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R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA
CLASSE DI SCIENZE MORALI

GOPPREDO COPPOLA
L-—

IL TEATRO

DI

ARISTOFANE

Volume primo

NICOLA ZANICHELLI EDITORE


BOLOGNA 1936-XIV
l'editore ADEMPIUTI I DOVERI
ESERCITERÀ I DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI

B8CHANGE

Bologna - Cooperativa Tipografica Azzoguidi - 9-1936-XIV


PA

PREMESSA

970936
Questo primo volume del mio libro sul teatro di Aristo
fane potrebbe intitolarsi « Prima di Aristofane », e il titolo
ne esprimerebbe chiaramente il contenuto, poiché non tanto
di Aristofane si parla in queste pagine, quanto della com
media attica avanti Aristofane, e specialmente dell' opera di
Cratino. Di Aristofane in particolare tratterò nei nove capi
toli del secondo volume, che, già quasi pronti nel mano
scritto, vedranno la luce per la stampa entro il 1937. Ma
appunto perchè i due volumi possono vivere separatamente,
se pur di vivere essi meritano, V uno dall' altro, ho preferito
renderli indipendenti, aggiungendo già in questo primo un
indice delle cose notevoli che lo faccia di più facile consul
tazione e lettura.
E tuttavia sono uniti V uno all' altro. Non perchè questo
sia il primo e l'altro sarà il secondo volume di una stessa
opera intitolata « Il teatro di Aristofane », ma perchè non si
può bene intendere e capire che cosa sia stata nella storia del
teatro attico la commedia di Aristofane, se prima non s'in
tenda e capisca l'opera di Gratino, che fu il vero geniale
fondatore del coro comico.
ColV aiuto di alcuni frammenti nuovi della commedia
cratinea, scoperti di recente negli scavi papirologici, sono
riuscito a interpretare frammenti già noti per antiche cita
X PREMESSA

zioni, e ad illuminare la composizione di quasi tutte le com


medie di Gratino analizzandone la struttura metrica e dimo
strando quale posto e importanza vi tenesse il coro. Perciò
io credo che, partendo da questi nuovi dati di fatto, ci sarà
più agevole illustrare V opera di Aristofane, e che potremo,
come appunto cercherò di fare nel secondo volume, ricono
scere uno per uno i diversi momenti dell' attività del grande
commediografo. Ma in questo e nel prossimo volume non ho
trascurato, quando ne fosse il caso e quando le scarse no
tizie e frammenti lo permettessero, di trattare anche del
l'opera dei commediografi minori, che si aggirarono intorno
a Gratino ed Aristofane, e ne furono spesso rivali e compe
titori fortunati.
Non ho parlato delle origini della commedia attica, per
chè sarebbe stato superfluo dopo il fondamentale studio
di Ettore Romagnoli pubblicato dal Vitelli, il 1905, negli
« Studi italiani di filologia classica », il quale, ancora oggi,
meriterebbe d'essere ristampato così come apparve la prima
volta. Lavoro definitivo e conclusivo, esso è stato accolto in
Italia e all'estero con universale consenso e favore, e perciò
ad esso rimando i lettori di questo primo volume del mio
« Aristofane », se desiderino essere informati sulle origini
della commedia attica antica.

Nel primo capitolo, prendendo lo spunto dalla parabasi


dei -« Cavalieri », ho cercato d'illustrare alla meglio, sugli
scarsi documenti rimasti, la commedia di Chionide e Ma
gnete, e quella meno antica, ma molto originale, di Cratete.
Nel secondo, spero di avere ricostruito con sufficiente sicu
rezza la trama di alcune commedie di Cratino, e così pure
nel terzo capitolo, dove, per altro, mi sono più specialmente
intrattenuto a studiare la composizione del coro comico in
PREMESSA XI

Gratino, la purodos, laparabasi e l'esodo, dimostrando come


i frammenti nuovi e quelli già prima noti concorrano tutti
ad assicurarci che la commedia cratinea era nella composi
zione del coro diversa da quella di Aristofane, ma tuttavia
tale che V evoluzione promossa da Aristofane appare una
naturale conseguenza di essa.
Scrive Aristotele, nel quinto capitolo della « Poetica »
(la traduzione è di Manara Valgimigli) : <• di poeti comici
propriamente detti si ha notizia quando già la commedia
erasi in qualche modo costituita entro sue forme determi
nate; ma chi introdusse le maschere comiche, e chi i pro
loghi, e chi aumentò il numero degli attori, di tutto questo
e di altre cose siffatte non sappiamo niente ». Non posso
dire di avere risoluto tutti e tre i problemi ai quali Aristo
fane allude, ma uno di essi, il più importante, sui prologhi,
credo di averlo risoluto con molta chiarezza.
Gli ultimi due capitoli, sugli ultimi anni della produ
zione cratinea, ci avvicinano molto ad Aristofane. Due com
medie cratinee, la « Nemesi » e il « Dioniso-Alessandro »,
sono soprattutto importanti per capire la commedia di Ari
stofane, che in quegli anni avrà certamente ascoltato a
teatro i drammi di Gratino e imparato ad ammirare V arte
del maestro. I giovani poeti, Eupoli Frinico Platone Aristo
fane, che compaiono sulle scene qualche anno dopo lo scoppio
della guerra del Peloponneso, cominciano tutti imitando
Gratino, ma introducono elementi nuovi e cercano di ren
dere più mosse e meglio distinte le parti della commedia,
un po' indulgendo alla tecnica della tragedia, un po' per
poter meglio sfruttare i progressi della scenografìa.
Naturalmente, ho tenuto conto dei lavori dei precedenti
studiosi della commedia attica antica, e mi son valso molto
delle osservazioni di Augusto Meineke, ancora oggi buone
e ricche di notizie, e di quelle, alquanto confuse ma sempre
XII PREMESSA

interessanti, del Bergk. Dei lavori più recenti a me sem


brano utilissimi quelli del Geissler e dell' Oellacher, che trat
tano particolarmente di quistioni cronologiche. La cronologia
dell'antica commedia attica può sembrare quistione secon
daria, ma nel fatto avviene sempre che chi trascuri d'interes
sarsene cada in errori, i quali in questo campo di studi sono
più gravi che in qualunque altro campo delle lettere clas
siche. Le commedie dei diversi commediografi sono spesso
così interdipendenti tra loro che non si può nè si deve fare
a meno di trattare anzitutto le quistioni cronologiche. S'in
tende però che esse vanno trattate e discusse non già tenendo
-conto di una semplice allusione o di un solo riferimento,
ma cercando di raccogliere intorno ad ogni singolo fatto
tutti gli elementi di cui possiamo aver conoscenza.
Della prima produzione di Aristofane tratterò nel primo
capitolo del secondo volume. Il quale, come ho già detto, è
tutto dedicato ad Aristofane, ma non trascura V attività dei
commediografi che con Aristofane si contesero il primato
sulle scene ateniesi. Io spero anzi che il secondo volume
possa uscire contemporaneamente al lavoro del mio giovane
scolaro Giuseppe Schiassi, che, nella sua tesi di laurea re
datta in latino, ha studiato intelligentemente la commedia
di Eupoli, giungendo a conclusioni sicure e interessanti per
la storia della commedia attica antica.

***
Quali che sieno per apparire agli altri i risultati della
mia indagine sulla commedia cratinea, essi si riassumono
in questa breve conclusione: che Cratino fu degno precur
sore della più giovane generazione dei commediografi della
commedia attica antica. Uno studio sulla commedia cratinea
mancava del tutto, nè sarebbe stato possibile tentarlo prima
delle recenti scoperte papiro-logiche; ma oggi che abbiamo
PREMESSA XIII

potuto illustrare V opera di quel geniale commediografo,


appare evidente la necessità di abbandonare per sempre
talune ipotesi della critica moderna e di rinnovare, anche in
questo campo delle letterature classiche, il nostro credito alle
notizie tramandateci dagli antichi.
Perciò non credo che i cinque capitoli di questo volume
sieno inutili, e spero che non sieno tali neppure quei nove del
secondo che appariranno di qui ad un anno. Ho cercato di
riuscir chiaro, preciso, e se qualche volta sono stato costretto
a proporre ipotesi, l'ho fatto sempre con circospezione, senza
mai formularne là dove, se per avventura false, esse potreb
bero distruggere le conclusioni della mia ricerca. La quale
resta quella che è, onesta e coscenziosa e nient' affatto reto
rica, e forse appunto per questo saporosa perchè sempre
fedele agli insegnamenti di un grande maestro.
Ai colleghi dell Accademia delle Scienze di Bologna, e
in particolar modo a Vincenzo De Bartholomaeis, ripeto la
mia gratitudine, per avere essi accolto anche questo mio
nuovo libro nella serie delle pubblicazioni accademiche.

settembre dell'anno XIV.


INDICE

CAP. I. I primi commediografi Pag- 1


» II. Audax Cratinus . . - » 23
» 111. Il coro comico "... » 53
» IV. Lenee e Dionisie del 430-4*29 ». 85
» V. I nuovi commediografi » 107
Indici dei nomi e delle cose notevoli ...» 125
CAPITOLO PRIMO

1 PRIMI COMMEDIOGRAFI
« Eupolis atque Cratinus Aristophaiiasqitó- poetae »''
è un famoso verso di Orazio, che ormai.-ha, can'saRFftttX
in eterno la triade dei grandi commediografi della com
media attica antica. Il giudizio di Orazio riecheggia
quello di Platonio, e riproduce esattamente il pensiero
dei critici Alessandrini, i quali riassunsero in questi tre
nomi la commedia greca del quinto secolo, il violento
Cratino, il brillante ed elegante Eupoli, e quello scon
certante e caustico eccitatore di riso che è Aristofane.
Questi tre poeti anche nei frammenti ci stanno dinanzi
come personalità vive ed umane, e ancora oggi, qua
lunque giudizio noi fossimo per dare intorno all' opera
loro, non sapremmo esprimerlo meglio che colle parole
di Platonio (').
Oli Alessandrini conoscevano molto poco della com
media anteriore a Cratino, anche perchè dubitavano,
e con ragione, di quel che n' era stato conservato, in
frammenti o in opere intere, dalla tradizione. Molto

(') Di Platonio avrò occasione di parlare più volte nel coreo


di questo libro. Einvio all'edizione del Kaibbl in Comicorwn
grctecorum fragmenta I 1, Berlino 1899. Avverto una volta per
sempre che cito i frammenti dall' edizione Kock, Comicorum atti-
corum fragmenta, Lipsia 1880-1888, ma che sempre ho tenuto
conto dell'insuperata edizione del Meinbke, del 1839-1857.
4 CAPITOLO PRIMO

probabilmente, il primo commediografo di cui essi eb


bero integra ed autentica una commedia, è Ecfantide,
e non sarà caso che tutti e cinque i frammenti di Ecfan
tide appartengano alla stessa commedia «Satiri» ('); e
c'è perfino da dubitare che i critici di Alessandria cono
scessero alcune di quelle notizie che noi oggi siamo
riusciti a mettere insieme sulla commedia precratinea,
raccogliendole da diverse fonti, e soprattutto da fram
menti di iscrizioni. Oggi noi possiamo affermare con
sicurezza che Chionide, definito da Suida npMTxymiav})/;
xf5s àpxa£as xti>(i,anS£as, rappresentò una sua commedia
.Uitto an.ni- jnpajizi le guerre Persiane, nel 486, e fu vin-
' clìore' dèli' -agonie ; che qualche anno dopo riusci vitto-
Ijadsp" Magnete,", e" pochi anni prima del 453, data della
prima vittoria di' Cratino, debbono aver conseguito il
loro primo successo i poeti Eufronio ed Ecfantide; che
un anno o due dopo Cratino, si affermavano anche Dio-
peite e Cratete, e finalmente verso 'il 445 comparivano
Callia e Teleclide (2).
Questi sono i competitori di Cratino nelle gare delle
grandi Dionisie, prima che vi si cimentino anche Eupoli
e Frinico. Pochi altri nomi come quelli di Senofilo e

(') I « Satiri » di Ecfantide furono rappresentati molto pro


babilmente tra il 457 e il 454. Il solo primo frammento è espres
samente citato da Ateneo come dai « Satiri », gli altri frammenti,
citati da un commentatore di Aristotele, da Efestione (che riporta
un verso di Cratino, il quale riferisce a sua volta un verso di
Ecfantide), dallo scoliasta alle Vespe di Aristofane, e da Polluce,
appartengono verosimilmente alla stessa commedia. Certo, Cratino,
presso Efestione, cita dai « Satiri » : sìiis xiaaoxatx' &va£, xatPe, cne
è il saluto dei Satiri a Dioniso. Vedi però pag. 37 nota 2.
(2) Queste notizie si trovano opportunamente ordinate e di
scusse nel libro del G-eissler, Chronologie der altattische Komodie,
Berlino 1925, che è un ottimo lavoro sull'argomento. Molto spesso
non sono d'accordo col Greissler, ma è anche vero che dal 1925
ad oggi nuovi documenti e frammenti permettono di dissentire
da lui.
I PRIMI COMMEDIOGRAFI -J

di Aristomene, che figurano nelle competizioni delle


Lenee, e finalmente Ferecrate ed Ermippo, Platone e
Lisippo completano il breve elenco. In sostanza, pochi
poeti si avvicendarono sulle scene, e di questi pochi
si possono chiamare veri e propri predecessori di Cra-
tino soltanto Chionide, Magnete ed Eufronio, uno dei
quali, Eufronio, non ci è noto altrimenti che per il
nome. Nessuno di questi tre partecipò mai alle com
petizioni Lenee, perchè o troppo vecchi o già morti
quando esse furono istituite nel 445-440, e forse neppur
Diopeite ed Ecfantide. In un certo senso, e con le do
vute riserve, potremmo distinguere i commediografi da
Chionide ad Aristofane in tre generazioni ; la prima
delle quali comincerebbe nel 486 e durerebbe fino al
445-440, quando furono istituite le gare Lenee ; la se
conda andrebbe fino al 430-429, che sono i primi due
anni della guerra del Peloponneso e segnano la com
parsa di Eupoli e di Frinico, presto seguita, nel 427, da
quella di Aristofane ; la terza comincerebbe appunto
nel 430, e durerebbe fino agli inizi del quarto secolo.
Non è una suddivisione arbitraria questa che io pro
pongo, ma essa corrisponde benissimo alle caratteri
stiche dell' antica commedia attica, che fu dapprima una
farsa aggressiva e vivace, e quindi, sempre più e meglio
sviluppata e ordinata da Cratino, raggiunse con Aristo
fane il momento suo più interessante.
Il giudizio degli Alessandrini, di Orazio e di Pla-
tonio, non fa nessun conto della prima generazione dei
commediografi della commedia attica antica. Proba
bilmente, gli Alessandrini non erano in grado di dare
un giudizio sul dramma comico prima di Cratino, e
se conoscevano qualche cosa di più, e forse molto di
più, di quel che ne conosciamo noi, è anche vero che
ad essi sfuggivano alcune notizie che noi siamo riusciti
a procurarci per mezzo di un esame critico delle fonti
letterarie e documentarie. Inoltre, come ho già detto,
CAPITOLO PRIMO

essi dubitavano dell'autenticità della tradizione mano


scritta di opere cosi spesso rifatte e rivedute dai com
mediografi posteriori, e furono perciò costretti a diffi
dare dei copioni teatrali che portavano evidenti traccie
di rimaneggiamenti, non essendoci nessuna possibilità
di controllo per l'assoluta mancanza di altre prove.
Questo spiega come sia vago e incerto quel che gli
antichi raccontano intorno alla commedia anteriore a
Cratino; ma poichè né Cratino nè Aristofane si forma
rono in altro ambiente, e tutti e due, pur essendo di
età e indole diversa, avevano ascoltato a teatro o letto
quelle commedie, non sarà del tutto inutile che noi si
cerchi, con prudenza e circospezione, di tracciare per
sommi capi una breve storia della commedia precra-
tinea in questo primo capitolo del nostro libro. Ci farà
da guida, e sarà guida preziosa ed acuta, lo stesso
Aristofane.

* *

Nella parabasi dei «Cavalieri», Aristofane ricorda


tre commediografi, Magnete Cratino e Cratete, ma non
ricorda affatto i nomi di Chionide e di Eufronio, di
Ecfantide e Diopeite, di Teleclide ed Aristomene, di
Senofilo e Callia, di Platone Ermippo e Ferecrate, di
Eupoli Frinico e Amipsia. I « Cavalieri » sono del 424,
ma già prima di quell'anno avevano vinto Frinico e
Mirtilo, Eupoli ed Ermippo, poeti giovani come Aristo
fane, che non erano nuovi alle scene, nè ignoti al
pubblico. Eppure Aristofane non li ricorda, e quando,
in altre commedie, alluderà alle opere di alcuno di
essi, lo farà rapidamente per dare una botta, senza
nessuna pretesa di giudicarne l' arte e il valore. Sde
gnoso e prudente, quando vuole sollevare polemiche e
chiasso intorno alla sua persona e alla sua commedia,
accetta il motteggio, scherza egli stesso sulla calvizie,
cerca di rispondere con spirito e senza rancore, ma
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 7

della commedia e dei commediografi non dirà mai più


nulla che non sia anonimo e generico, e soltanto nei
« Cavalieri » fa della vera e propria critica del dramma
comico. Giudica i morti, quelli che stanno per finire o
si accingono a scomparire dal teatro, e li giudica più
per salutarli e scusarli che per dirne male, e forse per
implicitamente concludere che quelli che sono scom
parsi o scompariranno fra poco, Magnete Gratino Cra-
tete, sono i soli che sieno degni d' essere ricordati da
lui, dal nuovo grande commediografo, che in pochi anni
si è già imposto all'attenzione del pubblico.
Aristofane, nella parabasi dei « Cavalieri », parlando
di Magnete Cratino e Cratete, non tanto vuole giudi
care l'attività e la fortuna di questi tre precursori,
quanto ricordare agli spettatori i suoi maestri. Certo,
non può ricordarli senza far dello spirito, discorrendone
tra il serio ed il faceto, insistendo perfino sulla cadu
cità dell'opera loro e sull'incostanza del pubblico. Ma
comincia avvertendo che appunto l' esperienza di Ma
gnete Cratino e Cratete l' ha messo in guardia contro
l'applauso delle folle, e l'ha trattenuto finora dal pre
sentar commedie col proprio nome, nel timore di com
promettere per sempre l' avvenire del suo teatro.
Magnete era già morto nel 440, quando furono isti
tuite le rappresentazioni comiche delle Lenee, poichè
il suo nome non figura affatto fra i vincitori del cata
logo delle Lenee. Nella lista dei vincitori delle Dionisie
figura certamente vittorioso nel 472, lo era già stato
anni prima altre volte, lo fu ancora dopo, e mori vec
chio; anzi da vecchio soffri l'ingiustizia che non gli
era mai capitata da giovine, fu clamorosamente scon
fitto e scacciato di teatro. La testimonianza più sicura
che abbiamo intorno alla sua opera è questa di Aristo
fane, nella parabasi dei « Cavalieri » :
«Il nostro poeta», dice il coro, « sapeva quel che è
accaduto a Magnete, a misura che diventavano bianchi
i suoi capelli, nonostante che egli avesse riportate
8 CAPITOLO PRIMO

tante vittorie sui cori dei suoi rivali. Non valse a nulla
ch'egli facesse sentire accenti di ogni sorta, e sonasse
il liuto, o sbattesse le ali come gli uccelli, sonasse e
danzasse alla maniera dei Lidii, o ronzasse come una
zanzara, e si tingesse di verde come una rana. Non
resistette, e alla fine, fattosi vecchio e sebbene fosse
vecchio, fu scacciato di teatro perchè gli era venuto a
mancare il dono di far ridere, il che non gli era mai
capitato da giovine ......
Per quanto facciate e cerchiate, non troverete nulla
in questo giudizio che sia meno che rispettoso verso
Magnete. Aristofane lo descrive come un poeta, il quale
era molto brillante nella composizione dei cori e pre
diligeva creazioni coloristiche e musicali, travestendo
i coreuti da rane o da uccelli o da zanzare; afferma
che, giovine, Magnete resistette sulle scene e trionfò
sui rivali costantemente; ricorda che vecchio fu scon
fitto, e quasi rinfaccia agli Ateniesi lo sgarbo di aver
procurato al grande vecchio un cosi acerbo dolore.
L'anonimo scrittore di un trattatello sulla commedia
dice che Magnete vinse undici volte, ma aggiunge che
nessuna commedia sua si è conservata autentica, nep
pure le nove che portano il suo nome ('); Ateneo
parla di lui vagamente e dubita sieno sue le commedie
attribuitegli dalla tradizione (2); gli altri scrittori che
ne parlano accennano tutti allo stesso dubbio; i lessi-

(*) Miyvrjs tk 'Aìbjvatos àyroviaàiisvos 'AS-^vrjci vcxas èa^ev ia' . tò>v


Ss Spaaàxtov aùxoù oùìsv aoiifexai . rà 8s ènupepóiisvà èaxiv èvvsa. Evi
dentemente le sue molte vittorie erano dovute anche al fatto che
nei primi anni si trovò quasi solo, insieme con Chionide e qualche
altro, come Eufronio ed Ecfantide.
(2) Per esempio, egli cita i frammenti del « Dioniso » di Ma
gnete così: Mctyvrjs ó 7toiijaxs xàs eìs «ùxòv àva<j>epo|iéva£ xro|iroiStas ecc.
C'erano due edizioni dello stesso « Dioniso » attribuito a Ma
gnete, ma i critici alessandrini, e forse anche quelli di Pergamo,
dubitarono dell'uria e dell'altra.
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 9

cografl e gli scoliasti che citano titoli di commedie di


Magnete mostrano di conocere anch' essi le quistioni
siill' autenticità dei drammi comici attribuitigli. Ma,
suoi o no, quei drammi attestano questo, che Magnete
fu commediografo di valore, e che le opere sue furono,
in nuove edizioni, riportate sulle scene da altri poeti,
dopo la sua morte, forse molto tempo dopo la sua morte.
La riprova è nel fatto che in nessun frammento di
quelli attribuiti a Magnete troviamo una sola allusione
politica. È vero, i documenti sono pochi; ma che sieno
pochi forse dipende anche dal non essere stata la sua
una commedia politica. I «Lidii», le «Rane», gli
«Uccelli», le «Zanzare», i «Suonatori di liuto»
sono titoli che ci fanno capire quale dovesse essere
la composizione del coro, e difatti Aristofane afferma
che Magnete superò sempre i cori comici degli avver
sari, 7tXetaxa yopfov irtSv àvci7tàXwv v£xiqs la-crjas xponata.
I titoli e le parole di Aristofane dovrebbero convin
cerci che la commedia di Magnete ebbe sopratutto ca
rattere musicale ed era principalmente costituita dal
coro. Dunque, scarsa azione, movimento pigro, mono
tono; e appunto per questo sembrò, e fu di fatto facile,
inserire nella trama di quelle commedie scene nuove
con maschere nuove. La qual cosa non fecero i con
temporanei, nè gli immediati successori di Magnete,
ma poeti posteriori, quando, cessato l'interesse per la
commedia politica, si ritornò, nel tramestio delle scene
e fra le difficoltà del nuovo teatro comico, alla com
media musicale. La notizia che si legge in Dione Cri
sostomo, sulla composizione di queste commedie di

(') Questi titoli si ricavano dal oontesto della parabasi; e di


fatti, là dove Aristofane accenna al Xud££eiv di Magnete noi con
getturiamo il titolo della commedia AuSgJ, che è confermato da
Ateneo, il quale lo cita espressamente, e da Fozio, il quale av
verte anche che la commedia fu rimaneggiata.
10 CAPITOLO PRIMO

compromesso, è molto significativa, giacchè ne risulta


che il procedimento più semplice e accreditato consi
steva nell' introdurre noll' azione un Davo che facesse
il servo o un Carione ubriaco, senza tuttavia riuscire
ad eccitare il riso degli spettatori (').
Siamo nel vago, e non è possibile stabilire con si
curezza che mai debba Aristofane a Magnete; ma quel
l'allusione al coro travestito da rane o da uccelli, non
solo autorizza a credere che una commedia di Magnete
s'intitolasse «Rane» e un'altra «Uccelli», ma invita
a ritenere che, fin dall'epoca dei «Cavalieri», Aristo
fane pensasse a sfruttare le trovate coloristiche e mu
sicali di Magnete. In questo lo sentiva maestro suo,
nell'ingegnosità della trovata che desse colore e sapore
al coro; almeno in questo lo sentiva vicino al grande
Gratino, all' « ingenium » di Cratino, e per questo sol
tanto, forse, lo comprese nella triade comica: per af
fermare, cioè, su quella degli avversari il primato della
sua propria commedia, che direttamente ricollegavasi
alla tradizione dei tre commediografi, di ciascuno di
essi accettando e accogliendo una, caratteristica, la ca
ratteristica più brillante e personale.

