al di sopra degli eventi.
19
Ad esempio nel caso dell’orologio meccanico la regolarità rappresentata dal movimento delle lancette
sarà data dagli ingranaggi che definiscono un fenomeno periodico.
20
Il marchese Pierre-Simon Laplace (Beaumont-en-Auge, 1749 – Parigi, 1827) è stato matematico, fisico
ed astronomo; conosciuto come il “Newton francese”, ricordiamo qui il suo contributo per l’affermazione
della teoria del determinismo. Egli infatti sosteneva che tutti i fenomeni fossero determinati da precisi
rapporti di causa-effetto; compito dello scienziato è allora la scoperta di un numero ristretto di cause, così
da procedere alla discendente e necessaria spiegazione di ciascun fenomeno. Da tale concezione deriva il
carattere di prevedibilità non solo del mondo fisico, ma anche di ogni teoria scientifica in grado di spiegare
le leggi che enunciano il comportamento necessario degli oggetti fisici.

10
dato istante, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione

rispettiva degli esseri che la compongono, e se d'altra parte fosse abbastanza vasta

da sottoporre all’analisi questi dati, abbraccerebbe in un'unica e medesima

formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e quelli del più leggero

atomo: nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe

presente ai suoi occhi. Lo spirito umano offre, nella perfezione che ha saputo

procurare alla Astronomia, una pallida immagine di questa intelligenza.21

Dunque, in continuità con la concezione newtoniana del tempo e dello spazio

assoluti22, le condizioni d’esistenza di un fenomeno sarebbero determinate a-priori e si

verificherebbero in maniera necessaria.23 Vuol dire che all’interno di un processo la

conseguenza può essere assunta idealmente come premessa, poiché tra passato e futuro

vi è una condizione di reversibilità: infatti gli intervalli del tempo newtoniano sono

assolutamente regolari e prevedibili, estendentisi in avanti e indietro nel tempo.

21
P.S. LAPLACE, Essai philosophique sur les probabilités, in “Quai des augustinis”, n°55, Bachelier,
Imprimeur-Libraire, Paris 1840, pp. 3-4: «Nous devons donc envisager l'état présent de l'univers comme
l'effet de son état antérieur et comme la cause de celui qui va suivre. Une intelligence qui, pour un instant
donné, connaîtrait toutes les forces dont la nature est animée et la situation respective des êtres qui la
composent, si d'ailleurs elle était assez vaste pour soumettre ces données à l'analyse, embrasserait dans la
même formule les mouvements des plus grands corps de l'univers et ceux du plus léger atome; rien ne serait
incertain pour elle, et l'avenir, comme le passé, serait présent à ses yeux. L'esprit humain offre, dans la
perfection qu'il a su donner à l'Astronomie, une faible esquisse de cette intelligence».
Bisogna specificare che in Laplace una conoscenza di questo genere (assoluta) non è possibile per l’uomo;
da qui la necessità dell’uso del calcolo probabilistico. D’altra parte è chiaro che l’analisi di previsioni
solamente probabili non conduce a dubitare del tutto circa l’esistenza di un determinismo meccanico in
natura.
22
L’assolutezza di spazio e tempo saranno i presupposti della fisica classica fino alla teoria della relatività
enunciata da Einstein a partire dal 1905. Sebbene con la teoria della relatività sia nato un nuovo modo di
guardare l’universo e di fare fisica, ancor oggi è indispensabile la nozione di assolutezza.
23
Lo scienziato determinista sarà colui che nella spiegazione dei fenomeni prediligerà il percorso dato da
una solida catena causale. Non è intenzione di questo lavoro difendere la visione determinista o, al contrario,
respingerla tout court. D’altra parte ci sembra evidente che senza un certo grado di determinismo la scienza
stessa non avrebbe motivo d’esistere dal momento che, se non vi fosse alcuna regolarità dei fenomeni, se
ogni effetto dipendesse dalla pura casualità e non da cause determinate, allora verrebbe meno ogni
possibilità di scoprire la struttura della realtà.

11
1.1.2 Nuvole

A questo modello di scienza Wiener contrappone quello della meteorologia e del

tempo bergsoniano. Bergson24 si fa portavoce dell’idea del tempo come durata: si tratta

della durata vissuta concretamente dagli individui, un fluire interiore costituito dallo

scorrere ininterrotto degli stati della coscienza. Tale fluire ricorda il pensiero eracliteo

che, nel riflettere sul dinamismo e sulla mutevolezza della realtà, si era avvalso

dell’immagine dello scorrere del fiume: «A chi discende nello stesso fiume

sopraggiungono acque sempre nuove [letteralmente “altre ed altre”]. Noi scendiamo e

non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo»25. Se in Eraclito ciò che

cambia sono le acque sempre altre (oltre che noi stessi), in Bergson è l’interiorità, ovvero

l’insieme degli stati psichici di ogni individuo: allora la durata è la trasformazione stessa,

più precisamente trasformazione della coscienza.

È evidente come tale concezione si diversifichi rispetto alla visione newtoniana e

matematica del tempo: mentre quest’ultima tende a voler cogliere il tempo nella sua

regolarità, assolutezza ed indipendenza, Bergson al contrario pone attenzione al suo

essere in relazione con la coscienza soggettiva, nonché al suo scorrere e mutare continui.

24
Henri-Louis Bergson (Parigi, 1859 – Parigi, 1941), filosofo francese, si è fatto promotore di una teoria
dell’evoluzione sulla base di una tendenza spiritualista. Tra i pochi filosofi ad aver ricevuto un premio
Nobel (premio Nobel per la letteratura nel 1927), ricordiamo che la sua opera è stata in grado di apportare
una ricca fecondità di idee in svariati campi: dalla biologia alla teologia, dalla letteratura alla psicologia
finanche all’arte.
25
ERACLITO, fr. B 12, in DIELS-KRANZ, Die Fragmente der Vorsokratiker (1966); trad. it. I presocratici.
Testimonianze e frammenti, Laterza, Bari 1983: «ποταμοῖσι τοῖσιν αὐτοῖσιν ἐμβαίνουσιν ἕτερα καὶ
ἕτερα ὕδατα ἐπιῤῥεῖ• καὶ ψυχαὶ δὲ ἀπὸ τῶν ὑγρῶν ἀναθυμιῶνται».
Ricordiamo che una simile immagine del fiume è stata ripresa da Wiener nel momento in cui rifletteva sulla
possibilità di descrivere matematicamente la mutevolezza dell’«umore delle acque».

12
A differenza di quanto avviene nella tradizione scientifica positivistica26, tale durata

interiore ed eterogenea è vissuta come puro processo qualitativo in continuo divenire, mai

quantificabile; ivi non avvengono “salti” tra uno stato di coscienza e l’altro ma vi è come

un loro reciproco compenetrarsi:

La durée toute pure est la forme que prend la succession de nos états de

conscience quand notre moi se laisse vivre, quand il s’abstient d’établir une

séparation entre l’état présent et les états antérieurs.27

Nel momento in cui le teorie scientifiche aggiungono elementi di ordine, ripetizione

e reversibilità al tempo, esse “spazializzano” il tempo, lo riducono a geometria di punti e

linee per poter compiere delle misurazioni. Nel fare ciò la scienza taglia quella che è la

durata reale, ovvero la parte puramente qualitativa ed incommensurabile. Ragion per cui

nella concezione di Bergson l’orologio non è che una trasposizione spaziale di un fluire

numerico quantificabile, ma non corrispondente alla realtà della durata:

Quand je suis des yeux, sur le cadran d'une horloge, le mouvement de l'aiguille

qui correspond aux oscillations du pendule, je ne mesure pas de la durée, comme

on paraît le croire; je me borne à compter des simultanéités, ce qui est bien

26
La corrente filosofica del positivismo, sorta in Francia nella prima metà dell’Ottocento, era caratterizzata
dal rifiuto della speculazione metafisica e riservava alla filosofia il ruolo di sistematizzazione delle leggi
naturali scoperte dalle scienze sperimentali. Di conseguenza era caratterizzata da un atteggiamento
empiristico che culminava nell’esaltazione del progresso scientifico e dell’evoluzione sociale. A partire dal
Novecento si sviluppa il positivismo logico, detto anche neo-positivismo, che rimane caratterizzata
dall’analisi delle scienze naturali e formali ma sottolinea il carattere ipotetico e correggibile delle asserzioni
scientifiche.
27
H. BERGSON, Essai sur les données immédiates de la conscience, a cura di A. Robinet, Œuvres, Edition
du centenaire, PUF, Paris, 1959; tr. it. in ID., Saggio sui dati immediati della coscienza, in “Opere 1889-
1896”, Mondadori, Milano 1986, p. 59: «La durata assolutamente pura è la forma assunta dalla successione
dei nostri stati di coscienza quando il nostro io si lascia vivere, quando si astiene dallo stabilire una
separazione fra lo stato presente e quello anteriore».

13
différent. En dehors de moi, dans l'espace, il n'y a jamais qu'une position unique

de l'aiguille et du pendule, car des positions passées, il ne reste rien. Au-dedans

de moi, un processus d'organisation ou de pénétration mutuelle des faits de

conscience se poursuit, qui constitue la durée vraie.28

L’idée d’une série réversible dans la durée, ou même simplement d’un certain

ordre de succession dans le temps, implique donc elle-même la représentation de

l’espace, et ne saurait être employée à le définir.29

Dato che in Bergson la durata costituisce la trama dell’essere, il tessuto che permea

l’intera realtà (dalla materia bruta all’organizzazione vivente), allora il tempo della vita

universale si dà come evoluzione ed invenzione incessante. Ciò comporta che in tale

durata non vi è nulla di misurabile, poiché non si dà alcuna ripetizione; difatti al suo

interno non esiste alcuna cosa che sia perfettamente identica ad un’altra: «Plus nous

approfondirons la nature du temps, plus nous comprendrons que durée signifie invention,

création de formes, élaboration continue de l'absolument nouveau»30.

Siamo ben lontani dalla visione newtoniana secondo cui il tempo si ripete in maniera

uniforme ed omogenea. In termini di causalità la creazione dell’assolutamente nuovo da

parte del tempo sta ad indicare la generazione di effetti-fenomeni imprevedibili, non

28
Ibid., p. 63: «Quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento della lancetta che
corrisponde alle oscillazioni del pendolo, non misuro la durata, come potrebbe sembrare; mi limito invece
a contare delle simultaneità, cosa molto diversa. Al di fuori di me, nello spazio, vi è un’unica posizione
della lancetta e del pendolo, in quanto non resta nulla delle posizioni passate. Dentro di me, si svolge un
processo d’organizzazione o di mutua compenetrazione dei fatti di coscienza che costituisce la vera durata».
29
Ibid., p. 60: «L’idea di una serie reversibile nella durata, o anche semplicemente di un certo ordine di
successione nel tempo, implica dunque di per sé la rappresentazione dello spazio, e non può essere utilizzata
per definirlo».
30
ID., Evolution créatrice, a cura di A. Robinet, Œuvres, Edition du centenaire, PUF, Paris 1959; tr. it. in
ID., L’evoluzione creatrice, Rizzoli BUR, Milano 2012, p. 20: «Più approfondiremo la natura del tempo,
più capiremo che durata significa invenzione, creazione di forme, creazione continua dell’assolutamente
nuovo».

14
determinabili a-priori e di conseguenza non numerabili né catalogabili: «Si tout est dans

le temps, tout change intérieurement, et la même réalité concrète ne se répète jamais»31.

Comprendiamo allora perché la durata reale di Bergson possa esser ben rappresentata dal

fenomeno delle nuvole, piuttosto che dallo strumento dell’orologio. A tal proposito

Wiener affermava:

On the other hand, if you were to ask the meteorologist to give you a similar

Durchmusterung32 of the clouds, he might laugh in your face, or he might

patiently explain that in all the language of meteorology there is no such thing as

a cloud, defined as an object with a quasi-permanent identity; and that if there

were, he neither possesses the facilities to count them, nor is he in fact interested

in counting them.33

Riprendendo la concezione bergsoniana del tempo, il futuro – così come i fenomeni

correlati – appaiono indeterminati, in quanto frutto dell’attività libera e creatrice della

durata, che incessantemente genera il sempre altro, l’assolutamente nuovo.34

31
Ibid., p. 323: «Se tutto è nel tempo, tutto cambia internamente, e la stessa realtà concreta non si ripete
mai».
32
Si chiamano “Durchmusterung” i cataloghi che numerano stelle ed oggetti specifici (come pianeti minori,
nebulose, galassie o ammassi stellari) dell’intero cielo o di una parte di esso, fino ad un limite specifico di
luminosità. Se è vero che la luminosità costituisce il limite della catalogazione, tuttavia nulla impedisce di
pensare ad una Durchmusterung che possa comprendere oggetti di luminosità maggiore. Ciò che conta è
che, entro determinati limiti, siamo in grado di numerare le stelle, poiché si tratta di numerare degli oggetti
definiti.
33
N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., p. 31; tr. it.
in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., p. 57: «D’altro lato,
se chiedeste al meteorologo di darvi una tale Durchmusterung delle nuvole, egli vi riderebbe in faccia,
oppure vi spiegherebbe pazientemente che in tutta la terminologia metereologica le nuvole, definite come
oggetti dotati di identità quasi permanente, non compaiono affatto; e che comunque egli né sarebbe capace
di contarle né ciò gli interesserebbe».
34
Per un interessante approfondimento circa l’evoluzione del concetto di tempo, cfr. P. TARONI, Filosofie
del tempo. Il concetto di tempo nella storia del pensiero occidentale, Mimesis Edizioni, Milano 2012.

15
Bergson si pone certamente in opposizione rispetto al positivismo scientista, in

particolare a quel positivismo che identifica la scienza con il modello di un puro

meccanicismo determinista. D’altra parte non bisogna commettere l’errore di rendere

Bergson il rappresentante di un puro vitalismo35 o di un assoluto indeterminismo36.

Piuttosto sembra che egli si ponga nei limiti di ciascun modello (meccanicistico,

deterministico, teleologico, indeterministico) nel tentativo di un loro superamento

reciproco. Sembra che, esattamente come avviene nella durata reale, Bergson non intenda

separarli come stati a sé stanti, ma piuttosto inquadrarli in un’intuizione generale nella

quale si compenetrano. Egli è quindi alla ricerca di un nuovo modello epistemologico che

sia in grado di render conto tanto della metafisica quanto dello scarto sussistente tra

pensiero come attività intellettuale e durata come slancio vitale. Bergson è alla ricerca di

un nuovo modo di far scienza37: una modalità che rifletta in maniera complementare sia

il determinato delle scienze positive che l’indeterminato-indeducibile delle scienze

biologiche.

In questo senso ci sembra che Wiener segua il fil rouge delineato dalla durata

bergsoniana e che sia stato in grado, attraverso la sua riflessione sui processi

d’automazione, di far parte della suddetta svolta epistemologica.

35
Il vitalismo è la corrente che, in opposizione al meccanicismo assoluto, intende non ridurre i processi
vitali e biologici alle osservazioni quantitative date dalle interpretazioni chimico-fisiche; essa pone
attenzione su un principio vitale-spirituale (distinto dalla pura materia e mai riducibile ad essa) che mostra
un funzionamento teleologico, dunque intelligentemente orientato verso determinati scopi.
36
L’indeterminismo, nella sua concezione assoluta, intende negare la possibilità di qualsiasi forma di
determinazione. Ivi è il concetto di “caos” ad assumere un ruolo fondamentale, poiché viene meno ogni
rigida e necessaria connessione o concatenazione causale, così come tipicamente teorizzate dal
determinismo filosofico-scientifico. Precisiamo sin da ora che né Bergson, né tantomeno Wiener, sono
sostenitori di una tale visione della realtà. D’altra parte, come vedremo nei paragrafi successivi, una
concezione radicale dell’indeterminismo è rifiutata anche da chi ammette un certo grado di
indeterminazione della realtà.
37
In diversi passaggi sembra che Bergson assimili la scienza con l’attività intellettiva umana, ovvero con
quella facoltà razionale rivolta unicamente all’utile della vita pratica ed all’azione.

16
1.1.3 Reversibilità ed irreversibilità

La distinzione tra tempo newtoniano e tempo bergsoniano ci conduce ad introdurre i

concetti di reversibilità e di irreversibilità dei fenomeni; in ogni caso ci ritroviamo di

fronte o all’interno38 di processi in cui avvengono delle ripetizioni o delle trasformazioni

termodinamiche39.

Ricapitolando: il modello meccanicistico-deterministico, derivato dall’assolutezza

del tempo newtoniano, tende ad una solida ed uniforme concatenazione causale; ciò

implica che ogni parte del processo è regolare e prevedibile, poiché necessariamente

identica alle altre parti. Inizio e fine coincidono così che, conoscendo posizione e

potenzialità del movimento, è possibile determinare, prevedere e controllare ogni altra

sua parte. Allora sarà reversibile quel processo che si può svolgere indifferentemente

dallo stato iniziale a quello finale e viceversa, senza che ciò comporti alcun cambiamento

al proprio interno o all’ambiente esterno. Questo genere di trasformazione costituisce per

la fisica odierna un caso puramente ideale40 nella quale avviene una successione di ripetuti

stati di equilibrio in un tempo del tutto simmetrico, dunque in un tempo che non ha

38
Vediamo infatti che nell’ambito della cibernetica abbiamo l’esplicitazione tecnica della circolarità tra
osservatore e sistema osservato.
39
La termodinamica è la branca della fisica classica che studia i processi in cui sono implicati
scambi/conversioni di calore e lavoro. Essa nel corso del tempo ha superato la concezione determinista del
meccanicismo, passando dallo studio dei fenomeni isolati e macroscopici a quello delle trasformazioni
microscopiche e non isolate; difatti verrà costituendosi a propria volta una branca della termodinamica
denominata “termodinamica del non equilibrio”.
40
In termodinamica si parla di “trasformazione quasistatica ideale” poiché impossibile da realizzare nella
pratica: si effettua necessariamente con variazioni e trasformazioni infinitesime delle proprietà del sistema
(pressione, volume e temperatura), in maniera tale da passare attraverso una successione di infiniti stati di
equilibrio. È evidente che le trasformazioni reversibili non sono possibili da realizzare perfettamente,
poiché richiederebbero un tempo infinito per compiersi; tuttavia si possono immaginare come limite non
assurdo di cose realizzabili.

17
direzionalità ed è sempiterno. A proposito dell’astrazione della ripetizione possiamo

citare ancora Bergson41:

La répétition n’est donc possible que dans l’abstrait: ce qui se répète, c’est tel ou

tel aspect que nos sens et surtout notre intelligence ont détaché de la réalité,

précisément parce que notre action, sur laquelle tout l’effort de notre intelligence

est tendu, ne se peut mouvoir que parmi des répétitions. Ainsi, concentréè sur ce

qui se répète, uniquement préoccupée de souder le même au même, l’intelligence

[…] répugne au fluent et solidifie tout ce qu’elle touche.42

Allora riflettere su un tempo o su una ripetizione reversibile vuol dire solidificare la

parte in un’unica identità che è allo stesso tempo anche il tutto; un’identità che assume i

41
Bergson parla della ripetizione come dell’attività che può svolgersi solo in maniera astratta. La facoltà
che permette di astrarre e saldare l’identico con l’identico è l’intelligenza, volta all’utile dell’azione
conoscitiva: non potrebbe esservi conoscenza se non potessimo cogliere una certa stabilità e regolarità nel
reale, così da fissare solide relazioni tra fatti ed idee. Tuttavia bisogna ricordare che quest’attività
dell’intelligenza contrasta con il suo concetto di durata, intesa come creazione dell’incessantemente nuovo:
la novità non comporta ripetizioni. Ecco che si ripropone allora lo scarto tra ciò che è pensato e ciò che è
vissuto, scarto che è costituito dall’indeterminazione della durata.
42
H. BERGSON, Evolution créatrice, cit.; tr. it. in ID., L’evoluzione creatrice, cit., p. 20: «La ripetizione
dunque è possibile solo in astratto: ciò che si ripete è questo o quell’aspetto che i sensi e soprattutto
l’intelligenza hanno isolato dalla realtà, proprio perché la nostra azione, verso cui è teso tutto lo sforzo della
nostra intelligenza, non può muoversi che fra delle ripetizioni. Così concentrata su ciò che si ripete,
preoccupata unicamente di saldare l’identico all’identico, l’intelligenza […] respinge ciò che è fluido e
solidifica tutto ciò che tocca».

18
caratteri dell’essere parmenideo43 e che rimanda ai principi di identità e di non-

contraddizione aristotelici44.

D’altra parte abbiamo visto il modello proposto da Bergson: un modello insieme

finalistico e indeterministico che intende porre attenzione sull’indeducibilità dei

fenomeni vitali. Tale indeducibilità-irregolarità è intrinseca alla stessa durata, dal

momento che si dà come creazione dell’incessantemente nuovo45. Ci sembra che la stessa

questione si riproponga in parte dal punto di vista scientifico quando si parla di

trasformazioni o processi irreversibili. Quest’ultimi sono caratterizzati dal loro verificarsi

in una precisa direzione del tempo che non può essere mai invertita; a tal proposito gli

scienziati parlano di “freccia del tempo”. Dunque si tratta di tutti i fenomeni e gli eventi

appartenenti alla realtà che, seguendo naturalmente una precisa ed asimmetrica direzione

temporale46 (dal passato al futuro), non possono verificarsi nella direzione opposta.

