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Corso di

DIDATTICA
Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it

Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2016
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

1 I FONDAMENTI DELLA DIDATTICA

La professionalità di ogni insegnante si basa sull’agire formativo nell’equilibrio di tre


tipologie di saperi e di processi:
a) I saperi e i processi che l’insegnante mette in atto per insegnare (i saperi didattici
– come si insegna);
b) I saperi e i processi di sviluppo della conoscenza in specifici settori scientifici e
disciplinari (i saperi disciplinari – cosa si insegna);
c) I saperi e i processi esistenziali di sviluppo del soggetto che apprende (i saperi
degli allievi – a chi si insegna).
L’intreccio di tali processi ha un unico scopo: promuovere in ogni persona
l‘apprendimento consapevole e responsabile, il pensiero autonomo, critico e
riflessivo, lo sviluppo armonico personale e sociale in ogni allievo.
La padronanza professionale di un docente è di saper insegnare e, insieme, di far
apprendere. Nella sua semplicità, è questo il cuore della didattica, arte antica e giovane
scienza alla continua scoperta di senso per contrastare le vuote banalità dei luoghi
comuni (molti pensano di saper insegnare solo perché sanno qualcosa, o peggio ancora
perché suppongono di saperla), per comprendere la complessità dinamica dell’azione
formativa, per definire o organizzare i suoi saperi scientifici.
Dove sta il senso della didattica? C’è chi pensa che per insegnare sia sufficiente
conoscere la materia, per altri è determinante la relazione con l’allievo; c’è chi interpreta
la didattica come tecnica di trasmissione della conoscenza e chi come impulso per il
riscatto sociale. Sono molti i punti di vista, patrimonio di saggezza universale, per lo più
agglomerati di pensiero variabile, tanto indulgenti nei confronti del proprio pensiero,
quanto intransigenti verso quello degli altri. Non così per l’insegnante: il senso del suo
insegnamento emerge dalla consapevolezza condivisa del suo agire educativo e
formativo, dell’analisi dei percorsi didattici che progetta e dei processi che mobilita negli
studenti.
Un professionista della didattica, un insegnante di qualità, non può permettersi di
abbandonarsi all’ovvio e al superficiale: la didattica è scienza dell’educazione, ai suoi
modelli il docente fa riferimento e, nel contempo, contribuisce a ricostruirla con
l’esperienza sul campo, come ricercatore dell’agire formativo che fa ricerca per dare
senso della sua azione.
La competenza del docente necessita del dominio dei saperi epistemologici e
metodologici, sia quelli relativi alla didattica generale, che deve condividere con i
colleghi per costruire percorsi integrati miranti all’unitarietà della persona, sia quelli
relativi alla didattica della propria disciplina (conoscendo altresì i processi intrapresi
dalle altre discipline), sia infine quelli relativi alle didattiche inclusive per gli studenti
che presentano difficoltà di apprendimento.

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1.1 I SIGNIFICATI DELLA DIDATTICA


Che cosa significa didattica? Dizionari ed enciclopedie presentano un articolato quadro
semantico: così, mentre i dizionari circoscrivono il termine didattica ora secondo l’etimo
ora secondo l’episteme1, le enciclopedie lo affrontano lungo diverse prospettive,
epistemologica e interdisciplinare, storica e comparativa.
Dal punto di vista etimologico, la forma aggettivale “didattica” trae la propria origine
dal greco  (atto a istruire), che deriva dal verbo  (insegnare).
Ne consegue che la didattica è “la parte della teoria e dell’attività educativa che
concerne i metodi dell’insegnamento” (Vocabolario della lingua italiana, Treccani, Roma,
1987, vol. II, p. 86).
Molto fedele all’etimo, l’aggettivo inglese didactic è “characterized by giving
instruction”, mentre il sostantivo si definisce come “the science or art of teaching”
(Shorter Oxford English Dictionary, Clarendon, Oxford, 1947, p. 505)
Dal punto di vista epistemologico i dizionari presentano la didattica come parte o
settore della pedagogia.
È “la parte della pedagogia che ha per oggetto l’insegnamento e il suo metodo”
(Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino, 1966, IV, p. 361). Allo stesso modo
il Devoto-Oli (1990), “parte della pedagogia che ha per oggetto l’insegnamento e i relativi
metodi”. O anche, è il “settore della pedagogia che ha per oggetto lo studio dei metodi
per l’insegnamento” (Zingarelli, 1983).
In sintesi, nei dizionari troviamo, per un verso, l’analisi etimologica che evidenzia il
delicato connubio tra “arte” e “scienza” dell’insegnamento, per l’altro l’analisi
epistemologica che pone l’accento sul rapporto tra didattica e pedagogia.
L’accezione etimologica viene accolta anche dalle enciclopedie. Queste, dal canto loro,
rivisitano ampiamente e approfondiscono la lettura epistemologica, riflettendo il contesto
generale in cui il termine è andato storicamente e culturalmente a ristrutturarsi.
G. Proverbio, nell’Enciclopedia Pedagogica (in Laeng M., 1989) definisce la didattica
“scienza e arte dell’insegnamento” e, dopo i riferimenti a Comenio (fondatore di una
didattica come teoria e metodo dell’educazione), a J.F. Herbart (che distingue
l’educazione dall’istruzione) e a O. Willmann (che ricompone il processo nell’osmosi tra
educazione e istruzione), presenta le differenti teorie “storiche” della didattica:

a) Idealistico-gentiliana (centrata sull’insegnante e sull’insegnamento)


b) Positivistico-sperimentalista (per l’elaborazione di tecniche di insegnamento
sempre più raffinate, rigorose e convalidate sperimentalmente)

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epistème s. f. – Nel linguaggio filosofico, traslitt. del gr. ἐπιστήμη, che indicava inizialmente ogni
conoscenza abilitante a compiere determinate attività o mestieri, e in seguito, più specificamente,
l’aspetto rigoroso e teorico della conoscenza, in contrapp. sia alla δόξα (opinione), sia
alla ἐμπειρία (empirìa) che indicava solo la capacità operativa. Nella filosofia contemporanea, il termine
comprende l’insieme delle conoscenze e delle teorie scientifiche che caratterizzano una data
epoca, con una sfumatura relativa ai loro comuni presupposti; è usato anche, con riferimento a una
determinata disciplina, a un movimento di pensiero, a un autore di particolare importanza, per
indicarne le tesi fondamentali o proposte interpretative, dalle quali derivano sia suggerimenti per altri
campi della ricerca sia sollecitazioni ideologiche e filosofiche: in tal senso, dal rinvenimento delle
epistemi trae origine la considerazione interdisciplinare del sapere (da:
http://www.treccani.it/vocabolario/episteme/?)

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c) Attivistica (attenta alla partecipazione attiva e diretta dell’allievo, percorre il


metodo globale, i centri di interesse, l’attività spontanea, l’individualizzazione e la
socializzazione dell’apprendimento, il lavoro di gruppo, il metodo della ricerca,
l’espressività, il gioco e il lavoro)

d) Strutturalista-cognitivista (attenta all’avvicinamento progressivo, “a spirale”, della


struttura evolutiva della mente con la struttura delle discipline)

e) Comportamentistico-tecnologica (con il primato dell’istruzione programmata e


delle tecniche didattiche supportate dalle “tecnologie dell’istruzione”).
Le teorie didattiche dipendono da teorie generali di riferimento articolate sulla base di
specifici orientamenti:
 Teorie della scuola, di carattere più generale, che si rivolgono all’organizzazione
politica e istituzionale.
 Teorie dell’istruzione, che uniscono in modo interattivo il sistema allievo con il
sistema insegnante.
 Teorie dell’insegnamento, completamente volte al sistema docente.
 Teorie dell’apprendimento, il cui scopo è far risaltare le componenti poietiche 2,
ossia le componenti di pensiero, di ragionamento e di sviluppo della conoscenza
nell’allievo.

1.1.1 Didattica, tra arte e scienza


L’insegnante, in quanto tale, non è né soltanto artista né completamente scienziato. Il
problema di fondo è: per operare un insegnante fa riferimento a paradigmi scientifici,
oggettivi, a saperi generali teoricamente fondati, o si appoggia al proprio sentire
soggettivo, fenomenologico, a saperi pratici colti dalle situazioni specifiche?
Come in tutte le scienze dell’uomo, giovani o antiche, anche nella didattica scienza e
arte sono due aspetti fondamentali che non possono essere disgiunti:
“a) l’aspetto [scientifico] di sapere generale garantito da riscontri empirici, e che non dipende
né dalla modalità con cui si agisce, né dall’inserimento dell’agire in un preciso contesto; b)
l’aspetto [artistico] di sapere pratico, soggettivo, che implica capacità di scelta e decisione in
contesti specifici.” (M. Pellerey, Didattica, in Dizionario di scienze dell’educazione, LDC,
Torino, 1997, 290-291).

Nella prassi didattica, arte e scienza si coniugano in un delicato equilibrio: se prevale il


paradigma scientifico, a scapito dell’humanitas, con i valori, le motivazioni e i significati
che essa conduce, con le sue continue originalità e con i suoi imprevisti, il modello teorico
si riduce a tecnicismo inefficace e vano; se prevale l’aspetto artistico, a scapito della
riflessione rigorosa e sistematica, la ricca esperienza soggettiva si chiude in sé e, priva di
generalizzazione, non origina modelli esplicativi (perché è successo, nel passato), modelli
comprensivi (che cosa sta succedendo, nel presente) e modelli previsionali (verso dove
andare, nel futuro).
L’azione didattica non può essere considerata come un'azione puramente guidata da
regole, principi e modelli, anche se questi rivestono ruolo importante nell'esaminare i
problemi posti dall'insegnamento e nel progettare le strategie di soluzione: esiste anche

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La poiesis è la costruzione creativa della conoscenza. Poièsi s. f. [dal gr. ποίησις «il fare,
produzione», der. di ποιέω «fare»], letter. – Nel linguaggio filosofico, l’attività dello spirito, il suo
carattere creativo.

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una componente personale, che cresce nelle motivazioni e nei valori, nell’esperienza e nei
contesti in cui l’insegnante si trova ad operare. La crescita della conoscenza e della
competenza professionale del docente è legata in gran parte allo sviluppo di una capacità
di riflessione nell'azione, oltre che di riflessione prima e dopo l'azione stessa.

1.1.2 La didattica come scienza dell’educazione


L'espressione scienze dell'educazione è divenuta comune solo da pochi decenni, da
quando lo studio della formazione si è generalizzato a tutte le scienze umane, sociali e
comportamentali. Ciò è dovuto anzitutto all’estendersi dell'interesse sociale per i
problemi formativi, sino a diventare prioritario nelle politiche nazionali e internazionali.
Le competenze e le funzioni formative si sono ampliate, complesse e specializzate.
La pedagogia, prima di allora sostanzialmente imperniata sullo studio del bambino e sulla
preparazione del maestro, è stata spinta ad aprirsi alle diversità della vita (educazione
permanente, educazione continua, educazione della terza età), ai differenti ambienti e
situazioni dell'esistenza sociale oltre la scuola (enti e strutture locali, strutture di
assistenza, situazioni di disabilità, emarginazione, devianza, condizione giovanile,
educazione della donna, formazione e aggiornamento professionale, formazione scuola-
lavoro, impatto formativo dei mass-media, tempo libero, sport).
Nuove esigenze sociali hanno richiesto alla scuola nuovi contenuti educativi
(convivenza democratica, ecologia, pace, sviluppo, diritti umani, qualità della vita, salute,
benessere, interculturalità, creatività, informatica, culture e lingue europee, ecc.), di
nuove competenze (programmazione, lavoro in équipe e secondo un progetto di
comunità formativa, utilizzo di nuove tecnologie educative multimediali, ecc.) e di nuove
figure formative oltre alle consuete (educatore professionale, équipe psico-pedagogica,
orientatori scolastici e professionali, animatori socio-culturali, operatori formativi del
territorio, ecc.).
Con il termine “scienze” si esprime il pluralismo socio-culturale attuale, la
partecipazione al dibattito che pervade l'intero arco della ricerca e della produzione
scientifica, caratterizzato dal rifiuto di forme univoche di studio e di analisi, ed aperto al
pluralismo scientifico e metodologico.
Secondo tale pluralismo di tratta di fare scienza secondo un’orchestrazione di
discipline diverse che convergono, ciascuna secondo un proprio specifico apporto, verso
un prodotto comune, rigoroso, significativo.
Quali sono le discipline che compongono le scienze dell'educazione? Chi intende la
scienza in senso largo, equivalente a sapere critico giustificato, arriva prospettare un
sistema di discipline:
a) rilevative, il cui scopo è di rilevare “dove, come e quando” avviene l'educazione;
comprendono le discipline storico-comparative, quelle umane e sociali;
b) teoriche, che studiano i significati ultimi dell'educazione; includono l'epistemologia
pedagogica e la filosofia dell'educazione;

c) metodologiche, che analizzano i percorsi educativi; comprendono la metodologia


pedagogica generale e le diverse metodologie particolari: didattica, evolutiva,
speciale, per gli adulti;
d) operativo-strumentali, che ricercano i mezzi, le tecniche e gli strumenti con cui
educare; includono le tecnologie educative, la docimologia, la statistica,
l’informatica.

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Chi, invece, intende la scienza come riflessione sui saperi empirico-logici, limita le
scienze dell'educazione alle discipline umane e sociali, quando queste hanno come
oggetto l’azione educativa e formativa. Si avranno, quindi, ad esempio la biologia,
l’antropologia, la psicologia, la sociologia, ecc., dell'educazione, della famiglia, della
scuola, della gioventù, dell'apprendimento, dell'istruzione, dello sviluppo. Le altre
discipline, a carattere teorico, metodologico ed operativo-strumentale sono viste come
discipline ausiliarie o contestuali alla pedagogia e non come scienze autonome, benché
contribuiscono ad interpretare e a costruire interventi formativi sostenuti da saperi
scientificamente corretti e culturalmente critici.

La didattica come scienza


La Didattica è una scienza dell’educazione, comprende studi e indagini, teorie e
pratiche del processo di insegnamento, il cui fine consiste nel dar vita a nuove forme di
apprendimento.
In quanto scienza, la didattica ha un oggetto, un campo e un metodo.
L'oggetto della didattica è l'insegnamento che punta all'apprendimento, ma non lo
determina. Sostiene Laneve (1998) che l'azione di insegnamento, pur mirando
l'acquisizione, in modo sistematico, di conoscenze e nozioni (knowing what), di capacità e
abilità (know how), di significati e valori (knowing why), non ha la pretesa di produrre
direttamente effetti di apprendimento. Se così fosse, essa si identificherebbe con
l’indottrinamento. L'insegnamento, invece, costruisce le condizioni favorevoli affinché si
verifichi un apprendimento da parte del destinatario. Si tratta di condizioni mirate a
ottimizzare l'apprendere dello studente. L'apprendimento si verifica soltanto con il
coinvolgimento diretto e libero dell'allievo, con il suo consenso e la sua volontà. Pertanto
l'insegnante non determina l'apprendimento, ma produce soltanto lo studenting, ovvero
le mediazioni ed i mezzi per fare del soggetto uno studente.
Il campo della didattica comprende sia lo scolastico che l’extrascolastico. Tutte le
situazioni della vita in cui si organizzano azioni finalizzate intenzionalmente
all'apprendimento sono situazioni didattiche. Oggi, il settore extrascolastico è in forte
espansione: nella società della conoscenza l'apprendimento continuo, in tutte le età della
vita, necessita di azioni formative efficaci e controllate. In questa sede ci interesseremo
di un particolare settore del campo didattico, quello scolastico secondario: un settore che
richiede approfondimenti specifici giustificati per un verso dalle caratteristiche peculiari
dell’utenza dell’azione formativa (gli studenti-adolescenti), e per l'altro dalle
caratteristiche metodologiche ed epistemologiche dei saperi, rigorosamente sistematizzati
in discipline.
Il metodo della didattica, come approccio scientifico l'insegnamento, si avvale di
procedure quantitative e qualitative, strumenti di osservazione, di analisi comparativa, di
misurazione, di descrizione, di narrazione. Metodologie sperimentali classiche e nuovi
modelli di indagine (come ad esempio la ricerca-azione) sono utilizzati, con modalità
integrate e/o coordinate, per valorizzare e validare la pratica didattica e nel contempo
per provare e falsificare i modelli teorici.

Il rapporto tra pedagogia e didattica


È un rapporto in continua ri-costruzione, con scambi reciproci strettissimi pur con
continue rivendicazioni di autonomia scientifica e di delimitazioni di campo, tra loro e con
le altre scienze dell’educazione.
Una prima distinzione riservava alla didattica il versante prasseologico dell’azione
educativa e alla pedagogia il versante teoretico.

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“La didattica indica … l’attività di esporre in maniera facilitata, con procedure adatte ai
destinatari, giovani o adulti, i contenuti di apprendimento; in ciò distinguendosi dai termini
pedagogia e pedagogico che designano piuttosto l’attività teoretica di riflessione, fondazione
e ricerca che concernono in generale l’educazione, l’istruzione e la formazione”. (Laeng M.,
Atlante di pedagogia. Le didattiche, Tecnodid, Napoli, 1991, 14)

Ciò non significa che, con semplicistica equazione, la pedagogia sta alla teoria come la
didattica sta alla pratica. Come in ogni scienza, anche nella didattica la processualità
pro-attiva e retro-attiva tra azione e riflessione, tra prassi e teoresi, supera
l’antinomia teoria-pratica (ovvero, tra il pensare e l’agire), per comprendersi in un
processo di sviluppo insieme scientifico e costruttivo, di ricerca e di formazione.
In sintesi, la pedagogia riguarda i fini, i perché dell'educazione, mentre “la didattica ha
come suo campo indagine lo studio dell'interpretazione e la progettazione
dell'insegnamento per ottimizzarne i processi, per ottenere risultati sempre migliori
quantitativamente e qualitativamente” (Santelli Beccegato L., 1998, 607).

1.2 LA DIDATTICA NELLA MEDIAZIONE TRA DISCIPLINE E APPRENDIMENTI

1.2.1 Come si insegna ... Il sistema dei saperi della didattica


Nella scuola secondaria e nei corsi universitari gli insegnamenti sono organizzati per
materie o, meglio ancora, per discipline3 di studio. Ogni disciplina si avvale di propri
metodi di ricerca e di studio; pertanto ogni disciplina va insegnata con la mediazione di
una propria didattica e di proprie metodologie. Ecco allora gli interrogativi: ha un senso
parlare di didattica generale per la scuola secondaria? In caso di risposta negativa, come
raccordare le diverse didattiche disciplinari, affinché non disperdano l'unitarietà
dell'apprendimento? E, in caso di risposta affermativa: come valorizzare le singole
didattiche disciplinari senza uniformarle nella dipendenza da principi generali?
Didattica generale e didattiche disciplinari si caratterizzano e si differenziano, secondo
Frabboni (1999, 20-21) riguardo a:
1. Curricolo
2. Luoghi dell’insegnamento/apprendimento
3. Strategie dell’insegnamento
4. Strategie dell’apprendimento
5. Valutazione
A nostro avviso l’elemento focale di specificazione riguarda il curricolo, gli altri
elementi discendono dalle assunzioni lì determinate. Pertanto:
a) Il compito della didattica generale è di dare luce scientifica agli statuti
interdisciplinari e alla “morfologia” della trasversalità delle competenze scolastiche:
 alle metaconoscenze,
 alle reti dei codici,

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Ancora oggi nella scuola si utilizza il termine “materia” per definire una branca di sapere insegnata
da un docente. Qui, non usiamo questo termine poiché si riferisce ad un particolare teoria dell’istruzione,
quella in cui l’insegnante si limita a trasmettere contenuti. Usiamo, invece, il termine più esteso di
disciplina inteso come disciplina mentis, organizzazione di saperi sistemici, sistematici e dinamici: i
saperi, nella loro evoluzione storico-epistemologica, “disciplinano” la mente e, reciprocamente, sono essi
stessi disciplinati dalla “mente”.

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 alla pluralità delle ermeneutiche,


 alle ricerche interdisciplinari,
 ai dispositivi euristici trasversali.
“Compito scientifico della didattica è quello di mettere-in-comunicazione le dimensioni
di sviluppo delle diverse età generazionali (gli stadi cognitivi e socioaffettivi, dell’infanzia,
adolescenza, giovinezza, ecc.) con i sistemi simbolico-culturali (le strutture della cultura
diffusa a scuola e nell’extrascuola, nonché i modelli etico-sociali della comunità di
appartenenza)” (Frabboni, 1998: 753)
Didattica è “il complesso degli interventi volti a progettare, allestire, gestire, valutare
ambienti di apprendimento, cioè contesti ritenuti atti a favorire particolari processi
acquisitivi in soggetti inesperti, essendo tali interventi il risultato di artefatti culturali,
normativi, tecnologici e di specifiche azioni umane” (Calvani A., 1998).
Queste due definizioni, pur così diverse (spiccatamente rivolta al “sociale” la prima,
nettamente costruttivista la seconda), dispiegano il campo della didattica generale.
La didattica generale, nel rispetto dell’unicità della persona che apprende, studia i
principi, le strategie e i processi connessi alla trasversalità dell’azione formativa,
raccordando le didattiche disciplinari nella progettazione, nella gestione e nella
valutazione degli interventi. La regia (e non supremazia) della didattica generale ha il
senso di superamento delle frammentazioni, di mediazione comunicativa ed
epistemologica, di ricerca pluri e interdisciplinare al solo scopo di ottimizzare
l’apprendimento. Esemplificando: l'insegnante di disegno non può non comunicare con
l'insegnante di letteratura o con quello di geometria, o di tecnologia; di qui la necessità di
linguaggi e codici condivisi.

b) Il compito delle didattiche disciplinari è di dare luce scientifica ai singoli statuti


disciplinari e alla “morfologia” dei saperi scolastici:
 ai contenuti,
 ai linguaggi,
 alle ermeneutiche,
 alle metodologie della ricerca,
 ai dispositivi euristici delle singole discipline curricolari.

1.2.2 Che cosa si insegna ... I saperi disciplinari


Il docente è chiamato a svolgere un’azione di transfer: non può portare agli allievi la
disciplina così come l’ha appresa durante il suo percorso di studi, ma deve interpretarla
per i suoi studenti. La disciplina scientifica (quella dei ricercatori) ha come riferimento gli
orizzonti del sapere ed è tesa alla ricerca di teorie e di modelli sempre più capaci di
descrivere, di spiegare e di prevedere i fenomeni. La disciplina da insegnare (quella per
gli studenti), invece, ha come scopo principale la traduzione dei risultati acquisiti, sia
nella forma della struttura concettuale (conoscenze e trame dei saperi) sia della
struttura sintattica (metodi di ricerca e linguaggi). I contenuti vengono perciò
interpretati e adattati in modo da renderli accessibili e apprendibili da parte degli allievi.
L’enorme massa di conoscenze che si è andata accumulando nelle discipline ha reso
urgente ritrovare l’essenzialità dei saperi.
Il sapere scolastico può essere rappresentato in aree disciplinari (macro-aree) e quindi
analizzato nella loro specificità.
Ogni disciplina presenta proprie strutture e propri processi metodologici ed
epistemologici (ovvero le modalità del conoscere, dell’interpretare e dell’agire sulla

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realtà). È opportuno che ogni insegnante riconosca i processi che specificano la disciplina
che insegna e li interpreti alla luce del loro potenziale formativo per gli studenti.
Il compito della didattica disciplinare è di “curvare” il metodo di insegnamento ai
modelli del sapere di quella specifica disciplina, assumendone l’epistemologia in atto (o le
problematiche epistemologiche che la disciplina sta vivendo) come punto di riferimento
costante per l’azione didattica.
Molte sono le materie scolastiche, troppe e non tutte “disciplinate” secondo categorie
scientifiche. Per facilitare l’esposizione è opportuno parametrare il sapere scolastico
rappresentandolo in aree disciplinari (macro-aree) e analizzando le loro strutture
epistemico-didattiche.
Franco Cambi (1998) individua cinque aree disciplinari (linguistico-letteraria, storico-
sociale, matematica, scientifico-naturale, tecnico-artistica) alle quali aggiunge una sesta
area, meta-disciplinare (area filosofica).
Su tali aree, si presentano in Approfondimento 1.A alcune tracce di riflessione al solo
scopo di introdurre il futuro insegnante ai processi epistemologici delle altre discipline,
processi talvolta condivisi, altre volte dissimili dai propri. La conoscenza di tali sviluppi,
necessaria per non chiudersi in torri d’avorio disciplinariste, fungerà da base per la
costruzione di percorsi formativi integrati, trasversali e, perché no, di frontiera, come di
frontiera è la ricerca.

1.2.3 A chi si insegna ... I saperi dell’apprendimento


La riflessione sulla didattica non può prescindere dalle caratteristiche psicologiche,
fisiologiche e, più specificatamente, dalle peculiarità cognitive, affettive e relazionali dei
destinatari dell’insegnamento. Colui che insegna dovrà approfondire tali peculiarità,
poiché impongono metodologie e didattiche specifiche: è ben diverso insegnare a
bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, adulti o anziani.

In generale, come si apprende?


L'apprendimento è un processo composito attraverso cui un soggetto combina nuove
informazioni e conoscenze con quelle che possiede ricostruendole in nuove forme e con
nuovi significati.
In realtà sono molti i processi che determinano l'apprendimento ed ogni soggetto
predilige propri modi e stili nel conoscere e nell’apprendere:
 Processi di problem solving e definizione delle ipotesi (stile sistematico - stile
intuitivo)
 Processi di osservazione della realtà e selezione percettiva (stile analitico -
stile globale)
 Processi di selezione informativa e decisione cognitiva (stile riflessivo - stile
impulsivo)
 Processi di memorizzazione e organizzazione cognitiva (stile verbale - stile
visuale)
 Processi di autonomia cognitiva e costruzione del pensiero (stile convergente
- stile divergente)
 Processi di governo dell’azione e interazione con la realtà (stile seriale - stile
olistico)

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 Processi di acquisizione dei saperi e costruzione dei concetti (stile ricettivo -


stile esplorativo)
 Processi di condivisione dei saperi e relazionalità cognitiva (stile
intrapersonale - stile interpersonale)
L’apprendimento si caratterizza per l’imprevedibilità, la messa in discussione, il
tentativo, la prova, il dubbio, la critica. L’insegnante dovrebbe:
1. riconoscere come la sua disciplina interpreta quei processi;
2. analizzare gli stili che egli predilige nel conoscere, nell’apprendere e, quindi,
nell’insegnare;
3. condividere con i colleghi, di area e di classe, i risultati dell’analisi;
4. analizzare, anche con la partecipazione attiva degli studenti, gli stili che essi
utilizzano con maggiore frequenza;
5. pianificare il lavoro cooperativo per a) migliorare e consolidare gli stili preferiti, b)
proporre e far sperimentare gli stili meno frequentati.

In Materiali di lavoro online si propone uno strumento per l’analisi dei profili :
1. cognitivo/intellettivo
2. interattivo/relazionale
3. psicologico/motivazionale
4. operativo/agentivo

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APPROFONDIMENTO 1.A

I PROCESSI EPISTEMOLOGICI NELLE AREE DISCIPLINARI

Franco Cambi (1998) individua cinque aree disciplinari (linguistico-letteraria, storico-


sociale, matematica, scientifico-naturale, tecnico-artistica) alle quali aggiunge una sesta
area, meta-disciplinare (area filosofica).

L’area linguistico-letteraria

Include l'italiano e le lingue straniere. Presenta tre paradigmi fondanti:


a) l’acquisizione chiara e articolata della funzione linguistica, orale e scritta,
fissandone i passaggi (di uso, di struttura e di funzione) e le dimensioni dei
linguaggi verbali e segnici (conoscitiva, comunicativa, espressiva);

b) gli universi letterari, partendo dalle forme letterarie per arrivare poi alle
tradizioni, anche nazionali. “Va capovolto il modello di insegnamento letterario
corrente (di impianto nazionalistico, ottocentesco) per recuperare una lettura […]
che si giochi soprattutto intorno al trinomio poesia, prosa e narrazione,
evidenziando in ogni ‘fattore’ la tipicità linguistico-letteraria, la funzione
comunicativa, la dimensione espressiva, la capacità formativa …” (Cambi, 1998,
614);

c) la testualità: leggere i testi, attraversarli, riviverli, appropriarsene; leggerli


secondo filologia (lessicale, semantica, semiologico-letteraria, …) e secondo
interpretazione (storica, teorica, per temi, problemi, …).

L’area storico-sociale

Include le discipline storiche e storiografiche e quelle umano-sociali: settori con


epistemologie in profondo rinnovamento nella pluralità e nella complessificazione.

 La ricerca storica si cimenta su due fronti: dello statuto logico del suo discorso
(la storia è “spiegare”, Hempel, o “comprendere”, Veyne, oppure è spiegazione e
comprensione insieme, Weber?), e dello statuto fenomenologico dell'evento
storico (che sempre plurale, che necessita di ottiche diverse e contrapposte).
“Portare i problemi della storia contemporanea nella didattica significa andare
verso una storia più plurale, più attenta alla sua metodologia, più critica, più
consapevole di essere un sapere costruito su molti registri” (ibid.).

 Le scienze umano-sociali (quali l’antropologia, la geografia, l’economia, la


psicologia, la sociologia, …) con statuti epistemologici specifici, si caratterizzano
per la metamorfosi del loro oggetto nel tempo e nello spazio, e anche attraverso
l'analisi scientifica che di esso compiono: lo studio dell’uomo produce
trasformazioni nei soggetti e nella coscienza di loro stessi, il concetto di legge, che
nelle scienze naturali è determinato come necessità, qui indica una tendenzialità;
la relatività e la reciprocità nel rapporto tra soggetto-osservatore e oggetto-
osservato dà un diverso significato al principio dell'oggettività. Sono scienze in
situazione, legate a un tempo, a un osservatore, a un “pre-giudizio”; perciò
esigono programmi di ricerca fondati sul pluralismo della dialettica dei punti di

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

vista. Sono scienze profondamente formative, attualissime, eppure


scolasticamente emarginate.

L’area matematica

Sono noti i deficit nell’apprendimento matematico nella popolazione scolastica italiana.


D’altro canto l’insegnamento della matematica è ancora contrassegnato da un iter
dogmatico, che si evolve in regole e in teoremi, e nella loro memorizzazione e
applicazione. Si tratta invece di mostrare la costruttività dell'universo matematico, nello
sviluppo di una molteplicità di problemi:

 il tipo di discorso e di linguaggio: astratto, logico, formale, intrecciato con la logica


e i suoi problemi;
 il tipo di rigore: deduttivo, analitico, sintattico, inferenziale, …;

 la sua funzione regolatrice di molti saperi, metodologici e scientifici (quali discipline


usano codici e principi matematici?);

 i problemi connessi alla semantica della matematica (è solo sintassi?, la sua natura
è pura convenzionalità?).
Il lavoro didattico anche qui si presenta articolato e complesso; la matematica come
architettura, infrastruttura dei saperi, deve legarsi alla ricerca attuale, sviluppando sia le
valenze logico-formali sia quelle costruttivo-metodologiche.

L’area delle scienze naturali

Comprende la fisica e la chimica, ma anche la biologia, la geologia, la zoologia, ecc. È


questa un’area dove l’epistemologia contemporanea (da Popper in poi) ha profondamente
rinnovato gli statuti delle diverse scienze, mettendo in evidenza:
 l'impossibilità di procedere secondo un metodo definito a priori e invariante;

 la diversità delle procedure logiche da esse adottate (dalla spiegazione all'analogia,


alla metafora, fino alla intersezione con le metafisiche);

 la priorità di processi di teorizzazione (anche sull’osservazione stessa, che già


“possiede teorie”).
L'insegnamento scolastico delle scienze è rimasto invece molto legato ad una visione
positivistica, benché aggiornata, di scienza compatta e progressiva, di saperi lineari e
cumulativi.
Non va certamente abbandonato l'aspetto informativo e trasmissivo della conoscenza
scientifica, ma l'insegnamento delle scienze naturali deve confrontarsi con una nuova
immagine di scienza (meno uniforme e meno convergente, più critica è più dialettica, ma
anche più storica, attenta alle diversità interne e alle contestualizzazioni esterne) e con le
metodologie che tali scienze apportano (modelli della scoperta, modelli della ricerca,
modelli della giustificazione, ecc.).

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

L’area artistica e tecnologica


Comprende due ambiti tra loro dissimili e insieme complementari, entrambi
centralissimi nel sapere contemporaneo e cruciali nella formazione del soggetto e
dell'esperienza sociale e storica. Nella scuola, pertanto, non dovrebbero essere relegati in
condizioni ancillari o marginali (come avviene, ad eccezione di specifici indirizzi di studi).
 Il fronte artistico, connesso ai saperi estetici, (belle arti, musica, poesia, cinema,
ecc.) ha una doppia funzione di conoscenza/produzione e di fruizione. La
conoscenza di forme inedite del reale (il virtuale) ha la funzione di rilevazione
(altri modi di vedere, di rappresentare, di costruire), di compensazione e di sfida
utopica alla “produzione del bello”. La fruizione è esperienza di godimento, di
contemplazione, di partecipazione al bello, che “dilata il soggetto nell'oggetto che
porta poi l’oggetto nel soggetto”.
 Per ciò che riguarda i saperi tecnici e tecnologici si tratta di rivedere la
tecnica/tecnologia sia in senso strutturale che in senso sociale e storico. La
riflessione sulla tecnica dovrebbe fissare i caratteri (di operatività, il dominio, di
autoregolazione sistemica) per passare poi alla sua rilevanza attuale. Nella scuola
vanno sì apprese le tecniche, ma soprattutto ci si dovrebbe allenare a pensare la
complessità, l’ambiguità e la problematicità della tecnica, con l’uomo “signore
della tecnica” e non come pedina mossa dal “dominio della tecnica”.

L’area filosofica

L’area filosofica, così come viene proposta da Cambi, non va intesa in modo
disciplinare specifico, ma pluri e meta-disciplinare, con una sua autonomia e una sua
pervasività, con sue specifiche funzioni di coordinamento, di integrazione, di meta-
riflessione sui saperi.
Il sapere filosofico è un sapere plurale: è un meta-discorso, è un sapere insieme
enciclopedico e interdisciplinare, è un tipo di riflessione aperta. Il sapere filosofico è un
regolatore riflessivo dei saperi e, anche, auto-riflessivo, contrassegnato
dall’universalità e dalla radicalità, che mette in campo forme di argomentazione
rigorosa ispirata ai criteri della necessità e, insieme, della libertà.
“Per svolgere tale funzione generale e radicale la filosofia va introdotta in ogni scuola
superiore, va anche insegnata non solo come diacronia di filosofi e di ‘ismi’, va ricondotta
verso la ricerca, lo spirito della ricerca. Va resa, la sua didattica, più articolata, più
nuova, più ricca” (Cambi, 1998, 617), costruita per problemi, resa più dialogica e
testuale, più legata alla argomentazione, alla giustificazione, alla persuasione
/dimostrazione.

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STRUMENTI DI LAVORO

ANALISI DEI PROFILI DELL’ALLIEVO

A. COGNITIVO/INTELLETTIVO B. INTERATTIVO/RELAZIONALE
C. PSICOLOGICO/MOTIVAZIONALE D. OPERATIVO/AGENTIVO

A. IL PROFILO COGNITIVO/INTELLETTIVO
Analisi dei processi di apprendimento

A1. Processi di SOLUZIONE DEI PROBLEMI E DEFINIZIONE DELLE IPOTESI

Stile sistematico Stile intuitivo


L'allievo procede per piccoli passi; L'allievo coglie il nocciolo del problema;
considera tutte le variabili del problema; formula ipotesi all’inizio e cerca poi di
suddivide il compito; affina le strategie confermarle o confutarle attraverso la
risolutive durante il lavoro. Rischia di successiva analisi dei dati. Rischia di
soffermarsi solo sui particolari e di perdere limitarsi a cercare la conferma della prima
molto tempo. ipotesi.

A2. Processi di OSSERVAZIONE DELLA REALTÀ E SELEZIONE PERCETTIVA

Stile analitico Stile globale


L'allievo percepisce e si rappresenta in L'allievo percepisce e si rappresenta la
una situazione prima di tutto i dettagli, i situazione nella sua totalità, nell’insieme
singoli elementi. “Vede prima gli alberi, degli elementi. “Vede prima la foresta, poi
poi la foresta”. Tra due figure simili (ma gli alberi”. Tra due figure simili (ma
diverse) riscontra le differenze. diverse) riscontra le somiglianze.

A3. Processi di SELEZIONE INFORMATIVA E DECISIONE COGNITIVA

Stile riflessivo Stile impulsivo


L'allievo affronta il compito passo dopo L'allievo affronta con rapidità il compito;
passo; prende decisioni “mediate”, dopo prende decisioni “immediate”, di getto,
aver ponderato minuziosamente i diversi sulla base delle informazioni essenziali.
risvolti. Presenta il vantaggio della Presenta il vantaggio della rapidità, ma
sensibilità metacognitiva, ma rischia di rischia di prendere decisioni sbagliate se le
decidere in ritardo in caso di eccesso informazioni sono poche o nulle.
informativo.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

A4. Processi di MEMORIZZAZIONE E ORGANIZZAZIONE CONCETTUALE

STILE VERBALE STILE VISUALE


L'allievo predilige i compiti verbali (la L'allievo predilige i compiti basati sulla
lettura, la scrittura, la discussione), e le visualizzazione: disegni, grafici, schemi;
discipline che maggiormente si avvalgono impara per immagini; ricorda i concetti se
di essi; impara per parole; è attento le associati a schemi; usa molto il colore per
spiegazioni orali, prende appunti, studia sottolineare o evidenziare; ricorda il testo in
ripetendo ad alta voce; impara facilmente base alla disposizione dei capitoli, paragrafi,
poesie e testi scritti. titoli, o delle figure.

A5. Processi di AUTONOMIA COGNITIVA E COSTRUZIONE DEL PENSIERO

STILE CONVERGENTE STILE DIVERGENTE


L'allievo affronta la realtà attraverso L'allievo cerca di trovare nuove soluzioni
percorsi noti, conosciuti; utilizza schemi anche a problemi già risolti; tende a
consolidati anche per situazioni nuove; ristrutturare i propri schemi cognitivi per far
nelle questioni considera solo gli aspetti fronte ai cambiamenti; valorizza gli aspetti
usuali, tangibili e certi. Tende ad applicare marginali e inusuali. Tende ad inventare
tecniche per riprodurre il pensiero. strategie per produrre il pensiero.

A6. Processi di DOMINIO DELL’AZIONE E INTERAZIONE CON LA REALTÀ

STILE SERIALE STILE OLISTICO


L’allievo esegue il compito attraverso L’allievo agisce nella realtà dal di dentro,
azioni sequenziali, passo dopo passo; procede per scenari successivi, per
domina la realtà attraverso procedure costruzioni euristiche; non ha bisogno di
algoritmiche; per procedere ha bisogno di istruzioni specifiche ma deve comprendere
istruzioni dettagliate e progressive; non si il punto di arrivo. A differenza del globale
pone obiettivi poiché teme di non poterli (che osserva il panorama dall’esterno)
raggiungere. Il seriale agisce sulla realtà l’olistico si immerge nella realtà per
per adattarla alle proprie esigenze. trasformarla e per trasformarsi.

A7. Processi di ACQUISIZIONE DEI SAPERI E COSTRUZIONE DEI CONCETTI

STILE RICETTIVO STILE ESPLORATIVO


L’allievo apprende i concetti già L’allievo apprende dalle situazioni. Usa le
organizzati da altri e a lui comunicati. conoscenze e i modelli cognitivi in suo
L’insegnante espone e trasmette i saperi. possesso per comprendere il nuovo che
L’allievo deve adattare, modificare o acquisisce per esperienze e inferenze.
sostituire i propri concetti e conoscenze Predilige l’azione diretta in contesti diversi e
con quelli proposti. L’apprendimento per sconosciuti per mettere alla prova le sue
ricezione è rapido ed efficiente, ma non potenzialità. L’apprendimento esplorativo è
garantisce la trasferibilità, l’efficacia e la lento e spiccatamente personale, ma molto
durata a lungo termine. efficace e duraturo.

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A8. Processi di CONDIVISIONE DEI SAPERI E RELAZIONALITÀ COGNITIVA

STILE INTRAPERSONALE STILE INTERPERSONALE


L’allievo predilige le situazioni di L’allievo predilige le situazioni di
apprendimento solitario; per lo studio apprendimento in gruppo. Mette a
tende ad isolarsi. Comunica soltanto i disposizione degli altri le proprie
risultati essenziali e conclusivi delle sue conoscenze e capacità. Riconosce e integra
elaborazioni concettuali. Ama le sfide il proprio ruolo con quello degli altri. Ama i
individuali ed eroiche. La competizione giochi e gli sport di squadra. Impara dagli
con se stesso è la sua motivazione ad altri; li sta ad ascoltare. Il pubblico è la sua
apprendere. motivazione ad apprendere.

IL PROFILO COGNITIVO
ANALISI DEGLI STILI E DEI PROCESSI DI APPRENDIMENTO

1) Per ogni polarità, individuare lo stile prevalente (es. se ‘SISTEMATICO’ barrare la freccia vicina)
2) Assegnare un valore allo stile prevalente
3) Assegnare un valore allo stile opposto

Stile Stile
prevalente + x - - x + prevalente

SISTEMATICO 3 2 1 1 2 3
INTUITIVO
ANALITICO 3 2 1 1 2 3
GLOBALE
RIFLESSIVO 3 2 1 1 2 3
IMPULSIVO
VERBALE 3 2 1 1 2 3
VISUALE
CONVERGENTE 3 2 1 1 2 3
DIVERGENTE
SERIALE 3 2 1 1 2 3
OLISTICO
RICETTIVO 3 2 1 1 2 3
ESPLORATIVO
INTRAPERSONALE 3 2 1 1 2 3
INTERPERSONALE

Annotazioni:

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B. IL PROFILO INTERATTIVO/RELAZIONALE DELL’ALLIEVO


Analisi dei comportamenti sociali

B1. Indicatore: INTERAZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo si inserisce bene nei gruppi di L'allievo tende ad isolarsi, ad estraniarsi
lavoro; vive favorevolmente lo scambio dal gruppo; a ricercare l'attenzione degli
interpersonale; manifesta le sue idee, i altri in modi inadeguati e impropri; non
suoi sentimenti, e rispetta quelli degli comunica il suo punto di vista; deride le
altri. opinioni altrui.

B2. Indicatore: SOLIDARIETÀ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo si mostra solidale e partecipe; L'allievo è egoista; trattiene per sé ciò
offre spontaneamente il proprio aiuto ai che sa; è poco disposto a condividere le sue
compagni in difficoltà; sa chiedere aiuto cose; è indifferente e non partecipa alle
agli altri, in caso di bisogno, e ne difficoltà altrui, ma pretende attenzione alle
riconosce i meriti. proprie.

B3. Indicatore: CAPACITÀ DI ASCOLTO

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo ascolta gli altri, li lascia L'allievo non s'interessa dell'opinione
parlare; cerca di comprendere a fondo le degli altri, li interrompe continuamente;
idee espresse, mettendosi nei loro panni; tende ad imporre sempre le proprie idee e
chiede chiarimenti di ciò che non capisce; nega quelle degli altri; si irrita se l’altro non
rispetta le posizioni che non condivide. lo ascolta; denigra le posizioni che non
condivide.

B4. Indicatore: RICONOSCIMENTO SOCIALE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo, nel lavoro, apprezza il valore L'allievo manifesta indifferenza o gelosia
e distingue i meriti suoi e degli altri; di fronte ai successi degli altri, ne contesta
riconosce l’importanza della reciprocità e l’importanza; magnifica i propri meriti, nega
dello scambio; manifesta riconoscenza per o scredita quelli altrui.
il supporto ricevuto.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

B5. Indicatore: COOPERAZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo, nel lavoro con gli altri, dà L’allievo, nel lavoro con gli altri, vede
informazioni, fa proposte, esprime le solo proprio tornaconto; è passivo e
proprie opinioni; accetta e sostiene il ruolo refrattario all’azione comune; non accetta i
affidatogli; si raccorda con gli altri per il compiti assegnati, si intromette e contesta
successo comune. il lavoro degli altri.

B6. Indicatore: UMORISMO

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo sa cogliere il lato umoristico L'allievo non ha il senso dell’umorismo;
delle cose; sdrammatizza situazioni difficili reagisce con permalosità agli scherzi; tratta
ricorrendo al paradosso e all’ironia; sa gli altri con derisione e sarcasmo; è rigido,
stare agli scherzi e scherza volentieri, nel non comprende gli aspetti paradossali e
rispetto della tolleranza altrui. contraddittori.

B7. Indicatore: MEDIAZIONE SOCIALE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo, in caso di dissidio con gli altri, L'allievo lascia che le divergenze
ricerca soluzioni costruttive riconoscendo degenerino in conflitto; non ammette i
gli elementi di interesse nelle diverse propri errori ed enfatizza quelli altrui; è
posizioni; cerca di conciliare le sue idee competitivo fino all’esasperazione, e
con quelle degli altri; ammette i propri considera il concorrente come un nemico e
errori. non come un avversario.

B8. Indicatore: PARTECIPAZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo interviene in modo pertinente L'allievo non interviene mai, neppure se
e appropriato; pone domande per continuamente stimolato; non pone
approfondire e per capire; esprime le sue domande; non avanza innovazioni ed
idee per promuovere la crescita del ostacola l’adozione dei cambiamenti
gruppo. proposti dagli altri.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

IL PROFILO SOCIO-RELAZIONALE
ANALISI DEI COMPORTAMENTI SOCIALI

Per ogni indicatore assegnare un valore da +3 a -3. Appurare che il +3 sia effettivamente positivo e non
negativo per eccesso, in tal caso barrare la freccia (es per ‘SOLIDARIETA’: l’allievo non solo offre agli altri il suo
necessario ma anche il suo indispensabile).

Negativo x
eccesso

INTERAZIONE 3 2 1 -1 -2 -3

SOLIDARIETA' 3 2 1 -1 -2 -3

CAPACITA' DI ASCOLTO 3 2 1 -1 -2 -3

RICONOSCIMENTO SOCIALE 3 2 1 -1 -2 -3

COOPERAZIONE 3 2 1 -1 -2 -3

UMORISMO 3 2 1 -1 -2 -3

MEDIAZIONE SOCIALE 3 2 1 -1 -2 -3

PARTECIPAZIONE 3 2 1 -1 -2 -3

Annotazioni:

C. IL PROFILO PSICOLOGICO/MOTIVAZIONALE DELL’ALLIEVO


Analisi dello sviluppo del sé e dell’autonomia personale

C1. Indicatore: PERCEZIONE DI SÉ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo formula giudizi realistici su se L’allievo tende sistematicamente a
stesso; stima con precisione le proprie sottovalutarsi (attribuzione esterna) o, al
potenzialità; si autovaluta differenziando contrario, a sopravvalutarsi (attribuzione
le sue abilità a seconda dei compiti e delle interna); ha un’idea molto globale e poco
situazioni. articolata di se stesso.

C2. Indicatore: PERCEZIONE DEGLI ALTRI

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo valuta con accuratezza le L’allievo è poco flessibile nel ristrutturare
caratteristiche delle altre persone, le sue idee verso le altre persone; il suo
distinguendone pregi e difetti; considera e giudizio nei loro confronti si basa su
comprende le situazioni particolari che gli impressioni immediate, su stereotipi e
altri vivono. pregiudizi.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

C3. Indicatore: PERCEZIONE DELLA REALTÀ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo discrimina gli elementi e i L’allievo percepisce la realtà in termini
fattori, le esigenze e le peculiarità che estremi e antitetici (bianco / nero); non
emergono dalle diverse situazioni; si coglie le sfumature e le contraddizioni delle
autoregola rispetto alle circostanze e al situazioni complesse; affronta tutte le
comportamento altrui. situazioni allo stesso modo.

C4. Indicatore: CONTROLLO EMOTIVO

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo domina le proprie emozioni e L’allievo esplode, non riesce a contenere
le manifesta nei modi e nei tempi le emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo,
opportuni; esprime i propri sentimenti in e a controllare il proprio comportamento;
modo contenuto, equilibrato ed vive l’insuccesso, anche quello trascurabile,
appropriato; controlla le reazioni emotive come una catastrofe.
di fronte all’insuccesso.

C5. Indicatore: TOLLERANZA ALLA FRUSTRAZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo sopporta le circostanze L’allievo ricerca sempre la soddisfazione
sfavorevoli mettendo in atto condotte di immediata ai propri bisogni, senza tener
superamento efficaci e produttive, anche conto dei bisogni altrui o delle esigenze
creative; pospone la soddisfazione di un comuni; ha una visione egocentrica della
bisogno personale per una meta comune. realtà; non tollera ostacoli al proprio
cammino.

C6. Indicatore: CONTROLLO PENSIERO - AZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo pensa prima di agire; ai fini L’allievo agisce senza pensare; non è in
dell’azione, sa distinguere l’irrilevante e il grado di valutare in modo adeguato le
superfluo da ciò che è fondamentale e conseguenze delle proprie azioni e
necessario; valuta ed elabora in maniera comportamenti; è acritico nei confronti
personale la realtà circostante; è in grado delle norme stabilite e aderisce
di prevedere l’esito delle proprie azioni. marcatamente ai condizionamenti sociali.

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C7. Indicatore: PERSISTENZA

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo partecipa con tenacia e L’allievo è incostante; non è in grado di
assiduità nell’azione intrapresa; si mantenere con assiduità l’impegno in un
concentra; mantiene l’attenzione e non si progetto o in lavoro; di fronte alla fatica è
distrae facilmente; si sente responsabile portato a lasciare perdere e ad
della realizzazione del compito affidatogli. abbandonare il compito.

C8. Indicatore: AUTONOMIA

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo manifesta indipendenza L’allievo manifesta dipendenza completa
operativa e concettuale dalle figure adulte; nei confronti delle altre persone; ha
ricerca il supporto esterno in caso di continuo bisogno di supporto esterno ed è
effettiva necessità e dopo aver totalmente condizionato dagli altri; non
ripetutamente tentato da solo; esprime il esprime le sue idee o le nasconde dietro
suo pensiero e lo sostiene con giudizi stereotipati e opinioni altrui.
argomentazioni.

