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Ad philologos {A proposito del volume di G. Aurelio Privitera, Dioniso in Omero e nella poesia greca arcaica, Roma 1970). Il volumetto di Privitera — a prescindere sia dal risul- tato di fondo con cui sono perfettamente d’accordo (che, cio’, Dionysos non 2 mai stato un dio delle ‘ plebi’ come gli studi tradizionali lo presentano), sia dai pregi filologici ol te trad compete un giudizio —— iapre il vecchio © diffidente colloquio tra filologi e storici delle religioni. Per cominciare, mi sembra — e voglio dirlo una volta a chiare lettere anche fuori e al di la d’ogni specifico rife- rimento al volume in parola — che sc i filologi spesso ci rimproverano mancanza di rigore, appunto, filologico nel- Tuso dei documenti, essi possono — di volta in volta — aver ragione o torto; ma troppo frequentemente accade che, rigorosi in questioni filologiche, essi dimostrano un'in- credibile leggerezza nei giudizi di carattere storico-religioso, una rozzezza di concetti, una totale mancanza di metodo, Vignoranza dei problemi stessi; custodi gelosi del proprio campo, credono di poter impunemente invadere e perfino annettere quello altrui. Anzi, mentre noi almeno ci ren- Giamo conto della necesita di basi filologiche — anche se allatto pratico le nostre possono risultare insufficienti, per- ché non siamo filologi — essi non sembrano neppure sfio- rati dal dubbio che vi siano questioni per le quali essi sono jncompetenti. Ora, il lavoro di Privitera mi offre solo il pre- testo di dire queste cose che non ho dette in altre ¢ forse pitt opportune occasioni; la mia polemica non é contro il Yolumetto e il suo autore, ma contro una ben pitt gene- rale posizione dei filologi nei riguardi della storia delle re- 622 Angelo Brelich ligioni, che si riflette su un'enorme quantita di lavori che compaiono ogni anno, quasi su tutti, in misura maggiore o minore, in cui grecisti toccano problemi di religione greca, latinisti di religione romana, orientalisti di religioni orien- tali e cosi via. E solo per mostrare come cid avvenga, colgo Yoccasione offerta da questa recente pubblicazione. Avrei preferito prescindere dall'infelice nota a p. 10 — T'unico passo che contiene un’esplicita punta polemica con- tro gli storici «della religione > (greca?). E avrei potuto farlo perché, in fondo, quella nota non ci riguarda. Ma nella sua formulazione s'insinua un pregiudizio che é bene affrontare subito. Ne riproduco il primo capoverso in cui distinguerd due componenti «Problemi come in questo libro sono irrilevanti per lo storico della religione: per il quale, oltre tutto, un luogo di Omero o di Nonno testimonia Dioniso a pari titolo, come se il dio esistesse atem- poralmente da qualche parte e non fosse ogni volta fi e allora secondo gli orientamenti culturali di quella determinata societa ». Qui I'affermazione che potrebbe lasciarmi indilferente in quanto non, certo, riferibile alla ‘ scuola romana’ di storia delle religioni, @ ‘che per lo storico « della religione » & «come se il dio esistesse atemporalmente », ecc. Privitera riecheggia qui accuse parzialmente giuste fate a suo tem- po a un Walter F. Otto o a un K. Kerényi? Non lo so: ma certo non pud pensare a noi, storicisti — almeno se cono- sce i nostri Iavori. Ma ecco l'alira questione: per lo storico «della religione », «un luogo di Omero o di Nonno », ecc. Su questo punto sono pronto a mettermi sul banco degli accusati, insieme con i miei amici, ma solo per difenderci. E dird subito che non ho bisogno neppure di contrattac- care, ritorcendo puerilmente — «anche tu! » — laccusa, e dire p. es. che anche Privitera cita Igino, Eliano e il «Suda » come documenti di miti arcaici (p. 18) 0 Io sco- liasta di Platone e Pausania per situazioni_pre-pisistratee (p. 