43
Nel poema Περί Φύσεως (Perí Physeos) Parmenide sostiene la realtà dell’Essere come immutabile,
omogenea, assoluta, unica ed eterna. Ricordiamo i suoi versi più celebri: «ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς
οὐκ ἔστι μὴ εἶναι […] ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι» («è, e non è possibile che
non sia […] non è, ed è necessario che non sia»). Dunque l’essere distinguendosi in maniera totalizzante
dal nulla (che non è, ed in quanto tale è addirittura impensabile) è un qualcosa di statico ed unitario,
principio di tutte le cose; ragion per cui il divenire della natura risulterebbe essere pura illusione. Perlomeno,
come osserva Emanuele Severino, questo sarebbe «Parmenide quale interpretato nella tradizione platonico-
aristotelico-hegeliana» (E. SEVERINO, Intorno al senso del nulla, Adelphi, Milano 2013, p. 108).
Cfr. ERODOTO, fr. 2, vv. 3-5, in DIELS-KRANZ, Die Fragmente der Vorsokratiker, cit.; trad. it. I presocratici.
Testimonianze e frammenti, cit.
44
Aristotele affermava: «È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non
appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo». Tale principio afferma l’identità piena
dell’essere in maniera tale che non possa entrare in contraddizione con sé stesso. Volendo estendere
all’essere il valore di verità assoluta, possiamo dire che una proposizione (A) non può avere valore di verità
al medesimo modo ed al medesimo tempo rispetto alla sua negazione (¬A); dunque: A è A e non può essere
¬A, esattamente come avviene nell’Essere parmenideo.
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, IV (Libro Gamma), cap. 3, 1005 b, 19-20: «Το γάρ αυτό άμα υπάρχειν
τε και μήν υπάρχειν αδύνατον τώ αυτώ και κατα το αυτό»; anche in TOMMASO D’AQUINO,
Commento alla metafisica di Aristotele, a cura di L. Perotto, vol. 1, Edizioni Studio Domenicano, Bologna
2004, p. 631.
45
È evidente come l’elemento della novità sia insieme risolutivo e problematico per la visione continuista
di Bergson. Tuttavia un superamento di tale problematicità può esser dato tenendo conto che si tratta di un
concetto-limite.
46
Il tempo è asimmetrico perché contiene intrinsecamente una differenziazione di parti; difatti in questo
modo diviene possibile distinguere tra passato e futuro.

19
Riflettendo su tale questione, Wiener sostiene che possiamo comunicare e conoscere tutto

ciò che concorda con la direzionalità del nostro tempo:

In short, we are directed in time, and our relation to the future is different from

our relation to the past. All our questions are conditionated by this asymmetry,

and all our answers to these questions are equally conditionated by it. […] This

being the case, we can see those stars radiating to us and to the whole world;

while if there are any stars whose evolution is in the reverse direction, they will

attract radiation from the whole heavens, and even this attraction from us will not

be perceptible in any way, in view of the fact that we already know our own past

but not our future. Thus the part of the universe which we see must have its past-

future relations, as far as the emission of radiation is concerned, concordant with

our own. The very fact that we see a star means that its thermodynamics is like

our own.47

Seguendo la logica asimmetrica della temporalità, generalmente diciamo che un

evento passi da uno stato di ordine ad uno stato di disordine; così accade che a seguito di

un terremoto non vedremo mai una ricomposizione spontanea da parte delle rovine di un

campanile (a meno che non si intervenga dall’esterno su di esse). Ciò che avviene è un

movimento realizzato da un numero finito di stati di non equilibrio, ove ciascuna parte è

47
N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., pp. 33-34;
tr. it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., pp. 60-61: «In
breve, noi siamo orientati nel tempo, e le nostre relazioni con il futuro sono diverse da quelle con il passato.
Tutti i nostri problemi sono condizionati da questa asimmetria, come anche lo sono tutte le soluzioni che
ne diamo. […] Stando così le cose, noi possiamo vedere le stelle che irradiano verso di noi e verso il mondo
intero; mentre se vi fossero stelle la cui evoluzione seguisse la direzione opposta, esse attirerebbero le
radiazioni dell’universo, e le radiazioni che esse attirerebbero da noi non sarebbero in alcun modo
percepibili, dato che noi conosciamo il nostro passato ma non il nostro futuro. La parte dell’universo che
noi vediamo deve perciò avere relazioni di passato e futuro concordanti con le nostre, per quanto concerne
l’emissione di radiazioni. Il fatto stesso che vediamo una stella dimostra che la sua termodinamica è uguale
alla nostra».

20
differente rispetto alle altre. Contrariamente a quanto avviene nei processi reversibili48,

ivi non è più possibile saldare l’identico con l’identico poiché interviene l’elemento

demolitore e differentemente diveniente della novità.

Dunque sembra che in ambito scientifico, attraverso la distinzione tra reversibilità ed

irreversibilità del tempo o dei fenomeni49, si riproponga l’eterna lotta filosofica tra

l’essere parmenideo ed il divenire eracliteo. Ancora una volta non è di nostro interesse

scegliere un unico percorso in una sorta di logica dell’aut-aut, quanto piuttosto inquadrare

i diversi percorsi in una rete orizzontale di rapporti attraverso cui diviene possibile

comprendere la portata ed i limiti di ciascuno. Tuttavia è evidente che questa logica

dell’et-et si ponga tendenzialmente più sul piano di un divenire relativo, poiché interessata

a mettere in rilievo ogni elemento discriminatorio che sia in grado di spiegare la realtà

diveniente dei processi cibernetici presi in considerazione. Nel fare ciò potremo altresì

valutare ciascun elemento discriminatorio come un essere immutabile o che perlomeno

aspira ad esserlo. A tal proposito nel paragrafo successivo abbiamo inteso approfondire

il metodo probabilistico cui si perviene grazie ad una sorta di “relativismo” insito nella

visione filosofica wieneriana.

48
Ricordiamo però che le trasformazioni reversibili sono puramente ideali e mai effettivamente realizzabili.
49
Ivi abbiamo fatto riferimento ad un’idea generale di reversibilità e di irreversibilità; per approfondire tali
concetti in relazione alla termodinamica cfr. M. CALÌ, P. GREGORIO, Termodinamica, Società Editrice
Esculapio, Bologna 1996, pp. 89-104; A. BERTIN, M. POLI, A. VITALE, Fondamenti di termodinamica,
Società Editrice Esculapio, Bologna 1997; G. Giambelli, Termodinamica e trasmissione del calore,
Maggioli Editore, Rimini 2007.

21
1.2 Un metodo probabile per una realtà diveniente

Abbiamo visto come Wiener, preliminarmente alla discussione sui meccanismi di

controllo e comunicazione, fosse interessato all’osservazione della mutevolezza delle

acque del fiume che scorreva dinanzi la sua stanza del MIT. Possiamo sin da ora cogliere

l’aspetto estetico della matematica wieneriana, tesa all’esplorazione dei “moods of the

waters” ed alla possibilità di descrivere formalmente la loro complessità.50 Un pensiero

di questo genere, ovvero improntato all’indagine degli “umori [moods indica anche gli

stati d’animo] delle acque”, intende evidentemente porre l’attenzione su quell’irregolarità

cui faceva riferimento Bergson con la sua concezione di durata come slancio vitale, ma

ancor prima Eraclito con la sua teoria del divenire.

Dal momento che, in base alle suddette considerazioni, la realtà si dà come un

processo intrinsecamente legato al fenomeno del cambiamento51, per una descrizione

della sua struttura occorre in via preliminare riflettere sulla relatività della conoscenza

stessa. Difatti se i fenomeni fisici sono sottoposti ad un’evoluzione che nel corso del

tempo assume i caratteri dell’irreversibilità, allora la conoscenza di essi sarà di volta in

volta relativa e anch’essa sottoposta ad una dinamica evolutiva di cui bisogna tenere in

conto.

50
Cfr. N. WIENER, I am a mathematician, cit., p. 33
51
Ricordiamo che quest’idea di processo diveniente in Wiener è riferibile specificatamente tanto
all’organizzazione delle macchine artificiali quanto all’organizzazione dell’essere vivente.

22
1.2.1 Il relativismo di Wiener

Wiener nel 1914 scrive l’interessante saggio Relativism52 in cui è possibile cogliere

l’aspetto essenziale della sua gnoseologia fallibilista, nonché l’intuizione che tale

fallibilità costituisca in realtà il motore attraverso cui spingere ogni conoscenza. Tale linea

di pensiero esclude la possibilità di pervenire ad una conoscenza certa ed assoluta in ogni

ambito conoscitivo (compreso quello matematico), ma allo stesso tempo include

l’applicazione del dubbio metodico53 senza mai scadere in un puro scetticismo. Wiener

afferma che «in no significant sense can we assert the existence of self-sufficient

knowledge»54; per poi giungere alla conclusione: «But if no knowledge is self-sufficient,

none is absolutely certain.»55. Il fatto che non vi sia nulla di assolutamente certo, non

implica l’impossibilità di una qualche forma di conoscenza: probabilmente si tratta di un

nulla relativo56, attraverso cui è possibile ammettere l’esistenza di una molteplicità di

conoscenze che si pongono in relazioni essenziali.

52
Cfr. ID., Relativism, in “Journal of philosophy, psychology and scientific method”, 11 (1914), pp. 561-
577; l’articolo è rinvenibile in ID., Collected Works. With commentaries, a cura di P. Masani, vol. 4, The
MIT Press, Cambridge 1985, pp. 50-66.
53
A differenza del dubbio scettico che si dà come fine a sé stesso e che conduce ad una totale sfiducia
nell’ambito conoscitivo, il dubbio sistematico di Wiener costituisce il metodo attraverso cui mettere alla
prova le varie conoscenze, così da porre una separazione tra quelle più dubitabili e quelle più probabili.
54
N. WIENER, Relativism, cit., p.566; in ID., Collected Works, cit., p. 55: «in nessun senso dotato di
significato noi possiamo asserire l’esistenza di una conoscenza autosufficiente».
55
Ibidem: «Ma se nessuna conoscenza è autosufficiente, nulla è assolutamente certo».
56
La negazione relativa è una negazione che nega qualcosa e insieme ne afferma un’altra. In tale ambiguità
la negazione corrisponde ad una determinazione: ad esempio, negare di essere una persona corrotta è solo
un modo per affermare e determinare la propria persona come onesta. A tal proposito Platone aveva
osservato nel Sofista: «qualcosa di altro indicano le particelle negative […] preposte ai nomi che le
seguono» (PLATONE, Sofista, 256 b-c, tr. it. in Opere complete, a cura di A. Zadro, vol. 2, Laterza, Roma-
Bari 1975, p.244.

23
In questo modo il nostro autore può scagliarsi contro ogni forma di conoscenza che

pensa di poter rinvenire soluzioni di verità unicamente in sé stessa; a tal proposito Wiener

muove delle critiche a Bergson sostenendo:

Relativism only objects to pragmatism in so far as it seems to claim to have said

the last word in philosophy: a relativistic pragmatism is quite possible. But

Bergsonianism contains elements which are essentially non-relativistic. Bergson

postulates gulfs which can not be bridged between homogeneous duration and

mathematical time, between purposes and mechanism, between life and matter,

between language and thought, between that intuitive thought which allows the

mutual interpenetration of idea with idea, and intellectual thought, - that thought

which deals in absolutely hard-and-fast concepts and clear-cut distinctions. […]

Now, to suppose the existence of absolutely sharp distinctions runs directly

counter to the spirit of relativism, and, I believe, of Bergsonianism itself.57

La critica al bergsonismo nasce chiaramente da un’esigenza di colmare gli “abissi”

posti da Bergson, in base ai quali permane uno scarto differenziativo tra scienze fisiche e

matematiche per un verso e la metafisica della vita per l’altro. Così Wiener aggiunge:

Bergson believes that the physical sciences and mathematics deal with notions

that are absolutely rigid, […] it is a world of pure space and pure matter and pure

57
N. WIENER, Relativism, cit., p.570; in ID., Collected Works, cit., p. 59: «Il relativismo obietta al
pragmatismo soltanto la sua pretesa di aver detto l’ultima parola in filosofia: un pragmatismo relativistico
è però del tutto possibile. Ma il bergsonismo contiene elementi che sono essenzialmente non-relativistici.
Bergson postula abissi che non possono essere colmati tra la durata omogenea e il tempo matematico, tra
scopi e meccanismo, tra vita e materia, tra linguaggio e pensiero, tra il pensiero intuitivo, che permette la
mutua interpenetrazione di idea con idea, ed il pensiero intellettuale, - il pensiero che tratta con concetti
assolutamente rigidi e distinzioni ben definite [clear-cut]. […] Ora supporre l’esistenza di distinzioni
assolutamente nette va direttamente contro lo spirito del relativismo e, credo, del bergsonismo stesso».

24
forms, uncontaminated by any taint of time58 or of life or of the "mutual

interpenetration" of idea with idea. […] But we have seen that such a world is a

mere nonentity; that natural science, like every other intellectual discipline, must

deal with imperfectly defined concepts, and hence must permit a certain amount

of the interpenetration of idea with idea. Even in the case of mathematics, the

most abstract and most formal of all disciplines, we have seen that no assignable

set of rules will ever exhaust the conditions of the validity of a single deduction;

we have seen how the very use of a symbolism is conditioned by our thinking

according to the spirit of the symbolism, which can never itself be exhaustively

and adequately symbolized. No! Bergson's dualism is a false one: pure formal

thought exists only as a misinterpretation of mathematics by Bergson and certain

formalistic philosophers of mathematics […]. Since Bergson regards

mathematics and the allied sciences as purely formal disciplines, and puts them

in a world by themselves, he is forced to consider the realm of the mutual

interpenetration of idea with idea as free from all taint of mathematics. […] This

mysticism is the necessary result of a belief in the purely formal character of

mathematics and physical science. But, if we do not believe that mathematics and

physical science are purely formal, […] then there is no ground for thinking that

they, too, do not play their part in our true insight into the universe. […] Bergson

sets up a windmill, calls it physical science, and then charges it most valiantly.

But it is only because it is a windmill, and not true science, that he attacks, that

he comes off victorious.59

58
Da notare come il ruolo del tempo sia per Wiener di fondamentale importanza ai fini della comprensione
della realtà.
59
Ibid., pp.570-571; in C.W. pp. 59-60: «Bergson crede che le scienze fisiche e la matematica trattino con
nozioni che sono assolutamente rigide, […] mondo di puro spazio, pura materia e pure forme, incontaminate
da qualsiasi macchia di tempo, o di vita o di “mutua interpenetrazione” di idea con idea. […] Ma noi
abbiamo visto che tale mondo non esiste; che la scienza naturale, come ogni altra disciplina intellettuale,
deve trattare con concetti imperfettamente definiti, e quindi deve permettere una certa quantità di
interpenetrazione di idea con idea. Anche nel caso della matematica, la più astratta e formale di tutte le

25
Possiamo cogliere l’originalità del pensiero di Wiener nel momento in cui riflette sul

fatto che l’uso di qualsiasi simbolismo richiede dapprima uno “spirito del simbolismo”

che non può essere formalizzato, ovvero un insieme di regole che non possono mai essere

adeguatamente scritte. Con questa operazione Wiener sta tentando di superare le

differenze formulate da Bergson, sostenendo che le scienze matematiche siano un

qualcosa di diverso rispetto alla scienza intesa come approdo di certezze. La matematica

di Wiener si pone su un piano che è intrinsecamente incerto, su un piano che ha maggiori

relazioni con l’arte piuttosto che con il puro formalismo.60

Tuttavia non possiamo fare a meno di notare come il “fraintendimento” sia reciproco

ed allo stesso tempo vitale per ciascuna posizione. Tenteremo di spiegare tale ambiguità

facendo riferimento a dei versi di Wislawa Szymborska61:

discipline, noi abbiamo visto che nessun insieme assegnabile di regole sarà mai esaustivo delle condizioni
di validità di una singola deduzione; noi abbiamo visto come il reale uso di un simbolismo è condizionato
dal nostro pensare secondo lo spirito del simbolismo, il quale non può mai essere adeguatamente ed
esaustivamente simbolizzato. No! Il dualismo di Bergson è qualcosa di falso: il pensiero puro formale esiste
solo come un fraintendimento della matematica da parte di Bergson e di certi filosofi della matematica
formalisti […]. Giacché Bergson considera la matematica e le scienze affini come discipline puramente
formali, e le colloca in un mondo solitario, è poi forzato a considerare il regno dell’interpenetrazione mutua
dell’idea con l’idea come libero da ogni contaminazione di matematica. […] Questo misticismo è l’esito
necessario della credenza nel carattere puramente formale della matematica e della scienza fisica. Ma, dato
che noi non crediamo che la matematica e la scienza fisica siano puramente formali, […] non c’è alcuna
base per pensare che anch’esse non contribuiscano con la loro parte alla nostra reale intuizione
dell’universo. […] Bergson costruisce un mulino a vento, lo chiama scienza fisica, e poi si scaglia da prode
contro di esso. Ma è solo perché egli attacca un mulino a vento e non la scienza autentica che risulta infine
vittoriosa».
60
Wiener è convinto che si debba considerare il matematico come un vero e proprio creatore di forme
matematiche. Ciò risulta con maggior evidenza in Mathematics and art, dove sostiene che la matematica si
dà come espressione artistica in grado di produrre un’emozione identica a quella della contemplazione
estetica; al posto dei segni e dei colori, strumento del matematico è il rigore formale che insieme limita ed
espande la sua espressività. Cfr. ID., Mathematics and art. Fundamental identities in the emotional aspects
of each, in “The Technology Review”, 32 (1929), p. 129; rinvenibile in ID., Collected Works, cit., p. 851.
61
Wislawa Szymborska (Kórnik, 1923 – Cracovia, 2012), poetessa e saggista polacca, è considerata tra le
più grandi poetesse degli ultimi anni; tra i numerosi riconoscimenti ricordiamo che è stata insignita nel
1996 del Nobel per la letteratura.
In questa poesia si fa riferimento alle oloturie, ovvero una classe di echinodermi diffusi sui fondali marini
che possiedono una capacità senza eguali in natura: in presenza di un eventuale predatore, per distrarlo e
facilitare la fuga, sono in grado di eviscerare, ovvero si staccano da soli alcuni organi (intestino, polmoni
acquiferi e gonade). Per di più hanno grandi capacità rigenerative, tant’è che in circa sei settimane gli organi
sono rigenerati e la situazione si può definire riassestata.

26
In caso di pericolo, l'oloturia si divide in due: / dà un sé in pasto al mondo, / e con

l'altro fugge. / Si scinde in un colpo in rovina e salvezza, / in ammenda e premio,

in ciò che è stato e ciò che sarà. / Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso / con

due sponde subito estranee. / Su una la morte, sull'altra la vita. / Qui la

disperazione, là la fiducia. / Se esiste una bilancia, ha piatti immobili. / Se c'è

giustizia, eccola. / Morire quanto necessario, senza eccedere. / Rinascere quanto

occorre da ciò che si è salvato. / Già, anche noi sappiamo dividerci in due. / Ma

solo in corpo e sussurro interrotto. / In corpo e poesia. / Da un lato la gola, il riso

dall'altro, / un riso leggero, di già soffocato. / Qui il cuore pesante, là non omnis

moriar, / tre piccole parole, soltanto, tre piume di un volo. / L'abisso non ci divide.

/ L'abisso ci circonda.62

Se ciascuna posizione si dà come relativa, possiamo dire che di per sé ognuna – presa

isolatamente – costituisce un abisso63, poiché nessuna è in grado di pervenire alla propria

auto-fondazione. È vero che Bergson pone degli scarti inalienabili tra il pensiero

intellettuale solidificante della scienza e lo slancio vitale che intende rimanere fluido e

creativamente diveniente. D’altra parte egli appare ben consapevole che, per parlare degli

elementi dell’indeterminato e della novità, deve relazionarsi direttamente con le scienze

di carattere positivistico e in particolar modo con quella filosofia che, non comprendendo

il proprio ruolo, finisce con l’accettare passivamente fatti e leggi da parte degli scienziati.

Dunque in quest’attitudine interventista da parte di Bergson, possiamo derivarne una certa

consapevolezza del fatto che le scienze contengano in sé non solo una componente

62
W. SZYMBORSKA, Ogni caso, a cura di P. Marchesani, Libri Scheiwiller, Milano 2009.
63
Basti considerare l’etimologia del termine: dal latino abyssus, dal greco ἄβυσσος, vuol dire “senza
fondo”; dunque riguarda una voragine che non ha limiti, non ha un punto in cui arrestarsi in maniera
definitiva. Per traslato sta ad indicare un qualcosa che è impossibile da raggiungere con l’intelletto umano.

27
fattuale, ma anche una componente teorica con la quale il filosofo deve avviare un critico

confronto. Si tratta allora del “caso di pericolo”, insito all’interno della stessa metafisica,

dalla quale poter uscire solo attraverso un processo decostruttivo: un processo che per un

verso lasci morire ciò di cui non ha bisogno, e che per l’altro focalizzi l’attenzione su ciò

che lo differenzia rendendolo vitale («Morire quanto necessario, senza eccedere. /

Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato».). Allora è chiaro che quell’abisso

bergsoniano proceda come in un triplo movimento istantaneo: nel momento in cui,

riflettendo su sé stesso, coglie il proprio carattere più profondo – quello dell’incertezza –

tende a separarsi da sé e da ciò che è altro rispetto al nuovo sé.