*
* *

Cratete è anch'esso un nome, come Magnete, ed è,


come Magnete, un enimma. Ma è più interessante per
chè appare, dalle parole stesse di Aristofane, assoluta
mente diverso da Cratino e Magnete : « quel povero

(') L'interessante passo fu già citato dal Meineke nella


Historia critica comicorum graecorum (pag. 31) = Dione, Orat. 32 :
sv xaì£ J«0|«tìi8iai£ xal Siasxeuals Ka?£cova |lèv eiaiyovxei |is3-6ovxa Hai
Aàov où a<j>ó5pa javoùai yéXoyza, e opportunamente il Meineke anno
tava che Dione confonde commedie e rifacimenti di commedie
senza più distinguere.
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 1l

Cratete quali mai sferzate e rampogne non si ebbe


da voi, spettatori ; egli che, offertavi una colazioncella
frugale, vi mandava a casa, esprimendo dalla sua de
licata boccuccia trovate eleganti. E tuttavia egli solo
resistette sulle scene, qualche volta soccombendo e
altre volte vincendo ......
Cratete rappresentò le « Belve » dopo il 427 (cfr,
pag. 116), cioè dopo i « Banchettanti », che sono la prima
commedia di Aristofane; e presumibilmente le « Belve »
furono la sua ultima opera. Il giudizio di Aristofane
di qualche anno dopo, è riconoscimento della fortuna
che accompagnò sempre Cratete.
Una lode o un biasimo ? Oserei dire lode e biasimo,
e forse più lode che biasimo. Ma non è facile dimo
strarlo, e conviene perciò tenersi alle fonti.
Le quali intorno a Cratete sono molte, e alcuna di
esse bene importante, per esempio questa di Aristotele,
nella «Poetica», che cosi scrive di lui: xoù 8è [lufrous
7toietv 'E7tfyapnos xal $óp|us -^p^av.xò uèv oùv 7tpà>xov èx
SixeX£as -JJXfrev ' xtòv 8è 'ASn^vrjac Kpàxrjs 7tpwxos ^p?ev,
àyl\ie.voc, xfjs Sau^ixfjs JSéas, xafróXou Xóyous ^ ^ófrous
7toietv. Dice, dunque, Aristotele che Cratete fu il primo
in Atene il quale, senza aggredire nessun personaggio
della vita contemporanea, introdusse sulla scena, ad
imitazione di Epicarrao e Formide, commedie con per
sonaggi e intreccio di sua propria invenzione, oppure
di argomento desunto dalla vita reale: precisamente
pvufrous, le prime, Xóyous, le seconde ('). Non c'è dubbio

(') Queste parole di Aristotele vanno interpretate tenendo


presente queste altre dello stesso Aristotele : san 9è xrj£ |lèv 7ipàjgtos
6 uOS'Os |ii|iirj<ji£ - Xéyco yìp |i09ov xoùxo, xrjV aùv&eaiv xùv 7tpaYtiixtov.
Dunque (cfr. Bergk, Comm. de reliquiis comoediae atticae anti
qua*, Lipsia 1838, pagg. 268 sgg.), (l03-os, in simili contesti, non
significa favola mitologica, ma finzione poetica, ossia invenzione
del poeta. Per esempio, le « Belve » di Cratete erano una fin
zione, i « Vicini » erano invece un argomento reale, un Xóyos.
12 CAPITOLO PRIMO

che cosi debbano interpretarsi queste parole di Aristo


tele, e che xafróXou Xóyoi sieno composizioni di carattere
generico, poco diverse dai u-O^oi. Insomma, Aristotele
vuole insistere sul fatto che le commedie di Cratete
erano « costantemente » nù&oi o \6yoi, e non contene
vano nessuna allusione a personaggi della vita politica o
privata ateniese. Il suo giudizio è confermato dall'ano
nimo autore di un trattatello intorno alla commedia,
che, parlando di Ferecrate, lo dice imitatore di Cratete:
è£VjXwxe Kpàxrjta, xai od> xoù ^èv XoiSopeìv àniaxy), npx-
Y(iaxa Sè eJarjyoó[Jievos xaivà rjòSox£^ei, yevóuevos eupexixòs
uóìkov, «fu imitatore di Cratete, e invero si astenne
dall' ingiuriare, ma venne in buona fama introducendo
sulla scena argomenti nuovi, facendosi inventore di
trame originali » ('). Sarà necessario sottolineare che
ritorna, leggermente mutata, la nomenclatura aristote
lica, e che i 7tpàyuaxa corrispondono esattamente ai
Xóyoi, ma che appunto perchè 7tpàyuaxa xaivà diventano,
in questo caso, veri e propri ^ùfroi, inventati dal poeta?
Appar chiaro perciò che la commedia di Cratete,
in pieno quarto secolo, quando erti già comparsa la
satira politica di Cratino, fu commedia borghese. Fin
zioni fantasiose, come le « Belve », che Aristofane vide
rappresentare dopo il 427, oppure commedie riprodu-
centi fatti comici della vita d'ogni giorno, e forse anche
commedie erotiche. Imitatore di Epicarmo, sull'esempio
di Epicarmo egli introdusse per primo nella commedia
attica la maschera dell'ubriaco : ne fanno fede Ateneo
e l'autore anonimo di un trattatello sul dramma co
mico; e se, sull'esempio di Epicarmo, scrisse commedie

(') Anche Ferecrate fu, come Cratete, attore prima di diven


tare commediografo. Commediografi e attori erano in un certo
senso collaboratori, come si legge chiaro nella notizia dello sco-
liasta al n. 533 delle « Ifubi », che Aristofane intende in quel
verso colpire xòv "Epuinnov xal xòv Ep\uovx xòv xoùxou ó7toxpixijv.
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 18

mitologiche, esse non erano affatto, come lo erano quelle


di Cratino, abili e ingegnosi adattamenti di favole mi
tologiche a fatti e misfatti della politica contemporanea.
Che, infine, nel suo repertorio trovasse, o almeno po
tesse trovar posto anche la commedia erotica, eccolo
dimostrato dal suo imitatore Ferecrate autore di una
« Coriannò », di una « Petale », di una « Thalassa », cioè
di commedie che s'intitolavano col nome di una mere
trice, come molte commedie degli anni di Alesside e
di Menandro (').
C è quanto basta per giudicare assolutamente pro
babile l'ipotesi di chi riunisce in un solo Cratete i due
Crateti di Suida, o meglio immaginati da Suida, o
dalle fonti di Suida, come due diversi commediografi
pel solo fatto che le commedie di Cratete figuravano
divise in due gruppi distinti. Il «Tesoro», l' «Avaro»
e gli « Uccelli » sono dello stesso Cratete autore dei
« Vicini » e degli « Eroi », delle « Belve » e di « Lamia »,

(') Per trovare commedie di questo argomento bisogna scen


dere ai tempi di Antifane e di Alesside. Ma il più interessante
è che Ferecrate nella « Coriannò » tentò un vero e proprio
dramma comico borghese, sul tipo delle « Bacchides » di Plauto.
La commedia è largamente citata da Ateneo, da Efestione e altri
grammatici, e dai frammenti risulta che vi comparivano Coriannò,
la sua nutrice, un giovane innamorato di Coriannò, e un vecchio,
forse il padre del giovinotto, anche lui innamorato della mere
trice. In una scena la meretrice compariva calda e belloccia,
allora allora uscita dal bagno, e perchè aveva la gola secca
chiedeva da bere nella coppa grande : « Vengo dal bagno e sono
tutta calda ed ho la gola secca.... ». In un'altra scena, il vecchio
« senza denti » (àvóSovtos), forse il padre del giovinotto, si sente
rinfacciar dal figlio che « per lui non è più la stagione di fare
all'amore.... ». Era in questa commedia che Ferecrate faceva dire
dal coro agli spettatori i versi : Sv8pes Kpóaysxe xòv voùv è5suprj|iaxc
xaivtòi, auii7ix'jxxois àva7taiaxois, annunziando anapesti spondiaci. Fe
recrate compose anche la « Thalassa » e la « Petale », altre due
commedie erotiche, poichè s'intitolano col nome di cortigiane, e
la « Petale » è del 425.
14 CAPITOLO PRIMO

degli c Schiavi indisciplinati » e dei « Samioti » ('), e di


tatti nell'uno e nell'altro gruppo di commedie figurano
titoli i quali convengono meglio alla nuova che all'an
tica commedia, e tutti insieme confermano, se di una
conferma ci fosse bisogno, quel che abbiamo già detto
innanzi, leggendo traducendo e commentando le cita
zioni di Aristotele e di autori più modesti. Rimane
perciò il problema della commedia di Cratete come
un autentico problema per lo studioso della commedia
antica e della storia del teatro ateniese; cioè, il pro
blema di una commedia borghese sorta e vissuta ac
canto alla commedia politica, e applaudita dal pubblico
del quinto secolo com'era applaudita la commedia po
litica.
Vero è che Aristofane, nel giudizio su Cratete, non
biasima, ma non si abbandona neppure a lodi generose
e forse resta anche lui perplesso. Chiama le commedie
di Cratete «colazioni imbandite con poca spesa», e
poi soggiunge che le sue invenzioni sono troppo deli
cate ed urbane, ma espresse con una certa eleganza
forbita. Loda la forma, ma non può assolutamente me
nar per buone le trovate di Cratete; certamente non
può approvare che la commedia svolga argomenti della
vita borghese e si astenga dal portar sulla scena fatti
e avvenimenti di comune generale interesse, problemi
della vita politica e letteraria. Nella seconda edizione
delle «Donne alle feste di Demetra», cioè diciassette
anni più tardi, ripeterà lo stesso giudizio aggravandolo:
« certo, una volta l' arte comica doveva essere un
piatto da mangiarsi a grossi bocconi, dico al tempo

(') Aristofane (frm. 333) allude alla commedia di Cratete in


titolata « Samioti », in un frammento della quale, citato da Ateneo
(= frm. 29), si parla della salsa di elefante. Il frammento di Cra
tete è in tetrametri trocaici, ma il primo verso ha clausola peo-
nica, x&piyoz èXe^dvuvov, che Aristofane conserva esattamente come
clausola nella sua parodia.
I PEIMI COMMEDIOGRAl'I 15

che Cratete, senza troppa fatica, imbandiva agli spet


tatori squisiti manicaretti, come la salsa d'elefante ed
altre leccornie del genere...... Aveva detto nella
parabasi dei « Cavalieri » che le commedie di Cratete
non erano pranzi, ma « colazioni » imbandite con poca
spesa, a7tò au.ixpà<; Sa7tavi^, ed ora, sempre scherzando
con vocaboli di cucina, dice più chiaramente che Cra
tete componeva i suoi drammi con poca fatica, dbtóvws.
Le parole àaxeioxaxas è7tivo£as e ànò xpoc^oxàtou
axÓu-axos uàxxwv non sono una lode senza riserve. Lo
scoliasta glossa l'aggettivo xpaupotàxou con rjSuxàxou xal
^rjpoxàxou, e cerca di meglio chiarire il contesto, ag
giungendo che Cratete a(uxpà I7to£ei xal ixepne xoòs
àxpoaxàs ypàcpwv VjSéa, < scriveva commedie brevi e
dilettava gli ascoltatori per la grazia del suo stile».
Dunque, alla magrezza e alla scarsezza dell'invenzione
sopperiva coll' eleganza dello stile, e appunto perciò
egli é un precursore e anticipatore della commedia
nuova. Egli era stato attore delle commedie di Cratino
e s' era poi dato a comporre commedie tutt' affatto di
verse da quelle di Cratino; egli amava la vita, e, avendo
imparato ad osservare della vita alcuni aspetti carat
teristicamente borghesi, li portava sulla scena 7tóvu
YeXoXoc, xal EXapós, con animo scerzevole e brioso, senza
amarezza. Tipicamente sua e diversa da quella degli
altri commediografi, la commedia di Cratete era perciò
più difficile e più facile al tempo stesso, giacché impo-
nevasi all'autore la necessità di ricorrere troppo spesso
a battute di spirito, e tuttavia, proprio per questo e
per la novità dell'argomento non politico, essa dilettava
il pubblico come se fosse un intermezzo giocoso. Chi
legga il frammento delle «Belve» di Cratete ('), dove

(*) Le « Belve », come ho annotato a pagina 11, erano un


Hò9-o£ cioè una commedia fantasiosa. Vi comparivano gli animali
in coro a discorrere con gli uomini e a far le lodi della vita
semplice e naturale. Questa commedia di Cratete fu molto letta,
16 CAPITOLO PRIMO

un tale fa le lodi della vita felice e promette che non


ci saranno mai più gli schiavi, ma le cose stesse cam
mineranno da sè sole, noterà subito che quel motivo,
tanto spesso adoperato dai commediografi politici come
un ricordo amaro dei tempi di pace in tempi di guerra,
diventa in Cratete motivo buffonesco sulla bocca di un
ciarlatano, il quale descrive il paese di cuccagna e
ordina alla pagnotta di camminare e al pesce di muo
versi dalla griglia: «orsù, pesce, vieni qui - Oh! no!
non sono ancora ben cotto di sopra e di sotto......
Questa era la commedia di Cratete, e si capisce
perché mai lo stesso commediografo lamenti che ai
poeti tragici riesca facile trovare argomenti, essendo
quelli della tragedia argomenti a tutti noti e da tutti
rispettati. Precursore anche in questo della commedia
nuova, egli anticipa il motivo che Antifane tratterà
in un frammento della sua «Poesia» ('). I nove titoli
già citati, e gli altri pochi racimolati qua e là da ma
gre notizie, e inoltre le incertezze di alcune citazioni,
che attribuiscono ad altri commedie di Cratete o a
Cratete commedie di altri, dimostrano che già gli an-

« appare, secondo il Bekgk, op. cit. 278, riassunta da Platone


nel « Politico », là dove egli immagina che gli uomini al tempo
di Crono discorressero tranquillamente con gli animali su argo
menti di vario interesse. Comunque, la commedia di Cratete è
d'intonazione popolare e sfrutta un argomento fiabesco molto
gradito alle folle.
(') Il verso di Cratete, che è un frammento delle sue IIai5ioc£,
è un tetrametro anapestico: xoìs 8s -tpa.yim8oì$ éxspos ae|ivòs 7tàaiv
Xóyoz &XXof 58' iaxiv. Non c' è dubbio ch' esso facesse parte della
parabasi del coro, nella quale il poeta trattava di quistioni tea
trali, e precisamente della stessa quistione che sta tanto a cuore
ad Antifane nel frammento 191 della « Poesia » : (iaxccpióv ècmv ^
zpayioiSia noirj|ia .... È probabile che proprio nella parabasi Cra
tete discutesse intorno alla commedia, come Cratino nel « Dioniso-
Alessandro ».
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 17

tichi si orientavano malamente fra le confuse fonti sul


l'opera di Cratete ('). Forse c'è da credere che, come
le commedie di Magnete, anche quelle di Cratete sieno
state in parte riprese e rifatte, o soltanto imitate, dai
commediografi posteriori, ma é in ogni modo certo che,
se mancasse la testimonianza di Aristofane, noi di Cra
tete sapremmo molto poco e potremmo legittimamente
dubitare della sua cronologia, e forse finiremmo per
crederlo piuttosto un commediografo della nuova che
della commedia attica antica.
Aristofane lo include nella triade dei suoi precur
sori, e se lo giudica con molte riserve, tuttavia lo
ricorda a titolo di onore. Qualche cosa egli ha dunque
imparato e imitato da lui, e forse per l' appunto da
Cratete ha derivato le scene iniziali delle sue comme
die, che sono tutte scene di vita borghese. Le comme
die di Aristofane si aprono tutte con le cosiddette scene
del prologo, che sono dialoghi o monologhi intonati tran
quillamente, come se tutto l'argomento della commedia
dovesse essere borghesemente concepito e sviluppato :
Diceopoli che chiacchiera solo in piazza, attendendo
l'arrivo dei pritani; due schiavi in dialogo vivace;
donne che cicalecciano; padrone e servitore che si
accingono ad un viaggio o ad una passeggiata: questi,
ed altri simili a questi, sono i motivi delle scene ini
ziali delle commedie di Aristofane. Le quali, poi, sono
qua e là, nel corso dell' azione, interrotte da scene
borghesi buffonesche, sul tipo di quella delle « Donne
a parlamento », dove Blepiro, dalla strada, discorre nella
più comica posizione con un suo amico alla finestra.

(') Per esempio, gli « Uccelli » di Cratete, il « Tesoro », i


« Meteci », gli « Incatenati » sono titoli senza frammenti, e così
pure il « Dioniso » e 1' « Avaro ». Per una più particolare notizia
cronologica Bull' opera di Cratete rimando a quel che dirò breve
mente a pagina 116.
3
18 CAPITOLO PRIMO

*
* *

Magnete e Cratete molto probabilmente non scris- ,


sero commedie politiche. L'inventore della commedia
politica fu, come vedremo nel corso di questo libro,
Cratino.
In Atene, prima di Cratino, dominava la commedia
megarica: Magnete e Cratete furono commediografi
della commedia megarica, ma solo in un certo senso
e fino a un certo punto, giacché, se Aristofane, che
parla sempre sprezzantemente della commedia mega
rica, li accoglie nella triade dei suoi precursori, sarà
da concluderne che proprio Magnete e Cratete contri
buirono e collaborarono a trasformare la farsa mega
rica in qualche cosa di più organico e composto.
Ateneo nel quattordicesimo libro dei « Sofisti a ban
chetto » parla di Maison, attore megarese che diede il
nome ad una maschera e rappresentò con successo
sulle scene ateniesi il servo e il cuoco. Maison, per
quel che si legge in Zenobio, dev'essere stato come
Cratete, attore ed autore di commedie o farse, e cosi
pure Susarione e Millo, e forse lo stesso Ononide. Le
notizie che abbiamo intorno a costoro sono scarse e
scarne, ma tutte abbastanza precise e concordi, e si
possono riassumere tutte con le parole del grammatico
Diomede: poetae primi comici fuerunt Susario Mylìus
et Magnes ; hi veteris disciplinae ioculatoria quae-
dam minus scite et venuste pronunciabant.
L'autore anonimo di un trattatello intorno alla com
media è, forse, più preciso, quando avverte che Susa
rione introduceva i personaggi sulla scena àxàxxws,
«disordinatamente». C'è da credere che Susarione, il
quale, per altre fonti, risulta inventore del coro comico, .
non conoscesse ancora la tecnica di Cratino, e che
però le scene e le parti della sua Commedia fossero
I PRIMI COMMEDIOGRAFI

vere e proprie farse, alle quali erasi aggiunto il solo


coro. La sua era commedia I\ip&xpoQ, era già com
media in versi, e perciò anche musicale, ma era so
prattutto commedia giambica, vale a dire contenuta,
quanto a movimento, nei limiti del ritmo giambico. I
famosi versi citati dal grammatico Diomede: àxousxe
Xewi . Souaapfav Xéyei xàSe, uiòc, $i)ivou Meyapóìkv Tpi-
7toS£axios 'xaxòv yuvxlY.zc, - àXX 'ónws, w 87j|i<5xai, oòx laxiv
otxetv oEx£av àveu xaxoù « ascolta, o popolo. E
Susarione che ti parla, il figlio di Filino di Megara
Tripodiscio. Le donne sono un malanno, eppure non è
possibile, o cittadini, vivere senza malanni ....», sem
brano e sono poesia giambica degna di Archiloco e
Ipponatte. Ebbene, osservatene e consideratene gli svi
luppi, nella stessa commedia antica: la tradizione ar-
chilochea e ipponattea continua in Cratino con inten
dimento politico; e questo stesso motivo sfruttato da
Susarione, motivo quasi teognideo, è ancor vivo nelle
« Donne alla festa di Demetra », anzi vi si fa molto più
mosso e vivace.
La farsa megarica era scherzosa, disorganica, auda
ce, incomposta, nient'affatto seria, e appunto per questo
non fu accolta in teatro, ma rimase sulle piazze. Chi
le dette una certa organicità e il primo coro, senza
tuttavia riuscire a portarla in teatro, fu Susarione;
chi la portò anche in teatro fu Chionide. Di Susarione
non abbiamo nessun titolo, di Chionide si, perchè la
tradizione ricorda i suoi « Eroi » i « Pitocchi » e i
«Persiani». Che i versi citati di Chionide sieno suoi
o di chi, più tardi, rimaneggiò le sue commedie, poco
importa; importa invece moltissimo che suoi sieno i
titoli. Per Chionide Magnete e Cratete si verifica la
stessa cosa : che le commedie loro furono tutte, per
buona o cattiva sorte, riprese e rifatte da commedio
grafi anonimi e forse anche da commediografi di grido.
Non sùbito però, ma quando, cessato l'interesse per la
20 CAPITOLO PRIMO

commedia politica, si ritornò all' antica farsa e alla


commedia di maschere di contenuto borghese, giacchè
i primi tentativi di far della commedia un dramma
psicologico si ebbero, a parer nostro, attraverso la
riesumazione di queste opere antiche, che meglio si
chiamerebbero farse.
Gli « Eroi » di Chionide sono anche titolo di com
medie di Cratete e di Aristofane, di Menandro e di
Timocle; i «Persiani» sono anche titolo di una com
media di Ferecrate. Che i titoli sieno cosi comuni dice
poco, chè importerebbe conoscere il contenuto per giu
dicare; ma che molto spesso i commediografi legges
sero e studiassero le opere dei predecessori e dei rivali
e vi cogliessero motivi da imitare, spunti da svilup
pare, lo dimostrano non soltanto le già note simiglianze
e i riecheggiamenti già sottolineati dai critici antichi'
e moderni, che qui non è necessario ripetere, ma an
che questo recentissimo esempio offertoci dal nuovo
papiro dei « Prospaltii » di Eupoli, dove gli stessi versi
712-715 dell' «Antigone» di Sofocle appaiono parodiati
da Eupoli e da Antifane, quantunque da Eupoli sieno
riprodotti con minori alterazioni che non in Antifane,
allo stesso scopo di esortazione a non essere ostinati.
Si dirà che in questo caso, trattandosi di parodia, la
simiglianza è dovuta piuttosto al contesto parodiato:
eppure non è cosi, e chi legga attentamente i due
frammenti di Eupoli e Antifane, si accorgerà subito
che Antifane si è ricordato di Sofocle per aver letto
la commedia di Eupoli (').
In ogni modo non è questo il solo caso da pren
dere in considerazione; altri, come ho già avvertito,
ce ne sono, i quali dimostrano come fossero lette e

