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Teatro d’opera 

CARLOTTA SORBA
Teatro d’opera

È proprio vero che tutti gli italiani vanno all’opera e ci vanno tutte
le sere, come scrivono i molti viaggiatori stranieri che percorrono la Pe-
nisola nella prima metà dell’Ottocento? Ovviamente non è cosí, e se si
esclude la popolazione rurale si comincia già a togliere la larga maggio-
ranza degli italiani dell’epoca. E tuttavia qualcosa di vero c’è in quell’im-
pressione diffusa, nel senso che indubbiamente lo spettacolo operistico
è largamente vissuto, anche fuori dai teatri, nelle città italiane primot-
tocentesche. Ma come definire i contorni del pubblico operistico, e in-
sieme l’esperienza dell’opera, rintracciandone costanti, trasformazio-
ni, specificità nella storia dell’Italia otto e novecentesca? Si tratta di
un’impresa a dir poco ardua e troppo ambiziosa per qualsiasi prodotto
culturale. Come ha messo perfettamente in rilievo Christophe Charle,
maneggiare la categoria del pubblico è sempre questione assai delicata,
vista l’onnipresenza e insieme la manipolabilità della nozione stessa, di
cui le fonti sono ricolme senza tuttavia mai donarci qualche immagine
davvero attendibile del reale1. Cercheremo dunque di affrontare la que-
stione individuandone solo le principali traiettorie e una periodizzazione
di massima attraverso uno sguardo in gran parte indiretto, cioè median-
te l’analisi di elementi che, in mancanza di dati quantitativi complessivi
(almeno fino agli anni Trenta del Novecento) o di inchieste specifiche
sul tema, possano farci avvicinare alla questione.
Punto di partenza del nostro percorso è che tra i consumi culturali
del primo Ottocento quello dell’opera è forse il piú consolidato, perché
dotato di un sistema produttivo e distributivo solido e rodato, di circui-

1
Suggestioni metodologiche importanti sull’approccio al pubblico dei teatri sono in C. CHARLE,
Trasformazioni del pubblico teatrale in Francia e a Parigi nel XIX secolo: un tentativo di approccio
indiretto, in Il secolo del teatro. Spettacoli e spettacolarità nell’Ottocento europeo, a cura di C. Sorba,
numero monografico di «Memoria e ricerca» , n.  (settembre- dicembre ). Sui pubblici
nelle grandi capitali europee ottocentesche cfr. ID., Théatres en capitales. Naissance de la société des
spectacle à Paris, Berlin, Londres et Vienne, Albin Michel, Paris .
 Carlotta Sorba

ti di ampiezza nazionale e internazionale, di luoghi dedicati, di un pro-


prio pubblico2. Nata come spettacolo per un pubblico pagante nel XVII
secolo, nel periodo che ci interessa l’opera ha dietro di sé una lunga vi-
ta. La formazione sociale stessa di un pubblico, su cui molto si riflette a
partire dal secondo Settecento come sinonimo di pubblica opinione3, si
gioca in Italia intorno al melodramma, la cui ampia diffusione è garan-
tita da un sistema segnato da un marcato policentrismo e dalla presenza
di una rete densa di sale sul territorio, dalla costante mobilità dei cast,
da circuiti impresariali ben funzionanti e da una notevole intensità pro-
duttiva, che fino a metà secolo è in continua e rapida crescita, con un
picco fra gli anni Trenta e Quaranta.

. Pubblici del primo Ottocento.

.. G e o g r a f i e e p r e z z i .
All’inizio del XIX secolo il pubblico dell’opera si amplia considere-
volmente e l’esperienza operistica stessa conosce una pur graduale tra-
sformazione. I primi dati utili per cogliere questo processo riguardano
la straordinaria crescita delle sale e la loro geografia. Quella che molti
contemporanei definiscono una «mania di costruir teatri» produce, a
partire dal periodo francese e per tutta la prima del secolo, una molti-
plicazione di sale sul territorio che non pare avere analogie in altri Paesi
europei4. Nei vari Stati italiani, diversamente dalla gran parte degli altri
Stati, la costruzione delle sale è libera, e la concessione della licenza è
sottoposta soltanto al regolamento di pubblica sicurezza, e dunque alla
presenza di un adeguato controllo (censorio e di polizia). Delle  sa-
le teatrali che risultano in attività nel  (distribuite in  comuni),
sono  quelle che si dicono edificate dopo il 5. Si tratta di realtà
diversissime tra loro: da grandi sale di corte come il Ducale di Parma

2
Sul complesso del sistema produttivo rimane fondamentale l’opera in piú volumi curata da
L. Bianconi e G. Pestelli, Storia dell’opera italiana, Edt, Torino  sgg.
3
Cfr. B. SANGUANINI, Il pubblico all’italiana. Formazione del pubblico e politica culturale fra
stato e teatro, FrancoAngeli, Milano .
4
Sulle ragioni culturali, sociali, politiche che spiegano tale imponente processo costruttivo
ho indagato nel volume Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Bologna, il
Mulino .
5
Nella primavera del  i prefetti del Regno ricevettero dal Ministero di Agricoltura Industria
e Commercio una circolare in cui li si pregava di inviare al ministero un prospetto di tutti i teatri
esistenti nella rispettiva provincia, che comprendesse le informazioni necessarie a identificarne lo
stato e la tipologia. La finalità non era artistica o comunque patrimoniale ma fiscale. Cfr. ibid., p. .
Teatro d’opera 