Tuttavia ci sembra che è solo in tale movimento divergente, attraverso la creazione di

“abissi che (ci) circondano”, che può trovare piena realizzazione la visione relativista

wieneriana, tesa ad affermare l’impossibilità di conoscenze autosufficienti. Wiener stesso

è dovuto ricorrere a tale diversificazione, relazionandosi come altro rispetto ad una certa

interpretazione di Bergson. Del resto ha contemporaneamente ammesso che una parte

dello “spirito del bergsonismo” non avrebbe potuto mai tollerare l’esistenza di

separazioni troppo nette e definite (“clear-cut”).

Di fondo sono in gioco i medesimi processi di decostruzione e ricostruzione cui

facevano riferimento i versi di Szymborska64. Vediamo allora come ciascuna posizione,

per potersi identificare in qualcosa e fare la propria parte, debba ricorrere ad una

relazione, ove ogni aspetto riflette un’evoluzione dipendente tanto dal ruolo del tempo

64
La biologia contemporanea ha altresì osservato dei fenomeni di distruzione legati alla costruzione del
vivente. Possiamo citare a titolo di esempio il fenomeno dell’apoptosi: consiste in una forma di morte
cellulare programmata che contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema.
Contrariamente alla necrosi, l’apoptosi si svolge in maniera ordinata e regolare, così da produrre un
vantaggio durante il ciclo vitale dell’organismo (ad esempio contrasta l’insorgenza di tumori, attiva il
sistema immunitario o aiuta nella formazione di un organismo); difatti altri nomi con cui viene
generalmente indicato questo processo sono “morte altruista” o “morte pulita”. Per un approfondimento su
di esso cfr. B. YOUNG, J. S. LOWE, A. STEVENS, J. W. HEATH, Istologia e anatomia microscopica, a cura di
O. Cremona, Elsevier Masson, Milano 2006.

28
quanto dal ruolo dell’osservatore.65 Spiegata la ragione per cui Wiener, nonostante la

suddetta critica, sembra porsi sullo stesso movimento di Bergson, analizziamo nel

prossimo paragrafo come la sua visione relativista anticipi di fatto il teorema di Gödel e

permetta di pervenire a nuove riflessioni in campo epistemologico.

1.2.2 Cambio di occhiali

Per ogni classe K di formule ω-coerente ricorsiva esistono segni di classe ricorsivi

r tali che né v Gen r né Neg(v Gen r) appartengono a Flg(K) esiste

una formula tale che, se T è coerente, allora né né la sua negazione

sono dimostrabili in T66.

Si tratta del celebre teorema di incompletezza cui era pervenuto il grande logico Kurt

Gödel (Brno, 1906 – Princeton, 1978) nel 1931. In esso si dimostra che è impossibile

costruire un sistema assiomatico completo, poiché all’interno di tale sistema esisteranno

sempre delle proposizioni indecidibili. L’indecidibilità è data dal fatto che gli enunciati

formulati in un sistema logico non possono essere né provati né confutati all’interno dello

65
Così il metafisico Bergson si muove, nel contesto storico dell’Ottocento, contro le scienze di stampo
positivista; al di là delle differenze interne, la sua corrente tende al rifiuto di una visione deterministica
della realtà e all’accettazione del carattere convenzionale delle ipotesi scientifiche. D’altra parte il
matematico Wiener in pieno Novecento sfida le principali convinzioni sulla matematica, per esprimere i
suoi dubbi riguardo la possibilità di un’assiomatizzazione totalmente inclusiva della logica formale.
66
GÖDEL, Über formal unentscheidbare Sätze der “Principia Mathematica” und verwandter Systeme I,
in “Monatshefte für Mathematik und Physik”, 38 (1931), pp. 173–198, tr. it di E. Ballo, Proposizioni
formalmente indecidibili dei “Principia Mathematica” e dei sistemi affini I, in GÖDEL, Opere. Vol. I 1929-
1936, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 113-138. Per ulteriori approfondimenti si vedano: G. LOLLI,
Sotto il segno di Gödel, Il Mulino, Torino 2007; E. NAGEL E J. H NEWMAN, La prova di Gödel, Edizioni
ETS, Bollati Boringhieri, Roma 2000.

29
stesso sistema, a meno che esso non risulti contradditorio e dunque incoerente. Se un

sistema vuole essere autoreferenziale (dunque far riferimento unicamente su sé stesso), la

scelta è tra coerenza e completezza di esso67 (poiché è stato dimostrato che queste

proprietà non possono mai darsi insieme). Dunque il teorema di incompletezza rientra a

pieno titolo tra i teoremi limitativi che specificano le proprietà che i sistemi formali non

possono avere.

Per l’interpretazione formalista della matematica ne consegue l’apertura di uno iato

tra dimostrabilità e verità. Dunque ci sono delle verità che non possono essere dimostrate,

cioè formalmente possono esistere teoremi validi ma indimostrabili in alcuni sistemi

formali; d’altra parte se si vuole procedere alla costruzione di sistemi logici

sufficientemente potenti/coerenti da poter fondare l’aritmetica o altre branche della

matematica, ci saranno delle formule che non potranno essere dimostrate: allora tali

sistemi risulteranno incompleti.

Il teorema di Gödel costituisce per Wiener l’ulteriore dimostrazione di quanto aveva

sostenuto sin dal 1914 nel saggio Relativism, ma anche in Is mathematical certainty

absolute?68 del 1915. Ricordiamo infatti che nella critica a Bergson egli era giunto ad

affermare l’impossibilità di chiudere completamente un qualsiasi sistema assiomatico

(compreso quello della matematica e della logica), poiché ogni simbolismo richiede il

rinvio ad uno “spirito” che non può essere mai completamente formalizzato69. A tal

67
Potremmo definire completo un sistema che è in grado di dimostrare ogni formula così come la negazione
di quelle formule. Dunque un sistema completo è in grado di dimostrare A e insieme ¬A (contravvenendo
al classico principio di non-contraddizione aristotelico), ma risulterebbe per questa ragione incoerente.
D’altra parte un sistema sintatticamente coerente non consente di dimostrare una formula e insieme la sua
negazione; in questo modo il sistema formale risulta essere incompleto.
68
Cfr. N. WIENER, Is mathematical certainty absolute, in “Journal of philosophy, psychology and scientific
method”, 12 (1915), pp. 568-574; l’articolo è rinvenibile in ID., Collected Works, cit., vol.1, pp. 218-224.
69
Nella propria autobiografia Wiener si mostra consapevole di essere arrivato molto vicino alle
conseguenze della prova di Gödel. Cfr. ID., I am a mathematician, cit., p. 324; tr. it. in L. MONTAGNINI, Le
armonie del disordine, cit., p. 48: «Quando studiavo con Bertrand Russell, non riuscivo a convincermi che
esistesse un insieme chiuso di postulati per tutta la logica che non lasciasse spazio ad alcuna arbitrarietà nel

30
proposito possiamo citare una lettera del futuro poeta americano T.S. Eliot70 che,

soffermandosi in particolare sull’articolo Relativism, aveva colto tutta l’importanza della

tesi relativista in ambito gnoseologico; così scriveva a Wiener:

Naturalmente la metafisica non la si può evitare del tutto, perché è impossibile

tracciare una linea netta. […] Ogni prospettiva suggerisce comunque questa

raccomandazione: non portare a conclusione nessuna teoria, ed evitare la

completa coerenza. Ora, il mondo della scienza naturale può essere

insoddisfacente, ma dopotutto è il più soddisfacente che conosciamo.71

Il teorema di incompletezza, che possiamo considerare come un’estensione del

fallibilismo gnoseologico wieneriano, non perviene alla dissoluzione totale di ogni forma

di conoscenza logica; semplicemente pone dei limiti all’autoreferenzialità di alcuni

sistemi formali.

Del resto abbiamo già avvertito una sorta di incoerenza nel momento in cui abbiamo

analizzato isolatamente la natura del tempo newtoniano e del tempo bergsoniano: per un

verso non si può pensare alla natura assoluta e reversibile del tempo senza distinguere al

suo interno gli istanti che si ripetono; d’altra parte l’irreversibilità della durata non è

immaginabile senza una visione continuista che si collochi sullo sfondo. Allo stesso modo

Wiener in Relativism aveva colto un’incoerenza (un “fraintendimento”) da parte del

sistema da essi definito. Allora, senza la giustificazione delle loro superbe tecniche, stavo presagendo
qualcosa delle critiche a Russell che furono in seguito compiute da Gödel e dai suoi seguaci, che hanno
posto le basi reali per la negazione dell’esistenza di una qualche singola logica derivante in maniera chiusa
e rigida da un corpo di regole specificate».
70
Solitamente noto come T.S. Eliot (1888-1965), Thomas Stearns Eliot è stato poeta, saggista,
drammaturgo e critico letterario insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1948. Nell’anno
accademico 1910-11 è stato in Francia per ascoltare le lezioni di Henri Bergson alla Sorbona; dopodiché è
tornato ad Harvard come candidato per il Ph.D. In questo biennio 1911-13 ha avuto modo di conoscere e
frequentare Wiener, con cui ha in comune l’interesse per le filosofie di Santayana e di Royce.
71
Eliot a Wiener, 6 gennaio 1965, cit. da N. WIENER, Collected Works, cit. vol.4, pp. 73-75.

31
bergsonismo, nel momento in cui aveva considerato la metafisica di Bergson come un

sistema isolato poiché crea abissi.

Dunque, ritornando al teorema, ne consegue che una proposizione, indimostrabile

all’interno di un sistema, può diventare assioma dimostrabile all’interno di un altro

sistema esteso72. Più tardi, esaminando le conseguenze della prova di Gödel, Wiener

comprende che le questioni di verità o falsità sono questioni relative ed appartenenti ad

un processo: esse possono essere determinate solo attraverso il rinvio a sistemi più vasti.73

Tali riflessioni sono fondamentali poiché esprimono una differente prospettiva circa

lo statuto epistemologico della logica e in generale della scienza; statuto epistemologico

che non potrà più fare a meno di prendere in considerazione il ruolo del tempo.

Ricordiamo che la logica classica, costituendosi di proposizioni considerate sub specie

aeternitatis, conteneva in sé i caratteri dell’atemporalità – o meglio, della sempiternità: la

veridicità delle sue proposizioni prescindeva dal tempo e dall’osservatore. Wiener si

discosta da questa prospettiva che gli ricorda la scienza platonica; 74 difatti sostiene che

nella scienza effettiva gli universali non sono nettamente definiti né immobili, ma al

contrario sono «evoluzione», «funzione matematica», poiché si presentano attraverso vari

72
Chiaramente a propria volta questo sistema esteso non potrà, secondo il principio di incompletezza,
dimostrare ogni formulazione che contiene; così il tutto si ripete, nel tentativo sempre nuovo di superare il
limite di ciascun sistema.
73
Cfr. N. WIENER, The role of the observer, in “Philosophy of Science”, 3 (1936), p.313 (l’articolo è
rinvenibile in ID., Collected Works, cit., vol. 4, p. 90); tr. it. in L. MONTAGNINI, Le armonie del disordine,
cit., pp. 111-112: «Gödel mostra come in ogni sistema matematico vi siano proposizioni la cui verità o
falsità può essere determinata solo da un riferimento esterno al sistema. Cioè, quando si cerchi di
determinare un sistema matematico rigoroso, tale che le sue proposizioni abbiano soltanto significati ben
determinati, al massimo si riesce soltanto a rinviare la questione del suo rigore a qualche sistema più vasto
che lo include. A qualsiasi stadio si faccia riferimento, esso non avrà mai una adeguata definizione
matematica. In tutti i sistemi matematici effettivi, vi sono sempre dettagli che (per quanto ne sappiamo)
possono essere definiti in due o più modi, e una decisione imperfetta tra questi modi può farci precipitare
in nuovi paradossi logici come quelli di Russell. Non importa quanto lontano ci spingiamo, vi sarà sempre
qualche studioso del futuro al quale la nostra matematica potrà apparire euleriana».
74
Cfr. Ibid., p. 307 (in C.W., p.84); tr. it. in Le armonie del disordine, p. 113: «Il platonico crede in un
mondo di essenze, di Idee nettamente definite e nell’esistenza di proposizioni riguardanti queste Idee
altrettanto nettamente definite, discorso in cui noi possiamo rientrare come osservatori ma mai come
partecipanti. Esse sono fuori del tempo e il tempo è per esse irrilevante».

32
gradi di vaghezza e di mutabilità. Dunque si tratta di proposizioni che seguono un

processo temporale, che possiedono una storia; di conseguenza la loro veridicità sarà

relativa e risulterà essere una questione di grado.75

In questo modo Wiener perviene alla feconda conclusione secondo cui «la scienza è

spiegazione dei processi» ed alle relative quattro massime76 attraverso cui sottolinea il

carattere paradigmatico del tempo.

75
Cfr. Ibid., p. 314 (in C.W., p. 91); tr. it in Le armonie del disordine, p. 113: «Ogni logica realmente utile
deve avere a che fare con Idee dai bordi vaghi e con una Verità che è solo questione di grado. Una logica
che ignori la storia effettiva delle idee e le limitazioni delle facoltà umane risulta essere una logica in vacuo;
ed è inutile».
76
Cfr. Ibid., p. 318 (in C.W., p. 93); tr. it. in Le armonie del disordine, p. 114: «(1) La scienza è spiegazione
dei processi nel tempo; (2) L’atto della spiegazione e dello sviluppo di concetti impiega di fatto un minimo
di tempo, e implica un riferimento a un minimo di tempo; (3) Né i concetti né le teorie sono ben definiti, a
meno che non siano passati attraverso un processo effettivo di definizione; (4) Il tempo impiegato per
giungere a un certo grado di definizione, come pure il tempo cui ci si riferisce in una definizione di questo
grado di precisione, è di ordine di grandezza approssimativamente proporzionale al grado di precisione
ottenuto».

33
CAPITOLO 2

Cybernetics

Così come l’aumento costante di entropia


è la legge fondamentale dell’universo,
la legge fondamentale della vita è la lotta all’entropia.

Vaclav Havel

La prima teorizzazione unitaria della disciplina cibernetica e la sua più celebre

definizione si devono a Wiener. Come emerge dall’autobiografia77 egli era ben

consapevole di dover trovare un termine che fosse adeguato al campo del controllo

automatico; così si rivolse alla parola greca κυβερνήτης78 ovvero pilota, timoniere:

difatti il timoniere è colui che, posto a controllo e a comando del timone, mette in atto

tutte le azioni necessarie-meccaniche affinché la nave sia condotta sulla giusta rotta fino

alla meta desiderata. Dunque per cibernetica bisogna intendere “l’intero campo della

teoria del controllo e della comunicazione sia nella macchina che negli animali”79.

Nella suddetta definizione è già possibile scorgere tutta la complessità e

l’interdisciplinarietà che caratterizza lo studio della scienza cibernetica: si tratta infatti di

una ricerca che indebolisce ogni forma di puro dualismo tra mente e corpo o tra esseri

77
Cfr. N. WIENER, I am a mathematician, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1964, p. 322.
78
Si noti come la scelta del termine si pone in continuità con il programma di “meccanizzazione della
teleologia” avviato sin dal 1943 insieme al neurofisiologo Arturo Rosenblueth e all’ingegnere Bigelow.
Tale programma consisteva nell’applicazione della teoria dei controlli automatici alla neurofisiologia e
viceversa.
79
N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, The MIT Press,
Cambridge, Massachusetts 1948, pp. 11-12; trad. it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione
nell’animale e nella macchina, il Saggiatore, Milano 1968, p. 35.

34
viventi (animali) e non viventi (macchine), arrivando ad analizzarli non solo come

processi analoghi ma anche in continua interazione e comunicazione80. Per comprendere

la differenza di prospettiva, basti pensare alla visione pienamente dualistica e

meccanicistica di Cartesio:

Qui in particolare mi ero fermato per far vedere che se ci fossero macchine con

organi e forma di scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, non

avremmo nessun mezzo per accorgerci che non sono in tutto uguali a questi

animali; mentre se ce ne fossero di somiglianti ai nostri corpi capaci di imitare le

nostre azioni per quanto è di fatto possibile, ci resterebbero sempre due mezzi

sicurissimi per riconoscere che, non per questo, sono uomini veri. In primo luogo,

non potrebbero mai usare parole o altri segni combinandoli come facciamo noi

per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perché si può ben concepire che una

macchina sia fatta in modo tale da proferire parole, e ne proferisca anzi in

relazione a movimenti corporei che provochino qualche cambiamento nei suoi

organi; che chieda, ad esempio, che cosa si vuole da lei se la si tocca in qualche

punto, o se si tocca in un altro gridi che le si fa male e così via; ma non si può

immaginare che possa combinarle in modi diversi per rispondere al senso di tutto

quel che si dice in sua presenza, come possono fare gli uomini, anche i più

ottusi.81

80
È allora possibile comprendere come la cibernetica compia una vera e propria ri-organizzazione critica
e sintetica di studi realizzati in settori che vengono tradizionalmente posti su piani differenti, come biologia
ed ingegneria, logica formale e psichiatria, scienze umane e fisiche.
81
Cfr. R. DESCARTES, Discorso sul metodo, parte V, 1637. Nonostante l’evidente dualismo della
concezione cartesiana, va riconosciuto il fatto che Cartesio stesso era incline a ritenere che ci fosse una
sorta di interazione tra materia e spirito, così da postulare l’esistenza della ghiandola pineale come punto
mediano e di contatto tra essi.

35
In questo estratto è evidente come la descrizione della realtà corporea si riduca

meccanicamente ad estensione e movimento; ciò che realmente distingue l’uomo dalla

sostanza corporea è lo spirito razionale (res cogitans), grazie al quale è possibile

comunicare e rispondere al senso di ogni cosa che accade.

D’altra parte abbiamo il soggetto-oggetto privilegiato da Wiener (e dal presente

lavoro), ovvero la visione epistemologica cibernetica che, superando ogni forma di puro

dualismo, pone l’attenzione sui processi automatici di controllo come elementi di e in

continuità tra sistema vivente (animali) e non vivente (macchine). Così la cibernetica

viene a costituirsi come la scienza cui facevamo riferimento nella conclusione del primo

capitolo, ovvero la scienza che è in grado di costruire e spiegare i processi nel tempo.

Difatti i suddetti fenomeni di autoregolazione sono riferibili non solo alla res extensa

cartesiana, ma anche alla facoltà raziocinante o a ciò che generalmente individuiamo

attraverso il termine “pensiero”82 e che costituisce la parte più astratta dell’individualità

e del comportamento di ogni sistema.

Considerazioni di questo genere ci pongono di fronte ad un approccio

tendenzialmente teleologico: se ciò che accomuna realtà materiale e vivente è un certo

tipo di processo o organizzazione83 – equiparabile a quello di un timoniere –, allora

devono essere presupposti dei fini e degli elementi causanti che li perseguano.

Nei prossimi paragrafi vedremo allora come ogni questione appartenente al reale è,

nelle intenzioni del nostro autore, riportabile alle categorie di modello, di informazione e

82
Se ad oggi siamo meno restii nell’ammettere un carattere di intelligenza per le parti meccaniche dei
calcolatori, si deve ad uno studio approfondito dei segnali di comando e di controllo ed alla conseguente
realizzazione di dispositivi che sono in grado di simulare le funzioni del cervello umano.
83
Ivi i concetti di ‘processo’ e di ‘organizzazione’ sono discussi come sinonimi; lo stesso avverrà in
seguito con i concetti di ‘programma’ e ‘modello’.

36
di entropia (per cui faremo riferimento ai messaggi), di feedback e di controllo

(riferimento ai messaggi di comando).

2.1 Entropia ed informazione nel modello

Wiener osserva che «one of the most interesting aspects of the world is that it can be

considered to made up of patterns84»; per poi esplicitare che il modello è essenzialmente

«an arrangement. It is characterized by the order of the elements of which it is made

rather than by the intrinsic nature of those elements».85 Dunque per processo o modello

bisogna intendere la configurazione di un oggetto che si dispiega secondo un certo ordine

nello spazio e nel tempo, indipendentemente dalla natura degli elementi di cui esso è

costituito. Tra i vari tipi di modelli Wiener analizza in particolare i messaggi, ovvero quei

modelli che generalmente sono impiegati per veicolare informazioni da una posizione ad

un’altra.

Dalla definizione wieneriana di modello deduciamo che la variabile fondamentale per

la spiegazione e la comprensione dei processi è data dalla categoria dell’ordine. A tal

riguardo è necessario soffermarsi dapprima su un concetto introdotto dagli studi della

termodinamica e poi affermatosi anche nelle teorie dell’informazione: l’entropia.