IL PROFILO PSICOLOGICO
ANALISI DELLO SVILUPPO DEL SÉ E DELL'AUTONOMIA PERSONALE

Per ogni indicatore assegnare un valore da +3 a -3. Appurare che il +3 sia effettivamente positivo e non
negativo per eccesso, in tal caso barrare la freccia. V. profilo interattivo/relazionale.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

D. IL PROFILO OPERATIVO/AGENTIVO DELL’ALLIEVO


Analisi degli atteggiamenti e dei comportamenti nel lavoro scolastico

D1. Indicatore: RESPONSABILITÀ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo mantiene gli impegni assunti e L'allievo si manifesta incostante e
li porta a termine nei modi previsti; inconcludente; si presenta normalmente in
riconosce adeguatamente i propri meriti e i ritardo; affronta le attività all'ultimo
propri demeriti; presenta una attribuzione momento e secondo l'interesse
prevalentemente interna: si sente contingente; tende ad attribuire il successo
responsabile di ciò che gli succede. a se stesso e l'insuccesso a fattori esterni.

D2. Indicatore: PRODUTTIVITÀ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo è attivo, dinamico, operoso; L'allievo è poco produttivo, è pigro e
svolge attività diverse e variegate; sa indolente, apatico e svogliato; se la prende
ottimizzare le risorse a disposizione; è con comodo, non è assillato di dover finire
rapido nell'azione, solerte, capace di il lavoro; non è mai propositivo rispetto
sbrigare il lavoro assegnato; è alle attività da intraprendere.
intraprendente e sicuro delle proprie
capacità.

D3. Indicatore: SICUREZZA DI SÈ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo mantiene il controllo della Di fronte ad una situazione nuova
situazione in cui si trova; si concentra sul l'allievo è disorientato, smarrito; mette in
problema che gli viene posto e si sforza di atto le abituali procedure anche se
risolverlo; ha un’immagine fiduciosa di sé inadeguate alla situazione; si blocca di
ed elevate aspettative; reagisce con fronte alle decisioni; reagisce in modo
curiosità e interesse. scomposto e con agitazione.

D4. Indicatore: CONSAPEVOLEZZA DELLE PROPRIE CAPACITÀ

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo manifesta una conoscenza L'allievo presenta una conoscenza molto
specifica e accurata delle proprie capacità; globale, indifferenziata e confusa delle
riconosce i suoi punti di forza e di proprie capacità; ipovaluta o ipervaluta le
debolezza; esprime autovalutazioni sue competenze; sceglie compiti al di sotto
specifiche e non globali; sceglie compiti o al di sopra del suo potenziale.
alla sua portata.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

D5. Indicatore: IMPEGNO

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L’allievo esegue regolarmente il lavoro L’allievo si rivolge a qualcun altro per
assegnato senza bisogno di supporti portare a termine il lavoro assegnato; alle
esterni; persiste nello sforzo per prime difficoltà abbandona il campo;
completare il compito; tollera la fatica. interrompe con frequenza il lavoro.

D6. Indicatore: ATTENZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo è attento agli aspetti importanti L'allievo si distrae facilmente; la sua
della lezione o dell’attività; è capace di mente è altrove; si concentra per un
concentrazione prolungata; ascolta gli tempo assai limitato; raramente sta ad
insegnanti con interesse. ascoltare gli insegnanti.

7. Indicatore: ORGANIZZAZIONE

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo organizza le proprie attività con L'allievo è disorganizzato e disordinato;
efficienza progettuale; prepara ed esegue il non risulta in grado di progettare l’azione
lavoro secondo un ordine operativo in modo operativo; durante il lavoro si
preciso; pianifica e predispone gli trova sprovvisto degli strumenti necessari
strumenti necessari prima di iniziare un e non segue una sequenza logica.
compito.

8. Indicatore: AUTOCONTROLLO

Descrittori a polarità positiva Descrittori a polarità negativa


L'allievo punta al conseguimento L'allievo manifesta chiari segni di
dell'obiettivo; di fronte a situazioni non agitazione: durante le prove, al minimo
chiare procede con calma ed ostacolo, si irrigidisce, ammutolisce,
eventualmente chiede spiegazioni; durante balbetta, arrossisce, dimentica ciò che
le interrogazioni ed i compiti in classe prima sapeva bene, gesticola in maniera
domina le reazioni emotive in modo eccessiva e non appropriata.
adeguato.

IL PROFILO OPERATIVO
ANALISI DEI COMPORTAMENTI E DEGLI ATTEGGIAMENTI NEL LAVORO SCOLASTICO
Per ogni indicatore assegnare un valore da +3 a -3. Appurare che il +3 sia effettivamente positivo e non
negativo per eccesso, in tal caso barrare la freccia. V. profilo interattivo/relazionale.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Corso di

DIDATTICA
Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it

Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2016

2 IL CURRICOLO

I saperi (didattici, disciplinari e psicologici) su cui si fonda la professionalità


dell'insegnante della secondaria, si collegano e si realizzano nel curricolo, ovvero in
itinerari di insegnamento e in percorsi di apprendimento.
Il curricolo è il piano degli apprendimenti che l'allievo costruisce e l'insegnante
progetta ed accompagna.
Uno dei significati del termine latino curriculum è quello di “corso”, da cui deriva
l’utilizzo attuale in riferimento al percorso di vita di un individuo (curriculum vitae), alla
carriera (curriculum professionale), o agli studi seguiti (curriculum studiorum).
L'espressione curricolo si è accreditata nella versione in lingua italiana nelle attività di
istruzione e di formazione, ed ha assunto il significato specifico di complesso dei
percorsi di apprendimento organizzati da una scuola per gli allievi e da essi
vissuti per essere formati.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

2.1.1 Il curricolo è come un viaggio


Per raggiungere una destinazione nuova dobbiamo utilizzare una mappa. La mappa
rappresenta un modello degli itinerari possibili. Così una disciplina si presenta
modellizzata dall'analisi disciplinare: la mappa di una disciplina è un insieme di basi di
conoscenze tra loro collegate da relazioni di senso, grappoli di nuclei concettuali
interconnessi.
Una mappa aiuta per raggiungere una destinazione. Chi deve percorrere il tragitto?
Senz'altro l'allievo, per questo il curricolo è il suo percorso. Lungo alcuni tratti, nei
diversi segmenti del percorso formativo l'allievo sarà accompagnato dagli insegnanti, ora
dall'uno, ora dall'altro, e talvolta da più insegnanti insieme. Ma, il senso completo e
unificante del viaggio è dell'allievo.
La partecipazione dello studente alla costruzione del curricolo è determinante; il
percorso dovrebbe essere costruito insieme all'allievo (o per lo meno con il suo
coinvolgimento attivo già nella fase di progettazione): in tal modo si riuscirebbe a
coniugare la pianificazione degli insegnamenti con la progettazione degli apprendimenti.

2.1.2 Le valenze del curricolo


In realtà il curricolo, come ogni viaggio, può essere interpretato in diversi modi.
Il curricolo ha valenza educativa poiché è percorso di sviluppo mirato: con il viaggio
formativo si persegue una finalità, uno scopo, un risultato: un cambiamento intenzionale
per una trasformazione migliorativa.
Il curricolo ha valenza epistemica poiché è percorso tra saperi selezionati per
facilitare l’incontro tra i modi di “conoscere la realtà”, tra quello dello scienziato e quello
dello studente: il curricolo non è il programma ministeriale, non è l’elenco dei contenuti,
non è l’indice del libro di testo; è invece modulazione di saperi scientifici, plurali e diversi;
è un’offerta di saperi insieme universali (essenziali, validi per tutti) e particolari (specifici
per ogni allievo o gruppo di allievi).
Il curricolo ha valenza didattica poiché è itinerario di insegnamenti progettati: il
viaggio va sempre pensato e pianificato prima del suo inizio. Si potranno anche
prevedere “vagabondaggi” formativi, ma senza mai perdere di vista le coordinate
progettuali (dove ci si trova e dove si sta andando).
Il curricolo ha valenza organizzativa poiché è percorso in ambienti predisposti: un
intervento didattico si può improvvisare, il curricolo no! Il curricolo è un piano
organizzato nei tempi e negli spazi, nei soggetti e negli oggetti.
Il curricolo ha valenza formativa poiché è percorso di personalizzazione: il curricolo è
formativo in quanto si basa sullo sviluppo potenziale e, quindi, sulla vicinanza tra sistemi
di elaborazione dei saperi del soggetto che apprende (lo studente) e i sistemi di
produzione dei saperi delle discipline.
Il curricolo ha valenza esperienziale poiché è percorso di elaborazione metacognitiva
dei vissuti: il curricolo si basa sull'esperienza (ossia sull'essere esperto) del soggetto che
apprende. Lo studente che riflette sulle sue esperienze e in esse riporta ciò che apprende
diventa consapevole del suo viaggio.
Il curricolo ha valenza operativa poiché è percorso di azioni reali: il curricolo non è
virtuale. Le azioni formative devono essere operative, tali da poter essere riconosciute
nei loro risultati, nell'evidenza tangibile dei passi di sviluppo.
Il curricolo ha valenza relazionale poiché è percorso di azioni insieme: il curricolo non
è un viaggio solitario. È sempre un accompagnarsi reciproco. La valenza relazionale del
curricolo significa facilitazione dell'apprendimento, condivisione di saperi, incremento
motivazionale. Naturalmente l'apprendere è un fatto tutto personale, individuale e
soggettivo, ma apprendere insieme può aiutare, stimolare e migliorare l'apprendimento.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

2.1.3 Il curricolo e il processo di apprendimento


Nel predisporre il curricolo va tenuto presente il processo di apprendimento (J.
Bruner):
 All'inizio del percorso: l’apprendimento ha bisogno di un contesto, inteso sia come
ambiente di vita sia come ambiente di relazioni (contenitore di esperienze ma anche
rete di modelli socio-valoriali), affinché il soggetto elabori spontaneamente i significati
delle proprie esperienze dentro la propria cultura.
 Nel farsi del percorso: quando si apprende, il rapporto tra ciò che è noto e ciò che è
nuovo presuppone un’anticipazione di significati. Le preconoscenze, i pregiudizi, ma
anche le mis-conoscenze costituiscono il bagaglio dei saperi del soggetto. Di questo il
processo intenzionale di istruzione deve tener conto se vuole agganciare
significativamente le nuove informazioni alle vecchie e, soprattutto, se vuole motivare
l’apprendimento e consentire al soggetto di essere attivo. Ciò significa capire il senso
dell’apprendere, mettersi in gioco, confrontarsi con gli altri e le loro ipotesi, partire
dal senso comune per arrivare al significato inteso come "costruzione sociale delle
conoscenze" (Vygotskij).
 Alla fine del percorso: il risultato di un processo di apprendimento è leggibile come
modificazione del proprio modo di pensare e di essere, non solo per quanto riguarda
le prestazioni nei campi disciplinari, ma per la capacità di problematizzare e di
interpretare la realtà utilizzando le proprie competenze, essendo consapevole del
proprio modo di funzionare cognitivamente.
Gli obiettivi del curricolo, secondo H. Gardner, dovranno perseguire:
 padronanza di notazioni sofisticate, ovvero dei principali codici di scrittura della
realtà: parole, numeri, immagini, suoni; ovvero padronanza dei sistemi di
simbolizzazione culturale;
 padronanza dei concetti portanti delle varie discipline: concetti, categorie, strutture,
idee chiave;
 padronanza delle forme espositive e di ragionamento delle discipline (statuto
epistemologico, metodo d’indagine, linguaggio specifico);
 padronanza di abilità metacognitive generali e specifiche; consapevolezza dei fattori
che influenzano la metacognizione, l’autoregolazione.
E lo studente, a sua volta, è esperto se:
 sa mettere in rete i concetti elaborati;
 sa cosa sono, come si costruiscono, a cosa servono, come possono cambiare e
ristrutturarsi;
 sa interpretare il nuovo in base al noto;
 sa acquisire nuovi dati integrandoli in schematizzazioni;
 sa eseguire passaggi intradisciplinari e raccordi interdisciplinari;
 sa usare capacità critiche e creative;
 ha consapevolezza che i nodi concettuali possono essere interconnessi sia con legami
di tipo logico-analitico sia con legami di tipo analogico-ermeneutico.

2.1.4 Il curricolo non è il programma ministeriale


L'idea che la singola scuola abbia il compito di progettare intenzionalmente i percorsi
(curricoli) da far compiere agli allievi è tipica dei sistemi scolastici caratterizzati da una
certa autonomia delle singole istituzioni, e questo spiega perché gran parte della
letteratura in materia disponibile fino a qualche anno fa provenga dai paesi anglofoni.
Nella scuola “centralizzata” i programmi ministeriali indicavano i contenuti che tutti
dovevano sapere, i risultati che tutti dovevano raggiungere. Dal decennio scorso, anche

26
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

in Italia, con l'affermarsi della scuola dell'autonomia, i programmi ministeriali sono stati
progressivamente sostituiti dalle indicazioni nazionali, fondate su modelli formativi
curricolari4.

Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo (di Carlo Fiorentini)5

È nel regolamento dell’autonomia che viene sancito giuridicamente il passaggio dalla scuola del
programma alla scuola del curricolo. L’art. 8 attribuisce infatti alle scuole il compito della
costruzione del curricolo, ma garantisce l’esistenza di un sistema formativo nazionale affidando al
ministro il compito di stabilire “gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli
alunni”.
Spesso si legge o si sente dire che la commissione De Mauro ha elaborato i nuovi curricoli. Ci
sembra questa formulazione fuorviante, perché veicola l’idea che si passi da vecchi a nuovi
curricoli, e che quindi curricolo sia sinonimo di programma.
Prendiamo innanzitutto in esame le considerazioni del ministro De Mauro. Partiamo dalle finalità
fondamentali della scuola del curricolo:
“Il principio educativo della scuola è, dunque, la centralità del soggetto che apprende, con la sua
individualità e la rete di relazioni che lo legano alla famiglia e ai diversi ambienti sociali, regionali
ed etnici (…) Occorre garantire l’acquisizione di cognizioni e far comprendere la loro importanza. Le
cognizioni sono esse stesse durevoli e durevoli ne sono gli effetti in quanto siano proposte in modo
che chi apprende ne sia coinvolto, ne percepisca la rilevanza per i successivi studi e per le scelte
successive, per costruire il suo progetto di esistenza e, insomma, per poter tornare ad esse e
riutilizzarle per tutto l’arco della vita. Sono dunque importanti in quanto sappiano essere
strumentali rispetto all’imparare durevolmente ad apprendere, alla maturazione dell’identità
personale, all’educazione a diventare liberi cittadini e cittadine di una Nazione antica e rinnovata
quale è l’Italia della Repubblica, il nostro Paese (…) L’obiettivo è quello di favorire un reale successo
formativo che consenta a ciascuno –secondo le sue vocazioni e le sue possibilità effettive – di
conseguire non solo e non tanto un titolo di studio, quanto e soprattutto un’adeguata capacità di
padroneggiare i contenuti dell’apprendimento”6.
Vediamo ora come viene tratteggiata la scuola del curricolo:
“E’ evidente la differenza tra il programma e il curricolo: il programma indica un insieme di
contenuti definiti centralmente: a essi il docente doveva riferirsi per il suo insegnamento (…) Il
curricolo parte anch’esso dai contenuti, ma delinea l’articolato e complesso processo delle tappe e
delle scansioni dell’apprendimento. I contenuti stessi divengono così non tanto la guida
dell’insegnante, quanto la via per far conseguire alle allieve e agli allievi conoscenze solidamente
assimilate e durature nel tempo. E’ qui che la professionalità del docente trova tutto il suo spazio
poiché può esplicarsi nel nuovo quadro di libertà culturale e progettuale, di flessibilità organizzativa
e didattica garantito dall’autonomia (…) E’ l’azione didattica che risolve il curricolo in un processo di
insegnamento/apprendimento teso a una formazione non solo solidamente compiuta, ma anche
umanamente coinvolgente. In tal senso, esso è al centro della nuova scuola: ne interpreta le
finalità e le traduce nei contesti delle pratiche educative”7.
Ed infine, aspetto fondamentale della scuola del curricolo, vi è l’individuazione di saperi
essenziali:

4
L'introduzione dei modelli curricolari ha dato luogo ad equivoci ancora oggi non completamente chiariti, e
riguardano soprattutto la confusione tra curricolo e programmi. Riprendiamo le riflessioni di U. Margiotta (1998,
70) per fare “una distinzione precisa, tra ricerca sul curricolo, programma e programmazione”:
 la ricerca sul curricolo è analisi della formazione scolastica nella sua dimensione critica e progettuale (di
scelta cioè tra diverse teorie dell'istruzione, diverse teorie della cultura nonché di ponderazione delle teorie
di apprendimento di riferimento);
 il programma è la codifica dei contenuti di insegnamento e dei criteri cui si decide di collegare la loro
organizzazione;
 la programmazione è materia di pianificazione e di implementazione del curricolo, e perciò materia
inestricabilmente legata alle politiche dell'educazione e della scuola.
5
Tratto da Il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo è il “centro della nuova scuola”
- http://www.cidifi.it/passaggio_dalla_scuola_del_progr.htm#_ftn9
6
T. De Mauro, Indirizzi per l’attuazione del curricolo, in G. Cerini, I. Fiorin, I curricoli della scuola di
base. Testi e commenti, Napoli, Tecnodid, 2001, pp. 24-25.
7
Ibidem, p. 27.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

“Un curricolo essenziale (ed essenziale non significa certo minimale) si basa sulla convinzione
che quell’adeguamento (dei contenuti) si possa invece perseguire attraverso percorsi scolastici
caratterizzati non dallo studio estensivo di molti contenuti, ma da quello intensivo e criticamente
perseguito”8.

2.1.5 Progettare il curricolo


Secondo un’accezione, ormai ampiamente generalizzata, per la costruzione del
curricolo ci si avvale di una sequenza apparentemente semplice e lineare di elementi,
anche se diversamente definiti ed esplicitati, che ricorrono in ogni contesto di istruzione o
progetto educativo o programma di azione formativa. Sono:
 scopi o finalità generali: riguardano il senso e il valore complessivo attribuito al
curricolo;
 obiettivi intesi come compiti da eseguire o come abilità, performance, competenze o
padronanze da far acquisire agli allievi;
 contenuti di insegnamento e di formazione, intesi sia come materie di insegnamento
o discipline, sia come conoscenze-concetti (anche trasversali alle discipline)
comunque necessari al perseguimento degli obiettivi;
 metodi di insegnamento assunti, tecniche didattiche scelte, procedure
organizzative adottate o comunque adottabili;
 esperienze di apprendimento traguardate e programmate nella loro realizzazione
operativa, sia sotto il profilo dello sviluppo cognitivo che di quello culturale e
personale degli studenti;
 verifica delle esperienze di apprendimento e delle azioni educative intraprese e
realizzate, analisi degli ostacoli, degli insuccessi e dei risultati, loro ricollocazione
istituzionale e culturale;
 valutazione dell'impianto curricolare adottato e suo apprezzamento sia rispetto agli
scopi che agli obiettivi, ai mezzi, ai comportamenti realizzati, sia rispetto alla
evoluzione del contesto sociale, istituzionale e culturale di riferimento.

A seconda dell'accentuazione e della centralità assegnata ad uno o ad alcuni di tali


elementi, o per la diversa attribuzione di significati, oggi troviamo diverse definizioni e
interpretazioni riferite al concetto e alla pratica del curricolo:
– un curricolo per obiettivi di apprendimento: come vanno definiti gli obiettivi che
gli allievi devono raggiungere? Abilità, conoscenze, capacità, competenze,
padronanze …);
– un curricolo centrato sui contenuti (syllabus): tutti gli elementi sono funzionali
alla acquisizione delle conoscenze;
– un curricolo per mappe concettuali: la centratura è sui nodi concettuali di base
e sulle connessioni tra i diversi nodi;
– un curricolo per prodotti: il percorso deve arrivare a risultati osservabili e
verificabili;
– un curricolo per sfondi integratori o per situazioni: in questo tipo di curricolo è
fondamentale l’esperienza (passata, presente e futura) dello studente;
– un curricolo come ricerca: il percorso può essere interpretato come procedura di
problem solving (ricerca sperimentale) o come processo esplorativo (ricerca-
azione);
– un curricolo integrato: in esso si coordinano azioni formative scolastiche e azioni
formative esterne alla scuola.

8
Ibidem, p. 28.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Ogni tipologia di curricolo presuppone una specifica modalità di progettazione didattica


(v. lezione 2). Nel nostro corso approfondiremo particolarmente la progettazione per
competenze, anche in considerazione delle Nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo.

2.2 IL CURRICOLO NELLE INDICAZIONI NAZIONALI

Il docente in formazione, a seconda delle discipline afferenti la sua classe di concorso e


dell'ordine e grado di scuola in cui insegna (o potrà insegnare), farà riferimento 9:

- per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione: testo definitivo del Regolamento
recante le indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione …
Regolamento ministeriale del 16 novembre 2012
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola del’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (testo
allegato al Regolamento)

- per i licei: Regolamento recante indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di
apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti
per i percorsi liceali … (Decreto Interministeriale 211 del 7 ottobre 2010).
- Le Indicazioni sono presentate o nel documento completo, oppure in documenti divisi per
ciascun percorso liceale che comprendono la nota introduttiva, il profilo generale, il profilo
specifico del percorso, il quadro orario e le Indicazioni di ciascuna disciplina.
- Scarica il documento completo delle Indicazioni nazionali (LICEI)

- per l’istruzione tecnica:


- Linee guida per il biennio istituti tecnici a norma dell’articolo 8, comma 3, d.P.R. 15
marzo 2010, n. 88. (Direttiva del 15/07/2010). Per le linee guida vai a questo link
- Linee guida per il secondo biennio e quinto anno degli istituti tecnici, contenute
nella direttiva numero 4 del 16 gennaio 2012.
linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento. Secondo biennio quinto anno

- per l’istruzione professionale:


- Linee guida per il biennio istituti professionali a norma dell’articolo 8, comma 3, d.P.R.
15 marzo 2010, n. 88. (Direttiva del 15/07/2010).
- Linee guida per il biennio il quinto anno degli istituti tecnici contenute nella direttiva numero
5 del 16 gennaio 2012.
- Documento tecnico linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento. Secondo biennio -
quinto anno

Il testo che segue riporta le linee generali delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2012). È opportuno lo studio anche da parte dei docenti
della secondaria di II grado (costoro potranno poi comparare con le premesse generali delle scuole
superiori).
Ogni corsista è tenuto a estrapolare dalle Indicazioni o dalle Linee-guida, le competenze, i
traguardi e gli obiettivi relativi alla proprie discipline. Essi fungeranno da base per la progettazione,
l’azione didattica e la valutazione.

Dalle Indicazioni al curricolo


Nel rispetto e nella valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le Indicazioni costituiscono il
quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole. Sono un testo aperto, che la
comunità professionale è chiamata ad assumere e a contestualizzare, elaborando specifiche scelte relative a
contenuti, metodi, organizzazione e valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento
nazionale.

9
ATTENZIONE: è indispensabile che un docente possegga le “sue” Indicazioni o linee-guida. Se
necessario può scaricarle dal sito ministeriale o altro. PRESTARE ATTENZIONE PRIMA DI STAMPARE: in
certi casi sono tantissime pagine.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Il curricolo di istituto è espressione della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo


stesso, esplicita le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto. La costruzione del curricolo è il
processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione educativa.
Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo
dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli
obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina.
A partire dal curricolo di istituto, i docenti individuano le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte
didattiche più significative, le strategie più idonee, con attenzione all’integrazione fra le discipline e alla loro
possibile aggregazione in aree, così come indicato dal Regolamento dell’autonomia scolastica, che affida
questo compito alle istituzioni scolastiche.

Aree disciplinari e discipline


Fin dalla scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado l’attività
didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno e non ad una sequenza lineare, e
necessariamente incompleta, di contenuti disciplinari. I docenti, in stretta collaborazione, promuovono attività
significative nelle quali gli strumenti e i metodi caratteristici delle discipline si confrontano e si intrecciano tra
loro, evitando trattazioni di argomenti distanti dall’esperienza e frammentati in nozioni da memorizzare.
Le discipline, così come noi le conosciamo, sono state storicamente separate l’una dall’altra da confini
convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. Ogni
persona, a scuola come nella vita, impara infatti attingendo liberamente dalla sua esperienza, dalle conoscenze
o dalle discipline, elaborandole con un’attività continua e autonoma.
Oggi, inoltre, le stesse fondamenta delle discipline sono caratterizzate da un’intrinseca complessità e da
vaste aree di connessione che rendono improponibili rigide separazioni.
Nelle Indicazioni le discipline non sono aggregate in aree precostituite per non favorire un’affinità più
intensa tra alcune rispetto ad altre, volendo rafforzare così trasversalità e interconnessioni più ampie e
assicurare l’unitarietà del loro insegnamento. Sul piano organizzativo e didattico la definizione di aree o di assi
funzionali all’ottimale utilizzazione delle risorse è comunque rimessa all’autonoma valutazione di ogni scuola.
Un ruolo strategico essenziale svolge l’acquisizione di efficaci competenze comunicative nella lingua italiana
che non è responsabilità del solo insegnante di italiano ma è compito condiviso da tutti gli insegnanti, ciascuno
per la propria area o disciplina, al fine di curare in ogni campo una precisa espressione scritta ed orale.

Continuità ed unitarietà del curricolo


L’itinerario scolastico dai tre ai quattordici anni, pur abbracciando tre tipologie di scuola caratterizzate
ciascuna da una specifica identità educativa e professionale, è progressivo e continuo. La presenza, sempre più
diffusa, degli istituti comprensivi consente la progettazione di un unico curricolo verticale e facilita il raccordo
con il secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.
Negli anni dell’infanzia la scuola accoglie, promuove e arricchisce l’esperienza vissuta dei bambini in una
prospettiva evolutiva, le attività educative offrono occasioni di crescita all’interno di un contesto educativo
orientato al benessere, alle domande di senso e al graduale sviluppo di competenze riferibili alle diverse età,
dai tre ai sei anni.
Nella scuola del primo ciclo la progettazione didattica, mentre continua a valorizzare le esperienze con
approcci educativi attivi, è finalizzata a guidare i ragazzi lungo percorsi di conoscenza progressivamente
orientati alle discipline e alla ricerca delle connessioni tra i diversi saperi.

Traguardi per lo sviluppo delle competenze


Al termine della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, vengono
fissati i traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi ai campi di esperienza ed alle discipline.
Essi rappresentano dei riferimenti ineludibili per gli insegnanti, indicano piste culturali e didattiche da
percorrere e aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’allievo.
Nella scuola del primo ciclo i traguardi costituiscono criteri per la valutazione delle competenze attese e,
nella loro scansione temporale, sono prescrittivi, impegnando così le istituzione scolastiche affinché ogni
alunno possa conseguirli, a garanzia dell’unità del sistema nazionale e della qualità del servizio. Le scuole hanno
la libertà e la responsabilità di organizzarsi e di scegliere l’itinerario più opportuno per consentire agli studenti il
miglior conseguimento dei risultati.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Obiettivi di apprendimento
Gli obiettivi di apprendimento individuano campi del sapere, conoscenze e abilità ritenuti indispensabili al
fine di raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Essi sono utilizzati dalle scuole e dai docenti
nella loro attività di progettazione didattica, con attenzione alle condizioni di contesto, didattiche e
organizzative mirando ad un insegnamento ricco ed efficace.
Gli obiettivi sono organizzati in nuclei tematici e definiti in relazione a periodi didattici lunghi: l’intero
triennio della scuola dell’infanzia, l’intero quinquennio della scuola primaria, l’intero triennio della scuola
secondaria di primo grado. Per garantire una più efficace progressione degli apprendimenti nella scuola
primaria gli obiettivi di italiano, lingua inglese e seconda lingua comunitaria, storia, geografia, matematica e
scienze sono indicati anche al termine della terza classe.

Valutazione
Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la
scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Le verifiche intermedie e le
valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi e i traguardi previsti dalle Indicazioni e
declinati nel curricolo.
La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola
quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione
formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.
Occorre assicurare agli studenti e alle famiglie un’informazione tempestiva e trasparente sui criteri e sui
risultati delle valutazioni effettuate nei diversi momenti del percorso scolastico, promuovendone con costanza
la partecipazione e la corresponsabilità educativa, nella distinzione di ruoli e funzioni.
Alle singole istituzioni scolastiche spetta, inoltre, la responsabilità dell’autovalutazione, che ha la funzione di
introdurre modalità riflessive sull’intera organizzazione dell’offerta educativa e didattica della scuola, per
svilupparne l’efficacia, anche attraverso dati di rendicontazione sociale o emergenti da valutazioni esterne.
Il sistema nazionale di valutazione ha il compito di rilevare la qualità dell’intero sistema scolastico, fornendo
alle scuole, alle famiglie e alla comunità sociale, al Parlamento e al Governo elementi di informazione essenziali
circa la salute e le criticità del nostro sistema di istruzione. L’Istituto nazionale di valutazione rileva e misura gli
apprendimenti con riferimento ai traguardi e agli obiettivi previsti dalle Indicazioni, promuovendo, altresì, una
cultura della valutazione che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all’esclusivo superamento
delle prove.
La promozione, insieme, di autovalutazione e valutazione costituisce la condizione decisiva per il
miglioramento delle scuole e del sistema di istruzione poiché unisce il rigore delle procedure di verifica con la
riflessione dei docenti coinvolti nella stessa classe, nella stessa area disciplinare, nella stessa scuola o operanti
in rete con docenti di altre scuole. Nell’aderire a tale prospettiva, le scuole, al contempo, esercitano la loro
autonomia partecipando alla riflessione e alla ricerca nazionale sui contenuti delle Indicazioni entro un
processo condiviso che potrà continuare nel tempo, secondo le modalità previste al momento della loro
emanazione, nella prospettiva del confronto anche con le scuole e i sistemi di istruzione europei.

Certificazione delle competenze


La scuola finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al
termine del primo ciclo, fondamentali per la crescita personale e per la partecipazione sociale, e che saranno
oggetto di certificazione.
Sulla base dei traguardi fissati a livello nazionale, spetta all’autonomia didattica delle comunità professionali
progettare percorsi per la promozione, la rilevazione e la valutazione delle competenze. Particolare attenzione
sarà posta a come ciascuno studente mobilita e orchestra le proprie risorse – conoscenze, abilità,
atteggiamenti, emozioni – per affrontare efficacemente le situazioni che la realtà quotidianamente propone, in
relazione alle proprie potenzialità e attitudini.
Solo a seguito di una regolare osservazione, documentazione e valutazione delle competenze è possibile la
loro certificazione, al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, attraverso i
modelli che verranno adottati a livello nazionale. Le certificazioni nel primo ciclo descrivono e attestano la
padronanza delle competenze progressivamente acquisite, sostenendo e orientando gli studenti verso la scuola
del secondo ciclo.

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Una scuola di tutti e di ciascuno


La scuola italiana sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone
e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza della diversità un valore irrinunciabile. La scuola
consolida le pratiche inclusive nei confronti di bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana promuovendone la
piena integrazione. Favorisce inoltre, con specifiche strategie e percorsi personalizzati, la prevenzione e il
recupero della dispersione scolastica e del fallimento formativo precoce; a tal fine attiva risorse e iniziative
mirate anche in collaborazione con gli enti locali e le altre agenzie educative del territorio.
Particolare cura è riservata agli allievi con disabilità o con bisogni educativi speciali, attraverso adeguate
strategie organizzative e didattiche, da considerare nella normale progettazione dell’offerta formativa. Per
affrontare difficoltà non risolvibili dai soli insegnanti curricolari, la scuola si avvale dell’apporto di professionalità
specifiche come quelle dei docenti di sostegno e di altri operatori.
Tali scelte sono bene espresse in alcuni documenti di forte valore strategico per la scuola, quali ”La via
italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” del 2007, “Linee guida per
l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” del 2009, e “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni
e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento” del 2011, che sintetizzano i criteri che devono ispirare il
lavoro quotidiano degli insegnanti.

2.3 IL CURRICOLO PER COMPETENZE

“A scuola si viene per imparare!” Ma imparare che cosa? Cultura? Informazioni?


Conoscenze? Educazione? Abilità? Procedure? Metodi? Tecniche? Competenze? Si insegna
di tutto, senza dubbio, ma oggi la scuola dell’autonomia, in linea con raccomandazioni
europee, identifica nelle competenze il focus di ogni curricolo formativo.
Che cosa sono, e come si definiscono, le competenze? La domanda potrebbe sembrare
banale, ma in realtà il concetto di competenza ha dato luogo ad un dibattito molto
acceso, anche perché il termine non si presenta neutrale, non è estraneo alle divergenze
tra le diverse teorie del curricolo.
La questione delle competenze nell’educazione e nell’istruzione non è soltanto
metodologica, ma primariamente culturale. Certamente non bastano normative
istituzionali o Indicazioni ministeriali per costruire una nuova cultura (tant’è che è ancora
estranea ad alcuni insegnanti); ciononostante la normativa è un impegno, un invito a
ripensare la professionalità docente, ma soprattutto a costruire percorsi integrati, che
portino la vita dell’allievo nella scuola e l’apprendimento scolastico nel suo vivere
quotidiano.
Il dibattito internazionale sulle competenze inizia alla fine degli anni ’40 del secolo
scorso; in Italia l'assunto delle competenze come finalità del sistema scolastico e
formativo risale agli anni ’80. Nel 1992, vent’anni fa, il documento di valutazione degli
apprendimenti nella scuola primaria già conteneva espressioni come "L'allievo ha
raggiunto la piena competenza". Nel 1997 la Commissione dei Saggi, parlò di
"conoscenze e competenze irrinunciabili per tutti coloro che escono dalla formazione
scolastica". Il Regolamento sull’autonomia scolastica, nel 1999, richiamò la necessità di
determinare “gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni”.
Da allora tutte le indicazioni nazionali, le linee guida e le raccomandazioni europee hanno
focalizzato nelle competenze l'obiettivo fondamentale della formazione e
dell'apprendimento.
Il concetto di competenza non è quindi l'ultima novità capitata tra capo e collo che
rivoluziona la tranquilla quotidianità didattica, e non è neppure una rinfrescata linguistica
per proporre come nuovo qualcosa che nella scuola si fa da sempre. Eppure è un
concetto controverso e confuso, che può destabilizzare la propria autostima

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

professionale. “Se per molti anni ho lavorato bene, e i risultati si sono visti, perché devo
cambiare, perché devo modificare il mio modo di insegnare?”
Il problema della resistenza al cambiamento è avvertito in tutte le professioni; per lo
più è dovuto alle innovazioni tecnologiche e ai nuovi assetti organizzativi che le
innovazioni comportano. Ma nella scuola non è proprio così; nella scuola la vera
innovazione non è data dai media ma dagli studenti che vivono, anche mediante i
media, nuovi e diversi processi di apprendimento, nuove e diverse relazioni
interpersonali, direzioni di senso. L'insofferenza al cambiamento, che è un indicatore
dell'invecchiamento professionale precoce, nella scuola denota l'incapacità di sviluppare
didattiche nuove per i nuovi allievi.
Una didattica nuova non significa cancellazione, annullamento e sostituzione della
precedente. La didattica per competenze si associa e incrementa il valore educativo delle
validissime metodologie attive che qualificano molta parte delle nostre scuole dell'infanzia
e della primaria: le tecniche laboratoriali e di ricerca-azione, le strategie riflessive e
metacognitive, le modalità ludiche e operative di coinvolgimento dei bambini, in questa
luce, non sono semplici tecniche d'istruzione, ma riconfigurano il vero senso educativo
del fare scuola.
Il soggetto che apprende per competenze impara coniugando conoscenze ed
esperienze, integrando il pensiero con l’azione, mobilitando le competenze che
già ha sviluppato, ingegnandosi a costruire il proprio sapere, ma soprattutto
impara a scegliere e a decidere, facendosi carico delle decisioni e delle
conseguenze che ne derivano. Qui sta la vera novità delle competenze: nei paradigmi
di autonomia e responsabilità, specificati anche nella Raccomandazione del Consiglio
d'Europa (2006).

Responsabilità e autonomia
Senz'altro qualcuno inorridirà: un ragazzo che sceglie e decide in modo autonomo e
responsabile?! Ovviamente non sto parlando di autonomia compiuta o di responsabilità
giuridica; sostengo invece che a) ogni attività umana, fin dalla nascita, è frutto di
selezioni, scelte e decisioni personali autonome, anche quando guidate o indirizzate da
altri, b) la responsabilità è appannaggio di colui che decide, c) l'autonomia e la
responsabilità si sviluppano esercitando l'autonomia e la responsabilità.
Fin da piccolo il soggetto sceglie e decide, costruendosi e regolandosi (autòs-nòmos)
nelle interazioni e nelle relazioni con gli altri. Il percorso di costruzione dell'autonomia si
sviluppa con il dialogo e dal confronto e non con l'imposizione. Se l'adulto, sia esso la
mamma, il papà o l'insegnante, decide al posto del soggetto, il soggetto non si sentirà
responsabile di quelle decisioni, non si prenderà cura e non si farà carico di qualcosa
voluto da altri. È compito dell'educatore creare il setting, le condizioni e il
contesto tali da permettere al soggetto la decisione personale.
La competenza si apprende in modo naturale, per errori e per approssimazioni.
Pensiamo alla formazione del linguaggio, a quelle che nella scuola chiamiamo
competenze comunicative e linguistiche: il soggetto impara a parlare parlando, non
impara prima le parole e le regole grammaticali e poi le mette in pratica. Impara a
parlare sbagliando: solo correggendosi sul piano linguistico affina lo scopo comunicativo
della parola; l’errore è un potente motore riflessivo. Impara giocando con le parole: la
valenza affettiva ed emotiva delle parole concorre in forma preponderante al loro valore
semantico, che si consolida in un apprendimento duraturo (basti pensare alle

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

filastrocche, alle poesie, alle liriche, al canto, ma anche ai fumetti come commistione di
testo continuo –parole– e testo non continuo –immagini).
In sintesi, la competenza è l’agire riflessivo che si fonda sui saperi e sulle conoscenze
che il soggetto non solo ha imparato, ma di cui ne ha fatto esperienza reale, concreta,
vissuta.

2.3.1 Per un’interpretazione condivisa di competenze


Un dibattito molto acceso ha accompagnato l’ingresso delle competenze nella scuola,
anche perché il termine non si presenta neutrale, non è estraneo alle divergenze tra le
diverse teorie del curricolo, sia tra quelle scientifiche dei ricercatori che tra quelle
implicite dei formatori (Margiotta, 2009; Costa, 2011).
Boscolo (1998) introduce il concetto di utilità: la competenza è data dall’insieme delle
conoscenze, abilità e atteggiamenti che consentono a un individuo di ottenere risultati
utili al proprio adattamento negli ambienti per lui significativi.
Più volte Pellerey (1989, 2001, 2010) ha ribadito le tre dimensioni fondamentali della
competenza: la prima di natura cognitiva riguarda la comprensione e l’organizzazione dei
concetti che sono direttamente coinvolti; la seconda di natura operativa concerne le
abilità che la caratterizzano; la terza di natura affettiva coinvolge convinzioni,
atteggiamenti, motivazioni ed emozioni, che permettono di darle senso e valore
personale.
Bara (1999) sottolinea il carattere metacognitivo e riflessivo della competenza,
differenziandola dalla prestazione, dal comportamento utilizzato in situazione; un
soggetto è competente solo se consapevole di esserlo, solo riflettendo sulle proprie
prestazioni mentre le sta agendo.
Le Boterf (1990) afferma che la competenza non è uno stato ma un processo, che non
risiede nelle risorse ma nella mobilitazione delle risorse della persona, ovvero nel sapere
teorico e procedurale, nel saper fare esperienziale e sociale. Si presenta come un saper
agire (e reagire) in risposta ad una determinata situazione-problema, in uno specifico
contesto, allo scopo di conseguire una prestazione sulla quale altri soggetti dovranno
esprimere un giudizio. Lo studioso mette l’accento sulla competenza come processo che
porta il soggetto ad assegnare un senso, a interpretare le situazioni da affrontare, a
prendere decisioni pertinenti, a progettare e portare a termine efficacemente azioni
rispondenti alla situazione. Successivamente, Le Bortef (2006) introdurrà la dimensione
intersoggettiva della competenza collettiva, una rete di competenze che si costruisce
nella cooperazione tra persone che sanno interagire, e che dà luogo a costruzioni e
apprendimenti condivisi delle rappresentazioni, riflessioni comuni sull’esperienza e sui
risultati dei progetti. La competenza si forma mediante processi di apprendimento
collaborativi e cooperativi.
Batini (2012) interpreta la competenza come capacità di assumere decisioni e di
saper agire e reagire in modo pertinente e valido in situazioni contestualizzate e
specifiche, prevedibili o meno. Secondo tale interpretazione, la competenza è osservabile
soltanto in situazione, si manifesta mediante i comportamenti nelle attività concrete, e
pertanto solo in situazione e nelle azioni la competenza può essere verificata e valutata.
Nel 2006 il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa, emanando l’EQF (European
Qualifications Framework - Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli), hanno deciso
che tutti i Paesi dell'Unione, benché con modalità e strategie diverse, assumessero le
competenze come punto di riferimento per valutare e certificare i profili di professionalità

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

e per organizzare i curricoli dei sistemi scolastici e formativi nella società della
conoscenza. Pur riconoscendo la mancata esaustività concettuale di una definizione
negoziata, in quanto politicamente costruita dalle istituzioni europee, assumiamo
l’esplicitazione dell’EQF, come valida base condivisa di partenza: le “competenze”
indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità
personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello
sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di
responsabilità e autonomia.

2.3.2 I riferimenti concettuali dell'apprendimento per competenze


L'apprendimento per competenze fa riferimento a due diverse concezioni di sviluppo e
di mobilitazione della competenza: la prima (o del primato della conoscenza) si rifà alla
tradizione umanistica in cui l'apprendimento teorico è propedeutico a quello pratico, dove
prima si impara e poi si applica, con la conoscenza che mobilita la competenza; la
seconda concezione (o del primato dell'esperienza), a partire dalle elaborazioni di Dewey
(1938), si rifà alla tradizione politecnica in cui l'attività produce conoscenza e mobilita la
competenza. È curioso constatare che negli USA impiegano il motto latino discere
faciendo, mentre da noi si utilizza l’inglese learning by doing.
Wiggins, un autorevole esponente del secondo paradigma, sostiene che quando si
intende valutare la competenza raggiunta si deve accertare non solo ciò che il soggetto
sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa. L’espressione di Wiggins (1993), talvolta
estremizzata nella negazione del valore pragmatico della conoscenza, nell'opposizione
concettuale tra conoscenze e competenze, ha alimentato l'anacronistica dicotomia tra
teoria e pratica ed è subito apparsa dirompente in una scuola ancora per molta parte
fondata sul sapere teorico, provocando reazioni opposte: molto apprezzata dai formatori
in ambito professionale e dagli insegnanti del settore tecnico, molto avversata dai docenti
di discipline linguistiche, storiche, matematiche. Si stava faticosamente ricomponendo
l’antica frattura che contrapponeva la cultura umanistica alla cultura scientifica, ed ecco
che ora si assiste ad una nuova cesura tra i sostenitori dell’azione e quelli del pensiero.
La centralità della competenza nell'apprendimento è data dal fatto che essa è
un nucleo inseparato di pensiero e di azione, che si sviluppa in situazione
mediante processi proattivi e retroattivi ininterrotti: mentre si fa qualcosa si pensa
se si sta andando nella direzione giusta, si riflette se era proprio questo quello che ci
eravamo prefissati e, se necessario, si ri-orienta l'azione. È improprio perciò parlare di
primato della conoscenza sull’azione o viceversa.
Per questo motivo, propongo una espressione più allargata di quella di Wiggins per
definire il terzo schema concettuale (o dell'integrazione pensiero-azione): per
apprendere e per valutare le competenze, si tratta di riconoscere e valorizzare
insieme al soggetto, non solo ciò che sa (conoscenze) e ciò che sa fare con ciò
che sa (abilità), ma soprattutto perché lo fa (scopo, motivazioni) e che cosa
potrebbe fare (strategie, scenari) con ciò che sa e che sa fare.
Questa definizione intende rimarcare la contestualità in situazione del riflettere e
dell'agire; l'integrazione pensiero-azione è un imperativo concreto, richiesto dalla
pluralità dei fattori che vi convergono e dall'intreccio dei processi attivati. Anche lo scopo
è integrato: non si tratta semplicemente di accertare o di verificare quello che un
soggetto sa o sa fare, è invece necessario perseguire uno scopo unitario in cui
apprendendo si valuta e valutando si apprende.

35
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Ma dove sta la vera competenza? Non risiede soltanto in ciò che un allievo sa, nelle
conoscenze che sa riprodurre, e neppure soltanto nelle cose che sa fare con ciò che sa,
nell’abilità di applicare il suo sapere. Per costruire la competenza è senz'altro necessario
che un soggetto dia significato al suo sapere, ma non è sufficiente. È imprescindibile
invece che ne possegga il senso, lo scopo, le motivazioni: la fatica del
cambiamento e il peso dell'imparare possono essere sostenuti soltanto se l'allievo
gestisce lo scopo dell'apprendere e ne condivide la direzione di senso. Non basta che
l'insegnante comunichi l'obiettivo di un percorso o di un'attività, non basta che lo
studente comprenda l'obiettivo definito dall'insegnante. È necessario che quell'obiettivo si
incarni nello studente, divenga il suo scopo da perseguire. Soltanto così, scegliendo e
decidendo, egli costruisce la sua autonomia, soltanto così se ne farà responsabilmente
carico.
Il senso della competenza comporta un diverso modo di interpretare
l'apprendimento: un apprendimento costruttivo e non semplicemente ricettivo,
un apprendimento pro-duttivo e non meramente ri-produttivo. È la dimensione
pro-attiva dell'apprendimento, quella che si avvale della capacità di prefigurare modelli e
scenari diversi e della determinazione nell'agire per raggiungerli, di affrontare i problemi
in modo creativo e alternativo, di trovare interdipendenze e connessioni tra le
conoscenze, e tra queste, le esperienze personali e le risorse che le situazioni mettono a
disposizione, di utilizzare simultaneamente il pensiero strategico e la gestione
progettuale, di coinvolgere e di motivare gli altri, di negoziare e cooperare con loro.
L'apprendimento per competenze è frutto dell'integrazione dinamica di una
molteplicità di componenti, dell'intreccio di processi cognitivi, metacognitivi e relazionali
in situazione. È, quindi, un apprendimento insieme situato, relazionale, esperienziale. Un
apprendimento che, trasformando se stesso nella spirale proattiva tra pensiero e azione,
promuove lo sviluppo integrato dell'allievo.
In conclusione: un soggetto diventa competente, non nasce competente, e diventa
competente in qualcosa, e in riferimento alle specifiche situazioni in cui è chiamato a
dimostrare in modo consapevole la sua competenza.
La competenza per esprimersi ha bisogno di un contesto concreto. Il contesto può
essere disciplinare, professionale o esistenziale: può essere il contenuto di un sapere,
può essere l'esperienza passata, può essere un ambiente di apprendimento, sia esso
reale o virtuale. La competenza esperta è ricca di contesti diversi, piuttosto che di
saperi.

Sui curricoli per competenze (di G. Campana):


Per approfondire in rete:
http://www.bdp.it/adi/CoopLearn/compcurr.htm

2.3.3 Dalla conoscenza alla padronanza: accordiamoci sulle parole!


Conoscenze, competenze, padronanze, capacità, abilità: poiché sono questi i traguardi
del curricolo è opportuno convenzionare un lessico, specialmente se si intende operare in
comune nella costruzione di un curricolo.
In origine troviamo i due elementi basilari: le conoscenze e le azioni.
Le conoscenze possono essere classificate in diversi modi. Una prima raccolta
distingue tra:
 fatti: sono dati e informazioni che l’allievo deve ricordare (ad esempio formule
matematiche, fisiche o chimiche; personaggi, luoghi e date);

36
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

 concetti: sono rappresentazioni mentali che organizzano le informazioni; un concetto


è un insieme di informazioni a cui viene dato un significato (ad esempio il concetto di
“casa” rinvia a un insieme di mattoni, travi, tegole, ecc.);
 principi: sono le regole che collegano i concetti l'un l'altro secondo norme o secondo
senso; un principio permane finché le relazioni tra i concetti hanno validità scientifica
(riutilizzando la metafora della “casa”, un esempio di “principio” può essere
l’“urbanistica”, la quale regola il raggruppamento delle diverse “case” in un dato
spazio);
 teorie: sono modelli astratti della realtà, schemi mentali che sovrintendono la
spiegazione e/o la comprensione del mondo (rimanendo in metafora, vi sono diverse
“scuole di pensiero” che studiano e interpretano i “principi dell’urbanistica”).

Un'altra distinzione (di impronta cognitivista) articola:


 le conoscenze dichiarative: ovvero il "sapere cosa"; sono le basi di dati e di
informazioni; in un gioco di carte, le conoscenze dichiarative riguardano la facoltà di
riconoscere i diversi semi, le diverse figure e, nello specifico gioco, i valori e le
gerarchie tra le carte;
 le conoscenze procedurali: sono il "sapere come", che supporta la comprensione
delle procedure; le conoscenze procedurali rappresentano le regole del gioco; sono
più difficili da apprendere rispetto a quelle dichiarative, ma permangono molto più a
lungo;
 le conoscenze immaginative: sono il "sapere verso dove" e indirizzano l'invenzione
di nuove regole o, nell'esempio delle carte, l'invenzione di nuove strategie di gioco.