fino ai piccoli e anche piccolissimi teatri disseminati in centri urbani


di media e piccola dimensione. Ma la gran maggioranza di esse preve-
de una struttura a palchetti, ritenuta piú adatta a ospitare le varie par-
ti delle comunità neutralizzando i rischi della promiscuità sociale. Nel
quadro della cifra complessiva sono  le sale che riportano come de-
stinazione spettacolare la voce «musica e drammi», che può significare
che in essi, anche in modo episodico come accade nei piccoli teatri, vie-
ne rappresentata l’opera lirica. Dal punto di vista geografico è piutto-
sto chiara la concentrazione del fenomeno nel Centro-Nord, ma il Sud
ne risulta ampiamente coinvolto. Per fare solo qualche esempio si pensi
che  sale teatrali dedicate a musica e drammi sono aperte nella pro-
vincia umbra (che comprende Perugia, Rieti, Terni),  solo ad Ancona
e provincia,  a Torino e nel Torinese,  tra Grosseto e Livorno,  in
provincia di Novara. Numeri non tanto lontani troviamo nelle zone piú
urbanizzate del Regno borbonico:  sale di questo tipo sono registrate
tra Bari e la sua provincia,  a Catania. È il fenomeno dei cosiddetti te-
atri di città, che possono essere teatri sociali, accademici o municipali,
a seconda delle tradizioni del territorio. Quale che sia la loro struttura
istituzionale, sono sale che rappresentano lo spazio collettivo per eccel-
lenza delle comunità e sono fortemente volute dal notabilato locale che
contribuisce alla loro costruzione e alla gestione successiva, acquistando
i palchi e pagando un canone annuo che andrà a far parte della dote, cioè
la somma negoziata di volta in volta con l’impresario incaricato degli
spettacoli per la stagione. Per loro natura sono inoltre spazi multifun-
zionali, adatti a ospitare varie forme di spettacolo e di intrattenimento.
La “stagione” d’opera, principio organizzativo cardine del sistema teat-
rale italiano, risulta essere però il momento alto e piú atteso della vita
del teatro e rappresenta spesso, nei centri medi e piccoli, un sostegno e
un traino alle fiere e ai mercati locali.
Succede cosí che a Cesena, un borgo di non piú di  abitanti, a
inaugurare nell’agosto del  la nuova grande sala municipale da 
posti erano risuonate dapprima le note di Maria di Rohan di Donizetti
(andata in scena per la prima volta a Vienna nel ) e poi quelle dei
Lombardi alla prima crociata di Verdi, la cui prima rappresentazione era
stata a Milano sempre nel . La stessa opera aveva inaugurato l’an-
no precedente un altro teatro da  posti voluto da una comunità non
certo grande come quella di Voghera. Esempi di questo tipo ci dicono
innanzitutto che l’offerta operistica si allarga considerevolmente: non
è piú solo affare di grandi città e di grandi teatri. Le stesse opere rapi-
damente circolano per la Penisola, grazie a un sistema impresariale che
si ramifica e include le molte nuove sale che si vanno via via aprendo.
 Carlotta Sorba

Se dunque i teatri sono spazi voluti e gestiti dalle élite locali, spesso in
aperta concorrenza con le città vicine, in essi circola però una produzio-
ne melodrammatica che ha precocemente un profilo nazionale.
Ma quanto costa andare all’opera? Le dinamiche dei prezzi sono un
altro dato chiave per avvicinare il pubblico potenziale e rispetto alle
quali possiamo guardare ai casi di alcuni teatri di cui si possiedono da-
ti abbastanza sistematici. Alla Scala il prezzo del biglietto serale di in-
gresso in platea rimane pressoché costante per tutta la prima metà del
secolo, variando non tanto nel tempo quanto in rapporto alle serate e
all’importanza delle rappresentazioni. Si prevedono peraltro spesso, a
fianco di serate piú eccezionali, altre con prezzi ridotti. Tra il  e
il  il costo dell’ingresso varia da , a , lire milanesi, arrivan-
do a  lire in casi eccezionali (ad esempio una serata con opera seria e
ballo grande nella stagione di Carnevale). L’ingresso al loggione varia,
sempre in rapporto all’occasione, da  centesimi (nella maggioranza
dei casi) a  lira6. Le statistiche sui salari giornalieri ci dicono che dal
 al  il guadagno medio di un muratore arriva all’incirca a 
lire, quello di un falegname a ,, quello di un garzone muratore a  li-
ra7. Non certo per un garzone, ma per i lavoratori urbani e gli artigiani
il costo dell’ingresso a teatro nei posti di galleria non è irraggiungibi-
le, almeno episodicamente. Non troppo distante è la situazione napo-
letana, dove al Teatro San Carlo non si registrano variazioni di prezzo
(salvo occasioni d’eccezione) dal  fino all’unificazione, segno di
un calmieramento che non riguarda solo il prezzo del pane8. Nel 
i prezzi dell’ingresso in platea possono variare, a seconda della fila, da
 a  grane; mentre in galleria vanno da  a 9. Se si pensa che dal
 al  il compenso giornaliero massimo di un muratore, un fale-
gname o un fabbro è di  grane, non si può escludere che essi potes-
sero in qualche caso accedere ai posti di galleria10. Sono dati che poco
si discostano da quelli rintracciabili sia per il Regio di Torino che per
la Fenice veneziana. E d’altronde le fonti di polizia ci dicono in mol-
te occasioni che i loggioni sono frequentati da studenti, da lavorato-
ri urbani e artigiani, da dipendenti pubblici di basso rango. Mentre le
6
Cfr. P. CAMBIASI, La Scala, -. Note storiche e statistiche, Ricordi, Milano .
7
Cfr. A. DE MADDALENA, Prezzi e mercedi a Milano dal  al , Banca Commerciale
Italiana, Milano , pp.  sgg.
8
Cfr. J. ROSSELLI, Materiali per la storia socio-economica del San Carlo dell’Ottocento, in L. BIANCHI
e R. BOSSA (a cura di), Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, Olschki, Firenze .
9
Cfr. F. MANCINI, Il Teatro di San Carlo (-). La storia, la struttura, Electa, Napoli
, p.,
10
Cfr. N. F. FARAGLIA, Storia dei prezzi in Napoli dal  al , Tipi del commendatore G.
Nobili, Napoli , p. .
Teatro d’opera 

platee sono piene di militari, che godono quasi ovunque di prezzi di


favore (solo «se in uniforme», si specifica nelle locandine veneziane).
La parte piú importante e piú visibile delle sale teatrali, cioè i palchi,
sono invece monopolio degli strati superiori della società, ad alta den-
sità aristocratica nei teatri maggiori, appartenenti alle famiglie piú in
vista della città negli altri. L’ultima fila di palchi, meno prestigiosa,
era talvolta concessa all’impresario che li affittava a forestieri e viag-
giatori. Nelle città piccole, ad esempio nella veneta Cittadella, le logge
dell’ultima fila erano state subito acquistate da caffettieri, bottegai e
bettolieri per servire appunto alla frequentazione di passaggio11. Spazio
pubblico per eccellenza dei centri urbani ottocenteschi, il teatro di cit-
tà, luogo innanzitutto dell’opera, è uno spazio d’élite che tuttavia può
tuttavia includere, grazie all’assetto gerarchico tipico della sala all’ita-
liana, strati piú ampi di popolazione.