84
Non è un caso che Wiener utilizzi la parola inglese ‘pattern’, poiché essa sta ad indicare tutto ciò che si
ripete in una successione di elementi o tutto ciò che si riscontra come comune e regolare all’interno di un
insieme di oggetti osservati; in italiano può essere di volta in volta tradotta con: disegno, schema, tema (ad
esempio di una composizione musicale), configurazione, struttura, stampo, trama, motivo, modello.
85
N. WIENER, The Human Use of Human Beings, Cybernetics and Society, Houghton Mifflin Company,
Boston 1950; tr. it. in ID., Introduzione alla Cibernetica, Bollati Boringhieri, Torino 1966, p.17: «Uno degli
aspetti più interessanti del mondo è il fatto che può ritenersi costruito sulla base di modelli (patterns). Un
modello è essenzialmente una disposizione caratterizzata dall’ordinamento degli elementi di cui si compone
anziché dalla natura intrinseca di questi elementi».

37
2.1.1 Entropia

Nel primo capitolo abbiamo visto come Wiener si ponga in continuità rispetto al

concetto di durata bergsoniana; a tal proposito ricordiamo la riflessione circa la

mutevolezza delle acque del fiume che scorreva dinanzi la sua stanza del MIT. Così, dopo

aver assunto l’immagine del fiume come modello per la comprensione del pensiero del

nostro autore, siamo giunti a delineare la realtà fisica come un processo intrinsecamente

diveniente e probabilistico. A seguito dell’esplicitazione del concetto di modello,

possiamo dire che la sua stessa configurazione ordinata (realizzata dagli elementi che lo

compongono) risulta essere un qualcosa di relativo e cangiante; così Wiener osserva:

Thus the modern automaton exists in the same sort of Bergsonian time as the

living organism; and hence there is no reason in Bergson’s considerations why

the essential mode of functioning of the living organism should not be the same

as that of the automaton of this type. Vitalism has won to the extent that even

mechanisms correspond to the time-structure of vitalism; but […] this victory is

a complete defeat.86

Al di là delle considerazioni circa la disfatta del vitalismo con conseguente

dissolvimento della controversia tra vitalismo e meccanicismo, ci interessa sottolineare il

86
N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., p. 44; trad.
it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., p. 72: «L’automa
moderno esiste quindi nello stesso tipo di tempo bergsoniano dell’organismo vivente, e di conseguenza non
vi è più alcuna ragione nelle considerazioni bergsoniane per cui le modalità di funzionamento essenziali
dell’organismo vivente non debbano essere uguali a quelle dell’automa di questo tipo. Il vitalismo ha vinto
a tal punto che anche i meccanismi corrispondono alla struttura temporale del vitalismo; ma […] questa
vittoria è una completa disfatta».

38
carattere di irreversibilità dei processi automatici presi in considerazione dal nostro

autore. Difatti essi, esistendo in un tempo di tipo bergsoniano, ovvero in una struttura

temporale continua ma asimmetrica, tendono a modificare il proprio stato in maniera

progressiva ed irreversibile: significa che la stessa configurazione ordinata, di cui

dispongono i modelli in un determinato stato-momento, tendenzialmente varia e dunque

che essa può disporsi in un ordine differente nel corso del tempo. Tale variazione di ordine

implica che vi sia stato un passaggio intermedio: un passaggio in cui gli elementi che

costituiscono il modello, sebbene appaiono ordinati nello stato iniziale e finale del

processo, si trovano in uno stato di disordine.

È possibile chiarire ulteriormente questo carattere di irreversibilità dei processi

attraverso la formulazione della seconda legge della termodinamica che ha introdotto il

concetto di entropia. Il secondo principio della termodinamica è chiaramente legato alla

già discussa freccia del tempo e sostiene che in un sistema isolato87 l’energia termica (il

calore) passa spontaneamente da un corpo più caldo ad uno meno caldo seguendo solo

questa precisa direzione, mai quella contraria. Per raffigurarci questa situazione, anche se

il sistema proposto non è mai completamente isolato rispetto all’ambiente, possiamo

pensare allo scioglimento di un cubetto di ghiaccio in una tazza di tisana calda: l’energia

termica della tisana (corpo più caldo) si trasferisce al cubetto (corpo meno caldo) fin

quando tutta l’energia si ridistribuisce e l’intero sistema raggiunge uno stato di equilibrio.

Nel sistema in equilibrio non è più possibile alcun passaggio di energia termica, poiché

ogni parte ha raggiunto la stessa temperatura.

87
Un sistema è isolato se non interagisce in alcun modo con l’ambiente circostante. Tale sistema non
scambia massa, né calore, né lavoro, poiché non è soggetto ad alcuna forza esterna; si tratta di un caso
ideale che si può ottenere sperimentalmente soltanto in maniera approssimata.

39
Similmente, riflettendo sullo scioglimento di una zolletta di zucchero nel caffè, è

possibile riproporre la medesima questione a livello particellare e attraverso le categorie

di ordine e di disordine. Entrambi i corpi (zolletta di zucchero e caffè), presi isolatamente,

ci appaiono già come ordinati ed in una condizione di equilibrio: la massa compatta dello

zucchero si trova allo stato solido, mentre il caffè allo stato liquido. Nel momento in cui

lo zucchero viene immerso nel caffè, i due sistemi interagiscono88 e ciò crea

inevitabilmente del disordine; difatti, in virtù della seconda legge della termodinamica,

gli atomi più caldi del caffè comunicano parte del loro moto di agitazione termica 89 agli

atomi dello zucchero, così che questi ultimi aumentano a propria volta la temperatura e

l’energia cinetica. Tutto ciò si ripete in maniera irreversibile fino alla dispersione totale

dell’energia nel sistema preso in considerazione: tale dispersione costituisce un punto di

svolta in cui non è più possibile distinguere lo zucchero dal caffè né tornare alle

condizioni iniziali. Paradossalmente90 ne consegue che, nella condizione di massimo

disordine (ovvero laddove è avvenuta la massima degradazione e dispersione di materia

ed energia), il sistema avrà raggiunto un nuovo stato di equilibrio-ordine; si tratta allora

di uno stato che per un verso era già predisposto alla comprensione91 inclusiva di elementi

differenti.

88
Vi è interazione quando due o più oggetti agiscono l’uno sull’altro, applicando reciprocamente delle
forze; da notare come tale fenomeno sia anche alla base della struttura comunicativa.
89
La temperatura è legata all’energia cinetica del moto di agitazione termica: maggiore è la temperatura,
più veloci ed energetiche sono le oscillazioni atomiche.
90
Dal greco παράδοξος (paràdoxos) è composto dal prefisso παρα (“contro”) e da δόξα (“opinione”): il
paradosso è allora un’espressione attraverso cui formulare una verità – o un’interpretazione di essa –
contraria all’opinione comune. Tuttavia la paradossalità, ponendosi al limite di ciò che è accettato dal senso
comune, costituisce il senso più profondo dello spirito probabilistico.
91
Dal latino comprehendĕre (composto da cum, “insieme” e da prehendĕre, “prendere/afferrare”): il
concetto di comprensione esprime di per sé la capacità di accogliere in maniera spontanea e simultanea
elementi di diversa origine e natura.

40
Allora possiamo definire l’entropia92 come la misura del grado di equilibrio raggiunto

da un sistema in un dato momento. Maggiore è l’isolamento del sistema, maggiore sarà il

grado di entropia, poiché esso – in virtù del secondo principio della termodinamica –

tenderà spontaneamente al raggiungimento della condizione di massima

disorganizzazione. Da qui la considerazione per cui in un sistema isolato l’entropia è in

costante aumento.93 Questo concetto è fondamentale poiché è in grado di spiegare la

direzione verso cui evolve ogni sistema-processo; a tal proposito ricordiamo quanto

sostenuto da Boltzmann94:

Lavoro ed energia cinetica possono essere trasformati l’uno nell’altra o

in calore incondizionatamente; viceversa, la riconversione del calore in

lavoro o energia cinetica visibile o non è assolutamente possibile o lo è

solo in parte […] il secondo principio della termodinamica annuncia un

costante progredire della degradazione dell’energia finché infine tutte le

energie potenziali, che potrebbero compiere ancora lavoro, e tutti i

movimenti visibili nell’universo dovrebbero cessare. Tutti i tentativi di

salvare l’universo da questa morte termica non hanno avuto successo.95

92
Dal tedesco entropie [composto dal greco ἐν (en, "dentro") e da τροπή (tropé, “cambiamento”)]: tale
concetto racchiude in sé un processo di trasformazione in transito. D’altra parte, dal momento che contiene
in sé il cambiamento, può altresì fungere da punto di svolta; a tal proposito si rimanda al concetto di
“funzione di stato” in termodinamica.
93
Sulla base di queste considerazioni si è ipotizzata la morte termica dell’universo, ovvero un possibile
stato finale in cui la dispersione dell’energia è completa: in altri termini non vi sarà più energia libera che
compia lavoro.
94
Ludwig Eduard Boltzmann (Vienna 1844 – Duino, 1906) è stato un filosofo, matematico e fisico
austriaco; aderì alla concezione materialistica e atomista dell’uomo e della natura. Il suo lavoro è consistito
principalmente nell’aver dimostrato che l’entropia deve aumentare di necessità secondo un processo
irreversibile.
95
L. BOLTZMANN, Populäre Schriften [1905]; trad. it. parziale di Anna Cercignani, Modelli matematici,
fisica e filosofia. Scritti divulgativi, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p.35.

41
Da queste considerazioni è chiaro che nei sistemi isolati vi è qualcosa (o più di

qualcosa) che inevitabilmente si disperde e che non possiamo più recuperare, o che al

massimo possiamo recuperare solo in parte tramite una riconversione energetica.

Questo tentativo di recupero è possibile in un sistema aperto, ovvero in un sistema

che interagisce con l’ambiente scambiando massa ed energia: ad esempio è il caso del

sistema frigorifero. È esperienza comune che grazie al frigorifero, abbassando la

temperatura degli oggetti-alimenti rispetto all’ambiente circostante, siamo in grado di

arrestare parzialmente il loro processo entropico o di degradazione.96 Tuttavia ciò non

avviene contraddicendo il secondo principio della termodinamica; al contrario, esso trova

ancor più piena legittimazione, poiché il frigorifero per poter funzionare deve ricevere

energia elettrica dall’esterno.

Dunque riusciamo ad arrestare parzialmente il disordine del moto atomico degli

alimenti nel frigorifero a patto di introdurre e di aumentare il disordine nel sistema aperto.

Di conseguenza il risultato di ogni azione messa in moto, anche qualora si tratti di

un’azione volta ad ordinare, in realtà comporta uno spontaneo ed inevitabile aumento di

entropia; da queste considerazioni trae origine e giustificazione la famosa espressione

“effetto farfalla”97, in base alla quale ogni azione può determinare in maniera

imprevedibile il futuro.

96
In biologia si può parlare di processo di ibernazione laddove, attraverso l’abbassamento della temperatura
corporea, le funzioni vitali sono ridotte al minimo.
97
La locuzione è stata coniata dal fisico Edward Lorenz e sta ad indicare come un piccolo cambiamento
delle condizioni iniziali di un modello o di un sistema possa dare origine ad un risultato significativamente
diverso rispetto a quello previsto. Solitamente per spiegare tale locuzione si fa riferimento alla seguente
espressione: “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas”.
L’immagine è poetica: un singolo battito di ali di farfalla in una determinata posizione può provocare
cambiamenti climatici, tali da originare successivamente turbamenti – addirittura un uragano – in una
diversa posizione. Dunque comprendiamo la ragione per cui nei sistemi caotici (come i fenomeni
metereologici) non è possibile prevedere cosa accadrà con assoluta certezza e precisione: poiché, appunto,
non è possibile conoscere ogni singolo e infinitesimo fattore che influenza l’atmosfera.

42
2.1.2 Entropia e processo di osservazione

La stessa questione si ripresenta nel principio di indeterminazione di Heisenberg ove

non è possibile misurare simultaneamente e con estrema precisione le proprietà che

definiscono lo stato di una particella elementare: difatti la misurazione della sua quantità

di moto risulta essere inversamente proporzionale rispetto all’esatta misura della sua

posizione.98 In linea teorica tale principio sta a significare che l’osservatore (o lo

scienziato che intende procedere a delle misurazioni) non può mai considerarsi come un

semplice spettatore, poiché il suo intervento produce inevitabilmente degli effetti

impossibili da calcolare con estrema precisione.

Ne consegue che l’intervento dello spettatore può essere più o meno invasivo: nel

saggio The role of the observer, ove è riconfermata l’ineliminabilità dell’influenza

dell’osservatore all’interno del processo conoscitivo, Wiener si è occupato di prendere in

considerazione situazioni legate al mondo dell’arte e della vita; ivi fa particolare

riferimento alla scenografia teatrale poiché, nel rappresentare la vita sociale, ricorre a

delle tacite convenzioni (sussurri di attori che in realtà gridano ecc.) di cui lo spettatore

non si avvede, a meno che non si presentino degli accadimenti che interferiscano con il

messaggio che il commediografo intende trasmettere.99

Comprendiamo a questo punto come il carattere di irreversibilità, definito

esplicitamente attraverso il criterio misurativo dell’entropia, sia fondamentale per la

98
Pensiamo ad esempio all’osservazione di una particella elementare, una particella che sfugge all’occhio
nudo e per la quale abbiamo bisogno dello strumento del microscopio: per la misurazione della sua
posizione è necessario illuminarla con un fascio di luce che, tuttavia, conferendole energia ed impulso,
causa una variazione infinitesima del suo stato di moto.
99
Cfr. N. WIENER, The role of the observer, in “Philosophy of Science”, 3 (1936), pp. 307-309; l’articolo
è rinvenibile in ID., Collected Works, cit., vol. 4, pp. 84-86.

43
spiegazione dei modelli/processi wieneriani. Difatti se l’entropia costituisce il grado di

equilibrio raggiunto da un sistema in un dato momento, allora esso rappresenta l’elemento

essenziale ed insieme informativo, poiché in grado di descrivere la configurazione

ordinata della mutevolezza in un determinato punto e momento.

2.1.3 Informazione come differenza infinitesimale

Prima di procedere con l’analisi del concetto di informazione, torna utile chiarire cosa

intendiamo quando si parla di differenza infinitesimale. È a Leibniz che, a differenza di

Descartes ed in continuità con Platone, va dato il merito di aver privilegiato la ragione a

scapito dell’intuizione sensibile; in particolare avviene il rifiuto dell’identificazione della

materia con l’estensione. In questo modo si privilegia il principio fisico dell’inestensivo,

ovvero la grandezza intensiva100 ed il numero infinitesimale.

L’accesso all’infinitesimale può esser cercato a partire da qualsiasi aspetto della

filosofia leibniziana: la sua quintessenza sistematica, ovvero l’armonia prestabilita, si

basa sulla concezione che risolve le cose nell’infinito delle piccole rappresentazioni. Per

spiegare la realtà Leibniz introduce la definizione di monade come ‘centro di forza’ e

‘unità reale’: essa consiste nella realtà dell’atomo fisico (diversa dal punto geometrico

che invece rimane astratto) ed, allo stesso tempo, ha la precisione e la perfezione del punto

geometrico (perfezione che manca invece all’atomo fisico). Di fatto la monade

leibniziana comprende in sé la sostanza ed il reale, rappresentando così in sé stessa tutto

100
Si definiscono grandezze intensive della materia quelle grandezze che, contrariamente a quelle estensive,
non dipendono dalle dimensioni dell’oggetto in questione; esempi di grandezze intensive sono la
temperatura e la pressione, mentre esempi di grandezze estensive sono la massa e il volume.

44
l'universo: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Ragion per cui l’intera realtà

unica ed infinita, non potrà esser spiegata se non attraverso il calcolo infinitesimale: è a

Leibniz che dobbiamo la prima sistemazione organica del suddetto calcolo, in particolare

la nascita del calcolo differenziale ed integrale101.

L’idea fondamentale, che ha portato alla concezione del differenziale e alla

definizione esplicita di limite, è stata quella di derivare il differenziale dalla legge di

continuità. La difficoltà consisteva nel determinare su una successione di grandezze

sempre meno differenti il valore incognito a cui esse si avvicinano indefinitamente,

appunto il loro limite. La risoluzione sta nell’applicare il principio secondo cui una

quantità infinitesima sommata a una quantità finita è trascurabile. 102 In questo modo il

concetto di limite non ha una valenza negativa ma, al contrario, acquisisce un’accezione

positiva che lo rende funzionale al calcolo infinitesimale.

A questo punto possiamo chiarire che l’informazione esprime una differenza;

differenza che possiamo indicare nella seguente modalità: i # i’. Ivi abbiamo

l’introduzione di un dato differente, ovvero un dato con carattere di novità rispetto al dato

iniziale. In caso contrario – laddove i = i’ – non avviene alcuna informazione. Da un punto

di vista psicologico, affinché possa avvenire l’acquisizione da parte della psiche di un

dato informativo, è necessario che questi contenga in sé dei caratteri di novità o di

straordinarietà. Così in psicoanalisi – osserva Wiener – «a subconscious motive brought

to light is no longer a subconscious motive»103.

101
Per approfondimenti sulla storia della costruzione del calcolo differenziale si vedano: L. GEYMONAT,
Storia e filosofia del calcolo infinitesimale, Bollati Boringhieri, Torino 2009; U. BOTTAZZINI, Il calcolo
sublime. Storia dell’analisi infinitesimale da Euler a Weierstrass, Bollati Boringhieri, Torino 1981; M.
KLINE, Mathematical Thought from Ancient to Modern Times, 1971, tr. it. di A. Conte, Storia del pensiero
matematico, 2 voll., Einaudi, Torino 1991, pp. 380-544.
102
Grazie a tale principio è possibile trovare la soluzione per il famoso paradosso della freccia di Zenone:
l’istante di tempo in cui si muove la freccia ed il suo spostamento non sono nulli ma infinitamente piccoli.
103
N. WIENER, The role of the observer, cit., p.309; l’articolo è rinvenibile in ID., Collected Works, cit.,
p.86: «un movente inconscio portato alla luce non è più un movente inconscio».

45
Dunque per informazione intendiamo una differenza infinitesimale simile alla

rappresentazione della monade leibniziana, un limite che acquisisce valenza positiva ai

fini della conoscenza critica, poiché in grado di rendere conto del reale ordinandolo. È

chiaro che il problema della misura della quantità d’informazione si identifica con il

problema relativo alla regolarità o all’irregolarità di un modello; a tal riguardo Wiener

sosteneva:

It is quite clear that a haphazard sequence of symbols or a pattern which

is purely haphazard can convey no information. Information thus must be

in some way the measure of the regularity of a pattern and in particular

of the sort of pattern known as time series. By time series I mean a pattern

in which the parts are spread in time. (…) Therefore, whatever definition

of information and its measure we shall introduce must be something

which grows when the a priori probability of a pattern or a time series

diminishes.104

Nel brano è possibile individuare non solo la definizione di informazione come misura

della regolarità di un modello, ma anche il suo legame intrinseco con il concetto di

entropia. Tale legame si esprime attraverso una questione centrale, ovvero entropia ed

informazione sono soggetti ad una legge analoga: un messaggio, nel corso della

trasmissione, può perdere spontaneamente il suo ordine ma non può mai acquistarlo.

104
ID., The human use of human beings, Houghton Mifflin Company, Boston 1950, p.20; trad. it. in ID.,
Introduzione alla cibernetica. L'uso umano degli esser umani, Bollati Boringhieri, Torino 1966. p.21: «È
evidente che una successione casuale di simboli o un modello meramente casuale non possono contenere
alcuna informazione. L’informazione, quindi, dev’essere in qualche modo la misura della regolarità di un
modello e particolarmente di quei tipi di modelli conosciuti come serie temporali. Con questo termine
intendo un modello le cui parti componenti si sviluppano nel tempo. (…) Qualunque definizione
dell’informazione e della sua misura si voglia introdurre, essa deve essere sempre relativa a qualcosa che
aumenta allorché diminuisce la probabilità a priori di un modello o di una serie cronologica».

46
Mentre diviene possibile interpretare l’informazione veicolata in un messaggio come il

negativo della sua entropia, un punto rimane irrinunciabile per Wiener: l’informazione

costituisce un ente a sé stante. Difatti egli ricordava: «Information is information, not

matter or energy. No materialism which does not admit this can survive at the present

day».105 Approfondiremo tale tematica nel capitolo successivo.

2.2 Entropia e progresso

Con l’introduzione del concetto di informazione si innalza la frontiera tra cibernetica

e fisica, poiché si opera un’estensione del sistema concettuale della meccanica classica a

problema statistico. Il nuovo mondo è costituito di materia, energia ed informazione. A

tal riguardo è necessario soffermarsi dapprima su alcune riflessioni circa la nuova fisica

che viene a delinearsi con la costituzione dell’ambito cibernetico.

2.2.1 Riflessioni sulla nuova fisica

Attraverso l’analisi dei concetti di entropia e di informazione siamo in grado di

annoverare la constatazione di Wiener secondo cui la nuova fisica procede in maniera

simile a quella sognata da Leibniz.

105
ID., Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., p. 132; trad. it. in
ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., pp. 177:
«L’informazione è informazione, non materia o energia. Al giorno d’oggi, nessun materialismo che non
ammetta questo può sopravvivere».

47
Possiamo comprendere quanto la fisica leibniziana sia risolutiva ai fini del discorso,

citando a titolo di esempio la disputa tra le due teorie della luce: vi era la concezione

corpuscolare sostenuta da Newton che ammetteva implicitamente l’esistenza dello spazio

vuoto e dell’azione a distanza; dopodiché vi era la concezione ondulatoria sostenuta da

Huyghens che implicava di accogliere l’esistenza di un mezzo di trasmissione continua.