Accanto alle conoscenze, il secondo elemento basilare è dato dalle azioni, ossia dalla
facoltà dell'individuo di agire sulla realtà e di trasformarla. Le diverse associazioni tra
conoscenze e azioni danno luogo ad alcuni concetti che non sono gerarchicamente
preordinati: sono le capacità, le abilità, le competenze e le padronanze.
La capacità è l'idoneità a fare qualcosa o a mettere in atto determinati
comportamenti. La capacità unisce in modo esclusivo la conoscenza con l'azione: una
persona è capace perché fa qualcosa, in caso contrario non è capace; non esiste una
scala di capacità e per interpretare i diversi livelli ci si avvale di un'altra categoria
interpretativa, quella della abilità.
L'abilità è l'idoneità a compiere qualcosa in modo soddisfacente rispetto ad uno
standard previsto. In genere le abilità sono correlate a prestazioni circoscritte in specifici
settori, e consistono nel saper svolgere determinati compiti con perizia e destrezza. Lo
studente abile svolge il compito in modo corretto, nel minor tempo possibile. L'analisi
dell'abilità manifestata dagli studenti conduce ad una ripartizione dei risultati per livelli in
scala.
Ed eccoci arrivati alla competenza. In essa capacità e abilità si sostanziano in una
molteplicità di contesti, e in questi deve rendersi operativa. Nella scuola i contesti sono
predisposti dagli insegnanti. Quando invece l’allievo affronta realtà non scolastiche,
ricombinando e “agendo” le competenze apprese in modo personale e originale, ci
troviamo dinanzi ad un vero e proprio sistema di padronanza.
La padronanza non è una competenza eccellente, ma é il modo in cui l’allievo
padroneggia mentalmente la realtà; in essa si ricombinano tutte le facoltà del
soggetto:cognitive e metacognitive, operativo-agentive e interattivo-relazionali. Con i

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

suoi sistemi di padronanza il soggetto mette alla prova "nella vita" le competenze che ha
acquisito "nella scuola". La scuola può iniziare costruendo curricoli per problemi, per
situazioni, per casi: così la competenza appresa troverebbe un senso compiuto.

2.3.4 Le otto competenze chiave europee


In ultima istanza, assumiamo le definizioni proposte nel Quadro europeo delle Qualifiche
e dei Titoli10:

“Conoscenze”: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso


l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative
a un settore di studio o di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o
pratiche.

“Abilità”, indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a


termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del
pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di
metodi, materiali, strumenti).

“Competenze” indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità


personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e
autonomia.

Le otto competenze chiave sono quelle «di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione
e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione»
(Raccomandazione UE 2006). Esse fungono da quadro di riferimento a tutte le Indicazioni
nazionali.

1. La comunicazione nella madrelingua è la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri,


sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale,
comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano
linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita
domestica e tempo libero.

2. La comunicazione nelle lingue straniere condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la
comunicazione nella madrelingua. La comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità quali
la mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di un individuo varia
inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta
ed espressione scritta) e tra le diverse lingue e a seconda del suo retroterra sociale e culturale, del suo
ambiente e delle sue esigenze ed interessi.

3. La competenza matematica è l’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere


una serie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza delle competenze
aritmetico-matematiche, l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre che su quelli
della conoscenza. La competenza matematica comporta, in misura variabile, la capacità e la
disponibilità a usare modelli matematici di pensiero (pensiero logico e spaziale) e di presentazione
(formule, modelli, schemi, grafici, rappresentazioni). La competenza in campo scientifico si riferisce
alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e delle metodologie possedute per
spiegare il mondo che ci circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni che

10
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2006.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

siano basate su fatti comprovati. La competenza in campo tecnologico è considerata l’applicazione di


tale conoscenza e metodologia per dare risposta ai desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani. La
competenza in campo scientifico e tecnologico comporta la comprensione dei cambiamenti determinati
dall’attività umana e la consapevolezza della responsabilità di ciascun cittadino.

4. La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie
della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa implica abilità di
base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC): l’uso del computer per reperire,
valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e
partecipare a reti collaborative tramite Internet.

5. Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio


apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello
individuale che in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di
apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di
sormontare gli ostacoli per apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta l’acquisizione,
l’elaborazione e l’assimilazione di nuove conoscenze e abilità come anche la ricerca e l’uso delle
opportunità di orientamento. Il fatto di imparare a imparare fa sì che i discenti prendano le mosse da
quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e applicare conoscenze e
abilità in tutta una serie di contesti: a casa, sul lavoro, nell’istruzione e nella formazione. La
motivazione e la fiducia sono elementi essenziali perché una persona possa acquisire tale competenza.

6. Le competenze sociali e civiche includono competenze personali, interpersonali e interculturali e


riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace
e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate,
come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli
strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture
sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.

7. Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in


azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di
pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non
solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad
avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un
punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o
contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la consapevolezza dei
valori etici e promuovere il buon governo.

8. Consapevolezza ed espressione culturale riguarda l’importanza dell’espressione creativa di idee,


esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello
spettacolo, la letteratura e le arti visive.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

2.3.5 Strategie didattiche per le competenze trasversali


Le otto competenze chiave europee sono insieme:
- esistenziali, in quanto orientate alla dignità umana e al vivere civile, da
promuovere in tutte le situazioni formative,
- trasversali, poiché raccordano conoscenze, tecniche operative e/o metodi di
indagine comuni e diversi, tra più discipline,
- disciplinari, in particolare le prime quattro, poiché operano in contesti di ricerca
e di azione storicamente organizzati in specifiche discipline di studio.
In questa sede (di didattica generale per la secondaria) l’attenzione è rivolta alle
competenze trasversali.
La trasversalità postula la combinazione di più strategie didattiche: la
multidisciplinarità, la pluridisciplinarità, l'interdisciplinarità e la transdisciplinarità. Tali
strategie, che in ultima analisi riguardano le modalità di lavoro in team degli insegnanti,
diversificano il senso della trasversalità delle competenze.
La multidisciplinarità comprende lo studio, l'analisi e l'interpretazione di un oggetto
scientifico e/o culturale effettuati da più punti di vista disciplinari. Ogni disciplina è
autonoma, indipendente ed utilizza strutture e procedure metodologiche proprie.
La pluridisciplinarità consiste nel concorso di più discipline alla realizzazione di un
compito o allo sviluppo di un progetto: gli aspetti del reale sono approfonditi da più punti
di vista. Con questa impostazione le discipline non mettono in comune solo alcuni
contenuti ma anche strumenti, tecniche operative e tecniche per la soluzione dei
problemi. Ogni disciplina custodisce, nell'esecuzione del compito comune, la propria
specificità metodologica ed epistemologica.
L' interdisciplinarità consiste nell'interazione di due o più discipline per la soluzione
di un problema. In essa avviene l'integrazione dell'assetto sintattico delle diverse
discipline che condividono strumentazioni, metodologie di ricerca e modi d'indagare. Le
discipline non condividono ancora l'assetto concettuale.
La transdisciplinarità è un processo di integrazione superiore attraverso il quale si
coniugano i principi che sono alla base della struttura epistemologica di due o più
discipline. In tal modo vengono a crearsi i presupposti della possibile costruzione di una
nuova disciplina o di un nuovo settore di studi con uno specifico sistema metodologico e
operativo che scaturisce da una reciproca assimilazione e contaminazione.
Prendiamo ad esempio la competenza trasversale l’allievo sa effettuare sintesi usando
codici differenziati (riassunti, formule, schemi, ecc.). Questa competenza (proviamo ad
immaginarla in un progetto d’ambiente) può essere sviluppata secondo didattiche:
 multidisciplinari: tutte le materie che affrontano l’argomento “ambiente” sviluppano
curricoli differenziati e autonomi (per tutte le competenze e quindi anche per la
sintesi);
 pluridisciplinari: alcune discipline organizzano un progetto comune d’ambiente
condividendo specifici oggetti e tecniche di analisi; per ciò che riguarda la sintesi ogni
disciplina segue le proprie modalità (riassunti in Lettere, formule in Matematica,
schemi e classificazioni in Scienze, modelli in scala in Tecnologia, ecc.);
 interdisciplinari: nel progetto le discipline imparano a condividere e a scambiare le
diverse modalità di produrre sintesi;
 transdisciplinari: nel progetto d’ambiente ci si inventa un nuovo modo di fare
sintesi (es: mettendo in risalto il concetto marginale, l’elemento superfluo, ecc.).

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Corso di

DIDATTICA
Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it

Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2016

3 LA PROGETTAZIONE DIDATTICA

3.1 INSEGNARE: DALL’INTENZIONE AL PROGETTO

Uno studente può capitare con bravi insegnanti, o con meno bravi, in scuole
innovative o tradizionali, sia nei metodi che nei contenuti: che cosa garantisce agli
studenti una comune e qualificata base formativa? Come si possono ridurre le
“sperequazioni d’apprendimento” indipendentemente da dove e con chi capita lo
studente, e come si possono promuovere le potenzialità culturali e professionali di
ciascuno?
Gli insegnanti spesso non seguono l’intero percorso formativo di una classe;
precariato, trasferimenti, assenze interrompono il rapporto didattico: che cosa
garantisce la continuità formativa del curricolo?
E ancora: la scuola è ora meno che mai l’unica agenzia formativa; la formazione è un
processo che accompagna l’individuo per tutta la durata della sua esistenza e non
soltanto per gli anni di quella che viene comunemente definita l’età evolutiva.
L’affermazione può sembrare scontata: in realtà è il punto chiave di tutto il discorso
formativo. L’individuo apprende continuamente, prima di iniziare la scuola,

42
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

durante e dopo. Quale è allora la peculiarità dell’apprendimento scolastico? La risposta


sta nel fatto che tale apprendimento è organizzato, voluto e perseguito, che non è
improvvisato o casuale.
La complessità dei compiti affidati al docente si presenta già dalle finalità educative
generali: garantire a tutti e a ciascuno il massimo dell’apprendimento
sviluppandone le potenzialità e nel rispetto delle caratteristiche personali. Data
l’enorme varietà tra gli studenti com’e possibile determinare percorsi formativi validi per
tutti?
Nella scuola non esistono costanti ma soltanto variabili spesso molto difficili da tenere
sotto controllo: conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, relazioni, risorse, ecc. sono
elementi di un processo che si presenta sempre diverso ma che l’insegnante deve
condurre ad un “apprendimento” minimo garantito per tutti (conoscenze, abilità e
competenze di base) e contemporaneamente ottimale per ogni allievo, differenziato
e personalizzato.
In questo quadro il docente riveste una molteplicità di ruoli, poiché è colui che
predispone, che governa e che valuta i processi formativi. È un professionista che
interviene in modo sistemico e sistematico mediante itinerari didattici specifici finalizzati
alla padronanza, da parte dell’allievo, di abilità di base (conoscenze, comportamenti,
atteggiamenti) e di competenze complesse (processi, metodi, percorsi).
Per insegnare non basta la buona volontà! L’insegnamento non può essere
lasciato all’intuizione, al caso e neppure alla buona volontà del singolo docente ma deve
essere progettato in interventi formativi di cui si possa valutarne l’efficacia. Progettare
significa, quindi, reagire “al diffuso individualismo, all’ideologia di un compito-missione
che si risolve tutto nella coscienza del singolo docente, ... per far uscire il lavoratore della
scuola da una situazione che non esiteremmo a definire medioevale, per l’artigianalità e
l’individualismo dei compiti che gli sono richiesti”11.

3.1.1 Il linguaggio della progettazione


La progettazione degli interventi formativi si fonda sulla capacità di pensare
strategicamente per organizzare le attività, per correlarle e calibrarle, per scegliere e
produrre i materiali più opportuni, per valutarne l’impatto ed i risultati effettivamente
raggiunti. Ma questo non può essere svolto da soli: si progetta
lavorando/comunicando con i colleghi. Il lavoro in team con i colleghi presuppone il
dialogo tra gli operatori, ed il dialogo è vincolato dalla condivisione del linguaggio
professionale.
Qual è il linguaggio professionale del docente? Esso presenta due aspetti:
 per un verso, è specifico alla disciplina che insegna, e che lo qualifica come
esperto della materia, partecipe di una comunità di ricerca disciplinare,
 per l’altro, è proprio alla professione di insegnante, partecipe di una comunità
interdisciplinare di insegnamento nei confronti di una determinata classe.

Le parole della propria materia


Ogni area disciplinare sviluppa e utilizza una propria terminologia che deriva dalla
ricerca teorica e sperimentale specifica di ogni ambito scientifico. Quando parla della sua
materia il docente si identifica con l’esperto della disciplina ed è ovvio che esperti di
più discipline usino linguaggi diversi. È meno ovvio, invece, che un docente non riesca a
far partecipare i colleghi quando parla riferendosi ad un obiettivo comune, a far capire
loro quello che fa e perché lo fa. Nel linguaggio disciplinare sta il “potere” del docente,
ma tale linguaggio può anche trasformarsi in una nicchia che lo isola dagli altri. Le nicchie
linguistiche manifestano rigidità culturale e chiusura comunicativa.

11
In Maragliano - Vertecchi, 1984, p. 8.

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Un esempio. Consiglio di classe della I C, IPSC. Un docente di lettere si avventura in una dotta
trattazione sulle strutture sintattiche di Noam Avran Chomsky e sulla teoria dei codici
sociolinguistici di Basil Bernstein per dimostrare che i suoi allievi “presentano spiccate carenze
lessicali perché utilizzano un codice ristretto”. Riflettiamoci: Quanti tra i suoi colleghi presenti
saranno in grado di seguire il discorso? Non era forse più comunicativo, più formativo, più semplice
presentare un quadro esemplificativo sulla povertà linguistica degli studenti, interpellare in merito
gli altri docenti per riscontrare eventuali settori disciplinari linguisticamente meno carenti (perché
più motivanti) e successivamente tracciare un progetto di intervento comune (transdisciplinare)?
Se le competenze disciplinari sono specifiche (ciascuno è esperto nella propria
materia), le competenze metodologiche sono comuni e transdisciplinari. Se il linguaggio
disciplinare “divide” - distingue, quello pedagogico-didattico dovrebbe unire e
accomunare la professionalità degli insegnanti. Eppure è proprio su questo terreno che
si riscontrano le maggiori incomprensioni, nel pressappochismo e nell’ingenuità di alcuni,
nel dogmatismo e nello sperimentalismo di altri.

Le parole dell’insegnante: educare, istruire e formare


L’insegnante educa in modo esplicito e implicito, lo voglia o meno! Ma… poiché il fatto
educativo presenta complesse connotazioni legate ai valori della persona e alle finalità
sociali, al termine educazione si sono affiancati altri due più pragmatici, più legati al
quotidiano nella scuola e più governabili dai docenti: sono istruzione e formazione.
Istruire è un termine antico che proviene da “instruere”, originariamente “mettere
dentro”, mentre formare, più recente, significa “dare forma”, modellare. Istruzione e
formazione sono pertanto due processi complementari: il primo attento alla qualità e alla
quantità dei contenuti che il docente fornisce agli allievi, il secondo maggiormente
indirizzato al raggiungimento di una “forma”, di un profilo di competenze, di un sistema
di padronanze. L’istruzione riguarda il che cosa insegnare, la formazione
abbraccia il come insegnare ad apprendere dalle e nelle situazioni.
Parliamo di progettazione formativa perché formare significa insegnare e
apprendere in situazione facendo leva sulle motivazioni dell’allievo ed
immergendolo in situazioni, ambienti e contesti progettati appositamente per
lui.
Se vogliamo istruire uno studente sull’uso corretto della sintassi è sufficiente, benché
l’operazione sia tutt’altro che banale, fornirgli l’insieme delle regole sintattiche; ma se
vogliamo formarlo alla proprietà linguistica dobbiamo fargli “vivere” situazioni reali e
diversificate, iniziando da quelle più congeniali al suo stile per poi procedere a successivi
affinamenti, arricchimenti e simbolizzazioni.
O ancora, possiamo istruire un allievo sui concetti e sulle norme che riguardano l’IVA,
se lo interroghiamo possiamo constatare se ha imparato o meno; ma saranno le
situazioni reali o simulate di fatturazione che dimostreranno la capacità di applicare
correttamente quelle regole.
Riflettiamoci: è più motivante, per l’allievo, l’apprendimento dalle situazioni o lo studio
di concetti teorici? Imparare dalle situazioni può richiedere molto tempo, mentre lo studio
di concetti lo riduce enormemente. Come si può integrare e dosare l’apprendimento in
situazione con l’apprendimento di concetti?
In breve, educare, istruire e formare rappresentano tre dimensioni di un processo che
punta alla trasformazione, alla crescita, allo sviluppo dell’allievo: ciò che collega le tre
dimensioni è il cambiamento intenzionale, che intreccia la volontà dell’insegnante e
l’aspirazione dell’allievo.
C’è un ultimo termine che è opportuno riconsiderare in connessione con le tre parole-
chiave appena esaminate: didattica. La didattica è l’organizzazione
dell’insegnamento, ovvero delle tecniche e degli strumenti che il docente adotta
in classe per rendere più efficiente l’insegnamento e più efficace
l’apprendimento. La didattica riguarda, quindi, il modo di insegnare. In queste pagine
parliamo di processi formativi e di itinerari didattici, di progettazione formativa e di
progetti didattici. In che cosa si distinguono? Gli itinerari didattici sono i percorsi
metodologici, tecnici e strumentali che il docente dapprima progetta e successivamente

44
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

implementa in aula o in laboratorio. La progettazione formativa, invece, non riguarda


soltanto ciò che fa l’insegnante in classe, ma investe tutta l’organizzazione delle strategie
di intervento allo scopo di raggiungere il profilo formativo atteso. La didattica è
centrata sull’insegnante, la formazione è centrata sull’allievo: i due processi sono
distinti e complementari.

3.1.2 Fasi e processi della progettazione


E chi dice che un docente non progetta? Nessuno va in classe senza aver per lo meno
pensato a quello che voleva fare quel giorno! Ad ogni idea intenzionale corrisponde
un progetto di attuazione, prefigurandosi le azioni da compiere per raggiungere il
risultato voluto.
Il problema non è dove e quando un insegnante progetta, ma perché, come, con chi e
che cosa progetta.
Proviamo ad immaginare di dover produrre qualcosa di cui avvertiamo il bisogno. La
cosa può essere semplice o complessa: in ogni caso, dall’idea al risultato intercorrono
diverse fasi che, in sintesi, possono essere così illustrate:
1. individuare le caratteristiche generali esterne ed interne desiderate: quelle
esterne dove l’oggetto da produrre va a collocarsi (spaziali, sociali, economiche,
culturali, di status, ecc.) e quelle interne all’oggetto (tipologie qualitative e
quantitative);
2. determinare le risorse a disposizione (o accessibili) e verificarne l’idoneità al
raggiungimento del prodotto desiderato;
3. tracciare a grandi linee un modello ideale che tenga conto sia delle risorse
disponibili che delle aspirazioni e dei bisogni che l’oggetto deve soddisfare;
4. tradurre operativamente il modello ideale in un uno o più modelli eseguibili e, per
ciascuno di essi valutarne il grado di fattibilità rispetto alla situazione reale e di
coerenza rispetto al modello ideale;
5. scegliere il modello migliore o più opportuno;
6. tempificare le fasi di sviluppo e di controllo periodico dei risultati parziali;
7. adeguare le metodologie di attuazione al modello operativo prescelto;
8. procedere alla costruzione dell’oggetto adattando metodi e tempi, di sviluppo e di
controllo, alle contingenze operative;
9. verificare, a prodotto ultimato, il grado di corrispondenza tra il risultato e il
modello operativo;
10. valutare il grado di coesione tra il risultato ed il modello ideale;
11. se il risultato non è confacente, impostare strategie operative alternative per
adeguare il prodotto al modello operativo, e quest’ultimo al modello ideale.

Naturalmente un intervento formativo per apprendere una competenza non è un


semplice oggetto di consumo, ma un insieme organizzato di azioni che si innesta in un
sistema “sociale” di processi e tale sistema è complesso, mutevole e variegato. Ciò
nonostante il progettare, da un punto di vista metodologico, è un processo universale,
solo parzialmente vincolato dal suo oggetto, un modo di pensare e di affrontare la realtà
per trasformarla. È, in ultima analisi, una forma mentis per la ricerca in situazione,
ovvero una ricerca fondata:
- sull’individuazione – ricerca - posizionamento dei problemi,
- sulla formulazione di ipotesi e di modelli risolutori,
- sul controllo reale degli esiti dell’azione reale.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

La progettazione12 abbraccia e comprende un insieme di attività che va dall’analisi


della domanda formativa all’ideazione degli interventi che la possono soddisfare,
dall’analisi del contesto individuando le risorse ed i vincoli al disegno di un modello
operativo coerente con gli obiettivi prefissati, per giungere alla applicazione in classe
dell’intervento progettato ed, infine, alla sua valutazione.
La progettazione è la rappresentazione anticipata (prefigurata) dell’azione e, in quanto
tale, fa parte a pieno titolo dei processi della professionalità docente.

3.1.3 Programm/azione vs progett/azione


Iniziamo con alcune precisazioni terminologiche relativamente ai concetti di
programma e progetto, programmazione e progettazione.
Il programma è una raccolta di intenti che esprime la volontà di portare a termine
delle attività per ottenere uno specifico risultato: ecco quindi che la maggior parte dei
programmi si presenta come un elenco di obiettivi da raggiungere e/o contenuti da
sapere e/o azioni da svolgere. Il programma è universale e uniforme: viene stabilito dai
responsabili delle politiche formative ed è prescrittivo per tutti coloro che frequentano un
determinato indirizzo di studi. In Italia, quelli che prima del 2002 erano i Programmi
Ministeriali, sono stati trasformati in Indicazioni nazionali 13 (per la scuola dell’infanzia
e per il primo ciclo dell’istruzione): “il programma d’insegnamento cui eravamo abituati,
ovvero il passo dopo passo di ciò che era prescritto che si insegnasse (scanditi per anno o
per temi) non esiste più”.
La programmazione, a sua volta, riguarda le azioni volte a determinare gli standard
generali dell’istruzione, ad analizzare le realtà socio economiche e culturali entro cui si
collocheranno gli interventi scolastici, a commisurare la pertinenza tra gli standard
formativi generali e le caratteristiche specifiche dell’utenza a cui è diretto il programma di
formazione.
Sono molteplici i luoghi di responsabilità della programmazione e della progettazione;
essi sono concentrici, a progressivi livelli di decisione:
I. un livello unitario, su base europea, dove si fissano le finalità universali della scuola,
si stabiliscono i protocolli di comunicazione tra le diverse politiche e pratiche scolastiche
nazionali, si determinano gli standard che tutti gli stati dell’Unione si impegnano a
raggiungere;
II. un livello nazionale, dove ogni stato, attraverso indicazioni e linee guida, definisce
gli scopi, gli obiettivi e le competenze per ogni indirizzo di studi, presenta un’articolazione
di massima dei contenuti e le linee metodologiche e valutative comuni;
III. un livello locale, su base territoriale regionale o sub-regionale, dove si mediano le
indicazioni generali con le realtà sociali, culturali, economiche, ecc. del territorio di
riferimento; per questa programmazione sono fondamentali attente analisi delle
specifiche situazioni che caratterizzano realtà anche vicine, ma con bisogni formativi
profondamente diversi;
IV. un livello scolastico, del singolo istituto, dove la collegialità dei docenti adegua e
adatta le indicazioni generali e locali alle caratteristiche specifiche dell’utenza del proprio
istituto, riferendosi esplicitamente all’ambiente culturale e sociale da cui provengono gli
studenti. A questo livello, gli insegnanti sono chiamati alla progettazione/costruzione
del curricolo di Istituto. I livelli successivi, invece, riguarderanno la progettazione
didattica per Unità di apprendimento;
V. un livello di classe, dove tutti i docenti che insegnano in una classe (o ad uno specifico
gruppo di allievi) fissano le competenze comuni e intersecanti che impegnano l’intero
consiglio di classe o parte di esso;

12
Per approfondimento i principi generali di programmazione si rimanda ad Asimov (1986).
13
È fondamentale che ogni insegnante conosca le Indicazioni/Linee Guida relative al proprio ordine
scolastico. Si rinvia al capitolo sul curricolo.

46
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VI. un livello disciplinare del singolo docente, o un livello di ambito dei docenti che
afferiscono ad un’area disciplinare, che stabilisce le priorità nello sviluppo delle
competenze, le sequenze concettuali e gli standard di accettabilità relativamente agli
specifici apprendimenti degli studenti.
Programmi e programmazioni veleggiano spesso nella normatività astratta delle
intenzioni: devono necessariamente sostanziarsi ancorandosi al reale dei progetti e delle
progettazioni.
Il progetto didattico è il disegno di ricerca e di azione che, coerentemente con il
programma di riferimento, determina le strategie operative, le conoscenze e i saperi, i
metodi e le tecniche, i sistemi di valutazione e di verifica, a partire da situazioni
effettivamente analizzate e ottimizzando le risorse a disposizione. Un progetto deve
essere pertinente rispondendo ai bisogni reali dell’utenza, fattibile rispetto alle risorse e
praticabile in attività didattiche concrete.
La progettazione è, conseguentemente, l’insieme delle attività volte ad organizzare
in modo sistematico le risorse umane e materiali, intellettuali e tecnologiche, disponibili o
accessibili, finalizzate alla produzione di modelli operativi (o progetti esecutivi) di
interventi didattici.
In generale, ogni attività di progettazione implica:
1. analisi della situazione (globale e specifica);
2. la definizione degli esiti formativi e la calibratura degli obiettivi;
3. l’articolazione degli interventi (corsi, moduli, unità);
4. la distribuzione dei compiti e la ripartizione delle attività;
5. l’individuazione delle strategie di insegnamento, dei metodi e delle tecniche
didattiche;
6. la scelta dei media, delle modalità e delle tecnologie di comunicazione;
7. la definizione dei criteri di verifica, degli standard di valutazione e degli indicatori
di monitoraggio.

La progettazione degli interventi formativi si fonda sulla capacità di pensare


strategicamente, correlando i fattori complessi dell’apprendimento e dell’insegnamento,
nell’organizzazione degli ambienti e delle attività, nella scelta delle priorità, nella
produzione dei materiali, nella verifica dei risultati, nella valutazione dell’impatto
dell’offerta formativa e nell’analisi degli effetti a medio e lungo termine.
Nella scuola è necessario progettare i percorsi, gli interventi, l’offerta formativa perché
è l’unico modo per individuare e per condividere le sequenze più adatte agli obiettivi, agli
allievi, alle situazioni. Poiché l’organizzazione delle esperienze di apprendimento è
strettamente integrata con l’organizzazione didattica, esistono accostamenti progettuali
ormai largamente condivisi, ad esempio:
 per costruire conoscenze è meglio partire dall’esperienza per poi giungere alla
rappresentazione e alla formalizzazione;
 per trasmettere conoscenze può bastare anche la lezione, più o meno interattiva, con
l’uso o meno di attrezzature audiovisive o tecnologiche;
 per costruire abilità è funzionale la sequenza spiegazione – dimostrazione -
esercitazione;
 per sviluppare competenze sono preferibili procedure di problem solving collegate
all’esperienza degli allievi;
 per potenziare i sistemi di padronanza vanno moltiplicati i contesti d’uso delle
competenze.
La progettazione implica sempre il riferimento ad una meta, ad un fine. Progettare
nella formazione significa, innanzitutto, tradurre in azione formativa intenzionale la
volontà di porre in essere una visione del futuro dell’uomo. La progettazione non è
quindi riducibile ad una tecnica, benché faccia riferimento ad un complesso di tecniche
anche complesse. Essa costituisce il dispositivo attraverso cui si procede
all’implementazione di un progetto di società, di uomo, di educazione.

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3.2 PROGETTARE NELLA SCUOLA

Gli insegnanti sono chiamati alla costruzione del Curricolo d'Istituto (detto anche
Curricolo Verticale d'Istituto), come previsto dalle Indicazioni Nazionali:
Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con
riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo
sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina .

3.2.1 Progettare le Unità di Apprendimento (UdA)

A partire dal curricolo di istituto, i docenti individuano le esperienze di apprendimento più


efficaci, le scelte didattiche più significative, le strategie più idonee, con attenzione
all’integrazione fra le discipline e alla loro possibile aggregazione in aree ... (dalle Indicazioni
Nazionali)
Esistono molteplici forme di progettazione didattica (in Approfondimento 2.A si
prendono in considerazione alcune: per obiettivi, per contenuti, per concetti, per
situazioni, per processi e quella individualizzata per soggetti in difficoltà).
In questa sede affrontiamo una forma didattica in cui l'azione progettuale e l'azione
formativa si intrecciano nello sviluppo di un curricolo per soglie di padronanza, nella
progettazione di unità formative di apprendimento.

3.2.2 Progettare per competenze esperte, consapevoli e autonome


Dagli anni Ottanta, la scuola veneziana di pedagogia sta sviluppando ricerche attorno
all’idea di curricolo in una visione complessa e organica dei vari fattori educativi, per
promuovere il sistema della padronanze nella persona in apprendimento. Queste ricerche
hanno evidenziato una feconda contraddizione: il curricolo è piano perché garantisce la
qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, ma è anche continua novità perché è
imprevedibile nei suoi effetti formativi nella variabilità dei processi di personalizzazione
(Margiotta, 1998).
La contraddizione si compone quando il curricolo si sostanzia nell’allievo: gli esiti
formativi sono diversi da soggetto a soggetto, le differenze sono valorizzate in quanto
espressione del talento presente in ogni persona per le forme di intelligenza che
predilige, per gli stili di apprendimento che prevalentemente adotta, per il farsi specifico
e intrecciato di esperienze e di riflessioni che è andato costruendosi.
In questo senso il curricolo si caratterizza come piano di processi di apprendimento
che coinvolge l’allievo: non prevede un percorso uguale per tutti, ma percorsi flessibili,
integrati, modulari. Pur progettando per un profilo atteso, sa accogliere e promuovere
profili personali emergenti, attraverso un’opportuna organizzazione integrata degli
ambienti di apprendimento, dentro e fuori la scuola.
L’azione dell’insegnante, per mezzo di modelli di lavoro che coinvolgono l’allievo, si
configura come una didattica per padronanze particolarmente orientata allo sviluppo del
soggetto in apprendimento poiché lo considera nella sua completezza e, con esso,
persegue il raggiungimento di competenze esperte, consapevoli e autonome. Ci si
propone di “accompagnare l’insegnante in un profondo lavoro di riconversione
professionale e culturale, offrendogli chiavi di volta non tecnologiche ma culturali, non
formalistiche ma epistemologiche, non disciplinaristiche ma metodologiche” (U.
Margiotta, 1997, p. 39). Va subito precisato che il concetto di padronanza non si ispira al
mastery learning: a differenza di quest’ultimo che stigmatizza l’incapacità di porre
l’allievo in condizione di padroneggiare situazioni complesse di apprendimento, il sistema
dei modelli di lavoro assume la padronanza nella sua dimensione “sistematicamente
metacognitiva e ideativo-immaginativa”, come modelli mentali, ovvero “motori

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esperienziali che si sviluppano entro reti di conoscenze e di esperienze, e sviluppano essi


stessi reti di conoscenze e di esperienze” (ibidem, p. 42).
I modelli di lavoro sono modelli didattici, modelli esperti di insegnamento e si
presentano come qualcosa che insieme è un’epistemologia, una progettazione e una
metodologia14. In questa prospettiva pedagogico-didattica si considera esperto un
modello di lavoro scolastico che si dimostri:
 potente quanto alla qualità e alla quantità dei problemi (disciplinari, epistemologici,
psicopedagogici, metodologici, didattici) che affronta e risolve;
 competente quanto alle padronanze che promuove sia nell’insegnante che nell’allievo,
e si dimostri pertanto efficace in riferimento ai risultati dell’apprendimento e allo
sviluppo della qualità docente;
 economico quanto all’impegno che richiede, a confronto con modelli alternativi;
un’azione didattica tutoriale, ad esempio, nel rapporto costi / benefici, risulterà
ampiamente efficace ma scarsamente economica.
Il sistema dei modelli esperti muove da una concezione costruttivista, socio-genetica e
relazionale della conoscenza, che fa riferimento al pensiero di Popper (1970) e alle
rivisitazioni critiche della epistemologia popperiana effettuate da Kuhn (1969) e da
Lakatos (1976). L’ipotesi costruttivista rifiuta sia l’opzione innatista, secondo la quale
ogni conoscenza deriva dalle caratteristiche genetiche e biologiche individuali, sia
l’opzione empirista, che considera la conoscenza come un riflesso fedele della realtà
oggettiva. Il costruttivismo sostiene che il conoscere è un’attività euristica di progressiva
costruzione del soggetto, in virtù delle continue mediazioni cognitive che la sua mente
compie nell’incontro e nello scambio con una realtà esterna complessa e mutevole.
I fondamenti epistemologici della prospettiva costruttivista si coniugano con la
concezione socio-genetica e relazionale, che concepisce la conoscenza come un processo
che si instaura e si sviluppa soprattutto nell’interazione sociale, nella negoziazione con gli
altri, per la costruzione di un mondo condiviso di significati. In questo caso è evidente il
riferimento a Vygotskij (1980) ma anche agli studi di Gardner (1987 e succ.).
“L’insieme di queste concezioni ha portato la riflessione pedagogica a sostenere una
nuova teoria della cultura: una cultura che si esprime come costruzione di un insieme
personalizzato, consapevole, responsabile e flessibile di talenti che non siano riservati
all’esclusivo uso di una ristretta élite di specialisti o della comunità scientifica ma invece
fruibili, quanto ad equivalenza delle competenze, dalla totalità dei membri di una
comunità sociale per effetto dell’istruzione” (L. Valle, 1997, p. 83).
Il modello di insegnamento si presenta come una mappa metodologica dell’intervento
didattico: l’insegnante che segue la logica dei modelli di lavoro, non percorre un
diagramma di flusso con i passi predeterminati, condizionanti e obbligati, tipici delle
progettazioni sequenziali; si immerge invece negli spazi euristici di reti concettuali e
metodologiche entro cui ha la possibilità di costruire ed inventare molteplici percorsi
formativi verso la metà stabilita.
Insegnare con i modelli di lavoro significa utilizzare uno specifico metodo, insieme
progettuale e formativo, organizzato in fasi al suo interno, collegato in reti concettuali e
in sistemi di padronanze al suo esterno; è predisposto dall’insegnante (con l’impiego di
mezzi e strumenti, tecniche e strategie) e nel contempo valorizza l’expertise dell’allievo

14
Di per sé l’idea di modello presenta una valenza epistemologica e metodologica peculiare: si rifà ad
un modo di procedere nella conoscenza della realtà che è di tipo sintetico, astratto, strutturato,
relazionale e aperto. La mappa è un modello sintetico del territorio di riferimento giacché ne rappresenta
soltanto alcuni aspetti e non altri; è un modello astratto poiché utilizza segni e simboli convenzionali in
sostituzione degli oggetti reali; è un modello strutturale poiché rende evidenti gli elementi organici e
costitutivi del territorio analizzato; è un modello relazionale che collega i diversi elementi mediante
correlazioni e connessioni significative; è un modello aperto in grado di dischiudersi in estensione e di
affinarsi in profondità.

49
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come contesto di apprendimento per promuovere e perfezionare competenze e


padronanze15.
L’uso della metodologia dei modelli di lavoro affina l’attenzione dell’insegnante sui
processi che l’allievo attiva per apprendere. In altre parole è molto più attento ai processi
che ai risultati, nella piena convinzione che:
 i risultati dipendono dai processi di apprendimento e non viceversa;
 dai risultati non si possono inferire automaticamente i processi attivati dall’allievo;
 soltanto i processi giustificano e spiegano i risultati.
Un progetto di insegnamento/apprendimento, definito “compito esperto”, è
organizzato in fasi didattiche precise che accompagnano l’allievo lungo un percorso che
va dalla consapevolezza dei propri saperi naturali fino al riconoscimento autonomo dei
principi e delle teorie. Ogni fase è indirizzata allo sviluppo di specifici processi di
apprendimento16:

Fasi didattiche Processi di apprendimento


1. SAPERI NATURALI RICONOSCIMENTO METACOGNITIVO
2. MAPPING MEMORIZZAZIONE – RIORGANIZZAZIONE
3. APPLICAZIONE LEARNING BY DOING – LABORATORIO
4. TRANSFER DISCRIMINAZIONE PER ANALOGIE / DIFFERENZE
5. RICOSTRUZIONE MODELLIZZAZIONE – PENSIERO PROCEDURALE
6. GIUSTIFICAZIONE ARGOMENTAZIONE – PENSIERO LOGICO
7. GENERALIZZAZIONE RICONOSCIMENTO EPISTEMOLOGICO – COSTRUZIONE

La condivisione dei saperi naturali


I saperi naturali sono le esperienze di apprendimento vissute dall’allievo, precedenti
allo specifico intervento didattico. L’insegnante propone il compito-progetto (l’argomento
o il nodo concettuale), sotto forma di informazioni e di interrogativi tali da sollecitare gli
interventi degli allievi, cui viene chiesto di rievocare e di esporre le proprie idee in
merito; gli allievi devono essere liberi di esporre idee, ipotesi personali, concezioni
ingenue, spontanee, inesperte; l’insegnante insieme agli allievi favorirà i collegamenti e
le relazioni tra diverse posizioni, per costruire insieme la mappa cognitiva dei saperi
naturali del gruppo17. In questa attività tutti i processi cognitivi, emotivi, relazionali e
contestuali dell’allievo vengono sollecitati; la sua curiosità accesa, la sua autostima
valorizzata. Si apre una conversazione guidata dall’insegnante nella quale i saperi degli
allievi sono raccolti, trascritti su cartellone, confrontati e discussi, per arrivare ad una
condivisione sui concetti di base, rappresentati nella mappa dei saperi del gruppo. Non si
tratta di verificare i tradizionali prerequisiti considerati, in una concezione tecnocratica,
come condizione antecedente e necessaria al trattamento didattico degli obiettivi previsti.
Si tratta invece di riconoscere ciò che l’allievo sa e sa fare rispetto a quanto proposto,
non di verificare abilità generali, senza aspettarsi una risposta uguale da tutti gli allievi,
esplorando la zona di apprendimento prossimale e non quella attuale (Vygotsky, 1980),

15
Per approfondire la didattica con i modelli di lavoro si rimanda al testo di Margiotta U. (a cura di),
Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando Editore, Roma, 1997, e alle relative guide in
specifici ambiti disciplinari.
16
L’intero compito esperto punta all’acquisizione di soglie di padronanza. Pertanto, è importante non
confondere il rigore del modello didattico (quello che viene progettato dall’insegnante) con una rigida
gerarchia dei processi di pensiero e di apprendimento nell’allievo. Durante una determinata fase possono
attivarsi processi di apprendimento diversi, precedenti o successivi, a quelli specifici di pertinenza di
quella fase. Per esempio, durante la fase di mapping, accanto al processo di memorizzazione, possono
manifestarsi processi di discriminazione (transfer) o di pensiero procedurale (ricostruzione). In tal caso,
un corretto approccio metodologico richiede: il perfezionamento dei processi specifici di quella fase, il
consolidamento dei processi precedenti, la valorizzazione dei processi successivi anticipati.
17
Tra le tecniche per condurre il lavoro del gruppo, nella fase d’avvio, possiamo ricordare il
brainstorming o la tavola rotonda o, ancora, la conversazione clinica (proposta dall’approccio progettuale
per concetti).

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favorendo la presa di coscienza da parte di ciascuno di ciò che sa e che sta apprendendo
con gli altri, promuovendo, oltre al riconoscimento, anche un primo arricchimento e un
primo ordinamento delle preconoscenze condivise.
Anche se “naturali”, carichi di errori e di luoghi comuni, questi saperi presentano il
valore e la dignità della conoscenza personale, da riconfigurare con i saperi scientifici.
Sono diversi da allievo ad allievo sia a causa delle personali esperienze maturate, sia per
le diverse modalità di elaborazione connesse allo stile cognitivo o alle intelligenze da
ciascuno privilegiate.
I saperi naturali sono frutto di lenti processi di elaborazione che nel loro farsi hanno
abbracciato e respinto ipotesi e teorie diverse. Partire dai saperi degli allievi favorisce un
apprendimento più significativo perché radicato nell’esperienza cognitiva e affettiva dei
soggetti e perché esito di un processo di elaborazione personale che il confronto tra gli
allievi sollecita, sostiene, mette alla prova. La consapevolezza dei propri saperi produce
motivazione ad apprendere, soddisfa i bisogni di realizzazione personale e di autostima,
tutti elementi fondamentali per un buon apprendimento.
La fase didattica dei saperi naturali è finalizzata a creare un ambiente di
apprendimento che favorisca la presa di coscienza dei propri saperi e il confronto con
quello degli altri attraverso l’interazione all’interno del gruppo, nel quale l’insegnante
assume il ruolo di animatore regista.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di condivisione:


 Interesse e coinvolgimento
 Elasticità e fissazioni
 Termini, argomenti e contesti usati dagli allievi
 Modalità di rievocazione

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di condivisione:


 Spessore concettuale della mappa cognitiva
 Livelli di condivisione delle conoscenze di base

La ristrutturazione delle mappe cognitive


In questa fase, definita di mapping, l’insegnante promuove la rielaborazione da parte
dell’allievo della propria mappa cognitiva, già modificatasi nel confronto con il gruppo;
presenta le nuove informazioni (possono essere contenuti, procedure, istruzioni, oppure
schemi di ragionamento, argomentazioni, ecc.), sollecita gli allievi a porle in relazione, a
confrontarle con i saperi naturali individuali e con la mappa del sapere elaborato dal
gruppo nella fase precedente e li aiuta a prefigurarsi i passi successivi, ad anticipare i
possibili sviluppi, a prevedere le conseguenze applicative del sapere appreso. Questa fase
non si traduce necessariamente in una lezione di tipo espositivo; il compito fondamentale
dell’insegnante non è quello di trasmettere le novità informative, ma di utilizzarle per
sollecitare il conflitto cognitivo tra ciò che l’allievo già conosce e ciò che può imparare.
L’allievo sarà, pertanto, continuamente stimolato a ristrutturare la mappa dei propri
saperi, confrontandoli, per analogie o per contrasti, con i nuovi organizzatori.
L’aspetto saliente dei modelli di lavoro, che riguarda particolarmente questa fase è la
qualità dei contenuti, epistemologicamente qualificati, tratti da modelli applicativi che
storicamente hanno contribuito all’evoluzione della disciplina e che sono significativi per
la metodologia della disciplina e per il suo stile cognitivo (M.R. Zanchin, 2002).

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di ristrutturazione:


 Livelli di attenzione
 Livelli di comprensione del nuovo
 Grado di pertinenza degli interventi degli allievi

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 Qualità del feedback

Che cosa rilevare alla fine dell’attività ristrutturazione:


 Acquisizione di conoscenze dichiarative / procedurali
 Consistenza delle mappature individuali delle conoscenze
 Persistenza di concezioni o capacità erronee pregresse

L’elaborazione operativa del compito


Nella terza fase, definita di applicazione, gli allievi sono invitati ad elaborare le
formazioni ricevute applicandole in un compito da svolgere. Il processo attivato
dall’allievo non è meramente esecutivo: innanzitutto dovrà ricercare e produrre analogie
tra le informazioni possedute e il compito assegnato; dopo di che dovrà riconoscere la
sequenza delle azioni necessarie per eseguire il compito; dovrà, quindi, esercitarsi
attraverso il lavoro autonomo individuale o nel piccolo gruppo; dovrà comprendere le
istruzioni di una consegna, e prescrivere istruzioni ai compagni. L’azione in laboratorio
consente all’allievo un’elaborazione personale delle informazioni ricevute, lo porta a
misurarsi con situazioni e contesti analoghi a quelli presentati negli dall’insegnante o dai
compagni. L’azione è caratterizzata dall’operatività e dall’elaborazione di procedure
riflessive connesse al saper fare e al sapere come fare.
Lo scopo della fase applicativa è di consolidare gli schemi cognitivi, di acquisire la
consapevolezza su ciò che prima era rimasto ad uno stadio di pura intuizione, di
sviluppare inferenze grazie all’attivazione di conoscenze procedurali, che nelle fasi
precedenti erano date come dichiarative. L’azione dell’insegnante, in questa fase,
consisterà nella predisposizione di ambienti laboratoriali e nell’assistenza e supervisione
esterna delle attività in cui sono impegnati gli allievi.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di laboratorio:


 Progressione corretta dei passi di una procedura
 Persistenza di automatismi errati o impropri
 Modi e tecniche di esecuzione
 Tempi e velocità di esecuzione
 Livelli di autonomia e di collaborazione

Che cosa rilevare alla fine dell’attività laboratorio:


 Consolidamento delle conoscenze dichiarative
 Applicazione delle conoscenze procedurali
 Uso corretto delle consegne
 Grado di soddisfazione circa il risultato raggiunto

Il transfer per riconoscere lo schema


Per affrontare e risolvere le situazioni che quotidianamente incontriamo, mettiamo in
atto, con l’uso di analogie, processi di transfer. In altre parole per comprendere qualcosa
di sconosciuto utilizziamo quegli strumenti cognitivi che abbiamo, con successo, adottato
in situazioni analoghe precedenti.
Nella quarta fase, il transfer viene intenzionalmente introdotto allo scopo di avviare
una prima generalizzazione di quanto appreso. Si tratta di promuovere negli allievi il
confronto tra il compito dato e le situazioni note. Possiamo ritrovare un confronto
esplicito, dove l’insegnante guida e governa il transfer, o un confronto implicito dove
l’insegnante si limita a fornire esempi e controesempi e l’allievo è chiamato a riconoscere
le analogie, a ricercarle e a produrle, a riconoscere uno schema comune, a produrre uno
schema nuovo, a produrre ipotesi per falsificare o confermare lo schema.

52
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Naturalmente il transfer non lavora solo mediante analogie, ma anche attraverso le


dissonanze, e ciò allo scopo di rilevare le differenze, di discriminare e di rilevare ciò che
non si adegua agli schemi noti. In questo caso è necessario che l’insegnante operi a
livello di zona prossimale di apprendimento (Vygotskj, 1980) per non incorrere in transfer
inefficaci.

Che cosa osservare e rilevare durante l’attività di transfer:


 Incapacità o difficoltà a trasferire
 Fissazioni su alcuni parametri
 Originalità e banalità
 Profondità (acume) e superficialità di analisi
 Partecipazione / condivisione dei transfer altrui

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di transfer:


 Abilità di analisi (nella ricerca di analogie e differenze)
 Capacità di contestualizzare (trovare situazioni diverse)
 Livelli di pertinenza dei transfer effettuati

La rappresentazione del compito


La quinta fase, chiamata di ricostruzione, è importante dal punto di vista
metacognitivo perché l’allievo viene portato a ricostruire e a rappresentarsi ciò che ha
fatto nell’ambito del compito, riflettendo sui passi fondamentali e analizzando le eventuali
difficoltà incontrate. Con i processi di ricostruzione, l’allievo è chiamato a dimostrare le
proprie competenze procedurali, ad orientarsi rispetto al compito dato (in che punto si
trova?, com’è arrivato in quel punto?, come può procedere?). Lo scopo di questa fase è
anche quello di porre gradualmente l’allievo nella condizione di riconoscere le strategie e
le procedure personalmente messe in atto nell’esecuzione del compito: dovrà fare
riferimento ai suoi personali stili cognitivi, e, se occorre, intervenire su di essi per
migliorare il risultato.

La giustificazione delle proprie strategie


Associato alla fase precedente, il processo di giustificazione comporta la capacità di
riconoscere il valore delle scelte effettuate e delle decisioni prese dall’allievo, la capacità
di sostenere le proprie idee, la capacità di argomentare per giustificare le strategie
attivate. La giustificazione promuove il pensiero logico e le abilità comunicative
Per attivare processi metacognitivi così importanti, l’insegnante non può limitarsi a
chiedere semplicemente “perché hai fatto questo?” o “come mai sei arrivato a questo
risultato?”; è indispensabile che egli promuova tecniche didattiche come quelle di
coinvestigazione, di autointerrogazione, di scambio di ruoli. Se è vero che
l’apprendimento di un allievo migliora quando viene chiamato a insegnare ai compagni
ciò che ha appreso, allora si possono attivare tecniche di discussione guidata, di
conferenza sul tema, di role playing.

Che cosa osservare e rilevare durante le attività di ricostruzione e di giustificazione:


Capacità riflessiva e forme di pensiero e di azione:
 nel rappresentarsi la competenza/padronanza
 nel ricostruire e controllare le proprie applicazioni
 nel giustificare e sostenere le proprie tesi

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di giustificazione:


 Coerenza, capacità e tolleranza autovalutativa dell’allievo

53
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

 Essenzialità, economicità e profondità di analisi


 Solidità argomentativa

La conquista della padronanza


L’ultima fase del modello esperto di lavoro didattico, chiamata di generalizzazione,
definisce il raggiungimento della soglia di padronanza attesa. Tale conquista è
determinata dalla concatenazione di alcuni fattori:
 i principi base del compito, le regole, gli schemi mentali sono frutto di elaborazione
personale, interiorizzati in modo significativo, perché radicati con le proprie teorie
personali e arricchiti con l’esperienza del compito;
 l’appreso diventa generalizzabile in modo trasparente: l’allievo deve riconoscere l’uso
potenziale e flessibile delle competenze acquisite;
 la generalizzazione richiede un pensiero ideativo, orientato all’intuizione e alla
scoperta, attento al rigore delle ipotesi e alle proposte congetturali;
 la rappresentazione dei concetti e delle regole si sviluppa per schemi, mappe,
relazioni, con l’uso plurale di codici e linguaggi, mostrando capacità di sintesi e
dominio della complessità;
 la padronanza dell’appreso garantisce la generatività concettuale: non si è appreso
solo il compito e le regole ad esso associate, ma un potenziale che si autoalimenta.
Qual è il compito dell’insegnante in questa fase? La generalizzazione può essere
“provocata” predisponendo situazioni varie e diverse. In tali situazioni gli allievi sono
chiamati a scoprire problemi e a trovare soluzioni originali e divergenti. Possono anche
essere prese in considerazione situazioni da loro vissute o conosciute: queste
risulteranno ancora più interessanti, proprio perché i processi di generalizzazione più
genuini non avvengono all’interno della scuola, ma nella vita vissuta. In ogni caso, la
produzione di progetti individuali o di piccolo gruppo, l’analisi di situazioni complesse e di
casi particolarmente articolati, l’impegno su compiti difficili e motivanti, la riflessione sulle
proprie capacità di apprendere, sono tutti elementi che facilitano il padroneggiare se
stessi e non solo di padroneggiare l’oggetto di conoscenza.