(') Il papiro dei « Prospaltii », di cui parleremo ancora a


pag. 102, è stato pubblicato dal Vitelli nell' undecimo volume dei
-« Papiri della Società italiana » col num. 1213.
I PRIMI COMMEDIOGRAFI 21

studiate dai commediografi le opere dei rivali e dei


predecessori. Che le commedie di Chionide sieno citate
dagli antichi, e particolarmente da Ateneo, il quale
gliele attribuisce con implicito il dubbio sulla pater
nità, significa chiaramente che le commedie di Chio
nide furono rimaneggiate e rivedute. Del resto, a pro
posito di Magnete, a pag. 10 di questo libro, ho già
ricordato un passo ben noto e sempre molto interes
sante di Dione Crisostomo, e potrei, anticipando quello
che ricorderò brevemente a pagina 105, dichiarare che
la commedia di Timocle molto deve avere attinto all' o-
pera di Cratino (*).

*
* *

Coteste considerazioni non devono sembrare esterne


all'opera nostra. Le ho annotate non per altro che per
insistere sulla ormai documentata esistenza di una
commedia precratinea, tutt' affatto diversa dalla com
media inaugurata da Cratino. Io credo che Cratino sia
stato un grande innovatore, il vero creatore della com
media, e quasi tutte le pagine di questo libro posso
dire di averle dedicate a lui. Cratino deve avere non
solo ordinato le parti del dramma comico e costruito
lo scheletro della tecnica del teatro comico, ma certa
mente egli per primo deve aver sentito il problema della
commedia come poesia, e cercato perciò di dare alla

(') Una fonte di Snida nella vita di Eupoli, opportunamente


citata dal Mbinekb nella Historia critica pag. 32, avverte che
Eupoli iYpa4>e xóaa xai 5XXa Siaaotsuajóusvos, scrisse tante commedie
(quante sono quelle di cui la stessa fonte parla) e altrettante di
altri rimaneggiò. TJ uso del rimaneggiare commedie altrui doveva
essere frequentissimo, se, come avverte sempre il Meineke, di-
cevasi xà Spd(iaxa è7iixaxxósiv e nxepv££siv per esprimere, secondo il
gergo dei calzolai, questo costume di « risolare le commedie o
ricucirle ». Così si legge nel sofista Prinico.
22 CAPITOLO PRIMO

commedia contenuto e significato civile. Quando, nelle


« Rane », Aristofane fa proclamare da Eschilo il valore
etico dell' attività del poeta, e, nelle parabasi di altre
commedie, fa dichiarare dal coro come e quanto il
poeta possa e debba contribuire all'educazione dei cit
tadini, egli forse ripete quel che Cratino aveva già
detto, o, se non aveva espressamente detto, certo aveva
implicitamente espresso, nelle eloquenti invettive ed
apostrofi delle sue commedie politiche. Il giudizio del
l'anonimo autore del trattatello sulla commedia, che
la commedia precratinea non era che soltanto riso,
« riso scemo » come diremmo noi, ^óvos fjv yéXws xò
xaxaaxeua£ó^evov, corrisponde benissimo alle ragioni che
Aristotele adduce nella «Poetica» per giustificare l'e
sclusione della commedia dal teatro, Vj xco[uoiSia Scà
xò ni] a7tou8à£eafrai èi; àpyjfr IXaftev. La prima commedia *
non era seria, non poteva, come la tragedia, contri
buire all'educazione civile degli Ateniesi.
Ma che già Magnete e Chionide cercassero di darle
questo valore, senza tuttavia rinunziare a quel dono
divino di far ridere e spianare le pensose e cupe fronti
degli Ateniesi nei giorni amari delle lunghissime guerre
e delle opprimenti carestie, l'afferma Aristofane, almeno
per Magnete e per il brillante Cratete. Il dono di far
ridere ! Ma Cratino al riso aveva aggiunto l'altro dono
di correggere i costumi - castigat ridendo mores - e
Aristofane accolse l'insegnamento. Perciò la storia della
commedia greca, chi volesse scriverla, è storia della
coscienza umana, e insieme con l'oratoria, rappresenta
uno dei momenti del pensiero civile e politico della
Grecia, dal giorno che Cratino vinse alle grandi Dio-
nisie dell'anno 453 avanti Cristo.
CAPITOLO SECONDO

AUMX CRATINUS
Il poeta Gratino mori quasi centenario. Nel 424
quando Aristofane vinse co' suoi « Cavalieri » alle feste
Lenee, Cratino, che ottenne il secondo premio, era già
vecchio, ma continuava ad essere un originale tipo di
artista, che più invecchiava e più si mostrava giove-
nilmente audace. Lo stesso Aristofane, nella parabasi
dei «Cavalieri», gli dimostra ammirazione, senza na
scondere che gli tornerebbe comodo se il vecchio ab
bandonasse il teatro (*).
Egli era un pericoloso competitore. Aveva dominato
sgominando gli avversari; aveva già vinto nel 453, e
vinse almeno per altre otto volte ancora, eccitando
l' invidia di non pochi commediografi, per esempio di
Callia, che un antico commentatore della parabasi dei
« Cavalieri » ricorda fra gli avversari che Cratino aveva
non solo superato ma perfino deriso nelle sue comme
die. Se Callia presentò i « Satiri » nel 437, ottenendo
un successo molto modesto, è invece probabile che il
grande successo quell'anno fosse dei « Plutoi » di Cra
tino. Le cui ventuila commedie, se veramente ventuna

(') Cratino era stato battuto da Aristofane già nel 425, poichè
i suoi « Tempestati » furono giudicati al secondo posto dopo gli
« Acarnesi ».
26 CAPITOLO SECONDO

esse sono, appartengono quasi tutte all'età matura e


alla vecchiaia, giacchè, se dobbiamo credere esatte le
poche notizie cronologiche che abbiamo della sua vita,
Cratino cominciò a scrivere commedie dopo i cinquanta,
e continuò a scriverne fin oltre i novant' anni (*).
La tradizione lo conosce vecchio. Nessuno può im
maginare giovane Cratino, tutti lo pensiamo un vecchio
intollerante che trovava sempre il modo e l'occasione
di dire quel che volesse e sentisse, e che il pubblico
amava e applaudiva. La sua commedia diceva sempre
qualche cosa di nuovo, brillante o impertinente che
fosse, un coro, un'arietta, un motteggio di quelli che
restano e bollano senza pietà (2). Ebbe perciò ammi
ratori ed amici ; ed è gran peccato che dell' opera
sua restino soltanto poche briciole e frinzelli, sui quali
a mala pena possiamo ricostruire motivi e situazioni,
personaggi ed argomenti.

*
* *

Pochi anni fa Girolamo Vitelli e Paul Mazon pub


blicarono frammenti dei «Plutoi », rinvenuti, in un pa-

(') In ogni modo è certo che la sua attività piena si svolse


tra il 453 e il 423, per un periodo di trent'anni. Ohe cosa fece
Cratino prima di raggiungere i sessant' anni ? Ammettiamo pure
che dai cinquanta ai sessanta egli si desse al teatro e tentasse
invano di ottenere un successo, ma prima dei cinquant' anni
che cosa faceva? L'attore? Potrebbe darsi. Anche Cratete fece
per un certo tempo l'attore, e non è detto che Cratino nel 423,
quando fu rappresentata la « Bottiglia », non comparisse di per
sona sulla scena, per rendere più drammatico e vivace il successo
del suo ultimo dramma.
(2) Lo stesso Aristofane accenna graziosamente nella parabasi
dei « Cavalieri » alla fortuna di alcuni iJtéXrj di Cratino. Oggi non
possiamo più giudicarne, data la scarsezza dei frammenti, ma
sembra che gli antichi, e specialmente i contemporanei, apprez
zassero molto anche il talento musicale di Cratino. In un certo
senso dobbiamo ritenerlo poeta popolare.
AUDAX CRATINUS 27

piro del secondo secolo dopo Cristo, ad Ossirinco (*).


Sono versi della parodos: i Titani chiamati Plutoi si pre
sentano sulla scena, e, in un vivace dialogo in sistemi
anapestici tra il corifeo e un ateniese, spiegano chi essi
sieno e il desiderio loro di visitare in Atene un caro
antico parente (2), e poi, in tetrametri trocaici, dichiarano
d'essere venuti a giudicare quali Ateniesi si sieno one
stamente arricchiti e quali no, cominciando da Hagnon
di Stiria che si arricchi nel 437, mercanteggiando ille
citamente ad Anflpoli. Dunque, commedia politica.
I Plutoi sono dèmoni benevoli, che vivono sulla
terra e danno la ricchezza agli uomini (3): Cratino li
fa venire in Atene ad esercitare un po' di giustizia e
a torre il mal tolto per donarlo ai galantuomini. Argo
mento scottante per molti, divertente per la folla, inte
ressante per tutti: argomento politico, che procurava
ai poveri l' illusione di diventar ricchi a dispetto dei
ricchi, e ai profittatori la paurosa sorpresa di sentir
gridate dalla scena in pubblico le loro malefatte (*).

(*) Sono frammenti di uno stesso papiro, pubblicati dal Vi


telli nel volume undecimo dei Papiri della Società italiana
n.° 1212 e dal Mazon in Mélanges Bides pagg. 603-612.
(s) Ecco il passo in quistione, 24 sgg. SsOp' èa'ia-rj|iev npbc,
8|i[ai|ióv x' ovx'] ocÙTOxaaÌYV>]x<5v xs 7taXaióv, £rjxoùvxs£ xeì ^xfrpòv ij8»j ecc.
Il Vitelli crede, ma non esclude che sia altrimenti, che il poeta
alludesse ad un Sixaia>s 7iXoox&v Ateniese, volendo così insinuare
che ormai in Atene sarebbe finita la razza degli onesti; ma il
Pasquali pensa a Prometeo, e il Mazon pensa a Crono, l'uno e
l'altro oggetto di culto in Atene.
(3) Ija scoperta del papiro ha risoluto in maniera insperata
la quistione del titolo. Nessuno aveva pensato ai Titani 7iàouxoSóxcu
ricordati da Esiodo, e qualche antico, come Polluce, confondeva
anche il titolo IL\oùxoi col DXoSxot di Aristofane. Vagamente si
credeva che così fossero chiamati i Pluti comites.
(*) In quasi tutte le commedie Cratino amava mescolare l' ar
gomento mitologico col politico, la qual cosa dimostra com' egli
fosse vicino alle origini del dramma e come poi sviluppasse
meglio la parodia in commedie posteriori (cfr. il quarto capitolo
di questo volume).
28 CAPITOLO SECONDO

Parla il corifeo e forse dice che lui e gli altri Titani,


venuti a giudicare l'onestà degli arricchiti, non trove
ranno, a causa delle circostanze, |i,evexoùs xpixàs « giudici
benevoli » ('), essi che, come si legge in Esiodo, sono
definiti èafl-Xol per eccellenza, vale a dire « generosi
e benèfici ». Ed aggiunge:

Tixàvss ^èv yeveàv èa[^ev,]


nXoùTOi 8' èxaXoti(ieO-' 8x' [Oòpav£Srjs]
-xóxs 8' -Jjv, (ptoviijvfr' 8xe xà £6ka-
xaxé7tiv' àxóvrjs
xXwy|tòv ttoXùv odvexòs u[^tv].

« Noi siamo della razza dei Titani e ci chiamavamo


Plutoi quando (s'era al tempo che le bestie parlavano)
Uranione (Crono) da voi tanto celebrato ingozzava il
giù giù del sasso » (2). I cinque versi alludono al
l' antica origine dei Plutoi e all' antico nome di quei
dèmoni, generosi e benedetti in terra finchè durò il

(') Io leggo Suvxu/hiai papuvó(isvoi o[ù] 8[ixda<oaiv]. Hon può


essere diversamente: essi stessi hanno detto poco prima, dico i
Plutoi, che cercheranno di ottenere il premio con la loro com
media mostrandosi rassegnati alle presenti circostanze politiche,
ma temono che i giudici dell'agone non sieno sereni. Accetto
cioè la congettura di Koerte, ma non la sua cronologia. Vedi
oltre n. 2 a pag. 32, e nota 1 pag. 62.
(2) Leggo così, e mi pare che così sieno eliminate tutte le
difficoltà, che invece non lo sono affatto se in 12 leggiamo, come
propose Vitelli, IIXoOxoi 8' èxaXo6|ie8'' 5x' [^p/e Kpóvos]; sicchè xóxe
V fjv cptovrjvj)-' 3xs xà £Sia è parentetico, e l' Oùpav£Srjs da noi conget
turato pel confronto con Hes. Theog. 486 (cfr. anche Pindaro), è
Crono figlio di Urano. Come il nome dei Plutoi, così anche
0ùpxv£8rj£ Cratino lo ha direttamente derivato da Esiodo. Dirò
anche che quando, dopo pubblicato già da qualche mese l'unde-
cimo volume dei Papiri della Società italiana, proposi la mia
congettura al Vitelli, egli la trovò e credette possibile e probabile.
Dunque, OùpxviSrjs regge il xxxéniv(e) di 14 e àxóvous del papiro
sarà certamente errore per àxóvrjs (ai£ = rjs). '
AUDAX CRATINUS 29

regno di Crono, l' età dell' oro. Ma cacciato Crono, il


nuovo re degli dèi ridusse in catene tutti i Titani, e
anche i Plutoi cessarono dal loro ufficio benefico e
umanitario. Nell'intenzione del poeta, c'è molta affinità
tra il nuovo regno di Zeus e quello degli altri dèi e della
democrazia ateniese fondata e promossa da Pericle (').
Per sfuggire alle vendette del nuovo reggitore del
l' Olimpo, « dove regna la tirannide di Zeus e il potere
è nelle mani del demos », essi sono venuti in Atene,
7tpòs 8u{oau.ov x' 5vx'] aòxoxaafyvrjxóv xe 7taXouóv « da un
antico consanguineo stretto parente, a cercar di lui
anche se è putrefatto cadavere » . Gli scopi della
loro venuta in Atene sono due, scovare il parente e
investigare sulle origini di alcune grosse fortune. La
seconda disamina è esposta nel frammento pubblicato
da Paul Mazon » (2), ed è spietata: il coro dei Plutoi
vi si accinge con gioia feroce, incitandosi a trovar
parole che colpiscano giusto e rispondano diritto. Primo
di tutti resta bollato un protetto di Pericle, Hagnon di
Stiria, per l'impresa di Anfipoli.

*
* *

Abbiamo troppo poco di questa commedia di Cra-


tino per poter dire come finisse, ma già quel poco
permette di concludere che la trama non doveva essere
molto diversa dalle altre commedie, e che forse era

(') Il Vitelli annota a proposito del giu giu dell'inghiotti


mento del sasso: « potrebbe esservi sottintesa allusione a com
medie del mito di Crono che non avevano incontrato il favore
del pubblico » intendendo come detto ironicamente l' aivsxòs ó|iCv.
E sarà probabilmente così. Ma non ci può essere nessuna rela
zione col « Crono » di Frinico, che come dimostreremo a pag. 119
sgg., fu rappresentato molto più tardi.
(2) Per questo passo dei « Plutoi » rimando a pagina 63
dov' esso sarà esaminato e interpretato particolarmente.
30 CAPITOLO SECONDO

molto simile a quella dei « Chironi » ('). Anche i


« Chironi » erano una commedia aggressiva, politica,
amaramente audace, e non c' è dubbio che anche nei
« Chironi » fosse colpito Pericle. Come i Plutoi sono
Titani che hanno lo stesso nome di Plutos, cosi i
Chironi sono centauri aventi lo stesso nome del cen
tauro per eccellenza. I Plutoi investigano sulle origini
delle ricchezze degli Ateniesi, condannano e denunziano
al pubblico biasimo i disonesti, quasi tutti gli amici di
Pericle ; i Chironi, nella commedia che intitolavasi col
loro nome, giudicavano e sentenziavano sulla pubblica
moralità, bollando d' infamia uomini e donne, o meglio
uomini e donne amici di Pericle. Ma i Chironi erano
antichi Ateniesi, Solone, Dracone, distene, Cimone,
Milziade, Temistocle ecc. travestiti da centauri appunto
perchè in vita essi operarono e scrissero per la gran
dezza della città e l' educazione civile dei cittadini.
Tra i « Plutoi » e i « Chironi » sono evidenti affinità
di contenuto, ed è perciò probabile che tutte e due le
commedie sieno state composte da Cratino per lo stesso
scopo e nel medesimo ambiente politico (!). Anche nei

(') Già il Vitelli aveva notato che il verso 24 sgg. Seyp' èaiiì^|isv
7tpòs ecc. riecheggia il frm. 235 dei « Chironi » : axfjtjnv \ièv Xeip<ove£
sA.rjXuu.sv. Anche in 27-28 si legge [àXV uòvtj ajx^tfis 7tptóxrj, [5XXrjv
Sé xiv' aù] xix' ànto'ixi. Cfr. nota 2 di pag. 27.
(2) È stato giustamente e acutamente osservato dal G-eissler
che nei frammenti dei « Chironi » ricorrono molti elementi baste-
voli a definire, con una certa approssimazione al vero, la crono
logia. Soprattutto è interessante quel che il Gbisslbr scrive a
pag. 21 del suo utilissimo opuscolo Chronologie ecc. Egli avverte
che le relazioni tra Pericle e Aspasia si fecero strettissime nel 445,
e che nel 440 Aspasia salì in grande reputazione e potenza presso
gli Ateniesi. Dunque, poiché tra il 439 e il 437 cadono i tre anni
del decreto di Morichide che vietava ai commediografi di attaccare
personalità e istituzioni del governo, i « Chironi » saranno del 440
o del 436-431. Io credo che sieno del 440, chè dopo quel famoso
decreto fatto revocare dallo stesso Pericle, difficilmente Cratino
avrà osato aggredirlo di nuovo cosi apertamente : sarebbe stato
non solo pericoloso, ma anche inopportuno. Cfr. pag. 32.
AUDAX CRATINUS li!