La fisica di Leibniz può essere accolta come mediazione di entrambi gli approcci, poiché

egli «sconfessò nettamente il vacuum e ogni azione a distanza, mentre manteneva l’idea

di una composizione discreta della materia con l’ipotesi delle monadi, entità discrete

dotate della “natura dell’anima”».106

Alla luce della suddetta struttura logica possiamo comprendere meglio la relazione

sussistente tra i concetti di entropia e d’informazione; il fisico francese Leon Brillouin ha

proposto di vedere la chiave della suddetta relazione nei seguenti termini:

L’entropia è considerata esprimere in generale lo stato di disordine di un

sistema fisico. In modo più preciso si può dire che l’entropia misura la

mancanza di informazione sulla vera struttura del sistema. Questa

mancanza di informazione implica la possibilità di una grande varietà di

strutture distinte che sono, in pratica, impossibili a distinguersi le une

dalle altre. Poiché una qualsiasi di queste microstrutture può esistere

realmente, la mancanza di informazione corrisponde ad un disordine

reale nei gradi di libertà nascosti.107

106
ID., Back to Leibniz! Phisics reoccupies an abandoned position, in “The Technology Review”, 34
(1932), p.202; tr. it. in L. MONTAGNINI, Le armonie del disordine, cit., p.99.
107
L. BRILLOUIN, La Science et la Théorie de l’information, Masson, Paris 1959, p. 155.

48
In questo brano l’entropia sembra svolgere la funzione di mancanza di informazione,

dunque come un difetto di informazione a livello microscopico che rappresenta la tesi di

ignoranza e di probabilità soggettiva; da questo stato di cose si perviene ad un

accrescimento concomitante dell’entropia nell’universo, il che rappresenta il passaggio

dalla probabilità soggettiva a quella oggettiva. Possiamo allora riflettere sul carattere

dell’informazione come su quello di “neghentropia”, ovvero come possibilità di riduzione

dell’accrescimento entropico a livello soggettivo ed oggettivo attraverso l’organizzazione

di elementi fisici o umani e sociali che si oppongono alla spontanea tendenza al

disordine.108

A questo punto è interessante rilevare il fatto che Wiener, per la descrizione della

mutevolezza della realtà, debba fare riferimento alla teoria fisica dell’ottimismo in

Leibniz; ovvero la teoria secondo cui Dio, tra una pluralità di universi ugualmente

possibili, avrebbe scelto il presente in quanto il migliore: Dio avrebbe eseguito le

operazioni di massimizzazione del bene e di minimizzazione del male. Ne consegue che

le suddette operazioni, nella teoria e nelle intenzioni del nostro autore, corrispondono

esattamente alla possibilità di descrivere statisticamente il processo del divenire

attraverso le categorie di ordine e di disordine, ovvero attraverso la misurazione del grado

di entropia raggiunto e dell’informazione contenuta in un processo.

Constatiamo quanto il pensiero di Leibniz sia fondamentale per la costituzione

dell’ambito cibernetico wieneriano attraverso la seguente osservazione:

If I were to choose a patron saint for cybernetics out of the history of

science, I should have to choose Leibniz. The philosophy of Leibniz

108
Cfr. O. DE BEAUREGARD, Irreversibilità, entropia, informazione. Il secondo principio della scienza del
tempo, Di Renzo Editore, Roma 1994, pp. 57-62.

49
centers about two closely related concepts – that of a universal symbolism

and that of a calculus of reasoning. From these are descended the

mathematical notation and the symbolic logic of the present day. Now,

just as the calculus of arithmetic lends itself to a mechanization

progressing throught the abacus and the desk computing machine to the

ultrarapid computing machines of the present day, so the calculus

ratiocinator of Leibniz contains the germs of the machina ratiocinatrix,

the reasoning machine.109

Dunque per Wiener è possibile procedere alla costituzione dell’ambito cibernetico

attraverso la realizzazione di un programma fondamentalmente logicista (tendenza a

ridurre la sfera del pensiero umano a pensiero logicamente analizzabile) e fisicalista

(tendenza a identificare la sfera del pensiero con la cerebrazione). Il tutto è sintetizzabile

nel seguente schema deduttivo:

 proposizione I (realizzazione del programma logicista: tutto il pensiero è

riconducibile ad uno statuto logico formale;

 proposizione II: il pensiero logico formale, e soltanto esso, è riproducibile

nelle apparecchiature dei calcolatori elettronici: infatti, come fu dimostrato da

Shannon per la prima volta, ad ogni processo logico di connessione tra

proposizioni elementari (come negazione, moltiplicazione, disgiunzione,

109
N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, cit., p. 12; trad.
it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, cit., pp. 35-36: «Se
dovessi scegliere nella storia della scienza un santo patrono per la cibernetica, sceglierei Leibniz. La
filosofia di Leibniz si impernia su due concetti strettamente connessi: quello di un simbolismo universale e
quello di un calcolo nel ragionamento. Da questi sono derivate la notazione matematica e la logica simbolica
odierne. Ora, come il calcolo aritmetico si presta ad una meccanizzazione progressiva, dall’abaco e le
calcolatrici da tavolo ai calcolatori ultrarapidi di oggi, così il calculus ratiocinator di Leibniz contiene il
germe della machina ratiocinatrix, la macchina pensante».

50
implicazione) può corrispondere un circuito di commutazione automatica che

lo rappresenta fisicamente;

 proposizione III: quindi, tutto il pensiero è in tal modo riproducibile: il

pensiero artificiale così ottenuto è del tutto equivalente al pensiero naturale

umano e si identifica quindi con esso in quanto pensiero;

 proposizione IV: nell’artefatto, il pensiero ha luogo e svolgimento se e solo se

si danno strutture materiali, cioè il cosiddetto hardware (in contrapposizione

a software, che indica le parti non fisiche del calcolatore, come i linguaggi di

programmazione, i sottoprogrammi, eccetera); eliminando la struttura, è

invece impossibile che permanga la funzione ad essa corrispondente, cioè

appunto la realtà del pensiero;

 proposizione V (realizzazione del programma fisicalista): dalle proposizioni

III e IV è ragionevole concludere la coincidenza tra attività di pensiero e della

struttura materiale organica.110

Va notato come nello stesso termine “programma” vi sia un’ambiguità di fondo dal

momento che può essere inteso sia come ipotesi di lavoro che come progetto di

dimostrazione. Ad ogni modo in Wiener logicismo e fisicalismo contribuiscono alla

concezione del pensiero come di un insieme di variazioni di stato logiche appartenenti ad

una struttura fisica, ove entropia ed informazione avrebbero giocato un ruolo

determinante.

110
G. L. LINGUITI, Macchine e pensiero. Da Wiener alla terza cibernetica, Giangiacomo Feltrinelli Editore,
Milano 1980, p. 14.

51
2.2.2 L’automa moderno

La complessità dell’automa wieneriano è data dal fatto che si tratta di sistemi

retroagenti a segnali provenienti dall’esterno, dunque dall’ambiente circostante; un

esempio è la postazione automatica antiaerea a guida radar. Per cogliere a pieno la

questione, dapprima torna utile interrogarsi e riflettere circa la possibilità delle macchine

di emulare il pensiero umano. È una questione di non poco conto, dal momento che si

tratta di comprendere l’identità del nostro pensiero a livello ontologico ed epistemologico.

Wiener, sostenendo che i processi-modelli sono delle disposizioni caratterizzate

dall’ordinamento di determinati elementi anziché dalla loro intrinseca natura, aveva ben

compreso il valore del funzionalismo111. Allo stesso modo Hilary Putnam112 nell’ambito

del funzionalismo computazionale sosteneva:

il comportamento di una macchina calcolatrice non è spiegato dalla fisica

o dalla chimica della macchina: è spiegato dal programma della

macchina. Naturalmente il programma è realizzato in una particolare

fisica o chimica e potrebbe, forse, essere dedotto da quella fisica o

chimica. Ma ciò non fa del programma una proprietà fisica o chimica

della macchina: esso è una proprietà astratta della macchina.113

111
Il funzionalismo è in psicologia un indirizzo di ricerca che interpreta i fenomeni psichici come funzioni
mediante le quali l'organismo si adatta all'ambiente sociale e fisico, contrariamente al coevo strutturalismo
che li interpreta come elementi disgiunti fra loro.
112
Hilary Putnam (Chicago 1926 – Boston 2016) è un noto filosofo statunitense che ha rivolto le sue
attenzioni in questioni di filosofia della matematica, logica, filosofia della scienza, filosofia della mente e
filosofia del linguaggio.
113
H. PUTNAM, Minds and machines, in Mind Language and Reality. Philosophical papers, vol. 2,
Cambridge Univ. Press, Cambridge UK 1975, pp.1-45.

52
Adottando tale visione, siamo in grado di confutare definitivamente la realtà dualistica

cartesiana: tutto viene considerato nell’ambito di una “superlogica” che, mentre distingue

la componente software114 da quella hardware115 del calcolatore, pone attenzione sulle

analogie matematiche di funzione.

Affinché i sistemi possano mostrare il carattere di intelligenza è necessario che

l’informazione venga recepita ed elaborata attraverso i processi di memoria e di

apprendimento. A tal proposito possiamo citare Alan Turing che perviene alla

costituzione della macchina universale riflettendo dapprima sulle caratteristiche delle

macchine non organizzate. La costruzione di quest’ultime avviene in maniera non

preordinata e la casualità ne rappresenta una componente fondamentale, in quanto

permette di emulare al meglio i processi biochimico-fisiologici che presiedono al

trasferimento dell’informazione nel cervello umano116.

Un tipico esempio di macchina non organizzata potrebbe essere il

seguente. La macchina è costituita da un gran numero N di unità simili.

Ciascuna unità ha due terminali di ingresso e un terminale d’uscita, che

può essere connesso ai terminali di ingresso (zero o più) e altre unità. (…)

Tutte le unità sono connesse a un’unità centrale di sincronizzazione, che

emette impulsi a intervalli più o meno uguali di tempo. Gli istanti in cui

114
Per software solitamente si intendono tutti i componenti modificabili di un sistema o di un apparecchio
e, più specificamente in informatica, l’insieme dei programmi che possono essere impiegati su un sistema
di elaborazione dei dati.
115
Con il termine hardware intendiamo la parte fisica e non modificabile di un calcolatore.
116
L’apprendimento è un procedimento molto complesso per la differenza di parametri (suono, colore,
emozione, piacere e dolore ad esempio) da selezionare in vista dell’elaborazione delle informazioni.
Ciascuno di questi parametri appartiene a differenti aree del cervello, ognuna delle quali presiede a una
determinata funzione. Sebbene ad oggi possiamo vantare ricostruzioni 3D delle strutture cellulari presenti
nel cervello, tuttavia la modalità in cui avviene l’integrazione delle informazioni non è ancora
completamente chiara. Il motivo di ciò risiede nel fatto che stiamo parlando di cento miliardi di neuroni,
ognuno dei quali può avere decine di migliaia di porte di ingresso, per cui migliaia di trilioni di sinapsi.

53
questi impulsi arrivano saranno chiamati momenti. Ad ogni momento

ogni unità può essere in uno dei due stati, che identificheremo con 1 e

0.117

Turing paragonava questo tipo di macchina, definita anche di tipo B, alla corteccia

cerebrale di un neonato; essa può essere successivamente organizzata tramite

l’educazione, ovvero tramite l’interferenza esterna (stimoli di piacere e dolore). Dunque

se in un primo momento il comportamento della macchina è determinato da segnali (il

numero N di unità simili) che interagiscono tra loro in maniera entropica/casuale, in un

secondo momento esso sarà definito anche dalle interferenze esterne.

L’interferenza di piacere ha la tendenza a fissare il carattere, cioè a impedire il

suo cambiamento, mentre gli stimoli di dolore tendono a distorcere il carattere,

provocando la modifica di caratteristiche che erano diventate fisse, o facendole

diventare di nuovo soggette a variazione casuale (…) Si intende che gli stimoli di

dolore occorrono quando il comportamento della macchina è errato e gli stimoli

di piacere quando è particolarmente buono. Con appropriati stimoli distribuiti

secondo queste linee, giudiziosamente dispensati dall’insegnante, si può sperare

che il carattere tenda a convergere verso quello desiderato, cioè che il

comportamento sbagliato tenda a diventare raro.118

117
Cfr. TURING, Intelligent Machinery, rapporto interno del National Physics Laboratory, 1984; pubblicato
in Machine Intelligence, 5, a cura di B. Meltzer e D. Michie, Edinburgh University Press, Edinburgh 1969,
pp. 3-23; ora in The essential Turing, a cura di B. J. Copeland, Clarendon Press, Oxford 2004, p. 416, tr. it.
in TURING, Intelligenza meccanica cit., p. 98.
118
Ibid., p. 425; tr. it., p. 110.

54
Il “ricordo” dell’informazione di piacere o di dolore andrà a configurare il

comportamento della macchina in maniera tale che risulti sempre più complessa ed

intelligente. Tuttavia, affinché una macchina possa definirsi realmente pensante, dovrà

avere capacità di iniziativa.

Perché la mente non addestrata del neonato diventi intelligente, dovrà acquisire

sia disciplina sia capacità di iniziativa. Finora abbiamo considerato solo la

capacità di obbedire: convertire un cervello o una macchina in una macchina

universale è la forma più estrema di disciplina. Ma la disciplina da sola non è

certamente sufficiente a produrre intelligenza: è richiesta in aggiunta anche

l’iniziativa (e questa frase dovrà servire da definizione del concetto). Il nostro

compito è quello di scoprire la natura di questo residuo quale si presenta

nell’uomo, e cercare di copiarlo nelle macchine.119

È evidente che il sistema pienamente autonomo debba non solo eseguire gli ordini

che provengono dal processo di immagazzinamento ed elaborazione delle informazioni

(processo di memoria e apprendimento) attraverso le interferenze esterne, ma anche

eseguire attività di iniziativa propria, di elaborazione endogena. Si tratta esattamente del

“residuo” che Turing intende trapiantare nella macchina adulta incorporando nella

programmazione un sistema di inferenza logica, costituito da un linguaggio simbolico:

è necessario perciò disporre di altri canali di comunicazione, non emozionali. Se

vi sono questi canali, è possibile (…) insegnare a una macchina a eseguire ordini

dati in un certo linguaggio, per esempio un linguaggio simbolico. L’uso di questo

119
Ibid., p. 435; tr. it., pp. 116-117.

55
linguaggio diminuirà notevolmente il numero delle punizioni e delle ricompense

necessario. (…) Si potrebbe incorporarvi un sistema completo di inferenza logica.

In quest’ultimo caso la memoria sarebbe in gran parte occupata da definizioni e

proposizioni (…) alcune proposizioni possono essere descritte come imperativi.

(…) Avranno speciale importanza tra questi imperativi quelli che regolano

l’ordine in cui devono essere applicate le regole del sistema logico in questione.120

Allora il sistema che sarà dotato di un adeguato sistema logico, potrà compiere delle

scelte o azioni in base alle proposizioni o imperativi generali immessi nella macchina. È

evidente che l’ordine delle regole del sistema logico in questione corrisponde esattamente

all’ordine degli elementi di cui dispone un modello wieneriano; grazie ad esso e ad un

comportamento che si dimostri in parte casuale, in quanto non pienamente prevedibile,

un sistema è in grado di mostrare il suo carattere di intelligenza e di autonomia:

Una caratteristica importante di una macchina che impara è che il suo insegnante

ignorerà spesso in gran parte ciò che di preciso si verifica al suo interno,

quantunque possa essere in grado di predire in qualche misura il comportamento

del suo allievo. (…) La maggior parte dei programmi che possiamo inserire nella

macchina avranno come risultato di farle fare qualcosa che non possiamo

assolutamente capire, o che giudichiamo come comportamento casuale.121

A questo punto occorre precisare che il carattere di non prevedibilità rappresenta

proprio quelle caratteristiche di novità e di straordinarietà tipiche dell’atto informativo-

conoscitivo. Ne consegue che la caratteristica e la definizione di intelligenza, solitamente

120
Ibid., p.437; tr. it., pp. 153-154.
121
Ibid., pp. 458-459; tr. it., p. 155.

56
riferibili al genere umano, possono essere altresì attribuite al comportamento delle

macchine adeguatamente programmate e retroagenti agli stimoli esterni122.

2.1.3. Limiti dello sviluppo

D’altro canto Wiener è consapevole dei problemi che si celano dietro la questione

della previsione; così introduce in The human use of the human beings la tematica dei

processi non lineari, ovvero quei fenomeni in cui ad una causa doppia non segue un effetto

doppio123. Dal momento che secondo Wiener i fatti naturali ed umani sono rappresentabili

come processi non lineari, perviene alla seguente considerazione:

In tal senso un millennio può essere un periodo breve o un millesimo di

secondo un periodo lungo, secondo il sistema considerato. Basta una

lieve modificazione nello scatto del percussore di un fucile per

trasformare una mancata esplosione nell’effettivo sparo della pallottola:

e se questo fucile è nelle mani di un omicida, tale differenza

122
A tal riguardo possiamo introdurre la nozione di feedback: nel linguaggio tecnico scientifico solitamente
sta ad indicare un vero e proprio processo dove il risultato dell’azione di un sistema ha ripercussioni sul
sistema stesso, influenzandone così il comportamento futuro. In psicologia ed in linguistica indica un effetto
retroattivo (di reazione) prodotto da un messaggio o da un’azione su chi li ha emessi. Ci interessa soprattutto
quest’ultima definizione poiché, se riflettiamo in termini di comunicazione interpersonale (anche
pubblicitaria), è il significato che riscontriamo con maggiore frequenza.
123
L’esempio che fa il nostro autore è quello del lancio di una pallina contro una lastra di vetro: la velocità
della pallina risulterà approssimativamente proporzionale all’aumento della forza nel lancio. Ma quando il
vetro si romperà, lo farà in maniera complessa, ovvero sottrarrà alla pallina una certa quantità di energia
cinetica che risulterà sempre diversa in base al tipo di fratture prodotte nel vetro, dipendenti a loro volta
dalla struttura effettiva del vetro. Il problema è chiaramente non lineare, poiché risiede nello stabilire se la
pallina rimbalzerà e con quale velocità.

57
imponderabilmente piccola può produrre una differenza nell’effetto pari

a quella tra una rivoluzione e una pacifica evoluzione politica.124

La questione è la stessa del poetico “effetto farfalla” di Lorenz, con l’unica differenza

che Wiener parla della lieve modificazione nello scatto del percussore di un fucile già nel

1949. Interessante è la considerazione per cui un millennio può essere un periodo breve

così come un millesimo di secondo un periodo lungo in base al sistema considerato; ivi

si riferimento ad un sistema informativo di cui bisogna comprendere la portata ed i limiti.

Wiener si dimostra attento e consapevole dei limiti dello sviluppo e della questione

dell’irreversibilità dei processi, dal momento che considera l’interdipendenza e la fragilità

delle grandi reti:

Lo stesso sviluppo del commercio e l’unificazione dell’umanità rendono

sempre più fatali i pericoli delle fluttuazioni. Anticamente una catastrofe

in una parte del mondo poteva passare quasi inosservata altrove. (…) Ma

non è necessario richiamarsi all’ultima guerra per rendersi conto che oggi

siamo esposti ai disastri più che in qualsiasi altra epoca precedente. (…)

È vero che in media noi viviamo oggi in un’abbondanza assai maggiore

che nel passato. Tuttavia sono convinto che uno sconvolgimento e una

eversione di questa abbondanza siano oggi assai più probabili che nel

passato.125

124
N. WIENER, The human use of human beings, cit., p. 34; trad. it. in ID., Introduzione alla cibernetica
cit., pp. 48-49.
125
Ibid., p. 40; tr. it. pp. 55-56.

58
Nel capitolo successivo mostreremo il modo in cui la cibernetica si fa portatrice di

problematiche tipicamente filosofiche ed approfondiremo le trasformazioni in atto a

seguito della nascita della società dell’informazione.

59
CAPITOLO 3

Lo sviluppo dell’era dell’informazione

Per avere in mano la propria vita,


si deve controllare la quantità e il tipo di messaggi a cui si è esposti.

Chuck Palahniuk

Nel presente capitolo si intende analizzare parte degli effetti delle ICT digitali

(tecnologie dell’informazione e della comunicazione) in relazione all’identità umana ed

alle relazioni instaurantesi tra uomo e macchina. È evidente che lo sviluppo

dell’autonomia delle tecnologie ci pone di fronte a domande sempre più urgenti; ci

chiediamo ad esempio se esse si renderanno effettivamente utili alla disponibilità umana

o se, al contrario, ci costringeranno entro spazi concettuali e fisici più limitati,

obbligandoci in maniera silenziosa ad adattarci ad esse.