.. T r a n o v i t à e r e p e r t o r i .
Il boom operistico che si registra negli anni Trenta e Quaranta, e dà
luogo a una moltiplicazione delle stagioni, doveva risultare piuttosto
evidente nella percezione dei contemporanei che vedevano rafforzato il
ruolo del teatro musicale nel quadro complessivo, ancora fragile e fram-
mentato, dei consumi culturali del pubblico italiano. Cosí Carlo Tenca,
che non era un commentatore qualsiasi, scriveva sulla «Rivista europea»
una sorta di accorato appello alla letteratura a sviluppare un rapporto
stretto, intimo e passionale col proprio pubblico, come sembrava essere
riuscito a fare proprio il teatro musicale. Nel  scrive:
Non possiamo condannare del tutto la moltitudine se, disdegnosa delle lettere
che sono parola morta per lei, si gettò tumultuante nei teatri musicali, a cercarvi le
facili commozioni, la libera effusione della gioia e del dolore. Qui è aringo in cui es-
sa siede sovrana e si compiace degli accordati trionfi e sente la pienezza della vita;
qui l’arte abbraccia tutta quanta la sfera degli affetti, e l’armonia tra la moltitudine
e l’artista è intera e immediata. Ed essa predilige questa arte davanti a cui può pal-
pitare e commuoversi a suo grado. Finché la letteratura non potrà sorgere a gran-
dezza di pubblica manifestazione, la musica e la danza si attireranno di preferenza
l’attenzione universale12.

Molti elementi avevano contribuito a tale successo, e tra questi non


ultimo era il peso di una graduale trasformazione avvenuta nelle logi-

11
Cfr. G. FRANCESCHETTO, Il teatro sociale di Cittadella, R. Bartoncello Brotto, Cittadella
, p. .
12
C. TENCA, Delle condizioni della odierna letteratura in Italia, in «Rivista Europea», I (febbraio
), n. , pp. -.
 Carlotta Sorba

che e nelle dinamiche della programmazione che via via si concentra su


pochi autori che sempre piú dominano il campo. Il fenomeno compa-
re per la prima volta con Rossini, che a lungo monopolizza le stagioni
scaligere e non solo13; ma trova ulteriore accentuazione con Donizetti,
la cui ubiqua presenza sui palcoscenici degli anni Trenta e Quaranta
è qualcosa di straordinario e inedito, che i contemporanei commenta-
no quasi con stupore. Nei due decenni successivi sarà la volta di Ver-
di, che a livello di recite raggiunge frequenze mai raggiunte dai prece-
denti compositori, in quella che Lorenzo Bianconi definisce una «im-
pressionante uniformazione del gusto collettivo»14. A favorire questa
tendenza è in primo luogo una notevole trasformazione del panorama
mediatico allora in atto, con una moltiplicazione dei giornali che ri-
guarda anzitutto proprio quelli di teatro, moda e varietà, e consente
una circolazione di notizie e di immagini fino ad allora impensabile15.
Rispetto all’estrema diversificazione produttiva del secolo preceden-
te si fa sempre piú strada un solido star system che non riguarda solo
i cantanti ma anche i maggiori compositori, ed è ampiamente suppor-
tato dagli editori e dai giornali a essi legati. Pochi tra questi, in for-
za tra l’altro della loro fama europea, riescono a tenere la scena. Nel
contempo si assiste all’emergere del repertorio, un termine che inizia
a comparire solo alla fine degli anni Quaranta a designare una sorta
di rottura con il prevalere assoluto delle novità e un graduale invec-
chiamento della produzione. Entrambi questi fenomeni sono legati al
ruolo crescente degli editori musicali, che saranno decisivi nella costi-
tuzione di un nuovo mercato nazionale dell’opera incentrato sia sulle
novità, piú rare e collocate in modo piú strategico, sia su un set di testi
di repertorio, molte volte ripetuti nei vari teatri della Penisola16. Ciò
non toglie che lo spettatore d’opera è in primo luogo alla ricerca di di-
vertimento, novità e spettacolarità, e si mostra via via piú esigente in
termini di scenografie ed effetti speciali.

13
Nelle stagioni - le opere di Rossini coprono piú della metà di tutti gli allestimenti della
Scala, come calcola M. CONATI, “… una certa malattia, la quale può denominarsi contagio fantastico”, in
La recezione di Rossini ieri e oggi, Accademia Nazionale dei Lincei, Atti del Convegno internazionale
(Roma, - febbraio ), Roma , p. .
14
L. BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia cit. p. . NO CIT.: il Mulino, Bologna ?
15
Si veda l’Introduzione a V. FIORINO, G. L. FRUCI e A. PETRIZZO (a cura di), Il lungo Ottocento
e le sue immagini. Politica, media, spettacolo, Ets, Pisa .
16
Per una piú ampia trattazione del punto mi permetto di rinviare a C. SORBA, Theaters, market
and canonic implications in the italian opera system, -, in Oxford Handbook of Canonic
Opera, in corso di stampa.
Teatro d’opera 

. L’opera nel mercato culturale di fine secolo.