Che cosa osservare e rilevare durante le attività di generalizzazione:


 Abilità analitiche, sistemiche e sistematiche
 Permanenza e fedeltà alla situazione
 Curiosità e interesse
 Dinamiche relazionali nei lavori di gruppo

Che cosa rilevare alla fine dell’attività di generalizzazione:


 Fecondità euristica (incremento soluzione problemi)
 Produttività concettuale (autonomia costruzione concetti)
 Livello di padronanza (efficacia e ricaduta)

Perché una didattica per padronanze? A mio avviso il concetto di fondo è che
l’allievo, a tutte le età e secondo la propria età, per essere riconosciuto come persona
che apprende, deve farsi carico del proprio apprendimento, deve cioè comprenderne il
senso e lo scopo, ed esserne responsabile. Perché si punta alla padronanza? Perché la
padronanza è una categoria del soggetto che vive; non è una categoria scolastica; nella
padronanza c’è il soggetto nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua finitezza.
La padronanza non può che essere sviluppata e corroborata dal soggetto stesso (fin da
piccolo). La scuola, con la famiglia e la comunità, facilita e organizza il percorso di
autocostruzione di sistemi di padronanze sempre più rispondenti al senso e al valore che
la persona si dà.

54
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Approfondimento 2.A

LE MOLTEPLICI FORME DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA

Progettare per obiettivi: la tecnologia dell’insegnamento18

Modello curricolare : Lineare - Tecnologico


1. OBIETTIVI

5. VERIFICA 2. REQUISITI
UNITA’
DIDATTICA
(UD)

4. METODI 3. CONTENUTI

UD 1 UD 2 UD 3 UD 4 UD n

Progettazione per … Obiettivi – risultati, osservabili e misurabili


Focus Unità didattica, progetto didattico
Azioni dell’allievo Rispondere agli stimoli proposti con comportamenti
conformi, prestazioni
Azioni Predisporre procedure e routine di insegnamento.
dell’insegnante Condurre, guidare, somministrare, verificare
Processo formativo Insegnamento trasmissivo. Apprendimento riproduttivo
Obiettivi In scansione gerarchica. Predeterminati. Misurabili.
Classificati in tassonomie
Parametri valutativi Normativi (con elaborazioni statistiche)
Elementi critici Rigidità dell’offerta didattica. Prevalenza dell’obiettivo e
del risultato, inconsistenza dei processi. Anticipazionismo: il
risultato dell’azione didattica è definito a priori, e va
comunque raggiunto
Elementi di interesse Efficienza e rapidità dell’acquisire conoscenze e abilità,
comportamenti “obbligati” (nell’addestramento),
meccanismi necessari all’autonomia della persona (con
soggetti in situazione di handicap)

18
Per l’approfondimento delle tipologie di progettazione si può fare riferimento a: F. Tessaro,
Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Armando Editore, Roma 2002 (cap. 3). M. Baldacci
(a cura di), I modelli della didattica, Carocci, Roma 2004. P.Crispiani,Autonomia e new autonomy, in
AA.VV., Autonomia?, Junior, Bergamo 2000. Mager, R.F. - Gli obiettivi didattici, Giunti-Lisciani, Teramo
1972

55
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Progettare per obiettivi: Sintesi

Ogni programmazione, qualsiasi sia il modello, definisce gli obiettivi che vuole raggiungere. La
Programmare
programmazione per obiettivi non si caratterizza per il fatto di definire obiettivi ma per il ruolo che
per obiettivi
assegna agli obiettivi e per le modalità con cui li individua.
Secondo l’approccio comportamentista la conoscenza consta di una successione ordinata di moduli
autonomi l’uno dall’altro che vanno appresi in successione. L’insegnamento strutturato organizza la
Conoscenza e successione dei singoli moduli.
comportamenti “Scarso peso era attribuito all’inconscio e alle motivazioni psico-affettive del comportamento, ridotto
smo ad una semplicistica catena di reazioni ai bisogni, agli stimoli, ed ai condizionamenti”.[34]
Sotteso a questo approccio è la linearità del programma. Più che apprendimento si ottiene un
addestramento a comportamenti in assenza di consapevolezza e partecipazione cognitiva.
“Condurre gradualmente gli allievi da accertate capacità iniziali ad individuate capacità finali
ottimizzando l’itinerario da seguire alla luce delle seguenti modalità:
1 individuare gli obiettivi, elencarli dettagliatamente e disaggregarli in sotto-capacità e sotto-obiettivi.
Tale schema va regolato secondo un ordine logico sequenziale, ovvero dal sotto-obiettivo più
semplice o precedente a quello più complesso o successivo. E’ infatti necessario che per ogni
capacità che si vuole insegnare, vengano indicati gli obiettivi specifici che lo studente deve
padroneggiare, senza restare nel vago di una definizione troppo generale e astratta delle capacità. D.
Istruzione
Parisi;
programmata
2 costruire il programma cioè la sequenza di esperienze o stimolazioni per gli allievi, affinché
raggiungano gli obiettivi;
3 suddividere il programma in sezioni minime, isolabili e verificabili, le unità didattiche che
comprendono:
- la situazione-stimolo;
- la risposta dell’allievo;
- l’informazione resa all’allievo sulla esattezza della risposta.
Vi è il primato degli obiettivi dato che “sugli obiettivi si costruisce la trama culturale dell’insegnamento
che si intende condurre. (...) Posizionare gli obiettivi diviene l’atto centrale del programmare. Il gesto
programmatorio tende ad identificarsi con gli obiettivi i quali rappresentano il corpo pesante della
programmazione tradizionale.
L’apparato degli obiettivi deve essere organicamente programmato, nel senso di costituire una
Tassonomia mappa selezionata in cui i fini e gli obiettivi siano individuati, disaggregati, ordinati, gerarchizzati.
degli obiettivi Il programmatore tassonomista veniva così sollecitato a redigere una analitica distinzione di mete
educative disposte dall’indistinto, generale e complesso, a quelle più dettagliate corrispondenti a
micro comportamenti o sezioni terminali di abilità o di acquisizioni che si possono oggettivamente
osservare (verificare) in minute entità.
Tratti distintivi ed emblematici delle tassonomie sono dunque: gerarchia, linearità, programmabilità,
controllabilità. [42]
All’obiettivo si richiede di essere:
- riferito ad una sezione unitaria e minima di capacità;
Caratteristiche - relativo ad un comportamento concreto ed inequivocabile;
dell’obiettivo - isolabile ed individuabile sia in fase progettuale che dell’azione educativa;
- osservabile e misurabile in itinere e alla fine (criterio del c’è o non c’è).
Deve essere: minimo, concreto, descrivibile, non ambiguo, rilevabile.[45]
Nei problemi reali le competenze si presentano sempre complesse ed interconnesse.
Isolarle impedisce di acquisire la competenza di risolvere situazioni concrete.
Il situated learning impegna gli studenti a risolvere problemi reali ed individua in ciò un elemento
Critiche centrale per la motivazione e per acquisire la capacità di contestualizzare e quindi risolvere i
problemi. Acquisire dei comportamenti, saper applicare degli algoritmi non prevede la competenza di
scegliere quale comportamento e quale algoritmo scegliere e a monte di individuare quale sia il
problema/i presenti nel sistema.
L’insegnamento programmato può fornire un valido contributo quando occorre acquisire in breve
Utilità
tempo determinati comportamenti.
Citazioni da P.Crispiani,Autonomia e new autonomy, in AA.VV., Autonomia?, Junior, Bergamo 2000

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Progettare per contenuti: l’essenzialità della conoscenza

Modello curricolare: Contenutistico - Sequenziale

Arg. 1 Arg. 1.2 Arg. 1.3 Arg. 1.4 Arg. 1.5 Arg. 1.6

Arg. 2.1 Arg. 2 Arg. 2.3 Arg. 2.4 Arg. 2.5 Arg. 2.6

Arg. 3.1 Arg. 3.1 Arg. 3 Arg. 3.4 Arg. 3.5 Arg. 3.6

Arg. 4.1 Arg. 4.2 Arg. 4.3 Arg. 4 Arg. 4.5 Arg. 4.6

Arg. 5.1 Arg. 5.2 Arg. 5.3 Arg. 5.4 Arg. 5 Arg. 5.6

Arg. 6.1 Arg. 6.2 Arg. 6.3 Arg. 6.4 Arg. 6.5 Arg. 6

Progettazione per … Contenuti di insegnamento (es. didattica breve)


Focus Materia – disciplina
Azioni dell’allievo Imparare le conoscenze fondamentali della materia
Azioni Selezionare i contenuti (distillazione) mediante
dell’insegnante analisi disciplinare
Processo formativo Insegnamento sintetico, specialistico. Apprendimento
delle conoscenze basilari
Obiettivi Conoscere i contenuti
Parametri valutativi Verifica dell’acquisizione dei contenuti
Elementi critici Banalizzazione e staticità dei saperi. Riferimenti alle
sole conoscenze specialistiche. Mancanza di transfer.
Assenza del soggetto che apprende, delle situazioni
esistenziali, di metodi diversi da quelli disciplinari.
Elementi di interesse Ricerca dell’essenzialità. Esplicitazione degli oggetti
culturali fondamentali. Elencazione chiara dei
contenuti.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Progettare per concetti: l’epistemologia clinica

Modello curricolare: Strutturalista - Concettuale

X
X X X
X

X
NODO 2
X
X X

X
NODO 5 NODO 1 NODO 3

X X

NODO 4

X
X

Progettazione per … Reti di concetti e strutture cognitive


Focus Mappe concettuali – Matrici cognitive
Azioni dell’allievo Partecipare con i propri saperi, individuare le
connessioni, produrre concetti
Azioni Predisporre le mappe concettuali, coordinare la
dell’insegnante conversazione clinica, predisporre protocolli di
osservazione e registrazione, costruire archivi di
esperienze didattiche
Processo formativo Procede per implementazioni regolate dei saperi
Obiettivi Sono filtrati dalle conoscenze degli allievi e
dall’analisi disciplinare
Parametri valutativi Centrati su criteri docimologici
Elementi critici Scarsa attenzione agli aspetti non cognitivi del
soggetto. Può mascherare metodi tradizionali di tipo
trasmissiva
Elementi di interesse Mediazione tra epistemologia disciplinare e sistema
cognitivo dell’allievo. La progettazione continua
nell’azione didattica
19

19
Si veda: Mappe, complessità, strutture di comprensione di Mario Gineprini e Marco Guastavigna su
http://www.noiosito.it/mcsc.htm

58
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Progettare per concetti: Sintesi

Cosa è un concetto Nelsen: informazione organizzata potenzialmente designabile con un nome.


Sono le unità con cui pensiamo il mondo ed i contenuti dei concetti sono le relazioni tra
le informazioni e non le informazioni.
Insegnare equivale a fornire le competenze per costruire concetti
Percorso
Il percorso si articola in una fase preparatoria ed in una fase d’azione.
Fase preparatoria: mappa
concettuale Il docente costruisce la mappa concettuale dell’argomento che intende affrontare
ovvero relaziona i contenuti secondo i suoi saperi disciplinari ed individua le relazioni e
gli elementi fondamentali
Fase preparatoria: Il docente discute in classe con gli studenti. Pone domande e cerca di fare emergere
conversazione clinica quelli che sono i concetti spontanei degli studenti sull’argomento da affrontare. I
concetti che gli studenti hanno costruito in base alla loro esperienza contingente, locale
e presente.
Il docente non interviene in questa fase per fornire strumenti; la discussione non deve
avere neanche un ruolo maieutico.

E’ differente dalla individuazione dei pre-requisiti della didattica per obiettivi.


Fase preparatoria: matrice
cognitiva In base alla conversazione clinica il docente realizza la matrice cognitiva, ovvero la
mappa dei concetti spontanei degli studenti.

Fase preparatoria: rete In base alla matrice cognitiva e alla mappa concettuale il docente realizza il percorso,
concettuale individua le tematiche e gli strumenti didattici ovvero i mediatori.
Attività: sistematizzazione La prima fase serve per organizzare in modo strutturato i concetti emersi nella
del senso comune conversazione clinica. Gli studenti acquisiscono maggiore coscienza di quanto da loro
sostenuto.
Attività: esperienza critica Viene svolto un esperimento che metta in evidenza i limiti della conoscenza spontanea
(preconoscenza o misconoscenza). I limiti possono essere dovuti o alla limitatezza
dell’esperienza su cui si basa la legge o su una semplificazione che porta ad errori in
quanto non tiene conto di tutti i fattori.
Attività: definizione In base all’esperienza critica gli studenti arrivano ad una nuova sistematizzazione dei
sistematica concetti ed ad una definizione sistematica.

Esempio di mappa concettuale di intergruppo costruita nell’ambito di un progetto


didattico trasversale20.

porta a
Malattie Eccesso di
consumi posi
nel ti ve s
Necessità alimentari u
Principi costituiti soddisfatta
Alimenti biologica
nutritivi da da migliorata Attività
vitale Nord del Salute
da sportive
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cid
è in ulla
Carenze s
dovute
Malattie a alimentari ALIMENTAZIONE Mass Media
nella
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occidentale
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c’è per per Modelli


Fame Terzo mondo Problema
Sud del la culturali
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mondo
sat

co olve
con
cau

n
Educazione alimentare
Colonialismo Autoconsapevolezza curate da Anoressia
dei popoli Bulimia
Interventi psicologici
nella

Aiuti Politiche
umanitari economiche Adolescenza

20
La mappa è stata costruita da e per gli studenti della II E dell’ITC “V. Bachelet” nell’ambito del
progetto PALMIRA dell’IRRE Lazio.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Progettare per situazioni/problemi

Progettazione per … Situazioni, contesti, ambienti, sfondi


Focus Esperienza del soggetto
Azioni dell’allievo Saper analizzare le situazioni, individuare gli elementi
problematici, interpretare la complessità
Azioni Facilitare e mediare le esperienze, provocare situazioni
dell’insegnante problematiche, sviluppare la motivazione
Processo formativo È ricerca insieme: senza distinzione di ruoli tra chi insegna e
chi apprende
Obiettivi Sono traguardi possibili; dipendono dalle esperienze; possono
cambiare se la situazione lo richiede
Parametri valutativi La valutazione è raccolta di giudizi personali
Elementi critici Perdita della direzione del curricolo; soggettivismo esasperato;
mancanza di verifica e di controllo; costi elevati; scarsa
efficienza
Elementi di interesse Attenzione al soggetto; efficacia dell’apprendimento per
esplorazione; importanza della motivazione

Progettare per Processi

Progettazione per … Processi cognitivi, metacognitivi, esperienziali


Focus Sistemi di padronanze; expertise dell’allievo
Azioni dell’allievo Condividere i saperi; riorganizzare le mappe cognitive, riflettere,
ricostruire, inventare
Azioni Predisporre ambienti che stimolano il pensiero, il ragionamento,
dell’insegnante la produzione concettuale, la divergenza, il confronto
Processo formativo Omologia tra fasi didattiche e processi di apprendimento
Obiettivi Commisurati alle potenzialità di sviluppo cognitivo e
metacognitivo degli allievi
Parametri valutativi Tendenti all’autovalutazione e alla valorizzazione della
padronanza
Elementi critici Difficoltà nell’individuare le soglie di sviluppo nell’acquisizione di
competenze e padronanze.
Elementi di interesse Attenzione ai processi dell’apprendimento, ai talenti personali;
importanza della consapevolezza, della produzione e della
condivisione

60
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

La progettazione clinica: i percorsi individualizzati

La progettazione clinica ha lo scopo di organizzare i percorsi di insegnamento e di


apprendimento relativi alle persone che presentano difficoltà a livello individuale e/o
sociale, a causa di motivi fisici, psichici, intellettivi o sociali, per renderle autonome nel
pensiero e nell’azione.
Quando individualizzare l’insegnamento e/o personalizzare l'apprendimento?
Nel caso di:
1. soggetti con disabilità;
2. soggetti in situazione di svantaggio o disadattamento socio-relazionale;
3. soggetti con disturbi specifici di apprendimento.
Nell’attuale ordinamento scolastico sono previste figure di sostegno o di insegnanti
specializzati solo per i casi di handicap certificato. L’insegnante specializzato (o di
sostegno) supporta l’azione dei docenti disciplinari, agendo:
 nei confronti dello studente in difficoltà con la messa in atto di progetti
individualizzati e
 nei confronti dei colleghi di classe apportando informazioni, suggerimenti
metodologici, e fungendo da tramite tra la scuola e le strutture specialistiche.
I docenti della classe (disciplinari) sono insegnanti per tutti gli studenti e non solo per i
“normali”. Quando lo studente con disabilità è in classe, con o senza l’insegnante di
sostegno, è compito del docente disciplinare organizzare la didattica in modo da
coinvolgere lo studente senza impoverire la qualità dell’istruzione per gli altri.

Modello curricolare: Individualizzato

1. DIAGNOSI FUNZIONALE

2. PROFILO DINAMICO FUNZIONALE

Area COGNITIVA
Area SENSORIALE
Area AFFETTIVA
Area RELAZIONALE
Area MOTORIA
Area MOTIVAZIONALE

3. PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO

61
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

La coerenza tra azione e progettazione


In questo approfondimento abbiamo accennato a diverse tipologie di progettazione
didattica: nessuna di esse è universalmente valida; ognuna di esse, a diverso titolo,
presenta elementi di efficacia ed elementi di criticità. Perciò è opportuno individuare la
tipologia di progettazione più adatta alla specifica situazione didattica, formativa o
scolastica.

La progettazione lineare è efficace …


 nella definizione di piccoli segmenti didattici;
 nell’acquisizione di comportamenti adeguati e/o di meccanismi;
 nell’apprendimento mnemonico di formule, schemi, testi poetici;
 nell’addestramento (operazioni manuali, concrete);
 nell’istruzione programmata (step by step per analizzare nel dettaglio gli effetti delle
procedure didattiche).
La progettazione per contenuti è efficace …
 nell’analisi dei contenuti disciplinari;
 nella ricerca dell’essenzialità dei saperi;
 nell’articolazione / classificazione dei contenuti.
La progettazione per concetti è efficace …
 nell’analisi concettuale (reticolare) della disciplina;
 nell’analisi delle preconoscenze (situazione cognitiva iniziale);
 nella pianificazione dei collegamenti tra saperi degli allievi e saperi disciplinari.
La progettazione per situazioni è efficace …
 nel consolidamento dell’apprendimento mediante l’analisi delle esperienze dell’allievo;
 nella spendibilità immediata delle competenze acquisite;
 nell’apprendimento tecnologico e/o professionale;
 nell’apprendimento con soggetti in difficoltà.
La progettazione per processi è efficace …
 nella articolazione delle padronanze e delle competenze (Piano dell’offerta formativa);
 nella corrispondenza tra processi di apprendimento e metodologia dell’insegnamento.

La progettazione individualizzata è riservata agli allievi con disabilità o con


particolari difficoltà di apprendimento. A tutti gli altri non va individualizzato
l’insegnamento, va invece facilitata la personalizzazione dell’apprendimento (anche
mediante una didattica modulare).

62
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Corso di

DIDATTICA
Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it

Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2016

4 I COMPITI AUTENTICI
LA FORMAZIONE DELLE COMPETENZE IN SITUAZIONE21

Con la dizione generale ‘compito autentico’ (authentic task) si indica un incarico


assegnato e/o assunto dagli studenti, il cui scopo è di promuovere e di valutare, insieme
a loro, le conoscenze, le abilità e le competenze utilizzate nell'affrontare problemi veri e
reali (Glatthorn, 1999). Il compito autentico è stato variamente interpretato: come
‘compito di realtà’ o ‘compito di vita reale’ (real task o real live task), ‘compito di
prestazione’ (performance task), ‘compito esperto’ (expert task), ‘compito professionale’
(professional task).
Non tutto ciò che è reale è autentico. È corretto che, nell’insegnamento, siano
considerate autentiche le attività didattiche che promuovono transfer collegando il mondo

21
Questo paragrafo è tratto da F. Tessaro (2014), Compiti autentici o prove di realtà, in Formazione
& Insegnamento, XII – 3 – 2014, pp 77-88.

63
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

‘vero’ dello studente al curricolo scolastico. Non vanno invece considerate autentiche
tutte le situazioni che si rifanno alla realtà. La situazione “la mamma va al mercato e
compra quattro dozzine di uova” si riferisce al reale, ma non è affatto autentica per la
maggior parte dei nostri alunni, dato che non fa parte del loro mondo una madre che
compra 48 uova. Nell’esame per la patente automobilistica, il test a risposte chiuse fa
riferimento a situazioni reali, ma non è autentico; è invece autentico l’esame di guida su
strada.
I compiti autentici si fondano sull’impostazione costruttivista secondo cui il soggetto
produce la conoscenza nell’agire riflessivo in situazioni di realtà. I compiti sono problemi
complessi, aperti, che gli studenti affrontano per apprendere ad usare nel reale di vita e
di studio le conoscenze, le abilità e le capacità personali, e per dimostrare in tal modo la
competenza acquisita (Glatthorn, 1999). Con i compiti autentici lo studente forma le
sue competenze, mobilitando esperienza e sapere, pensiero e azione, è
chiamato a selezionare, a scegliere e a decidere (autonomia), ed è tenuto a farsi
carico e a rispondere delle sue decisioni e delle conseguenze che ne derivano
(responsabilità).

I compiti autentici consistono in attività formative basate sull'utilizzo della
conoscenza e delle abilità concettuali e/o operative in situazioni reali, che
abbiano un collegamento attivo e generativo nella definizione e nella soluzione
dei problemi, e che siano radicate nelle convinzioni e nei valori dell'allievo.
Il richiamo alla definizione europea di competenza come «capacità di utilizzare
conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e metodologiche, in situazione di lavoro o
di studio» è evidente. Così come è trasparente l’opzione metodologica risalente alle
concezioni di K. Hahn, precursore delle attuali Expeditionary Learning Schools (in
Knoll,1998). Tale opzione, nella formazione adulta, è stata ampiamente sviluppata da D.
Kolb (1984) negli stadi dell’experiential learning e da J. Mezirow (2003) con l’esperienza
riflessiva, da J. Lave e E. Wenger (1991) con il situated learning nei sistemi formativi
organizzati in comunità di pratica, dall’Action Learning nelle forme avviate da R. Revans
(1980) e dall’Action Reflection Learning di L. Rohlin (Boshyk, Dilworth, 2010; Marquardt,
Ceriani, 2009).

4.1.1 L’autenticità supera il divario dentro-fuori scuola

Con i compiti autentici si attivano, in ambito scolastico, le metodologie


dell’apprendimento esperienziale, in situazione, in azione, in relazione.
Essi devono avere rilevanza e utilità nel mondo reale (personale, sociale, professionale)
dell’allievo. Mirano a superare il divario esistente nell’utilizzo del sapere tra contesti
scolastici e contesti reali, rimanendo strettamente integrati nel curricolo.
La complessità della situazione non va ridotta, semplificata; va invece resa accessibile,
commisurata alla capacità degli allievi di selezionare i livelli di difficoltà adatti a loro e di
scegliere le modalità di partecipazione.
La scuola è una torre d’avorio, sostiene Resnick, «un luogo dove si svolge un particolare
tipo di ‘lavoro intellettuale’, che consiste nel ritrarsi dal mondo quotidiano, al fine di
considerarlo e valutarlo, un lavoro intellettuale che resta coinvolto con quel mondo, in
quanto oggetto di riflessione e di ragionamento» (Resnick, 1987: 80). Il sapere a scuola
si differenzia notevolmente dal sapere oltre la scuola:
- la scuola richiede prestazioni individuali, mentre il lavoro mentale all’esterno è
condiviso socialmente;

64
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

- la scuola richiede un pensiero puro, privo di supporti, mentre fuori ci si avvale di


strumenti cognitivi o artefatti che assistono il processo cognitivo;
- la scuola privilegia il pensiero simbolico, fondato su simboli astratti e generali, mentre
fuori dalla scuola la mente è impegnata con oggetti e situazioni concrete e specifiche;
- a scuola si insegnano conoscenze e abilità generali, mentre nelle attività esterne
dominano competenze specifiche, legate alla situazione.

4.1.2 La realtà autentica è complessa, problemica e dinamica

Reeves, Herrington e Oliver (2002), in uno studio di meta-analisi sulle attività e sui
compiti autentici, ne hanno individuato le caratteristiche fondamentali.
Le attività hanno rilievo nel mondo reale. Ripropongono, per quanto possibile, i compiti
che ci si trova ad affrontare nel mondo reale, personale o professionale; sono pertanto
compiti frequenti, o comunque critici. Non sono esercizi scolastici decontestualizzati.
I problemi connessi alle attività sono mal definiti ed aperti a multiple interpretazioni
piuttosto che risolvibili facilmente con l’applicazione delle procedure già conosciute. Gli
studenti devono identificare le loro proprie strategie e i traguardi intermedi necessari per
raggiungere lo scopo voluto.
Le attività autentiche contengono compiti complessi che gli allievi indagano anche per un
tempo considerevole. Le attività sono completate in giorni o settimane, e non in pochi
minuti o poche ore. Richiedono un investimento significativo di tempo e di risorse
intellettuali.
I compiti autentici offrono agli studenti l'occasione di esaminare i problemi da diverse
prospettive teoriche e pratiche, e non una singola interpretazione o un unico percorso
che da imitare per riuscire a risolvere il problema. L’uso di una varietà di risorse piuttosto
che da un numero limitato di riferimenti preselezionati (dal docente) richiede agli allievi
la competenza di selezionare le informazioni rilevanti e di distinguerle da quelle
irrilevanti.
I compiti autentici forniscono l'occasione di collaborare. La collaborazione è integrata
nella soluzione del compito, sia nell’ambiente scolastico sia nell'ambiente di vita reale, e
non è di solito realizzabile da un unico studente.
I compiti autentici forniscono l'occasione di riflettere. Devono garantire a chi sta
imparando la possibilità di scegliere e di riflettere sul proprio apprendimento sia
individualmente che in gruppo.
I compiti autentici possono essere integrati ed utilizzati in settori disciplinari differenti ed
estendere i loro risultati al di là di specifici domini. Incoraggiano prospettive
interdisciplinari e permettono agli allievi di assumere diversi ruoli e di sviluppare
esperienze in molti settori, piuttosto che acquisire conoscenze limitate ad un singolo
campo o dominio ben definito.
I compiti autentici sono strettamente integrati con la valutazione. La valutazione è parte
integrante del compito, così come accade nella vita reale, a differenza della valutazione
tradizionale che separa artificialmente la valutazione dalla natura dell'operazione.
I compiti autentici generano prodotti finali che sono importanti di per sé, non come
preparazione per un obiettivo successivo. Culminano nella creazione di un prodotto finale
completo, e non in un'esercitazione o in uno stadio intermedio funzionale a qualcos'altro.
I compiti autentici permettono più soluzioni alternative e la diversità dei risultati. Danno
luogo ad una variegata gamma di soluzioni possibili e questo apre a molte soluzioni
originali, e non, come nelle prove, ad una singola risposta corretta ottenuta
dall'applicazione di regole e procedure.

65
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

4.1.3 Il problema in situazione

Nei compiti autentici la situazione è assunta come problema. J. P. Astolfi (1993) ne


elenca le proprietà:
1. Una situazione-problema si presenta come superamento di un ostacolo da parte del
gruppo, ostacolo che dovrà essere primariamente ben identificato.
2. Lo studio è organizzato intorno ad una situazione a carattere concreto, così da
permettere agli studenti di formulare efficacemente ipotesi e congetture, e
controllarne il risultato. Non si tratta dunque di uno studio raffinato, né di un
esempio ad hoc a carattere illustrativo o dimostrativo, come avviene
nell’insegnamento convenzionale, anche tecnico-pratico.
3. Gli studenti percepiscono la situazione-problema come un enigma da risolvere, e loro
sono consapevoli di potersi cimentare. È la condizione essenziale per far funzionare
la devoluzione (ovvero la presa in carico autonoma e motivata da parte degli
studenti): il problema, anche se inizialmente era stato prospettato dall'insegnante e
non scelto da loro, ora diventa un “loro” problema. La devoluzione è facilitata, già
nella fase di progettazione della situazione-problema, qualora il problema emergesse
e fosse proposto direttamente dagli studenti.
4. Gli studenti non dispongono, all’inizio, dei mezzi per la risoluzione, proprio perché,
per arrivarci, ci sono degli ostacoli da superare e dei vincoli da rispettare. È la
motivazione a risolvere che spinge gli studenti ad elaborare o a reperire insieme gli
strumenti intellettuali ed operativi necessari per la costruzione della soluzione.
5. La situazione-problema deve presentarsi ad una giusta distanza risolutiva: se da un
lato è necessaria una sufficiente resistenza che spinga l'allievo ad investire le sue
conoscenze e capacità precedenti per avviare l'elaborazione di nuove idee, dall'altro
la soluzione non deve essere vista dagli studenti come qualcosa completamente fuori
alla loro portata. L’attività deve espletarsi in una zona di sviluppo prossimale,
adeguata alla sfida intellettuale da rilevare e all’interiorizzazione delle “regole del
gioco”.
6. Il lavoro per la soluzione della situazione-problema funziona con le modalità del
dibattito scientifico all’interno della classe, stimolando i potenziali conflitti socio-
cognitivi.
7. La convalida della soluzione o la sua non accettazione non sono riservate
all’insegnante, ma derivano dal modo di strutturare la situazione stessa.
8. Il riesame comune del cammino percorso costituisce l’occasione per un ritorno
riflessivo, a carattere metacognitivo; ciò aiuta gli alunni a prendere coscienza delle
strategie messe in campo in modo euristico e a stabilizzarle in procedure disponibili
per nuove situazione-problema.
9. Un singolo problema complesso dovrebbe essere studiato ‘autonomamente’ dagli
allievi, i quali dovranno porsi le domande, identificare i nodi, pensare le strategie, e
attivarle. Si sviluppa in tal modo una forma di apprendimento generativo perché il
completamento del compito richiede agli allievi di generare altri problemi da
risolvere.
Il problema in situazione, in chiave formativa, attiva e mobilita l'apprendimento per
competenze in cui: a) i problemi del mondo reale coinvolgono gli allievi nella loro vita
quotidiana, o come cittadini nel vivere sociale, o come futuri professionisti nel mondo del
lavoro, o come ricercatori-innovatori di nuove soluzioni; b) le attività cognitive, di
indagine e di pensiero, si pongono in continua interazione tra le pratiche operative e le
riflessioni metacognitive; c) le interazioni tra gli allievi trasformano il gruppo in una

66
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

comunità di apprendimento; d) la direzione di senso è condivisa e assunta personalmente


dagli studenti, attraverso la scelta e la decisione.

4.1.4 I compiti autentici personali e/o esperti

Per ragioni di analisi, ma anche per promuovere l’accuratezza di studio e di ricerca della
loro costruzione, abbiamo articolato i compiti autentici in tre tipologie: di prestazione,
esperti e personali. Il primo si concentra sull’esecuzione e la verifica delle performance,
gli altri due sulla costruzione e valutazione delle competenze.
La distinzione dei compiti autentici in esperti e personali è dettata dalla necessità di
identificare con quanta più precisione possibile le specifiche competenze che si vogliono
mobilitare e sviluppare. Nel mondo reale si presentano per lo più intrecciati, con la
prevalenza dell’uno o dell’altro, perciò anziché in opposizione, possiamo collocarli lungo
un continuum che per un verso trova prevalentemente situazioni-problema personali,
quotidiane, familiari, che la persona è chiamata a risolvere con le conoscenze e le abilità
che in quel momento possiede, e per l’altro situazioni-problema disciplinari, che
richiedono il possesso di conoscenze specifiche e di abilità consolidate. Con i compiti ad
orientamento personale si sviluppano e si valutano prevalentemente le competenze
esistenziali e/o trasversali, mentre con i compiti orientati all’expertise si sviluppano e si
valutano prevalentemente le competenze disciplinari, inter e trans-disciplinari, le
competenze del professionista riflessivo, quelle che D.A. Schön (1983) chiamava Think in
Action.
Ecco, in sintesi schematica, le caratterizzazioni delle due tipologie di compito autentico.

COMPITO AUTENTICO PERSONALE COMPITO AUTENTICO ESPERTO


Sviluppare / valutare competenze Sviluppare / valutare
esistenziali / trasversali (es: competenze disciplinari / inter /
comunicative, relazionali, decisionali, trans-disciplinari (es: linguistiche,
Scopo
soluzione problemi, orientamento, matematiche, storiche, scientifiche,
selezione informativa, negoziazione, geografiche, tecnologiche, artistiche,
ecc.) musicali, motorie)

Quotidiani, informali, esistenziali, Situazioni / Formali, modellizzati, di studio e


personali contesti di ricerca

Campi di esperienza, discipline,


Allievo (in relazione) Priorità expertise professionali Processi
Sviluppo personale delle competenze valutativa epistemologici, nuclei fondanti,
mappe concettuali, saperi essenziali

Individuale o gruppo collaborat Attività Individuale / gruppo cooperativo

Ambito Integrato: scolastico / extra-


Prevalentemente extra-scolastico
operativo scolastico

In qualsiasi momento Quando Verso la fine del percorso

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

4.1.5 I compiti di prestazione

Con i compiti di prestazione l’autonomia è assistita e la responsabilità è in costruzione.


Più che di competenze, qui il soggetto si fa carico delle modalità di esecuzione delle
performance adeguandole alle situazioni reali, funzionali e contingenti. I compiti di
prestazione si differenziano, pertanto, sia dagli altri compiti autentici, poiché puntano più
alla performance esecutiva che alla competenza, sia dalle prove di prestazione (test) in
cui lo studente deve eseguire le procedure secondo l'algoritmo predefinito e in contesti
simulati e assistiti. Così, in un laboratorio scolastico informatico, l’attività di ricerca
informativa, proceduralizzata dall'insegnante, è una prova di prestazione; l'attività di
ricerca sul web, da parte di un gruppo di allievi in cooperative learning, è un compito
autentico di prestazione, segmento di un più ampio compito autentico esperto, che punta
a rilevare e circoscrivere un problema sociale concreto, studiare le possibili strategie e,
alla fine, proporre soluzioni ai decisori e comunicarle all’opinione pubblica.
I compiti di prestazione hanno come scopo la corretta, efficace ed efficiente esecuzione di
una performance (Wiggins, 1993), perciò sono validi mediatori tra valutazione e
certificazione, poiché assicurano l’incontro di indicatori e criteri condivisi. È possibile
inferire la competenza dalla performance in situazione autentica, specialmente se
corroborata da analisi dei processi cognitivi, metacognitivi e relazionali.

Per valutare le competenze: prove o compiti autentici?


Affronteremo la questione nella parte relativa alla valutazione. Per ora ecco uno
schema riassuntivo:

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Corso di

DIDATTICA
Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it

Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2016

5 L’AGIRE FORMATIVO: IL METODO

I processi didattici (quelli dell’insegnante) e i processi dell’apprendimento (quelli


dell’allievo) si coniugano nella modulazione degli interventi formativi e autoformativi,
nell’azione e nella relazione tra insegnanti e studenti.
Dopo aver affrontato i concetti chiave della didattica, compreso il senso del curricolo e
lo sviluppo dell’apprendimento per competenze, si progetta l’intervento didattico e si
pianificano le attività. Così si può entrare in aula preparati sapendo non solo perché
(teorie) e che cosa (saperi) insegnare, ma anche come, quando e dove.
Con questa unità formativa entriamo in aula e in laboratorio. Come si insegna agli
adolescenti? Quali sono i metodi di insegnamento migliori, e più efficaci, per gli studenti
della scuola secondaria? Si possono utilizzare, o adattare, in questa scuola le tecniche in
uso in altri settori formativi (nella scuola primaria o nella formazione adulta)? E, prima di
tutto, che cosa è il metodo e che cosa sono le tecniche didattiche?

69
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Nella scuola, il metodo è il percorso che conduce all’apprendimento; esso riguarda il


come insegnare, ma ha origine dall’intreccio di più fattori:
a) che cosa si intende insegnare: i concetti (nuclei, saperi, discipline, contenuti);
b) a chi è rivolto l’insegnamento: gli studenti, con le loro caratteristiche personali
(cognitive, emotive, relazionali) e con le loro potenzialità formative;
c) dove si svolge l’insegnamento: gli ambienti predisposti e/o reali (classi,
laboratori, luoghi professionali);
d) con chi si svolge l’insegnamento e l’apprendimento: i contesti delle interazioni
formative (gruppi di lavoro, di studio, tutoraggi, collaborazioni, ripartizioni di ruoli
e compiti);
e) in quale ambito operano l’insegnante e gli allievi: le situazioni in cui agiscono
per insegnare e imparare (disciplinari, professionali, familiari, sociali, ludiche);
f) che cosa si usa per insegnare e apprendere: gli strumenti, un tempo solo i libri
e i sussidi didattici, oggi amplificati dalle TIC (tecnologie dell’informazione e della
comunicazione) dedicati o meno alla didattica.
La determinazione del metodo didattico serve a due scopi fondamentali: a) favorire
l'acquisizione da parte degli allievi degli schemi concettuali e delle competenze disciplinari
e trasversali, nel raccordo tra profilo formativo in ingresso e in uscita; b) facilitare il
raggiungimento degli intenti educativi, ossia di quegli atteggiamenti, stili, padronanze
che più stabilmente incidono nella personalità dello studente.

Non è pensabile un contenuto senza un modo per accedervi.


Quando il contenuto è un sapere disciplinare, il modo diventa metodo.

5.1 IL METODO: PREDISPORRE PROCEDURE PER GOVERNARE PROCESSI

I metodi didattici22 sono modalità procedurali e processuali attivate dal docente, che
facilitano l'acquisizione significativa, stabile e fruibile di ciò che si offre con l'azione di
insegnamento. L’insegnamento è una proposta complessa, organizzata e vissuta, di
contenuti e di metodi, di valori e di strategie, di visioni del mondo e di tecniche operative.
In tale proposta il metodo si configura come l’itinerario, la procedura messa a punto e
organizzata dall’insegnante. L’itinerario si trasforma in percorso da seguire, in processo
reale e vissuto, al fine di ottenere risultati validi e affidabili nello studio dell’allievo e
nell'azione didattica.
Il metodo è insieme:
- l’itinerario disegnato, predisposto, costruito dall’insegnante e
- il percorso di apprendimento messo in atto dall’allievo.
Il compito specifico di un metodo didattico è di creare le condizioni che consentano
l'attivazione delle operazioni intellettuali necessarie all'assimilazione dei contenuti
dell'apprendimento nella struttura conoscitiva dell'allievo, e alla riorganizzazione di tale
struttura.

22
Dal greco méthodos: “via che conduce oltre”.

70
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

La metodologia, a sua volta, può essere definita come discorso sul metodo; è
riflessione e analisi dell’efficacia e della qualità degli itinerari e dei percorsi didattici. Il
compito della metodologia è di ricercare e studiare, correttamente e criticamente, i
metodi di insegnamento, di provarne la validità, di tradurli in modelli operativi atti a
costruire, analizzare e migliorare l’azione formativa.
Nella scuola secondaria il metodo di insegnamento è spesso fuso (e talvolta confuso)
con il metodo di ricerca delle discipline, e interpretato secondo i personali stili
comunicativi del docente. Per esempio, se insegno “Storia dell'arte” va benissimo che io
mi avvalga del metodo e delle tecniche di studio e di ricerca utilizzati dallo storico
dell'arte, ma tale metodologia va configurata a seconda:
a) degli studenti, rispetto alla loro età anagrafica e al loro specifico processo di
sviluppo cognitivo e dell'apprendimento (14,19, o 23 anni non sono la stessa cosa),
b) dell'indirizzo di studio e del peso formativo che la disciplina "storia dell'arte" ha
all'interno dell'indirizzo (è sufficiente pensare al diverso modo di porsi nei confronti della
“storia dell'arte” da parte di uno studente liceale classico, scientifico, o artistico).
Altre volte gli insegnanti si preoccupano di definire solo gli obiettivi e i contenuti,
adducendo la giustificazione che il metodo si stabilisce al momento e di volta in volta,
altrimenti ingabbia la creatività individuale. Il metodo non va considerato in modo isolato
e indipendente dagli altri elementi della progettazione didattica. Va, invece, coniugato e
connesso in maniera assai stretta almeno con tre altri aspetti:
- la determinazione del profilo d’ingresso degli allievi e del potenziale
d’apprendimento diagnosticato e riconosciuto, anche dagli studenti;
- la definizione del profilo formativo in uscita (fissando gli obiettivi nelle soglie di
competenze/padronanze attese, conclusive o in itinere);
- la selezione dei saperi disciplinari, intesi come mediatori scientifici e culturali.23
Naturalmente non è possibile giungere alla elaborazione di un metodo se non si sa
dove si vuole arrivare (obiettivi) e, qualora si intendesse impostare un metodo valido e
efficace, occorrerebbe considerare attentamente sia gli stili e i modi che l’allievo attiva
per apprendere (struttura conoscitiva dell'allievo) sia i nuclei concettuali, come
storicamente si sono determinati, ovvero i contenuti da apprendere (struttura
epistemologica della disciplina). Di conseguenza non è possibile affermare in astratto
l'esistenza di un metodo migliore di altri: solo misurandosi con la complessità del reale un
metodo potrà risultare adeguato, appropriato, opportuno o conveniente 24.
La scelta del metodo non può accodarsi agli altri nuclei fondamentali della
progettazione didattica (situazioni, obiettivi, contenuti, verifiche, ecc.); ma non può
neppure precederli: il docente che sa a priori quale metodo o quali tecniche utilizzerà,
indipendentemente dagli obiettivi e dai contenuti, dimostra che conosce solo quel metodo
e che intorno ad esso modella i propri insegnamenti e l'apprendimento degli allievi.

23
Ogni disciplina si presenta con valenze metodologiche plurali, sia nel suo farsi come disciplina
accademica, sia nel suo proporsi come disciplina-insegnamento. La mediazione scientifica e culturale
comporta la ricerca dei metodi e delle tecniche che accomunano (o per lo meno, avvicinano) i “modi”
dell’apprendere dell’allievo con i “modi” del sapere della disciplina.
24
“Il metodo diventa veramente il procedimento che garantisce la razionalità del lavoro didattico, ma
non esaurisce il lavoro didattico. Esso è uno strumento indispensabile ma non unico della didattica;
soprattutto non è elaborato una volta per tutte, ma è soggetto a variazioni, a cambiamenti, a
trasformazione, in funzione della sua applicazione guidata dai principi della didattica come scienza.” (T.
Tomasi, Il metodo nella storia dell’educazione, Loescher, Torino 1985, p. 27)

71
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Esempio. Un insegnante che ama parlare agli studenti, spiegare, raccontare, …


tenderà a svolgere il suo ruolo sempre in questo modo, anche quando sarebbe più utile
un’attività di laboratorio o una dimostrazione pratica o un confronto dialettico. Per altro
verso, ci sono docenti (specialmente nelle discipline tecniche o professionalizzanti) inclini
ad utilizzare ovunque il principio “learning by doing” (imparare facendo) anche quando
sarebbe necessario pensare e modellizzare, riflettere e ragionare su principi e teorie. Ci
sono insegnanti che, se potessero, svolgerebbero tutta la didattica con il computer; altri,
entusiasti dal cooperative learning, pensano che esso risolva tutti i problemi
dell'apprendimento.
È un errore professionale assolutizzare un metodo, in quanto: 1) non tutti gli studenti
presentano stili e potenzialità affini a quel metodo, 2) non tutti gli argomenti, e neppure
tutti i processi cognitivi che si intendono sviluppare, si insegnano bene (e si imparano
bene) con quel metodo.
Il metodo necessariamente si presenta duttile e adattabile, poiché deve
continuamente modificarsi, in termini procedurali, con ciò che si va ad insegnare, e
commisurarsi, in termini processuali, nei confronti di coloro ai quali si insegna.

5.1.1 Non basta la tecnica

Il metodo si avvale di tecniche, ma non si identifica con le tecniche. La scelta di un


metodo è strategica e risolutiva, coerente con l’elaborazione teorica di riferimento o con
le finalità del processo formativo. La scelta di una tecnica è strumentale, tattica, legata a
situazioni particolari, determinata dagli obiettivi immediati da raggiungere. Al riguardo,
G. Mialaret25 offre una precisa distinzione: il metodo educativo è un insieme più o meno
ben strutturato, più o meno coerente, di intenzioni e di realizzazioni orientate verso uno
scopo esplicitamente o implicitamente enunciato. La tecnica è, invece, un insieme più o
meno coerente di mezzi, di materiali, di procedure, che può avere una finalità in sé e che
può essere al servizio di metodi pedagogici diversi.
“La tecnica didattica è l’insieme, la successione dei procedimenti impiegati per arrivare
ad un risultato. Una tecnica corrisponde a un insieme di azioni concrete stabilizzate che si
scompongono in procedimenti, ciascuno dei quali ha il suo modo d’impiego”26.
Oggi diversi modelli di curricolo (ad es., la didattica per concetti, quella per
padronanze, o quella per situazioni) non separano in modo netto la fase strategica di
progettazione da quella dell’azione didattica con gli allievi: in tali proposte si fa largo uso,
in modo integrato, di tecniche attive27, in cui lo studente è molto coinvolto e partecipe,
co-costruttore, del suo apprendimento.

25
G. Mialaret, Le scienze dell’educazione, Loescher, Torino 1978. Per Mialaret, l’insieme di metodi e
tecniche costituisce la didattica, cioè la prassi educativa, che consente di insegnare una particolare
disciplina, o un determinato insieme di saperi o di specifiche competenze.
26
P. Goguelin, J. Cavozzi, J. Dubost, E. Enriquez, La formazione psicosociale nelle organizzazioni,
Isedi, Milano 1972, p.92.
27
Prenderemo in considerazione, in seguito, cinque gruppi di tecniche attive: a) le tecniche
simulative (come il role playing o la simulata su copione), b) tecniche di riproduzione operativa
(come le dimostrazioni e le esercitazioni); c) tecniche di analisi della situazione (come lo studio di caso o
l'incident); d) tecniche di apprendimento insieme (come il brainstorming e il cooperative learning); e)
tecniche di apprendimento nell’azione (l’action, situated, incidental, service learning).

72
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.1.2 Dai princìpi di metodo alle azioni in classe


Ci sono diversi metodi, e infinite tecniche, per insegnare, ma tutti si fondano su alcuni
principi che improntano le azioni didattiche. Ecco i più importanti:
1) il desiderio del sapere: soltanto l’insegnante che vive il “sapore profondo” della sua
disciplina, che lo sa “gustare” traendone emozioni intellettuali, può condividere con gli
studenti questa esperienza. Il docente che vive con passione ciò che insegna, “colora”
il sapere, lo rende attraente e desiderabile, illumina la strada che sta percorrendo
insieme agli studenti. Non basta il piacere di insegnare, deve piacere ciò che si
insegna, in caso contrario… è meglio lasciar perdere! «Senza il desiderio di sapere
non c'è possibilità di un sapere legato alla vita, capace di aprire porte, finestre,
mondi». (Recalcati28, 2014: 61);
2) la significatività: l'azione didattica garantisce la mediazione concettuale tra il
sapere e lo studente, il collegamento tra le nuove conoscenze e quelle già possedute
dall’allievo. Questo collegamento deve essere riconosciuto dallo studente, altrimenti
non c’è significatività. Lo studente possiede saperi suoi, sistemi di conoscenze e di
organizzazioni delle conoscenze che fanno parte della sua vita (pensiamo
semplicemente all'incommensurabile potenziale di conoscenza a disposizione degli
allievi con lo smartphone): se l’insegnante opera ignorando i saperi dell’allievo e le
sue possibilità di accesso autonomo ai saperi, per un verso svaluta la persona (non
riconosce il valore dei saperi dello studente) e per l’altro perde un’ottima possibilità
per facilitare sia l’insegnamento che l’apprendimento 29;
3) la motivazione: l'intervento per esser efficace promuove tutti i fattori che possono
determinare e stimolare l'attività del soggetto. La spinta all’apprendimento è
risultante da fattori di personalità, di contesto relazionale e di situazioni d’uso. Dal
punto di vista formativo le frammentate e contraddittorie motivazioni adolescenziali
devono diventare terreno di analisi metacognitiva e di ricerca condivisa. «Perché
devo studiare ’sta roba?»: una domanda di questo tipo, implicita o esplicita che sia,
non può rimanere sospesa, deve sempre essere risolta. Con gli adolescenti la
soluzione non sta nell’offrire loro soluzioni precostituite, né dettate dal dogmatismo
programmatico («Sta scritto nei programmi …, Devi saperlo per l’esame …»), né
dettate dalla nostra esperienza e dal nostro buon senso («Ti servirà quando dovrai
imparare …, Io l’ho trovato molto utile. …»). L’adolescente accetta solo se
comprende, si riconosce nell’idea del gruppo per attivare percorsi di ricerca e, in
ultima istanza, risponde autonomamente ai suoi “perché” con la riflessione
consapevole (auto-analisi metacognitiva).
4) la direzione: l'itinerario indicato dagli insegnanti serve per orientare
l’apprendimento verso gli obiettivi prefissati. Il principio di direzione promuove la
convergenza tra l’obiettivo didattico dell’insegnante e il senso formativo-esistenziale
dell’allievo. L'insegnamento è efficace se l'itinerario è costruito insieme, con lo
studente, se è personalizzato, o almeno negoziato. La costruzione partecipata del
curricolo dà senso all’azione didattica; lo studente non potrà più rifiutare l'offerta
formativa, poiché il percorso e la direzione sono stati decisi insieme;

28
Recalcati, Massimo (2014). L'ora di lezione. Einaudi: Milano.
29
Senza significatività l’insegnamento diventa inutile e/o molto pesante: se un argomento non
significa nulla per lo studente è inutile che l’insegnante prosegua imperterrito ed è anche molto
stressante ripetere continuamente sperando in una conversione illuminante. Sul versante dell’allievo,
senza significatività non c’è apprendimento ma addestramento!