La tesi dell’intera opera wieneriana è volta ad affermare quanto segue:

La società può essere compresa tramite lo studio dei messaggi e degli

strumenti di comunicazione che appartengono ad essa; (…) nello

sviluppo futuro di tali messaggi e strumenti di comunicazione, i messaggi

tra gli uomini e le macchine, tra le macchine e gli uomini e tra le macchine

stesse, sono destinati a giocare un ruolo sempre più rilevante.126

126
N. WIENER, The Human Use of Human Beings, Cybernetics and Society, Houghton Mifflin Company,
Boston 1950; tr. it. in ID., Introduzione alla Cibernetica, Bollati Boringhieri, Torino 1966, pp. 23-24.

60
A partire da Cybernetics il nostro autore di riferimento aveva ipotizzato e previsto che

nel futuro vi sarebbero state macchine in grado di funzionare in modo simile ai sistemi

dinamici che processano informazioni (animali ed umani): mentre alcune macchine

sarebbero state in grado di prendere decisioni e di portarle a compimento, altre macchine

sarebbero state in grado di apprendere dall’esperienza e di modificare il loro

comportamento in ragione di essa. Wiener aveva ben compreso che in quest’opera di

meccanizzazione della teleologia, le macchine avrebbero preso parte ad attività

tipicamente umane, come creare, inviare e ricevere i messaggi. Oltre alle suddette

previsioni egli comprese che talune macchine (i computer digitali con applicazioni

robotiche) sarebbero state determinanti sul luogo del lavoro, al punto tale da rimpiazzare

migliaia di lavoratori, sia operai che impiegati. D’altra parte intravide anche la possibilità

di costruire protesi artificiali per aiutare le persone affette da disabilità127.

Possiamo dire che Wiener aveva visto con largo anticipo il delinearsi dell’età

dell’automatismo, che possiamo definire anche attraverso la locuzione “età

dell’informazione”, dal momento che le macchine avrebbero creato, raccolto ed elaborato

informazioni dall’ambiente circostante. Non si trattava di fantascienza né di mere

speculazioni dato che egli aveva già progettato e assistito alla costruzione dei primi

127
È recente la svolta nella ricerca sulle protesi artificiali; essa è arrivata all’interno del progetto di ricerca
europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory
feedback), coordinato da Christian Cipriani, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa. Di fatto è stato operato il primo impianto transradiale (sotto il gomito) permanente al
mondo, per il controllo di una mano robotica. La Professoressa Maria Chiara Carrozza, Direttore della
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in un’intervista a Wired.it ha spiegato: “L’obiettivo del progetto è lo
stesso, da tempo perseguito dalla Scuola: realizzare una protesi di mano controllabile intuitivamente e in
grado di restituire stimoli sensoriali alla persona; in altre parole, una mano in grado di trasformare
l’intenzione dell’amputato in azione della mano robotica, e allo stesso tempo, l’interazione della mano con
il mondo in percezione per la persona. L’obiettivo è consentire un controllo intuitivo e capacità
manipolative, utilizzando delle interfacce non-invasive, indossabili. La novità del progetto sta proprio
nell’idea di controllo: si vuole unire ai segnali mioelettrici (i segnali elettrici che naturalmente scorrono nei
muscoli quando compiamo un movimento) informazioni inerziali del braccio, di modo da compensare gli
effetti negativi del peso e dell’inerzia della protesi in movimento. A questo concetto di controllo, di cui
deteniamo un brevetto, integreremo feedback vibrotattile collegato ai sensori artificiali sulla protesi
robotica: ogni volta che l’amputato toccherà qualcosa, sentirà una piccola vibrazione sul moncone”.

61
dispositivi capaci di giocare, nonché mani artificiali o macchine in grado di autoriprodursi

come i trasduttori128 non lineari. Dal momento che, al pari degli animali e degli esseri

umani, le macchine retroagenti possono essere viste come enti dinamici cibernetici, anche

le comunità e le società possono essere analizzate in termini simili:

è indubbiamente vero che il sistema sociale sia un’organizzazione al pari

di un individuo; vale a dire che è tenuto insieme da un sistema di

comunicazione e possiede una dinamica, in cui processi circolari di

retroazione (feedback) giocano un ruolo importante.129

Ad oggi possiamo analizzare la società tenendo conto che la capacità delle ICT di

registrare e trasmettere informazioni è enormemente evoluta nella capacità di processare.

Dunque necessitiamo di una filosofia dell’informazione del nostro tempo e per il nostro

tempo che sia in grado di operare criticamente di fronte all’iperstoria130 nella quale siamo

immersi. Nei prossimi paragrafi prenderemo in considerazione tematiche quali quelle

dell’identità e del problema della previsione al fine di ottenere una rappresentazione più

chiara delle analogie sussistenti tra macchina e vivente.

128
Si tratta di dispositivi in grado di convertire una determinata grandezza fisica (temperatura, velocità,
pressione) in un’altra attraverso l’alterazione di alcune caratteristiche che la identificano.
129
Cfr. N. WIENER, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, MIT Press,
Cambridge 1965; tr. it. in ID., La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina,
il Saggiatore, Milano 1968, p. 33
130
Per iperstoria intendiamo la situazione in cui ci sono ICT che processano informazioni in maniera sempre
più complessa ed autonoma al punto tale che le società umane dipendono in modo cruciale da esse e
dall’informazione, in quanto risorse essenziali per la loro stessa crescita.

62
3.1 L’identità

Il concetto di identità wieneriano sembra porsi in continuità con le scienze

etnoantropologiche e sociali: esso riguarda la concezione che un individuo ha di sé

nell’individuale e nella società. Possiamo definire l’identità come un sistema di

rappresentazioni su cui ogni individuo fonda la propria esistenza come persona ed il

riconoscimento da parte degli altri esplicantesi nella relazione Ego-Alter. In questo modo

l’identità si dà come costruzione attraverso processi di differenziazione e di integrazione,

attraverso il ricordo di esperienze passate che poi possano fungere da modello per il

presente.

In virtù di ciò l’identità non si dà come un dato fisso, bensì come un punto di

riferimento mobile, soggetto a mutamento a causa delle situazioni relazionali che la

persona vive nella propria quotidianità. Tenendo presente che le reti che caratterizzano la

società contemporanea si fondano su eventi comunicativi di relazioni sociali, la persona

costruisce la propria identità attraverso una costruzione sociale: la persona riconosce sé

stessa ma riconosce anche l’altro come diverso da sé, ed in relazione con l’altro può

riconoscersi a propria volta come altro. Si tratta del sé sociale che Marcel Proust

tratteggiava nei seguenti termini:

Perfino nei più insignificanti dettagli della nostra vita, noi non siamo un

tutto costituito materialmente, identico per tutto il mondo e di cui

ciascuno potrebbe avere conoscenza come di un quaderno delle spese o

di un testamento; la nostra personalità sociale è una creazione del

pensiero altrui. Anche l’atto così semplice che definiamo come “vedere

qualcuno che conosciamo” è, in qualche misura, un atto intellettuale.

63
Riempiamo l’apparenza fisica dell’essere che vediamo con tutte le

nozioni che abbiamo su di lui e, nella raffigurazione totale che ci

rappresentiamo, tali nozioni hanno certamente la parte principale. Esse

finiscono per disegnare così perfettamente le sue spalle, per seguire in

modo così aderente la linea del suo naso e si fondono così

armoniosamente nella sua voce come se non fossero che una busta

trasparente, che ogni qualvolta vediamo il suo volto e ascoltiamo la sua

voce, sono queste nozioni che ritroviamo e ascoltiamo.131

Capita che le differenze tra il sé e l’altro, anziché essere uno stimolo all’integrazione

di esperienze quotidiane, rappresentino un limite (con valenza negativa) all’azione, in

quanto la persona viene individuata socialmente attraverso un processo di

categorizzazione che chiude il singolo in una definizione, senza tener conto delle sue

peculiarità. A tal riguardo Wiener osservava:

La maggior parte di noi americani preferisce vivere in una comunità

sociale dai vincoli moderatamente allentati, in cui gli ostacoli alla

comunicazione fra individui diversi e classi diverse non siano troppo

grandi. Non dirò che questo ideale di comunicazione sia stato raggiunto

negli Stati Uniti. Fin quando la supremazia della razza bianca non cesserà

di essere il credo di una gran parte della nazione, questo sarà soltanto un

ideale retorico.132

131
Overture (Proust, 1966). La strada di Swann, tr. it. N. Ginzburg, Einaudi, II ed., Torino1990.
132
N. WIENER, The Human Use of Human Beings, Cybernetics and Society, cit.; tr. it. in ID., Introduzione
alla Cibernetica, cit., pp. 74-75.

64
Possiamo rinvenire in Wiener la questione della manifestazione del potere di

Foucault: il potere si dà come costruzione di una “verità locale” che si spaccia per

“universale” e che risulta essere indifferente al bene e al male. Ciò avviene tramite una

serie di stratificazioni di senso che valorizzano aspetti funzionali al raggiungimento di

una certa meta e che, allo stesso tempo, cancellano le altre possibilità. In questi casi opera

silenziosamente il potere di decisione che effettua una continua oggettivizzazione di

quelle che invece dovrebbero essere continue costruzioni e creazioni sociali. In Wiener

ciò è rappresentabile attraverso il caso emblematico dello stato fascista:

Tuttavia anche questa moderata e informe democrazia appare un

ordinamento troppo anarchico per coloro che hanno fatto dell’efficienza

il loro primo ideale. Questi idolatri dell’efficienza preferirebbero che

ogni uomo si muovesse in un’orbita sociale predisposta per lui fin dalla

sua infanzia (…) La condizione meccanicamente regolata delle funzioni

prestabilite verso la quale sono sottratti è la condizione delle formiche.

(…) Se l’uomo dovesse scegliere come modello una comunità siffatta,

egli dovrebbe vivere in uno stato fascista in cui teoricamente ogni

individuo è condizionato fin dalla nascita a una particolare occupazione.

(…) Questo capitolo si propone di dimostrare che l’aspirazione fascista a

una condizione umana modellata su quella della formica è dovuta a una

fondamentale incomprensione sia della natura della formica che della

natura dell’uomo.133

133
N. WIENER, The Human Use of Human Beings, Cybernetics and Society, cit.; tr. it. in ID., Introduzione
alla Cibernetica, cit., pp. 75-76.

65
Interessante la valutazione wieneriana secondo cui la suddetta opera di stratificazione

di senso, valorizzante esclusivamente l’idea di efficienza, è frutto di ignoranza e di

incomprensione della stessa natura umana, poiché verrebbe eliminata «la maggior parte

della nostra capacità di variazione».134 Dunque un pensiero che si avvicini acriticamente

alle ideologie di stampo utilitaristico135 rischia di sacrificare sull’altare di una logica

“super-razionale” la sfera emotiva, il mondo delle relazioni, gli stessi concetti di identità,

libertà ed umanità. Tenendo conto di ciò, nel prossimo paragrafo vedremo come la stessa

struttura cerebrale e la relativa trasmissione delle informazioni siano processi predisposti,

più che ad una mera oggettivizzazione, alla flessibilità e ad un’intrinseca capacità di

variazione.

3.1.1 La plasticità della mente

Affinché si possano manifestare i caratteri di intelligenza e di autonomia, è necessario

che l’informazione venga recepita ed elaborata. Nel particolare distinguiamo il ricordo,

che consiste nel recupero di informazioni già immagazzinate, dal processo di

apprendimento che procede in un’opera di selezione di ciò che deriva da nuove

esperienze. Per comprendere a pieno la questione, dobbiamo dapprima soffermarci sulla

134
Ibid., p. 76
135
L’utilitarismo è riconducibile ad una teoria teleologica ove in primo luogo si stabilisce quale sia il bene
da perseguire, dopodiché si giudicano giuste o sbagliate (vere o false, 1 o 0) le azioni in base alla loro
capacità di perseguire quel bene. Jeremy Bentham (1748-1832) è stato il fondatore dell’utilitarismo
moderno. Nella sua opera maggiore Introduzione ai principi della morale e della legislazione emerge la
centralità del principio di utilità come “fondamento di quel sistema il cui obiettivo è innalzare l’edificio
della felicità per mezzo della ragione e della legge” e come “quella proprietà di ogni oggetto per mezzo
della quale esso tende a produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene o felicità oppure a evitare che si
verifichi quel danno, dolore, male o infelicità per quella parte il cui interesse si prende in considerazione:
se quella parte è la comunità in generale, allora l’interesse della comunità, se è un individuo in particolare,
allora l’interesse di quell’individuo” (J. BENTHAM, Introduzione ai principi della morale e della
legislazione, UTET, Torino 1998, pp. 90-91).

66
descrizione della cellula del neurone; essa è la cellula preposta al raccoglimento,

all’elaborazione ed al trasferimento delle informazioni che viaggiano sotto forma di

impulsi elettro-chimici.

Nella sua forma elementare il neurone è costituito da:

 dendriti, ovvero fibre che costituiscono le porte di ingresso del neurone

(paragonabili alle porte di input dei computer);

 corpo cellulare o soma, simile all’unità di elaborazione centrale delle

macchine (CPU);

 assone, ovvero una singola fibra che costituisce la porta di uscita del neurone

(paragonabile alla porta di output delle macchine);

 sinapsi, ovvero fibre che si trovano in corrispondenza di ogni porta (non

rientra nella struttura del neurone ma, come vedremo, è fondamentale per

l’elaborazione del segnale-informazione in uscita); hanno la funzione di

amplificare o attenuare i segnali trasmessi.

67
I segnali in ingresso, ovvero le informazioni, provengono o da cellule sensoriali (come

la retina dell’occhio) o da altri neuroni. Attraverso i dendriti o porte di ingresso (il loro

numero è variabile, dato che ogni neurone può contenere dalle centinaia alle decine di

migliaia di dendriti) i segnali possono giungere al neurone sotto forma impulsi elettrici.

Dopodiché i segnali vengono elaborati all’interno del soma; la loro elaborazione riguarda

la soddisfazione di determinate condizioni, in particolare il raggiungimento della soglia

di attivazione del neurone. Tale soglia non può essere determinata da un calcolo preciso,

così come il fattore di amplificazione/attenuazione delle sinapsi non è fisso. Ciò è dovuto

al fatto che le connessioni sinaptiche presentano la caratteristica della plasticità: esse

possono cambiare il fattore di amplificazione/attenuazione in base a determinati schemi

di stimolazione136. Se viene raggiunta la suddetta soglia, il soma rinvia il segnale

attraverso l’assone (o porta di uscita) che può allungarsi da un centimetro fino ad un

metro. Così il segnale in uscita può attivare le cellule muscolari o, come accade nella

maggior parte dei casi, può fungere da segnale in ingresso per altri neuroni. Si noti che

l’assone presenta alla propria estremità numerose ramificazioni, ragion per cui il segnale

in uscita può raggiungere diversi destinatari (fino a centinaia di neuroni).137

Questo complesso meccanismo di trasmissione delle informazioni ci rende

maggiormente consapevoli della straordinaria capacità che il cervello ha di plasmare

continuamente sé stesso; peraltro se le informazioni costituiscono di per sé differenze

136
Per quanto riguarda la potenza del segnale un ruolo decisivo è rappresentato dalle sinapsi, poiché ogni
singola porta input ha un filtro: non vi è alcuna connessione fisica dal momento che tra i neuroni si
interpongono delle microscopiche fessure. Durante la trasmissione, e affinché essa avvenga, i segnali
subiscono una trasformazione: da elettrici diventano chimici (è il rilascio di sostanze, dette
neurotrasmettitori, da parte dell’assone che rende possibile il superamento delle fessure). A propria volta
la cellula destinataria, grazie ad appositi recettori presenti sulla membrana, raccoglie i neurotrasmettitori e
li riconverte da impulso chimico in elettrico. Dunque le sinapsi svolgono il decisivo compito di amplificare
o attenuare i segnali trasmessi dall’assone mittente ai dendriti destinatari.
137
Cfr. Istologia, a cura di P. Rosati - R. Colombo - N. Maraldi, Edi Ermes, Milano 2007, pp. 521-586.

68
infinitesimali, possiamo dire che avviene come un sorvolo ed una ri-composizione

continua di differenze attraverso il rimodellamento delle connessioni sinaptiche.

In tal senso ogni singolo pensiero che attraversa la nostra mente, istante per istante, è

in grado di modificare qualcosa all’interno dei circuiti neuronali del nostro cervello; il

pensiero può allora esser visto come il prodotto della trasmissione delle informazioni e

del cambiamento delle sinapsi. Non è un caso che la stessa struttura del cervello si

definisca amorfa, dunque priva di una forma e di una configurazione definita.

Questo ci priva della possibilità di vedere il cervello come un modello definito, dal

momento che non siamo in grado di tracciare un ordine permanente degli elementi di cui

è composto; tuttavia possiamo analizzarlo come processo, dunque come un insieme di

modelli temporanei ed in evoluzione costante138, dal momento che «il sistema nervoso

partecipa a questo processo di lacerazione e di ricostruzione»139.

3.1.2 Il paradosso dell’identità

Un’obiezione circa la possibilità di costruire macchine simili al cervello è stata

avanzata nella Conferenza Lister140 dal professore neurochirurgo Geoffrey Jefferson nel

1949 ed implica la conseguenza logica secondo cui – in una sorta di ripresa del cogito

138
Ad oggi esistono tecniche diagnostiche come il “brain imaging” che ci consentono di fissare e misurare
il metabolismo cerebrale, al fine di poter analizzare la relazione sussistente tra determinate aree cerebrali e
specifiche funzioni cerebrali.
139
N. WIENER, The Human Use of Human Beings, Cybernetics and Society, cit.; tr. it. in ID., Introduzione
alla Cibernetica, cit., p. 80.
140
Queste conferenze prendevano il nome dal chirurgo inglese Joseph Lister (1827-1912). Jefferson tenne
il 9 giugno 1949 tale conferenza presso il Collegio reale dei chirurghi inglesi in occasione dell’assegnazione
della omonima medaglia.

69
ergo sum cartesiano – per poter essere sicuri dell’esistenza di una macchina pensante,

bisognerebbe essere la macchina e riconoscersi in un flusso di coscienza come pensante.

Fino a quando una macchina non potrà scrivere un sonetto o comporre

un concerto in base a pensieri ed emozioni provate, e non per la

giustapposizione casuale di simboli, non potremo essere d’accordo sul

fatto che una macchina uguagli il cervello: cioè, che non solo scriva, ma

sappia di aver scritto. Nessun meccanismo potrebbe sentire (e non

semplicemente segnalare artificialmente, ché sarebbe un facile trucco)

piacere per i suoi successi, dolore quando una sua valvola brucia,

arrossire per l’adulazione, sentirsi depresso per i propri errori, essere

attratto dal sesso, arrabbiarsi o abbattersi quando non può ottenere

qualcosa che desidera.141

Si tratta dell’obiezione dell’autocoscienza, in base alla quale le micronarrazioni che

produciamo e consumiamo cambiano il modo in cui ci percepiamo; fintantoché una

macchina risulta priva della consapevolezza della percezione, non potrà ritenersi eguale

al cervello. Tuttavia una tale argomentazione potrebbe estendersi al genere umano,

arrivando a sostenere che la sola via per sapere se un uomo pensa è quella di essere quel

singolo uomo e “sentire” sé stessi nell’atto del pensare (visione solipsistica). Da un punto

di vista logico tale argomentazione potrebbe risultare valida; in fondo si tratta di rimanere

141
G. JEFFERSON, The Mind of Mechanical Man, in “British Medical Journal”, 25-6-1949, pp. 1106-1110.

70
fedeli al principio di identità o di non contraddizione della logica classica: A è A e non

può essere ¬A (negazione di A)142.

Tuttavia sarebbe un’argomentazione priva di senso per Wiener, dal momento che essa

ha il difetto di rendere difficile, se non addirittura impossibile, la comunicazione delle

idee: chiunque potrebbe descrivere le sensazioni nel proprio atto di pensare, ma nessuno

sarebbe obbligato a prestargli fede. Così potrebbe accadere che A riconosce “io A penso,

ma B (essendo ¬A) no”, e così a propria volta B crederà “io B penso, ma A no”.

Come si percepisce dalle suddette argomentazioni la questione dell’identità risulta

essere intrinsecamente conflittuale rispetto all’alterità. Turing avrebbe risposto alla

suddetta obiezione sostenendo: «invece di discutere in continuazione su questo punto, è

normale attenersi alla convenzione – suggerita dalla buona creanza – che ognuno

pensi»143. Contrariamente si circoscriverebbe il pensiero o la percezione del pensiero in

unico sistema, che a propria volta respingerebbe gli altri sistemi.

Eppure, per non soffocare nel proprio isolamento entropico (ricordiamo a tal

proposito anche il teorema di incompletezza di Gödel), ogni sistema – così come ogni

società – deve lasciare aperte alcune porte, agendo in maniera preventiva attraverso dei

meccanismi complementari di inclusione dell’alterità. Anche a livello antropologico è

stato ampiamente dimostrato quanto sia fondamentale la presenza degli altri per

142
Nel libro IV della Metafisica, Aristotele affermava: “È impossibile che la stessa cosa, a un tempo,
appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto” (1005b,19-20). Cfr.
ARISTOTELE, Metafisica, IV (Libro Gamma), cap. 3, 1005 b, 19-20: «Το γάρ αυτό άμα υπάρχειν τε
και μήν υπάρχειν αδύνατον τώ αυτώ και κατα το αυτό»; anche in TOMMASO D’AQUINO,
Commento alla metafisica di Aristotele, a cura di L. Perotto, vol. 1, Edizioni Studio Domenicano, Bologna
2004, p. 631.
143
TURING, Computing Machinery and Intelligence cit., p.446; tr. it. in ID., Intelligenza meccanica cit.,
p.138.