41). Oui si tratta di un'altra cosa, non del considerare come atemporale l'esistenza di un dio. Sono il primo — e chi mi legge o ascolta lo sa da decenni — a insistere sulla creativita religiosa e a vedere I'aspetto creativo nelle mani- festazioni religiose di ogni epoca o periodo, di ogni gruppo 0 strato sociale, di ogni personalita, uomo di stato, sacer- dote, poeta o artista che sia. Ma attenzione: crede proprio Privitera che ogni poeta — 0, diciamo anche, ogni periodo storico — inventi ex novo la propria religione? Crede pro- prio che non esista una tradizione che, pur in continua tra- Ad philotogos 623 sformazione e perfino nelle contemporanee sfaccettature di varianti e livelli, permanga come sfondo su cui s‘inne- stino le continue creazioni? Ora, la questione & di discer- nere: tra cid che @ di Nonno (come cid che é di‘ Omero ') ¢ della sua epoca, della sua cultura, e cid che & tradizione. Anche a parte il fatto che un tardo poeta, come anche un lessicografo bizantino, pud documentare fatti appartenenti ad epoche pit antiche, per via di erudizione, per via del possesso di una documentazione di cui noi non disponiamo pitt — anche a parte questo fatto non trascurabile, resta che in una certa misura anche un Nonno viveva in una tra- dizione pitt che millenaria che non & pit: (se non sotto certi aspetti pit generici) la nostra, ed & testimone diretto di quella tradizione. Ma come discernere? Ebbene, con me- todo — con la comparazione, in primo luogo, allinterno della totalita dei fatti documentati da. quella tradizione, poi con la comparazione pit: vasta tra fatti religiosi di ci vilia di vario tipo e livello, che permette di controllare ed eventualmente confermare Tautenticita ¢ l'arcaicita di nu- clei religiosi anche di tarda documentazione. Si, noi spesso citiamo Nonno (0 chi per lui) sullo stesso piano di Omero (0 chi per lui) e certo non possiamo ogni volta esporre le ragioni che ce lo permettono; a volte, queste sono implicite in tutto il contesto, a volte accennate, altre volte non figu- rano affatto. Non mi costa nulla ammettere che, come tuiti, anche noi in certi casi sbagliamo e meritiamo una tiratina d’orecchio da parte dei nostri critici. Ma non credano i filologi che il nostro metodo sia il capriccio o V'arbitrio o Ia totale indistinzione tra epoche ¢ fonti: quando attribuia- mo valore a un passo di Nonno, sappiamo perché lo fac- ciamo e sappiamo anche quando non attribuirgliene al- cuno. E soprattutto non credano i filologi di possedere il monopolio del rigore scientifico. A questo proposito — sempre per la questione di prin cipio e non contro il lavoro che mi serve solo da spunto — non posso rinunciare a qualche spigolatura nel volume, per esemplificare il ‘rigore" caratteristico dei filologi. To non so, per esempio, perché dovrebbe essere « evidente » che il rango regale dei mitici oppositori di Dionysos sia «un elemento awventizio » ( conosciamo forse casi in cui non si tratti di famiglie regali? o casi da altre mitologie in cui una situazione sostan- zialmente identica si presenti in contesti sociali differenti? Né trovo «evidente» (p. 16) nelle varianti del mito di Lykurgos in cui ri- corre lo sbranamento «il tentativo di introdurre lo sparagmds ¢ Vomofagia » — quasi che fosse accertata Ja maggiore antichita (non Ia pitt antica documentazione) delle varianti prive di quell’ele- 624 Angelo Brelich mento 0 fossero chiare le ragioni per le quali in un certo momento (ma quando?) qualcuno (ma chi?) avrebbe ritenuto opportuno di “tentare’ di introdurre quei motivi nell’antico mito. Non discuto, tuttavia, i merito delle tesi, ma solo il modo di liquidare questioni dubbie con un 0 « pitt probabilmente > (p. 25 ¢ ibid., n. 19; quest'ul- tima riguarda un‘interpretazione dell'accoppiamento rituale tra Dio- nysos © la