Sei sulla pagina 1di 3

La trasformazione di Schoenberg dal tardo romanticismo alla

dodecafonia.

Arnold Shoenberg è stato un compositore austriaco, vissuto tra il


settembre 1874 e il luglio 1951. Nasce in Austria, a Vienna, dove si
appassiona alla musica e inizia a studiare violino, prima di passare
all’insegnamento, nel 1903, di armonia e contrappunto. In seguito si
trasferì in Francia, dove elaborò, nel 1912 una delle sue più belle
composizioni, dedicata ad una maschera francese d'origine
bergamasca: il “Pierrot Lunaire”.
Infine, a causa delle persecuzioni naziste, fu obbligato nel 1933 a
trasferirsi negli Stati Uniti, ottenendo anche la cittadinanza
statunitense; prima a Boston, poi a Los Angeles, dove morì.

Shoenberg viene ricordato principalmente per essere stato un


innovatore nel mondo della musica: lui è stato infatti uno tra i primi
compositori ad uscire fuori dal classico sistema tonale, per poi
arrivare a teorizzare il metodo dodecafonico.
Inizialmente, nel XIX secolo, in cui troviamo uno Shoenberg agli
albori della sua carriera da compositore, aderiva ai classici sistemi e
metodi di composizione presenti, per lo più dettati dal cosiddetto
“periodo postwagneriano”, ma tenendo conto dell’influenza che J.
Brahms aveva avuto su di lui.
La rottura con il sistema tonale inizia attorno al 1900, in cui
Schoenberg esaspera notevolmente il cromatismo Wagneriano, e
diventa definitiva durante la prima decade del 1900.
La caratteristica principale di questa rottura è lo sviluppo, assieme a
Josef Matthias Hauer, della dodecafonia, un sistema tonale basato
sull’equivalenza, almeno dal punto di vista armonico, di tutti i 12
semitoni, e sulla loro completa uguaglianza all’interno della
composizione (un semitono non si ripete prima che siano stati
eseguiti gli altri 11).
Di conseguenza si può notare come Schoenberg non compia una
completa rivoluzione del sistema tonale, ma semplicemente lo adatti
a quelle che sono le sue esigenze, cercando di portare
un’evoluzione nel mondo musicale, ma senza stravolgerlo, e senza
rinnegare gli studi che aveva fatto oppure il metodo tonale usato da
lui precedentemente.

Schoenberg si dedica molto al teatro musicale, soprattutto nel


secondo dopoguerra, regalandoci una delle più belle opere di
sempre: Un sopravvissuto di Varsavia (1947).
L’opera è un oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra,
nella quale Schoenberg riesce a riprodurre, e rendere al meglio tutte
le emozioni e sensazioni provate dagli ebrei nei campi di
concentramento a Varsavia.
La fedele riproduzione di tutto il terrore, i disagi, le sventure subite
dagli ebrei è resa possibile da uno dei sopravvissuti alla tragedia,
che ha raccontato al compositore tutto ciò che lui, e chi era con lui,
hanno dovuto sopportare.
Passando ad un’analisi più tecnica e specifica dell’opera, si può dire
che l’utilizzo della dodecafonia è stato fondamentale per mettere in
musica fedelmente il racconto, operazione riuscita anche e
soprattutto grazie al lavoro magistrale che Schoenberg riesce a fare,
alternando orchestra, coro e narratore.
In particolare la prima parte è composta da una bellissima
introduzione orchestrale, per poi lasciare spazio nella seconda parte
al narratore, che dice di non riuscire a ricordare quasi nulla di quello
che gli era successo a causa delle percosse subite dai tedeschi, ed
è presente anche un’anticipazione dell’ultima parte dell’opera, in cui
i suoi compagni intonavano canti ebraici prima di essere portati via
nelle camere a gas.
Successivamente è presente la descrizione della sveglia e della
conta degli ebrei, momento in cui erano sommersi dalle urla dei
generali tedeschi, che li minacciavano con i fucili. A causa delle
percosse subite, l’uomo perde conoscenza, e con lui tutti gli altri;
successivamente c’è un’accurata descrizione del silenzio, che porta
con sé “fear and pain”, paura e dolore.
Infine c’è il fatidico momento della conta di chi è sopravvissuto alle
percosse, e della selezione di coloro i quali devono essere mandati
nelle camere al gas; da qui si va all’ultima parte della composizione
(preannunciata all’inizio), in cui i prigionieri intonano canti ebraici.

Alessandro D’Abbrusco.

Potrebbero piacerti anche