73
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5) la continuità: il curricolo vissuto dallo studente deve lasciar trasparire l'unitarietà


nelle progressioni diacroniche (tra segmenti formativi in successione) e sincroniche
(trasversali alle diverse discipline, e connessi con offerte formative diverse). Il
principio della continuità riguarda la successione degli apprendimenti, secondo il
senso attribuito dallo studente (e non quello dell’insegnante) a tale successione; il
docente sa che cosa insegnare prima e che cosa insegnare dopo (diacronia); al
contrario, l’allievo spesso non ne capisce il senso (il verso, la direzione, che cosa
deve raggiungere) e assimila la successione (nel migliore dei casi) come logica di
causa-effetto. Più difficile, dal punto di vista metodologico, è la gestione della
sincronia: lo studente (come ogni essere umano) vive la propria vita secondo
unitarietà di senso (e “i semi della conoscenza che copiosamente versiamo” cadono di
volta in volta in terreni molto diversi). È difficile (e talvolta pare proprio impossibile)
riuscire a governare le diversità contingenti dell’adolescente; possono invece essere
governate le dissonanze di senso che l’organizzazione scolastica provoca. Per es.: le
prime due ore sono di lettere (lezione e interrogazione di letteratura), la terza di
fisica (laboratorio); oppure, le prime due ore sono di matematica (compito in classe),
la terza di storia: all’avvio della terza ora quanto tempo ci vuole agli studenti per
abbandonare il “senso” delle prime due ore ed entrare in quello dell’ora successiva?
Quanto influisce la coesistenza di emozioni e processi mentali diversi e confliggenti?
Quale potrebbe essere un’organizzazione modulare che riduce l’inutile dispendio di
risorse nell’insegnante e di talenti nell’allievo?
6) la ridondanza connettiva: l'apprendimento si ottiene ritornando più volte
sull'oggetto/processo di studio; non è la semplice ripetizione di qualcosa e tanto
meno la ripetizione sempre allo stesso modo (sarebbe inutile, noiosa e irritante). La
ridondanza connettiva dell'insegnamento serve a facilitare apprendimenti estensivi
(con connessioni orizzontali, per ampliare il campo di analisi e le possibilità d’uso) e
intensivi (con connessioni verticali, per andare in profondità in un argomento):
l'estensione attraverso processi di transfer e di generalizzazione, l’intensione con
l'analisi e l'approfondimento delle conoscenze e delle competenze;
7) l’integrazione: l'azione didattica favorisce il processo formativo mediante
l'integrazione interna, tra le discipline, superando l'eccessiva segmentazione, e
l'integrazione esterna, nel coordinamento delle diverse proposte formative, anche
provenienti dal territorio, funzionali al successo formativo. Lo studente vive molteplici
realtà formative, anche distanti tra loro, isolate e confliggenti; l’integrazione si
costruisce intorno all'allievo quando trova coerenze, complementarità e condivisioni
tra le discipline, quando porta nella sua esistenza quotidiana ciò che apprende a
scuola, e reciprocamente quando a scuola gli si riconosce il valore del suo
esistenziale;
8) l’organizzazione: l'intervento didattico organizzato non comprende solo la
strutturazione dei saperi; l’insegnante deve anche pianificare e gestire in modo
funzionale le attività, i tempi, gli spazi e le risorse a disposizione; lo studente
apprende dall’organizzazione didattica: se l’insegnante affronta e completa un
argomento importante negli ultimi dieci minuti della lezione, per l’allievo tale
argomento non sarà affatto importante;
9) la stabilizzazione: l'azione dell'insegnante, se per un verso punta allo sviluppo di
apprendimenti autonomi e originali, dall'altra deve assicurare regole e procedure
costanti, stabili (punti fermi, che potranno essere modificati qualora non risultassero
più validi e pertinenti); la divergenza adolescenziale è una ricchezza da educare con il
pensiero critico, la riflessione, la discussione; l’incertezza non può diventare uno
stato dell’Io, ma va indirizzata alla definizione della complessità e dei problemi;

74
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10) il consolidamento: il rischio di apprendimenti precari, fugaci e transitori è oggi


molto forte, considerata la sovrabbondanza di dati e informazioni. Il consolidamento
si oppone alla volatilità cognitiva valorizzando e sostenendo ciò che l'allievo va
apprendendo, con l'ampliamento e la personalizzazione delle situazioni, con
l'incremento e la diversificazione dei contesti d'uso, con la riorganizzazione degli
ambienti formativi.
11) la trasferibilità: la proposta didattica deve sollecitare il transfer delle conoscenze e
delle competenze, con la loro traslazione da un sistema a un altro (da un argomento
ad un altro, da una disciplina ad un’altra, ma soprattutto dal sistema scolastico alla
vita reale personale, da un sistema di codici (verbale, analogico, continuo) ad un
altro (visuale, digitale, non continuo), da un sistema di padronanza ad un altro). Il
transfer è un processo imprescindibile per l’apprendimento metacognitivo;
12) la differenziazione: il metodo è la strada per raggiungere la meta. Ma la meta, per
lo studente, è soltanto il traguardo di una tappa formativa. Se il docente prefigura un
itinerario, quell'itinerario dovrà garantire sia ingressi differenziati (dato che gli allievi
non sanno, o non sanno fare, le medesime cose, e anche le cose che tutti sanno, le
conoscono e le fanno in modi e forme differenti), sia, soprattutto, uscite differenziate
le quali, rappresentando il valore di ciascuno secondo specifici profili personali,
assicurino allo studente la possibilità di scegliere le strade da proseguire.
“Maestri si diviene non si nasce” l’insegnante oggi è un “facilitatore dell’apprendimento
[…] esperto e competente ricercatore delle strategie più adatte per rapportarsi con
l’allievo valutando nel suo complesso in itinere, tutti gli aspetti e le tappe del processo di
apprendimento che con lui ha cercato di avviare.” 30
Ma in concreto, che cosa deve fare l’insegnante?
Quali sono le azioni che un insegnante metterà in atto nell'interazione con gli studenti?
Ripercorriamo alcune di tali azioni proposte da G. Mialaret (1979, pp. 347-348).
 Variare gli stimoli allo scopo di mantenere l'attenzione degli allievi e di non cadere nella monotonia.
 Sensibilizzare al problema da trattare, in modo da predisporre un terreno fertile alle nuove
conoscenze.
 Ricapitolare e integrare le conoscenze; in altri termini, saper fare un bilancio cognitivo, una sintesi,
delle associazioni e dei transfer.
 Ricorrere al silenzio e alle indicazioni non verbali.
 Rafforzare la motivazione e la partecipazione dello studente; si potrebbe dire: incoraggiare e
sostenere l'allievo nella fatica di apprendere.
 Saper delimitare i problemi.
 Controllare la comprensione degli studenti.
 Saper porre dei problemi complessi.
 Porre dei problemi discriminatori.
 Essere sensibile alle reazioni degli allievi.
 Ricorrere alle immagini e agli esempi.
 Raffinare la tecnica d'esposizione.
 Suscitare una comunicazione completa nella classe.
Le azioni illustrate, benché possano sembrare dettate dal buon senso (cosa per altro non disdicevole),
sono frutto della competenza esperta, di esperienze e riflessioni, di modelli sperimentati e ricerche
applicative. Qualcuna di esse può risultare più un’intenzione che un’azione: ciò va ascritto alla difficoltà
di operazionalizzare un modello senza la definizione del contesto in cui si dovrebbe situare l’azione. In
altre parole, è sufficiente individuare una situazione d’uso (“se volessi insegnare questo concetto agli
studenti”) e l’intenzione diverrà azione concreta.

30
T.Tomasi, Il metodo nella storia dell’educazione, Torino, Loescher, 1985, p. 30

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Tra i molteplici metodi di insegnamento ne troviamo alcuni particolarmente indirizzati


alla scuola secondaria: in particolare il metodo espositivo nelle diverse forme di LEZIONE;
il LABORATORIO, un metodo operativo per lo sviluppo del saper agire, ossia di un saper
fare intelligente e riflessivo; la RICERCA SPERIMENTALE intesa come modello del metodo
investigativo e la RICERCA-AZIONE come modello del metodo euristico-partecipativo; il
MASTERY LEARNING come modalità di organizzazione dell'insegnamento basato
individualizzazione dei ritmi e dei tempi di apprendimento, in particolare per gli studenti
in difficoltà.

Nello svolgimento di una unità di apprendimento si possono utilizzare più metodi e


più tecniche, non semplicemente sulla base dei concetti e delle conoscenze da
insegnare/imparare, ma soprattutto in funzione dei processi e degli atteggiamenti
da attivare / promuovere / costruire negli studenti.

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5.2 IL METODO ESPOSITIVO: I MOLTI MODI DI FARE LEZIONE

La lezione costituisce una modalità di presentazione, o di esposizione didattica,


prevalentemente supportata dalla comunicazione orale. Appartiene ai metodi
denominati espositivi, che possiamo distinguere in tre tipi differenti:
 Metodo espositivo puro. Comporta la trasmissione unidirezionale dell'informazione.
L’insegnante spiega e gli studenti ascoltano. Benché presupponga l’ascolto attivo da
parte dell’allievo, il metodo espositivo puro si basa su una concezione sostanzialmente
ricettiva dell'apprendimento.
 Metodo espositivo interrogativo. Durante l'esposizione o alla fine di essa
l’insegnante formula domande agli studenti. Lo scopo fondamentale dell’interrogazione
è il feedback: verificare se il messaggio è stato compreso correttamente e, in caso
negativo, modificarlo e riformularlo.
 Metodo espositivo partecipativo. Durante la lezione gli studenti possono porre
domande e intervenire secondo modalità negoziate: periodi di ascolto (fase passiva) si
alternano a periodi di intervento (fase attiva). La partecipazione degli studenti si
completa con esercizi applicativi o altre attività comuni.

5.2.1 La lezione: ma è proprio così dannosa?

Nella scuola secondaria è ancora molto frequentata la tecnica espositiva chiamata


lezione cattedratica o ex cathedra. Poiché in essa predomina il metodo espositivo
puro, è diventata oggetto di forti critiche in quanto:
 sviluppa esclusivamente le funzioni intellettive;
 utilizza prevalentemente il linguaggio verbale;
 non considera né il ritmo né la durata della capacità di attenzione degli studenti;
 non tiene conto degli interessi, delle curiosità, delle motivazioni degli allievi;
 con la comunicazione monodirezionale mantiene gli studenti in uno stato di ricettività
passiva;
 risulta faticosa se sviluppata in modo intenso e continuativo;
 la sua efficacia è limitata ai primi processi dell'apprendimento, relativi alla percezione
e all'acquisizione delle conoscenze, e non considera i successivi processi di
assimilazione, di accomodamento, di consolidamento, ecc.;
 riduce al minimo l'interazione tra insegnante e studente, e tende ad annullare
l'interazione tra gli studenti stessi;
 limita la valutazione al solo controllo delle capacità mnestiche, ed in particolare alla
memoria verbale e riproduttiva;
 nega agli allievi la possibilità di contrastare l'informazione ricevuta con proprie
riflessioni o con giudizi critici;
 nella realtà si presenta per lo più come ripetizione di ciò che è esposto nei libri di
testo, o in fonti bibliografiche accessibili, che possono essere consultate direttamente
dagli studenti.
Se questi sono i limiti riconosciuti della lezione, come mai è dominante nella
formazione secondaria e terziaria, in particolare nelle discipline umanistiche, e comunque
per ciò che riguarda l’insegnamento di concetti e teorie? A ben vedere, l'esposizione
verbale, se ben organizzata, torna didatticamente utile in determinate circostanze in
quanto:

77
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 è efficiente; la trasmissione informativa è condensata: in breve tempo si presentano


numerosi contenuti, dati e informazioni;
 è definita, l’argomento o il tema della lezione è delimitato, e necessariamente
strutturato in procedure sequenziali;
 pone le basi e organizza il campo per lo studio individuale o di gruppo;
 presenta modelli di razionalità e codici linguistici e semantici impostati secondo le
regole della struttura e dell’epistemologia disciplinare.
Al di là dei limiti e dei vantaggi connessi alla lezione, è stato ampiamente dimostrato
come la sua efficacia dipenda in massimo grado dalle competenze personali del
docente, ossia quanto egli sia competente nel:
 costruire interventi eccellenti, ricchi e articolati nei contenuti e, insieme,
affascinanti nel coinvolgimento espositivo;
 personalizzare l’esposizione, rapportandola alle caratteristiche del gruppo,
adattando i codici linguistici, semantici ed esperienziali senza abbassare la qualità
dell’insegnamento;
 coinvolgere gli studenti con strategie partecipative, limitando i suoi monologhi;
 impiegare correttamente sussidi, strumenti e tecnologie, al fine di integrare la
comunicazione verbale con altri linguaggi particolarmente praticati dagli adolescenti.
Quanto alle modalità d’uso della lezione, in un corso di studi assistiamo a differenze
anche macroscopiche: alcune discipline adottano la lezione come metodo principale (dove
l’intervento didattico si risolve semplicemente in lezioni e in valutazioni), altre riservano
alla lezione il momento teorico (a scopo espositivo-informativo, prima di eventuali
applicazioni pratiche, o a scopo riflessivo-riepilogativo, dopo procedure di problem
solving), altre ancora adottano raramente l’impostazione espositiva, operando per lo più
secondo procedure laboratoriali.

5.2.2 Non c'è un solo modo di fare lezione

Storicamente nella scuola sono andate affermandosi tre distinte modalità fondamentali
di svolgere la lezione; già R. Titone (1959) distingueva la lezione centrata sul contenuto
(logocentrica), dalla lezione centrata sull'allievo (psicocentrica), e dalla lezione centrata
sull’azione spontanea (empiriocentrica). Come per tutte le classificazioni, anche queste
modalità sono proposte come modelli di analisi: la realtà, complessa e composita, chiede
al docente forme metodologiche in diverso modo integrate. Ma, poiché l’integrazione
perfetta è un’utopia, è opportuno individuare e riconoscere le diverse “centrature”, ossia
le tipologie che tendenzialmente si utilizzano con maggiore frequenza.
La lezione centrata sul contenuto (o logocentrica) è la lezione tradizionale, la
“conferenza” dell’esperto. L’attività grava completamente sul docente. L’oggetto
sostanziale della lezione logocentrica è la materia di conoscenza. La sua finalità è
impartire una determinata quantità di contenuti-concetti, che delineano la struttura
logica della disciplina. Metodologicamente procede dal semplice al complesso. Il libro di
testo ed eventuali altre fonti bibliografiche sono gli elementi indispensabili, intorno ai
quali si sviluppa l'attività didattica. L'organizzazione spaziale dell’aula comporta la
disposizione allineata degli studenti, per far sì che tutti possano vedere il professore. Il
contenuto viene spesso presentato con proiezioni di schemi e di immagini. La
comunicazione è monodirezionale. Una lezione logocentrica può, perciò, essere proposta
anche ad un grande gruppo (80/100 studenti) riunendo più classi. La lezione logocentrica
ha raggiunto il suo scopo quando i contenuti sono presentati e sviluppati dal docente con
rigore scientifico e chiarezza espositiva.

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Nella lezione centrata sull'allievo (o psicocentrica) l'elemento di riferimento non è


la materia di conoscenza ma il soggetto che apprende. In questo caso si presta
particolare attenzione al processo di apprendimento, agli interessi e alle competenze
degli studenti. Il ruolo del docente non è di impartire contenuti, ma di stimolare, di
facilitare, di orientare il lavoro degli studenti, di progettare ambienti favorevoli
all'apprendimento. Metodologicamente procede da ciò che l’allievo conosce al nuovo che
ignora. Gli studenti sono ripartiti in gruppi di diversa ampiezza, in funzione del tipo di
attività da realizzare. Lo spazio è utilizzato in modo da permettere una migliore
comunicazione tra gli allievi, generalmente disposti in forme circolari, ellittiche, o a ferro
di cavallo. La comunicazione nella lezione centrata sull’allievo diventa multidirezionale. La
lezione centrata sull'allievo enfatizza il ruolo dello studente come protagonista della sua
formazione e attribuisce al docente la responsabilità di creare i contesti cognitivi,
psicologici e formativi entro il quale si svilupperà l'apprendimento.
La lezione centrata sulla azione (o empirocentrica) si basa sulla produzione
organizzata degli studenti31. La competenze fondamentali del docente sono quelle di
progettare, organizzare e gestire un laboratorio di ricerca e sperimentazione. Questa
lezione si sviluppa in tre fasi:
 Avvio e pianificazione. La classe, nel suo insieme, decide di affrontare un determinato
tema. Può trattarsi di un argomento occasionale (emergente dall’attualità, sia essa
culturale, sociale o scientifica) o di attività programmate antecedentemente: in ogni
caso l’azione va decisa in gruppo.
 Sviluppo delle attività. Gli studenti realizzano determinate attività di studio e
riflessione, applicazione di procedure, attività di ricerca e sperimentazione guidata. Gli
allievi operano in piccoli gruppi e il professore dirige il lavoro.
 Conclusione e valorizzazione. Gli studenti espongono i risultati alla classe, si discutono
i risultati e le procedure utilizzate, si individuano gli elementi di interesse e i punti di
criticità. Compito del docente, nel coordinare l’azione conclusiva, è di valorizzare i
singoli apporti conducendoli alla generalizzazione in modelli, princìpi e teorie.
La lezione centrata sull’azione tiene conto delle esperienze e degli interessi degli
studenti come base per il progetto dell’intervento formativo.
Tra quelle esaminate, soltanto la lezione centrata sul contenuto risponde
compiutamente alle caratteristiche del metodo espositivo, con il docente che funge da
oratore e da divulgatore. Le altre tipologie, fortunatamente, presentano diffuse
contaminazioni con altri metodi più aperti al confronto, al feedback e all’azione con
l'allievo e tra gli allievi.

5.2.3 Come organizzare l’esposizione


Certamente non tutta l’attività didattica si risolve nel fare lezione, ma in ogni attività
didattica c’è un momento espositivo, in cui l’insegnante presenta e partecipa agli allievi il
sapere.
Dal punto di vista strutturale, ed è ormai un luogo comune, l’esposizione può essere
scomposta in tre fasi in progressione: iniziale o introduzione, centrale o corpo, finale o

31
I princìpi su cui si basa la lezione centrata sull’azione sono stati ripresi e approfonditi, negli ultimi
anni, dal Cooperative Learning, un’impostazione metodologica centrata sul lavoro cooperativo tra gli
allievi.

79
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conclusiva. Non sono invece luoghi comuni i significati didattici attribuiti alle azioni
promosse in ciascuna fase: l’impostazione, l’articolazione e la logica di successione delle
attività si differenziano sulla base dei modelli teorici e metodologici di riferimento.
Analizziamo le tre fasi individuando le funzioni specifiche per ognuna di esse e le azioni
che, secondo l’ottica della comunicazione formativa e quindi indipendentemente dalle
proprie concezioni, possono essere attivate dal docente.

1) L’avvio dell’esposizione per catturare


Lo scopo della fase iniziale è di costruire le condizioni necessarie per un’adeguata ricezione del
messaggio. Funge da collegamento tra le conoscenze pregresse e l'argomento della presentazione. Il
modo di cominciare determina il coinvolgimento degli studenti per tutta la sua durata. In essa si
integrano le seguenti azioni:
 Determinazione dell’argomento e degli obiettivi. Quale tema o argomenti si svilupperanno?
Quali obiettivi di apprendimento dovranno essere raggiunti al termine della presentazione?
Queste informazioni vanno specificate fin dall’inizio; devono essere comprese e condivise, perché
incidono sulla motivazione negli allievi. Gli argomenti della presentazione vanno delimitati sulla
base a) della complessità della tematica da affrontare e b) della difficoltà di assimilazione nel
successivo lavoro di studio individuale dell’allievo. Nel complesso rapporto tra la presentazione e
lo studio personale si impongono due interrogativi: 1) Durante la presentazione è opportuno
tralasciare ciò che lo studente può facilmente apprendere da solo? 2) Qual è il momento più
opportuno per seguire l’argomento: prima o dopo lo studio individuale? Le risposte
presuppongono tipologie diverse di esposizione, ed anche differenti metodi di studio.
 Individuazione, selezione e condivisione dei saperi preesistenti negli studenti. Una volta condiviso
l'argomento da trattare, vanno individuati i saperi naturali, ovvero le preconoscenze (scientifiche
o ingenue), possedute dagli studenti su tale argomento. I saperi degli allievi vanno conosciuti e
manifestati, selezionati in base alla validità scientifica e al valore formativo, e condivisi da tutto il
gruppo in apprendimento. Queste azioni sono necessarie poiché permettono la generazione di
connessioni tra i nuovi contenuti e le conoscenze possedute dall'allievo. Esse rinforzano
l'apprendimento e consentono di verificare se lo studente sia provvisto o meno delle conoscenze
immediate indispensabili per accedere positivamente all’argomento in questione.
 Promozione della motivazione iniziale. Le attività e gli atteggiamenti del docente, soprattutto
nella fase di avvio della presentazione, sono improntati a costruire disposizioni positive e
favorevoli da parte degli studenti verso il contenuto. Il momento iniziale è decisivo dal punto di
vista motivazionale, perciò l’insegnante adotterà le tecniche comunicative e relazionali più
opportune per attrarre e interessare.
 Creazione del clima. I comportamenti del docente incidono significativamente nel determinare il
clima di classe: gli studenti possono sentirsi liberi di esprimersi con naturalezza o bloccati dal
comportamento dell’insegnante; possono provare sensazioni di tranquillità o di ansia. Una
relazione personale tra insegnante e allievi, affettivamente neutra, che poggia su una solida base
di intendimenti e comprensione reciproca, costituisce un supporto indispensabile per ottenere
risultati efficaci32.

32
Gordon (1988) sostiene che la relazione docente-allievo è buona quando esiste: a) sincerità, b)
trasparenza, c) interesse, d) interdipendenza, e) individualità, f) soddisfazione reciproca dei bisogni.

80
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2) Il corpo dell’esposizione per puntare all’essenza


La fase centrale, o corpo dell’esposizione, si compone di azioni messe in atto dall’insegnante che
costituiscono il nucleo essenziale della lezione, e comprendono:
 Sviluppo ordinato e coerente. Anche di fronte ad una struttura concettuale complessa, reticolare
e non lineare, è necessario mettere in evidenza e giustificare le sequenzialità logiche nella
progressione dei contenuti e la coerenza dei percorsi adottati.
 Transfer delle conoscenze. L’insegnante fa espliciti riferimenti ad esperienze vissute dagli studenti
(transfer esistenziale) o a temi e concetti precedentemente sviluppati in classe (transfer
disciplinare). Lo scopo del transfer è duplice: a) di ampliare le prospettive di utilizzazione e b) di
motivare l'allievo nei confronti di contenuti che considera inutili. Con il transfer, attraverso la
scoperta di analogie e differenze tra l’argomento della presentazione e elementi della vita reale (e
scolastica), lo studente percepisce l’importanza e la funzionalità della nuova conoscenza.
 Stimolo continuo verso l’obiettivo. Si tratta di tutte quelle azioni messe in opera dal docente per
mantenere vivo l'interesse nella direzione voluta. Il compito dell'insegnante è di custodire il senso
e lo scopo dell'azione didattica, favorendo o contrastando gli interventi della classe a seconda
della loro coerenza verso l'obiettivo negoziato.
 Uso formativo della ridondanza. Consiste nel reiterare i concetti fondamentali, nel ripercorrere i
passaggi logici più importanti, allo scopo di chiarire, consolidare e rendere possibile un’adeguata e
personale organizzazione mentale delle conoscenze acquisite. La ridondanza non è la semplice
ripetizione, in copia, di un argomento; è invece la riproposizione dell’argomento, in altri contesti
d’uso o in altre situazioni, con termini e codici diversi, affiancata da esempi, casi, metafore,
immagini.
 Rinforzi tematici. Si tratta di cogliere gli elementi, come concetti o principi, eventi o situazioni, di
particolare interesse per gli studenti e avvertiti come problematici, e di approfondirli per
rinforzare l’apprendimento.
 Feedback parziali. L'insegnante mette in atto osservazioni e controlli al fine di assicurarsi che i
contenuti proposti siano compresi dagli studenti. I feedback possono essere espliciti, a seguito di
precise domande poste dal docente, o impliciti, dedotti dai comportamenti e dagli atteggiamenti
degli allievi.
 Conclusioni intermedie. Sono delle temporanee sintesi dei concetti che via via sono stati
introdotti nella presentazione. Lo scopo è di permettere l’orientamento nell’articolazione dei
nuclei concettuali dell’argomento presentato. Con le conclusioni intermedie, il docente,
ricapitolando il percorso effettuato, stabilisce lo stato della conoscenza raggiunto.
 Uso degli esempi. L’insegnante utilizza citazioni, esempi, analogie, situazioni e casi reali allo scopo
di chiarificare l'argomento trattato, per confermarne o falsificarne la validità. Gli esempi dovranno
essere adeguati alle caratteristiche (cognitive, esperienziali e linguistiche) degli studenti.
 Uso dei mezzi didattici. Nello sviluppo della presentazione i sussidi audiovisivi e supporti
multimediali aiutano (se pertinenti) la chiarezza espositiva del messaggio e quindi facilitano
l'apprendimento. Va ricordato che essi non devono mai sostituire il docente (come avviene,
invece, nelle procedure di autoistruzione), il loro compito è quello di integrare la comprensione
dell’esposizione verbale dell’insegnante.

Anche il buonumore dell’insegnante contribuisce a creare un clima positivo in classe: è un ottimo


antidoto contro la serietà affettata, dietro la quale certi insegnanti mascherano le proprie insicurezze.

81
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 Partecipazione dello studente. Il docente utilizza produttivamente le idee degli studenti per
rinforzare, chiarire e approfondire aspetti importanti dell'argomento. Per stimolare la scoperta
autonoma eviterà di trasmettere tutti i contenuti elaborati. La partecipazione degli studenti,
accanto all'apporto di idee, richieste di chiarimenti, esposizioni di esperienze personali, include la
realizzazione di esercizi applicativi individuali o di gruppo.

3) La conclusione per connettere


La fase di chiusura è il completamento della presentazione. Spesso sovrastata dalla fretta degli
ultimi secondi, la conclusione è un momento fondamentale per i processi di consolidamento
dell’appreso, di analisi per ulteriori approfondimenti, di mantenimento dell’interesse personale. In
questa fase si comprendono le seguenti azioni:
 Riassunto finale. È la sintesi conclusiva generale; serve a consolidare i concetti più importanti e a
proporre alcuni interrogativi per stimolare la curiosità intellettuale degli studenti.
 Controllo finale. Si tratta di sondare e stabilire il livello medio di riconoscimento, comprensione e
personalizzazione dei contenuti proposti; con il controllo si verifica il raggiungimento degli
obiettivi prefissati.
 Assegnazione dei compiti complementari. Non si tratta qui semplicemente di prescrivere i
compiti da svolgere a casa, ma di offrire i rimandi immediati, le attinenze e le connessioni per
l'approfondimento e lo studio, individuale o di gruppo.
 Presentazione di riferimenti anticipati. L’insegnante presenta, a grandi linee, il tema o
l’argomento della presentazione successiva, mettendone in rilievo i collegamenti concettuali e la
progressione di sviluppo con l’esposizione appena conclusa.
 Clima finale. Comprende tutte le azioni, i comportamenti e gli atteggiamenti del docente che
danno luogo ad un clima nel gruppo partecipe e interessato, tale da contribuire a motivare gli
studenti verso la sessione successiva.

Tre fasi, una ventina di azioni: ma è così complicato anche una “semplice” lezione? No,
non è complicato. E non serve neppure mettere in atto tutte azioni indicate in un’unica
esposizione.
L’insegnante dilettante mitizza la procedura, l’insegnante con molta esperienza
considera per lo più i processi, l’insegnante professionista gestisce i processi attraverso le
procedure e le modifica se non sono efficaci.

82
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5.3 IL METODO LABORATORIALE.


INSEGNANTE E ALLIEVI APPRENDONO INSIEME

5.3.1 Caratteristiche didattiche del laboratorio

Il laboratorio è:
 Un’attività prevalentemente pragmatica, in cui si fa qualcosa per uno scopo, ad
integrazione di un insegnamento prevalentemente cognitivo. Con le antiche
rappresentazioni, l’aula è il luogo della teoria, il laboratorio è il luogo della pratica;
con le nuove, l’aula è il luogo del “pensiero per l’azione”, il laboratorio è il luogo
dell’”agire riflessivo”. Se si supera la frattura teoria-pratica, l’aula-laboratorio diventa
il luogo di costruzione della competenza nell’allievo, che connette il mondo del
problem solving reale con quello della riflessione.
 Un’attività di costruzione della conoscenza, in cui i nuovi saperi non si
sovrappongono semplicemente alle conoscenze già possedute, ma interagiscono con
queste permettendo una loro ristrutturazione attraverso nuovi e più ricchi modi di
connessione ed organizzazione. È perciò necessario trovare efficaci collegamenti tra i
contenuti dell’insegnamento e le diverse esperienze degli allievi. Così il laboratorio
diventa un’avventura conoscitiva (metafora dell’esplorazione di Bateson).
 Un’attività in cui si realizza la metacognizione: il laboratorio didattico mira ad un
processo di apprendimento che non incida solamente sulle abilità di base o acquisite,
ma anche sulle modalità della loro comprensione ed utilizzazione.
 Luogo di approccio cooperativo: il laboratorio è l’ambiente in cui si concretizza un
nuovo modello di insegnamento/apprendimento fondato sulle interazioni fra gli attori
del processo formativo. In laboratorio l’enfasi va posta sul rapporto tra esperienza
individuale e ricostruzione culturale affinché le teorie servano per rispondere ai
perché diventando significative e motivanti.
I processi didattici di laboratorio devono mirare sempre, sia all’acquisizione delle
competenze, sia al loro consolidamento, attraverso apposite attività. Alle attività di
apprendimento e di consolidamento si aggiungono anche attività di sviluppo
(approfondimento, ampliamento e arricchimento) che non siano meramente applicative.
Prima di essere “ambiente”33, il laboratorio è uno “spazio mentale attrezzato”, una
forma mentis, un modo di interagire con la realtà per comprenderla e/o per
cambiarla. Il termine laboratorio va inteso in senso estensivo, come qualsiasi spazio,
fisico, operativo e concettuale, opportunamente adattato ed equipaggiato per lo
svolgimento di una specifica attività formativa.

33
Tra le diverse tipologie presenti nelle scuole, sono noti i laboratori linguistici, i laboratori
informatici e quelli multimediali. In ambito scientifico, tecnico e professionale sono presenti i diversi
laboratori specialistici (di chimica, fisica, macchine utensili, …), quelli di ricerca e quelli
sperimentali. Negli indirizzi artistici, umanistici e sociali sono laboratori gli atelier artistici, teatrali e
musicali. Ovviamente ogni disciplina può essere insegnata secondo metodologie laboratoriali e
l’ambiente in cui si svolge l’azione formativa è fondamentale: provare una scena teatrale in classe o su
un palcoscenico è completamente diverso dal punto di vista dei processi formativi implicati; una reazione
chimica può essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un software in laboratorio di
informatica, può essere “realizzata” in un laboratorio di chimica: sono tre ambienti didattici che attivano
e producono tre diversi tipi di apprendimento. Si può pensare anche ad un laboratorio linguistico-
letterario, ad uno storico, e così via. In questo modo ogni disciplina potrebbe essere dotata di un proprio
laboratorio: nelle istituzioni scolastiche di altri Paesi in cui si spostano gli studenti da un’aula all’altra (e
non gli insegnanti, come avviene da noi), la didattica più facilmente “si lascia organizzare” secondo
metodologie laboratoriali.

83
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Dal punto di vista logistico il laboratorio della scuola secondaria dovrebbe essere un
locale a sé stante, appositamente costruito e corredato per produrre apprendimenti
specialistici34. Dal punto di vista formativo, il laboratorio si caratterizza per l’oggetto della
sua azione, vale a dire per l'attività che vi si svolge, che investe il soggetto operante 35.
Con il lavoro in laboratorio lo studente domina il senso del suo apprendimento,
perché produce per uno scopo, perché opera concretamente, perché “facendo” egli sa (o
ipotizza) dove vorrebbe arrivare e per quale motivo.
La didattica laboratoriale è il metodo per eccellenza per gli tutti gli allievi che
“imparano facendo”, ed in particolare per i soggetti con difficoltà specifiche o
generalizzate di apprendimento, per gli studenti con bisogni educativi speciali.
Un’eccellente pratica laboratoriale è rappresentata dai “laboratori del fare”: sono
attivi in diverse località italiane; non sostituiscono il tradizionale “fare scuola”; si
svolgono per lo più in orario pomeridiano.
Ad esempio, i Laboratori del Fare di Rovereto:
« - Sono nati essenzialmente per colmare il vuoto dei pomeriggi dove i giovani “si lasciano
vivere” e riempirlo di senso e significati, attraverso proposte ed attività utili per sé e per gli altri.
Non sono stati pensati come uno spazio per utenti, clienti, consumatori.
- Sono ambienti attrezzati, luoghi dove si lavora per ottenere un prodotto e dove c'è qualcuno
che opera, che mette mano a strumenti, a cose ed oggetti e che li produce.
- Laboratorio per noi significa soprattutto un contesto educativo che garantisce condizioni di
apprendimento. In questo senso i nostri attrezzi sono le strategie pedagogiche. L’esperienza
educativa, che si fa da noi, non è solo di relazione ma, prima di tutto, un’esperienza di espressione
di sé attraverso la messa in gioco e l’acquisizione di competenze.

L’esperienza del Fare. Si pensi, ad esempio, a come vengono valorizzate la capacità di


destreggiarsi senza grandi requisiti conoscitivi nel campo dell’informatica -ma non solo- delle
ragazze e dei ragazzi, recuperando in senso formativo le dimensioni ludiche con cui gli adolescenti
si rapportano con oggetti, strumenti, attrezzature anche sofisticate. Collocare la dimensione delle
competenze all’interno di un percorso di espressione materiale e concreta di sé, far fare ai ragazzi

34
Se nella scuola di base il laboratorio può anche avvalersi di strumenti e materiali “poveri”, nella
secondaria la povertà strumentale è portatrice di angustie concettuali. Talvolta, a causa della scarsità dei
finanziamenti o di risorse esperte, il laboratorio viene inteso non come lavoro produttivo, ancorché
protetto, ma come simulazione mentale o come rappresentazione concettuale di tale lavoro. Queste
rappresentazioni, che spesso non si avvalgono di spazi appositamente attrezzati, sono concettualmente
metacognitive: non si rifanno al metodo operativo, ma lo oltrepassano presupponendo la sua marginalità
intellettuale. Detto in termini più concreti: esiste (nella scuola) un diffuso primato della parola sull’azione
e questo, se è appropriato quando si perseguono competenze verbali e linguistiche, è fuori luogo quando
la competenza richiesta è artistica, scientifica, tecnologica, o comunque operativa; se voglio che lo
studente impari a fare qualcosa devo vederlo all’opera. Se invece di osservarlo mentre sta facendo, gli
chiedo di dirmi “come farebbe per …” non esamino la sua competenza (che è sempre “saper usare
conoscenze, abilità e capacità personali in situazione”), ma la sua rappresentazione metacognitiva.
Quest’ultima è importantissima dopo che l’allievo ha svolto l’azione, e serve per pensare sull’azione, per
costruire i concetti, per personalizzarli e consolidarli. Con gli studenti che presentano difficoltà
comunicative il laboratorio (“operativo”) è imprescindibile come metodologia d’avvio; solo
successivamente si potrà proseguire con processi di “verbalizzazione”, confronto e ragionamento
(coniugando azione e riflessione).
35
Nel laboratorio, come con gli altri metodi “coinvolgenti” il soggetto agisce, è attivo. L’essere attivo
del soggetto si può esplicitare in molti modi e ai due estremi ritroviamo due tipologie: l’attività
riproduttiva e quella produttiva; è attivo l’allievo che copia, che ripercorre la procedura richiesta, che
riproduce ciò che ha studiato; è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove strategie risolutive, che
produce qualcosa ex novo. Nel laboratorio si opera su entrambi i piani: ma lo scopo formativo del
laboratorio è quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è mai meramente applicativo
(ossia riproduttivo).

84
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

delle cose significa promuovere identità e costruttività, vuol dire lavorare per costruire, in loro e
con loro, pensiero progettuale e quindi creativo e critico. Il fare dei nostri Laboratori non è un fare
banale, tanto per tenere occupate le persone e contrastare l’ozio, quanto una dimensione
dell’apprendere.
Facendo si acquisiscono e si consolidano conoscenze (sapere), si praticano delle cose secondo
operazioni e procedure che attivano atti logici, pensiero e intelligenze (saper fare), si mettono in
gioco e si modificano i propri comportamenti (saper essere).”36

5.3.2 Principi di epistemologia operativa

Quali sono gli elementi fondamentali del metodo laboratoriale? A. Munari (1994) indica
alcune caratteristiche per un laboratorio di epistemologia operativa (= conoscere
attraverso l’azione).
L'attività proposta, nel laboratorio formativo, si deve prestare ad una manipolazione
concreta. Un’attività puramente verbale, senza il passaggio al trattamento reale, non è
sufficiente. Quando si parla si sottintendono cose date per scontate, che così non sono
quando si tenta di tradurle in attività tangibili.
L'attività deve implicare le operazioni cruciali. In una sessione di laboratorio non è
possibile fare di tutto: è necessario focalizzarsi su alcune operazioni principali. È
indispensabile che il docente sappia con precisione lo sviluppo della procedura che
intende centrare, anche se non è detto che di questo siano consapevoli gli studenti.
Costoro accetteranno di fare ciò che viene chiesto loro e, solo alla conclusione, in gruppo,
si discuterà sulle azioni compiute e sul risultato ottenuto.
L'attività non deve avere una soluzione unica. Questa affermazione può risultare
sconcertante per coloro che considerano il laboratorio come il luogo dell'esercitazione
meccanica, dell'addestramento concreto, dei passi obbligati. Ma non è questo il
laboratorio inteso come “spazio mentale attrezzato”, che richiede non una risposta
giusta, un'unica soluzione, ma più risposte e più soluzioni, tutte a vario titolo plausibili.
Le attività devono provocare uno “spiazzamento” cognitivo. L'esperienza di
laboratorio deve produrre dissonanza tra ciò che l'allievo conosceva e ciò che va
apprendendo mediante il lavoro. Deve indurre una maggiore motivazione negli studenti e
mantenere costante il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo. Le applicazioni
automatiche irrigidiscono il pensiero e rendono difficile la consapevolezza delle diversità
dei contesti e dei processi.
L'attività si deve situare ad una giusta distanza dalle competenze possedute. Le
abilità richieste nelle attività laboratoriali non possono collocarsi eccessivamente
distanti37 dalle competenze possedute dall'allievo, altrimenti costui utilizzerebbe soltanto
un approccio per tentativi ed errori. Per altro verso, le attività non possono neppure
identificarsi con le competenze possedute dell'allievo, che si troverebbe costretto a
svolgere un esercizio, e non a ricercare le soluzioni ad un problema.
Le attività devono comportare diversi livelli di interpretazione. Imparare in
laboratorio significa apprendere metodi che possono essere variamente applicati in

36
Da: http://www.laboratoridelfare.it/ldf.asp. Molto ricca di indicazioni operative la pubblicazione:
IPRASE TN (2007). Adolescenti e pensiero costruttivo. L’esperienza dei Laboratori del Fare a
Rovereto. Trento: Ed. Provincia Aut.TN
(download: http://try.iprase.tn.it/old/in05net/upload/doc/libri/U1011t3n730_Adolescenti.pdf).
37
Il significato della giusta distanza si rifà al principio di Vygotskij della zona di sviluppo
prossimale.

85
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

diverse situazioni; perciò un metodo diventa suscettibile di interpretazioni diverse


secondo l’angolo visuale adottato. Il gruppo di studenti in laboratorio viene chiamato a
proporre, condividere e sperimentare i diversi punti di vista.
Le attività devono possedere valenze metaforiche. L'attività laboratoriale non
richiede soltanto competenze di tipo esecutivo, così come non produce soltanto
apprendimenti di tipo operatorio-concreto. Operare in laboratorio significa fare
riferimento (ripensare) ad esperienze lontane ed eterogenee, e contemporaneamente
costruire, su quel pensiero, nuove esperienze.
Le attività devono coinvolgere il rapporto che ciascuno ha con il sapere. Nel
laboratorio l'azione e la riflessione si ritrovano intrecciati nella costruzione del sapere
individuale, attraverso continui processi retroattivi e proattivi. In tal modo il laboratorio
supera la perenne divisione tra teoria e pratica, tra principi e applicazioni, individuando il
sapere come conoscenza in azione.
Tutte le nuove impostazioni didattiche sono debitrici nei confronti della didattica
laboratoriale per le seguenti caratteristiche :
 Personalizzazione. Innanzitutto la personalizzazione degli obiettivi formativi sulla
base delle esigenze formative dei singoli alunni e la personalizzazione dei percorsi
di apprendimento (unità di apprendimento) sulla base dei livelli di sviluppo e di
apprendimento, oltre che degli stili e dei ritmi di apprendimento, degli interessi,
delle motivazioni e delle predilezioni dei singoli alunni.
 Operatività. Intesa come operatività della loro impostazione didattica. Nei
laboratori si attuano i principi metodologico-didattici del learning by doing
(apprendere attraverso il fare, è il modello dell’epistemologia operativa) e quindi
del problem solving e del cooperative learning.

86
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.4 IL METODO INVESTIGATIVO: LA RICERCA SPERIMENTALE

L'apprendimento per ricerca può attivarsi solo attraverso l'insegnamento mediante la


ricerca38. Oggi, la ricerca di base opera lungo due direttrici: la ricerca sperimentale
classica, connessa al metodo ipotetico-deduttivo e la ricerca-azione espressione del
metodo euristico partecipativo39. È opportuno che gli studenti dell'istruzione secondaria
approfondiscano entrambe le tipologie (anche contaminandole), benché la prima sia
tendenzialmente indirizzata alle scienze della natura e la seconda alle scienze dell’uomo.
Nella sua forma classica, il metodo investigativo (o ipotetico-deduttivo) segue il
percorso della ricerca sperimentale (ampiamente conosciuto) con le seguenti fasi:
 Individuazione e definizione del problema40.
 Analisi e selezione delle ipotesi.
 Delimitazione del campo della ricerca (dei fattori che interagiscono con il
problema).
 Campionatura (selezione degli elementi rappresentativi).
 Selezione delle fonti (da cui rilevare dati e informazioni)
 Registrazione ed elaborazione dei dati raccolti.
 Confronto e verifica delle ipotesi.
 Definizione del principio generale.

5.4.1 Inquiry Based Learning (IBL)


41
L’ Inquiry Based Science Education (IBSE) o Inquiry Based Learning (IBL) è
l’approccio pedagogico promosso dalla Commissione Europea (Rapporto Rocard 2007)
basato sull’investigazione, che stimola la formulazione di domande e azioni per risolvere
problemi e capire fenomeni.
Questo metodo prevede una sequenza di fasi innovativa rispetto ai consueti modi di fare
lezione. Gli studenti si confrontano con l’oggetto di studio (fenomeno biologico, variabili
climatiche, livelli d’inquinamento, strumenti di misura …), si pongono domande,
formulano ipotesi, le verificano attraverso esperimenti e ne discutono i risultati.
Per l’applicazione di questo metodo in classe è adottato il 5E Model programmando
l’attività attraverso le seguenti fasi: Engagement, Explore, Explain, Elaborate, Evaluate.

38
Il principio della specularità vale per tutti i metodi didattici, e presuppone una omologia di fondo
tra processi epistemologici, processi di insegnamento e processi di apprendimento. Vediamo di capirci:
tutte le discipline accademiche procedono con la ricerca (processi epistemologici), se voglio che gli allievi
imparino a fare ricerca (processi di apprendimento) non posso che sviluppare ambienti didattici di ricerca
(processi di insegnamento).
39
Accanto alla ricerca di base, ogni ambito disciplinare opera con proprie metodologie di ricerca. (Nei
corsi di indirizzo, tra i fondamenti si dovranno approfondire le specifiche “ricerche”: es.: ricerca storica,
ricerca filosofica, ricerca scientifica, ricerca in ambiti tecnologici, ricerca per l’apprendimento linguistico in
L1 e L2, …).
40
Il problema dev'essere qualcosa che suscita interesse, curiosità, conflitto cognitivo. Lo studente
deve vivere il problema come una sfida risolvibile facendo ricorso alle sue conoscenze, competenze ed
esperienze pregresse.
41
Da http://www.icvolpi.gov.it/2011-12/Discipline/Scienze/SINTESI%20metodo%20IBSE.pdf. Nelle
slide in http://www.unicam.it/geologia/unicamearth/download/seminario_scapellato.pdf una valida
descrizione della metodologia.

87
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Engagement. L’attività inizia sempre con l’osservazione di un fenomeno inquadrabile tra


i temi del modulo didattico, su cui gli studenti sono invitati a riflettere e a porsi
domande. In questa fase gli studenti sono lasciati liberi di esprimere le proprie
opinioni e osservazioni, sarà compito dell’insegnante raccogliere quelle più
significative ai fini dell’esperienza. Questa fase ha il compito di attirare l’attenzione,
stimolare la curiosità, indurre nello studente la sensazione di “volerne saperne di
più”. È la fase in assoluto più importante, perché dalla sua buona organizzazione
deriva la riuscita dell’intero percorso di apprendimento.
Explore. Una volta raccolte le domande su ciò che si desidera indagare, si indirizzano gli
studenti verso la fase sperimentale, chiedendo loro di ideare un esperimento che
possa dare delle risposte. È importante che l’insegnante sia pronto a ricevere
suggerimenti e proposte anche dagli studenti che intendano sperimentare il
fenomeno in modo diverso, affiancando tali idee a quelle del modulo. È
fondamentale che gli studenti identifichino le variabili in gioco e le sperimentino. Lo
scopo di questa fase è registrare dati, isolare variabili, creare grafici e analizzare i
risultati.
Explain. Gli studenti vengono introdotti a modelli, leggi e teorie. Si fornisce il vocabolario
corretto, che permetta loro di spiegare in modo scientificamente rigoroso i risultati
delle loro esplorazioni, stimolando la ricerca autonoma sul contesto studiato.
Elaborate. Gli studenti elaborano quanto hanno scoperto nelle fasi precedenti
applicandolo ad altre situazioni che possano fare emergere nuove domande e
ipotesi da esplorare. Gli studenti dovrebbero raggiungere il trasferimento
dell’apprendimento (transfer of learning).
Evaluate. L’ultima fase prevede la realizzazione di un prodotto finale che sarà valutato
mediante autovalutazione, valutazione dei membri del proprio gruppo e valutazione
da parte dell’insegnante. Il prodotto finale potrà essere discusso in vario modo:
davanti agli insegnanti e ai ricercatori, in un’occasione apposita, inquadrabile in una
giornata della Scienza, in una mostra o altro.

88
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

42
Tab. – Processi e tipologie di inquiry

42
Nella tabella manca la tipologia di inquiry confermativo (quella più semplice). Molto utile il blog di
Barbara Scapellato: http://ingredientesegreto.linxedizioni.it/2011/11/02/i-livelli-di-inquiry/ ,
http://ingredientesegreto.linxedizioni.it/2011/10/20/verso-l%E2%80%99inquiry-a-piccoli-passi/ ,
http://ingredientesegreto.linxedizioni.it/2011/10/11/la-didattica-basata-sullinvestigazione-ibse/ .

89
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.4.2 Metodi e tecniche per apprendimento basato sulla ricerca

La metodologia nota come “apprendimento basato sulla ricerca” ha sempre più spazio
nella letteratura, specialmente con riferimento all’educazione scientifica. Una definizione
comunemente accettata è difficile da trovare, ma alcuni punti sembrano accomunare le
differenti versioni. All’inizio degli anni Novanta, Scardamalia e Bereiter (1991) puntarono
l’attenzione su un processo di insegnamento e apprendimento incentrato sulle tappe
tipiche di un lavoro di ricerca, quindi su un processo aperto di cui non è predeterminato
né lo svolgimento né il risultato. Nella loro descrizione, la procedura didattica auspicabile
attiva un processo olistico di sviluppo creativo di idee all'interno di una classe di studenti.
Quintana et al. (2004, p. 341) precisano che la ricerca, che si attiva in un procedura
didattica, si concretizza in un "processo in cui gli allievi si pongono domande, indagano
cercando e utilizzando dati empirici, manipolando direttamente questi dati, tramite
esperimenti o confronti, sistemazioni e rappresentazioni. I dati possono essere originali,
tratti cioè da esperimenti diretti, oppure possono essere tratti da fonti di informazioni,
cercate e controllate. Linn, Davis e Bell (2004) definiscono lo stesso processo come una
definizione di problemi, una critica delle alternative a disposizione, una pianificazione di
soluzioni alternative, sulla base di ipotesi, la ricerca di informazioni, la costruzione di
modelli, la discussione tra pari per giungere a formulare conclusioni condivise.
La ricerca nei processi di insegnamento e apprendimento è intesa quindi come un
insieme di azioni concrete, che configurano un processo più impegnativo rispetto alla
ripetizione di un gran numero di osservazioni seguite dalla loro organizzazione. Bell et al.
(2010), hanno sintetizzato diversi approcci presenti in letteratura sull’apprendimento
basato sulla ricerca applicato all’educazione scientifica.

Schema 1: Apprendimento basato sulla ricerca: sintesi dei processi attivati.