« Chironi » il coro anzitutto si fa conoscere dagli spet


tatori : « noi siamo venuti in veste di Chironi a dar
precetti di morale » ; e poi uno per uno, senza dire
esplicitamente il proprio nome, si presentano, a co
minciar da Solone : « abito l' isola di Salamina ed è
leggenda che le mie ossa sieno seminate per tutta la
terra di Aiace ». Tutti lodavano la vita dell'Atene
aristocratica: « com'era felice la vita di allora, la vita
che gli uomini vivevano in gioiosi pensieri, fatti beati
dall'armoniosa poesia! »; ed attaccavano la cricca di
Pericle, e prima degli altri tre mostri svergognati, già
condannati, dice Cratino, perchè usurpatori dei diritti
di cittadinanza, Pisia, Ofione, Diitrefe, e non rispar
miavano neppur Pericle ed Aspasia.
Qui Cratino, per non compromettersi troppo, giocava
abilmente sulla storia di Crono, che unitosi alla Di
scordia n' ebbe per figlio « il tiranno che gli dèi
chiamano adunator di... teste (xecpaXrjyspéxav) », Pericle
dalla testa grossa e bitorzoluta come un enorme tar
tufo. A Crono un'altra femina, «l'Impudicizia partori
Hera-Aspasia, la meretrice dagli occhi di cagna » ('),
e cosi nell'aggressiva e mordace fantasia dello scon
certante commediografo si giustificava il connubio del
Pericle Olimpio con Aspasia, nelle cui mani era accen
trato il potere di Atene. Non si poteva essere più chiari
di cosi, nè più crudeli ; ma questa volta Pericle non
perdonò l' offesa e col decreto di Morichide tolse ai com
mediografi l'ambito privilegio di dire in pubblico quel

(') Lo scoliasta al Menesseno di Platone scrive un contesto


corrotto Kpaxlvos Sè '0|kj><ìXrjv ('OiicpetXrji codd.) xipavvov aù-cijv (Aspasia)
xaXet èv Xeipavji (omm. èv codd.; prò x^P0*3i l©g- XS'P(0V, fortasse
^eiptovi). Plutarco, nella vita di Pericle, ricorda che Aspasia fu
spesso motteggiata dalla commedia: sv 8è xaXz oi(t>|icm8£ais 'O|i?dA.'>]
xe véa xai iKjictveipa xal JttiXiv °Hpa npoaaYOpsùsxoii e poi cita
il frm. 241 da noi sopra tradotto. Ma è probabile che anche i
nomi di Onfale e di Deianira le fossero dati da Cratino, che in
questo stesso frammento 241 la chiama Hera. Cfr. pag. 102.
32 CAPITOLO SECONDO

che volessero, e passò qualche anno prima che il severo


ma giusto decreto fosse revocato (').
I « Plutoi » e i « Chironi » sono quasi contemporanei;
il decreto di Morichide fu promulgato nel 439 e revo
cato nel 437. Perciò è probabile che i « Chironi » sieno
del 440 e i « Plutoi » nel 436...; in ogni modo, per
l'allusione alle ricchezze di Hagnon, i « Plutoi » non
possono essere stati rappresentati prima della presa di
Anfipoli, che è del 437. Meno violenti dei « Chironi »,
i « Plutoi » sono anch' essi apertamente aggressivi
contro il partito e i fautori di Pericle, ma non sembra
che Pericle vi fosse direttamente e personalmente attac
cato (2). In altri termini, io penso che, revocato il de
creto di Morichide, il nostro Cratino si affrettò a far

(') Molto probabilmente, poichè nel frammento 241 Pericle-


Zeus è chiamato usYiaxos xùpavvos (un codice di Plutarco invece
di xópavvov scrive xixàva), Aspasia in questa stessa commedia era
chiamata xupavvo8ai|iova, che Esichio spiega ijv oùx Sv xis xùpavvov
|ióvov ei7toi àXXà xal Soitova (a meno che non sia da intendere « si
gnora del tiranno »): in ogni modo così sarà da correggere il
passo dello scoliasta al Menesseno di Platone citato nella prece
dente nota. Ricorderò che nelle « Donne di Tracia » datino
aveva già fatto il nome di Pericle chiaramente descrivendolo
nei versi famosi: o a^ivoxé^aXos 'Zebe, ÒSI nposépxSxai o IIspixXér;£
xàuSecov è7ct xoù xpaviou £xtov, iwfWj xotiaxpaxov nxpoiyzxM. Anche le
« Donne di Tracia » sono databili intorno al 445-440, poichè
l' Odeon fu costruito appunto in quegli anni.
(8) Quanto alla datazione dei « Plutoi » non mi sembra giusto
nè esatto quel che afferma Koerte in Archiv flir Papyrus-
forschung XI 3/4 pag. 252. Il coro parla dei giudici dell'agone
comico e teme che non sieno giudici « benevoli » perchè papuvó(isvoi
Éovxuxiaiai : tali éuvxuywi sarebbero, secondo il Koerte, avvenimenti
che avrebbero potuto togliere ai giudici la serenità necessaria,
probabilmente la sanguinosa Platea del 431 o addirittura il pro
cesso di Pericle del 430. Ma io non credo affatto che il coro
alluda a circostanze politiche, poichè esso si preoccupa del giu
dizio che i giudici daranno sulla commedia, disposto a rassegnarsi
alle circostanze, xò xuvòv axspyeiv, deciso ad àrcocpaiv£a9-ai un'opi
nione àjióviy.ov che gli faccia conseguire il premio dell'agone
comico. È il poeta che parla per bocca del coro, ed è così evi
AUDAX CRATINUS 83

rappresentare i suoi «Plutoi», i quali, senza cadere


affatto nell'insolenza dei « Chironi », ne ricordavano
tuttavia la trama, ricordavano cioè, a quelli che l'aves-
s ero dimenticato, che, due o tre anni prima, i « Chironi »
avevano provocato il decreto contro il teatro comico
per avere offeso Pericle ed Aspasia.

* *

Cratino ha composto molte commedie sul tipo dei


« Chironi » e dei « Plutoi. Una volta trovato e speri
mentato felicemente l' espediente di far comparire sulla
scena un coro di divinità e di centauri, a distribuire
la ricchezza, a ritogliere il mal tolto, a correggere i
costumi, a dar consigli e precetti di morale pubblica
e privata, riusciva facile con lo stesso giuoco sconcer
tare perfino i poeti e i filosofi. Cosi egli creò i « Tut-
tiocchi » o, se vogliamo tradurre alla lettera il titolo
TJavó7txai, i « Veditutto », commedia composta probabil
mente almeno due anni dopo i « Plutoi », nel 435. I
frammenti che ne rimangono ci fanno conoscere la
natura dei «Veditutto», i quali chiamavansi cosi dall'ap
pellativo di Argo, il mostro dai cento occhi, e avevano
due teste xpav£a 8iaaà ('). Ma in verità una delle sue

dente che si preoccupa della sorte della propria commedia e teme


il giudizio parziale dei giudici, che l'Ateniese al quale il coro si
rivolge l' avverte che troverà xaxó[vou£] i suoi concittadini. In
somma le j[uvtux'ai saranno le colpe di Cratino e anche la con
dizione della città, ch' è tuttora dominata dal partito di Pericle:
il decreto di Morichide era stato revocato, ma forse non era stata
dimenticata la commedia di Cratino che aveva contribuito alla
promulgazione della legge contro i cori comici. Su questo coro
dei « Plutoi » cfr. pag. 28 e anche quel che diremo a pag. 62 nel
terzo capitolo,
(l) È il frammento 163 citato da Efestione, probabilmente
come il frm. 152 e il 154, versi del coro, della parabasi o forse
anche della parodos. Il coro direbbe di avere due teste e innu
merevoli occhi, xpavia Siaaà (fopetv, òcpB-oeX(ioi 6' oùx àpiO-fxrjxo£, pre-
i
34 CAPITOLO SECONDO

più antiche commedie, gli « Archilochi », fu il modello


sul quale Cratino compose i « duroni » i « Plutoi » e
i « Veditutto » .
Lasciamo stare il titolo UXoùxoi: i Plutoi sono Titani
che già Esiodo ricorda nelle Opere, e però il titolo
della commedia cratinea non è una novità. Ma Cratino
ha scritto i Xe£pcoves e gli 'Apx&oxoi, e ha portato sulla
scena un coro di Chironi e un altro di Archilochi,
riducendo e trasformando in coro un modo di dire,
chè difatti dicevasi Lamachi per dir € generali guer
rafondai » ed Edipi per dire « uomini sciagurati e sven
turati ». Chironi voleva dir «precettori», Archilochi
doveva significar « censori » : un coro di precettori,
forse guidato dallo stesso Chirone, grandi del passato
che resuscitavano ed accorrevano in Atene a maledire
le malefatte di Pericle, uno « sciame » di censori con
a capo lo stesso Archiloco, i grandi poeti, anche Esiodo,
perfino Omero, che accorrevano dall' Ade a contemplare
Atene dopo la morte di Cimone, o nell'Ade si racco
glievano intorno al cancelliere Metrobio sceso allora
allora fra i morti.
Nei « Veditutto » Cratino aggrediva alcuni filosofi,
per esempio Hippon di Metaponto, ma non è detto che
la commedia fosse contro i filosofi: i frammenti sono
pochissimi, non se ne ricava quasi nulla, ma è proba
bile che anche i « Veditutto » fossero commedia poli
tica. Certamente lo erano gli «Archilochi», come i
« Chironi » e i « Plutoi » .
La trama degli « Archilochi » era molto semplice.
Il cancelliere Metrobio scende all'Ade, e intorno a lui

sentandosi al pubblico. Se è così, sono versi della parodos, e


però cfr. quel che diciamo a pag. 59. Ma sulla datazione della
commedia non è possibile dire di più nè meglio di quel che ha
congetturato il Geissler a pag. 23 della sna Chronologie più volte
citata.
AUDAX CRATINUS 35

si affollano improvvisamente alcuni morti: olov aocpiax&v


aufjvos àveSicpVjaaxe « che folto sciame di dottori vi
siete qui precipitati... (')» . E quelli interrogano, e gli
domandano anzitutto chi sia: « sono il cancelliere Me-
trobio e mi onoro di aver passato la mia vita e d'aver
goduto una dignitosa vecchiaia a fianco di un uomo
che ebbe mente divina e un cuore grande cosi, e fu
il migliore di tutti i Greci in tutto, Cimone. Ma mi ha
lasciato, ed è morto prima di me » . Si tratta dunque
di quel Metrobio che Tucidide ricorda nel settimo libro
delle « Storie » come cancelliere della città di Atene,
e che, appunto perchè cancelliere e redattore degli
atti pubblici, fu uomo di coltura. Ecco perchè quei
dotti parlano volontieri con lui, ed egli stesso pronunzia
un eloquenle elogio di Cimone (2).
Metrobio parlava di Atene, della nuova Atene dopo
la morte di Cimone, sicchè la commedia di Cratino
non può essere stata rappresentata che uno o due anni
dopo il 449. Morto Cimone e bandito in esilio Tucidide,
Atene era caduta in potere di Pericle, e insieme con
Pericle era venuta su la gente sua, quella stessa che
Cratino cerca di colpire ancora nei « Plutoi » . Eccone
uno che sembra particolarmente odioso al buon Me
trobio, l'architetto Metioco da Pericle promosso alle
più alte cariche della città, forse il suo più accreditato

(') Il verso ricorda un famoso giambo di Callimaco, il primo


in cui compare Ipponatte redivivo e intorno a lui s' affollano i
dotti, l'uno dell'altro gelosi. Callimaco certamente si ricordò
della commedia di Cratino, ma avrà Cratino imitato a sua volta
Archiloco, un giambo perduto di Archilocho?
(J) Cratino era scrittore eloquonte. Il migliore giudizio sullo
stile di Cratino lo leggiamo nell'Anonimo de comoed. y^Y0VS &
7ioirjxhuóxxxos, xax«axeuà£<»v Eie xòv AìayùXou ^apaxxfjpx : componeva
commedie così come Eschilo creava le sue tragedie: il confronto
è significativo e dice molte cose che sarebbe impossibile espri
mere più concettosamente.
36 CAPITOLO SECONDO

e fedele consigliere, a lui devoto come lo era stato


Metrobio con Cimone: «E Metioco che fa lo stratega,
è Metioco che soprintende alle strade, è Metioco che
provvede al pane, è Metioco che provvede alle farine.
Metioco fa tutto e Metioco andrà in malora ». Stile
e metro archilocheo (') questo frammento, citato ano
nimo da Plutarco, è veramente degno di Archiloco e
di Cratino, come suppose già Bergk (cfr. Koch voi 3
pag. 629).
Ma Cratino non faceva solo della satira contro gli
uomini del governo e i provvedimenti ch'essi prende
vano. Il coro era composto di poeti, o meglio di ooyiaxx1,
di poeti e pensatori, e però nella commedia c' erano
punte anche contro i rivali del commediografo e la
poesia contemporanea. Un frammento di tre versi in
metro cratineo, citato da Efestione nel manualetto me
trico, e che noi avremo occasione di ricordare ancora
a pag. 109 di questo volume, mi sembra molto istruttivo
in proposito : « Evoè, salute, o signore dalla chioma
ricinta di edera, soleva dire Ecfantide. Questo coro è
disposto a tutto tollerare, a tutto osare, o Caronte,

(') Gli antichi studiarono con interesse Cratino che riecheg


giava Archiloco, e dei moderni il Bergk nel 1838 ha tentato di far
lo stesso sugli scarsi frammenti dell'uno e dell'altro poeta nelle
Commentationes de reìiquiis comoediae atticae antiquae. Ha ra
gione Platonio de divers. comic, che insiste su Cratino imitatore di
Archiloco, ed ha ragione anche il Meineke quando annota nel
primo volume dei suoi Fragmenta pag. 53 (Hist. crit.) : ipse quem
secutus sii praeter Archilocum scio neminem; suo pleraque egisse
videtur ingenio. Il frm. 6 el8es xrjv 6oiaiav &X|irjv oV arta |3au£ei ; àis
eù xal xa^étos ànextaxxo xal napa^p'Sj|ia ; où |iévxoi 7tapà xio^òv ó xu<fXò?
eoixs XaXrjaai, « sai tu come latra l'amaro cittadino di Taso
Come bene e sollecito e rapido suole vendicarsi? non sembra
che il cieco parli a un muto », fa supporre che chi parli sia Ar
chiloco chiamato Oaaia aX|irj perchè amaro e sarcastico, e perchè
da Paro si portò a Taso insieme con altri Parioti e vi fondò
una colonia.
AUDAX CRATINUS 87

ma non già con melodie composte da Xeinias o dal


figlio del funaro » (').

Eìjis xiaao)(atx' àva^ xa*p', £?<*ax' 'Ex^avx£Srjs.


7tavxa cpoprjxà, 7tàvxa xoXu-7jxà xùnSe xàn y^op&i
7tXVjv Seivfou vó^ioiai xal E^oiv£tovos, w Xàpwv.

Non sappiamo chi fosse Xeinias (2), ma sappiamo


che il commediografo Callia era chiamato Schoinion
dal mestiere del padre, che faceva il funaro. Gratino

(') Il frammento 324 è citato da Efestione, che però non dice


nè il nome del poeta ne il titolo della commedia. Che il poeta
sia Cratino appare evidente, non solo perchè sono versi in metro
cratineo, ma anche perchè stilisticamente convengono benissimo
a Cratino. Inoltre, mi sembra un elemento a favore della pater
nità cratinea l' allusione al commediografo Callia, che ripetuta
mente fu da Cratino motteggiato e biasimato. Infine appare chiara
l'imitazione da Archiloco per la menzione di Caronte. Charon
era un avversario di Archiloco, non era Caronte il nocchiero
dell'Ade ; ma qui siamo nell'Ade, è un coro che intona la parodos
(o la parabasi?) nell'Ade e si rivolgo a Caronte. Abilmente Cra
tino ha imitato un giambo di Archiloco, e probabilmente lo ha
fatto negli « Archilochi ».
(*) Xeinias non è altrimenti noto, ma come Schoinion è chia
mato Callia, cosi Xeinias potrebb' essere il nome di un altro com
mediografo. E infatti si è pensato a Frinico ed Aristofane, i
quali erano tutti e due accusati d' essere stranieri e non Ateniesi.
Ma che si tratti di Frinico non credo, giacchè Frinico non pre
sentò commedie prima del 429, e che Xeinias possa essere Ari
stofane lo credo anche meno, essendo i « Banchettatori », che
sono la sua prima commedia, del 427. Io penserei piuttosto allo
stesso Ecfantide, che fu più volte attaccato da Cratino, e chiamato
una volta Kxnv£x£ perchè « oscuro » (cfr. frm. 334) e un'altra
volta xoipiXsxcpxvxtS ,s perchè si faceva aiutare dal suo schiavo
Cherilo (cfr. frm. 335). Anche una commedia di Ecfantide egli
la chiamò èxx.)(oi;U'j>|iévrj, appunto perchè dubitava fosse stata
scritta da Cherilo e non già da Ecfantide. Che 3eivix£ sia un altro
nomignolo appiccicato ad Ecfantide per dire la stessa cosa che
Kanv^s? Era Ecfantide uno straniero e scriveva perciò oscura
mente, cosi da non farsi capire ?
38 CAPITOLO SECONDO

attaccava Callia e citava con intenzione ironica una


battuta lirica del comico Ecfantide, che forse al tempo
degli « Archilochi » era ancor vivo ; e queste cose
faceva dire e fare al coro dei poeti buoni giudici in
fatto di musica e di poesia, e nell'Ade, come risulta
chiaro dall' invocazione a Caronte. Dobbiamo anche
congetturare, proprio per l' invocazione a Caronte, che
il coro cantasse quei versi mentre avanzava nella pa
lude Stige la barca di Caronte, che traghettava Me-
trobio? Una scena sul tipo delle « Rane « di Aristofane?
Gli « Archilochi » erano un'originalissima commedia,
una delle più antiche commedie di Cratino. Un nuovo
frammento scoperto dal Reitzenstein nel Fozio ci Ber
lino, dcxo|it|;ov xal cpaùXov, è parodia del frm. 473 Nauck
del « Licimnio » di Euripide e conferma anch' esso la
cronologia del 449-446, essendo il « Licimnio » una
delle più antiche tragedie di Euripide. Sicchè possiamo
tranquillamente concluderne che Cratino cominciò ad
attaccare Pericle appena questi sali al potere, e che
gli « Archilochi » e le « Fuggitive » furono le prime
commedie nelle quali osò affermare, contro la nascente
democrazia ateniese, l'indipendenza e l'intransigenza
della generazione dei Maratonomachi (*).

Comunque sia, poichè i tre versi sopraccitati del frammento


324 contengono un' allusione ad Ecfantide e Callia, e poichè essi
invocano Dioniso in versi cratinei, per non invocarlo col ritmo
di Ecfantide e Callia, e poichè Ecfantide e Callia, l'uno nel
445-440, l' altro nel 437, composero commedie intitolate « Satiri »,
e Cratino, alle Lenee del 424, presentò anche lui un dramma
intitolato « Satiri », sarà da credere che i versi del frm. 324
appartengano ai « Satiri » e non già agli « Archilochi » di Cra
tino? Sono io che sollevo, la prima volta, questo dubbio. Come
spiegare però l'apostrofe a Charon?
(') Le « Fuggitive », Apa7téxiSes, erano commedia politica, scritta
contro Lampon amico di Pericle. Pericle vi era chiamato paaiXsùs
perchè ormai era rimasto solo despota di Atene. La trama aveva
colore mitologico e uno dei personaggi era Teseo accompagnato
AUDAX CRATINUS 39

Cratino è un aristocratico dell'Atene di Milziade,


di Cimone e del vecchio Callia, ha respirato l'atmo
sfera eroica di Maratona e di Platea, ha creduto in
ideali e in uomini che gli sembrano insostituibili ed
eterni. Non cerca il compromesso, non vuole capire il
nuovo, non può capirlo più; come Archiloco, egli è
aggressivo, battagliero, amaro, ma non è velenoso e
neppur maldicente. Chiama pane il pane e vino il vino;
è tutto d'un pezzo; non deride, ma colpisce col sar
casmo; non diffama, nè insinua il sospetto, ma grida
le colpe e i peccati, e segna, con dito minaccioso, i
colpevoli e peccatori. Perciò la sua commedia era elo
quente come la parola dell' oratore politico, e « simile
a un fiume scorreva rapido per le sterminate pianure
schiantando perfino le querci dalle radici, e i platani,
e gli avversari ». Questo elogio ha scritto di lui
Aristofane, nella parabasi dei « Cavalieri ».