.. N u o v e s a l e e n u o v i p u b b l i c i .
Gli ultimi decenni del XIX secolo costituiscono in Italia una fase di
crescita consistente del mercato culturale, che si fa piú complesso e arti-
colato nelle sue parti. Cresce considerevolmente anche l’industria dello
spettacolo, di cui l’opera rimane il prodotto tradizionalmente centrale,
anche se all’interno di un panorama di generi assai variegato17. Non che
il nuovo Stato avesse manifestato un’attenzione mirata per il settore,
rispetto al quale era sembrato anzi prevalere un orientamento favorevo-
le alla piena liberalizzazione del sistema, che rimarcasse il distacco dalla
tradizione preunitaria vista come un anacronistico sistema di control-
li e di privilegi. In uno Stato moderno bisognava che «l’arte facesse da
sé», liberandosi sia dalla tutela sia dai sussidi governativi. È in questo
quadro, e nel solco di un mutamento importante dell’offerta e della do-
manda culturale, che il mondo teatrale non solo cresce ma diversifica
largamente prodotti e circuiti per far fronte alle richieste di intratteni-
mento di una società che sta diventando di massa. Nel  gli edifici
teatrali ufficialmente censiti sono quasi raddoppiati rispetto al  e
ciò corrisponde a una maggiore differenziazione degli spazi e dei pub-
blici, alla proposta di nuovi luoghi e nuovi generi, al forte sviluppo delle
potenzialità commerciali del settore18. I decenni che seguono l’unifica-
zione corrispondono a una moltiplicazione dei politeama, sale poliva-
lenti capaci di ospitare numeri molto piú elevati di spettatori rispetto ai
teatri di città (dalle  fino alle  persone del Vittorio Emanuele
fiorentino), piú indifferenziati nella struttura interna, e caratterizzati
da una programmazione molto varia – dalla prosa alla lirica, dalla rivi-
sta al varietà, fino ad arrivare al circo – e da prezzi molto contenuti19.
Una nuova generazione di imprenditori dell’intrattenimento ne costrui-
sce molti, tra gli anni Settanta e Ottanta, lungo tutta la Penisola – a
17
Cfr. D. FORGACS, L’industrializzazione della cultura italiana (-), il Mulino, Bologna
 (ed. ampliata ... ?); F. COLOMBO, La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia
dall’Ottocento agli anni Novanta, Bompiani, Milano .
18
Cfr. C. DALMAS, Guida pratica teatrale d’Italia, Tip. L. Rossi, Villafranca ; faccio
riferimento anche a C. SORBA (a cura di), Scene di fine Ottocento. L’Italia fin de siècle a teatro,
Carocci, Roma .
19
Sul fenomeno dei politeama cfr. F. NICOLODI, Il teatro lirico e il suo pubblico, in S. SOLDANI
e G.TURI (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, il Mulino, Bologna
, vol. I, pp. -; e J. TOELLE, Opera, hypnosis and rollerskating: the rise of the Italian Politeami
as multiple-use theatres, in V. KATALINIC e S. TUKSAR,  Musical Theatre as High Culture?, Croatian
Musicological Society, Zagreb .
 Carlotta Sorba

Genova come a Parma e a Livorno, a Napoli come a Bari e a Palermo.


L’obiettivo è quello di offrire emozione e divertimento a un pubblico
misto di artigiani, impiegati, studenti e insegnanti. Se l’opera rimane
un momento importante della programmazione, essa è affiancata però
ormai dall’operetta, la piccola opera giunta da oltralpe che ottiene un
successo crescente. Sono soprattutto le opere piú popolari del repertorio
a tenere la scena a lungo, ma non mancano i grandi successi francesi piú
recenti o i nuovi testi della scuola verista. Cosí ad esempio al Politeama
genovese dei fratelli Chiarella le opere piú rappresentate tra il  e
il  sono Il Trovatore e Rigoletto di Verdi, La Favorita di Donizetti,
ma a ruota seguono Carmen di Bizet o la recente Cavalleria rusticana di
Mascagni20. Non grande attenzione viene accordata qui alla qualità del-
la rappresentazione e delle voci, che spesso servono indifferentemente
all’opera e all’operetta e non mancano di offrire delle curiosità: al Po-
liteama De Giosa di Bari, ad esempio, per due stagioni, nel -,
le opere sono offerte dalla Compagnia Lillipuziana di Ettore Guerra,
composta di nani e di adolescenti21.
I teatri di tradizione, di primo e di second’ordine in modi diversi,
soffrono la concorrenza di questi nuovi spazi, che si somma a tutta una
serie di cambiamenti che incidono profondamente sul funzionamento
complessivo del sistema operistico come si era articolato nella prima
metà del XIX secolo. Si pensi alla soppressione in molti teatri della dote
pubblica e nel contempo alla crescita continua dei costi, sia per i noleg-
gi delle partiture che per gli allestimenti, che in piena moda della cosid-
detta Grande opéra richiedono spettacoli sempre piú sontuosi e spetta-
colari. Cambiano poi i circuiti impresariali, sempre piú coinvolti in una
internazionalizzazione del mercato che riduce le disponibilità stagionali
e marginalizza i teatri dei piccoli centri. È il sistema impresariale stesso
a entrare in crisi, cedendo gran parte delle proprie competenze agli edi-
tori musicali, il cui ruolo si amplia notevolmente fino a farne gli attori
cardine del sistema produttivo22. Al fondo, si indebolisce gradualmente
quella struttura sociale aristocratico-notabilare che aveva accompagnato
la costruzione del paesaggio teatrale di inizio Ottocento, sostenendone
per lo piú i costi. Sempre piú in uso è ormai la pratica di affitto dei pal-
chi in proprietà, cosa per cui i palchisti diventano in molti casi concor-
renti dell’impresa stessa.

20
Cfr. A. BROCCA, Il Politeama Genovese. Cronistoria dal  all’anno , Stab. Tip.
Montorfano, Genova .
21
Cfr. A. GIOVINE, Il Politeama De Giosa di Bari, ATPB, Bari .
22
Cfr. J. TOELLE, Opera as business? From impresari to the publishing industry, in «Journal of
Modern Italian Studies», XVII (), n. , pp. -.
Teatro d’opera 