Processi principali Caratteristiche


Orientamento e Gli studenti identificano un fenomeno naturale che abbia un
definizione delle qualche interesse per loro o che suscita la loro curiosità. Provano
domande di ricerca a proporre domande di ricerca.
Definizione delle Gli studenti, con l’aiuto dell’insegnante, identificano le variabili
ipotesi significative e ne costruiscono le relazioni. Questa fase definisce il
campo di indagine e lo struttura sulla base delle domande di
ricerca. Vengono condivise alcune ipotesi di risposta o di
ordinamento.
Pianificazione delle Gli studenti, con l’aiuto dell’insegnante, progettano un
azioni esperimento per verificare l'ipotesi o le ipotesi. La selezione degli
strumenti, dei materiali e delle procedure per l’esperimento può
essere condotta dal docente o assegnata agli studenti, in relazione
al livello scolastico a cui appartengono.
Ricerca Con l'uso di strumenti adeguati, gli studenti raccolgono le
informazioni necessarie e procedono (con altri strumenti) verso
l'organizzazione dei dati
Analisi e Gli studenti imparano a esplorare, testare, modificare e utilizzare
modellizzazione alcuni modelli scientifici. Possono essere aiutati anche verso la
formulazione di nuove sistemazioni e ordinamenti.
Conclusione Gli studenti ricostruiscono il processo, ne mettono in risalto gli
aspetti problematici, gli errori compiuti e organizzano i risultati.
Comunicazione- Gli studenti definiscono le affermazioni conclusive sulla base dei
rendicontazione dati a disposizione e formulano le ragioni di supporto.
Espansione e Sulla base del modello individuato gli studenti sono aiutati ad
previsione analizzare l’andamento di un fenomeno a seguito della variazione
di una o più variabili indipendenti.

90
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.5 IL METODO EURISTICO-PARTECIPATIVO: LA RICERCA-AZIONE IN CLASSE

Si fa ricerca-azione soprattutto in ambito sociale dove la ricerca non può prescindere


dall’azione; in essa non c’è distinzione tra chi fa ricerca e chi è l’oggetto della ricerca, tra
il ricercatore (esterno) e colui che compie l’azione (interno) 43. Nella ricerca-azione non è
tanto l’obiettività che preoccupa (elemento metodologico imprescindibile nella ricerca
sperimentale classica) quanto la ricostruzione documentata e ordinata del processo
d’azione nel suo farsi.

Image from :
http://www.cumbria.ac.uk/ImageLibrary/Education/
codev/7-Action%20Research-cycle_705x662.gif

Metodologicamente il ciclo della ricerca-azione comprende una serie di fasi:


1. Identificazione dei problemi da risolvere44, delle cause di quei problemi, dei
contesti e degli ambienti in cui i problemi si collocano, delle risorse a disposizione
e dei vincoli che costringono a fare determinate scelte.
2. Formulazione delle ipotesi di cambiamento45 e dei piani di implementazione46.

43
Con la ricerca-azione gli studenti imparano sia a svolgere ricerche in ambito sociale, sia a fare
ricerca sul loro modo di essere “ricercatori”.
44
I problemi che si affrontano in ricerca-azione si presentano “aperti a più soluzioni”, e la soluzione
migliore, molto vaga all’inizio, si delinea con più precisione man mano che si agisce e si riflette
sull’azione.
45
Lo scopo della ricerca sperimentale è la comprensione (produrre nuovi modelli di conoscenza della
realtà), lo scopo della ricerca-azione è il cambiamento (delle persone, delle relazioni, del contesto).
46
Per es.: Si affronta con gli studenti il problema relativo al rispetto dell’ambiente; una volta
precisate le diverse angolature di studio (identificazione del problema) si definisce l’ipotesi di

91
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

3. Applicazione delle ipotesi nei contesti-obiettivo dei piani formulati, (non si


parla più, ma si agisce);
4. Valutazione dei cambiamenti intervenuti e revisione dei progetti e dei piani
adottati47.
5. Approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione capillare delle
applicazioni con valutazione positiva48.
Perché la ricerca-azione con gli studenti? Perché con la ricerca-azione essi
comprendono la complessità della realtà vera, quella quotidiana, la fluidità delle ipotesi
progettuali e in particolare:

 la necessità di immergersi nella situazione studiata


(facendo ricerca sulla situazione-problema, lo studente
fa ricerca su se stesso; con la ricerca-azione non si è
esterni, distaccati, ma coinvolti, corresponsabili),
 la parzialità di ogni punto di vista (e il conseguente
bisogno di comparare tutti i punti di vista, la relatività
del singolo non è più un limite, ma si trasforma in
valore se tutti gli attori, in primis gli studenti, sono
ricercatori),
 l’impossibilità di ingabbiare la variabilità/ dinamicità
reale in sperimentazioni chiuse (quando interviene il
fattore umano è alquanto difficile isolare e bloccare le
variabili, “il paradigma sperimentale botanico”, come
dice Huberman, non si addice alle sperimentazioni con
gli umani),
 la presa in carico di percorsi euristici di ricerca (le
soluzioni ai problemi reali solo di rado possono essere
individuate e percorse secondo logiche algoritmiche; al
contrario, esse richiedono percorsi euristici49, logiche
aperte).

cambiamento (“vogliamo che la nostra scuola sia igienicamente ed ecologicamente pulita”). I piani di
implementazione dovranno tradurre l’ipotesi di cambiamento in progetti operativi (“le II si occupano del
giardino mettendo in atto le azione x, y, ecc.; le III si interessano dei rifiuti riciclabili, ecc.”).
47
Periodicamente si fa il punto della situazione: le azioni intraprese ci stanno portando verso
l’obiettivo voluto? In caso negativo (o di difficoltà contingenti) va rivisto il progetto, i piani d’azione o
addirittura, come talvolta succede, va ridefinito l’obiettivo stesso.
48
Se il progetto di ricerca-azione inizialmente era svolto da quattro classi, ed ha avuto successo, alla
conclusione il progetto non deve morire, deve invece diffondersi, ampliarsi, istituzionalizzarsi. Le altre
classi saranno coinvolte non secondo logiche prescrittive (“si deve fare così! Perrché così è andata
bene”), ma con la stessa metodologia della ricerca-azione (circolo virtuoso: riflettere-ipotizzare-
progettare-agire).
49
Quelli euristici sono procedimenti logici dominati dall’ incertezza e quindi legati al probabile e al
possibile. I procedimenti algoritmici sono governati da logiche “certe”. L’algoritmo è sequenziale (step
by step), l’euristica è reticolare.

92
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.6 IL METODO INDIVIDUALIZZATO: IL MASTERY LEARNING

Il mastery learning50 è una modalità di organizzazione dell'intervento didattico molto


attenta alle diversità individuali nei ritmi e nei tempi di apprendimento degli allievi. Block
(1972) fissò i seguenti procedimenti:
- l’insegnante definisce le abilità concettuali e operative che gli studenti dovrebbero
raggiungere al termine dell’intervento didattico;
- con l'analisi del compito stabilisce i livelli intermedi definendo gli obiettivi particolari
in una successione di unità didattiche in grado di promuovere progressivamente le
abilità finali;
- elabora le prove in grado di verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi delle
unità didattiche individuate;
- predispone poi le unità didattiche tenendo conto il più possibile dello stato di
preparazione iniziale dei suoi allievi;
- struttura successivamente le attività integrative e di recupero da proporre a quegli
allievi che non avessero raggiunto ancora livelli intermedi di abilità nelle singole unità
didattiche;
- controlla che gli allievi non affrontino l'unità successiva se non hanno conquistato il
minimo indispensabile di dominio delle conoscenze e competenze previste dalle
unità precedenti51.
Nella scuola secondaria il mastery
learning potrà essere proficuamente
utilizzato come metodo di
insegnamento individualizzato per
l’addestramento di specifiche abilità
tecniche e/o professionali, o con allievi
con disabilità, o in presenza di disagi
nell'apprendimento più o meno gravi,
anche temporanei.

50
Letteralmente significa apprendimento della maestria o della padronanza. Il termine padronanza nel
mastery learning è connesso all’apprendimento di abilità, mentre nelle riflessioni italiane più recenti esso
rappresenta l’apice della personalizzazione dell’appreso, con lo sviluppo sistematico di processi
metacognitivi, decisionali e creativi.
51
Lo schema di attuazione del mastery learning ricorda la tecnica dell'istruzione programmata, nella
quale ogni fase dell'insegnamento viene prevista in anticipo e quindi dettagliatamente programmata e
standardizzata. Essa si caratterizza per il fatto di scomporre la materia di insegnamento in brevi
passaggi, detti frames, o anche items o cadres; tali frames contengono una o due informazioni
fondamentali e/o richiedono al soggetto la formulazione di una risposta, sulla base delle informazioni
precedentemente date. Fondata sui principi del condizionamento operante di B.F. Skinner, l'istruzione
programmata si presenta secondo sequenze lineari di piccoli passi, dello stesso Skinner, o secondo
sequenze ramificate, proposte da Crowder. Nella sequenza lineare ogni frame è costituito da un semplice
periodo che comprende poche informazioni e da una domanda che implica le informazioni appena
presentate. Con la sequenza ramificata, a seconda delle risposte date dall'allievo, il programma può
prevedere sviluppi differenti, ad esempio specifici programmi di recupero, oppure la possibilità di saltare
alcuni frames e procedere più rapidamente per i soggetti più abili. Le prime macchine per insegnare
(teaching machines) e le prime applicazioni del computer nella didattica seguivano le impostazioni
dell’istruzione programmata. A differenza del mastery learning, le sequenze dell'istruzione programmata
si presentano rigide e vincolanti, non sono affatto rispettose delle differenze individuali e veicolano una
concezione dell'insegnamento inteso come modellamento, poiché fondate sulla convinzione che qualsiasi
conoscenza possa essere acquisita da chiunque, purché associata a rinforzi positivi.

93
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Fiorino Tessaro
tessaro@unive.it
Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali

Venezia, 2015

6 LE TECNICHE ATTIVE.
INSEGNARE E APPRENDERE PER COMPETENZE

Le tecniche attive sono un insieme di azioni concrete e di procedimenti didattici che


l'insegnante predispone e impiega, con e per gli studenti, e che comportano la
partecipazione sentita e consapevole dello studente.
Le tecniche attive respingono il ruolo passivo, dipendente e sostanzialmente
ricettivo dell’allievo. Sviluppano, invece, la personalizzazione dell'apprendimento,
promuovono la formazione di competenze, coinvolgendo lo studente in termini
di autonomia e di responsabilità. Le tecniche attive contestualizzano le
situazioni di apprendimento in ambienti reali analoghi a quelli …
 che l’allievo ha esperito nel passato (attualizzazione dell’esperienza),
 che vive attualmente (integrazione qui e ora della pluralità dei contesti) o
 che vivrà in futuro (previsione e virtualità).
Le tecniche che prenderemo in esame si caratterizzano per:
 la partecipazione "vissuta" degli studenti (coinvolgono tutta la personalità dell'allievo),
 la valutazione costante e ricorsiva (feed-back) del proprio apprendimento, con modalità co- e
auto-valutative,
 la formazione di competenze in situazione,
 la formazione in relazione con gli altri per uno scopo condiviso.

Affronteremo cinque gruppi di tecniche attive:


a) tecniche simulative, in cui troviamo il role playing per l’interpretazione e
l’analisi dei comportamenti e dei ruoli sociali nelle relazioni interpersonali o la
simulata su un copione precedentemente stabilito;
b) tecniche operative con le dimostrazioni e le esercitazioni, che puntano ad
affinare le abilità tecniche e operative mediante la riproduzione di una procedura.

94
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Sono complementari e richiedono la scomposizione della procedura in operazioni e


in fasi da porre in successione e da verificare ad ogni passaggio;
c) tecniche di apprendimento nell'azione, mediante l’action learning e l’outdoor
learning, in cui l’agire è funzionale allo sviluppo del pensiero e la competenza si
forma in situazioni reali (extrascolastiche), e il service learning, in cui si
promuovono le competenze di cittadinanza in attività al servizio della comunità;
d) tecniche di analisi della situazione, con lo studio di caso in cui si analizzano
situazioni comuni e frequenti, o con l'incident in cui si affrontano eventi critici e/o
situazioni di emergenza. Con lo studio di caso si sviluppano le capacità analitiche,
le competenze diagnostiche e le modalità di approccio ad una situazione,
nell’incident, si aggiungono le competenze di ricerca e scelta delle informazioni, le
capacità decisionali e previsionali;
e) tecniche di apprendimento in relazione, tra cui possiamo annoverare la tecnica
del brainstorming, per l’elaborazione di idee creative in gruppo, e il metodo del
cooperative learning, per lo sviluppo integrato di competenze cognitive,
operative e relazionali.
Le tecniche attive definiscono il rapporto tra il soggetto che apprende e la situazione
d’apprendimento; rispettivamente, l'allievo impara a) simulando immerso nelle
situazioni; b) esercitandosi applicando le regole in situazioni astratte; c) affrontando le
situazioni e trovando soluzioni ai problemi reali, quotidiani, personali/sociali o
professionali; d) analizzando casi significativi che emergono dalla realtà o
individuando strategie per far fronte a possibili/probabili criticità; e) confrontandosi
con gli altri o lavorando con loro per costruire soluzioni condivise o per produrre
nuove idee insieme.
Naturalmente è variabile anche il coinvolgimento emotivo degli studenti: è profondo
nelle tecniche simulative, con l'immersione nella realtà e con l'assunzione di ruoli
specifici, più distaccato nelle analisi delle situazioni e nelle riproduzioni operative.
Quali situazioni? Ecco alcuni esempi (di prodotti e attività in situazione) proposti da
Piergiuseppe Ellerani:

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.1 IMPARARE SIMULANDO LE COMPETENZE

Un esempio: in classe alcuni studenti (gli attori) interpreteranno dei personaggi in una
situazione di vita quotidiana o scolastica, altri (gli spettatori) osserveranno la loro azione;
benché con ruoli diversi entrambi saranno tenuti ad “osservare ciò che succede” ed
elaborare l’osservazione allo scopo di comprendere il sistema di relazioni e interazioni.
Il processo che si svilupperà in questo gioco di ruolo è formativo e non terapeutico
come nello psicodramma.
Ai partecipanti che fungeranno da “attori” saranno assegnate delle “parti” di ruolo in
una situazione che si vuole ricreare; a tutti sarà prefigurato uno scenario che rappresenta
il contesto nel quale l’azione si sviluppa. È essenziale che ogni “attore” studi la sua
“parte” in modo autonomo e indipendente rispetto agli altri: non si tratta di mettere in
scena una pièce coerente, quanto di far interagire delle personalità. Le “parti”
conterranno anche alcune indicazioni su come iniziare il play e come condurne alcuni
aspetti, ovvero sulle caratteristiche e sulle modalità comportamentali del ruolo assunto;
però la maggiore del lavoro sarà lasciata all’improvvisazione.
Gli “attori” dovranno agire (parlare) non tanto secondo le proprie inclinazioni, quanto
secondo il carattere dei personaggi che sarà descritto nelle singole “parti”. Vanno evitati
atteggiamenti troppo “recitati”: stiamo tentando di vedere cosa succede quando
interagiamo con gli altri, non di strappare applausi; così come occorre che gli “attori”
possano esprimersi senza rischiare di essere messi in condizione di stress emotivo da
parte del pubblico.
Mentre gli “attori” studieranno le “parti”, gli altri partecipanti (gli osservatori) con
l’insegnante formuleranno ipotesi su ciò che è opportuno osservare e perché; possono
anche essere somministrate dalle griglie, o degli schemi. Conclusa la fase del play si
passa in plenaria a riportare le osservazioni e a discuterne: è importante che tutti
comunichino le loro osservazioni, e che anche gli “attori” riportino le loro impressioni,
emozioni, scelte di “recitazione”, ecc. 52

6.1.1 Il role playing per mettersi nei panni degli altri


(53) Il role playing (gioco o interpretazione dei ruoli) consiste nella simulazione dei
comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale; i ruoli sono
assunti da due o più studenti davanti al gruppo dei compagni (osservatori). Gli studenti
devono assumere i ruoli assegnati dall'insegnante e comportarsi come pensano che si
comporterebbero realmente nella situazione data. Questa tecnica ha, pertanto, l'obiettivo
di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in profondità ciò che
il ruolo richiede. È pertanto prevalentemente indirizzata allo sviluppo di competenze
socio-relazionali, e quindi direttamente utilizzata negli insegnamenti umanistici in cui ci
si focalizza nei processi di interazione tra le persone. È, comunque, una tecnica
estremamente valida in tutte le discipline, anche perché in tutte le discipline ci sono
persone (scienziati, studiosi, ricercatori, artisti, letterati, esploratori, filosofi) che
custodiscono il pensiero e l’orientamento della loro disciplina, e gli allievi possono essere
chiamati a simulare il loro ruolo o il loro pensiero. Così, in storia si può simulare un
avvenimento del passato con la specifica “che cosa sarebbe successo se …”, oppure si
può simulare l’azione dello storico, in fisica si può simulare un dibattito tra due scuole di
pensiero differenti, e così via.

52
Dal nostro sito www.univirtual.it, con esempi di role playing con partecipanti adulti:
http://www.univirtual.it/tirocinio/pasqualetto/role%20play/coordinamento%20di%20lettere/Role%20pla
y%20riunione%20per%20materie%20master.doc.
53
Questo paragrafo è tratto da
http://www.irre.toscana.it/obbligo_formativo/lepri/tecniche/role_playing.pdf.

96
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Il role-playing54, come tutte le tecniche di simulazione cerca di riprodurre in aula,


quindi in una situazione protetta e di laboratorio, problemi e accadimenti simili a quelli
della vita reale. La differenza che intercorre con la psicoterapia è, che mentre in
quest’ultima si recitano aspetti personali, nel role-playing si mettono in atto ruoli
organizzativi o sociali in genere.
Per questa ragione, si potrebbe affermare che, l’oggetto reale del role-playing come
esercitazione di apprendimento è la drammatizzazione, hic et hunc, di comportamenti di
ruolo. Ciò, naturalmente, non significa minore intensità e coinvolgimento.
Definizione e fasi di svolgimento
Il role-playing è la rappresentazione scenica di un interazione personale che
comporta l’assunzione di comportamenti caratteristici di uno specifico ruolo in
una situazione immaginaria. Sinteticamente, consiste nel richiedere ad alcuni allievi di
svolgere, per un tempo limitato, il ruolo di “attori”, di rappresentare cioè alcuni ruoli, in
interazione tra loro, mentre altri partecipanti della classe fungono da “osservatori” dei
contenuti e dei processi che la rappresentazione manifesta. Ciò consente una successiva
analisi dei vissuti, delle dinamiche interpersonali, delle modalità di esercizio di specifici
ruoli, e più in generale dei processi di comunicazione agiti nel contesto rappresentato.
La tecnica si svolge nelle seguenti fasi:
a. il trainer introduce il problema con pochi cenni di carattere generale:
b. i partecipanti interpretano la parte loro assegnata (ad esempio capo e dipendente;
venditore e cliente od altro) sull’indicazione di materiale loro fornito e atto a descrivere i
ruoli ed il contesto nel quale il problema va inserito;
c. terminata l’interpretazione delle parti, avviene una discussione generale con la
partecipazione, oltre che di coloro che hanno agito, anche di tutto il gruppo. Vengono
analizzati i problemi selettivi, i rapporti umani messi in luce, e si identificano i principi
generali emersi nella discussione. Analogamente a quanto avviene con il metodo dei casi
non occorre giungere a soluzioni uniformi.
Vi è inoltre una suddivisione interna fra i role-playing che vede due tipologie:
1) Role-playing strutturati (esistono delle regole precise circa i ruoli, i contenuti e lo
svolgimento delle discussioni. Il problema è fortemente indirizzato da vincoli precisi ed
inoltre, facilita una valutazione critica dei comportamenti individuali attraverso il raffronto
tra ruolo dato, ruolo recitato ed i risultati del gioco)
2) Role-playing non strutturati - o liberi (si sposta l’attenzione del processo
analitico alla scoperta di nuovi modelli d’azione, alla spontaneità, al feedback. Si tralascia
un’attenta preparazione in anticipo dei materiali; il gruppo sceglie direttamente gli
argomenti che percepisce come importanti; inoltre l’individuo può impersonificare
qualsiasi ruolo, ad esempio, se stesso, personaggi esistenti o immaginari; la situazione
rappresentata può essere immaginaria o realmente accaduta).
Per rendere la tecnica più ricca esistono numerose varianti, di cui ricordiamo soltanto
le più importanti:
1. Inversione dei ruoli: utilizzata spesso nei role-playing non strutturati, quando
esiste notevole divergenza di vedute tra due persone. Essa consiste nella semplice
inversione delle parti degli attori, ciò facilita molto la comprensione dei punti di vista
altrui. I risultati di questo procedimento permettono di rafforzare la flessibilità e la

54
Il role playing, così come le tecniche del brain storming e del cooperative learning (e di tutte le
tecniche attive che si svolgono nell’ambiente scolastico), si può presentare in molteplici versioni e, a
seconda dello scopo formativo, potranno evidenziarsi differenze: in tal caso è opportuno discuterne in
classe/gruppo on-line. Per approfondire la tecnica del role play: 1) Giusti E., Ornelli C., Role play: teoria
e pratica nella clinica e nella formazione, Sovera Multimedia, Roma, 1999. 2) Capranico S., Role playing,
manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina, Milano, 1997. Per ampliare l’analisi ai giochi di
simulazione nella didattica:
http://www.istitutoveneto.it/venezia/documenti/altri_elaborati/corso_ssis_didattica/capitolo_7.pdf

97
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

spontaneità dei comportamenti, di aumentare la capacità di guardarsi dentro e la


sensibilità verso gli altri;
2. Monologo: uno studente-attore è chiamato a pensare ad alta voce, parlando a se
stesso come se non ci fossero persone che ascoltano, esternando pensieri, sentimenti e
impressioni ancora non chiaramente espressi. Il monologo promuove i processi riflessivi e
metacognitivi, poiché facilita il riconoscimento e la rappresentazione di ciò che il soggetto
sente, prova e vorrebbe. Quando più attori sono chiamati ad esprimersi in tal senso, i
diversi monologhi permettono la raccolta dei singoli punti di vista sul medesimo
argomento;
3. Tecnica dello specchio: uno dei partecipanti (A) interpreta la parte di un altro
membro (B) del gruppo piuttosto esitante a svolgere il suo ruolo. In pratica A cerca di
recitare come reciterebbe B. La persona (B) di cui si vuole incoraggiare la partecipazione
vede così se stesso riflesso come in uno specchio e ricava un utile feedback per il suo
comportamento;
4. Role-playing multiplo: il gruppo viene suddiviso in sotto gruppi ciascuno dei quali
sperimenta separatamente i ruoli assegnati. Poi si analizza, in seduta comune, il
comportamento di ogni gruppo e ciò risulta particolarmente utile per la discussione;
5. Rotazione dei ruoli: è particolarmente efficace quando si vogliono sottoporre tutti
i partecipanti ad un determinato ruolo, uno dopo l'altro. Si raccoglie, così, al termine una
vasta serie di comportamenti come risposta ad uno stimolo identico, con evidenti
vantaggi ai fini formativi.
Dobbiamo sottolineare, che la tecnica si può opportunamente avvalere di strumenti
audio-video, oggi alla portata di tutti (perciò è necessario che le registrazioni siano
gestite e accuratamente controllate dal docente). La registrazione permette di operare
una efficace rilettura e di verificare l’azione sia da parte degli osservatori, sia da parte
degli stessi attori. Consente ai partecipanti di verificarsi ex post nell’oggettività
dell’azione sostenuta, e questo annulla le eventuali distorsioni soggettive
dell’osservazione esterna durante il farsi della recita.
Il gioco dei ruoli possiede una grande forza catalizzatrice che coinvolge emotivamente
sia i partecipanti sia gli osservatori 55. A volte si tratta di esperienze difficili da vivere. Il
docente è tenuto a rispettare questa presa di coscienza senza giudicare se ciò è giusto
o pertinente. Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il
role playing dev'essere utilizzato come tale (a scopi formativi), deve avere delle sequenze
strutturate e deve concludersi con una verifica degli apprendimenti consolidati.

6.1.2 La simulata su copione


Quando il role playing è talmente strutturato da svolgersi su sceneggiatura e testo
precostruiti, si parla di simulata su copione. Essa consiste nel rappresentare situazioni
particolari con un copione stabilito dai membri del gruppo. A differenza del role play,
in cui il copione è libero per ogni attore, con la simulata il gruppo prima costruisce il
copione, poi effettua la rappresentazione.
Per realizzare le simulata può essere utile riferirsi a situazioni realmente accadute che
vengono riproposte per evidenziare alternative e stimolare il coinvolgimento.
È compito della simulazione ricostruire sotto forma di gioco, in piccole parti e in tempi
limitati il sentimento di realtà, perché questo sia vivibile in situazioni sempre più ampie.
Il ruolo della simulazione è fondamentale nella funzione di gioco-allenamento alla
vita; pensiamo all’importanza del gioco nell’apprendimento infantile, poiché consente di
passare dal senso di irrealtà al senso di realtà. La simulazione non sostituisce la realtà
ma permette ai partecipanti di riflettere su come porsi nella realtà.

55
Gli insegnanti “debbono ricordare sempre di non confondere il role playing (a valenza pedagogica)
con lo psicodramma (a valenza psicoterapeutica)” (D. Demetrio, 1988, p. 146).

98
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.1.3 La gestione delle simulazioni


I suggerimenti che vengono dati di seguito valgono soprattutto per la situazione in cui
il docente ha il controllo di ciò che accade. In caso di recitazione in sottogruppi, invece, il
docente dovrà dettare le regole del gioco prima che l’esercitazione cominci. In questo
paragrafo vengono proposti due tipi di consigli: le regole del gioco “normali” e alcuni casi
particolari.
Iniziamo dalle regole del gioco:
 l’aula deve essere organizzata in maniera che osservatori e attori siano
nettamente separati (come in un acquario, ci deve essere una sorta di vetro);
 gli osservatori devono stare perfettamente zitti;
 gli attori non devono per nessuna ragione uscire dalla loro parte, rivolgendosi
direttamente agli osservatori o al docente (a meno che questa possibilità non sia
stata esplicitamente prevista);
 la durata massima della simulazione deve essere stata definita in anticipi e deve
essere conosciuta sia dagli attori, sia dagli osservatori.
Vediamo ora alcune situazione particolari:
 se un attore non sa più come continuare, è imbarazzato e non trova più le parole,
il docente interrompe la recitazione e dà un po’ di tempo all’attore in difficoltà per
rimettersi in sesto;
 se un attore, durante la simulazione, inventa una notizia che lo mette in una
condizione di netto vantaggio, ma che non era stata preventivamente concordata,
il docente interrompe la simulazione, “cancella” la notizia e fa ricominciare la
simulazione dal punto precedente. Se non facesse così, infatti, il risultato sarebbe
gravemente falsato e la successiva discussione rischierebbe di concentrarsi più su
questo fatto che non sulla simulazione in sé.

Decisioni sulle modalità di osservazione


Una volta scelta la modalità di recitazione, bisogna ancora decidere che cosa osservare
e come farlo fare. Il più delle volte, i punti su cui concentrare l’attenzione sono molto
chiari, perché sono stati oggetto di una precedente attività didattica: in questi casi, è
consigliabile lasciare libera l’osservazione, perché qualsiasi griglia ha il notevole difetto di
imbrigliare e irrigidire la discussione. Se però si ritiene necessario far concentrare
l’attenzione su alcuni aspetti, conviene distribuire un foglio con alcune domande, o con
una lista delle cose da osservare.
Se ci si aspetta che le osservazioni siano particolarmente ricche, oppure se la
simulazione è complessa (per durata o numero dei partecipanti), è possibile suddividere i
partecipanti in sottogruppi, chiedendo di prestare attenzione ad aspetti diversi: alcuni
partecipanti osservano alcuni fenomeni, oppure un determinato attore; altri partecipanti
osservano altri fenomeni, oppure altri attori. Questa modalità rende molto più ricca e
interessante la successiva discussione in plenaria; infatti non si assiste ad un rituale
ripetersi delle stesse osservazioni, ma ogni partecipante ha qualcosa di nuovo da dire,
perché aveva qualcosa di particolare da osservare.
Ovviamente, ciò richiede più tempo in fase di lancio, perché occorre suddividere i
partecipanti in sottogruppo e dare istruzioni separate.
Le scelte in sintesi sono due:
1. con o senza griglia di osservazione;
2. tutti osservano tutti, oppure osservazione specializzata (solo alcuni fenomeni) o
selettiva (solo un attore).
Entrambe le scelte influenzano pesantemente la fase successiva, quella del commento,
che è anche la fase didatticamente più importante, perché è quella in cui si traggono le
conseguenze e si trasmette il messaggio didattico: di fatto, quindi, le modalità di
osservazione determinano le modalità di commento di una simulazione.

99
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Il commento o feedback
Il commento è la fase più importante. Normalmente occupa circa la metà del tempo
complessivo dedicato alla simulazione, ma in alcuni casi, quando l’evento sia stato
particolarmente interessante, può essere ancora più lungo. Ne deriva l’importanza di
gestirlo bene, seguendo una procedura che valorizzi al massimo quello che è accaduto,
senza d’altra parte sprecare tempo nel cercare dettagli che non c’erano.

Il ruolo degli osservatori in fase di feedback


Gli osservatori, dall’esterno, commentano ciò che è accaduto. È spesso consigliabile,
quindi, farli parlare per primi. In questo modo gli attori ricevono le impressioni a caldo
sulla loro prestazione.
Se l’osservazione è stata effettuata senza griglia, il docente chiederà ai partecipanti di
fare a turno le loro osservazioni, concentrandosi sia sugli aspetti positivi sia su quelli
negativi. È consigliabile limitare il numero delle osservazione per partecipante, perché
altrimenti, dopo mezzo giro di tavolo, può succedere che non ci sia più niente da dire: il
docente può prescrivere, ad esempio, di fare una sola osservazione positiva e una sola
osservazione negativa, rimandando alla fine per eventuali osservazioni aggiuntive.
Se l’osservazione è stata organizzata da una griglia, conviene invece seguire l’ordine
delle domande della griglia: si faranno quindi tanti veloci giri di tavolo, quanti erano i
punti trattati dalla griglia. La discussione, in questo caso, può risultare lunga e ripetitiva;
occorre dare dunque un’andatura veloce, e per far questo al docente è richiesto un
comportamento direttivo, quasi da presentatore televisivo.
Se l’osservazione era specializzata o selettiva, si procede ovviamente per ordine.
Questa discussione risulta più veloce della precedente, perché su ogni argomento ha
diritto a intervenire solo un numero limitato di osservatori.
In tutti i casi può essere utile far annotare ai partecipanti le loro osservazioni prima di
iniziare la discussione ed il confronto: si diminuisce il conformismo e si aumenta la
gamma dei pareri espressi.

Il ruolo degli attori in fase di feedback


Sul ruolo degli attori durante la discussione di una simulazione esistono diverse
scuole:
1. farli parlare per primi;
2. farli parlare per ultimi;
3. non farli parlare affatto.
La scelta della soluzione dipende, oltre che dalle preferenze del docente, dalla tipologia
di soggetto recitato. Quanto più il soggetto recitato è probabile, quanto meno è utile
l’intervento degli attori (con una sola eccezione: l’autocaso). Analizziamo dunque le
motivazioni delle tre scelte.
Se si chiede agli attori di parlare per primi, si deve fare loro una domanda
decisamente diversa da quella che viene fatta agli osservatori: ad esempio, si chiederà
loro come si sono sentiti nel recitare quella parte. Questa domanda è importante tutte le
volte che si chiede a qualcuno di recitare un ruolo molto lontano dal proprio, oppure un
ruolo “sgradevole”, che non condivideva. Non è invece altrettanto importante se all’attore
era stato chiesto di recitare se stesso.
La scelta di far parlare gli attori per ultimi è invece motivata della loro esigenza, molto
comprensibile peraltro, di dare una risposta alle osservazioni dei partecipanti, oppure di
aggiungerne delle proprie. Il docente dovrà comunque invitare gli attori ad evitare il più
possibile di “difendersi”: nessuno, infatti, li ha attaccati.
La scelta di non far parlare affatto gli attori si basa sulla considerazione fatta in
precedenza: data l’inevitabile tendenza degli attori a difendersi, è inutile dar loro la
parola. Secondo questa scuola, la difesa infatti è solo un modo per respingere i feedback
ricevuti, rendendosi “impermeabili”. Molto meglio tenerseli dentro e ruminarli.
Personalmente ritengo quest’ultima soluzione drastica: a volte è un vero tormento, per
l’attore, dover stare zitto ad ascoltare tutti i commenti, senza poter dare una risposta. A

100
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

titolo informativo, riferiamo, tuttavia, che nel mondo della formazione esistono dei casi in
cui è giustificata.

Il ruolo del docente in fase di feedback


Il docente coordina la discussione, evitando, per quanto gli è possibile, di commentare
quello che gli osservatori dicono man mano che raccoglie i commenti. Parlerà per ultimo,
aggiungendo le sue osservazioni a quelle dei partecipanti.

101
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.2 IMPARARE PROVANDO IN SITUAZIONE: DIMOSTRAZIONI ED ESERCITAZIONI

Se le tecniche simulative si sono affacciate in tempi recenti nel panorama scolastico (e


talvolta sono ancora dietro le quinte), ben diverso è il discorso sulle dimostrazioni e sulle
esercitazioni che da sempre rappresentano il modo più usuale di imparare. Questo
discorso può essere sintetizzato con il motto
"guarda come faccio e poi prova tu"
Il "guarda come faccio" è la dimostrazione, il "poi prova tu" è l'esercitazione.
L'obiettivo delle dimostrazioni e delle esercitazioni è quello di sviluppare abilità
operative procedurali, e nel contempo a promuovere la nascita delle competenze,
in cui si intrecciano pensiero e azione. Vedremo successivamente che i primi stadi di
sviluppo della competenza riguardano l’imitazione consapevole e l’adattamento al
contesto).
Dimostrazioni ed esercitazioni sono usuali nella scuola; ciò lascia supporre una tecnica
facile da progettare: in realtà il loro successo dipende da un accurato lavoro preparatorio.
Dimostrazioni ed esercitazioni sono attività formative complementari: la dimostrazione
senza esercitazione non produce apprendimento (non si impara a scrivere osservando
uno scrittore), l'esercitazione senza dimostrazione si risolve in una serie di tentativi
maldestri (come il montaggio di un'apparecchiatura senza le istruzioni per l'uso).

6.2.1 La dimostrazione per mostrare l’esecuzione di una procedura


Il tipo più inutile di dimostrazione è quello in cui il docente non dimostra nient'altro
che la sua bravura. È dato per scontato che il docente sappia eseguire una procedura, ma
il fatto di limitarsi a svolgere un'attività non significa saperla dimostrare. Con la
dimostrazione non si insegna a fare qualcosa, che invece si apprenderà con l'esercizio,
ma come fare qualcosa.
Gli obiettivi di una dimostrazione sono quelli di far acquisire conoscenze procedurali
di tipo operativo, ed in particolare:
- le fasi di una procedura,
- la successione delle fasi,
- i criteri di verifica per ciascuna fase.

Le regole per progettare una dimostrazione


[1] Individuare la procedura da dimostrare, significativa per la disciplina affrontata.
[2] Analizzare la struttura operativa della procedura.
[3] Suddividere la procedura in fasi e indicare l'ordine di esecuzione.
[4] Individuare i punti critici ovvero le fasi che usualmente si omettono perché date
per scontate.
[5] Indicare la sequenza migliore, o le migliori, quelle che conducono al successo
dell'esecuzione.
[7] Predisporre un elenco dei problemi possibili cui potrebbero andare incontro gli
allievi.
[8] Controllare l'esistenza e il funzionamento corretto delle apparecchiature e del
materiale necessario alla dimostrazione.
[9] Assicurarsi che tutti gli studenti possano vedere ed ascoltare adeguatamente le
fasi della dimostrazione (eventualmente preparare un elenco per sottogruppi e
prevederne la rotazione).
[10] Provare la dimostrazione prima di presentarla agli allievi, studiarne le pause
opportune fra le singole fasi.
Se la dimostrazione è stata progettata con cura ed eseguita in modo didatticamente
corretto (con l'assicurazione che ogni fase è stata acquisita) e coerente con le modalità

102
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

richieste nella professione, l'attività immediatamente successiva non può che essere
l'esercitazione, altrimenti la dimostrazione perderà in brevissimo tempo la propria
efficacia formativa.

6.2.2 L’esercitazione per consolidare le procedure in situazione


L'obiettivo dell'esercitazione è quello di far sì che gli allievi siano capaci di eseguire
correttamente e completamente operazioni e procedure uguali per difficoltà a quelle che
incontreranno sul lavoro.
Quando l’esercitazione si svolge in situazioni, reali o simulate, ma protette e
controllate, (es: laboratorio professionale interno alla scuola) ed è utilizzata a fini
valutativi si parla di compiti autentici di prestazione.
Qualcuno equipara l'esercitazione all'addestramento. In realtà l'addestramento
comporta l'acquisizione meccanica di procedure, tecniche, gesti e comportamenti, mentre
l'esercitazione è un provare in situazione le procedure già acquisite. L'esercitazione si
configura, quindi, come un training on the job, come apprendimento "intelligente" di
procedure in situazioni “di lavoro o di studio”.
Una buona esercitazione è quella che viene formulata attraverso una serie di esercizi,
da svolgersi in situazione a complessità crescente, accuratamente programmati, con
difficoltà commisurate al livello di apprendimento dell'allievo. È efficace l'esercizio
che la maggior parte degli allievi eseguirà correttamente al momento prestabilito. Un
buon esercizio sarà, quindi, breve, semplice e chiaro.
L'esercitazione deve essere preceduta o accompagnata dall'aiuto del docente. Si
sviluppa in condizioni ambientali per quanto possibile simili a quelle della situazione reali.
Le regole per progettare una esercitazione. Nel progettare le esercitazioni il docente
dovrà:
[1] Individuare gli esercizi più significativi.
[2] Adeguarli alle caratteristiche degli studenti.
[3] Dosarli per difficoltà e complessità crescenti,
[4] Predisporne in numero sufficiente per un apprendimento duraturo.
[5] Verificare la loro progressione in modo da sviluppare sistematicamente le diverse
competenze dello studente.
[6] Fissare i criteri di correttezza e di completezza di ogni esercizio
[7] Predisporre una guida per lo studente (tipo "istruzioni per l'uso").

6.2.3 Costruire un tutorial: quando gli allievi preparano la dimostrazione.

Approfondimento: Otto punti per scrivere un tutorial veramente utile (di Riccardo Esposito)
Quando scrivi un tutorial, l’obiettivo è quello di creare una guida completa sull’argomento che hai preso in
esame, conquistare nuovi lettori, creare traffico di qualità e discussioni. E, ovviamente, ricevere qualche buon
link.

Come puoi ben immaginare non è facile scrivere un tutorial di grande qualità, capace di diventare un punto di
riferimento per il popolo del web. Hai bisogno di volontà, una buona dose di dedizione e qualche piccolo
suggerimento. Io ne ho scelti 8:

1. Individuare un bisogno reale


Ecco la base solida di ogni tutorial che si rispetti! Se non risponde a un bisogno reale, anche la miglior guida di
questo mondo resterà un semplice articoletto nell’archivio del tuo blog. Prima di lanciarti a rotta di collo in
questa grande avventura, spulcia tra i forum e i siti di Q/A, metti sotto torchio Google per trovare nuove idee,
chiedi aiuto ai tuoi fan di Facebook o Twitter. Insomma, trova una domanda a cui dare risposta.

103
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

2. Conoscere l’argomento del tutorial


Stai scrivendo un articolo dove ogni lettore si aspetta di trovare la soluzione ai suoi problemi, e se la troverà
sarà ben felice di condividere la tua risorsa con i suoi amici. Per questo devi conoscere ogni dettaglio
dell’argomento e concentrarti su un unico obiettivo: creare un contenuto di grande qualità, completo, capace
di svelare ogni risposta. Questo, ovviamente, sarebbe l’idealtipo del tutorial perfetto, ma devi provare ad
avvicinarti il più possibile.

3. Trovare e citare le fonti


La tua esperienza personale è importante ma non puoi basare un’opera così importante solo su conoscenze
individuali, perché è proprio salendo sulle spalle dei giganti (Isaac Newton) che si raggiungono gli obiettivi più
alti. E poi, da un punto di vista squisitamente etico, non è giusto utilizzare riflessioni di altri autori e spacciarle
come frutto del proprio ingegno!

Trovare le fonti adatte è un lavoro duro, ma ti posso assicurare che ti permetterà di avanzare con la tranquillità
di chi sta usando le conoscenze adatte ai propri obiettivi. Ovviamente non rinunciare alle fonti cartacee e
ricordati di compilare (se necessario) una piccola bibliografia/webgrafia alla fine dell’articolo.

4. Organizzare i contenuti
Eccoci al nocciolo del problema: come organizzare la mole di contenuti di un grande tutorial? Indispensabile la
classica divisione in paragrafi con un buon uso degli header e un’organizzazione delle informazione che si
sviluppa dal generale al particolare.

Cioè dalle introduzioni di ampio respiro a quelli che possono essere i problemi specifici, ma senza dilungarti su
dettagli inutili: potresti iniziare a scrivere un articolo e ritrovarti con un ebook! Aspetta… e come faccio a capire
quali sono i dettagli inutili?

5. Ottimizzazione SEO
Un’ottima guida è anche un guida cha sa farsi trovare nella selva di Google. Questo significa che devi fare
attenzione a ogni aspetto dell’articolo, anche a quello della SEO. Ma come si ottimizza un tutorial per i motori
di ricerca?

Semplicemente rispettando le regole base che dovresti già seguire per ogni straccio di post e fare qualche
ricerca più approfondita (magari con i tool Google) per individuare le long tail utilizzate dagli utenti per cercare
informazioni sull’argomento.

6. L’importanza delle immagini


Quasi inutile ricordarti che in un buon tutorial ci devono essere (ovviamente se disponibili e/o necessarie) delle
immagini di qualità che aiutino il lettore a capire quali sono i passaggi fondamentali. Non essere avaro di
schermate e se temi di appesantire troppo usa gli strumenti per comprimere le immagini: così risparmierai Kb
preziosi senza rinunciare alla qualità della spiegazione.

Se vuoi raccogliere molte foto, grafici o schermate puoi pensare anche a un album Flickr o a una presentazione
Slideshare da embeddare nell’articolo.

7. Video, video, video


Le immagini sono importanti, ma se vuoi dare veramente una marcia in più alla tua guida puoi pensare alla
strada del video tutorial. Un video tutorial che ha bisogno di un’applicazione perregistrare lo schermo, un buon
microfono per la spiegazione e, soprattutto, le idee molto chiare su quello che vuoi spiegare.

Anche in questo caso ti conviene organizzare bene i tuoi argomenti, e magari concentrarti proprio su quelli più
difficili da spiegare con le immagini o le informazioni scritte. E se non hai tempo/possibilità di creare un video
tutorial puoi sempre cercare su Youtube e affidarti a chi lo ha già fatto!

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

8. Esempi concreti
Dopo il testo, le immagini e i video, l’unica cosa che ancora ti manca per essere un campione di chiarezza sono
gli esempi che mostrano concretamente quello che stai spiegando. E che, ovviamente, possono arrivare da chi
ha già fatto tutto ciò che hai appena spiegato.

La parte finale di un tutorial può essere dedicata agli esempi, ma anche alle di liste di approfondimento e
alle risorse commerciali che permettono di ottenere ottimi risultati con una spesa in più. Ad esempio, per
concludere questo metatutorial (un tutorial sui tutorial direi…) consiglio di dare uno sguardo a queste ottime
guide per prendere spunto:

 Designing A Facebook Fan Page: Showcases, Tutorials, Resources


 A Complete Guide To Tumblr
 Guide to Competitive Backlink Analysis
 How To Build A Facebook Landing Page With iFrames
Ora non mi resta che augurarti buon lavoro! E se hai qualche buon consiglio su come scrivere un
tutorial lascialo pure nei commenti!

105
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.3 IMPARARE AGENDO IN SITUAZIONE. LA FORMAZIONE DELLE COMPETENZE

L’apprendimento non è un unico processo, ma un insieme di processi multiformi


(cognitivi, metacognitivi, socio-relazionali, motivazionali, esperienziali, trasformativi),
intrecciati in reti prive di gerarchie ideologiche e di egemonie culturali, che si incarna nel
pensiero-azione in situazione, che si sostanzia nella costruzione di competenze.
Oggi, molta parte dell'attività didattica, della progettazione e della valutazione, è
indirizzata all'apprendimento per competenze. La competenza non equivale al "saper
fare" e nemmeno getta i nostri studenti nell'arena della competizione; è, molto più
semplicemente il pensiero in azione, l’agire riflessivo che si fonda sui saperi e sulle
conoscenze che l’allievo non solo ha appreso, ma di cui ne ha fatto esperienza reale,
concreta, vissuta. Così, l’allievo riconosce e affina lo scopo del suo agire, costruisce il
senso del suo essere nel mondo.
Apprendere per competenze è un processo integrato, che coniuga l’esperienza e
l'azione con le conoscenze, con i processi cognitivi ed epistemologici (saperi essenziali,
nuclei fondanti), con le abilità e le procedure (saper applicare, saper fare), con il pensiero
finalizzato, autonomo, critico, rielaborativo, responsabile.
Tra le tecniche didattiche che incarnano questa filosofia formativa troviamo l’action
learning, per lo sviluppo di competenze nella formazione professionale, l’outdoor
learning per lo sviluppo di competenze oltre l’aula, e il service learning, per lo sviluppo
in generale delle competenze di cittadinanza, e in particolare per quelle sociali,
relazionali, interattive.

6.3.1 L’Action Learning nella formazione professionale


L’Action Learning (apprendimento all’azione) è una metodologia di sviluppo delle
persone, dei gruppi e delle organizzazioni professionali che utilizza un compito reale
come veicolo di apprendimento, basandosi sulla premessa che non esiste
apprendimento senza azione reale, né azione intenzionale senza
apprendimento. In questo approccio, “apprendere” significa per un manager
apprendere ed agire efficacemente e questo è possibile solo sperimentandosi nell’azione
reale.
Si tratta di un’interazione complessa, un vero e proprio progetto, che si addice ad
interventi formativi ampi e protratti nel tempo, in cui si deve raggiungere
contemporaneamente obiettivi diversi. Secondo Quaglino (1985), la vera finalità
dell’action learning “consiste nell’acquisire la capacità di porsi interrogativi nuovi
per affrontare situazioni nuove, anziché nell’acquisire conoscenze già definite e
consolidate: nel ricercare e ritrovare le domande, anziché le risposte giuste.”
I partecipanti ad un programma di Action Learning lavorano in piccoli gruppi, alla
presenza di un facilitatore, per progettare un’azione reale e per apprendere dall’azione
intrapresa, all’interno di un processo clinico di azione reale, analisi e riflessione
sull’azione, progettazione dell’azione successiva o alternativa e - di nuovo - azione sulla
base delle conclusioni raggiunte.
All’interno dei gruppi si produce una riflessione guidata sulle esperienze proprie e
altrui, che divengono entrambe fonti di apprendimento, con l’aiuto dei propri colleghi di
gruppo e del facilitatore.
I gruppi possono inoltre avere accesso discrezionale a risorse rilevanti per la soluzione
dei loro problemi, quali formazione, consulenza esperta, strumenti o materiali.
Il risultato è molteplice: azioni reali intraprese per la soluzione di problemi concreti,
apprendimento di competenze rilevanti per il compito/ruolo e di una metodologia di
apprendimento autonomo dall’esperienza (apprendere ad apprendere)
I programmi di Action Learning consentono il raggiungimento contemporaneo di
diversi obiettivi:
 soluzione di problemi organizzativi e implementazione di soluzioni,

106
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

 sviluppo di competenze manageriali e gestionali,


 sviluppo di capacità riflessiva di apprendimento dall’esperienza, di problem setting e reframing
(=l'azione d'inquadrare qualcosa in una nuova cornice),
 sviluppo personale.
I principi dell’Action Learning:
 l’apprendimento significativo e duraturo si costruisce solo a partire dall’esperienza personale e
pratica e richiede dunque di essere basato sul circolo virtuoso di pensiero-azione-riflessione,
 l’apprendimento che conta produce cambiamenti a livello individuale e collettivo e coinvolge non
solo il livello cognitivo ma anche quello emotivo ed etico,
 lo sviluppo organizzativo richiede la presenza di altri che operino sia come supporto che come
specchio critico,
 la riflessione e l’apprendimento richiedono tempi e luoghi legittimati.
La struttura delle attività di Action Learning è di volta in volta progettata su misura
sulla base delle caratteristiche degli obiettivi, del compito, del contesto e degli eventuali
vincoli. L’intensità dell’impegno e l’arco temporale di realizzazione sono estremamente
flessibili, dal lavoro intensivo di tre giorni all’appuntamento con periodicità mensile per
dodici mesi.
Approfondimento: Si rimanda all’articolo “Action Learning: una metodologia
didattica basata sull’esperienza” di Roberto Orazi - in web:
http://qtimes.it/flv/Orazi_QTimes_2_2014.pdf.

6.3.2 L’outdo
or learning. L’apprendimento oltre l’aula
L'outdoor learning (apprendimento all'aperto) è un’espressione ampia che nelle
diverse età comprende: giochi all'aperto, attività nei cortili e nei giardini delle scuole,
educazione ambientale, attività ricreative e di avventura, programmi di sviluppo
personale e sociale, esplorazioni, team building, formazione alla leadership, sviluppo
manageriale, educazione alla sostenibilità, avventura, terapia ... e molto altro ancora.
L'outdoor learning non ha confini chiaramente definiti ma ha un nucleo comune in
tutte le varie forme: il valore dell’apprendimento outdoor sta nell’esperienza
diretta.

107
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Imparare all’esterno procura un contrasto notevole 56 rispetto al lavoro in aula.