*
* *

Nel secondo secolo dopo Cristo, il retore Elio Ari


stide leggeva ancora due commedie di Cratino. In
un'orazione, a proposito di chi sente molto di sé, Elio
ricorda di avere ascoltato sulla scena parole altezzose
e cita due frammenti di Cratino, uno dei quali, insieme
con altri citati dallo stesso Aristide, appartiene ai
« Chironi », e l'altro, invece, ad un'altra commedia,
che torse non è difficile stabilire quale possa essere

dal suo indivisibile amico Cercione: sarà Teseo che nel frm. 49
dice: « all'alba ho trovato Cercione che cacava sur un mucchio
di legumi e son rimasto soffocato ». Cfr. Geissler pag. 19
della Chronologie ecc. La prima vittoria di Cratino è del 453,
come avverte Eusebio e conferma la lista dei vincitori delle
Dionisie, ma non sappiamo con quale commedia egli vincesse
quell'anno. Tre anni dopo, nel 450 vinse Cratete, ch'era stato
nel 453 attore della vittoriosa commedia cratinea.
40 CAPITOLQ SECONDO

delle ventuua che la tradizione attribuisce al nostro


poeta (').
Il frammento dei « Chironi » espressamente citato
da Elio Aristide ci dà gli ultimi versi della commedia,
due esametri. Il retore dichiara di averli letti è7ti
xeXeuxfjs «alla fine» del dramma: «questo lavoro fu
da noi composto in due anni pieni, e il poeta lo pro
pone come modello a tutti gli altri commediografi » :

xaùxa Suotv èv Sxoiv ^tv \>.6\ic, è^e7tov^3-rj,


xots 8' SXXus èv óc7tavxi filmi npoud-qai norjifjc, (2)

segno evidente che Cratino teneva molto ai suoi « Chi


roni ». I quali, se abbiamo bene congetturato a pag. 32,
provocarono la promulgazione del decreto di Morichide
contro i cori comici. Certo è che non soltanto Elio
Aristide ha citato più volte i « Chironi », ma anche
Plutarco e Diogene Laerzio, mentre quasi tutte le altre
commedie cratinee, ad eccezione della «Bottiglia»,
sono state citate per lo più da scoliasti, lessicografi e
grammatici.
Ai « Chironi » appartengono anche altri due fram
menti citati da Elio Aristide, dei quali diremo in nota (3),

(') I due frammenti citati da Elio Aristide nella quaranta-


novesima orazione, e gli altri, che il retore cita qua e là, appar
tengono, come diremo e in parte abbiamo già detto, ai « Chironi »
e alla « Bottiglia » : cioè 237, 293, 322 = « Chironi », 306 = « Bot
tiglia ». Tutt'e due queste commedie erano famose, ed è perciò
probabile che al tempo di Aristide fossero frequentemente lette
e citate.
(2) Aggiungo dalla citazione di Aristide un verso che già altri
filologi cercarono di correggere. Parla il coro che perciò dice ^|ifv,
e poi ricorda il poeta (cod. noirjraìs).
(3) Sono il frammento 293 e il 322. Il primo, (ò |isYiaxrj yX&xxx
x(òv "EXXiijv£Stov, allude a Pericle ; il secondo metricamente corri
sponde al terzo verso del 238, frammento dei « Chironi » citato
da Bekk. Anecd, 335, 12.
AUDAX CRATINUS 41

ma non appartiene il frammento che lo stesso autore


espressamente cita come inizio di una commedia di
Cratino, affermando d'averlo letto èv àpyi\i xoù Spanaxos,
senza tuttavia dire il titolo del dramma. « Qui si con
viene che bene svegli e attenti sieno gli spettatori, e
scaccino dalle palpebre il cicaleccio di certi poeti i
quali durano un giorno » : àcpu7tv££eafrai ^P^Ì 7t«vxa -9-eaxrjv,
&nò uèv j3Xe<pàpa>v aòìbj^spiv(ì>v toirjx&v Xfjpov àcp£vxa.
Una botta agli avversari, sùbito, all' inizio del dram
ma, e non si può dire che sia cortese. Gli altri com
mediografi sono chiamati «poeti di un giorno», perchè
i loro componimenti drammatici durano il solo giorno
della rappresentazione e poi sono dimenticati per sem
pre La stessa cosa dice Aristofane in « Rane »
96 sgg., dei tragediografi contemporanei, chiamandoli
« corruttori dell'arte, belli e morti solo che ottengano
la concessione di un coro, per una volta sola che ab
biano fatto pipi sulla musa tragica ...... Può darsi
che Cratino alluda agli avversari in genere, ma più
probabilmente le sue parole hanno significato e valore
specifico, sono dirette contro un solo avversario. Esse
sono molto violente, proprio perchè sono dette sùbito
all'inizio del dramma.
Rileggiamo quel passo della parabasi dei « Cava
lieri » dove Aristofane, dopo avere elogiato l'arte di
Cratino, conclude affermando che ormai il vecchio

(') In questo frammento 306 l' àufunviCsafrai significa « sve


gliarsi dal sonno » : io ho tradotto meno fedelmente per chiarire
bene quel che Cratino vuol dire. Egli vuole che gli spettatori si
sveglino dal sonno in cui sono caduti, dopo avere ascoltato com
medie di altri commediografi, e che ascoltino con attenzione
sua commedia. Nel secondo verso, Bergk propose aùS-rjiiepivòv con
cordandolo con XtJpov, ma i codici giustificano la lezione del
genitivo plurale, che del resto è più efficace e vivace: non già
il cicaleccio di quei poeti dura un solo giorno, ma essi stessi,
quei poeti, sono poeti unius diei.
42 CAPITOLO SECONDO

commediografo farebbe bene a ritirarsi dalle scene per


non sciupare il successo già conseguito: « Voi spettatori,
oggi che lo vedete ciangottare, non avete più nessuna
pietà di lui; alla sua cetra sono cadute le chiavi, le
corde si sono allentate e le giunture della cassa si
sono aperte. Il vecchio Cratino cammina come un pez
zente ('), i fiori della sua corona sono appassiti, ormai
muore di sete. Meglio sarebbe che a premio delle sue
vittorie bevesse a spese pubbliche nel pritaneo, e non
ciarlasse più, ma pieno di dignità sedesse, come spet
tatore, in teatro accanto alla statua di Dioniso » . È
chiaro che Aristofane si diverte un mondo a tormentar
Cratino, che alle Lenee del 425 era stato giudicato in
feriore : gli « Acarnesi » di Aristofane avevano vinto
sui « Tempestati » di Cratino. E suonò anche più amara
la botta, dopo che i c Cavalieri » di Aristofane furono
giudicati superiori ai « Satiri » di Cratino.
Aristofane chiama 7tapaXrjpoùVxa il vecchio Cratino
e gli raccomanda di non più Xrjpetv: quando scrive
commedie ormai «ciangotta», è dunque meglio che
stia zitto. Perciò io credo che quel dramma di Cratino
che si apre con la botta agli avversari « poeti di un
giorno», atMhj|iEpivol noirjtod, e ritorce l'accusa del
XTjpeìv, invitando gli spettatori a scuotere dalle palpebre
il sonno calatovi col cicaleccio di quei poeti effimeri,
debba essere stato scritto sùbito dopo la nuova vittoria
di Aristofane del 424. Non si può negare che gli ele
menti per comprovare la nostra ipotesi sono già in
questa corresponsione di motivi tra il frammento cra-
tineo e il citato passo della parabasi di Aristofane,
ma cosi precisa, e non solo possibile e probabile, è

(') Traduco « come un pezzente », ma il testo ha (ua«=p Kovvàf.


Era costui un famoso olimpionico, che s'era ridotto in estrema
povertà, e che Cratino (frm. 317) aveva motteggiato appunto per
questo. Anche Cratino doveva avere dilapidato tutto il suo.
AUDAX CBATINUS 43

l' ipotesi nostra, che la stessa cronologia delle opere di


Cratino la suffraga lucidamente. La famosa «Bottiglia»
è del 423: ad Aristofane, che un anno prima lo aveva
superato co' suoi « Cavalieri » e l' aveva accusato di
non potere più scrivere commedie perchè vecchio ed
ubriacone, Cratino rispose presentando la «Bottiglia»,
un anno dopo, alle Dionisie del 423. Il successo fu
strepitoso, il « Conno » di Amipsia e le « Nubi » di
Aristofane furono nettamente superate.
Qui Cratino è stato veramente uomo di spirito e
poeta di gran talento, perchè ha tolto di bocca agli
avversari il motivo di una commedia, di cui non fu
mai scritta l'eguale da nessun altro. Due donne com
parivano sulla scena, madonna Commedia, legittima
consorte del vecchio commediografo, e madonna Ubria
chezza sua concubina (*); e quella, dico la Commedia,
accusava Cratino di adulterio indicandolo agli spetta
tori come reo di non saper più scrivere pel teatro, e
di gozzovigliare per le osterie tutto preso d'amore,
il vecchiaccio, per un'altra donna: «un tempo ero io
la sua donna, ma ora non lo sono più...... Le cose
si mettevano pel meglio, la minaccia di accusa di adul
terio dinanzi al tribunale cadeva, perchè gli amici di
Cratino persuadevano sua moglie a parlare col vecchio
e invitarlo ad una spiegazione del fatto (s). Lo scolia-

(') Forse quel che ho scritto non è esatto. Ho detto che sulla
scena comparivano due donne, la Commedia e l'Ubriachezza,
riferendomi a quel che scrive lo scoliasta al verso 399 dei
« Cavalieri » di Aristofane: xrjv 8è (xto|iciK$£av) uéiicpSaitei aùxtoi òxi
urj xa>|i<oi8o£rj |Hjxéxi, axoXàfoi Si xiji MÉD-rji, ma ciò non significa che
anche l'Ubriachezza comparisse sulla scena.
(2) Infatti, secondo lo scoliasta dei « Cavalieri », gli amici
convincerebbero la Commedia ad interrogare Cratino sui motivi
della sua avversione, xxl xijs sxO-?as àvsptoxdÈv xijv aix£«v. Ma qui
c'è una certa ambiguità nel testo dello scholio che suona così:
(il poeta immagina...) .... ^iXous Ss 7tspixuxóvxas xoù Kpaxivou 8eÌ33-«i
44 CAPITOLO SECONDO

sta dei « Cavalieri » di Aristofane riassume in poco il


contenuto del dramma, che consisteva principalmente
di un coro composto degli amici di Cratino, di un agon
tra la moglie di Cratino e gli amici, di un vero e pro
prio agon tra la moglie, che accusa e rimprovera
aspramente il marito, e Cratino, che si difende con
abile eloquenza, dimostrando essere puramente ideale
la sua convivenza con madonna Ubriachezza, neces
saria e insostituibile collaboratrice della Commedia.
C'erano, nella «Bottiglia», un bel discorso di ma
donna Commedia, e un altro dello stesso poeta che
compariva sulla scena e si difendeva in tono archilo-
cheo: & Xi7tepvfjxss noXlxxi, xà[ià S^ jjuvfexe £rj^axa,
«miei poveri concittadini, abbiate la bontà di ascol
tare anche me, le mie parole .... » ('). Incominciava
chiamando « poveri » i suoi concittadini, perchè poveri
essi erano diventati dopo cinque anni di guerra; e par
lava alla maniera di Archiloco non solo perchè aveva
l'animo e il cuore di Archiloco, e più volte già prima

|irj8sv 7t?0TC3iss iWPMWi^jaan xxi xrjs è)ftp-x.z àvsp&nàv xrjv aa£civ, e sem
brerebbe che gli amici pregassero Cratino |irjSèv nporcsxès jcspinoirjaxi,
di non far nulla di precipitoso e d'interrogare sua moglie sui
motivi della sua avversione. Invece a parer mio, quel xoO Kpax£vou
dipende da ipiXoi>s, e non è retto dal 8eXa&a.i, e il icspixUYóvxas
esprime chiaro che gli amici di Cratino si trovano lì per caso.
E poi è la moglie di Cratino che vuole intentare l'accusa di
adulterio, ed è Cratino che ha « avversione » per la sua legittima
consorte, sicchè è la Commedia che deve chiedere a Cratino le
ragioni della sua avversione. Dunque, o leggiamo cp£Xou:; Ss xoù
Kprtivou 7ijpix'Jxóvtas (xùxfjs) 8sra8-oii ecc., o lasciamo com'è, ma senza
far dipendere affatto il xoù Kprutvou dal SstoD-zi Del resto, io penso
che Cratino avrà evitato di comparire sulla scena fin dall'inizio,
ed avrà preferito presentarsi dopo per pronunziare la sua requi
sitoria contro la commedia dei giovani e la difesa della sua arte.
Il resto lo dicevano per lui, e d'accordo con lui, i suoi amici.
(*) iNon è nient' affatto necessario sostituire al niXIxxi, del
frm. 918 ora tradotto, come propone Kock. Cratino ripro
duce fedelmente le parole di Archiloco e si rivolge non ai soli
spettatori, ma a tutti gli Ateniesi.
AUDAX CRAHNUS 45

aveva attinto al vocabolario di quel poeta, ma anche


perché gli spettatori riconoscessero in lui l'audace e
mordace critico della poesia e musica contemporanea
che aveva scritto gli « Archilochi », e il terribile av
versario della democrazia. Faceva di sè e dell'opera
sua una difesa violenta travolgente sconcertante, e ma
donna Commedia si commoveva fino a perdonargli e
a restituirgli la bottiglia di vino vecchio che aveva
nascosto: «Apollo mio che profluvio di parole! sono
fonti scroscianti, la sua bocca ha dodici sorgenti, c'è
nella sua gola l'Ilisso! Che potrei dirti più? Se non
gli tappate la bocca, l'intero teatro sarà inondato dai
suoi poemi...!». E difatti Cratino trionfò con un suc
cessone di cui è rimasta l'eco nei secoli (').
L' argomento più efficace della difesa era questo,
che madonna Ubriachezza era una sua compagna ideale,
e che neppure madonna Commedia avrebbe goduto
della fedeltà del suo Cratino, se fosse mancata la col
laborazione dell'altra. Un epigramma di Niceneto di
Samo riferisce in un distico la brillante affermazione
di Cratino, che il vino per un vero poeta è come un
veloce cavallo pel cavaliere provetto, e che niente di
poetico può « partorire » il poeta che beva acqua (2) :
olvos xoi xoipiévxi néXu xa^ùs I'tctcos àoiSaV
0S(op Sè 7t£vttìv oòSèv 5v xéxoi aocpóv.

(*) Questo bellissimo frammento che senihra riecheggiare


l' elogio di Cratino nei « Cavalieri » di Aristofane, è il frm. 186.
A me non sembra dubbio che così parli la Commedia dopo
ascoltato il discorso di suo marito: siamo verso la fine del
dramma.
(z) L' epigramma epodico di Niceneto A. P. XIII 29 rife
risce in metro dattilo-giambico le parole di Cratino, ma che il
distico che noi citiamo sieno parole di Cratino lo dice Niceneto
xoOx' IXs-fzv, àióvuae, Kpaxtvos, com'è stato già sottolineato dagli
altri filologi. Cfr. A. P. XI 23 sull' immagine del cavallo : nivo>|iev.
xsi li) yàp èx^xU(iov ei£ óSòv i"n7tos oivo£. Sui poeti e il vino cfr. an
che Orazio : non cessavere poetae nocturno certare mero, putere
diurno. Cfr. pag. 78.
46 CAPITOLO SECONDO

Anche Orazio se ne rammenta nella diciannovesima


epistola del primo libro: prisco si credas, Mecenas
docte, Cratino, nulla piacere diu nec vivere carmina
possimi quae scribuntur aquae potoribus. E conferma
quel che noi dicevamo in principio, che cioè nella
« Bottiglia » Cratino rispondeva agli avversari chia
mandoli «poeti di un giorno» aò{bj uepivoùs 7toirjxas,
poeti i cui carmina non possono piacere, nec diu vi
vere. Certamente, egli profittava anche dell'accusa di
ubriachezza per definire aquae potores, 08wp 7t£vovxas,
i rivali che l'avevano chiamato Si<J»fji à7toXwXóxa, «mor
to di... sete», e per concluderne che il vino è ausilio
di poesia, mentre l'acqua ottunde il talento poetico.

*
* *

La citazione di Elio Aristide : xal èv àp/fji xoù Spà-


^axos lisyaXauxo'^svos 7tpo^rjxrjs 7tapayopeuei xà5e-
àcpu7tvÉ^eafrai xprj 7tàvxa freaxVjv,
ànò [Jièv jSXecpàpwv aòibjuepivt&v 7toinjxwv Xfjpov àcpévxa
ci dà due tetrametri anapestici, i quali, appunto per
chè tetrametri anapestici, sembrano appartenere al pas
so di quella stessa commedia donde proviene la cita
zione cratinea dello scoliasta al verso 531 della para-
basi dei « Cavalieri » di Aristofane.
Lo scoliasta annota, a proposito dell'accusa di cian
ciatore e vecchio ubriacone incapace di scriver più
commedie : xaùxa àxouaa£ 6 Kpaxìvos lypa^e xVjv Ilux£vrjv
Seixvùs fra oòx èX^prjaev èv olc, xaxws Xéyei xòv 'Apiaxo-
cpàvrjv ós xà EòtoXiSos Xéyovxa, annota che « Cratino,
sentite le accuse di Aristofane, scrisse la « Bottiglia »
mostrando di non essere un cianciatore qualunque, e
in quella commedia « diceva male di Aristofane accu
sandolo di ripetere motivi e versi di Eupoli ». Può darsi
sia esatta la lezione dbs xà Eò7tó) iSoc Xéyovxa, poichè
AUDAX CRATINUS 47

effettivamente Aristofane fu accusato di essersi fatto


aiutare da Eupoli nella composizione dei «Cavalieri»,
sebbene mi sembri di sapere che l'accusa di collabo
razione fu mossa dallo stesso Eupoli, quando scoppiò
l' aspra contesa con Aristofane, non prima del 420 (').
Non sarà dunque da correggere il testo dello scoliasta
ù>$ xà Eòto5aiSos Xlyovxa ?
Credo sia proprio da correggere, tanto più che lo
scoliasta, il quale ormai sapeva benissimo che intorno
alla composizione dei « Cavalieri » era scoppiata la lite
tra Eupoli e Aristofane, può avere sbagliato copiando
da un altro commentario, e trascritto il nome di Eu
poli invece di un altro nome graficamente simile. Ad

(') Difatti è così. Il « Mancante » di Eupoli è del 421, e solo


nella seconda edizione della parabasi delle « Nuvole » Aristofane
accusava Eupoli di aver copiato il « Mancante » dai « Cavalieri »,
549 sgg. Eìotoais uèv xòv Mcepixàv 7cptóuaxov 7iape£Xxojsv, èxaxpétjjas xobs
^Hexépous ìnnéxs xaviòs ttaxù>s .... Nella prima edizione della « Pa
ce », anch'essa del 421, non ci sono allusioni ad Eupoli, e nelle
« Vespe » di un anno prima, l'allusione sottolineata dallo sco
liasta al v. 1025 sembra una fantasia dello scoliasta, è molto vaga,
e, comunque, non riguarda affatto la quistione del plagio. Essa
ha lo stesso valore dell' altra di Pace 762, dove, sempre secondo
lo scoliasta, sarebbe motteggiato Eupoli pel suo amore dei ra
gazzi. Se dunque vogliamo mantenerci sul terreno solido, do
vremo dire che se Cratino avesse accusato Aristofane di plagio
nel 423, Aristofane si sarebbe difeso dall'accusa apertamente e
sùbito, come fece nella nuova parabasi delle « Nuvole » che fu
pubblicata dopo il « Mancante » di Eupoli. Ciò vuol dire che la
lite tra i due commediografi scoppiò qualche anno dopo la rap
presentazione dei « Cavalieri », molto probabilmente quando Eu
poli fece rappresentare i suoi Bì7ixoci : cfr. frm. 78 xixs£vous xoùs
'l7X7cèas Ouvsnotujax xati (fncAxxpùn xotram xàStoprjaà|irjv. Di che tempo
sono i Bi7ixai? Non saprei dirlo, ma non posso accettare la cro
nologia del Geissler a pag. 52, e neppure quel che lui dice a
pag. 37 di Aristofane accusato da Cratino come imitatore di
Eupoli. È certo però che il « Mancante » di Eupoli è del 421,
e che questa data è il solo punto di riferimento cho abbiamo
sulla quistione.
48 CAPITOLO SECONDO

avvalorare il sospetto soccorre lo scoliasta Platon Bekk


p. 330: 'Apiaxocpàvrjs . . . èx(0^(i>iSeIxo ini xóx axumxeiv [lèv
Eòpi7t£5rjv, {uuetatì-ai 8' aòxóv, che, sùbito dopo aver detto
questo, di Aristofane messo in commedia come imita
tore di Euripide, introduce, senza citare il titolo del
dramma, un frammento di Cratino in tetrametri ana-
pestici :

x{s 8è au; xo(jttpós xis Ipoixo


ó7xoXs7tXoXóyos, YVW(uSubxxrjs, eòpi7uSapiaxocpaviXwv.

< e tu chi sei ? potrebbe domandare uno spettatore di


spirito. Tu sei un raccattabriciole, un cacciasentenze,
un Aristofane che fa l' Euripide » (').
Il frammento è molto importante, ma era rimasto
pressochè trascurato e dimenticato nei fragmenta fa-
bulae incertae delle edizioni del Meineke e del Kock.
Pensate : Aristofane, che in tutte le commedie si era
divertito a dar la baia ad Euripide, fu accusato di
imitare per l'appunto Euripide, e l'accusò Cratino, lo
sconcertante Cratino che le azzeccava tutte, ed azzec
cò anche questa, giacchè non si può negare che, col
pretesto di farne la parodia, Aristofane saccheggiava
le opere di Euripide (!).

(') È il frammento 307, da qualche critico, e anche dal Bergk


nelle Commentationes de rell., già attribuito alla « Bottiglia »,
senza per altro giustificarne l' attribuzione e senza nessun com
mento.
(2) Aristofane non si sentì offeso da quest' accusa. Egli stesso
nelle « Donne sulla scena » dice di sè e di Euripide: xptòiixi yàp
aùxoù xoù axó|ixxos xoh Qxpo-fyòXmi, xoÌ)£ voùs 6'àY<:paious rjxxov ìj 'xeìvos
rancò, confessando, si, d'imitare Euripide e di servirsi delle sue
parole (cfr. (bs xi EùpimSoi Xéyovxa), senza però rendere gli Ate
niesi « piazzaioli », come li rendeva Euripide. Di che tempo sono
le « Donne sulla scena » ? Non saprei dirlo, poichè la menzione
del tragediografo Callippide, che si legge in un frammento, è
un elemento vago, essendo Callippide fiorito dal 427 alla fine
AUDAX CRATINUS 49

Il frammento ha un alro indiscutibile merito, quello


di far luce sul problema della «Bottiglia», e di auto
rizzarci a correggere l'ws xà EÙ7tóXiSos Xéyovca, riferito
ad Aristofane dallo scoliasta al verso 531 della para-
basi dei «Cavalieri», in &c, xà EòptaiSos Xéyovxa, per il
facile e naturale scambio dei due nomi di Eupoli e di
Euripide. E infine ci autorizza anche, appunto perchè
in tetrametri anapestici, a congiungerlo con l'altro fa
moso frammento in tetrametri anapestici citato nella
quarantanovesima orazione di Elio Aristide. All'inizio
del dramma, èv dpx'*)i xou Spaiaxos, un personaggio o
più personaggi, anzi, come dimostreremo sùbito, il coro
degli amici di Cratino, aggredivano quel commediografo
che aveva dato di cianciatore ed ubriacone a Cratino
e lo aveva motteggiato come un vecchio ormai inca
pace di scrivere commedie degne di successo.
Il coro compariva per primo sulla scena, invitava
gli spettatori a stare attenti e svegli, aggrediva Ari
stofane e poi s'imbatteva nella moglie di Cratino:
« Qui si conviene che gli spettatori sieno bene attenti
e svegli e scaccino dalle palpebre il cicaleccio dei
poeti che durano un giorno .... E tu (ad Aristofane)
chi sei ? potrebbe domandare uno spettatore di spirito.
Tu sei un raccattabriciole, un cacciasentenze, un Ari
stofane che fa l'Euripide Cosi cominciava la
« Bottiglia » di Cratino, e la nostra ricostruzione ci
sembra cosi circostanziata e precisa e documentata,
che non esito a dichiararla sicura. E in ogni modo
certo che i termini della quistione restano ben fermi
e incontrovertibili.

del secolo. Niente vieta di credere che le « Donne sulla scena »


sieno piuttosto vicine alla « Bottiglia » di Cratino : in ogni modo,
che sieno commedia di donne non è ragione sufficiente per cre
derle col Geissler dello stesso tempo delle « Ecclesiazuse » e delle
« Thesmoforiazuse ».
50 CAPITOLO SECONDO

Di conseguenza, possiamo anche stabilire con asso


luta certezza che i frammenti della «Bottiglia» 181,
183, 187, citati il primo dallo scoliasta al 399 dei
« Cavalieri » di Aristofane, il secondo e il terzo da
Ateneo, trovavano posto nella prima parte del dramma.
Lo scoliasta dei « Cavalieri » avverte espressamente
che la moglie di Cratino, madonna Commedia, la quale
corre a produrre accusa di adulterio contro il marito,
s' imbatte per caso in un gruppo di amici di Cratino,
e costoro la pregano di soprassedere all'accusa per
permettere al poeta di giustificarsi; ylXouc, 8è 7tspixuxóv-
xocs toù Kpax£vou Seiacea urjSèv npom-zic, 7iepi7toifjaai xal
xi)s iy^pxc, àvspwcàv xVjv aEx£av. Dunque, gli amici di
Cratino s'imbattono per caso nella moglie del poeta, e
però c' é da immaginare che la scena fosse congegnata
in modo che dalla casa del poeta uscisse la sua donna
e gli amici si trovassero in piazza (*). Sconvolta, alle
domande del coro la donna risponde che « corre in
tribunale a presentar l'accusa», chè ormai Cratino
non è più suo marito, non è più quello di prima (framra.
181-182): «ora se vede un vinello di Mende fresco e
frizzante gli corre dietro, gli fa la corte, gli dice: oh!
come sei delicato e chiaro....» (frm. 183); e giura
di rompere tutti i boccali che sono in casa. « Ma di' »
le domanda il coro, « come si potrebbe fargli smettere
di bere, di bere molto ?» E la buona donna risponde :
« Lo so io come. Manderò in frantumi tutti i boccali,
brucerò e ridurrò in cenere tutti i caratelli e gli altri
recipienti, e cosi non gli rimarrà più nemmeno un bic
chierino .... » (frm. 187).
*
* *

Queste suppergiù le prime battute della commedia


che Cratino rappresentò nel 423. Fu il canto del cigno,

(f) Per la quistione su questo scholio, che riassume il conte


nuto del dramma cratineo, rinvio alla nota 2 di pag. 43.
AUDAX CRATINUS 51

poichè il vecchio poeta si ritirò davvero dal teatro


dopo ottenuto quel grandioso successo, e qualche anno
più tardi si ritirò anche dalla vita ('). Aristofane non
dimenticò il grande rivale, ma con graziosa immagine,
che ricorda da vicino il frm. 187 della € Bottiglia», lo
fa, nella «Pace», morir di crepacuore alla vista d'un
caratello di vino sfondato dagli Spartani che invade
vano l'Attica, e nelle « Rane » lo chiama con l'appel
lativo di Dioniso xaupocpàyos, per significare che negli
agoni poetici riusci sempre vittorioso.
Se noi possedessimo la sua «Bottiglia», leggeremmo
la sua difesa, ossia la difesa della sua commedia con-
-i i
tro la nuova commedia di Aristofane e dei giovani.
Egli, fra l'altro, avrà detto che le ragioni del suo si
lenzio erano soprattutto di protesta contro un pubblico
che applaudiva i poeti nuovi : la sua bottiglia coperta
di ragnatele, « oh ! la tua pancia com'è piena di fulig
gine (frm. 199) », voleva dir questo, che Cratino non
versava vino nuovo negli otri vecchi, ma piuttosto si
rassegnava al silenzio. Egli rimaneva sempre l'audace
Cratino, che «a testa nuda», yu|ivfji xscpaXfji, come dice
argutamente Platonio, combatteva le sue battaglie poli
tiche e letterarie.