moglie del basileus negli Anthesteria, in chiave di fe- condita ¢ fertilita) o Yaffermazione che «il dio delle Antesterie avrebbe potuto (corsivo mio!) ricevere a buon diritto il titolo di Basileus, come a Trezene lo aveva Poseidon > (p. 26). Pausania se- gnala in’ Argo la tomba di una certa Choreia, una delle donne che Accompagnavano Dionysos: che il nome richiami choros & chiaro, ma Privitera non solo non dimostra, ma neanche tenia di dimo- strare, si limita solo ad affermare che le evoluzioni del coro « rap- presentavano la corsa», affermazione che a sua volta, meno di venti Tighe pil in la, diventa un argomenio per un‘altra interpreta- zione. Che la corsa sia una «costante rituale » (ibid.) in feste dioni- siache non appare dimostrato: tra quelli citati, unico caso sicuro € quello degli Agrania (ma Plutarco scrive Agrionia) di Orcomeno, il resto @ desunto da miti, ‘Che Dionysos fosse titolare (sia pure diventato tale «in un se- condo tempo») degli Apaturia, & affermato senza documentazione © poi ritenuto «altamente significative» (p. 29). Sara rigoroso « sirondare » la tradizione su Arion dei suoi « variopinti colori »: ma & poi rigoroso dare come la , ecc. Ora, ognuno sa che quanto é andato perduto della let- teratura greca supera in proporzioni incommensurabili quel poco che ce n’é rimasto. Ma poi anche se avessimo I'intera letteratura perduta (che certo modificherebbe radicalmente il nostro sapere sulla grecita), questa sarebbe pur sempre solo quel poco che dalle tradizioni orali si 2 filtrato nei testi. Ma allora ci si chiede che valore possano avere certe argomentazioni, ma perfino i problemi stessi, come p. es. se il verso (6, 139) dell’Iliade che parla della cecita di Lykurgos sia un’interpolazione, dovuta forse all'influsso di Eumelo (p. 72) 0 se Eumelo ignorasse la fine prematura di Lykurgos (p. 73)? 0 se il racconto dei funerali di Achilleus nell'ultimo libro dell’Odissea presupponga o meno ’Aithio- pis o si fondi soltanto sull’Iliade (p. 85). Le conclusioni di Privitera sono: l'autore ha « utilizzato» VAithiopis per il racconto dei funerali, ha « scartato » il trasferimento di Achilleus nell’Isola Bianca per non cadere in contraddizione con la Nekyia, « si ¢ ricordato » dell’Iliade, e ha « utiliz- zato » una tradizione (« autonoma ») sull'anfora d'oro do- nata da Dionysos a Thetis (p. 85) — come se fuori della poesia rimastaci e fuori anche di quella perduta, non fos- sero potute esistere (come dovunque presso popoli che hanno tradizioni mitiche) decine di varianti di racconti come quelli su Lykurgos 0 sulla morte di Achilleus, va- rianti da cui i vari narratori ¢, tra questi, i vari poeti po- tevano attingere, combinandone gli elementi che servivano ai loro fini? Cercare la ‘fonte’ (beninteso: letteraria) per ogni dettaglio mitico (cfr. anche p. 87) @ impresa vana in partenza, fatica sprecata. Anche al di fuori del campo strettamente mitologico, quando il filologo dimentica che dietro i testi stava un ben pid vasto e ricco tessuto culturale (e che accanto ai testi rimastici ve n’era una quantita di altri) i suoi ragionamenti rischiano di perdere il contatto con la realta e di diven- tare, mi si passi la parola, involontariamente umoristici. A pp. 93 sgg. Privitera traccia un confronto tra i pitt anti- chi poeti dal punto di vista della considerazione in cui tenevano il vino. In Omero, dunque, il vino «& come se non fosse dono di un dio», mentre in Esiodo @ dono di Dionysos. «In Omero », il vino minaccia di far perdere il vigore al guerriero, ma vino e cibo insieme lo ristorano; sempre «in Omero >, il vino bevuto a dismisura produce 628 Angelo Bretich effetti negativi... Mirabile, davvero questa « casistica cost matura » (p. 95), questa «contrapposizione tra gli effetti positivi ¢ negativi» del vino nell’epica