Al di là delle lamentazioni che in ogni tempo pervadono la vita dei


teatri, se nei decenni di fine secolo la parola crisi inonda il dibattito pub-
blico è anche perché le difficoltà sono nuove e molto reali: alcuni dei
grandi teatri sono costretti a chiudere in piú di una stagione, mentre la
vita teatrale delle province risulta piú instabile e precaria, soprattutto
nei piccoli e medi centri che un tempo rientravano nei circuiti impresa-
riali dei grandi teatri. È anche la fase in cui però alcuni teatri cercano di
far fronte alle nuove sfide aprendosi a una audience rinnovata. In alcune
città molto teatrali come Milano, Torino, Venezia o Brescia si discute a
lungo nei consigli comunali sull’opportunità di ristrutturare le proprie
sale all’italiana per allargare e “democratizzare” l’accesso. Dal momento
che si doveva comunque procedere a una modernizzazione degli edifici
sul piano della sicurezza, si propone di rispondere alla crisi rendendo-
li piú accessibili a tutti i cittadini. In modo particolare, come si disse a
Brescia, non tanto alle «masse» quanto a quel «ceto medio» a cui ora il
teatro poco si rivolgeva, composto com’era dai palchi per le classi pri-
vilegiate e dal loggione per quelle inferiori. Si trattava allora di espro-
priare le prime file di palchi, e magari il palco reale, per costituire delle
gallerie o delle balconate aperte, che era poi la soluzione piú frequente
nella maggior parte dei teatri europei. Oppure, cosa che ritroviamo a
partire dagli anni Novanta, di prevedere turni di abbonamento a prezzi
ridotti o vere e proprie rappresentazioni popolari. Sono gli anni in cui il
dibattito sul teatro operaio, avviato soprattutto da democratici e socia-
listi, si allarga anche allo spettacolo lirico, con un occhio alle esperien-
ze d’oltralpe di Gustave Charpentier e del suo Conservatoire populaire
Mimi Pinson23. A inizio secolo la concorrenza comincia poi ad arrivare
anche da generi di spettacolo totalmente nuovi: il varietà, che spopola
nei nuovi café chantants, e soprattutto il cinema o le manifestazioni spor-
tive, che segnano una trasformazione radicale dei linguaggi e delle forme
dell’intrattenimento. Come fare fronte alla modernità avanzante? Il piú
convinto tentativo di proporre l’opera a un consumo di massa può esse-
re considerato l’allestimento grandioso di Aida approntato all’Arena di
Verona nel , in occasione delle celebrazioni verdiane. In un quadro
di forte mediatizzazione improntata alla «fusione spirituale di piú ceti e
classi», si consuma un evento che sembra anticipare sviluppi successivi
puntando a un pubblico per molti versi nuovo che accede pagando un
biglietto da una lira. Sono piú di   le persone che riempiono l’an-
fiteatro in ognuna delle otto repliche. «Elettrizzata» è la reazione dei

23
Cfr. J. FULCHER, French Cultural Politics and Music, Oxford University Press, New York
, pp. -.
 Carlotta Sorba

giornali italiani e stranieri, raggiunti in diretta alla fine di ogni atto dal-
la centrale telegrafica organizzata per l’occasione. Con quel grandioso
spettacolo – scriveva qualche anno fa Giovanni Morelli – «l’opera ita-
liana si consegnava ad una memoria nuova che amplificava, ingiganti-
va, enfatizzava ogni sua lineare, volumetrica, allegorica dimensione»24.

.. L ’ o p e r a p i c c o l a e l ’ o p e r a g r a n d e .
A questi tentativi di democratizzazione si affianca però, a cavallo tra
Otto e Novecento, un processo contrario, cioè la graduale trasforma-
zione dell’esperienza operistica in un’esperienza estetica, e non di puro
divertimento, fatta per una ristretta élite di conoscitori. Luogo chiave
di tale cambiamento è il Teatro alla Scala, che dopo l’Unità aveva pro-
gressivamente acquisito un primato nel quadro del tradizionale poli-
centrismo operistico italiano. Qui si consuma a fine secolo una trasfor-
mazione istituzionale in senso anticommerciale che da un lato raccoglie
indicazioni piú risalenti, di tipo materiale e formale, dall’altro avrà echi
importanti nel futuro. A seguito della sospensione della dote municipa-
le, alcuni palchisti si fanno infatti promotori della costituzione di una
Società anonima per azioni, senza fini di lucro, che si assume il compi-
to di organizzare le stagioni, abbandonando il sistema impresariale. Al-
la testa dell’iniziativa sta una upper class cittadina che si propone come
attore strategico per la costruzione e la diffusione di un modello di alta
cultura a cui l’opera ambisce a aderire acquisendo, seppur tardivamen-
te, un solido status autoriale e artistico. Il giovane Toscanini fornisce
un contributo importante a tale processo assumendo nel giugno 
l’incarico di direttore del teatro e procedendo subito ad alcune innova-
zioni significative, poco consuete per il pubblico italiano e indicative di
un ascolto piú impegnato: il buio in sala durante la rappresentazione,
l’abolizione del balletto al termine delle rappresentazioni piú impegna-
tive, l’attenzione verso l’esecuzione quanto piú possibile integrale dei
testi, ivi compresi quelli wagneriani. Tale marcata svolta estetica e anti-
commerciale costituiva l’esito di un percorso che attraversava il mondo
operistico almeno da due decenni e comportava fra l’altro indotti artisti-
ci importanti nella direzione di una produzione piú complessa e coeren-
te musicalmente25. A suggellare il cambiamento in atto interveniva nel
 l’apertura, grazie a cospicue sottoscrizioni private, del Museo del

24
Cfr. G. MORELLI, L’opera, in M. ISNENGHI (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti
dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari , p. .
25
Cfr. A. CAMPANA, Opera and Modern Spectatorship in Late Nineteenth-Century Italy, Cambridge
University Press, New York .
Teatro d’opera 