71
l’autodeterminazione: è dall’incontro con l’alterità che la coscienza può divenire davvero

conscia di sé stessa e così, differenziandosi dai pensieri altrui, essere autocoscienza144.

Dunque si entra a pieno titolo nella relazione dinamica identità-alterità che costituisce

un dispositivo culturale; relazione che abbiamo visto sin dal primo capitolo nel momento

in cui l’identità di Wiener tende a disporsi come altro rispetto ad una certa interpretazione

di Bergson: spaccatura irriducibile, ma che getta le sue basi proprio da quello squarcio

inevitabile. Il limen tra il sé e l’altro si assottiglia sempre di più nel momento in cui ci si

rende conto della similitudine che fa dell’Io un Altro. Dunque la dimensione della società

tratteggiata da Wiener sarà sì quella della finitezza, ma capace di esporsi al proprio limite,

di disporsi sul bordo vago ed incerto del confine per cogliere l’eccedenza e renderla vitale.

È qui che si fa l’esperienza più alta della libertà: l’altro resta la nostra riva, il nostro bordo,

la nostra frontiera.145

3.1.3 La consapevolezza del sé sociale

La questione dell’identità e della relazione con l’alterità ci conducono ad analizzare

la coscienza come un flusso continuo, che il filosofo e psicologo William James avrebbe

esposto nei seguenti termini:

La coscienza non appare a sé stessa come divisa in pezzi [bit]. (…) Non

è alcunché di separato e ricomposto; essa scorre. Un “fiume” o una

144
Per un interessante approfondimento antropologico, cfr. M. AUGÉ - J. P. COLLEYN, L’anthropologie,
Presses Universitaires de France, Paris 2004, tr. it. L’antropologia del mondo contemporaneo, Elèuthera,
Milano 2006.
145
Cfr. L’altro da Sé. Ricomporre le differenze, a cura di E. Mangone e G. Masullo, FrancoAngeli Editore,
Milano 2015.

72
“corrente” sono le metafore con cui è descritta in modo più naturale. Nel

parlare di essa nel prosieguo, possiamo chiamarla corrente di pensiero, o

della coscienza, o della vita soggettiva.146

Se la coscienza o corrente di pensiero è rappresentabile come un fiume, ad oggi

possiamo affermare che, a seguito dello sviluppo delle ICT, essa appare come il flusso

dei bit digitali dei social. Difatti sembra che non vi sia nulla di così piccolo da restare

taciuto; ogni bit (che chiaramente non corrisponde a quelli di James), ogni frame, può

contribuire a descrivere l’identità personale di qualcuno e lasciare una traccia

momentanea. Sembra che i social media siano diventati gli strumenti principali attraverso

cui creare quelle micronarrazioni del sé che determinano la nostra identità personale

(rendendoci responsabili dei propri sé sociali). Da un punto di vista ottimistico, maggiore

libertà sociale significa anche maggiore libertà nel dare forma a sé stessi (possibilità che

generalmente associamo alle idee di autodeterminazione e autonomia). Tuttavia bisogna

tenere in conto anche degli sviluppi meno positivi: menzioniamo a titolo di esempio il

recente caso di una famiglia rimasta segregata in casa per due anni e mezzo perché aveva

sviluppato una dipendenza patologica da Internet. Di fatto stiamo osservando che la vita

umana sta diventando una questione d’esperienza onlife, la quale ridefinisce limiti e

opportunità nello sviluppo delle nostre identità e nella consapevolezza del nostro sé.147

146
W. JAMES (1890), Principi di psicologia. Tr. it. Principato, Milano 2004.
147
Cfr. L. FLORIDI, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2017, pp.67-78.

73
3.2 Zone temporaneamente autonome

Tornando circolarmente alla questione della temporalità, non possiamo non tener

conto di un concetto introdotto da Hakim Bey nel saggio T.A.Z.: The Temporary

Autonomous Zone del 1991. Per zona temporaneamente autonoma si intende:

un luogo liberato, dove la verticalità del potere viene sostituita

spontaneamente con reti orizzontali di rapporti. Un luogo che, grazie alla

sua struttura intrinseca, è in grado di sparire nel momento in cui più forte

diventa il carico repressivo o l’intrusione da parte del sistema dello

spettacolo, per riformarsi in un altro dove, in un altro tempo, cambiando

nomi e apparenti identità ma sapendo mantenere la propria radicale

alterità.148

Dalle suddette considerazioni sembra che possiamo raffigurarci il fiume wieneriano,

così come la coscienza e l’individualità del soggetto, nonché l’oggetto di studio delle

macchine, come zone temporaneamente autonome, come processi reticolari ed in divenire

che retroagiscono agli eventi ed all’ambiente circostante, mantenendo inalterata la propria

individualità-alterità. Così i processi e gli oggetti fisici risultano essere insiemi di

informazioni codificati entro un flusso di materia-energia in continuo mutamento.

Ragion per cui ogni modello è parte di un creativo venire ad essere temporale e di un

distruttivo deperire: così gli insiemi attuali di informazioni si consumano (entropia)

mentre nuovi insiemi emergono. Ne consegue che tutto è oggetto o processo

informazionale, tutto è essenzialmente composto da un insieme di informazioni che

148
H. BEY, T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, Shake Edizioni, Milano 2007, p. 8.

74
persistono attraverso un continuo scambio materia-energia. A tal riguardo nella

prospettiva di Wiener la natura umana è esprimibile nei seguenti termini:

Non siamo altro che vortici in un corso d’acqua sempre fluente. Non

siamo cose che si conformano, ma insiemi che perpetuano se stessi.149

L’individualità del corpo è quella di una fiamma (…), di una forma

piuttosto che di una sostanza.150

Attraverso processi metabolici (come respirare, mangiare, sudare, ecc.) la materia-

energia è in perenne movimento; a dispetto di questo processo di cambiamento, l’insieme

di informazioni codificate nel corpo rimangono simili nel tempo, modificandosi in modo

molto graduale (ciò permette di preservare l’identità personale e la vita della persona).

Naturalmente anche l’insieme di informazioni, che formano l’identità e la raffigurazione

dei suoi comportamenti e modi di vivere, mutano nel tempo. È per questa ragione che

occorre soffermarsi su un concetto di carattere temporale: l’istante.

3.2.1 Istanti in movimento

Il concetto di istante, così come quelli di entropia e di informazione, non sono concetti

intuitivi poiché non si presentano ai nostri sensi, bensì possono esser colti alla luce di un

pensiero che supera il principio di non contraddizione della logica classica: in ambito

149
N. WIENER, The human use of human beings, cit.; trad. it. in ID., Introduzione alla cibernetica cit., p.
96.
150
Ibid., p. 102.

75
psicologico l’istante, così come l’infinitesimo, troverà la propria ragion d’essere

all’interno della logica simmetrica del pensiero inconscio.

Platone, in un noto passo del Parmenide151, si era soffermato sul tema dell’istante

(ἐξαίφνης, exaiphnés) e lo aveva definito ἄτοπος (átopos): letteralmente significa

‘privo di luogo’152; dato che si riferisce all’istante, e quindi ad una dimensione temporale,

il suo significato è ‘privo di tempo’, ‘non collocabile in alcun tempo’.

Quando parla dell’istante, Platone si riferisce a quello in cui avviene il passaggio di

stato dalla quiete al movimento e dal movimento alla quiete. È l’istante di questo

passaggio a non esser collocabile in alcun tempo: «se da un iniziale stato di quiete

successivamente [l’uno] si muove, e da un iniziale stato di movimento passa poi a una

condizione di quiete, non è possibile che questi eventi si verifichino senza che ci sia stato

un passaggio di stato»153, e quando avverrà questo passaggio di stato «[l’uno] non si

muoverà e non starà in quiete»154.

Dall’istante scaturisce anche la nozione di continuità: «dico ‘continuo’ ciò che è

divisibile in parti sempre divisibili»155: così l’istante sarà l’esito ultimo della divisione

all’infinito del tempo continuo e il punto sarà l’esito ultimo della divisione all’infinito

dello spazio continuo. La domanda che ci si pone sin da ora è come sia possibile concepire

legittima la possibilità che l’uno si ponga nel medesimo tempo in due condizioni differenti

e contraddittorie al momento del passaggio di stato (non si muoverà e non starà in quiete).

151
Per un approfondimento del dibattito su questo celebre passaggio platonico, cfr. F. FERRARI, L’Enigma
del Parmenide, Introduzione a PLATONE, Parmenide, tr. it. Rizzoli, Milano 2004, pp. 148-154.
152
Cfr. PLATONE, Παρμενίδης, 156e; tr. it. Parmenide cit., p. 323.
153
Ibid., 156c, pp. 321 e 323. Si tenga in considerazione come questo ‘passaggio di stato’ possa essere
intravisto analogamente all’interno delle macchine discrete, ove gli stati si prestano ad essere descritti come
un insieme discreto: il movimento della macchina consisterà nel saltare da uno stato all’altro.
154
Ibid., 156e, p. 323.
155
ARISTOTELE, Fisica, libro VI, 2, 232b, tr. it. Rusconi, Milano 1995, p. 297.

76
Similmente la questione è stata affrontata nell’esperimento mentale del gatto di

Schrödinger, ideato nel contesto della meccanica quantistica. L’esperimento consiste in

ciò: mettere un gatto in un bunker con della polvere da sparo o gas velenosi che hanno il

50% di probabilità di esplodere nel prossimo minuto ed il 50% di probabilità di non

esplodere; fintanto che non guardiamo nel bunker, non possiamo sapere se il gatto sia

vivo o morto. Ripetendo l’esperimento più volte, notiamo che la metà delle volte il gatto

sopravvive, mentre per l’altra metà il gatto muore. L’interpretazione della meccanica

quantistica è che, prima di vederlo, il gatto è in sovrapposizione: il gatto risulta sia morto

che vivo; mentre è il nostro atto di guardare che forza la decisione della natura, o meglio

forza la natura a ridursi ad un’alternativa o all’altra156. Il problema del ridursi ad

un’alternativa è chiaramente una delle principali questioni senza risposta della fisica

quantistica.

Possiamo dire che l’informazione porta in sé i segni di discontinuità e di continuità,

in quanto consiste nel venire ad essere in un dato istante di qualcosa di nuovo, di qualcosa

che prima non c’era157. Per quanto riguarda la coesistenza di elementi contraddittori, essa

non solo è possibile ma può esser colta, come vedremo nel prossimo paragrafo, alla luce

della logica simmetrica dell’apparato inconscio.

156
Da qui l’ipotesi secondo cui entrambe le possibilità accadono in parallelo in un multiverso più ampio (in
fisica moderna il multiverso è a propria volta un’altra ipotesi che postula l'esistenza di universi coesistenti
fuori la nostra dimensione spazio-temporale, spesso denominati dimensioni parallele).
157
Non è un caso se l’espressione con cui Platone si riferisce all’istante ( ατόπου τοῦτο) è stata tradotta
in “questa cosa stupefacente” o “questa cosa assurda” o ancora “questo stato straordinario”; tali le traduzioni
rese rispettivamente da Franco Ferrari in FERRARI, L’Enigma del Parmenide cit., p. 323, da Attilio Zadro
in PLATONE, Opere Complete, vol. III, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 46 e da Maurizio Migliori in PLATONE,
Parmenide, Rusconi, Milano 1994, p. 185.

77
3.2.2 La logica simmetrica

È all’interno dell’orizzonte speculativo fenomenologico che ritroviamo la ragion

d’essere dell’inconscio; essa appare per Eugène Minkowski come l’impossibilità da parte

del pensiero cosciente di cogliere la continuità del divenire158, mentre per Sartre essa

appare come la possibilità di intuire quel nulla che è impensabile e che sfugge alla

coscienza159. Ci troviamo dinanzi a due intuizioni opposte (in Minkowski l’inconscio

coglie la continuità, mentre in Sartre esso coglie la discontinuità) che colgono un aspetto

di verità che le comprende entrambe: l’istante, l’infinitesimale.

Dunque il pensiero che forma l’identità risulta essere espressione sì della coscienza,

ma non in maniera assoluta, dal momento che è stata dimostrata la ragion d’essere

dell’inconscio psicoanalitico; ne consegue che il pensiero possa fondarsi sull’inconscio

ed esserne in parte espressione.

È stato Ignacio Matte Blanco ad aver notato che le caratteristiche dell’inconscio

freudiano potevano essere ricondotte alla logica simmetrica, che concepisce la realtà

come unica ed indivisibile, omogenea e continua. Essa governa la parte inconscia della

nostra mente e supera la logica classica, negando i principi di non contraddizione e del

terzo escluso, che vengono sostituiti dal principio di complementare contraddittorietà:

secondo tale logica A è A e può essere contemporaneamente ¬A. È grazie a tale logica

158
Cfr. E. MINKOWSKI, Le temps vécu. Études phénoménologique et psychopathologiques, D’Artrey, Paris
1933; tr. it. Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, Torino, 2004, p. 49. In riferimento
all’impossibilità della conoscenza di accedere al divenire, lo psichiatra francese aggiunge: «Il divenire
sembra ora penetrare nell’Io, scavandosi in profondità una specie di galleria».
159
Cfr. J.-P. SARTRE, L’imaginaire. Psychologie phénomenologique de l’imagination, Gallimard, Paris
1940; tr. it. Immagine e coscienza. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Einaudi, Torino 1948,
p. 38; in riferimento al nulla Sartre affermava: «non ci può essere un’intuizione del nulla, precisamente
perché il nulla è nulla e perché ogni coscienza, intuitiva o no, è coscienza di qualcosa».

78
che possiamo cogliere la ragione per cui nell’infinitesimo, nel limite, nell’informazione

coesistono continuità (A) e discontinuità (¬A), 1 e 0.

Tale logica annulla le differenze, istituisce analogie e relazioni; essa si può ricollegare

al concetto di neghentropia, che fa riferimento all’incremento quantitativo delle

informazioni. Per comprendere la valenza di questa logica basti pensare al concetto di

“quanto” introdotto in fisica: esso è e non è due rappresentazioni opposte della medesima

realtà, particella e onda, così come la monade leibniziana conteneva in sé le proprietà e

di sostanza e di realtà: ricordiamo infatti che Leibniz aveva definito il concetto di monade

come ‘centro di forza’ ed ‘unità reale’160. A tal proposito ricordiamo che Leibniz con il

suo pensiero supera il dualismo cartesiano di spirito e materia, dal momento che

riconduce quest’ultima a spirito e sostiene che di conseguenza esistano un’infinità di

sostanze tante quanti sono i corpi (la materia).

La logica simmetrica si pone in continuità con la filosofia del divenire eraclitea; basti

pensare all’affermazione rinvenibile nel frammento 91DK del trattato Sulla natura: «Non

si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una

sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del

mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va»161. Dunque una sostanza “viene”

ad essere, è nello stato 1 o A e contemporaneamente “va”, si annulla, è nello stato 0 o ¬A.

Al riconoscimento della logica simmetrica Ignacio Matte Blanco era pervenuto

pensando all’inconscio come agli insiemi infiniti: «Vi è sempre una corrispondenza bi-

univoca tra l’insieme [dei numeri interi] e la sua parte propria costituita dai numeri

160
Per approfondimenti cfr. G.W. LEIBNIZ, Monadologia, in Scritti filosofici, vol. 1, a cura di D.O. Bianca,
UTET, Torino, 1967-68.
161
A. P. VIOLA, Elementi di Filosofia della conoscenza, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2001, p. 38.

79
pari»162. Riprendendo la definizione del matematico tedesco Richard Dedekind (1831-

1916), «un insieme è infinito quando e solo quando può essere messo in corrispondenza

bi-univoca con una sua parte propria»163. Si riafferma così la contemporanea equivalenza

e non equivalenza tra la parte ed il tutto.

In ambito filosofico-matematico, esempi paradigmatici della logica simmetrica sono

l’antinomia cui era giunto Bertrand Russell ed i teoremi di incompletezza dimostrati da

Kurt Gödel. Russell per primo giunse alla conclusione per cui «l’insieme di tutti gli

insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se e solo se non appartiene

a sé stesso»164. Allo stesso modo Gödel sancì l’impossibilità dell’esistenza di un sistema

completo capace di dimostrare la propria coerenza (pena l’autocontraddizione): «in ogni

teoria matematica T sufficientemente espressiva da contenere l’aritmetica, esiste

una formula tale che, se T è coerente, allora né né la sua negazione sono

dimostrabili in T». Ciò implica la coesistenza di proposizioni (formule) A e ¬A che non

possono essere spiegate all’interno dello stesso sistema, il quale va infinitamente superato

con nuovi sistemi, e così via.

Il fatto che l’inconscio, grazie alla sua logica simmetrica, riesca a cogliere la

coesistenza di determinate proposizioni e delle relative contraddizioni, implica un

processo di continuo superamento dei sistemi; si pensi a titolo di esempio al solo concetto

di induzione scientifica, ma anche più in generale ad ogni tipo di conoscenza. Il processo

gnoseologico risulta non avere mai fine, poiché si tratta di un continuo processo di

elaborazione di dati, ovvero una continua tensione che troverà sempre nuove

162
I. MATTE BLANCO, The Unconscious as Infinite Sets, Duckworth, London 1975; tr. it. in ID., L’Inconscio
come insiemi infiniti, Einaudi, Torino 1981, p. 38.
163
Ibid., p. 39.
164
Diálogos, a cura di F. Cioffi, F. Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, vol. 3, Bruno Mondadori,
Torino 2000, p. 195.

80
configurazioni. La conoscenza non è qualcosa che si possa possedere una volta per

sempre, ma piuttosto una continua ricerca che può ricordare il celebre “sapere [A] di non

sapere [¬A]” socratico o la docta ignorantia di Nicolò Cusano.

Dunque è in virtù di tale logica, cogliente la continuità del divenire, che l’inconscio –

a differenza della coscienza – è in grado di riflettere sulla natura dell’istante,

dell’infinitesimo, dell’informazione.

In ambito psicologico, la logica simmetrica permette di far convergere le differenze

tra inconscio psicoanalitico e inconscio cognitivo165, dal momento che evidenzia il

carattere intelligente dell’inconscio, dunque la sua capacità di espletare dei compiti:

l’inconscio è competente, funzionale. Sembrerebbe che l’inconscio, a differenza della

parte cosciente, possa determinare un’enorme potenza creativa, anche se ci rende poco

(o per nulla) partecipi di tale operazione.

La presenza della logica simmetrica è evidente nel genere umano (basti pensare ai

sogni o ai fenomeni di sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica), lo è meno

per quanto riguarda i computer. Eppure l’inconscio del computer sembra esistere: si pensi

alla parte operativa della macchina che non siamo in grado di vedere, quella che presiede

alla memoria e all’apprendimento. Sebbene la programmazione necessiti di un sistema di

inferenza logica (classica)166, è soprattutto nel concetto di rimozione che possiamo

individuare l’inconscio del computer; stiamo parlando della rimozione dei comportamenti

sbagliati tramite l’interferenza e dei dati che vengono continuamente eliminati

165
Per uno studio completo sulla logica dell’inconscio, cfr. PULLI, Note sull’inconscio, Moretti&Vitali,
Bergamo 2011, pp. 31-43.
166
Per la programmazione dell’inferenza logica è necessario implementare la logica classica. Infatti in un
sistema di inferenza in cui le proposizioni sono simmetriche – ad esempio entrambe vere – nonostante si
contraddicano, non c’è informazione: le affermazioni risulterebbero essere tutte vere (comprese le loro
negazioni) e non verrebbe eseguita alcuna scelta/azione.

81
(dimenticati) dalla memoria. Anche Turing aveva implicitamente ammesso l’esistenza di

un inconscio computazionale:

Una caratteristica importante di una macchina che impara è che il suo

insegnante ignorerà spesso in gran parte ciò che di preciso si verifica al

suo interno, quantunque possa essere in grado di predire in qualche

misura il comportamento del suo allievo. (…) La maggior parte dei

programmi che possiamo inserire nella macchina avranno come risultato

di farle fare qualcosa che non possiamo assolutamente capire167.

Il fatto che il programmatore non potrà comprendere a pieno i processi interni, che

avvengono durante la fase di apprendimento della macchina, è dovuto proprio

all’inconscio intelligente computazionale, che svolge un ruolo determinante nella fase di

apprendimento, selezionando informazioni (il processo di selezione è di per sé un

processo in cui si rimuove qualcosa) o rimuovendole.

Gli intellettuali riflettono su tali questioni anche sugli organi di informazione

generalisti. Lo dimostra, ad esempio, l’articolo dedicato da Sandro Veronesi all’incognita

degli edge168. Lo scrittore racconta che, dopo aver ricevuto un’e-mail di un amico che lo

invitava a compiere una serie di operazioni su alcuni software Microsoft, si è reso conto

delle sorprese che tali procedure gli riservavano. Nel primo caso appariva sul monitor un

paesaggio lunare ove era possibile muoversi, come nell’atto di pilotare un’astronave, con

il mouse, fino a quando si raggiunge una stele parallelepipedo, ove scorrono i nomi dei

167
TURING, Computing Machinery and Intelligence cit., pp. 458-459; tr. it., p. 155.
168
S. VERONESI, L’inconscio del computer, in “Corriere della Sera”, 11 febbraio 2001, p. 1. Gli edge sono
sostanzialmente dei programmi nascosti in altri programmi; in essi possiamo ravvisare l’inconscio del
computer. Non possono essere scoperti da tutti, ma solo da programmatori che per individuarli devono
operare secondo un procedimento molto simile al recupero del rimosso (inconscio psicoanalitico).