(') La < Bottiglia » fu l'ultima commedia di Cratino. Luciano


in Macrob. 25, dopo aver detto che Cratino visse novantasette
anni, aggiunge /tal npòt -c&i xsXsi xoù piou 8i8à£a£ xìjv nuxivrjv xal
vixy/aas |isx'où noXb èxsXeÙxa. Le altre notizie confermano quel che
Luciano afferma.
A
CAPITOLO TERZO

IL CORO COMICO
La notizia di Elio Aristide, che una commedia di
datino cominciava con tetrametri anapestici; l'assoluta
certezza che quei tetrametri appartengono all'inizio della
« Bottiglia », èv àpxfji xoù Spà^axos, e sono versi del coro
composto dagli amici di Cratino; la possibilità di av
valorare anche meglio, con altri documenti, la nostra
dimostrazione, invitano a riprendere, e forse a defini
tivamente risolvere, una quistione, che, brillantemente
sollevata nel 1895 da Giorgio Kaibel, fu poi lasciata
Ii e dimenticata ('). Il Kaibel pose il problema a pro
posito degli « Ulissi » di Cratino; noi crediamo, invece,
di potere allargare i termini di esso, abbracciando
tutto intero il problema della parodos e della parabasi.
La «Bottiglia», commedia del 423, cominciava
coll' entrata del coro sulla scena. Ecco il punto, e
ognun vede come sia interessante ricercare se questa
tecnica di composizione fosse seguita da Cratino anche
in altre commedie. La « Bottiglia » è l' ultima commedia
da lui composta; per assurdo, dobbiamo supporre che
nelle precedenti commedie Cratino facesse altrettanto,

(*) L'articolo del Kaibel è comparso in Hermes, voi. 80


(1895) pag. 82 sgg. Cfr. quel che diremo in questo stesso capitolo
a pag. 80 sgg.
.56 CAPITOLO TERZO

cioè si mostrasse ligio ad una tecnica molto vicina


alle origini del dramma comico. I dati di fatto ci danno
ragione.
Naturalmente, possiamo servirci soltanto di quelle
poche citazioni che antichi scrittori di metrica, o
grammatici, ci offrono per caso, ma, sebbene esse
sieno poche, sembrano tuttavia luminosamente com
mentate dall'analisi che avremo occasione di fare delle
prime scene dei «Plutoi», conservate e ritrovate nel
papiro della tomba di AH Glammàn in Ossirinco.

*
* *

Esichio citando il frammento 18 dei « Bifolchi » di


Gratino, avverte che la commedia cominciava con un
ditirambo: Kpaxtvos ànò 8i{k>pà(ipou èv BouxóXois àp^à[ievos,
Imtàl) yopòv oòx. IXaj3e 7tapà xoù &.pypvxoc, « Versava
fuoco sul fuoco », 7tùp 7tupl £yxei(° anche nupl nùp ènèyyei),
erano le prime battute del ditirambo, le sole che Esichio
citi; ma, intanto, noi possiamo concludere che il diti
rambo era pronunziato dal coro per protestare contro
l'arconte che l'anno precedente aveva negato al poeta
la rappresentazione di una sua commedia. Nel fram
mento 15, citato da Ateneo, un personaggio aggredisce
in trimetri giambici quello stesso arconte, « il quale
non concesse neppure a Sofocle il coro tragico, ma si
lo concesse a Griiesippo, figlio di Cleomaco, che io
non vorrei come regista neppure alle feste in onore
di Adone » .
Ho detto che questo frammento 15 sarebbe pronun
ciato da un personaggio, ma posso precisare che si
tratta invece del corifeo, giacchè egli definisce cosi
l'arconte: 8v o5x àv i^fouv lyò> i\iol SiSdcaxeiv oòS' 5v eE<;
'A8a>via, e per l' èp-oi SiSàaxeiv non permette di inter
pretare diversamente da come noi interpretiamo.
Dunque, anche il frammento 15 appartiene all' inizio
IL CORO COMICO 57

(iella commedia, che si apriva con un ditirambo pro


nunziato dal coro e proseguiva con un dialogo tra il
corifeo e un Ateniese. I tre trimetri giambici sono, a
parer mio, il commento del corifeo al ditirambo, spie
gano chiaramente chi sia mai quell'arconte che il coro
ha cosi aspramente aggredito.
Non c'è dubbio, anche i «Bifolchi » cominciavano
con versi lirici pronunziati dal coro. Con versi aristo-
fanii (') cominciavano gli « Ulissi », e sono versi citati
espressamente da Efestione nel manualetto metrico, col-
l' avvertenza che Cratino li ha scritti all'inizio del
dramma, eJs xoòs 'OSuaaéas eJajJàXXiuv (framm. 138-139):

x£ves aù 7tóvxov %axiyoud' a&pai ; vécpos oùpàviov xóS' ópw(iai,


(bs àv ^àXXov xots 7trjSaX£ois Vj vaùs ^^fiiv 7tei&apxfji.

c Che venti mai soffiano sul mare? Vedo in cielo un


addensarsi di nubi, sicchè la nostra nave, più che alle
vele, è bene ubbidisca ai remi ». Augusto Meineke
credeva che questi versi appartenessero al prologo e
fossero pronunziati da Ulisse; Giorgio Kaibel ha invece
dimostrato che sono versi cantati dai compagni di Ulisse,
i quali approdano con la loro nave all' isola dei Ciclopi.
Avremo occasione di ritornare ancora sugli « Ulissi »
nell' ultima parte di questo capitolo, ma, intanto, pos
siamo affermare tranquillamente che anche gli « Ulissi »
si aprivano coll' entrata del coro sulla scena, come la
« Bottiglia » e i « Bifolchi » .

(*) Cioè tetrametri anapestici, chiamati aristofanii perchè ado


perati frequentemente da Aristofane. Ma se ne servì anche Cra
tino, e prima di Cratino, come avverte Efestione nel manualetto
metrico, lo stesso Epicarmo, che scrisse due intere commedie in
questo metro : xal n?b KpaxJvou (xò xexpec|isxpov) nxp' 'Enix^Pt1'oi, 'ài
xai SXa 8'jo 8pa|j,axx xouxtoi xffii |léxptoi yé^pacps xoùs xe Xopsùovxaf nal
XÓV 'E7ClV£5ilOV.
58 CAPITOLO TERZO

Anche gli « Ulissi », giacchè anche gli « Ulissi » di


Cratino avevano parodos e parabasi e gli altri elementi
corali. I filologi hanno interpretato male il passo di
Platonio de divers com. 15 : xoioùxos o&v èaxiv 6 xfjs (léarjs
xw[iwiS£as rónoc,, o!ós èaxiv ó AJoXoa£xwv 'Apiaxocpàvous xai
ol OSuaaeis Kpax£vou xal 7tXetaxa xwv 7taXa.tbv Spa(iàxwv
oùxe xoP^à ouxe 7tapapàaeis ixovxa, dov'è chiaro che Pla
tonio, il quale più innanzi definisce gli « Ulissi » come
« privi di allusioni ad personam e parodia dell' Odissea »
non dice affatto che quella commedia mancasse di coro('),
ma dice solo che pel suo contenuto, insieme con l'«Eo-
losicone » di Aristofane (poco prima definita « priva
di xoPiot* rt^rj) e con altre commedie antiche mancanti
di parti corali, essa defini il tipo della cosiddetta com
media di mezzo. Era commedia-parodia, non già com
media politica, ma la tecnica della composizione non
era diversa dalla consueta tecnica cratinea. Perciò è
probabile che Cratino la facesse rappresentare quand'era
in vigore il decreto di Morichide, dal 439 al 437, desi
derando allora di non compromettersi e di non com
promettere l'avvenire del suo teatro.

*
* *

Il problema del coro nella commedia di datino si


chiarisce sempre meglio. Gli « Ulissi » sono del 439-437,
la « Bottiglia » è del 423, i « Bifolchi » non sono po
steriori al 430: in quindici anni, Cratino non ha cam
biato tecnica, poichè le sue commedie si aprivano

(l) Anche Geissleh a pag. 20 della Chronologie ecc., scrive


in nota: « was Platonios tlber das Fehlen von Parabase und
Chorgesftngen sagt, ist unzutreffend . . . . ». Platonio non ha mai
detto questo. Egli era, come vedremo fra poco, un attento cono
scitore della commedia di Cratino e noi non dobbiamo attri
buirgli errori che non ha commesso.
IL CORO COMICO 59

sempre col coro. Possiamo, difatti, congetturare che


anche i « Chironi » si aprissero col coro, e supporre
che i frammenti 233 e 232 in tetrametri anapestici fa
cessero parte della parodos. Mancano i primi versi, e
tra il 233 e il 232 qualche altro verso è andato per
duto, ma non siamo molto lontani dal vero se conget
turiamo che la parodos dei « Chironi » fosse molto si
mile a quella dei « Plutoi », cosi:

xocì 7tpwxov (ièv mxpà. vauxoSixwv à7tayo xp£a xvióSaX' àvaiSfj.

àye St?) npòc, Sto 7tpwxov à7tàvxwv laxw xal Àau-jiavs /epaiv
aylvov (ieyàXrjv

immaginando che, presentatisi al pubblico, i Chironi


cominciassero a criticare aspramente la condizione
politica di Atene, e designassero a capri espiatorii,
come prime vittime da sacrificare per la pacificazione
della città, tre compari di Pericle, e uno di quelli
acconciassero a pharmakòs ponendogli in mano una
frusta
Dunque, si può, si deve senz' altro parlare di una
parodos-prologo delle commedie di datino. Non è più
un'ipotesi la nostra, è un dato di fatto, poichè il pa
piro dei « Plutoi » ritrovato in Ossirinco nel kóm di
Ali Gammàn costituisce in proposito un vero e proprio
documento.
« I nostri frammenti », scriveva Girolamo Vitelli,
« in ritmo anapestico contengono la presentazione del
coro dei Titani : erano dunque parte della parodos, un
dialogo fra il corifeo e un personaggio ignoto, Ateniese
senza dubbio. E che sieno sistemi anapestici, e non

(*) a^tvov |léfocXrjv, un grosso ramo di lentischio. Sulla ceri


monia della purificazione e sul sacrifizio del pharmakòs, cfr. i
frammenti di Ipponatte. Cfr. pag. 31.
00 CAPITOLO TERZO

per esempio tetrametri, risulta dalla distribuzione dei


kola nel papiro, dove compaiono monometri isolati e
dimetri completi o paremiaci » (').
È chiaro che Vitelli insiste sul fatto che si tratta
di anapesti e di parodos, e non già di parabasi, giacchè
non solo afferma giustamente che il frammento da lui
pubblicato è una vera parodos, ma soggiunge che i
sistemi an apestici non sono certo tetrametri, i quali,
secondo lui (e qui forse sbagliava), indurrebbero a
pensare piuttosto alla parabasi. Ma più interessante è
quel che Vitelli, con fine intuito, afferma sùbito dopo,
senza dare eccessiva importanza alle proprie parole,
quando scrive che i frammenti sono parte della pa
rodos in sistemi anapestici, o meglio, « in appendice
alla parodos », un dialogo tra il corifeo e un altro per
sonaggio. Ha detto tutto con molta prudenza e ha colto
nel segno, ha detto che la vera e propria parodos pre
cedeva ed è andata perduta; noi, invece, con minor
prudenza, e tuttavia con assoluta certezza, possiamo
affermare che la parodos era composta di tetrametri
anapestici e non già di sistemi anapestici, che cioè
essa era composta di tetrametri anapestici, come se
fosse una parabasi.

*
* *

Cosi doveva essere. C'è, anzitutto, il caso della


«Bottiglia» pel frammento che ne cita Elio Aristide,
e poi c' è il fatto che il frammento del dialogo tra il
corifeo e l'Ateniese nei « Plutoi » è in sistemi anape
stici. I quali, se sono appendice della vera parodos,
fanno supporre logicamente che anche questa fosse in
ritmo anapestico.

(') Cosi scriveva Vitelli a pag. 107 dell' undicesimo volume


dei Papiri della Società italiana.
IL CORO COMICO 01

E finalmente c'è la prova provata di un frammento


dei « Plutoi » citato da Ateneo nel sesto libro dei
« Sofisti a banchetto». Chi negherà che il frammento
165, in tetrametri anapestici, appartenga alla parodos?

ole 8Vj PaaiXeùs Kpóvos -fjv xò racAawv,


8xe xots àpxocs ^axpayàXi£ov, ^à£ai 8' èv xaìs roxXa£axpais
Afyivatai xaxe^é{3Xrjvxo 8pu7te7tet:s, ^wXois xe ow^6>aai.

Ateneo cita il frammento per dire che Cratino superò


tutti gli altri commediografi nella descrizione dell'età
dell' oro, quando non avevano bisogno di schiavi « gli
uomini che in antico ebbero a loro re il dio Crono, e
giuocavano a dadi con le focaccie, e nelle palestre i
pani di Egina cadevano giù dagli alberi (') ». Il coro
dei benefici Titani 7tXouxoSóxai, entrando in iscena, can
tava in tetrametri anapestici la felicità degli antichi
che vissero nell'età dell'oro, tutti eguali e tutti liberi,
senza più schiavi nè padroni, privi d'ogni preoccupa
zione. Sùbito, all'inizio della commedia, gli spettatori
capivano che volesse dire Cratino contrapponendo l' età
di Crono a quella di Zeus, la politica dei tempi di
Milziade e Cimone a quella di Pericle.
Il coro compariva sulla scena e cantava nella pa
rodos le lodi dell'età dell'oro senza però rivelare il
proprio nome. Erano Titani, ma nessuno sapeva di più
fino al momento in cui, dalla parte opposta per la
quale era entrato il coro, compariva un attore, un
Ateniese di cui non conosciamo il nome, e quindi tra
tra lui e il coro si apriva un lungo dialogo in sistemi

(*) "Non ho tradotto il jkóXois xs xo(ifijaac, che nell'interpre


tazione del Meineke sarebbero « panes massulis rotundatis di-
stinctae et quasi superbientes ». Dubito però che [ItóXois non sia
corruzione di tfoXoli come propose Toupe (il <pùXXoi£ del Kock
è certamente falso), sebbene in Hesych. si legga faXla- (ìaiX£s,
|i<x£r;s siSds xi sv xaì£ O-twiaiJ.
82 CAPITOLO TERZO

anapestici, l'appendice alla parodos, come l'ha de


finito il Vitelli. Il coro cominciava a chiedere notizie
di Atene, e l'Ateniese spiegava che i suoi concittadini
erano xaxovóoi « ostili » alla commedia di Cratino. « Fa
remo il possibile», ribattevano i coreuti, «per rasse
gnarci alle circostanze, decisi a vincere il premio, seb
bene temiamo che i giudici dell'agone non ci sieno
benevoli perché amareggiati dagli avvenimenti » ('),
e poi, riferendosi al canto della parodos, aggiungevano
pel pubblico : « Perchè mai abbiamo parlato cosi, è
ora che lo sappiate. Noi siamo Titani ». E continua
vano, sempre in sistemi anapestici, a parlare della loro
origine e sorte, come abbiamo già detto a pag. 28,
per concludere sullo scopo della loro venuta in Atene,
che consisteva nel ritrovare un loro antico parente,
vivo o morto che fosse, e nell' investigare sulla gente
arricchitasi disonestamente.
A questo punto s'interrompe il frammento del pa
piro di Ossirinco pubblicato dal Vitelli ; ma prima di
esporre il contenuto dell'altro frammento dello stesso
papiro del secondo secolo dopo Cristo, pubblicato da
Paul Mazon, credo sia opportuno richiamare l'attenzione
dei lettori sul verso 9-10 : &v 8' ouvex' ècp^aa^ev [ouxws],

(') Dei versi 4-6 abbiamo già parlato a pag. 32. Ma credo
utile aggiungere che 1' [àXXà 9o[5o0|is9,a] |irj guvxUx'aiai [ìapuvó|ievoi era
ricordato in parte dai codici di Prisciano (frm. 166), con la forma
guvxu-xiai, restituita in Simu^£aiai già dal Bunkel, per conngettura.
Sul significato di £i>vtjx& (singolare o plurale poco importa), ag
giungerò che nel verso 1006 delle « Rane » di Aristofane, Eschilo
invitato dal coro a rispondere alle accuse di Euripide, ha dap
prima ritegno, sdegnando di discutere col suo rivale, e questo
suo disagio manifesta dicendo: O-u|ioù|iai |ièv xrji guvxUxiai, xa£ |iot>
xà a7iXàyxv' àyavax-eì Anche qui, corno ho già avvertito, gli
avvenimenti interessano direttamente il poeta e il coro, e non
sono avvenimenti politici di largo interesse, ma circostanze che
riguardano il teatro e i cori comici. Cfr. anche pag. 28.
IL CORO COMICO 63

7teuaeafr' rJSrj « è tempo che voi sappiate perchè mai


noi abbiamo parlato cosi ». Parole che si riferiscono
alla parodos, cioè alle lodi dell'età dell'oro e di Crono,
tanto è vero che sùbito dopo, i Plutoi rivelano la loro
origine, il loro nome, la loro devota fedeltà a Crono
e aperta inimicizia contro Zeus, che, istituita la demo
crazia sull'Olimpo, li costrinse a fuggire. E perciò con
fermato che questi dimetri anapestici erano preceduti
da versi, dei quali si conservano solo quelli del fram
mento 165, e che costituivano la vera e propria parodos.

*
* *

Il frammento dei « Plutoi » edito dal Mazon (') è


in sistemi giambico-trocaici e tetrametri trocaici. Non
è più la parodos, ma è un agon, è un contrasto tra il
coro dei Titani e un personaggio ignoto. Quasi certa
mente questo personaggio è un attore nuovo, e non
più l'Atenese che nella parodos interloquisce col coro
e risponde alle sue domande. E non è escluso che sia
il « parente e consanguineo » che il coro è venuto a
cercare in Atene. Nessuno meglio di lui, poniamo sia
Prometeo, come desidera (ardentemente) Giorgio Pa
squali, nessuno meglio di Prometeo, che abitava in
Atene da tanti anni, poteva avere raccolto tutti i pe-
tegolezzi della vita pubblica e privata degli Ateniesi (*).
Ma il contrasto sarà stato tra il coro e un perso
naggio, ovvero tra due attori alla presenza del coro (3).

(') In Mélanges Bidez, 603 sgg.


(2) "Veramente G. Pasquali (apud Vitelli) afferma solo che
il « parente • del coro dei Titani dev' essere appunto Prometeo,
ma non sospetta ch'egli comparisse davvero nella commedia e
discorresse col coro.
(») JJella serie dei quattordici trimetri si leggono anche le
ultime parole del frammento 161 citato da Ateneo VII 303 d, cioè
ìyà> fdip e!|U O-uvvls fj tu£Xa]ivd aoill xaì O-óvvo£, òpcptos, y^aùxos], 'éyye\u$,
64 CAPITOLO TERZO

Mi sembra poco verisimile la seconda ipotesi, ma se


cosi fosse, dovremmo congetturare che i due attori fos
sero l'Ateniese e . . . . Prometeo, un difensore e un ac
cusatore, mentre nelle commedie di Cratino, ancor più
che in quelle di Aristofane, in scene simili il coro non
si rassegnava alla parte di spettatore e incitatore della
contesa, ma era esso stesso uno dei contendenti. Co
munque, il contrasto è preceduto da una serie di tri
metri giambici d'impossibile lettura per le condizioni
del papiro, dove a mala pena si riesce a ricostruire
la clausola d' un verso, 7tXouxoùa]iv àS£xcos èvftàSe. Se
guono i dimetri trocaici catalettici e i dimetri giambici
catalettici :

àXX' è(lòv yàp iu7t[aXiv]


, [lépos Aóyou- [Xoyiau.6n]
xoùSs au^7tXex[a>v Xóyouc,],
eyeipe, -9-upi, yXwfxxav]
xépaatov òp&ou|jivrjv
elc, 5;tóxpiai,v Xóywv.