Teatro della Scala, che segnava la definitiva sacralizzazione della lirica


come opera d’arte da esporre, appunto, in un museo26. Ma altre esperien-
ze in quegli stessi anni prebellici andavano nella stessa direzione. Cosí il
caso piuttosto eccezionale del film muto Rapsodia satanica interpretato
dalla diva Lyda Borelli sulla base delle musiche di Mascagni (-),
che costituiva un tentativo sperimentale di fare del nuovo medium ci-
nematografico, attraverso l’opera, un momento d’arte invece che una
forma di intrattenimento di massa27.
Complemento di questo processo era la sempre piú larga produzio-
ne, negli anni che precedono la guerra, di operette italiane, fino ad al-
lora limitata e condizionata dalla forza della produzione operistica stes-
sa. Nato in Francia negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, il
nuovo genere si caratterizzava, come il nome stesso rimarcava, per una
maggiore brevità e leggerezza, la presenza consistente della danza, una
marcata tendenza alla parodia e alla licenziosità. Era stato da subito og-
getto di una circolazione europea ampia, di alcune appropriazioni e na-
turalizzazioni significative (quella viennese in primo luogo), e in Italia
era stabilmente presente nei politeama fin dagli anni Settanta, nella for-
ma di traduzione, anche molto libera, dei testi francesi. La produzione
di operette italiane si afferma invece massicciamente solo a ridosso e
subito dopo la guerra, quando si assiste a una sorta di passaggio del te-
stimone tra i due generi. All’opera piccola competono ormai, come ben
si evince nel dibattito sulle riviste musicali, degli obiettivi produttivi
che a lungo erano stati propri dell’opera: produrre costantemente novi-
tà per garantire il divertimento di un pubblico largo e popolare, offrire
divertimento e spettacolarità con grande uso della danza, fornire in so-
stanza un prodotto di rapido ed immediato consumo senza particolari
pretese artistiche28.

. Opera per tutti e opera per pochi: dalle politiche fasciste alla crisi
del dopoguerra.

Nel primo dopoguerra e poi in particolare col fascismo questo pro-


cesso si sviluppa piú compiutamente trovando nuove declinazioni. Come
ha scritto Fiamma Nicolodi, il regime adotta esplicitamente un doppio

26
Sulla vicenda si veda M. SANTORO, Imprenditoria culturale nella Milano di fine Ottocento:
Toscanini, La Scala e la riforma dell’opera, in C. SORBA (a cura di), Scene di fine Ottocento cit., pp. -.
27
Cfr. CAMPANA, Opera and Modern Spectatorship cit.
28
Cfr. C. SORBA, The origins of the entertainement industry: the operetta in late nineteenth century
Italy, in «Journal of Modern Italian Studies», n.  (), pp. -.
 Carlotta Sorba

registro operativo a cui il prodotto operistico, per la sua storia, si adatta


particolarmente bene: da un lato il teatro popolare per le masse e dall’al-
tro il teatro d’arte per le élite29. Sul primo fronte le iniziative sono nu-
merose e ottengono un buon successo. La principale è quella del Carro
di Tespi lirico, ente dell’Opera Nazionale Dopolavoro che a partire dal
 porta in giro per l’Italia, in periodo estivo e in seicento diverse lo-
calità, una sorta di arena viaggiante su autocarri che una volta montata
può ospitare una platea da  persone e due tribune da  a 
posti a seggiolino. Una colossale Aida è ad esempio allestita nel 
a Roncole di Busseto, terra verdiana per eccellenza. Ciò corrisponde
all’idea di un teatro di massa che porti anche nelle zone rurali il reper-
torio operistico piú popolare come mezzo di elevazione spirituale della
nazione tutta30. E che nelle realtà metropolitane trova in quanto luoghi
d’elezione spazi come le Terme di Caracalla a Roma o il Castello sforze-
sco a Milano, adibiti alla fine degli anni Trenta a grandi contenitori di
un’opera per tutti. Si tratta anche di una presa di distanza significativa
dal teatro ottocentesco con le sue poltrone in velluto rosso, che trove-
rà una formula ancora piú di rottura nell’operazione L’opera alla radio,
una serie di trasmissioni radiofoniche organizzate dalle sedi di Roma e
Torino che portano nelle case degli italiani, a cadenza settimanale, sia
opere di repertorio che opere meno note o composte da personaggi vi-
cino al regime. Si impone cosí, con la grande forza diffusiva del nuovo
mezzo, la novità dell’ascolto privato e domestico dello spettacolo operi-
stico, che in un certo senso rinnovava le abitudini all’ascolto episodico
e frammentato che era stato proprio dell’opera come occasione sociale
del primo Ottocento, ma dall’altro contribuisce a una crisi profonda del
sistema teatrale nel suo complesso.
A fianco di queste iniziative di popolarizzazione il regime imposta
tuttavia anche una politica operistica che si rivolge a un pubblico diver-
so, e viene mirata a sostenere e finanziare i grandi teatri, in particolare
La Scala e il Teatro dell’opera di Roma, inaugurato nel  dopo la ri-
strutturazione di Piacentini. La maggiore novità introdotta dal regime
su questo fronte è però costituita dal nuovo Maggio Musicale Fiorenti-
no, manifestazione colta e mondana per la quale si mobilitano registi,
cantanti e pittori di spicco, e che propone anche operazioni sofisticate
come il recupero del repertorio antico o di testi meno conosciuti. Nel

29
F. NICOLODI, Il sistema produttivo dall’Unità a oggi, in L. BIANCONI e G. PESTELLI, Storia
dell’opera italiana cit., p. .
30
Il consuntivo finale, scrive Morelli, è notevole:  titoli di repertorio,  spettacoli per una
media di  spettatori a sera, e un totale di piú di  milioni di persone coinvolte (G. MORELLI,
L’opera cit. p. ).
Teatro d’opera 

frattempo però il sistema teatrale nel suo complesso versava in condizio-


ni sempre piú critiche. Molti dei teatri secondari diventano cinemato-
grafi e il pubblico del nuovo medium, ormai sonoro, supera ampiamente
quello dello spettacolo dal vivo crescendo in proporzioni assai rapide.
Possiamo qui, infine, riferirci a dei numeri attendibili. Dal , e
continuativamente fino a oggi, la Siae pubblica infatti gli Annuari sta-
tistici dello spettacolo, che consentono uno sguardo piú diretto sulla au-
dience e sugli incassi, distribuiti per generi. Si tratta di un’operazione
molto sistematica e di grande interesse, in quanto permette di comparare
diversi settori spettacolari e le loro rispettive dinamiche (anche sul terri-
torio e in proporzione con la popolazione). Il primo volume presentava
il quadro d’insieme degli incassi nel primo decennio considerato (-
), quello in cui appunto era avvenuto il rapido sorpasso del cinema
sull’insieme dei generi teatrali31. Si rileva cosí chiaramente che la spesa
complessiva per gli spettacoli cresce nel decennio solo grazie al cinema e
allo sport, poiché tutti gli altri generi conoscono una consistente flessione.
31
SOCIETÀ ITALIANA DEGLI AUTORI ED EDITORI, La vita dello spettacolo in Italia nel decennio
- (II - XI E.F.), Roma . Secondo Lamberto Trezzini e Angelo Curtolo (L’Europa del-
la musica. I teatri d’opera nei paesi della CEE, il Mulino, Bologna ) si tratta di dati piú accurati
di quelli che si ritrovano nello stesso periodo negli altri Paesi europei. Alcuni problemi si rilevano
tuttavia nel fatto che dopo la guerra i dati sono disaggregati tra settore primario e non primario,
senza che vengano identificati in modo preciso i rispettivi confini.