82
progettisti del software; nel secondo compare un flipper a cui si può giocare, mentre a

fianco scorrono i nomi dei progettisti; nel terzo caso appare un gioco dal nome “The Hall

of Tortured Souls”, al termine del quale scorrono sempre i nomi dei programmatori del

software. Tralasciando per il momento la questione che, quando installiamo quei

programmi, inconsciamente abbiamo installato anche i relativi edge nascosti, tutto ciò ci

torna utile per evidenziare l’esistenza dell’inconscio nei processi computazionali.

I tre edge appena descritti sono nascosti, possono essere aperti solo attraverso

determinate procedure, sono “pesanti”, nel senso che occupano spazio e condizionano dal

di dentro il rendimento del programma che lo contiene (esattamente come gli stati mentali

rimossi condizionano il vissuto esperienziale), sono mimetizzati, ineliminabili e

strutturali, sono come il nulla che si traveste, questa volta con la funzione di comunicare

in maniera criptata il nome dei programmatori. Si tratta di un vero e proprio inconscio

simmetrico computazionale, ove le cose accadono senza che nessuno se ne accorga,

condizionano il comportamento in superficie (nella coscienza) del software, esistono e

contemporaneamente non esistono (A è A e può essere contemporaneamente ¬A).

3.2.3 Il problema della previsione

Le ricerche di Wiener furono di preziosa importanza per quanto riguarda la

costituzione della teoria della previsione delle rotte aeree. Si trattava di applicare la teoria

del controllo automatico all’artiglieria [gun control]; una delle questioni principali

riguardava i “predittori”, ovvero i dispositivi in grado di aiutare l’artigliere nel prendere

la mira su oggetti in movimento come navi o aerei.

83
Costituiva un problema di gran rilievo il tiro contro aerei molto distanti, dal momento

che il pilota nemico avrebbe avuto maggior tempo per effettuare manovre diversive; a tal

riguardo diventava indispensabile la costituzione di tecnologie elettriche, che avrebbero

accresciuto la precisione e la velocità del calcolo. In particolare il nostro autore considerò

il problema della previsione della posizione futura di un aereo come un problema

matematico di estrapolazione di una curva, applicando ad essa la teoria degli operatori.

Wiener spiegava che l’operatore è:

un dispositivo elettrico in grado di cambiare un certo input elettrico in un

corrispondente output elettrico. Matematicamente parlando, l’operatore

può essere rappresentato mediante una formula di trasformazione, ma

non tutte le formule di trasformazione conducono a operatori fisicamente

realizzabili.169

Dunque secondo la teoria di Wiener un circuito elettrico può essere rappresentato alla

stregua dell’esperimento mentale di Schrödinger: un circuito elettrico è rappresentabile

come una scatola nera in cui entra un segnale (input), per poi uscirne trasformato (output).

Alla scatola è associata una formula di trasformazione, dunque un operatore che permetta

di calcolare l’output sulla base dell’input. L’input della scatola è sostanzialmente il

segnale elettrico proveniente da un radar, relativo alla traiettoria seguita dall’aereo da

abbattere fino all’istante del colpo; mentre per output si intende il segnale elettrico che

rappresenti l’anticipazione di qualche frazione di secondo della posizione futura

dell’aereo. A tal proposito Wiener ricordava:

169
N. WIENER, I am a mathematician, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1964, p. 241; tr. it. in L.
MONTAGNINI, Le armonie del disordine. Norbert Wiener matematico-filosofo del Novecento, Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 2005, p. 137.

84
La proposta consiste nel progetto di un apparato di guida o previsione nel

quale, quando un elemento segue la traiettoria effettiva di un aereo, un

altro elemento anticipa il punto dove l’aeroplano dovrà essere dopo un

prefissato lasso di tempo. Si ottiene ciò mediante una rete lineare nella

quale l’informazione inserita risulta dall’osservazione del movimento

dell’intero passato dell’aereo, che genera un termine di correzione e che

indica di quanto l’aereo si scosta dalla sua presente posizione quando un

proiettile arriva nei suoi dintorni […]. La proposta è, primo, di esplorare

le possibilità puramente matematiche della previsione con un apparato

qualsiasi; secondo, di determinare le caratteristiche particolari adatte ad

un apparato di questo tipo; terzo, di approssimare queste caratteristiche

con funzioni di impedenza razionali della frequenza; poi di sviluppare

una struttura fisica le cui caratteristiche di impedenza siano quelle di

questa funzione razionale, ed infine, di costruire l’apparato.170

Dunque si trattava di trovare l’operatore più adeguato, al fine di ottenere da un

determinato input l’adeguato output e di costruire il circolo elettrico corrispondente. A tal

riguardo si considerò necessario trovare il predittore che in ogni situazione risolvesse il

problema della previsione nella maniera migliore, dal momento che i processi matematici

erano di impossibile realizzazione (presupponevano una irrealizzabile conoscenza del

futuro). Allora si trattava di minimizzare l’errore di previsione (problema di

170
ID., Principles governing the construction of prediction and compesating apparatus, 22 novembre 1940,
Rapporto per la sezione D2 dell’NDRC, pp.2-3; tr. it. in L. MONTAGNINI, Le armonie del disordine. Norbert
Wiener matematico-filosofo del Novecento, cit., p. 139.

85
ottimizzazione) attraverso un’analisi statistica che correlasse il comportamento passato di

una funzione nel tempo al suo comportamento presente (e futuro).

Quest’analisi statistica ci riconduce all’analisi della funzione temporale; nel

particolare sembra che Wiener proponga come soluzione la concezione nietzschiana

dell’eterno ritorno dell’identico. Quest’ultima rappresenta la manifestazione esplicita

della negazione di ogni ordine, di ogni fine nell’universo: ogni istante ritornerà

eternamente, non vissuto dal medesimo individuo, ma in un altro individuo in qualche

individuo e in qualche parte del mondo. In questa concezione il futuro e il passato si

riprendono e rincorrono; l’attesa del futuro non è altro che il continuo ritorno del passato:

Tutto dunque muta e si trasforma nel presente. Chi lo osserva con occhi

empirici non può che scorgervi un incessante divenire. Ma chi esamini la

questione dal punto di vista metafisico dovrà riconoscere che nulla è più

stabile del presente che permane, mentre tutto si altera; così come

perenne è la volontà che si fenomenizza come rappresentazione. Ne segue

che a essere fuggevoli sono proprio il passato e il futuro, così come le

rappresentazioni fugaci che scorrono, ma il presente e la volontà sono

eterne.171

Dunque l’eterno ritorno è l’essere del divenire. Si tratta allora dell’istante (il momento

metafisico immobile) in quell’apparente scorrere continuo, mobile e fuggevole del mondo

fenomenico rappresentato; è il tutto di un solo attimo, ove passato e futuro si conciliano

come due sentieri convergenti. La stessa concezione del tempo non è lineare: «Ogni verità

171
M. FERRARIS, Ontologia, in ID. (a cura di), Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 271.

86
è ricurva, il tempo stesso è un circolo»172; «poiché la forza del cosmo non è infinita, ogni

evento e ogni istante è destinato a ripetersi»173.

Se tutto ritorna, conoscendo le caratteristiche del comportamento passato di una

traiettoria, diviene allora possibile anticipare – mediante un termine di correzione – la sua

condizione futura; diviene allora possibile trovare la soluzione ottimale al problema della

previsione.

172
F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, tr. it in Opere, Adelphi, Milano 1977, p. 192.
173
M. FERRARIS, Ontologia cit., p. 263.

87
Conclusioni

Proviamo a tirare le fila di questa ricerca necessariamente interdisciplinare,

individuandone gli esiti, per quanto parziali. Il lavoro ha preso le mosse dalla distinzione

di due concezioni di carattere temporale individuate da Wiener: il tempo newtoniano e la

durata bergsoniana. Tale distinzione è fondamentale poiché è alla base delle idee di

reversibilità e di irreversibilità di un sistema, da cui consegue la possibilità di controllare

in misura maggiore o minore l’evoluzione di un sistema.

Le ragioni per cui Wiener prende in considerazione la tematica del tempo sono da

individuare nel suo progetto: trattare l’organismo vivente e la macchina come entità-

processi analoghi, nel tentativo di analizzarne la comune e complessa natura del controllo

e della comunicazione. Wiener presuppone la realtà del mondo fisico come

intrinsecamente probabilistica, ragion per cui – procedendo attraverso una riflessione

critica sul tempo – può descrivere la complessità secondo la logica formale del metodo

statistico. Nel fare ciò compie un lavoro originale, poiché la rappresentazione della

mutevolezza della realtà in Wiener non si dà attraverso una riduzione della complessità;

piuttosto egli tiene conto del relativo grado di disordine come elemento “inestricabile” ed

essenziale rispetto al formarsi stesso dell’ordine.

È a tal riguardo che siamo giunti nel secondo capitolo a delineare la tematica

dell’entropia riguardante i processi irreversibili, ovvero quei processi che, seguendo la

logica asimmetrica della temporalità, si verificano in una precisa direzione del tempo (dal

passato al futuro) e sono caratterizzati da uno spontaneo passaggio di stato: attraverso il

movimento di un numero finito di stati di non equilibrio, diciamo che tali eventi o processi

passano da uno stato di ordine ad uno stato di disordine.

88
Dal momento che Wiener pone particolare attenzione sull’irregolarità dei processi

(intrinsecamente legati al fenomeno del cambiamento), è stato necessario dapprima

soffermarsi sulla relatività della conoscenza stessa. Difatti se la realtà si dà come un

insieme di processi irreversibili sottoposti ad un’evoluzione, allora la loro stessa

conoscenza si darà come relativa e sottoposta ad un’incessante dinamica evolutiva. Così

ci siamo soffermati sulla gnoseologia fallibilista wieneriana, in base alla quale è esclusa

la possibilità di pervenire ad una conoscenza certa ed assoluta in ogni ambito conoscitivo,

ma allo stesso tempo è inclusa l’applicazione del dubbio metodico. Tale visione relativista

anticipa di fatto il teorema di Gödel e costituisce la dimostrazione secondo cui è

impossibile chiudere completamente qualsiasi sistema assiomatico, poiché ogni

simbolismo richiede il rinvio ad uno “spirito” che non può mai essere completamente

formalizzato, ovvero un insieme di regole che non possono mai essere adeguatamente

scritte. A tal proposito abbiamo visto come la matematica di Wiener si ponga su un piano

intrinsecamente incerto, un piano che ha maggiori relazioni con l’arte piuttosto che con il

puro formalismo. Possiamo ricordare le sue considerazioni circa la scienza effettiva: in

essa gli universali non si danno come qualcosa di nettamente definito o immobile, ma al

contrario sono «evoluzione», «funzione matematica», poiché si presentano attraverso vari

gradi di vaghezza e di mutabilità. Dunque si tratta di proposizioni che seguono un

processo temporale, che possiedono una storia. Da qui deriva la feconda conclusione

secondo cui «la scienza è spiegazione dei processi».

Nel secondo capitolo abbiamo analizzato l’interdisciplinarietà dell’ambito

cibernetico: si tratta infatti di una ricerca che indebolisce ogni forma di puro dualismo tra

mente e corpo o tra esseri viventi (animali) e non viventi (macchine), arrivando ad

analizzarli non solo come processi analoghi ma anche in continua interazione e

89
comunicazione. In particolare dalla definizione wieneriana di modello, siamo giunti a

dedurre che la comprensione e la spiegazione dei processi cibernetici è possibile

attraverso le categorie di ordine e di disordine; a tal riguardo è stato necessario soffermarsi

dapprima su un concetto introdotto dagli studi della termodinamica e poi affermatosi

anche nelle teorie dell’informazione: l’entropia. I modelli cibernetici wieneriani,

esistendo nel tempo di tipo bergsoniano, possiedono il carattere di irreversibilità: essi

tendono a modificare il proprio stato in maniera progressiva ed irreversibile. Questo punto

è fondamentale poiché, se l’entropia costituisce il grado di equilibrio raggiunto da un

sistema in un dato momento, allora esso rappresenta l’elemento essenziale ed insieme

informativo, poiché in grado di descrivere la configurazione ordinata della mutevolezza

in un dato punto e momento.

Dopodiché abbiamo analizzato il concetto di informazione esplicantesi come

differenza infinitesimale (simile alla rappresentazione della monade leibniziana), come

limite che acquisisce valenza positiva ai fini della conoscenza critica, poiché in grado di

render conto del reale ordinandolo. Dunque diviene possibile interpretare l’informazione

veicolata in un messaggio come il negativo della sua entropia; ricordando che essa

costituisce un ente a sé stante, siamo giunti a riflettere sul carattere d’informazione come

su quello di “neghentropia”, ovvero come possibilità di riduzione dell’accrescimento

entropico a livello soggettivo ed oggettivo attraverso l’organizzazione di elementi fisici

o umani e sociali che si oppongono alla spontanea tendenza al disordine. È a questo

riguardo che abbiamo analizzato come Wiener, per la descrizione della mutevolezza della

realtà, debba fare riferimento alla teoria fisica dell’ottimismo in Leibniz ed alla

realizzazione di un programma fondamentalmente logicista e fisicalista.

90
In seguito ci siamo interrogati circa la possibilità delle macchine di emulare il pensiero

umano attraverso le riflessioni formulate da Alan Turing sulla costruzione delle macchine

non organizzate e della macchina universale. A tal riguardo Turing è parso più

determinista rispetto a Wiener, presupponendo un funzionamento puramente

meccanicistico del cervello umano; nel particolare un sistema sarà in grado di mostrare il

proprio carattere di intelligenza e di autonomia grazie ad un comportamento che risulti in

parte casuale ed in parte regolato da un adeguato sistema di inferenza logico.

Così siamo giunti a considerare le macchine come enti dinamici complessi, di cui

bisogna comprendere la portata ed i limiti. È Wiener che, consapevole dei problemi che

si celano dietro la questione della previsione, si dimostra attento e consapevole dei limiti

dello sviluppo e della questione dell’irreversibilità dei processi, dato che considera

l’interdipendenza e la fragilità delle grandi reti.

Infine nel terzo capitolo siamo giunti a delineare lo sviluppo dell’era

dell’informazione in relazione all’identità umana, dal momento che Wiener aveva

ipotizzato e previsto che vi sarebbero state macchine in grado di funzionare in modo

simile ai sistemi dinamici che processano informazioni (animali ed umani): mentre alcune

macchine sarebbero state in grado di prendere decisioni e di portarle a compimento, altre

macchine sarebbero state in grado di apprendere dall’esperienza e di modificare il loro

comportamento in ragione di essa. Quest’ultimo caso è per noi particolarmente rilevante;

difatti lo abbiamo approfondito nell’ultimo paragrafo attraverso il problema della

previsione e la relativa costituzione della teoria della previsione delle rotte aeree.

La possibilità di analizzare le macchine come enti dinamici complessi, come zone

temporaneamente autonome (ovvero come processi reticolari ed in divenire che

retroagiscono agli eventi ed all’ambiente circostante) ci ha permesso di interpretare i

91
modelli come insiemi di informazioni codificati entro un flusso di materia-energia in

continuo mutamento. Ragion per cui ogni modello-processo è parte di un creativo ‘venire

ad essere temporale’, analogo al concetto etnoantropologico e sociale di identità:

quest’ultima si dà come un sistema di rappresentazioni, come costruzione attraverso

processi di differenziazione e di integrazione soggetti a mutamento, a causa delle

situazioni relazionali che le persone esperiscono quotidianamente. È attraverso tale

costruzione che la persona riconosce sé stessa ma riconosce anche l’altro come diverso

da sé, ed in relazione con l’altro può riconoscersi a propria volta come altro.

In fondo sono in gioco i medesimi processi di decostruzione e di ricostruzione

individuati da Wislawa Szymborska, in base ai quali abbiamo visto come Wiener si ponga

essenzialmente in continuità con una certa interpretazione di Bergson. Il limen tra il sé e

l’altro si assottiglia, così che la dimensione della società tratteggiata da Wiener sarà sì

quella della finitezza, ma capace di esporsi al proprio limite, tra gli abissi, sul bordo vago

ed incerto del confine per cogliere l’eccedenza e renderla vitale.

Abbiamo infine individuato nella capacità di variazione la possibilità di autonomia

sia negli esseri viventi che nelle macchine, in quanto enti che processano ed elaborano

informazioni. In particolare abbiamo trattato il problema della previsione come un

problema matematico di estrapolazione di una curva, applicando ad essa la teoria degli

operatori: si trattava di trovare l’operatore più adeguato, al fine di ottenere da un

determinato input l’adeguato output e di costruire il circolo elettrico corrispondente. Per

fare ciò occorreva procedere attraverso un’analisi statistica che correlasse il

comportamento passato di una funzione nel tempo al suo comportamento presente;

quest’analisi ci ha infine ricondotti ad una riflessione di carattere temporale, ovvero quella

secondo cui si dà come soluzione la concezione nietzschiana dell’eterno ritorno

92
dell’identico. Difatti se tutto ritorna (poiché la forza del cosmo non è infinita), allora

conoscendo le caratteristiche del comportamento passato di una traiettoria diviene

possibile anticipare – mediante un termine di correzione (problema di ottimizzazione e

riduzione dell’errore) – la sua condizione futura.

93
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100
Ringraziamenti

O diciamo che la fine precede il principio,


e la fine e il principio erano sempre lì
prima del principio e dopo la fine.
E tutto è sempre ora.

Thomas Stearn Eliot


.

I quartetti di Eliot affermano che il tempo non esiste perché tutti i tempi si fondono
in un solo istante, in un unico momento; paradossale per chi, come me, ha dedicato un
intero capitolo ad analizzare il ruolo del tempo. Eppure sono i versi in cui mi rispecchio
maggiormente, i versi più autentici per esprimere l’importanza di questo momento; un
momento a venire, di già passato.

Desidero ringraziare vivamente tutti coloro che hanno contribuito alla mia
crescita, non solo durante questo percorso di studio ma anche in quello di vita.

Ringrazio anzitutto il Professore Francesco Vitale, Relatore di questa tesi, per la


disponibilità e l’attenzione dimostratemi durante la stesura del lavoro, oltre che per la
competenza con cui mi ha guidata nelle occasioni di dubbio.

Similmente ringrazio la Professoressa Maria Giuseppina De Luca, Co-relatrice


della tesi, per la cortesia ed il supporto intellettuale.

Ringrazio la mia famiglia: tutti i cugini e gli zii che mi hanno supportata durante
il percorso universitario. Tra loro non posso non menzionare mio cugino Antonio che per
me rappresenta da sempre una persona speciale. Un ringraziamento particolare va ai miei
zii Stefano e Annamaria che, nonostante la distanza, hanno fatto quotidianamente da
traino; difatti la loro presenza piena di affetto e di incoraggiamento è stata di fondamentale
importanza durante l’intero percorso di studi.

101
La gratitudine maggiore va ai miei genitori per il sostegno morale oltre che
intellettuale e materiale che mi hanno sempre assicurato. Grazie a mia madre per essermi
sempre stata accanto, aiutandomi e confortandomi nei momenti difficili; la sua onestà
intellettuale e il suo amore incondizionato per me sono e saranno sempre fonte
d’ispirazione e modello di vita. Grazie a mio padre per i preziosi consigli, per la grande
forza che ha saputo e sa infondermi nella vita di ogni giorno, nonché per avermi stimolata
nel fare sempre meglio e di più. Mi rendo conto di quanto la loro fiducia mi sia stata e
continua ad essere necessaria per la costruzione di ciò che sono e per la possibilità di
superare ogni limite.

Un sincero ringraziamento va a tutti i miei amici e compagni di studio: in


particolare Chiara per aver condiviso non solo ore sui libri, ma anche importanti momenti
di crescita; gli amici di sempre Francesco e Lorena per esserci in ogni occasione, oltre
che per il continuo sostegno ed appoggio; grazie alle nuove e sorprendenti conoscenze di
questi anni, in particolare Natasha, Clelia, Federica, Antonella, Anna Galdi, Anna Erba,
Cristina, Margherita, Giovanna, Maria Ada, Gianluigi, Raffaele, Quirino, Luciano e
Francesco. Grazie a loro ho imparato a riconoscere nei fatti che ci accadono la necessità
delle cose che ci appartengono, scartando come inutile tutto ciò che non ci riguarda; ho
imparato a sentire il respiro di ciò che ci porta la forza della vita e a tenere lontano da noi
tutto quello che sa di paura.

Ringrazio i professori dell’Università di Salerno e tutte le persone incontrate


durante questi anni di formazione; a ciascuno di loro sono debitrice di un grande
contributo per la mia formazione filosofica e generale. È a tutti voi che dedico i versi di
Eliot: «noi non cesseremo l’esplorazione / e la fine di tutto il nostro esplorare / sarà
giungere là onde partimmo / e conoscere il luogo per la prima volta».

102

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