« Ma ora, al contrario, spetta a me di parlare. Oppo


nendo al ragionamento di costui le tue argomentazioni,
animo mio, eccita la lingua cornuta e diritta alle ri
sposte » ('). Seguono i tetrametri trocaici che sono
appunto la risposta del coro o del secondo personaggio
del contrasto, ma per quel che abbiamo detto, riferen
doci alle tracce del papiro, dovremo concludere che
prima, nei trimetri giambici perduti o giunti in condi
zioni miserevoli, aveva parlato il difensore dell' onestà
degli Ateniesi.

xiitov. Secondo me, chi pronunzia questi versi si proclama abile


interlocutore di un dialogo, perchè crede di sfuggire alla dia
lettica dell' avversario, come il tonno, come l' orfo, come l' an
guilla ecc.
(l) Integro XoYia(lcòi e Xó^ous, e leggo auu7tXéxtov accordandolo
con &u|ié. Ma come intendere xépasxov se non — xspdaxrjv ?
IL CORO COMICO 65

Comincia il contrasto: Hagnon di Stiria è accusato


di essere un veo7tXoux07tóv>jpos ('), « pescecane diso
nesto » . Chi lo difende afferma ch'egli è un àpyatA-
7tXouxos (2), è un ricco figlio di ricchi, ma chi lo accusa
ricorda che Nicia, padre di Hagnon, faceva il facchino
a mercede in casa di Peithias, e che non lasciò niente
a suo figlio. Noi abbiamo già detto che Hagnon del
demos Stiria, era un uomo politico che rimase fedele
a Pericle fino al 340, e s' era già distinto nel 439 du
rante la rivolta di Samo e si affermò più tardi, nel 437,
come colonizzatore di Anfipoli. Importante per la da
tazione della commedia, il passo che riguarda Hagnon
è anche interessante come esempio della satira cratinea,
una vera e propria requisitoria, documentata e circo
stanziata, contro gli amici e i devoti compagni di
Pericle. Cracino aveva ragione di temere che i giudici
gli rifiutassero il premio ; in questa commedia, se non
aggrediva più personalmente Pericle, attaccava però
crudamente e violentemente il suo partito e gli uomini
politici più in vista.
Fino a questo punto è possibile seguire l' azione
dei « Plutoi » : parodos, appendice alla parodos, tri-

(') Il Koerte, in Archiv ftir Papyrusforschung, voi. XI


pag. 361, ricorda opportunamente che anche nella commedia inti
tolata « Gli abitanti di Serifo » Gratino aggrediva i vsonXouxO7itivrjpoi
di Atene, come risulta dal frm. 208: eira Scixas àcpixvet xal SiSovious
xal 'Eps|ipoii£, ès xs reóXiv SoóXcov, àvSpàiv vsottXooxotiov^ptov ala^pcòv,
'AvSpoxXétov, Acovuaoxoupcóva7v « poi giunse al paese dei Saci, quindi
presso i Sidonii e gli Erembi e finalmente alla città dei pescecani
« degli svergognati, presso gli uomini simili ad Androcle, dai
barbieri che si chiamano Dionigi (?) » [cfr. pag. Ili: è il coro
che narra il viaggio di Perseo].
(2) àpxaió7tàoinoc è parola che si legge già nell' « Agamennone »
di Eschilo e nell' « Elettra » di Sofocle, e che fu adoperata spesso
anche da Aristofane, che usa per primo (rispetto ad Aristotele)
vsórcXouxos nelle « Vespe », formandolo sul veonXouxo7tóvrjpof di
Cretino, molto più efficace ed espressivo.
66 CAPITOLO TERZO

metri giambici, contrasto in sistemi giambico-trocaici


e in tetrametri trocaici. La parodos era in tetrametri
anapestici, l' appendice alla parodos era in sistemi
anapestici. Si delinea abbastanza chiaramente anche
la composizione metrica della commedia cratinea, o
meglio della prima parte della commedia. Ma com'era
composta, in che metro era la parabasi ?

*
* *

Nel papiro di Ossirinco non ci sono tracce della


parabasi; ne sono però rimaste in una citazione che
si legge nel quarto libro dei « Sofisti a banchetto » di
Ateneo, cioè nei quattro tetrametri trocaici del fram
mento 164. Essi confermano quel che logicamente
avremmo dovuto supporre, che cioè la parabasi dei
« Plutoi » era in tetrametri trocaici. Dopo il contrasto
in metro trocaico, per un'evidente coerenza musicale,
la parabasi, che separava la prima dalla seconda parte
del dramma, non poteva essere composta altrimenti
che in metro trocaico. Ecco, dunque, il frammento della
parabasi :
àp' àXrj&c&s xols £évoiaiv Icmv, 6ìq Xéyoua', Ixeì
7tàai xots èXfroùaiv èv xfji xo7tfói, -S-oivaa&ai xaXwc;;
Iv Sè xaTs Xéa)(aiai cpóaxai 7tpoa7teTCaxxaXeu^éva[,
xaxaxpé|iavxai xotai 7tpeajì'jxai.aiv à7xoSàxveiv èSà^;
« Ebbene è proprio vero quel che si dice, che a Sparta
in occasione della famosa cena sacrificale è imbandito
un succolento banchetto a tutti gli stranieri che vi
capitano? E che nelle osterie sono appese ai chiodi
salsicce morbide e grosse cosi, delizia che anche i
vecchi possono azzannare? ».
Parla il coro dei Titani benefici, e si rivolge al
pubblico chiedendo se davvero in Atene e Sparta, ora
che infierisce la guerra, vivano come si viveva un tempo;
IL CORO COMICO 67

se, per esempio, a Sparta sia sempre in vigore la co


stumanza del pranzo offerto, a spese pubbliche, in onore
degli stranieri; se nelle osterie ci sieno ancora, come
una volta, le salcicce. La risposta era facile, ma dolo
rosa: non c'era più l'abbondanza degli anni di pace,
ma dominava la miseria crudele e desolante. Questo
diceva il coro, lo stesso coro che era entrato in
iscena cantando e celebrando le lodi dell'età dell'oro,
quando regnava Crono, unico signore, giusto e generoso,
degli dèi e degli uomini, e non c'erano ancora in cielo
Zeus e la democrazia degli dèi, uè in terra Pericle e
il suo partito. Chi può negare che i « Plutoi . fossero
composti armonicamente, e che la tecnica della com
posizione delle commedie di Gratino fosse veramente
semplice e lineare sotto tutti gli aspetti, dico e per la
metrica e per la disposizione delle parti e l' intima
coerenza di esse parti fra loro ? Questo grande com
mediografo meriterebbe davvero che ritornasse a noi
dalle sabbie del deserto egizio, almeno con una sola
commedia intera.

*
* *

In una di quelle brevi ma succose notizie sulla


commedia greca che si leggono in Platonio, e che io
ho già ricordato nel primo capitolo di questo libro,
c' è un giudizio sull' arte di Cratino molto vivace e
intelligente, e, appunto per questo, degno di fede. Pla
tonio scrive: « Cratino era ingegnoso nell'impostazione
delle sue commedie e nella costituzione dei cori e della
scena, ma poi, nello svolgimento dell'azione, distem
perava l'argomento e componeva le diverse parti con
una certa ineguaglianza » .
Queste parole sembrano in completo disaccordo con
le nostre di poco prima, ma io stesso dichiaro sùbito
che ha ragione Platonio, se non per altro, per il fatto
68 CAPITOLO TERZO

ch' egli ebbe certamente la possibilità di leggere Gra


tino, almeno le sue principali commedie, mentre noi
lo ricostruiamo, più o meno faticosamente, su poche
notizie e frustuli racimolati presso gli antichi scrittori
e grammatici e lessicografi. Ma dico anche che nem
meno il nostro giudizio è falso, e aggiungo che esso è
confermato da quello di Platonio.
In greco, le parole di Platonio suonano: euaxoxos
Sè <5>v èv xats èmpoXats xwv Spauàxwv xal Siaaxeuats, e^xa
7tpotìbv xal Siaa7twv xàs Ò7tofréaeis oòx àxoXou&ws 7tXrjpot
xà 8pàp,axa, e, come appare anche dall'italiano della
mia traduzione, distinguono nettamente tra l'imposta
zione del dramma, la costituzione del coro e della
scena, e l'argomento e lo svolgimento dell'azione. In
altri termini, di un' opera drammatica moderna noi
possiamo dire, e diciamo, quando sia necessario, ch' essa
è impostata bene, ma eseguita con una certa incoerenza
fra atto e atto; spesso, anzi, avviene che un atto sia
composto meglio o meno bene di un altro e che tuttavia
l' opera piaccia. Platonio non giudica diversamente
l' opera di Cratino nel suo complesso, dice con molta
semplicità, e forse con verità, che sebbene le com
medie di Cratino presentassero ineguaglianze di una
certa gravità, tuttavia esse erano sempre tali, per
l' ingegnosità dell' impostazione e della costituzione del
coro e dell'apparato scenico, da imporsi all'attenzione
e all'ammirazione del pubblico e dei lettori. Dal canto
nostro, poichè abbiamo giudicato come armonicamente
composta la prima parte dei « Plutei » fino alla para-
basi, le sole scene che ci sia stato possibile ricostruire,
non abbiamo fatto nè detto nulla in contraddizione
col giudizio di Platonio. Non sappiamo come continuas
sero i « Plutei » dopo la parabasi, e se realmente Cra
tino anche in questa commedia distemperasse l'azione
e cadesse nel difetto rimproveratogli, ma se anche
fosse cosi, in nessun caso risulterebbero intaccate le
sue doti di grande commediografo. L'invenzione della
IL CORO COMICO 69

trama, il motivo centrale dell'azione, il movimento


del coro, questa massa di coreuti che prendevano parte
all'azione molto più che nelle commedie d Aristofane,
ecco i principali elementi e caratteristiche del dramma
comico di Cratino.
Soprattutto il movimento del coro, un movimento
regolare, ma non monotono, come abbiamo potuto no
tare nella prima parte dei « Plutoi », per quella rispon
denza e armonia tra la parodos e la parabasi, dico
fra il contenuto della parodos e quello della parabasi,
e per la sottile e abile disposizione metrica e realiz
zazione musicale delle parti.
L'autore anonimo di un trattatello sulla commedia
attribuisce a Cratino il merito di avere portato a tre
il numero degli attori, e, quel che più conta per noi,
gli fa anche la lode di avere messo ordine là dove prima
regnava il disordine (auax^aas xVjv àxa$£av), d'aver com
posto in armonia le parti confuse del dramma comico
Noi non sappiamo immaginare che mai potesse essere
la commedia prima di Cratino, che mai fossero i xoPoi
xojuxxoé, ma capiamo benissimo, dalla differenza di com
posizione che passa tra una commedia di Cratino e una
di Aristofane, che il dramma comico nel giro di pochi
anni subi un'evoluzione, determinata sopratutto dall'in
flusso della tragedia.
Quasi tutte, se non tutte, le commedie di Cratino
si aprivano con la parodos, come l'antica tragedia di
Eschilo di cui é rimasto un interessante esempio nelle
« Supplici » (2), come il dramma satiresco che più della

(*) S7tiYevó|aevos 8è 6 Kpaxtvos xaxsaxrjas |ièv 7tpòftov xà sv xrji xai|iwi-


Siai 7tpóauma |ié^pi xpcffiv, aw^aaG xrjv àxag£av ecc. ecc. Quanto ci sia
di vero nella notizia dei tre attori non sapremmo dire, ma non
è una notizia da scartare come falsa, senza neppur discuterne
l' attendibilità.
(2) E le « Supplici » non sono la prima tragedia di Eschilo,
ma probabilmente furono composte dopo i « Persiani ».
70 CAPITOLO TERZO

tragedia e della commedia è rimasto fedele alla tecnica


delle origini, forse con leggiere soprastrutture lette
rarie sul tipo del prologo dei « Ciclopi » di Euripide
Io credo anzi che molti commediografi contemporanei
di Cratino preferirono la tecnica della sua commedia
all' altra, alla quale Aristofane si mostrò incline fin
dall'inizio della sua attività. Per esempio, le « Capre »
di Eupoli, che sono una delle prime commedie di questo
poeta, databili fra il 429 e il 423, quando Cratino era
ancora vivo e attivo sul teatro, cominciavano, a parer
mio, con la parodos del coro (2). I cinque tetrametri
anapestici del frammento 14: ^oaxó^eo)'' uXrjc, ànò ttocvxo-
Sa7tfjs, èXàxrjs, npivou xo|iàpou xe nióp&ouq, àuxXoòq
à7toxpwYouaai «d'ogni selva bruchiamo il cibo,
divorando i teneri rami dell' abete del corbezzolo e
del leccio », sono versi del coro, ma non apparten
gono certo alla parabasi, si, invece, alla parodos, alla
parodos-prologo in cui le capre si presentavano al pub
blico, come i Titani benefici nei « Plutoi », e i grandi
Ateniesi del passato nei « Chironi » di Cratino. Ma-
crobio nei « Saturnali » cita il frammento con queste
parole : nostris est omnibus Eupolis Inter elegante*,
habendus veteris cornoediae poetas. Is in fabula quae
inscribitur Aeges, inducit capras de cibi sui copia in
haec se verba iactantes, e sembra quasi che citi le
prime parole della parodos, forse i primi versi della
commedia eupolidea.

(*) È significativo quel che dice a proposito del dramma sati


resco e del dimetro anapestico non soluzioni pirrichie, Mario
"Vittorino : hoc metro veteres satyricos choros modulabantur, quod
Graeci sìaóSiov ab ingressu chori satyrici appellabant metrumque
ipsum staóSiov dixerunt.
(2) La datazione delle « Capre » è stabilita approssimativa
mente dalla menzione di Hipponikos nel frm. 19, personaggio
che mori nel 424-423. Terminus post quem è certamente il 429,
poichè Eupoli cominciò a rappresentar commedie proprio in
quel!' anno.
IL CORO C0MIC.0 71

Comunque, anche in questo caso appare certo che


gii anapesti, e quel che più importa, tetrametri ana-
pestici, costituivano la parodos. Anapesti, àvà7taiaxoi,
sono generalmente parabasi, ma non sono sempre pa-
rabasi. In datino, nei « Plutoi », nella «Bottiglia», e
direi sicuramente anche nei « Chironi », la parodos era
composta di tetrametri anapestici, mentre la parabasi,
nel caso dei « Plutoi », era composta di tetrametri tro
caici. Un esempio di parodos anapestica è nelle « Nu
vole » di Aristofane, ed è il solo esempio che possiamo
citare a conforto della nostra ipotesi. Tetrametri ana
pestici recitati da Socrate e Strepsiade accompagnano
l' entrata del coro delle nuvole ('), il quale, dopo poco,
intona sistemi dattilici con chiusa anapestica, e poi,
nella prima parabasi, apre il suo canto con una bat
tuta anapestica per passare a tetrametri eupolidei, a
versi di ritmo eolico, e, finalmente, a tetrametri tro
caici che sostituiscono in tutto e per tutto i tradizio
nali anapesti. Vogliamo concluderne che nelle «Nuvole»
Aristofane ha riprodotto, premettendovi il prologo, la
tecnica della parodos e della parabasi della commedia
cratinea? Se non è nient' affatto il caso di insistere
sur una simiglianza apparente, e che d'altra parte non
sarebbe possibile dimostrare nei particolari, è certo,
in ogni modo, che il coro delle « Nuvole » entrava
sulla scena accompagnato da ritmo anapestico, anzi dal
ritmo dei tetrametri anapestici, e che nella parabasi,
invece dei soliti tetrametri anapestici, esso recitava
tetrametri trocaici. Insomma, non si può negare che
Aristofane, in questo caso, si discosta dalla norma da
lui preferita.

(l) 265-274 sono parole di Socrate e Strepsiade. Il vero e


proprio coro comincia con sistemi dattilici, 276-290, che, interrotti
dalla ripresa anapestica 291-298, si ripetono poi in 299-313. Fino
alla parabasi, anche le battute del coro e le parti liriche sono in
tetrametri e sistemi anapestici.
7-2 CAPITOLO TERZO

*
* *

Il coro delle commedie di Oatino entrava in iscena


o cantando versi lirici come nei «Bifolchi », o reci
tando tetrametri anapestici come nella « Bottiglia » (*).
Parodoi con elementi lirici, o assolutamente liriche,
sono anche in Aristofane, il quale ha scritto due sole
parodoi prive di elementi lirici, quelle dei « Cavalieri »
e della «Pace». La parodos delle «Rane» è quasi
interamente lirica; elementi lirici sono nella parodos
degli » Acarnesi » e delle altre commedie; nelle «Nu
vole », come abbiamo già detto, la parodos è recita
ti va-anapestica e lirica. Insomma, gli elementi musi
cali della parodos in Aristofane sono rimasti suppergiù
gli stessi che in Cratino, con questa fondamentale dif
ferenza però, che la parodos delle commedie di Cratino
era davvero Vj 7tpwxrj Xé^is, come avverte Aristotele
nella « Poetica » (2). Essa apriva il dramma, ed era
perciò parodos e prologo al tempo stesso, vivace e
personale nelle prime battute, informativa e dialogata
quando diventava prologo. Da una commedia come
questa, cosi costruita e organata, non era difficile pas
sare a un tipo di commedia molto più simile alla tra
gedia, e difatti non fu difficile concepire il prologo non

(') Jfaturalmente, non possiamo e non vogliamo dare a questa


nostra affermazione valore assoluto, poichè non conosciamo le
parodoi di tutte le commedie di Cratino, ma che fosse frequen
temente adoperato il tetrametro anapestico anche nelle parodoi
non può meravigliare, se si consideri che anche le parodoi della
tragedia erano spesso anapestiche.
(2) Poetica 1452 b : rj 7tptóxrj Xsgis SXrj xoPoa, cioè, « la prima Xs£i£
era tutta del coro ». Questo Aristotele dice della tragedia, ma con
viene benissimo anche alla commedia di Cratino e di quegli altri
commediografi che prima di lui seguirono la stessa tecnica, e di
quei pochi, a lui posteriori (se pur ce ne furono), che scrissero
alcune commedie secondo le norme della più antica tecnica.
IL CORO COMICO 73

più come un dialogo tra il coro e un attore, l' appen


dice alla parodos dei « Plutoi » di Cratino, ma come
un dialogo fra due attori.
Ma ne risultò, come logica conseguenza e necessità
di carattere tecnico, che la parodos fu preceduta dal
prologo, fosse questo un dialogo o un monologo. In altri
termini, se prima il coro entrava in iscena quand' essa
era vuota, più tardi v'entrò ch'essa era già occupata
da uno o più personaggi, i quali talvolta si tiravano
in disparte all'entrata del coro, come appunto fanno
Dioniso e Santia nelle «Rane», quando si avanza il
coro degli iniziati, e poi s'incontravano con esso.
Del resto, è cosi vero ed esatto quel che noi di
ciamo, che, se analizzassimo uno per uno tutti i pro
loghi delle commedie di Aristofane, troveremmo che
essi si riducono a pochi tipi di scene borghesi, e si
ripetono monotonamente. Gli « Arcanesi » si aprono
col monologo di Diceopoli, che aspetta in piazza l' arrivo
dei pritani; le «Nuvole» cominciano col monologo
mattutino di Strepsiade, assillato dalla preoccupazione
dei debiti ; gli « Uccelli » e le « Rane » con scene di
viaggio, due amici che si avviano verso un lontano
paese, padrone e servitore che si accingono ad una
difficile impresa. Le «Vespe», la «Pace», e i «Ca
valieri » si aprono col dialogo fra due schiavi, e in
maniera alquanto simile cominciano anche le « The-
smoforiazuse » e il « Pluto », mentre «le Donne a Parla
mento » e la « Lisistrata » si aprono col monologo di
una signora, sùbito continuato da un vivace dialogo
con altre donne.
Questa è maniera. E maniera sono anche taluni
espedienti e mezzucci, ai quali Aristofane ricorre spesso
per meglio chiarire il carattere di prologo di queste
prime scene. Per esempio, nei » Cavalieri » uno dei
due schiavi, a un certo punto, domanda se non sia il
caso di esporre agli spettatori l'argomento della com
74 CAPITOLO TERZO

media, e quindi l' espone : « dunque, incomincio. Ab


biamo un padrone ». Per esempio, nelle «Vespe»
uno dei soliti due schiavi dichiara di voler narrare
l'argomento: « ecco, ora spiegherò il soggetto della
commedia agli spettatori, dopo premesse poche parole
di preambolo. Abbiamo un padrone, ed è quel signore
là, che dorme sul tetto lassù ». Per esempio, ed è un
esempio anche più tipico, nella « Pace » uno dei due
servi di Trigeo, mentre l'altro si allontana, racconta
sollecito: «io, intanto, esporrò il soggetto della com
media ai ragazzini, ai giovinotti, agli uomini fatti, ai
pezzi grossi, a quelli specialmente che credono di fare
i sopracciò ».
E può bastare, giacchè i tre esempi mostrano la
preoccupazione di Aristofane per il Xóyos o \oyldiov
della commedia, l'argomento o « soggettuccio », che gli
spettatori lo conoscano. C è già la tecnica della tra
gedia, anche se in forma di parodia, come forse lo era
nel « Gerhytades » (') e nella seconda edizione delle