L'esperienza diretta all'aperto è più motivante, ha più impatto ed è più credibile. Le
esperienze esterne, con la mediazione, l’interpretazione o la facilitazione di un insegnante
esperto, diventano una fonte stimolante di crescita personale, di sviluppo e innovazione
nell'apprendimento.
L'apprendimento all'aperto è apprendimento attivo in mezzo alla natura.
I partecipanti apprendono attraverso ciò che fanno, attraverso ciò che incontrano e
attraverso ciò che scoprono. Imparano a conoscere la vita all'aria aperta, se stessi e gli
altri, ma apprendono anche le competenze necessarie nella vita oltre l’aula.
L’apprendimento attivo incrementa con più facilità le capacità di indagine, di
sperimentazione, di feedback, così come la riflessione, la revisione e la cooperazione.
L'apprendimento all'aperto è apprendimento reale.
L’apprendimento all'aperto non è reale solo perché si svolge in ambienti naturali in cui
i partecipanti possono vedere, sentire, toccare e annusare, ma anche perché si attua in
luoghi in cui le azioni hanno risultati e conseguenze reali. L'outdoor learning può
rivitalizzare molte materie scolastiche fornendo energia esperienziale al curricolo "per
consentire agli alunni di rispondere positivamente alle opportunità, alle sfide e alle
responsabilità, di gestire il rischio e di affrontare i cambiamenti e le avversità" 57.
L'outdoor learning allarga gli orizzonti e stimola nuovi interessi.
Gli ambienti e le attività outdoor non pongono limiti alle esperienze e alle curiosità che
possono suscitare. I partecipanti scoprono talenti, abilità e interessi che non
immaginavano di possedere. I codici di sicurezza (l’apprendimento outdoor si situa in un
setting protetto) delimitano chiaramente le azioni permesse nella direzione degli obiettivi
di apprendimento, ma l'apprendimento all'aperto, in ogni caso, ispira oltre i confini
didattici e immagina nuovi scenari.
La formazione outdoor è sempre più integrata.
Molte forme di outdoor learning attraversano le attività formative tradizionali.
L’attenzione allo sviluppo personale e sociale si intreccia con l’interesse per l'ambiente e
la sostenibilità. Le esperienze dei partecipanti sono fonte di nuovi apprendimenti e non
soltanto sfondi su cui applicare vecchi modelli.

Le qualità di un corso outdoor includono:


1. La percezione dell’avventura, dell’imprevedibilità, del dramma, della suspense.
Questa percezione può nascere dalla situazione (esplorare una scogliera o dei bassifondi,
essere su una canoa) oppure dall’insegnante che si impegna a inserire tutte queste
sensazioni nell’apprendimento tramite dei racconti, delle osservazioni e perfino con il suo
senso dell’umorismo.
2. L’alto livello delle aspettative (realizzabili): gli allievi devono essere convinti che non
tutti sarebbero stati capaci di svolgere quelle attività e che al docente importi davvero
che loro raggiungano il risultato.
3. L’orientamento verso il successo in cui è supportata e incoraggiata la crescita e in
cui si dà risalto alla positività. L’incoraggiamento è uno degli ingredienti cruciali per
risolvere il conflitto tra aspettative alte e la necessità di riuscire a fare una esperienza di
successo.
4. L’atmosfera di supporto reciproco in cui la cooperazione, l’incoraggiamento e
l’attenzione ai rapporti interpersonali sono sempre presenti.
5. Il senso di divertimento e piacere nell’opportunità di poter ridere delle situazioni,
degli altri e di sé stessi.

56
Quando il contrasto dà luogo a dissonanza cognitiva sviluppa nuovi apprendimenti (L. Festinger,
Gestalt Theorie).
57
DfES & QCA, The National Curriculum, 'Aims for the School Curriculum' 1999.

108
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6. L’approccio all’apprendimento che utilizza problemi da risolvere in gruppo, che tiene


conto dei vari contributi personali e che sottopone ai partecipanti dei problemi che non
possono ordinariamente essere risolti individualmente. Viene premiato lo sforzo del
gruppo più che la competizione o il successo individuale.
7. La creazione di laboratori di apprendimento che sono più complessi, più
coinvolgenti, meno prevedibili e meno simili alla lezione in aula.
8. Il confluire dello sviluppo intellettuale, sociale, psichico ed emozionale.
9. Il forte lavoro cognitivo sui concetti astratti e le domande sviluppate in aula, prima
o dopo l’evento formativo esterno.
10. La combinazione equilibrata di momenti di coinvolgimento attivo e momenti di
riflessione e valutazione personale e di gruppo. La consapevolezza che i momenti in cui si
impara o si insegna sono ingredienti fondamentali.
11. La chiara organizzazione e strutturazione che definisce i limiti dell’esperienza e le
aspettative, all’interno delle quali però ogni partecipante è libero di prendere decisioni, di
fare delle scelte ed anche degli errori.
12. La logica economica e strutturale che consente al corso di essere effettivamente
realizzabile tenendo conto delle effettive (e spesso limitate) risorse disponibili.

6.3.3 Un esempio scolastico di outdoor learning:


le Expeditionary Learning Schools
Il modello di scuola che maggiormente ha adottato le situazioni di realtà come
principio cardine dell'apprendimento è rappresentato dalle Expeditionary Learning
Schools, ovvero dalle scuole pubbliche statunitensi di tipo Outward Bound. Le
Expeditionary Learning Schools si rifanno direttamente alle concezioni di Kurt Hahn,
precursore dell’outdoor training, un educatore progressista della prima metà del secolo
scorso, il cui interesse era prevalentemente orientato all'educazione degli adolescenti. Per
Hahn l’istruzione e l'insegnamento si effettuano nell'attività, nell'esperienza e
nell'avventura: “ogni allievo è capace di una grande passione, di una passione creativa e
il nostro dovere più nobile è di scoprirla e soddisfarla” (Hahn, 1930: 151).
Le Expeditionary Learning Schools si caratterizzano per a) l’apprendimento in
situazione, complesso ed esistenziale, dove anche le materie fondamentali si imparano
uscendo dalla scuola, nelle “spedizioni” in città, in campagna, in mare, in montagna; un
apprendimento completamente diverso da quello parcellizzato in sequenze di argomenti
astratti proposto in aula, b) la promozione dello sviluppo integrato dell'allievo,
intellettuale, morale e fisico, e c) la modifica delle modalità e dei processi di
apprendimento, ma anche delle metodologie didattiche, dei processi organizzativi e della
cultura scolastica.
Le Expeditionary Learning Schools si fondano su dieci principi:
I. Il primato della scoperta di sé. L'apprendimento avviene in modo migliore attraverso
le emozioni, le sfide e il supporto necessario. Le persone scoprono le loro abilità, i valori,
le passioni e le responsabilità in situazioni in cui è presente l'avventura e l'imprevisto. Gli
studenti svolgono compiti che richiedono perseveranza, forza fisica, padronanza,
immaginazione, autodisciplina e risultati significativi. Il compito principale dell'insegnante
è quello di aiutare i propri studenti a superare le paure e a scoprire che possono
realizzare più di quanto essi pensino.
II. Sviluppare idee con la meraviglia. Nutrire la curiosità verso la realtà creando
situazioni di apprendimento che forniscano qualcosa di importante a cui pensare, tempo
per sperimentare e tempo per attribuire senso a ciò che si osserva. Promuovere una
comunità in cui siano rispettate le idee degli studenti e degli adulti.
III. La responsabilità dell’apprendimento. L'apprendimento è sia un processo di
scoperta personale che un'attività sociale. Ciascuno apprende sia individualmente sia
come parte di un gruppo. La scuola deve incoraggiare giovani ed adulti a divenire sempre

109
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

più responsabili nell'orientare il loro personale apprendimento ed anche quello


comunitario.
IV. Empatia e cura. L'apprendimento è facilitato nelle comunità in cui le idee di tutti
sono rispettate e dove c'è fiducia reciproca. Le scuole e i gruppi di apprendimento devono
essere di piccole dimensioni. Gli studenti più anziani fungono da mentori di quelli più
giovani e tutti si sentono fisicamente e psicologicamente al sicuro.
V. Successo e fallimento. Tutti gli studenti hanno bisogno di sperimentare il successo,
devono sostenere la capacità di assumersi dei rischi ed andare incontro a sfide crescenti.
Ma è altrettanto importante che imparino dai loro fallimenti, a prevalere sulle avversità e
a trasformare le difficoltà in opportunità.
VI. Collaborazione e competizione. L'insegnamento deve promuovere in modo
integrato lo sviluppo individuale e di gruppo, così da rendere chiari il valore dell'amicizia,
della fiducia e dell'azione di gruppo. Gli studenti sono incoraggiati a non competere gli
uni contro gli altri ma con se stessi e con rigorosi standard di eccellenza.
VII. Diversità e inclusione. Sia la diversità che l'inclusione aumentano la ricchezza
delle idee, l'energia creativa, le capacità di risolvere problemi e l'accettazione degli altri.
Gli studenti esplorano e valorizzano le loro differenti storie, talenti e risorse così come
quelli delle altre comunità e culture. I gruppi di apprendimento sono strutturati in modo
eterogeneo.
VIII. Il mondo naturale. Il rapporto diretto e responsabile con la natura nutre lo spirito
umano e ricorda gli importanti principi dei cicli ricorrenti e di causa-effetto. Gli studenti
apprendono a diventare custodi e ‘amministratori’ della Terra e delle future generazioni.
IX. Solitudine e riflessione. La solitudine, la riflessione e il silenzio danno energia e
aprono le nostre menti. Gli studenti hanno bisogno di passare del tempo da soli per
esplorare i loro pensieri, fare i loro collegamenti e creare le loro idee. Essi hanno anche
bisogno di condividere e scambiare le riflessioni tra loro e con gli adulti.
X. Aiuto e compassione. Nella scuola tutti, insegnanti e allievi, sono equipaggio e non
passeggeri. Studenti ed insegnanti rafforzano se stessi attraverso azioni di aiuto
reciproco. Una delle funzioni primarie della scuola è quella di preparare gli studenti a
sviluppare attitudini e capacità di imparare dagli altri ed essere al servizio degli altri.

6.3.4 Il Service-Learning. L'apprendimento attraverso il servizio alla comunità


Il Service Learning Community è un modello di apprendimento esperienziale che
combina l'apprendimento in classe e l’impegno sociale (volontario) per raggiungere gli
obiettivi di una comunità, e promuovere negli studenti un senso di impegno civico. Il
Service-Learning è un metodo didattico che unisce due elementi:
 il Service, ovvero l’essere al servizio della comunità/società, operare volontariamente per il bene
comune, e
 il Learning, ovvero l’apprendimento/acquisizione/costruzione di competenze sociali,
metodologiche, e professionali.
Service – impegno sociale per la cittadinanza. Per il buon funzionamento della
società civile, è fondamentale che i suoi membri si assumano in modo autonomo compiti
e responsabilità. I progetti del Service-Learning devono sensibilizzare a queste esigenze
e mettere in risalto il valore e l’utilità del lavoro sociale. Chi si impegna per la comunità
impara a conoscere altri ambienti e altre realtà di vita, riconosce i problemi sociali,
sviluppa il senso di responsabilità e impara ad agire democraticamente.
Learning – apprendimento autentico di competenze. I progetti Service-Learning
si attivano in situazioni didattiche autentiche, in cui gli allievi possono sviluppare le loro
competenze, metodologiche e sociali. In una Unità di Apprendimento, con compiti
autentici, basati su questioni «reali», gli allievi si scoprono attivi e competenti. I progetti
di Service-Learning rafforzano l’autostima dei partecipanti. Inoltre favoriscono la
coesione della classe facilitando il clima di apprendimento.

110
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Che cosa non è il Service-Learning? Non tutti i progetti in cui una classe o una
scuola si impegna in attività di servizio sociale sono progetti di Service-Learning. Per
esempio non sono attività di Service-Learning:
 l’impegno sociale non legato all’apprendimento,
 l’insegnamento/apprendimento senza impegno sociale
 il praticantato, il tirocinio o lo stage svolti per un servizio di utilità pubblica
 Il servizio di utilità pubblica imposto per compensare un comportamento illecito (es: infrazione
stradale).

Il Service-Learning e l’apprendimento per competenze58


Il metodo didattico del Service Learning si è sviluppato nel Nord America dal 1990,
fondandosi sulla convinzione che l’impegno sociale e il lavoro volontario nella comunità
sono indispensabili per lo sviluppo della società.
Oggi, in vari Stati del Canada, la collaborazione a un progetto di Service-Learning è
una condizione per ottenere l’attestato di fine ciclo scolastico (rif.: Canadian Alliance for
Community Service-Learning). Negli Stati Uniti, una scuola elementare pubblica su tre, e
una su due delle scuole di specializzazione, prevedono il Service-Learning nel loro
curricolo (rif.: National Service-Learning Clearinghouse).
Negli ultimi anni sono avviati con successo progetti di Service Learning anche in
Europa, in particolare in Germania (rif.: Fondazione Freudenberg, Netzwerk Service-
Learning) e in Svizzera (rif.: Schweizer Zentrum Service-Learning, Centro svizzero
Service-Learning).
Le impostazioni teoriche di fondo non possono che risalire a Dewey (1938). L’opzione
metodologica si rifà alle concezioni di K. Hahn, precursore delle attuali Expeditionary
Learning Schools (in Knoll, 1998). Tale opzione, nella formazione professionale, è stata
ampiamente sviluppata da D. Kolb (1984) negli stadi dell’experiential learning e da J.
Mezirow (2003) con l’esperienza riflessiva, da J. Lave e E. Wenger (1991) con il situated
learning nei sistemi formativi organizzati in comunità di pratica, da R. Revans (1980)
nelle forme dell’Action Learning e da L. Rohlin con l’Action Reflection Learning (Boshyk,
Dilworth, 2010; Marquardt, Ceriani, 2009).
 Conseguentemente, la pratica didattica ci porta all’apprendimento per competenze mediante
compiti autentici, mediante attività formative basate sull'utilizzo della conoscenza e delle abilità
concettuali e/o operative in situazioni reali, che hanno un collegamento attivo e generativo nella
definizione e nella soluzione dei problemi, e che sono radicate nell’esistenza e nei valori
dell'allievo.
 Il Service learning coniuga e integra i fattori che promuovono la competenza (riflessione e azione)
all'interno dei paradigmi di autonomia e responsabilità, in situazioni operative e professionali, con
metodologie motivanti e coinvolgenti.
 In recenti studi, Erik De Corte (2009, 2012) ha indicato la natura dell’apprendimento, i caratteri
specifici che esso deve possedere per promuovere la competenza adattiva, cioè quella capacità di

58
In questa sede esaminiamo l’impostazione di service learning più vicina all’apprendimento per
competenze, ovvero a quella nordamericana ed europea, rinviando ad altri approfondimenti quella
sudamericana e spagnola (aprendizaje-servicio) il cui riferimento teorico è connesso alla pedagogia
degli oppressi di Paulo Freire. Riferimenti bibliografici: CONSEGNATI S., GUARDIANI M., Il Service–
Learning, teorie e prassi, in “Scuola Italiana Moderna”, n. 15, anno 119, giugno 2012. FURCO A.,
Service Learning and the Engagement and motivation of High School Students, Berkeley Service-
learning Research and Development Center, School of Education, University of California at Berkeley,
2003. FURCO A., Impacto de los proyectos de aprendizaje servicio, in EDUSOL, 2005B, pp 19-26.
MARSHALL T., Aprendizaje – servicio y calidad educativa, in EDUSOL, 2004, pp 94-98. PUIG, J.M.,
BATLLE R., BOSCH C., PALOS J., Aprendizaje servicio. Educar para la ciudadanía. Barcelona, Editoria
Octaedro, 2007. TAPIA, M.N., Educazione e solidarietà, la pedagogia dell’apprendimento servizio, Città
Nuova, Roma, 2006.

111
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

utilizzare in una varietà di contesti, in modo sensato, creativo e flessibile, la conoscenza e le abilità
apprese. È l’apprendimento CSSC, ovvero Constructive, Self-regulated, Situated and Collaborative.
 La metodologia che permea i progetti Service learning ottempera pienamente ai canoni
dell'apprendimento CSSC: è costruttivo (poiché gli studenti sono chiamati a fare, a produrre
anche imitando, a costruire qualcosa che ha valore professionale e non meramente esercitativo);
è situato (l'apprendimento si incarna in situazioni vive, non astratte e neppure semplicemente
simulate); è collaborativo (poiché molta parte dell'agire, del fare e del riflettere su ciò che si sta
facendo si sviluppa nell’ambito delle comunità di pratiche, in cooperative learning), è auto-
regolato (poiché il gruppo degli allievi è chiamato a svolgere il monitoraggio continuo del proprio
lavoro).
 In più il Service Learning promuove un apprendimento etico. Carrington e Saggers (2008)
propongono cinque principi etici per il Service learning: la collaborazione e il lavoro di squadra; lo
sviluppo di una cultura inclusiva; il valore del rispetto; lo sviluppo di partnership; la formazione
fondata sull’esperienza e sull’empatia con gli studenti.

Come svolgere un progetto di Service-Learning


I progetti Service-Learning partono da una reale esigenza che gli allievi individuano
nel loro ambiente sociale circostante, come risultato di una ricerca, oppure nell'ambito di
una disciplina scolastica.
I progetti sono realizzati al di fuori dell’ambiente scolastico e in cooperazione con
partner esterni. I progetti sono però obbligatoriamente legati ad alcune discipline e sono
integrati nel curricolo scolastico. Le fasi del progetto sono pianificate e ponderate
costantemente.
Per garantire l’autonomia e la responsabilità degli allievi, il personale insegnante
accompagna, dirige e consiglia ma resta possibilmente in ombra. Il livello di autonomia
procedurale dipende dalla classe e dalla sua struttura.
Durante l’intero progetto gli allievi discutono del loro lavoro e dei risultati (intermedi)
man mano che avanzano. Documentano l’evoluzione e presentano i risultati al termine
del progetto.
Un altro punto importante del progetto di Service-Learning riguarda la «cultura del
riconoscimento»: gli sforzi di tutti i partecipanti devono essere riconosciuti
pubblicamente (p.es. lode pubblica, lettera di ringraziamento, festeggiamento finale,
pubblicazione del progetto).
Per principio, i progetti di Service-Learning possono essere realizzati a ogni livello
scolastico.
Come trovare l’idea giusta per il progetto? E una volta concluso il progetto, come
offrire un riconoscimento alla classe? Per facilitare la realizzazione il Centro svizzero
Service-Learning59 ha messo a punto degli strumenti di lavoro per lo sviluppo dell’idea
del progetto e per la valutazione del progetto, nonché filmati di presentazione per
insegnanti e per gli allievi).

Standard di qualità del Service-Learning


Nel 2008, la National Youth Leadership Council degli USA ha individuato otto standard di qualità.

59
si raccomanda la visione del sito http://www.servicelearning.ch/it/aggiornamenti/, e dei filmati (in
particolare del video “Service-Learning: Introduzione per insegnanti” in
http://www.servicelearning.ch/it/strumenti_pratici/filmati/ )o
https://www.youtube.com/watch?v=sVK0yGlWVxw#t=14

112
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

K-12 Service-Learning Standards for Quality Practice


Meaningful Link to Reflection Diversity
Service Curriculum Service-learning incorporates Service-learning
Service-learning Service- multiple challenging reflection promotes
actively engages learning is activities that are ongoing and understanding of
participants in intentionally used that prompt deep thinking and diversity and mutual
meaningful and as an instructional analysis about oneself and one’s respect among all
personally relevant strategy to meet relationship to society. participants.
service activities. learning goals
and/or content
standards.

Youth Voice Partnerships Progress Monitoring Duration and


Service-learning Service- Service-learning engages Intensity
provides youth with a learning participants in an ongoing Service-learning
strong voice in partnerships are process to assess the quality of has sufficient
planning, collaborative, implementation and progress duration and
implementing, and mutually toward meeting specified goals, intensity to address
evaluating service- beneficial, and and uses results for community needs
learning experiences address improvement and sustainability. and meet specified
with guidance from community needs. outcomes.
adults.

Secondo il modello svizzero, lo sviluppo di un progetto di Service-Learning si basa su cinque standard


di qualità fondamentali:
1. Reale necessità. L’impegno sociale degli allievi reagisce a un reale bisogno o a un
reale problema presente nel loro ambiente, nella loro città o nel loro comune, oppure in
relazione a un tema trattato nelle lezioni. Gli allievi cercano bisogni o sfide nel loro
ambiente e focalizzano i problemi «autentici». Da questi risultati si sviluppano le idee per
un progetto.
2. Partecipazione degli allievi. Gli allievi scelgono e pianificano l’intervento e per
quanto possibile lo realizzano autonomamente. Per loro significa farsi carico di un
compito utile, e prendersene la responsabilità. Il personale insegnante deve considerarsi
«collaboratore», offre sostegno e aiuto a seconda delle necessità della classe.
3. Integrazione nelle attività disciplinari. Il progetto è parte integrante del
curricolo scolastico, ed è inserito nel percorso didattico di una o più discipline.
4. Riflessione. Le allieve e gli allievi riflettono sulle loro esperienze e i loro progressi
di apprendimento in modo regolare e pianificato. Le esperienze sono costantemente
riesaminate e valutate. Gli errori fanno parte del lato produttivo del processo di
apprendimento.
5. Cooperazione extrascolastica. Il progetto si svolge per lo più al di fuori
dell’ambiente scolastico e promuove nuove interazioni tra gli allievi e la comunità e il
territorio. Nel progetto sono coinvolti collaboratrici e collaboratori esterni alla scuola,
p.es. esperte/i, rappresentanti del comune, del quartiere, di istituzioni e organizzazioni.

113
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.4 IMPARARE ANALIZZANDO LE SITUAZIONI

Dopo le tecniche simulative e dimostrative, ecco ora le tecniche attive che


promuovono nell’allievo una fondamentale competenza per l’apprendimento: l’analisi.
Analizzare significa discernere, distinguere, approfondire. Come fare per coinvolgere lo
studente in un’attività di analisi? Immergendolo in situazioni, che egli dovrà com-
prendere (= prendere dentro), differenziare, modellizzare, astrarre, formalizzare.
Prenderemo in considerazione il metodo dello studio di caso, secondo diverse
tecniche, in cui il soggetto o il gruppo60 analizza (dall’esterno) ambienti, relazioni e realtà
in cui si trova ad operare.
Le tecniche di analisi si rivelano utili per comprendere situazioni reali: ponendo
l’allievo in una situazione problematica, egli si trova nella necessità di attivare gli
schemi mentali che possiede, di prendere coscienza delle proprie concezioni in
rapporto alla realtà che lo circonda; nel confronto con gli altri, il gruppo dei pari, egli ha
l’opportunità di confrontare e valutare le proprie idee e rendersi conto se queste hanno
dei limiti; può dunque rendersi conto dell’inadeguatezza dei propri strumenti mentali e
quindi della necessità di dover modificare le proprie concezioni.
Con l’analisi si assiste ad una trasformazione della struttura concettuale del soggetto
che apprende, che deve smontare quella che possiede, per poi ricostruirla e riconfigurarla
in un’altra che risponda alle domande che si pone. Il processo è continuo e porta ad un
progressivo arricchimento delle potenzialità cognitive e quindi della possibilità di
apprendere.
In questo modello di apprendimento, l’errore non ha il significato di “sbaglio”, ma va
considerato come un passaggio essenziale per il progresso del processo di
apprendimento, per l’arricchimento della conoscenza. Assumiamo, quindi, la differenza
convenzionale tra errore e sbaglio: benché entrambi siano risultati mancati, il primo,
l’errore, può essere inteso come inefficacia nel giungere ad un incremento di
conoscenza, comunque conseguente ad un’inventio, ad un atto creativo, nel secondo, lo
sbaglio, l’inefficacia è dovuta alla scorretta applicazione di una regola già esistente.
Troppo spesso l’insegnante fa nascere negli allievi la paura di commettere errori e
mostrare loro che non hanno capito, ma ciò contribuisce a inibire il pensiero riflessivo
ed una comprensione autentica dei principi su cui si basa la conoscenza. 61

6.4.1 Le tecniche di analisi per capire le situazioni reali: lo studio di caso


Il metodo dei casi in ambito scolastico/educativo è stato ripreso negli anni ’70 come
alternativa agli approcci di tipo sistemico, che erano suggestivi e delineavano scenari
stimolanti, ma generavano estraneità e lontananza. Si cercava di calare i soggetti in
formazione in un contesto vicino al proprio vissuto, creando immedesimazione e

60
L'allievo potrà lavorare da solo o in gruppo, a seconda della funzione e dello scopo formativo. Il
lavoro in gruppo (v. la tecnica degli "orientati" utilizzata in pedagogia speciale) sviluppa l'analisi e
approfondisce un argomento mediante confronto, e discussione. Come suggerisce la piramide nel
frontespizio, il lavoro insieme assicura una elevata memorizzazione dell'appreso. Concretamente, nella
fase iniziale il formatore guida i lavori, che poi proseguono in forma auto-gestita dai sottogruppi. Questi
si occuperanno di tutte le fasi di raccolta della documentazione, organizzazione della stessa e la
rielaborazione. I sottogruppi devono anche stendere per la riunione plenaria una relazione sintetica del
lavoro svolto.
61
"Se un bambino scrive sul suo quaderno "l’ago di Garda" o si corregge l’errore con un segnaccio
rosso o blu o si segue l’ardito suggerimento e si scrive la storia e la geografia di questo ago
importantissimo segnato anche sulla carta geografica d’Italia. La luna si specchierà sulla punta o sulla
cruna? Si pungerà il naso?" (Rodari, 1973). L’indicazione di Rodari è meravigliosa, didatticamente ottima
per i bambini della primaria … ma non è sempre valida per gli adolescenti della secondaria: l’ironia e il
paradosso non sempre sono compresi e, nel fraintendimento, possono essere interpretati e vissuti come
sarcasmo umiliante.

114
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

coinvolgimento. Esponente di questa linea fu il CERI (Centre for Educational Research


and Innovation) dell’OCDE.
L’uso in ambito educativo dello studio di caso prevede un approccio all’apprendimento
che è quello del learning by doing, lo sviluppo di abilità comunicative e decisionali;
l’obiettivo, quindi, non è quello di dare informazioni sul contenuto/argomento oggetto del
caso, ma di innescare un processo di apprendimento e capacità di analisi che stimolino
un approccio critico alla realtà e sviluppino abilità di ricerca e spirito di collaborazione.
Pertanto sollecita a:
 contestualizzare la situazione per comprenderne i punti cruciali e gli elementi in gioco;
 decontestualizzare la situazione per comprenderne gli elementi significativi o rivelatori di
“scenari” generali (“schemi” di azione o di pensiero).
Con lo studio di caso si presenta agli studenti la descrizione di una situazione reale
(e in quanto tale complessa), frequente o esemplare. La descrizione di un caso è un
brano scritto al quale possono essere associati documenti, tabelle o schemi. Benché nella
letteratura si prospettino descrizioni molto lunghe, si ritiene didatticamente opportuno
non superare una o due pagine.
La situazione da esaminare può anche riguardare un caso problematico, ma bisogna
non dimenticare che l’obiettivo di questa tecnica non è quello di risolvere un problema,
bensì quello di imparare ad affrontare i problemi, ad individuarli e a posizionarli.
(Tessaro, 2002)
Bochicchio (2000, 140) ci ricorda che il metodo dei casi da alcuni autori è definito
anche lavoro di gruppo, perché richiama la particolare situazione di apprendimento tipica
in cui il gruppo viene suddiviso in sottogruppi meno numerosi, operanti tra loro in
autonomia, cui viene assegnato un compito da svolgere in un determinato tempo e da
presentare successivamente in plenaria.
È una metodologia didattica che richiede di applicarsi a situazioni concrete della vita e
del lavoro.
Secondo la tesi che vi sono anche più soluzioni ad un problema, la pratica del lavoro di
gruppo dovrà accettare che le soluzioni possono variare non solo in funzione delle
condizioni specifiche del problema, ma anche in relazione alla personalità dei soggetti che
tenteranno di risolverlo.
Il vantaggio più importante dell’applicazione di tale metodica riguarda la sua
incidenza sugli atteggiamenti dei partecipanti, che spesso si trasformano in cambiamenti
spontanei e duraturi dei comportamenti nella pratica quotidiana.
Lo svantaggio, dal nostro punto di vista, riguarda le dinamiche: pur innescando
un’interattività molto più intensa della lezione tradizionale, è ancora una tipologia a
mediazione dell’insegnante, che conserva margini di intervento molto elevati. Sarà lui,
inoltre, a dover restituire feedback significativi per trasformare in apprendimento le
risposte concrete ai problemi offerte dagli studenti. La sua guida, al riguardo, deriverà
evidentemente dalla verifica di consequenzialità o meno tra le interpretazioni elaborate e
quelle che i casi indagati forniscono rispetto alla questione di fondo da cui è stata guidata
la scelta.
Accanto allo sviluppo delle capacità analitiche, il metodo dei casi presenta anche altri
importanti aspetti formativi, se utilizzato come tecnica di gruppo. L’interazione tra gli
studenti, infatti:
 favorisce la conoscenza delle altre persone, scoraggiando dall’emettere semplicistici
giudizi nei loro confronti;
 permette di capire come uno stesso problema possa essere valutato in modo diverso
da persone diverse;
 consente di abbattere facili generalizzazioni, utili soltanto come difese individuali;
 sensibilizza e forma alla interazione e alla discussione creando condizioni che
facilitano una reciproca migliore comprensione;
 mette in evidenza le difficoltà che presenta il pensare ad un problema reale e il
giungere ad una eventuale soluzione di gruppo.

115
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

All’inizio delle esperienze con i casi, gli studenti sono ansiosi di conoscere le risposte ai
vari interrogativi e le soluzioni adottate nella realtà. Dopo un po’, comunque,
comprendono che è più importante imparare il processo di analisi per arrivare alla
soluzione piuttosto che “indovinare” la soluzione in sé. (Tessaro, 2002). Con lo studio di
caso lo studente impara a fare ricerca 62, comprende che ogni situazione va studiata
innanzitutto in sé e di per sé, solo successivamente andrà generalizzata, teorizzata. Lo
studio di caso, per definizione, ha un carattere idiografico: si riferisce ad una situazione
specifica e cerca di descriverne e comprenderne con rigore metodologico le
caratteristiche principali, in relazione a un sistema di ipotesi e di dimensioni pertinenti. Il
valore euristico di uno studio di caso si lega quindi direttamente alla significatività e alla
esemplarità della situazione indagata. In nessun caso, di conseguenza, è lecito cercare di
generalizzarne i risultati. I criteri di individuazione di una situazione significativa e
esemplare sono differenti, sul piano logico e metodologico, rispetto a quelli impiegati per
selezionare un campione rappresentativo, che consenta induzioni statisticamente valide
sull’insieme dell’universo di riferimento.
Peraltro, le conclusioni cui è possibile pervenire attraverso uno studio di caso
riguardano la forma e la configurazione dei fenomeni e le loro proprietà, senza alcuna
pretesa di generalizzazione. I risultati di uno studio di caso trovano un uso proficuo
qualora stimolino e corroborino la riflessione e la discussione o la formulazione di ulteriori
ipotesi, eventualmente verificabili attraverso la realizzazione di nuove indagini.
Lo studio di caso può essere proposto in classe soltanto dopo che ci si è accertati che
gli studenti hanno acquisito le conoscenze necessarie sugli argomenti introdotti dal caso:
questo metodo, infatti, serve per apprendere i comportamenti da assumere in situazioni

62
Da Invalsi: Il termine "studio di caso" può assumere diversi significati in relazione al contesto di
ricerca in cui viene utilizzato, in qualche modo è un termine "ombrello" che solitamente viene utilizzato
per indicare un insieme di metodi di ricerca che hanno in comune la decisione di focalizzare l'indagine su
una o più situazioni che il ricercatore considera esemplare o comunque indicative di un "insieme" più
ampio (Adelman, Kemmis, Jenkins 1980). "Esemplare" appunto, ma non "rappresentativo" dell’intero
insieme (Stenhouse 1979). È il ricercatore stesso che ‘crea’ il caso, individuandolo come tale e
trasformando progressivamente, attraverso l'indagine, l'oggetto indagato in oggetto di comprensione
(Kemmis 1980). È lo studio che definisce il "caso", che ne chiarisce le circostanze storiche e contestuali.
Le conclusioni cui uno studio di caso arriva sono legate al contesto particolare, non sono di per sé
generalizzabili, vanno piuttosto considerati come "verità provvisorie", senza pretese di definitività
(Kemmis 1980).
In questo tipo di impostazione diventa di importanza centrale il fatto che il ricercatore-valutatore
"espliciti" e "giustifichi" le proprie scelte metodologiche, argomenti le proprie interpretazioni, fornisca al
lettore tutti gli elementi non soltanto per capire l’origine delle valutazioni espresse, ma soprattutto per
poter mettere in discussione queste stesse valutazioni. Tutto ciò deve essere "comunicato" in modo
comprensibile per chi legge il rapporto di uno studio di caso (Elliott 1989, Losito 1993).
In ambito educativo, gli studi di caso sono stati utilizzati in modo particolare per studiare programmi
e iniziative di innovazione sul piano curricolare, rispetto ai quali è necessario tenere conto di situazioni
complesse, determinate da molteplici fattori e fortemente dipendenti dal contesto specifico all’interno del
quale si sviluppano.
L. Stenhouse individua quattro diverse tipologie di studio di caso nell'ambito della ricerca educativa
(Stenhouse 1985):
- etnografico (studio di un singolo caso in profondità attraverso l'osservazione partecipante e non
necessariamente con finalità di tipo pratico)
- valutativo (con lo scopo di fornire informazioni utili per giudicare della validità e della efficacia di
programmi, politiche, innovazioni in campo educativo e scolastico)
- educativo (con lo scopo di documentare sistematicamente l'azione educativa)
- studio di caso nella ricerca azione (le informazioni guidano l'affinamento della azione dei
"practitioners", che sono coinvolti in prima persona nella definizione del piano di ricerca e nella raccolta
dei dati. Gli obiettivi che si perseguono sono eminentemente pratici).
Anche se una dimensione di tipo valutativo è implicita in ciascuno dei tipi di studio di caso individuati
da Stenhouse, non tutti gli studi di caso sono "valutazioni". E' vero piuttosto il contrario. E cioè che tutte
le "valutazioni" sono "studi di caso". Il programma, il progetto, la persona o la struttura che vengono
valutate sono il "caso" (Stake 1995).

116
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

reali e come utilizzare adeguatamente le conoscenze in tali situazioni, non per insegnare
nozioni.
Come scegliere un caso. Per la scelta di caso appropriato è necessario verificare:
 la coerenza del caso agli scopi del corso;
 la fedeltà ad una situazione reale;
 la capacità di stimolare la curiosità e l'interesse;
 la complessità della situazione presentata (da dimensionare alle reali capacità di analisi degli
studenti);
 la difficoltà del linguaggio utilizzato nella descrizione (che può indurre ad errori di
interpretazione);
 la lunghezza del caso in relazione al tempo disponibile per il suo studio e la discussione
(indicativamente un'ora per lo studio a casa e altrettanto per la discussione in classe).
Per dare maggior realismo al caso proposto, accanto alla descrizione scritta, si può
ricorrere a copie di documenti reali, all'uso di filmati, a testimonianze privilegiate
oppure all'attuazione di visite guidate negli ambienti professionali o di ricerca.
Le regole per la progettazione di un caso
1. Scegliere una situazione realmente accaduta e possibilmente ambientata in realtà
conosciute dagli allievi.
2. Raccogliere la maggior parte di notizie sulla situazione individuata mediante
colloqui con gli operatori e osservazioni dirette.
3. Elaborare il materiale raccolto, ordinarlo logicamente e sequenzialmente.
4. Tracciare una bozza del caso facendo attenzione a:
- distinguere chiaramente le certezze dalle supposizioni;
- ripartire in più casi una situazione molto complessa;
- eliminare le informazioni che possono creare confusione;
- cercare fatti reali e coerenti, non interessanti o strani;
- mascherare i nomi delle persone o delle società coinvolte.
5. Individuare gli elementi e le informazioni mancanti per la comprensione completa
del caso. Ricercare tali elementi.
6. Far esaminare il caso elaborato a qualche operatore o responsabile del sistema
oggetto del caso, per apportare eventuali correzioni o integrazioni.
7. Redigere la descrizione del caso e allegare gli eventuali documenti di cui in essa si
fa riferimento.
8. Preparare una traccia di note per la presentazione del caso e per la sua
discussione.

M. Bellotto (1992) suddivide il metodo dei casi in diverse tipologie. Qui di seguito le
presenteremo tutte a titolo informativo (benché ogni ambito prediliga proprie tipologie):
 Decisione. Si giunge alla soluzione migliore attraverso informazioni fittizie, ma
precise nei particolari, contenute in un testo preparato dal formatore. Allena la
persona a prendere decisioni riguardanti il proprio lavoro e la propria vita.
 Studio di problemi. Vengono fornite informazioni in parte rilevanti e in parte
irrilevanti, che il gruppo è tenuto a selezionare e scegliere in funzione della decisione
da assumere. Talvolta è necessaria una negoziazione di informazioni con altri gruppi.
Lo studio si rivela utile per sperimentare metodi di lavoro, confrontare punti di vista,
ridurre le differenze di opinioni.
 Studio di casi. Si propone al gruppo un caso significativo tratto dalla realtà, avendo
cura di descrivere i personaggi che l’hanno vissuto e i problemi che si sono verificati.
Il gruppo proporrà una soluzione, che non risponde ad esiti prestabiliti.
 Identificazione di problemi. Al gruppo viene richiesto di esaminare una particolare
situazione tratta dalla realtà, di identificare i problemi e trovare una soluzione.

117
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

 Esercitazioni di gruppo, in ambito economico, sociale, ecc., derivate dalla tattica


militare consistenti nel prendere decisioni su informazioni iniziali e poi prenderne altre
basate sulle precedenti. A volte l’esercizio si svolge con partecipanti volutamente
sottoposti a stress.

Si pensi a quanto si senta valorizzato un ragazzo che sia messo in condizione di


affrontare casi di vita realistici, interagendo con esperti che li affrontano, a loro volta,
nella pratica quotidiana. Gli si offrirebbe così la possibilità concreta di sperimentare,
nella stessa vita d’ogni giorno, le varie dimensioni operative, culturali e sociali:
 quella dei saperi;
 quella delle relazioni;
 quella dell’organizzazione;
 quella deontologica.
In questo modo, all’allievo si chiede molto: gli si domanda infatti di “appartenere
all’insegnamento” fin dall’inizio, calandosi da subito nelle responsabilità e nei vincoli
che questo comporta. (Margiotta, 2001)
La scienza cognitiva ci informa che, col metodo dei casi e con le tecniche da questo
derivate, si apprende per ristrutturazione, la quale costituisce una delle tre modalità
dell’apprendimento umano (insieme a accrescimento e sintonizzazione). L’apprendimento
per ristrutturazione avviene creando uno o più schemi nuovi. Ciò accade quando gli
schemi preesistenti si rivelano inadeguati o insufficienti ad incamerare le informazioni
nuove in corso di elaborazione. Si differenzia radicalmente dall’apprendimento per
accrescimento in quanto, mentre quest’ultimo aggiunge “casi” ad una “regola” già
disponibile, il primo scopre una “regola” nuova, pertinente alla spiegazione di “casi” che il
soggetto sta apprendendo. La sintonizzazione, invece, avviene adattando ed affinando
uno o più schemi già presenti nella mente del soggetto. 63

6.4.2 Le tecniche per scegliere e decidere in situazione: l’ incident


I cosiddetti incident sono una delle varianti del metodo dei casi, più utile al fine di
sollecitare nei partecipanti maggior attenzione alla raccolta delle informazioni e alle
modalità di riconoscimento delle soluzioni.
Anche la tecnica didattica varia un po’, visto che il testo scritto che precede la
discussione di gruppo nell’incident è molto breve e richiede non più di qualche minuto di
lettura poiché il materiale presentato agli studenti è volutamente mancante di molti
elementi.
Un normale studio di caso di solito rappresenta sempre una situazione problematica.
Esso può essere assunto nella sua completezza e complessità, e allora la formazione
viene sostanzialmente centrata nella acquisizione o nel miglioramento delle abilità di
problem solving, di raccolta e analisi delle informazioni sul caso e di decisione in
situazione analoghe a quella del caso studiato.
Ma del caso si possono assumere soltanto i momenti critici, questi sono gli incident
che rappresentano delle “rotture” o dei “ momenti di svolta” sia per la
concettualizzazione della situazione relativa, sia per l’assunzione di quelle tecniche e

63
Ecco alcuni riferimenti bibliografici relativi allo studio di caso:
Adelman C., Kemmis S., Jenkins D. (1980), Rethinking Case Study: Notes From the Second
Cambridge Conference in H.Simons (ed), Towards a Science of the Singular, Norwich, CARE
Kemmis S. (1980), The imagination of the case and the invention of the Study, in H. Simons (ed),
Op.cit.
Losito B. (1993), Lo studio di casi nella ricerca educativa, in Idem Che cosa è la ricerca azione?,
Fenestrelle, Regione Piemonte
Stake, Robert E. (1995), The Art of Case Study Research, Thousand Oaks - London - New Delhi, Sage
Publications

118
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

metodologie di risoluzione dei problemi che sembra più opportuno possedere per
comportarsi in situazioni che presentano alti tassi di ripetitività degli incidenti occorsi e
studiati.
Le tecniche particolarmente usate per esaminare un incident (il momento critico, la
situazione di emergenza) sono quelle della problem-analysis e quella della content-
analysis. La problem-analysis consiste essenzialmente nello “squadernamento” del
problema e nel guidare a fornire risposte a “perché è successo”, “come si sarebbe
dovuto risolvere”; la content-analysis invece è più raffinata e consiste
essenzialmente nell’analisi del contenuto, delle informazioni accoglibili in situazione
problematica e del loro migliore trattamento allo scopo di ottimizzare tanto la
risoluzione dei problemi che le decisioni conseguenti.
Per ciascuno studio di incident, il docente deve preoccuparsi di insegnare ad attivare
tanto le strategie formali che quelle informali di trattamento delle informazione e di
risoluzione dei problemi dal punto di vista dei loro contenuti.
È utile perciò esaminare attentamente la seguente tabella (Castagna, 1993), dove
vengono sintetizzate per il formatore le sequenze strategiche principali per utilizzare
l’incident in attività di formazione.
Le fasi dell’incident
A. Consegna del caso critico e delle informazioni di base, con la prima domanda
didattica: Quali informazioni ulteriori vi servono e perché?
B. Lavoro di sottogruppo
C. Prima plenaria sulle informazioni necessarie per risolvere quel problema
D. Eventuali contributi teorici del docente
E. Consegna della seconda parte del caso, contenente informazioni uguali per
tutti, con la seconda domanda didattica: Quale soluzione proponete e perché?
F. Lavoro di sottogruppo
G. Plenaria conclusiva

119
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6.4.3 Gli autocasi


Altra variante del metodo dei casi, ma fondata su un maggior livello di partecipazione
dei soggetti interessati, poiché il caso reale che verrà analizzato sarà tratto proprio
dall’esperienza viva di qualcuno dei protagonisti presenti in aula, che potrà utilizzare la
forma narrativa64 per condividerlo con il resto del gruppo e fornire tutte le informazioni
necessarie alla discussione.
Invece di riportare la propria analisi in plenaria, agendo prevalentemente sul livello
cognitivo, i sottogruppi hanno il compito di far rivivere la situazione a tutti i partecipanti,
in maniera che tutti possano contribuire ad analizzarla.
Ai presenti viene poi chiesto di ricostruire il caso, progettandolo tramite raccolta,
ordinazione e sintesi dei dati. Il procedimento si sviluppa secondo le seguenti operazioni
cronologiche:
Le fasi dell’Autocaso
1. Racconto dettagliato di uno o più casi da parte di altrettanti soggetti
2. Scelta del caso da analizzare e motivazione delle ragioni
3. Richiesta di ulteriori informazioni e chiarimenti sia da parte del formatore che dei
componenti del gruppo
4. Classificazione delle informazioni, sintesi e schematizzazione
5. Discussione del caso
6. conclusione, tramite confronto con la diagnosi di partenza, e risposta agli
interrogativi
7. Feedback conclusivo
Il partecipante che suggerisce il caso deve recitare la parte di se stesso e quella del suo
interlocutore? A questa domanda vengono date spesso le due risposte opposte, ognuna
con vantaggi ed inconvenienti. In generale si può dire che, se si vuole lavorare più sulle
dimensioni emotive del partecipante, è consigliabile fargli giocare la parte di se stesso.
Se invece si usa la situazione solo come possibile esempio di casi reali, conviene fargli
interpretare la parte dell’interlocutore in modo da aumentare le sue capacità si porsi nei
panni degli altri.
Il metodo dell’autocaso produce normalmente simulazioni con forte coinvolgimento
personale, anche emotivo, nettamente più “vere” che in tutte le altre ipotesi; per lo
stesso motivo, è però anche il più difficile da gestire.

64
Lo stile comunicativo narrativo è specifico della metodologia autobiografica. Può essere utilizzato
anche nelle diverse tecniche dei casi a supporto dell’analisi descrittiva. FT

120
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.5 IMPARARE STIMOLANDO LA CREATIVITÀ DEL GRUPPO. IL BRAINSTORMING

Il brainstorming (letteralmente, tempesta del cervello)65 è una tecnica di lavoro di


gruppo con cui ci si prefigge di ricercare il massimo di idee su un tema preciso e di
individuare insieme soluzioni creative ad un problema. Ad un gruppo di studenti (ad una
decina circa) viene affidato un compito insolito, un problema nuovo, un argomento
originale e complesso, e, per venirne a capo, i partecipanti dovranno far ricorso
all'immaginazione.
Ecco una serie di indicazioni raccolte.
“È una tecnica utilizzabile nelle discussioni di gruppo, particolarmente adatta a
produrre idee nuove o strategie alternative nella soluzione di problemi.
Il termine brainstorming si riferisce all'opportunità che la tecnica offre di "parlare a
ruota libera", di lasciar scorrere liberamente il flusso delle idee e dei pensieri, nel
tentativo di trovare una soluzione adeguata al problema di partenza.
Un punto di forza del brainstorming è dato dalla possibilità di utilizzare i suggerimenti
offerti da tutti i partecipanti al gruppo, in modo tale che l'idea proposta da un membro
del gruppo possa suggerire a un altro un'idea nuova e magari più adeguata, fino al
raggiungimento della soluzione considerata migliore. La produzione di molte idee nuove
può, inoltre, favorire lo sviluppo di un atteggiamento creativo verso i dati
dell'esperienza e un modo nuovo di elaborarli.
Affinché la tecnica del brainstorming sia utilizzata con successo, è necessario seguire
alcune indicazioni organizzative:
a) Una seduta di brainstorming non può durare meno di 30 minuti e più di 45 minuti.
b) È consigliabile che il gruppo sia formato da un minimo di 8 partecipanti e da un
massimo di 12.
c) È opportuno definire nel modo più chiaro possibile l'obiettivo del brainstorming,
prima di dare inizio alla fase di produzione delle idee.
Nella conduzione del gruppo, inoltre, l'insegnante deve esplicitare e far rispettare due
regole base:
1) Idee, proposte ed emozioni devono essere verbalizzate con la massima libertà di
ognuno, senza nessuna preoccupazione circa la loro qualità. In questa fase è la
"quantità" che conta, piuttosto che la "qualità".
2) Nella fase di produzione delle idee nuove, è necessario che l'insegnante interrompa,
in modo cordiale ma fermo, le possibili critiche mosse alle idee espresse dai partecipanti.”
Un’altra definizione riassume: “… affinché il brainstorming sia efficace deve esserci un
buon clima di gruppo ed è necessario seguire alcune semplici regole:
 eliminare ogni giudizio o valutazione critica
 andare a ruota libera
 dare importanza alla quantità e non alla qualità delle idee
 associare la propria idea a quella degli altri combinandola insieme
 concentrare l'attenzione su un unico problema
 registrare tutte le idee”
E distingue la fase immaginativa da quella razionale… “A questa fase di "tempesta
d'idee" della durata di …. minuti, segue quella "razionale" di almeno due ore dove le idee
prodotte sono sottoposte a valutazione secondo determinati criteri di fattibilità.

65
Per l’approfondimento della tecnica del brainstorming si rimanda al “classico” di Osborn Alex F., Applied Imagination.
Principles and Procedures of Creative Thinking, Charles Scribner’s, Sons, New York 1953, nella trad. it. L’arte della creativity. Principi
e procedure di creative problem-solving, Franco Angeli, Milano, 2003, settima edizione. Molto valida la recente proposta di Bezzi
Claudio e Baldini Ilaria, Il brainstorming. Pratica e teoria, Franco Angeli, Milano 2006

121
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Un’ultima definizione si rifà ad Osborn: “Infatti secondo Osborn, che la ha ideata, per
riuscire a produrre idee qualitativamente elevate per la soluzione dei problemi, bisogna
incentivare la produzione in considerevole numero. Il brainstorming tende a sviluppare al
massimo tale produzione senza preoccuparsi in prima istanza del loro valore e della loro
capacità di portare a soluzione il problema.
Osborn propone quattro norme per condurre una riunione Brainstorming:
a) la critica è esclusa: il giudizio negativo sulle idee deve essere rimandato ad un
secondo tempo;
b) la corsa “in folle” è ben accetta: più è audace l’idea meglio è; è più facile frenare
che incoraggiare;
c) si cerca la quantità: quanto maggiore sarà il numero delle idee tanto più
probabile sarà trovarne di utili e di qualità;
d) si cercano combinazioni e miglioramenti: oltre a contribuire con idee proprie, i
partecipanti dovrebbero suggerire come le idee altrui possono essere trasformate in idee
migliori o come due idee possono essere fuse in un’altra idea ancora”.
Come si conduce una seduta di brainstorming? Queste sono le azioni nella versione
classica: A) La proposta del problema. B) La ripartizione in gruppi. C) I ruoli interni al
gruppo (coordinatore e segretario-verbalizzatore). D) La successione degli interventi
(sequenziale o libera). E) La verbalizzazione. F) Il punto della situazione. G) La sintesi
aperta. H) Il confronto/discussione.
La tecnica è particolarmente utile per gli studenti con difficoltà comunicative (dovute,
per esempio, a timidezza) o con povertà lessicale, poiché ciascuno può dire quello che
vuole e come lo vuole, protetto dalla rigorosa regola dell'esclusione della critica. Per altro
verso è utile anche agli studenti eccessivamente loquaci e prolissi che, costretti nei limiti
di tempo a disposizione, sono invitati a sviluppare capacità di sintesi e a rispettare le
regole della comunicazione sociale.
La presenza del docente dovrà essere discreta, stimolante e sicura: discreta
affinché gli studenti siano centrati sul problema e non sull'insegnante; stimolante
perché deve introdurre, se necessario, gli opportuni stimoli per incoraggiare e rinvigorire
un gruppo; sicura perché ogni studente deve sentire che il docente garantisce erga
omnes l'applicazione delle regole del brainstorming durante i lavori, e perciò le sue idee
non sono esposte alla derisione altrui. Al termine dell'attività dei gruppi, il docente
governerà la discussione conclusiva, valorizzando il lavoro di ogni gruppo e di ogni
studente.
Quando utilizzare la tecnica del brainstorming con gli studenti? In generale, ogni qual
volta a) sia necessario condividere i significati sui concetti fondamentali della
disciplina66, b) riconoscere il valore delle loro idee, c) insegnare loro il rispetto delle
idee altrui e le regole della comunicazione.
Non solo per gli studenti… La tecnica del brainstorming potrebbe essere efficacemente
utilizzata anche per rendere più produttive le riunioni tra docenti, come i consigli di
classe, le commissioni, ecc., in cui frequentemente regna la mancanza di regole
comunicative e di obiettivi condivisi.