Tabella .
Incassi dei diversi generi di spettacolo (-).

Genere di spettacolo

ANNO Prosa Operetta Rivista Lirica Cinema Sport Vari INCASSI TOTALI

                        
                        
                        
                        
                        
                        
                        
                        
                        
                        

Fonte: Società italiana degli Autori e Editori, La vita dello spettacolo in Italia nel decennio - (II-
XI E.F), , p. .

Roma  : Stabilimenti tipografici riuniti, Bologna 


 Carlotta Sorba

Già nel  gli incassi dei cinematografi sono piú che doppi rispetto
a quelli di tutto il settore teatrale. Gli incassi della lirica continuano a
scendere piuttosto rapidamente passando da  milioni annui nel  a
 milioni nel . L’operetta scende a precipizio passando nel mede-
simo torno di tempo da  a  milioni di lire, sentendo evidentemente
con forza le ripercussioni sia della crisi economica sia dell’avvento del
cinema sonoro. Ancora negli anni  e , tuttavia, il rapporto fra
numero dei biglietti venduti e popolazione risulta essere piuttosto alto,
rispetto ai numeri che si avranno nel dopoguerra.
Nell’Italia repubblicana la vita teatrale in genere, e quella dell’ope-
ra in particolare, riprende infatti con lentezza e difficoltà, a causa dei
danni cospicui subiti dagli edifici teatrali durante la guerra, di un afflato
antistatale che percorre il settore dopo gli interventi fascisti (marcati da
un forte arbitrio nell’elargizione dei fondi) e di un sempre piú eviden-
te spostamento della domanda verso altri generi spettacolari, oltre che
verso altre forme di consumo non relative ad attività ricreative. I dati
della Siae mostrano una progressiva diminuzione dell’offerta lirica per
tutti gli anni Cinquanta che raggiunge un vero picco negativo nel ,
quando sui palcoscenici primari italiani sono organizzate complessiva-
mente  recite d’opera (a fronte delle  offerte nel ). Dimi-
nuiscono considerevolmente anche i biglietti venduti, mentre gli incassi
aumentano in ragione del forte aumento dei prezzi medi degli ingressi e
dell’andamento della lira. Sono anni in cui i teatri di provincia vivono una
vita estremamente precaria, mentre le serate all’opera, nei teatri grandi
e piccoli, sono espressione di riti mondani e borghesi contro cui non a

Tabella .
Numero delle rappresentazioni liriche (dal  solo teatri primari), biglietti venduti e in-
cassi (-).

ANN numero rappresentazioni biglietti venduti incassi (lire)

       


       
        
        
        
        

Fonte: SOCIETÀ ITALIANA DEGLI AUTORI E EDITORI, Annuari dello spettacolo, https://www.siae.it/it/chi-
siamo/lo-spettacolo-cifre/losservatorio-dello-spettacolo (ultimo accesso  dicembre ).
Teatro d’opera 

caso si scaglieranno le contestazioni studentesche del  alla Scala e


in altri teatri. Ed è il momento in cui si sviluppano presso gli addetti ai
lavori discussioni e polemiche sulla «morte dell’opera», sul deperimen-
to irresistibile del suo potenziale attrattivo. Quando, nel corso degli an-
ni Settanta, le spese per attività ricreative, spettacoli, cultura tornerà a
crescere, ciò riguarderà piuttosto parzialmente gli spettacoli piú tradi-
zionali, come il teatro lirico che perde terreno nella comparazione con
altre forme di intrattenimento. Un cambio di tendenza si registra tra
la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, quando l’offerta di lirica
torna a crescere in modo significativo. I dati sui biglietti venduti mo-
strano però un parallelo assottigliamento del pubblico, a segnalare che
la contrazione della audience e la stabilizzazione di uno strato sottile di
fedelissimi del genere non pare affatto arrestarsi. Inoltre, l’aumento ri-
levante degli incassi indica un vero e proprio picco nei prezzi medi delle
rappresentazioni, che ne accentuano il carattere elitario.
Una ricerca sui teatri d’opera commissionata dalla Cee nel , ce-
lebrato come anno europeo della musica, mostra un trend non troppo
dissimile anche negli altri Paesi, con l’eccezione della Germania che dal
dopoguerra in avanti ha conosciuto una crescita cospicua e costante sia
dell’offerta che della domanda di musica operistica32. Secondo i dati di
Trezzini e Curtolo, nel , con circa un milione e mezzo di biglietti
venduti all’anno l’Italia si colloca appena al di sopra della Francia (da
, a , milioni) e all’Inghilterra (,). Per il Paese che all’opera ha
dato i natali e che tradizionalmente la considera al cuore della propria
identità culturale non sono cifre confortanti, e tuttavia si può anche ve-
dere la questione in modo perfettamente opposto: se il mondo operisti-
co è ormai un museo di capolavori, una forma d’arte del passato il cui
32
Ibid, p. .

Tabella .
Numero delle rappresentazioni liriche nei teatri primari, biglietti venduti e incassi (-).

ANN numero rappresentazioni biglietti venduti incassi (lire)

        


        
        
        

Fonte:SOCIETÀ ITALIANA DEGLI AUTORI E EDITORI, Annuari dello spettacolo, https://www.siae.it/it/chi-


siamo/lo-spettacolo-cifre/losservatorio-dello-spettacolo (ultimo accesso  dicembre )..
 Carlotta Sorba

repertorio ha sostanzialmente smesso di crescere dagli anni Trenta, co-


sa spiega il fatto che un’audience moderna continui a investire in esso,
intensivamente ed estensivamente33?