eroica — come se ognuno, oggi come jeri, non sapesse che le cose stanno proprio cosi, al di fuori d’ogni concezione eroica o altra (e si noti che si tratta del vino, non del peyote o della kava: ma si ha I'impressione che il filologo attinga le sue cognizioni sul vino esclusivamente dai testi greci...). In base a 45 passi sparsi in Omero e in Esiodo, Privitera ricostrui- sce «una situazione ben delineata »: in Omero il vino non ha valenza sacrale, data la sua larga disponibilita nell’am- Diente aristocratico; «il suo uso é regolato dall’ethos di gruppo >; in Esiodo, al contrario data la sua « precaria lisponibilita » — @ sacro: dono di Dionysos, come suo dono @ «anche il dolore che coglie chi ne abusa. All’autore non Viene in mente (!!) che sta all'individuo non berne troppo ». Ma Archiloco porta poi la sua «novita» (p. 97): il vino @ ispiratore del ditirambo; in Omero era solo del canto e della danza, mentre la poesia s'ispirava alla Musa. A pp. 108 sgg. si parla del mito in cui Dionysos riporta Hephaistos sull’Olimpo, dopo il fallito tentative di Ares. Ma il mito — sebbene Privitera sappia (pp. 108-22) benis- simo che si trova documentato nell’arte vascolare e che (p. 109) vi allude anche Saffo, — viene trattato qui quasi come un'invenzione di Alceo, o per lo meno sembra che serva a documentare una particolare e personale posizione del poeta lesbio: « dire che l'ebbrezza pud pitt della forza 2 come proclamare che Dioniso é pitt forte di Ares. Omero aveva umiliato (!) anch'egli Ares (E 846 sgg.): ma mai fino a questo punto », Ora, anche a parte I'eccesso nell'interpre- tazione metonimica (0 allegorica) degli dei (Dionysos: eb- brezza; Ares: forza), non si ha, in realta, alcuna possibilita di dire se, ¢ in che senso, il componimento (perduto!) di Alceo, in cui il mito veniva cantato, rappresentasse un orientamento nuovo nei riguardi degli dei interessati. Ma finché si vedono solo i testi (compresi quelli perduti), sem- bra che anche i miti servano a ricostruire le personalita poetiche che, cosi, vengono a trovarsi in un distaccato spa- zio letterario, ciascuna per conto suo, esercitando, tutt’al pitt, e subendo influssi tra di loro, nell’ambito della loro consorteria, prive di qualsiasi legame con Ja tradizione re- ligiosa di un’intera societa, di cui si nutrano ¢ su cui inci- dano, tradizione che i poeti, per un’intera societa, possono conservare e rinnovare. Il filologo, concentrato sui testi, finisce cosi per perdere di vista anche Ja funzione del poeta nell’antica civilta greca. Ad philologos 629 I lettore € pregato di non prendere queste pagine per una ‘recensione’ del volume di Privitera; se si trattasse di una recensione, sarebbe una pessima recensione, perché darebbe del lavoro un quadro completamente deformato, parlandone da un unico punto di vista, Ma dei pregi del volume, serio ¢ acuto, parleranno altri con maggior com- petenza, anche se diversi di quei pregi non sfuggono nem: meno ail’incompetente che sono. A me interessava fare qui tun ‘discorso sul metodo’ rivolto ai filologi, spiegare per- ché Io storico delle religioni non sente minimamente quel complesso d'inferiorita che i filologi spesso cercano di in- culcargli dall’altezza della loro preparazione — preparazione che pud essere ammirevole ma che da sola e precisamente senza una altrettanto seria preparazione storico-religiosa non li mette in grado di affrontare i nostri argomenti, esat- tamente come la nostra preparazione non ci permetterebbe di preparare un’edizione critica. Che sia stato proprio il volume di Privitera la vittima del discorso, & dovuto in parte al caso e in parte anche alla mia stima e simpatia personale per l’autore che altrimenti non mi sarei affret- ato a leggere. A. Brerictt

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