66
Pur nella diversità concettuale delle progettazioni didattiche, in tutte si può utilizzare la tecnica del
brainstorming. Ma la metodologia dei modelli esperti e la didattica per concetti hanno puntualizzato
l’utilizzo della tecnica. Nella prima (progettazione per padronanze) il brainstorming si usa nelle
condivisioni “cognitive”, in particolare nella fase iniziale dei saperi esperti, in quella di personalizzazione
del transfer e in quella massimamente produttiva di generalizzazione. Nella seconda (progettazione
per concetti), la condivisione dei saperi si svolge mediante la conversazione clinica: questa tecnica,
alla stregua di una discussione guidata, si differenzia dal brainstorming a) per lo scopo (serve per
approfondire e non per produrre nuove idee), b) per la tipologia di comunicazione (a raggiera, docente-
allievo nella conversazione clinica; circolare, allievo-allievo nel brainstorming) e c) per la protezione delle
idee personali (assicurata dalle regole nel brainstorming, dall’insegnante nella conversazione clinica).

122
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Dal web

https://www.youtube.com/watch?v=9K8W4ooygUU Brainstorming done right

https://www.youtube.com/watch?v=4OOCtUL29vk
Andrea Ustillani - Il brainstorming è una strategia utile per fare emergere idee e
creatività su un qualsiasi argomento. Questa attività, realizzabile in gruppi grandi o
piccoli, stimola negli studenti la capacità di concentrarsi e contribuisce al libero flusso
delle idee.

https://www.youtube.com/watch?v=UY3dzTz_njE (dal branstormin alle mappe


concettuali)

https://www.youtube.com/watch?v=yAidvTKX6xM

6.5.1 Un brainstorming strutturato: Sei cappelli per pensare


La discussione è usata tradizionalmente dagli occidentali per esplorare un argomento.
Ma spesso le parti in causa sono interessate soltanto alla difesa delle proprie posizioni,
privando così il metodo dialettico del potenziale creativo e della costruzione di nuove
idee. Una tipologia strutturata di brainstorming è quella che aiuta a non affrontare
contemporaneamente tutti gli aspetti di un argomento (informazioni, logica, impressioni,
creatività, ostacoli, …) ma induce a separare i vari tipi di pensiero e svilupparli
separatamente. “Indossare un cappello” quando si partecipa ad un gruppo di studio o di
lavoro, o si affronta un problema, significa assumere un certo atteggiamento, che cambia
a seconda del cappello che si indossa.
Edward de Bono ha teorizzato questa tecnica nel libro "Sei cappelli per pensare" 67. In
genere, quando ci poniamo di fronte ad un problema, conserviamo sempre lo stesso
atteggiamento, pessimista, emotivo, distaccato. Quando indossiamo un cappello

67
Di De Bono E., accanto a Sei cappelli per pensare, Rizzoli, Milano, 1993, si ricorda Il pensiero
laterale, Rizzoli, Milano, 1969; Il meccanismo della mente, Garzanti, Milano, 1972, Il pensiero pratico,
Garzanti, Milano, 1975; I bambini di fronte ai problemi, Garzanti, Milano, 1974; Io ho ragione - Tu hai
torto, Sperling & Kupfer, Milano, 1991.

123
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

cambiamo atteggiamento. Si indossa il cappello per uscire (e quindi si è diversi da come


si era in casa) o per esercitare una funzione (come quella del vigile).

Cappello bianco
È l’analista. Esamina i fatti e raccoglie informazioni, precedenti, analogie ed elementi,
senza giudicarli.
Va indossato nella fase di ricerca, raccolta, sistematizzazione delle informazioni e dei dati
disponibili al momento. Abbiamo tutte le informazioni necessarie? Come facciamo a
ottenerle? Sono attendibili? E così via: bisogna diventare degli Sherlock Holmes.

Cappello rosso
È l’emozione costruttiva. Esprime di getto le proprie intuizioni, come suggerimenti o
sfoghi liberatori. Vive i sentimenti.
Va indossato per liberare ed esternare pubblicamente le sensazioni, le emozioni e i
sentimenti (spesso trattenuti) che possono nascere davanti ad un nuovo progetto. Senza
vergognarsi di quello che si dice, senza pudori o censure preventive (o autocensure).

Cappello nero
È l'avvocato del diavolo. Mette in evidenza gli ostacoli, gli impedimenti, le difficoltà; rileva
gli aspetti negativi e le ragioni per cui la cosa non può andare.
Va indossato per giudicare se e perché un’idea non funziona. Non si tratta di generici non
mi piace ma di dati di fatto o limiti reali che possono impedire lo sviluppo di un progetto.
Serve per evitare cantonate o sbagli o frustranti dispersioni di risorse.

Cappello giallo
È l’ottimista. Rileva gli aspetti positivi, i vantaggi, le opportunità. Infonde speranza.
Va indossato per esprimere i lati positivi di un’idea. I modi migliori per realizzarla su base
logica. I vantaggi concreti che ne possono derivare. Senza trionfalismi o entusiasmi
immotivati.

Cappello verde
È il creativo. Indica sbocchi innovativi, germogli di nuove idee, analisi e proposte
migliorative, visioni insolite.
Va indossato per liberare la creatività. Per produrre nuove idee. Per muovere le acque
stagnanti. Per cercare spunti in ogni direzione. Per far crescere e moltiplicare le
alternative allargando gli orizzonti, outside the box.

Cappello blu
È il coordinatore. Stabilisce priorità, metodi, sequenze funzionali. Pianifica, organizza,
stabilisce le regole del gioco. Conduce il gioco.
Va indossato per dare una guida al modo di pensare (nel gruppo). Creare una
successione dotata di senso al fluire delle idee. Stabilire le priorità da seguire e gli
obiettivi da raggiungere. Una funzione normativa per stabilire un’agenda e un progress
efficienti.

124
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Si usano sei cappelli di colore diverso. I cappelli sono simbolici. Anche in classe si
"possono indossare" con queste frasi: "mettiamoci il cappello blu" o "togliti il cappello
nero" o "ora prova a dirmi che ne pensi con il cappello giallo" … e così via.
L’insegnante propone il tema/problema e spiega il funzionamento dei cappelli
(indossando il cappello blu). Invita i partecipanti ad indossare il cappello bianco e ad
analizzare il tema. Controlla che tutti si comportino secondo il cappello indossato. Poi fa
cambiare i cappelli. È opportuno, nel tempo, indossare più cappelli. L’incontro termina
quando si arriva a risultati soddisfacenti. In genere, gli studenti continuano a "indossare i
cappelli" anche dopo.

La tecnica dei sei cappelli è molto raccomandabile, in particolare con gli studenti più
giovani, non solo per rendere i gruppi meno conflittuali e più produttivi, ma soprattutto
per riconoscere la pluralità di angoli visuali presente in ogni persona.

6.5.2 L’immaginazione in cattedra


Talvolta gli insegnanti rifiutano le tecniche attive, ed in particolare le simulazioni e il
brainstorming, adducendo:
a) motivi legati all’impegno professionale (ci vuole troppo tempo per preparare le
attività),
b) motivi di tipo didattico (i ragazzi fanno confusione, ridono, ecc.),
c) motivi di tipo curricolare (nella mia materia non si può fare!).
Non è perciò superfluo richiamare alcuni punti di ordine pedagogico e didattico:
1. L’insegnamento è finalizzato all’apprendimento: il tempo dell’insegnamento va
organizzato in funzione dell’apprendimento (e non in funzione del programma da
completare). Non si può fare scuola usando sempre e comunque tecniche attive, ma
non si può fare nemmeno sempre lezione in classe o esercitazioni in laboratorio! È
vero che per preparare le attività da far svolgere ai ragazzi spesso ci vuole molto
tempo: ma in un anno scolastico se ogni insegnante prepara un’attività e poi la mette
in comune con i colleghi, alla fine ci si ritrova con una serie di progetti a disposizione,
che si incrementa anno dopo anno.
2. L’insegnamento è governo della situazione formativa: se i ragazzi fanno
confusione si possono individuare modi e strumenti (lavori di gruppo, assunzioni di
responsabilità68, compiti specifici, ecc.) per coinvolgerli. Se i ragazzi ridono di fronte
ad una simulazione sarà sufficiente “accogliere” (e non respingere) quella risata e

68
Si veda il successivo paragrafo sul Cooperative learning.

125
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

ragionarci su insieme (perché ci viene da ridere se…, che sensazioni prova colui che
viene deriso, dove sta la dissonanza…). Le emozioni insegnano e consolidano
l’apprendimento.
3. I metodi e le tecniche di insegnamento di una disciplina sono molteplici: ma non c’è
insegnamento in cui si possa dire “nella mia materia questa tecnica non si può fare”.
Va da sé che alcune discipline prediligono certe tecniche, talvolta derivate dai propri
metodi scientifici, ma per lo più date dalla consuetudine scolastica. In tutte le
discipline si può simulare l’azione e il pensiero dell’esperto, dello scienziato, dello
studioso, dell’artista o dell’artigiano. Si può simulare, sviluppare idee e discutere
anche in educazione fisica, o in matematica, o in musica, o in storia, o in tecnologia:
non esistono forse anche in queste discipline concezioni e modelli diversi di
interpretare e di costruire la propria conoscenza. Ebbene, facciamo provare ai ragazzi
che cosa significa essere e pensare e comunicare come un ginnasta o un
matematico o un musicista o uno storico o un tecnico.
Dal punto di vista didattico è necessario mettere l’immaginazione in cattedra: quale
immaginazione?
a) l’immaginazione dell’insegnante, derivata dalla sua esperienza, sia professionale
che esistenziale,
b) l’immaginazione della disciplina: una disciplina scientifica cresce anche attraverso
l’immaginazione, ed in particolare dei nuovi paradigmi dei neofiti, di coloro che ancora
“non-strutturati” sono aperti all’impensabile,
c) l’immaginazione degli studenti, che in quanto ad immaginazione ne hanno a
volontà, se la scuola non gliel’ha inibita.

126
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.6 IMPARARE PRODUCENDO CONOSCENZA INSIEME. IL COOPERATIVE LEARNING


Nel periodo adolescenziale il gruppo è determinante per la costruzione della
personalità dei soggetti, per la loro maturazione, non solo psichica e sociale, ma anche
per quella cognitiva e intellettiva. Per l’adolescente il gruppo è il nuovo punto di
riferimento, surroga l'autorità dell'adulto, e la relazione tra l'adolescente e l'insegnante si
trasforma notevolmente. Non più solo l'insegnante, quindi, ma soprattutto il gruppo, alla
stregua di un contesto organizzato, facilita e promuove l'apprendimento (così come
talvolta può negarlo o contrastarlo) 69.
Già le tecniche proposte (simulazioni, dimostrazioni / esercitazioni, studi di caso,
action learning, il brainstorming, ecc.), e ancor più il cooperative learning, si
caratterizzano per la valorizzazione di competenze multiple70 e di stili diversi nella
produzione di idee e di soluzioni condivise. Gli allievi sono chiamati ad affrontare un
problema o un compito comune: ciascuno di essi proporrà le proprie idee, le proprie
esperienze, le proprie modalità intellettive. Il raccordo tra gli studenti dovrà svolgersi sul
piano della cooperazione, e non semplicemente su quello della collaborazione. I
termini sono talvolta impropriamente considerati sinonimi e in opposizione alla
competizione. È opportuno, pertanto, richiamare la distinzione tra i concetti fondanti
l’apprendimento in gruppo.
Ecco un semplice esempio. Assegno agli studenti il compito di rappresentare e
disegnare la carta politica d’Italia.
A) Situazione competitiva: ogni studente è individualmente chiamato a disegnare la
carta politica d’Italia. Lo studente deve aver compreso le regole, ovvero i criteri di
successo (es: devono essere correttamente rappresentate tutte le regioni, i capoluoghi di
regione, ecc.). Su tali criteri l’insegnante poi valuterà i lavori degli studenti determinando
una “classifica” finale. Questo è un punto molto importante: il risultato conclusivo di una
competizione è sempre una classifica / graduatoria.
B) Situazione collaborativa: si invita la classe a formare gruppetti, guidati o
spontanei, e ad ogni gruppo si assegna il compito di disegnare una parte dell’Italia nel
miglior modo possibile: non si danno regole, poiché il principale criterio di successo,
benché implicito, è l’imparare a lavorare insieme; il criterio esplicito è il risultato
d’insieme del lavoro del gruppo.
C) Situazione cooperativa: ogni allievo ha il compito di disegnare una regione e tutti
insieme devono assemblare la carta politica d’Italia: prima di iniziare devono accordarsi
sulle regole-criteri (es.: uniformità di scala, simboli, colori, caratteristiche tipografiche,
ecc.). Il successo individuale è condizione necessaria ma non sufficiente per il successo
collettivo; e l’insuccesso individuale è causa certa dell’insuccesso collettivo (perciò tutti
sono chiamati a supportare il singolo in difficoltà).
La competizione va distinta in interna (tra i membri di un gruppo) ed esterna (tra un
gruppo e l’altro): il gruppo difficilmente tollera la competizione al proprio interno, ma
soltanto nei confronti di gruppi esterni. La competizione interna deve essere
attentamente analizzata: può risultare utile per spronare i soggetti a dare il meglio di sé,
ma se eccessiva può distruggere la motivazione personale. Le regole della competizione
devono essere approvate e condivise prima di avviare il lavoro; la responsabilità dei
risultati è sempre individuale.
La collaborazione promuove lo sviluppo di competenze relazionali connesse a
spiccate motivazioni di ordine personale e a fattori affettivi. Il gruppo collaborativo
generalmente non si dà regole precise prima di avviare il lavoro, ma durante il suo farsi

69
Non esiste l'apprendimento di gruppo, ma in gruppo. L'apprendimento può essere condiviso e
partecipato, ma rimane sempre un processo individuale e personale, anche in presenza di una comunità
in apprendimento.
70
È immediato il riferimento alla teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner e agli studi sugli
stili cognitivi (Sternberg, Pask, Cornoldi, ecc.) considerati in altre nostre lezioni e in altri moduli di Area
trasversale.

127
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

(anche se spesso non se le dà affatto); la responsabilità dei risultati è del gruppo intero
indifferenziato.
Con la cooperazione il gruppo promuove, integrandole, le competenze personali e
sociali. Le regole della cooperazione devono essere approvate e condivise prima di
avviare il lavoro; ogni partecipante è responsabile di un settore o di una parte del
compito e contemporaneamente è responsabile del processo di produzione e del risultato
complessivo finale.

6.6.1 Introduzione al cooperative learning


(71) Il cooperative learning, è una modalità di apprendimento che si realizza attraverso
la cooperazione con altri compagni di classe, che non esclude momenti di lavoro sia
individuali che competitivi. “È una modalità di apprendimento in gruppo caratterizzata da
una forte interdipendenza positiva fra i membri. Questa condizione non si raggiunge né
riunendo semplicemente i membri, né limitandosi a stimolarli alla cooperazione, né
richiedendo loro di produrre insieme un qualche prodotto finale. Essa, invece, è frutto
della capacità di strutturare in maniera adeguata il compito da assegnare al gruppo, di
allestire i materiali necessari per l'apprendimento e di predisporre le attività per educare i
membri ai comportamenti sociali richiesti per un’efficace cooperazione” (M. Comoglio,
1996, p. 6).
La proposta di qualcosa di nuovo spesso provoca resistenze che derivano da abitudini
consolidate, da pericoli immaginati, da opinioni contrarie che si sono stratificate nel
tempo.
Prima di affrontare il compito di acquisire conoscenze ed abilità per apprendere in
gruppo, può essere utile verificare le nostre personali resistenze o preferenze nei
confronti di questa modalità di lavoro.
Il metodo di insegnamento/apprendimento del Cooperative Learning si contrappone a
una conduzione della classe in genere definita come “tradizionale” o “rivolta a tutta la
classe” . Il metodo a gruppo cooperativo viene anche indicato come uno dei metodi “a
mediazione sociale”, contrapposto ad altri “a mediazione dell’insegnante”. Le
differenze tra i due orientamenti sono di non poco conto perché i due punti di vista
tendono a differenziare profondamente la professionalità dell’insegnante e la conduzione
della classe. La diversa accentuazione conferita nell’insegnamento alla mediazione
dell’insegnante o della classe stessa determina delle contrapposizioni nette a livello di
luogo e fonti delle conoscenze e risorse (l’insegnante o gli allievi), obiettivi e compiti (di
gruppo o individuali), disciplina e modalità di partecipazione (impegno individuale o aiuto
reciproco), valutazione e responsabilità individuale (valutazione individuale o valutazione
individuale e/o di gruppo Nelle modalità di insegnamento “con mediazione
dell’insegnante”, questi è la principale fonte della conoscenza e del sapere, stabilisce e
valuta che cosa deve essere conosciuto, fissa il ritmo dell’apprendimento, suscita la
motivazione o la recupera, facilita e individualizza l’apprendimento. Nelle modalità “con
mediazione sociale” le risorse e l’origine dell’apprendimento sono soprattutto gli allievi.
Gli studenti si aiutano reciprocamente e sono corresponsabili del loro apprendimento,
stabiliscono il ritmo del loro lavoro, si correggono e si valutano, sviluppano e migliorano
le relazioni sociali per favorire l’apprendimento. L’insegnante è soprattutto un
facilitatore e un organizzatore dell’attività di apprendimento.
Conclusione: l’insegnante non è l’unica né la principale risorsa. Tra insegnanti e
studenti vi è un coinvolgimento di risorse che arricchiscono le possibilità e la
personalizzazione dell’apprendimento
Cosa rende efficace la cooperazione. Per strutturare le lezioni in modo che gli
studenti lavorino in maniera veramente cooperativa è necessario conoscere gli elementi

71
I paragrafi C.6.1 e C.6.2 possono essere sostituiti dallo studio della lezione pubblicata on-line,
relativa al cooperative learning, in Pedagogia speciale, Didattica dei BES.

128
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

base che rendono efficace la cooperazione. Questi elementi marcano la differenza tra il
cooperative learning e il lavoro di gruppo tradizionale.

6.6.2 Cinque elementi essenziali


I cinque elementi essenziali dell’apprendimento cooperativo sono forniti dai fratelli
Johnson e dal loro modello: il learning together che è l’impalcatura per l’applicazione
dell’apprendimento cooperativo in qualsiasi area e a qualsiasi livello. Sono:
 L’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si impegnano per migliorare il rendimento di
ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il successo
collettivo;
 La responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi
obiettivi ed ogni membro è responsabile del suo contributo;
 L’interazione costruttiva: gli studenti devono relazionarsi in maniera diretta per lavorare,
promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi ottenuti;
 L’attuazione di abilità sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’interno del
piccolo gruppo: gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un
clima di collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza rivestono le competenze di
gestione dei conflitti, più in generale si parlerà di competenze sociali, che devono essere oggetto
di insegnamento specifico;
 La valutazione di gruppo: il gruppo valuta i propri risultati e il proprio modo di lavorare e si pone
degli obiettivi di miglioramento72.

Per l’approfondimento si rimanda all’analisi sinottica per una visione completa di come
vengano adottati e adattati i cinque elementi dai diversi autori di apprendimento
cooperativo (Sharan, Slavin, Kagan e Cohen).
Il primo e più importante elemento è l’INTERDIPENDENZA POSITIVA: si devono
assegnare compiti chiari e un obiettivo comune in modo che gli studenti capiscano che è
una questione di “uno per tutti, tutti per uno”.
Strutture di interdipendenza
Vi è un’interdipendenza positiva di scopo quando i membri di un gruppo lavorano
insieme per raggiungere un risultato comune. Avere lo stesso scopo porta i membri ad
aiutarsi reciprocamente perché da soli non sarebbero in grado di conseguirlo.
Si parla di interdipendenza di compito quando i membri, pur avendo uno scopo
unico, si suddividono parti del compito da svolgere individualmente ma finalizzato allo
stesso obiettivo comune. Ad esempio, dovendo fare una relazione, uno di essi preparerà i
lucidi, un altro un testo scritto e impaginato al computer, un altro ancora la
presentazione orale. Oppure, dovendo affrontare un tema di storia, uno esaminerà gli
eventi artistici del tempi, un altro ancora la cultura sociale e filosofica, un altro la
planimetria della città.
Un gruppo può realizzare anche altri livelli di interdipendenza positiva, come quello di
risorse. Ci si trova in questo tipo di interdipendenza quando i membri di un gruppo, nel
conseguire il loro scopo, dipendono da competenze e abilità differenziate o di materiali
(parti conseguenti e interdipendenti ad ognuno o unico).
Si ha interdipendenza di valutazione quando, al termine di un lavoro, il gruppo
riceve una valutazione che è ponderata sulla base dei risultati ottenuti da ciascuno dei
membri.

72
Pavan–Ellerani, in
http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/cooperative_learning.htm.

129
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Il secondo elemento essenziale è la RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE E DI


GRUPPO. Il gruppo deve essere responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi e ogni
membro lo deve essere nel contribuire con la sua parte di lavoro (cosa che impedisce lo
sfruttamento del lavoro altrui).
Il gruppo deve definire in modo chiaro gli obiettivi che vuole raggiungere e deve
essere in grado di misurare sia i progressi compiuti verso di essi sia gli sforzi individuali
di ogni suo componente. Lo scopo dei gruppi di apprendimento cooperativo è anche
quello di rafforzare la competenza individuale di ogni membro del gruppo: gli studenti
imparano insieme per potere in seguito fornire prestazioni migliori singolarmente.
Il terzo componente essenziale dell’apprendimento cooperativo è l’INTERAZIONE
COSTRUTTIVA, preferibilmente diretta (interazione promozionale faccia a faccia). Gli
studenti devono lavorare realmente insieme e promuovere reciprocamente la loro riuscita
condividendo le risorse, aiutandosi, sostenendosi, incoraggiandosi e lodandosi a vicenda
per gli sforzi che compiono. L’interazione promozionale si realizza attraverso: il
cooperative learning informale e le tecniche di creazione del clima (da fare per il
mantenimento del clima collaborativo). I gruppi di apprendimento cooperativo fungono
da sistema sia di sostegno scolastico (ogni studente ha qualcuno che lo aiuta a imparare)
sia di sostegno personale (ogni studente ha qualcuno lo aiuta come persona).
Il quarto elemento essenziale dell’apprendimento cooperativo consiste nell’insegnare
agli studenti le abilità necessarie nei rapporti interpersonali all’interno del piccolo gruppo.
Nei gruppi di apprendimento cooperativo gli studenti devono imparare sia i contenuti
delle materie scolastiche sia le abilità interpersonali e di piccolo gruppo. Queste ABILITÀ
SOCIALI devono essere insegnate con la stessa consapevolezza e cura con cui si
insegnano le abilità scolastiche.
Il quinto componente essenziale dell’apprendimento cooperativo è la REVISIONE di
gruppo e la VALUTAZIONE del singolo e del gruppo. Nella revisione di gruppo i
membri verificano e discutono i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi
e l’efficacia dei rapporti di lavoro.
Quando i gruppi lavorano su compiti in cui è difficile identificare il contributo fornito dai
singoli partecipanti, quando c’è una mancanza di coesione nel gruppo, quando vi è una
scarsa responsabilità per il risultato finale, il livello di partecipazione e di coinvolgimento
di alcuni membri potrà ridursi al minimo. Se, al contrario, c’è un’alta responsabilità
individuale ed è chiara l’entità dell’impegno che ciascuno deve fornire, se sono evitati
sforzi ridondanti, se ogni membro “si sente” responsabile del risultato finale e se il
gruppo è coeso, allora il disimpegno nel gruppo (SOCIAL LOAFTING) svanisce. Quanto
più piccolo è il gruppo, tanto più elevata potrà essere la responsabilità individuale.

6.6.3 Formare i gruppi


Prima di formare gruppi di cooperative occorre creare all’interno della classe
l’interazione promozionale faccia a faccia.
GRUPPI PICCOLI da 2 o da 4 (evitare il 3). Però :
 Maggiori sono le dimensioni del gruppo e maggiori sono le capacità, conoscenze e abilità e il
numero delle menti disponibili per l’acquisizione e l’elaborazione delle informazioni.
 Minore è il tempo disponibile e più piccolo dovrebbe essere il gruppo.
 Più il gruppo è piccolo e più è difficile che gli studenti si “imboschino” e non contribuiscano
attivamente.
 Più il gruppo è grande e maggiori devono essere le abilità dei suoi membri per gestire tutti. Un
tipico errore commesso da molti insegnanti è quello di far lavorare gli studenti in gruppi di 4 o 5 o
6 persone, prima che abbiano acquisito le abilità per farlo in maniera competente (in una coppia
si gestiscono 2 interazioni; in un gruppo da tre 6 interazioni; in un gruppo di quattro 12
interazioni).
 Evitare di creare le condizioni perché nel gruppo vi sia un leader. Nel cooperative la leadership è
distribuita.

130
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

 Il Sociogramma è utile solo per individuare gli esclusi.


 Presentazione dei ruoli. Un modo per introdurre il concetto dei ruoli alla vostra classe è quello di
usare l’analogia con lo sport di squadra. Fa una lista dei vari ruoli in una squadra. (chi è e che cosa
fa il mediano, il terzino ecc..) Poi spiegate che state per organizzare la classe in gruppi di
apprendimento cooperativo in cui ogni membro rivestirà un ruolo chiave.
 Decidere quali ruoli includere in una lezione. Nel programmare la lezione pensate bene a quali
sono le azioni necessarie per massimizzare l’apprendimento dello studente. I ruoli definiscono ciò
che gli altri membri del gruppo si aspettano da uno studente e ciò che quella persona ha il diritto
di aspettarsi dai compagni. Nei gruppi cooperativi i ruoli corrispondono spesso a funzioni che
favoriscano la gestione e il funzionamento del gruppo, che lo stimolino e che promuovano
l’apprendimento degli studenti.
Occorre iniziare da ruoli semplici (funzionamento e gestione del gruppo) Es:
controllare i toni di voce, controllare i rumori, controllare i turni di parola, spiegare idee e
procedure, registrare, incoraggiare la partecipazione, osservare i comportamenti, ecc.
Ogni funzione viene supportata da una scheda di annotazione/osservazione.

Ruoli fondamentali nei quali preparare gli studenti (Kagan)


1. Incoraggiatore: colui che incoraggia
2. Praiser: colui che dimostra apprezzamento
3. Cheerleader: colui che muove tutti gli studenti a fare e dimostrare
apprezzamenti
4. Gatekeeper: colui che controlla che nel gruppo ci sia un’uguale partecipazione di
tutti
5. Facilitatore: colui che segue e aiuta nell’apprendimento dei contenuti
6. Question domander (intervistatore): colui che le domande e gli interrogativi di
qualcuno siano espressi
7. Checker: colui che controlla l’apprendimento
8. Taskmaster: colui che controlla che tutti i membri del gruppo no si distraggano e
rimangano concentrati
9. Recorder: colui che memorizza le decisioni del gruppo
10. Reflector: colui che sta attento a riassumere ogni tanto il punto in cui si è o
richiama i membri all’uso della competenza della settimana
11. Quiet captain: colui che controlla il tono di voce dei membri del gruppo

131
FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.6.4 Approfondimento. Cooperative Learning: se ne parla in rete 73


Cooperative Learning 1 (2’:06”)
https://www.youtube.com/watch?v=bOyYgx3HelA&src_vid=qI2jj8U33Z4&feature=iv
&annotation_id=annotation_159429 - con la seguente mappa concettuale:

Cooperative Learning 2 (15’:13”) - le caratteristiche fondamentali


https://www.youtube.com/watch?v=qI2jj8U33Z4

Cooperative Learning 3 (4’:54”) - L'interdipendenza positiva


https://www.youtube.com/watch?v=P6Px0mD2H5M

73
Poiché lo studio della tecnica del cooperative learning non può esaurirsi in poche note, si rinvia alla
copiosa letteratura in merito, e ai materiali reperibili in rete. È interessante la serie di ScuolaInterattiva
su youtube.

132
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6.6.5 The Flipped classroom ovvero la Classe capovolta


L’idea-base della «flipped classroom» è che la lezione diventa compito a casa mentre il
tempo in classe è usato per attività collaborative, esperienze, dibattiti e laboratori. In
questo contesto, il docente non assume il ruolo di attore protagonista, diventa piuttosto
una sorta di “mentor”, il regista dell’azione pedagogica.
Nel tempo a casa viene fatto largo uso di video e altre risorse e-learning come contenuti
da studiare, mentre in classe gli studenti sperimentano, collaborano, svolgono attività
laboratoriali.
A tutti gli effetti il «flipping» non è tanto un approccio pedagogico, quanto una filosofia
da usare in modo fluido e flessibile, a prescindere dalla disciplina o dal tipo di classe.
È importante che il tempo ‘guadagnato’ in classe grazie al flipping venga usato in
maniera ottimale e che le risorse utilizzate dallo studente nel tempo a casa siano di
qualità elevata, oltre ad essere calibrate sul livello di conoscenza fino a quel momento
raggiunto dall'allievo.

Una libreria di contenuti integrata con video online vagliati in base a qualità e
accessibilità è il miglior punto di partenza per ottenere un buon risultato finale.

FLIPPED CLASSROOM (la classe capovolta) Insegnamento capovolto –


http://it.wikipedia.org/wiki/Insegnamento_capovolto The Flipped classroom ovvero la
Classe capovolta

http://cristianaziraldo.altervista.org/the-flipped-classroom-ovvero-classe-capovolta/

Maurizio Maglioni, Fabio Biscaro, La classe capovolta, Erickson, Trento 2014.

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6.6.6 JIGSAW : una tecnica di cooperative learning


(da: http://digilander.libero.it/scuolaacolori/faq/intercultura/jigsaw.htm)

Il Jigsaw (letteralmente gioco ad incastro, puzzle) è una tecnica utilizzata


dall'insegnamento cooperativo (o cooperative learning) e ideata negli anni '70 in America
dal dott. Elliot Aronson e i suoi collaboratori.
L'idea base che muove gli autori è molto semplice: gli studenti in classe spesso vivono
una situazione di insofferenza e di rifiuto perché non si sentono protagonisti e
responsabilizzati.
Come intervenire allora? con un gioco ad incastro ad ogni allievo viene assegnato un
compito che è essenziale al gruppo, senza il quale il gruppo intero ne soffre e viene
penalizzato, quindi ogni allievo si sente responsabilizzato a partecipare attivamente
all'attività didattica.

Fasi dell' intervento:


PRIMA FASE: la classe viene divisa in gruppi (eterogenei per competenze, genere,
nazionalità...) di 4 o 5 allievi. Questi gruppi li chiameremo "gruppi base".
Esempio: studio dei paesi del Sud America. Classe di 25 allievi, divisi in 5 gruppi. Ogni
gruppo studierà un Paese.
Ad ogni alunno del "gruppo base", viene affidato una competenza specifica.
Nel nostro esempio all'allievo A di ogni gruppo viene affidato il compito di creare una
tabella con i dati significativi del Paese, all'allievo B studiare la morfologia del terreno e i
climi; all'allievo C gli aspetti storici; all'allievo D gli aspetti sociali; all'allievo E gli aspetti
culturali.

SECONDA FASE: Tutti i ragazzi A si incontrano tra di loro per individuare procedure
univoche e contenuti da considerare. Chiamiamo questo gruppo "gruppo tecnico". In
questa fase ogni alunno diventerà competente di quello specifico ambito perché nella fase
successiva dovrà relazionare al gruppo-base.
Nell'esempio i ragazzi del gruppo A stabiliscono quante righe e colonne dovrà avere la
tabella e quali le voci da considerare. Ciascuno dovrà imparare i termini relativi al Paese
da studiare. Avremo quindi 5 "gruppi di base" e 5 "gruppi tecnici"

TERZA FASE: Si ritrovano i "gruppi base", in cui adesso ciascun allievo è "esperto" di una
fase del lavoro e di questa sua conoscenza deve rendere partecipi i compagni che ne
sono del tutto privi. Viene svolto il lavoro dato in consegna

Vantaggi. Questa tecnica permette all'allievo di responsabilizzarsi, sia verso


l'insegnante che verso il gruppo base, imparando nel contempo a lavorare in modo
cooperativo al fine di raggiungere un obiettivo comune.
Gli studenti diventano di volta in volta gli esperti del gruppo (assumono il ruolo di
insegnanti) e devono verbalizzare efficacemente, individuando modalità creative per
spiegare al gruppo (e poi alla classe) il loro argomento.

Modalità di intervento. I tempi delle tre fasi variano a seconda del lavoro distribuito.
E' meglio cominciare con qualcosa di semplice e verificarne l'esito.
Come per tutte le attività di insegnamento cooperativo è possibile assegnare dei ruoli
intercambiabili all'interno dei gruppi-base (il cronometrista, il responsabile, il
portavoce...), anche questo permette agli alunni di sperimentare specifiche abilità sociali.
Il Jigsaw si apprende più facilmente nelle elementari, ma è stato sperimentato
efficacemente anche alle medie e alle superiori. Lo studente con ritmi lenti di

134
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apprendimento può essere abbinato nella seconda fase con un compagno che appare più
efficace nel rapporto interpersonale e per loro questa fase può durare più a lungo.
L'insegnante forma i gruppi, segue le varie fasi, può assegnare delle domande di
comprensione nelle varie fasi, verifica i livelli di conoscenza globali del gruppo-base e dà
una valutazione individuale e collettiva.

Cooperative learning con metodo Jigsaw (uno spunto di una insegnante di


materie scientifiche) 74
Materiale necessario: libri in adozione; eventuale approfondimenti su siti web,
soprattutto per la ricerca di immagini.
Prima parte: 1 ora - Presentazione dell'argomento
Suddivisione degli alunni in 6 gruppi da 4 persone. Ad ogni gruppo viene assegnato lo
studio dell'argomento, articolato in 4 micro-argomenti diversi, uno per ogni componente
il gruppo. Ogni membro sarà l'esperto per conto del gruppo relativamente alla parte
assegnata.
Seconda parte: 4 ore
I membri dei gruppi che hanno lo stesso argomento (esperti), si ritrovano insieme per
discutere i loro argomenti, confrontare le opinioni, operare degli approfondimenti su
quanto letto. In questa fase devono organizzare delle modalità attraverso le quali
accertare la loro comprensione. Ultimata questa fase, i membri esperti ritornano nel loro
gruppo originario.
Terza parte: 5 ore
Ciascun esperto spiega il proprio argomento ai compagni. È prevista anche una
valutazione critica del lavoro svolto da ciascuno studente da parte degli altri membri del
gruppo. Ogni gruppo dovrà, infine, predisporre e realizzare una dispensa/un
cartellone/un video (io ho scelto una piccola dispensa di 15/20 pagine) ed una
presentazione orale dell'argomento.
Quarta parte: 3 ore (ovvero 30 minuti per ogni gruppo)
Presentazione orale del lavoro svolto.

Ogni studente viene valutato per:


 l’elaborato realizzato con il gruppo;
 la presentazione orale dell’elaborato realizzata insieme ai membri del gruppo;
 la capacità di:
o pianificare il lavoro, avanzare proposte e fornire informazioni;
o ascoltare e rispettare i ruoli di ciascuno.
Comunico loro sempre sia i criteri sia le modalità di valutazione. Dedico una lezione
alla presentazione del progetto, qualunque esso sia; è importante che i ragazzi diano la
loro opinione e soprattutto capiscano cosa stiamo facendo, con quali obiettivi e per quale
motivo. Magari contestano qualche aspetto, ma certamente ti seguono meglio.

74
Da http://www.metadidattica.com/2014/02/22/cooperative-learning-con-metodo-jigsaw-uno-
spunto-della-prof-ssa-tania-tanfoglio/

135
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6.6.7 L’integrazione delle tecniche: A suon di parole – Il gioco del


contradditorio

“Il progetto si può definire come un torneo dibattito. Gli studenti si affrontano con lo scopo di vincere delle
gare basate sulla capacità di argomentare e contro argomentare attorno a tematiche di carattere civico e
sociale. Detto con altre parole gli studenti si sfidano “A suon di parole”.
A suon di parole va certamente inquadrato nel filone relativo alla formazione delle competenze chiave
europee. In particolare l’attività è finalizzata allo sviluppo delle competenze sociali e civiche, logico-
argomentativo, spirito d’iniziativa e intraprendenza.
La rilevanza formativa del progetto può essere inquadrata nell’ambito:
 della Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle
competenze chiave
 dei Regolamenti nazionali per il riordino del Secondo ciclo di istruzione
 dei Piani Provinciali di Studio del Trentino

Letteratura
 Quinn S., Debating in the World School’s Style: A Guide , Paperback –2009
 Snider A., Sparking the Debate. How to Create a Debate Program, I.D.E.A., New
York, 2014
 Sommaggio P., Contraddittorio Giudizio Mediazione. La danza del demone mediano,
Milano: Franco Angeli, 2012
 Cattani A. e De Conti M. (a cura di), Didattica, dibattito, didattica, fallacie e altri
campi dell’argomentazione, Loffredo – University Press, collana “Suadela” n. 5, Napoli
2012
 Tamanini, C. (2014). Il torneo argomentativo a “Suon di Parole”. Firenze: Indire

Articoli online:
 Claudia Cristoforetti, Da gioco del contraddittorio a percorso formativo
 Michele Dossi, L’esperienza in prima persona della controversia
 Laura Simeon, La verifica di una sperimentazione a scuola
 Chiara Tamanini, Il Torneo argomentativo “A Suon di Parole”

(video: http://www.jus.unitn.it/services/arc/2013/0607/home.html ) Le classi quarta


Scientifico E Liceo “A. Maffei” di Riva del Garda e quarta Scientifico E Liceo “L. da Vinci”
di Trento si sfidano sul tema “L’uscita dalla crisi implica una decrescita/non implica una
decrescita”

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

6.6.8 La Comunità di Pratica


L’apprendimento non “avviene” solo in rapporto all’insegnamento, ma è un processo
collegato ad una comunità, ad un contesto.
Rifacendosi direttamente alla teoria dell'apprendimento sociale della conoscenza di
Vygotskij (1931), Lave e Wenger (1991) hanno messo a punto il concetto di situated
learning: a loro avviso l’apprendimento avviene nel contesto stesso in cui il soggetto
agisce, all'interno di una “comunità di pratica”. Il processo di apprendimento non può
essere considerato semplicemente come acquisizione di conoscenze astratte e
decontestualizzate, ma come un processo sociale in cui la conoscenza è co-costruita, in
situazioni specifiche, ed è integrato all'interno di un particolare ambiente sociale e fisico.
Anche la classe scolastica può trasformarsi in una comunità di pratica. “Gli studenti
comprendono e assimilano in misura maggiore quando hanno a che fare con situazioni
reali rispetto a quanto devono apprendere in situazioni decontestualizzate.” (Comoglio,
2002: 96).
Molto utile per la formazione adulta, professionale, anche per i docenti.
La Comunità di Pratica riunisce un gruppo di persone che, all’interno di una struttura
organizzata, svolgono attività affini ed interagiscono tra di loro, anche in maniera
informale. La comunanza di interessi ed obiettivi e la necessità di risolvere problemi
comuni creano una forte coesione tra queste persone: l’interazione sociale consente di
scambiare vissuti, esperienze e pratiche lavorative, generando un patrimonio di
conoscenze comuni. Lo studioso Etienne Wenger sostiene che le Comunità di Pratica sono
caratterizzate da:
• impegno in una qualsiasi attività;
• coesione sociale tra i membri della comunità;
• condivisione di una cultura professionale specifica.
Le Comunità di Pratica sono le vere detentrici della conoscenza tacita condivisa, cioè
del know how e del sapere operativo che nasce dall’esperienza comune di chi presidia i
processi e che è più difficile da socializzare e tradurre in conoscenza codificata. In quanto
fenomeno spontaneo ed adattivo, la Comunità di Pratica rappresenta uno dei fenomeni
organizzativi più rilevanti per lo sviluppo della conoscenza.
Alla base della capacità di apprendimento e creazione di conoscenza di una Comunità
di Pratica ci sono quattro condizioni:
• un senso di identità e di mission;
• la possibilità di contribuire alla capacità del sistema di adattarsi e mantenersi di
fronte ai cambiamenti interni ed esterni;
• la capacità di percepire e valutare la realtà;
• la capacità di fare integrazione interna ed allineamento tra i sottosistemi che
costituiscono il sistema nella sua interezza.
Il ruolo del formatore. Le comunità sono moderate dal formatore, ma i protagonisti del
gruppo sono i partecipanti. Nella fase di avviamento della comunità il formatore può
svolgere attività di coaching con incontri in presenza, incontri periodici di monitoraggio.
Nel caso in cui le comunità siano chiamate a svolgere lavori on line, il formatore può
assumere anche il ruolo di e-tutor assicurando interazione, assistenza tecnica, supporto
metodologico, scaffolding cognitivo ed emotivo, animazione delle attività. A cosa serve?
La creazione di Comunità di Pratica risponde alle seguenti finalità:
• divenire luogo di valorizzazione dei saperi e delle esperienze, maturati nei contesti di
esperienza e di lavoro dei membri di ciascuna comunità;
• divenire luogo di attivazione di un sistema di apprendimento e di creazione e
scambio di conoscenze, che divenga strumento di miglioramento continuo per tutta
l’organizzazione.
La collaborazione tra pari nell’apprendimento aiuta inoltre a sviluppare abilità e
strategie legate al problem solving, attraverso l’interiorizzazione di quei processi cognitivi
impliciti nella relazione.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Quando è utile? Le Comunità di Pratica e di apprendimento rappresentano una leva


strategica fondamentale per l’organizzazione. Il presupposto alla base di questa
metodologia di formazione è che l’apprendimento non si basa unicamente su elementi
teorici, ma anche sul bagaglio di conoscenza personale e di esperienza di ogni singolo
membro della comunità. Le potenzialità legate alle Comunità di Pratiche si rivelano anche
nelle situazioni d’azione complesse, in cui agli attori è richiesta, con urgenza, la capacità
di ristrutturare il proprio campo di intervento. Il modello di comunità infine, oltre a
rispondere alla domanda di flessibilità della formazione, si sta proponendo sempre più nel
contesto della formazione a distanza come evoluzione dell’apprendimento in rete.

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

Sommario
1 I fondamenti della didattica ................................................................................................................... 2
1.1 I significati della didattica .................................................................................................................................... 3
1.1.1 Didattica, tra arte e scienza ......................................................................................................................... 4
1.1.2 La didattica come scienza dell’educazione .................................................................................................. 5
1.2 La didattica nella mediazione tra discipline e apprendimenti .............................................................................. 7
1.2.1 Come si insegna ... Il sistema dei saperi della didattica ............................................................................... 7
1.2.2 Che cosa si insegna ... I saperi disciplinari ................................................................................................... 8
1.2.3 A chi si insegna ... I saperi dell’apprendimento ........................................................................................... 9

APPROFONDIMENTO 1.A

I PROCESSI EPISTEMOLOGICI NELLE AREE DISCIPLINARI .......................................................................................... 11

STRUMENTI DI LAVORO

ANALISI DEI PROFILI DELL’ALLIEVO ....................................................................................................................... 14

2 Il curricolo ....................................................................................................................... 24
2.1.1 Il curricolo è come un viaggio .................................................................................................................... 25
2.1.2 Le valenze del curricolo ............................................................................................................................. 25
2.1.3 Il curricolo e il processo di apprendimento ............................................................................................... 26
2.1.4 Il curricolo non è il programma ministeriale.............................................................................................. 26
2.1.5 Progettare il curricolo................................................................................................................................ 28
2.2 Il curricolo nelle Indicazioni nazionali ................................................................................................................. 29
2.3 Il curricolo per competenze ................................................................................................................................ 32
2.3.1 Per un’interpretazione condivisa di competenze ...................................................................................... 34
2.3.2 I riferimenti concettuali dell'apprendimento per competenze ................................................................. 35
2.3.3 Dalla conoscenza alla padronanza: accordiamoci sulle parole! ................................................................. 36
2.3.4 Le otto competenze chiave europee ......................................................................................................... 38
2.3.5 Strategie didattiche per le competenze trasversali ................................................................................... 40

3 La progettazione didattica ................................................................................................................... 42


3.1 Insegnare: dall’intenzione al progetto................................................................................................................ 42
3.1.1 Il linguaggio della progettazione................................................................................................................ 43
3.1.2 Fasi e processi della progettazione............................................................................................................ 45
3.1.3 Programm/azione vs progett/azione......................................................................................................... 46
3.2 Progettare nella scuola....................................................................................................................................... 48
3.2.1 Progettare le Unità di Apprendimento (UdA) ............................................................................................ 48
3.2.2 Progettare per competenze esperte, consapevoli e autonome ................................................................ 48

Approfondimento 2.A

LE MOLTEPLICI FORME DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA .................................................................................... 55

4 I compiti autentici La formazione delle competenze in situazione ................................................ 63


4.1.1 L’autenticità supera il divario dentro-fuori scuola..................................................................................... 64
4.1.2 La realtà autentica è complessa, problemica e dinamica .......................................................................... 65
4.1.3 Il problema in situazione ........................................................................................................................... 66
4.1.4 I compiti autentici personali e/o esperti ................................................................................................... 67
4.1.5 I compiti di prestazione ............................................................................................................................. 68

5 L’agire formativo: il metodo................................................................................................................. 69


5.1 Il metodo: predisporre procedure per governare processi.................................................................................. 70
5.1.1 Non basta la tecnica .................................................................................................................................. 72

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FIORINO TESSARO – Corso di Didattica – Università Ca’ Foscari Venezia

5.1.2 Dai princìpi di metodo alle azioni in classe ................................................................................................ 73


5.2 Il metodo espositivo: i molti modi di fare lezione ............................................................................................... 77
5.2.1 La lezione: ma è proprio così dannosa?..................................................................................................... 77
5.2.2 Non c'è un solo modo di fare lezione ........................................................................................................ 78
5.2.3 Come organizzare l’esposizione................................................................................................................. 79
5.3 Il metodo laboratoriale. insegnante e allievi apprendono insieme..................................................................... 83
5.3.1 Caratteristiche didattiche del laboratorio ................................................................................................. 83
5.3.2 Principi di epistemologia operativa ........................................................................................................... 85
5.4 Il metodo investigativo: la ricerca sperimentale................................................................................................. 87
5.4.1 Inquiry Based Learning (IBL) ...................................................................................................................... 87
5.4.2 Metodi e tecniche per apprendimento basato sulla ricerca...................................................................... 90
5.5 Il metodo euristico-partecipativo: la ricerca-azione in classe............................................................................. 91
5.6 Il metodo individualizzato: il mastery learning................................................................................................... 93

6 Le tecniche attive. Insegnare e apprendere per competenze ................................................... 94


6.1 Imparare simulando le competenze ................................................................................................................... 96
6.1.1 Il role playing per mettersi nei panni degli altri ......................................................................................... 96
6.1.2 La simulata su copione .............................................................................................................................. 98
6.1.3 La gestione delle simulazioni ..................................................................................................................... 99
6.2 Imparare provando in situazione: dimostrazioni ed esercitazioni .................................................................... 102
6.2.1 La dimostrazione per mostrare l’esecuzione di una procedura............................................................... 102
6.2.2 L’esercitazione per consolidare le procedure in situazione..................................................................... 103
6.2.3 Costruire un tutorial: quando gli allievi preparano la dimostrazione. ..................................................... 103
6.3 Imparare agendo in situazione. La formazione delle competenze ................................................................... 106
6.3.1 L’Action Learning nella formazione professionale................................................................................... 106
6.3.2 L’outdoor learning. L’apprendimento oltre l’aula ................................................................................... 107
6.3.3 Un esempio scolastico di outdoor learning: le Expeditionary Learning Schools ..................................... 109
6.3.4 Il Service-Learning. L'apprendimento attraverso il servizio alla comunità .............................................. 110
6.4 Imparare analizzando le situazioni................................................................................................................... 114
6.4.1 Le tecniche di analisi per capire le situazioni reali: lo studio di caso ....................................................... 114
6.4.2 Le tecniche per scegliere e decidere in situazione: l’ incident................................................................. 118
6.4.3 Gli autocasi .............................................................................................................................................. 120
6.5 Imparare stimolando la creatività del gruppo. Il brainstorming ...................................................................... 121
6.5.1 Un brainstorming strutturato: Sei cappelli per pensare .......................................................................... 123
6.5.2 L’immaginazione in cattedra ................................................................................................................... 125
6.6 Imparare producendo conoscenza insieme. Il Cooperative Learning ............................................................... 127
6.6.1 Introduzione al cooperative learning....................................................................................................... 128
6.6.2 Cinque elementi essenziali ...................................................................................................................... 129
6.6.3 Formare i gruppi ...................................................................................................................................... 130
6.6.4 Approfondimento. Cooperative Learning: se ne parla in rete ................................................................. 132
6.6.5 The Flipped classroom ovvero la Classe capovolta .................................................................................. 133
6.6.6 JIGSAW : una tecnica di cooperative learning ......................................................................................... 134
6.6.7 L’integrazione delle tecniche: A suon di parole – Il gioco del contradditorio.......................................... 136
6.6.8 La Comunità di Pratica............................................................................................................................. 137

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