. Alla ricerca di nuovi pubblici.

Nel passaggio tra il vecchio e il nuovo millennio le preoccupazioni


sull’avvenire dell’opera si accompagnano a iniziative politiche e istituzio-
nali tese a sollecitare un accesso piú ampio al mondo musicale da parte
delle nuove generazioni. In questa direzione va ad esempio un provve-
dimento del  promosso dalla Commissione cultura della Comunità
Europea che ha in effetti prodotto in alcuni Paesi un aumento non irri-
levante degli sforzi pubblici di educazione all’opera34. Nei Paesi dove piú
coerentemente si sono tentate delle politiche mirate verso un allargamen-
to del pubblico (tariffe e formule flessibili, giornate di porte aperte dei
teatri, multimedialità, ma anche inserimento di programmi specifici nelle
scuole) si sono in effetti registrati dei risultati. In Francia, ad esempio,
alcune inchieste hanno rilevato un andamento complessivamente positi-
vo nell’accesso allo spettacolo operistico di pubblici almeno parzialmen-
te rinnovati. Se negli anni Ottanta l’età media dello spettatore lirico era
oltralpe di circa sessant’anni, un’inchiesta lanciata nel  dalla Réu-
nion des Théatres Lyriques (RTLF) ha rilevato un trend ben percepibile
di ringiovanimento, oltre che di femminilizzazione, del pubblico: il %
degli spettatori risultava a quella data minore di  anni, mentre la fascia
d’età compresa tra i  e i  anni era cresciuta al % del totale35. Piú
insoddisfacente appare la situazione italiana, i cui tradizionali handicap
rispetto ad altri contesti europei (in particolare la scarsissima presenza
della musica nei programmi scolastici, l’erosione progressiva dei finan-
ziamenti pubblici, la mancanza di una tradizione di intervento privato,
gli altissimi costi di allestimento) non paiono essersi attenuati in modo
significativo negli ultimi anni36. Alcuni dati recenti confermano le forti

33
Tale domanda viene posta ad esempio da C. E. BENZECRY, The Opera Fanatic. Ethnography of
an Obsession, University of Chicago Press, Chicago , che nella sua analisi tende ad accentuare
gli aspetti passionali dell’esperienza operistica rispetto a quelli distintivi bourdieusiani.
34
Cfr. E. MAULE, La diffusione del teatro d’opera nelle giovani generazioni. Strategie delle istituzioni
operistiche europee e principi didattici divulgativi, Uniprint, Friburg .
35
Cfr. G. DOUBLET, Opéra. Nouveaux publics, nouvelles pratiques, Bdt, Paris ; S. SAINT-
CYR, Vers une démocratisation de l’opéra, l’Harmattan, Paris ; E. PEDLER, Entendre l’opéra. Une
sociologie du théatre lyrique, L’Harmattan, Paris .
36
Un’analisi anche quantitativa di tali elementi è in G. MONTECCHI, Italians and music. Finance-
scape, ideoscape and mediascape, in «Journal of Modern italian studies», XI (), n. , pp. -.
Teatro d’opera 

difficoltà nel rinnovamento del pubblico e nella rigenerazione di que-


sta forma di spettacolo. Una ricerca (qualitativa e quantitativa) lanciata
nel  dall’Osservatorio Spettacolo della Regione Emilia Romagna –
una delle regioni piú attive sia sul piano dell’offerta che della domanda
secondo i dati Siae – propone un’immagine estremamente tradizionale
dell’audience presente in tre teatri lirici della regione, e cioè un pubbli-
co di età avanzata, in maggioranza femminile, istruito e fidelizzato, ap-
partenente a una classe media e medio-alta, in tendenziale costante di-
minuzione37. Eppure, come ben sottolineano nel loro recente volume di
sintesi Carolyn Abbate e Roger Parker, la morte dell’opera non appare
affatto un pericolo all’orizzonte. Il paradosso dell’esperienza operistica
attuale, in senso largo e non solo teatrale, è che a fronte della sua mu-
sealizzazione (che non ha eguali nelle altre produzioni culturali – let-
teratura, cinema, arti visuali – dove il nuovo si trova costantemente a
competere con la tradizione)38, in realtà l’opera lirica prospera e gode di
una diffusione senza precedenti, se si guarda a scala globale e se si con-
siderano le opportunità aperte dalle nuove tecnologie di trasmissione,
anche in simultanea, delle rappresentazioni. A suo modo, si potrebbe
dire, l’opera si rivela in sostanza capace di rinnovarsi, non tanto attra-
verso nuove produzioni che hanno spesso vita effimera e si rivolgono a
un pubblico ancora piú elitario, ma recuperando dal passato testi poco
conosciuti o riattualizzando dal punto di vista visuale e drammaturgico
anche i testi piú classici. E proponendo esperienze del tutto nuove di
rappresentazione. Il fenomeno recente, inaugurato nel  dal Metro-
politan newyorkese e oggi molto piú diffuso, della trasmissione conco-
mitante, in diretta in molte sale cinematografiche nel mondo, delle pro-
duzioni di alcuni grandi teatri lirici, non si presenta come una sorta di
sostituzione dello spettacolo dal vivo, quanto come la proposta di una
forma nuova di spettacolo, che declina in modi tecnologicamente avan-
zati quella dimensione dell’opera sullo schermo che già aveva accompa-
gnato i primi passi del mezzo cinematografico all’inizio del XX secolo39.

37
Un’analisi ravvicinata di tali dati è in R. PALTRINIERI e P. PARMIGGIANI, Il pubblico della lirica:
consumo di cultura o cultura di consumo?, in «Sociologia della comunicazione», n.  (), pp. -.
38
C. ABBATE e R. PARKER, Storia dell’opera, Edt, Torino .
39
Alcune prime riflessioni sugli esiti e le dinamiche di tale nuova pratica mediatica sono in
RÉUNION DES OPÉRAS DE FRANCE (a cura di), Opéra à l’écran: opéra pour tous? Nouvelles offres et
nouvelles pratiques culturelles (actes du colloque tenu à l’Opéra national de Paris,  mai ), l’Har-
mattan, Paris .

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