(l) Il Gerytades » è del 408, come ha dimostrato Kuiper, in


Mnemosyne 41 (1913) 240 sgg., pel frammento citato da Satiro
nella Eurip. vita: cfr. ora Geissler, Chronologie ecc. pag. 61
seg. Al « Gerhytades » appartengono con tutta probabilità anche
i frammenti di commedia ritrovati in un papiro molto mutilo,
pubblicato dal Comparetti nel secondo volume dei Papiri Greco-
Egisii, contenente i resti di un commento ad una commedia di
Aristofane. Ha supposto che quei frammenti appartenessero al
Gerhytades A. Koerte, in Burs. Jahresb. 152 (1011) I 271, poichè
si parla di poeta e di poeti, e si sa che nel « Gerhytades » Ari
stofane immaginava che un' ambasceria fosse inviata ad Euripide
nell'Ade per decidere di una contesa sorta fra i tragediografi
Ateniesi. Il Koerte pensa anche che la divinità, che gli amba
sciatori riportano dall'Ade in Atene, sia l'àpxaia 7tocrjaic, in ogni
modo è certo che, come nella « Pace », anche nel « Gerhytades »
si aveva la comparsa di una dea: cfr. il frammento 26 Demia-
nczuc: cpépe vùv sy™ ""ìv 8ai|iov' ijv àvijYaY0V! t*IV àyopàv ayoov
i5pÙ3to|iai (tot.
IL CORO COMICO 75

« Thesmoforiazuse » ('), dove è probabile comparissero


a recitare il prologo l' antica poesia, apralx HohjaiG, e
una divinità del corteggio di Demetra, Calligeneia.
Introdotto il prologo al primo tempo, respinta la
parodos al secondo tempo, il teatro comico assunse un
aspetto nuovo. Non era più la commedia di Cratino;
col vero e proprio prologo recitato prima dell' entrata
del coro, si guadagnava un tempo, come dimostrano
chiaro due commedie di diffìcile e complicata sceno
grafia, le « Rane » di Aristofane e i « Cantoni » di
Eupoli.
I « Cantoni » cominciavano con la discesa all'Ade
del generale Mironide. Prima della parodos, sulla scena
comparivano Mironide e i suoi due compagni, Laispodia
e Damasia, lunghi come pertiche, in procinto di avviarsi
all' Ade per richiamarne le anime dei grandi gene
rali : ....« mi accompagnano », dice Mironide nei f'rmm.
102 e 104, « questi due spilungoni di Laispodia e Da
masia Tutti noi cittadini della grande Atene lo de
sideriamo » Giunti all'Ade parlavano coi quattro
generali e statisti, Milziade, Aristide, Solone, Pericle,
e poi tutt' insieme ritornavano sulla terra e s'incon
travano in Atene col coro dei cantoni della città. 0
forse, più probabilmente, la commedia si apriva che
Mironide e i suoi due compagni erano già nell'Ade.
Comunque sia, è certo che, nel caso dei « Cantoni »,
il tempo in più costituito dalle scene del prologo, cioè

(i) Cfr. Schol. Thesmoph. 298 — frm. 335 Kock . (KaUirèvsia)


8a£|itovi 7tep xìjv i^(lrjxpav, 9jv izpoXoyiZotìaay èv xaìs éxépais 6ea|ioipopia£oó-
aai£ è7toirjaev. La seconda edizione della « Thesmoforiazuse » è da
tabile intorno al 407406. Più tardi, il poeta Filillio compose la
commedia « Brade », e, imitando Aristofane, introdusse a recitare
il prologo la dea iop7iia, personificazione del primo giorno delle
feste Apaturie. Cfr. Geissler Chronologie ecc. pag. 63.
(2) ómaaci yòip tco&oO(isv ^ ttXsivij 7tóXis, cioè desideriamo che i
grandi del passato tornino in vita.
76 CAPITOLO TERZO

dal monologo di Mironide, interrotto da battute di


Laispodia e Damasia, e dal dialogo di Mironide con i
quattro grandi Ateniesi nell'Ade, rendeva la commedia
più ricca di movimento, e permetteva non uno ma due
cambiamenti di scena. La scena del prologo si svol
geva nell'Ade: «Milziade e tu Pericle nou permet
terete che in Atene comandino alcuni sfaccendati, i
quali hanno la strategia nei piedi e non già nel cer
vello » ; la parodos e le scene dopo la parodos si
svolgevano in Atene; la parabasi e le scene dopo la
parabasi si svolgevano anch' esse in Atene, ma in altro
luogo della città, non già nello stesso dove s'erano
svolte la parodos e le scene dopo la parodos. Si con
fronti la scenografia delle « Rane », e apparirà ancor
più manifesta quella dei « Cantoni » di Eupoli. Come
nelle « Rane », cosi nei « Cantoni », la parodos favo
riva il passaggio dell'azione scenica dalla terra all'Ade,
e viceversa. Il poeta, senza troppe preoccupazioni, po
teva contare, invece che su due, su tre cambiamenti
di scena, la scena del prologo, la scena della parodos,
la scena della parabasi; e, quando ci fosse una seconda
parabasi, anche su quattro.
Fedele alla sua commedia, Cratino non accettò mai
la tecnica dei giovani commediografi, che, come Aristo
fane ed Eupoli, si acconciarono ad un facile compro
messo tra la commedia e la tragedia. Questa della
parodos e del prologo dovette essere una quistione
molto agitata e discussa, e forse fu causa di polemiche
che acuirono le gelosie e le invidie. Un poeta del ca
rattere di Cratino, orgoglioso e duro, non poteva cedere
dinanzi alla presunzione dei giovani. Egli era vecchio,
aveva del dramma comico una concezione assoluta
mente diversa, e novantenni non si rinunzia allegra
mente ai postulati della propria arte senza cadere nel
ridicolo. Perciò, forse, preferi dare nella « Bottiglia »
la misura di quello che un vecchio grande poeta sa
pesse ancor fare pel teatro coi propri mezzi, cogli stessi
XL CORO COMICO 77

mezzi dei quali si era servito felicemente in tanti anni


di attività.
*
# #

Parodos, parabasi ed esodo avevano nella commedia


di Cratino caratteristiche distinte e inconfondibili. Anche
l' esodo, che nelle commedie di Aristofane è sempre
diverso e qualche volta si può dire manchi del tutto,
in Cratino, invece, ha una sua particolare ragion
d'essere, giacchè risponde allo scopo del plaudite.
Elio Aristide ricorda la chiusa dei «Chironi», citando
i versi da noi già tradotti a pagina 40, superba affer
mazione della superiorità di Cratino sugli altri comme
diografi. Sono dattili, esametri dattilici, e convengono
benissimo all'esodo, come dimostra la chiusa delle
« Rane ». Certamente, a parer mio, l'esodo cominciava
col frammento 235 (esametro datt.) :
axfj<]Hv (ièv Xe£pwves èXV/Xuu-ev, <bs u7toìHjxas

sicchè il coro riepilogava il contenuto della commedia,


e concludeva proclamando: «Questo lavoro fu da noi
composto in due anni pieni, e il poeta lo propone come
modello a tutti gli altri commediografi » (— fruì. 237,
cfr. pag. 40).
Cratino chiamava è^o8£ous vó(iotx; i canti exodici
accompagnati dai flauti: xoùs è^oSfous u(JiIv IV aòXw xoòs
vónous (frm. 276), e teneva particolarmente alla loro
composizione affinchè l'attenzione degli spettatori fosse
richiamata dall' azione della commedia alla persona
del commediografo. Efestione cita gli ultimi tre versi
del « Trofonio », composti nel metro peonico che Cra
tino chiama cretico (frm. 222):
iyeipe 8Vj vùv, Moùaa, Kprjxixòv u-éXos
^<xlpe SVj, Moùaa1 y^povlcn yàp ^xeisi S^woc 5'
^Xfres, où 7tp£v ye Setv, ìo&i aacpés, àXX' 5n<oz ....
78 CAPITOLO TERZO

« orsù, o Musa intona una melodia in ritmo cretico.


Salute o Musa! sei venuta tardi, ma finalmente sei
venuta, e, sappilo bene, non dovevi venir prima d' oggi
ma ». Se di chiusa si tratta, anche a me sembra
opinabile che Cratino invochi la Musa e la saluti rin
graziandola d'essere venuta tardi, ma d'essere venuta
per dargli la gioia di comporre commedie. Il « Tro-
fonio » sarebbe la prima commedia di Cratino, secondo
l' opinione del Kock.
Se, come ho proposto nella nota 2 di pagina 45,
l'epigramma di Niceneto riferisce versi dell'esodo e
non già di una scena della «Bottiglia», in metro dat
tilico chiudevasi anche questa commedia, e anche in
questo esodo il poeta trovava modo di raccomandare
alla benevolenza del pubblico la sua arte contro le
accuse degli aquae potores.
In ogni modo, è certo che un'altra commedia di
Cratino, probabilmente i « Plutoi », si chiudevano con
un esodo molto brillante, gli ultimi tre versi del quale,
in metro archilochio, sono citati da Efestione:

xrjs ^[lexépas aocpias xpiTfjs apcaxe 7tàvxwv


e5Sai(jiov' exixxé as (i^xrjp ìxp(wv (Jw"-P7?0is-
« 0 gran folla di spettatori che ridete come stupidi,
io ti saluto: tu sei il miglior giudice della mia poesia:
tu sei la figlia fortunata dell'applauso, che ha fatto
sorgere i gradini di questo teatro ». La traduzione non
rende nè la disposizione delle parole, nè la freschezza
delle immagini dell' originale greco, ma ho preferito
tradurre cosi, perchè la parafrasi chiarisce e dichiara
meglio il pensiero e le intenzioni del poeta, meglio,
dico, di una traduzione letterale Vi si legge sùbito

(*) infestione cita il frammento KpaxCvo£ èv xoìq xoioinois, e Mei-


neke propose èv iole, UXo'hoiz, che forse è correzione accettabile,
ma sempre discutibile. Non traduco xaìs è7tipSais, di difficile inter
pretazione (cfr. Kock, voi. I pag. 107).
IL CORO COMICO 79

che Cratino si congedava dagli spettatori, cercando di


accattarsene l'animo per mezzo di un'ultima spiritosa
allusione alla commedia che aveva presentata sulla
scena, fedele ormai ad una sua maniera che sarà ac
cettata e continuata, se non proprio da Aristofane, dagli
altri commediografi, e perfino da quelli della com
media nuova.

* *

Parodos, parabasi, esodo, nelle commedie di Cratino


erano, più delle scene e dei contrasti, le grandi parti
zioni e rappresentavano non solo i tre principali mo
menti del dramma, ma anche i momenti più vivaci
dell' azione. Neil' argomento del « Dioniso-Alessandro »,
trovato in un papiro di Ossirinco, sono particolarmente
citati la parabasi e l' esodo, e lo sarebbe anche la
parodos, se non mancassero nel papiro le prime linee
dell' interessante riassunto. La parabasi trattava argo
menti di polemica letteraria, l' esodo consisteva nel
canto che il coro dei Satiri intonava, accompagnando
Dioniso punito delle sue malefatte : « i Satiri l' accom
pagnano e lo esortano a non disperarsi, dichiarando
che non lo consegneranno giammai nelle mani dei
nemici ».
Nella parabasi i Satiri parlavano « agli spettatori
a difesa del poeta », e poi, comparso Dioniso sulla
scena, lo dileggiavano. L' azione della commedia tra
la parabasi e l'esodo si riduceva a poco, quella tra
la parodos e la parabasi non poteva essere nè più ampia
nè più mossa, sicchè non c' è dubbio che anche nel
« Dionisio-Alessandro » la parodos la parabasi e l'esodo
costituissero le parti più importanti. La commedia di
Cratino era soprattutto coro, e, appunto per questo,
quasi tutti i frammenti citati dagli antichi, e anche
quelli ritrovati di recente nei papiri, sono frammenti
che appartengono alla parodos alla parabasi e all' e
80 CAPITOLO TERZO

sodo, o anche a dialoghi tra il coro e un attore. Non


già che mancassero assolutamente i diverbi tra attore
e attore o i monologhi; c'erano, ma non cosi numerosi
come nelle commedie di Aristofane e degli altri poeti,
che, dopo Orati no, preferirono una tecnica nuova più
vicina alla tecnica della tragedia, cioè una commedia
più drammatica.
Giorgio Kaibel ha cercato di dimostrare che negli
« Ulissi » di Gratino ci fosse Sinopia, che cioè ci fos
sero, come nella « Lisistrata » di Aristofane, due cori,
il coro dei compagni di Ulisse e l' altro dei Ciclopi
che sono con Polifemo ('). La dimostrazione del Kaibel
non ci ha convinti del tutto, ma induce a credere che
alla fine della commedia comparisse anche il coro dei
Ciclopi a consolar Polifemo dell'avventura e sventura
che l'avevano colpito. Esso però mostra chiaramente
che la commedia di Cratino consisteva in canti del
coro e l'azione riducevasi a dialoghi fra Polifemo ed
Ulisse. Ora che conosciamo come fosse composta la
parodos dei « Plutei », da noi analizzata a pagina 67,
possiamo anche ricostruire, sui frammenti citati da Efe-
stione, la parodos degli « Ulissi ».
Essa era un grande canto in anapesti : Ulisse e i
suoi compagni si avvicinavano con la nave, sur un vero
currus navalis, all' isola dei Ciclopi :

x£ves ab tovxov -t.ai.xiyouG aupai; vécpos oùpàviov xóS' óc.ù>^ai,


àv (làXXov xols 7nrjSaAfois Vj vaùs ^^wv 7teiirap)(rji

cantando in canto amebeo. Ha parlato Ulisse: < quali


venti soffiano sul mare? Vedo in cielo un addensarsi
di nembi, sicchè la nostra nave più che alle vele è

(') L' articolo del Kaibel è in Hermes, voi. 30 (1895) pagg. 82


segg. Cfr. pag. 55 di questo libro.
IL CORO COMICO 81

bene obbedisca ai remi ». E rispondono i compagni


esortando Ulisse a reggere il timone con prudenza:

in' àpiaxép' cèsi xVjv àpxxov I^wv Xà[ji7touaav, Ia>s àv ècpeuprji;

« [guida la nave] sempre a sinistra tenendo le luminose


stelle dell'orsa, finchè non trovi » ('). E finalmente
approdano alla terra di Polifemo e scendono a terra tutti
insieme cantando in sistemi anapestici (2) :
aiyàv vuv dcuas i^z. aiyàv,
xal 7tàvxa Xóyov làyx 7ueuaer
-^[itv S' Ixàxrj 7taxp£s èaxiv,
7tXéo^ev 8' Su' 'OSuaaéi 3-e£wi.
« Silenzio ! tutti facciano silenzio, e conosceranno sùbito
tutt' intero l' argomento. La nostra patria è Itaca, e
insieme col divo Ulisse navighiamo . . . » .
Sono scesi a terra, nell'orchestra; la nave è stata
tirata via sul carrello a fune che l' aveva trascinata
fino al punto dove il coro è sceso: dunque, Ulisse e i
suoi compagni parlano agli spettatori e si rivelano,
rivelano cioè il titolo della commedia e l'argomento.
Era questa l' appendice alla parodos, il prologo della
commedia redatto in maniera molto simile alla parodos-
prologo dei « Plutoi ». Ma qui molto più chiaramente
Cratino avverte gli spettatori che si tratta del prologo,
giacchè fa dire dal coro agli spettatori che, se sta
ranno zitti, sapranno 7tàvxa Xóyov, « tutto l'argomento»
della commedia.

(l) I frammenti 138-139 e 140 fanno parte tutti e due della


parodos.
(2) È il frammento 144 citato da Efestione. Sono paremiaci,
sistemi di "paremiaci. Strano è quello che commenta Kock : ad
extremam fabulam haec chori nerba pertinere docet Eur. Cycl 708-9;
V affinità coli' appendice alla parodos dei « Plutoi » dimostra, in
vece, che anche questi versi appartenevano alla parodos.
7
H2 CAPITOLO TERZO

Se leggiamo i frammenti 142 e 143, che sono sette


esametri dattilici, avremo una parte del discorso di
Polifemo ad Ulisse e i suoi compagni, quand' essi sono
già nella grotta. E dunque avvenuto un cambiamento di
scena, ma non ancora è stata cantata la parabasi,
poichè la scena, divisa in due parti da una specie di
tramezzo, doveva essere cosi congegnata che il coro
nell'evoluzione della parodos entrava nella grotta, e
poco dopo vi entrava anche Polifemo, e, chiusa con
un enorme masso l' apertura, cosi parlava agli ospiti :

rjafre raevrjuipcoi -^opxx^ó^zvoi yàXa Xeuxóv,


7tuòv Saivu^evoi xà|i7U^7cXc£^evot, 7tupiàxrji.
àvir' d>v 7tàvxas éXwv ò\lòìq èphjpas éxaipous
cppu^fles, è^-fjaxc,, Y.àK àvfrpaxiàs Ò7rorjaas
zie, óéXu.rjv xe xal d^àXu-ijv xàixa ès axopoSaX|irjv
y\ixpòv èp,pà7tx0>v, 8s àv ò7txóxaxós uoi àjxàvxrov
u(iù>V cpa£vrjxai, xaxaxpw^o(jiai, & axpaxiùxai.

« tutti i giorni qui mangerete ingrassandovi di bianco


latte, ingozzando panna e riempendovi di siero. In con
traccambio, io vi prenderò, o cari amici, vi arrostirò, vi
cuocerò sui carboni, e poi vi bagnerò in una tiepida
salsa di aceto e di aglio, e quello di voi che mi sem
brerà più cotto di tutti lo divorerò, o soldati » .
Nella seconda parte della commedia, sùbito dopo
la parabasi, avveniva l'accecamento del Ciclope. Dap
prima lo ubriacavano, quindi lo accecavano. Il fram
mento 141, che è un tetrametro anapestico, non appar
tiene alla parodos, sebbene sia nello stesso metro, ma
alla parabasi ('). Esso è pronunziato dal corifeo, cioè

(') Il tetrametro anapestico frm. 141, sarebbe seguito dal


frm. 136 che è in trimetri giambici, cioè la parabasi sarebbe
seguita da un dialogo in trimetri : questo si può concludere avvi
cinando i due frammmenti 141 e 136, ma s' intende bene che altri
versi sono caduti fra i due frammenti.
IL CORO COMICO 83

da Ulisse, che invita il Ciclope a bere del vino, e


quegli si ubriaca, e, nell' incoscienza dell' ubriachezza,
interroga Ulisse (frm. 136). È superfluo cercare di rico
struire il resto della commedia che era tutta, come
afferma Platonio, un rifacimento del canto dell'Odissea.
Ma, per ritornare al giudizio di Platonio sull'arte
di Cratino, ora si che è necessario dargli ragione e
riconoscere come preciso e obbiettivo egli sia stato nel
formularlo. Cratino era ingegnosissimo nelle èm^oXal e
nelle Siaaxeual dei drammi, e difatti grandioso e bril
lante era l'inizio degli « Ulissi » : currus navalis nel
l'orchestra, il canto di Ulisse e dei suoi compagni,
l' entrata nella grotta. La scena era divisa in due parti,
una più grande, e l'altra meno, e questa rappresentava
la costa, quella la grotta. Mezzi primitivi, s'intende;
ma tuttavia essi costituivano già per sè soli, cosi inge
gnosamente adoperati, un merito vero. Chi legga l'argo
mento del « Dioniso-Alessandro », impara che Cratino,
nella seconda parte del dramma, faceva fare a Dioniso
molti viaggi, dall'Ida a Sparta, da Sparta all'Ida, dal
l'Ida a Troia. Nella commedia « Gli abitanti di Serifo »
Perseo si recava a Serifo, ne ripartiva, vi ritornava in
poche scene; altrettanto avveniva nella «Nemesi»,
poichè l' azione si svolgeva, come vedremo fra poco, a
Ramnunte dell' Attica e a Sparta.
Insomma, soprattutto il coro, innanzi tutto il coro.
Ecco perchè tutte le commedie di Cratino s' intitolano
dal coro, non soltanto quelle di cui abbiamo avuto
occasione di discorrere diffusamente, ma anche altre,
come le « Leggi » e le « Ore », le « Donne di Tracia »
e le « Figlie di Cleobulo », gli « Imboscati » e i « Tem
pestati », i « Satiri » e le « Deliadi ». Il titolo della com
media di Cratino non solo definiva la natura del coro,
come fosse composto, ma aiutava anche a capire l'ar
gomento e lo svolgimento del dramma, molto più che
i titoli delle commedie di Aristofane.
CAPITOLO QUARTO

LENEE E DIONISIE DEL 430-429


Che io sappia, nessuno mai ha osservato come sieno
degne di Cratino le considerazioni di Diceopoli sulle ori
gini della guerra del Peloponneso. Nessuno, neppure
il mio amico Perrotta, che, in una breve nota sugli
« Acarnesi », mostra di credere che Diceopoli in quel
suo vivace monologo faccia la parodia delle origini
delle guerre persiane secondo Erodoto.
Rileggiamo, dunque, il monologo, ch' è un piccolo
capolavoro di umorismo : « Ma perchè di questo
grande malanno della guerra vogliamo incolpare i La
cedemoni? Qui da noi, in Atene, c'erano alcuni uomini,
— ricordatelo bene, non dico la città, non dico tutti i
cittadini — , anzi alcuni individui, gente tarata, diso
nesti, cittadini posticci, stranieri, i quali facevano la
spia denunziando i mantellucci di lana di fabbrica me
garese, e se vedevano un cocomero, un leprotto, un
po' di aglio, un mucchietto di sale, gridavano che pro
venivano da Mégara ed eran sùbito venduti. Ma queste
erano bazzecole, e rimanevano in famiglia. Se non che,
due giovinotti, che s'erano ubriacati giocando al cót-
tabo, se ne andarono a Mégara e rapirono la cortigiana
Simeta. Per ripicco, i Megaresi, eccitati dall'affronto
come galletti, se ne vennero in Atene e si portarono
via due meretrici del lupanare di Aspasia. E cosi per
88 CAPITOLO QUARTO

tre sgualdrine scoppiò la guerra in tutta la Grecia,


giacchè l'Olimpio Pericle, mosso dall' ira, lanciò il suo
fulmine, tonò, sconvolse l'Eliade, e cominciò a scri
vere editti come se fossero canzoni ».
Meglio, con più grazia, non potrebb' essere detto.
Gratino sarebbe stato più violento e meno efficace,
Aristofane, questa sola volta che accenna alla politica
di Pericle, la giudica coll' animo di Cratino, ma eccita
il riso senza muovere lo sdegno. La trovata è di sa
pore cratineo, più precisamente sembra l'eco di un
Cratino che impareremo a conoscere ora, discorrendo
alla meglio di due commedie intitolate « Dioniso-Ales
sandro » e « Nemesi ».
Sono tutt'e due parodia mitologica, ma sono com
media politica; non sono già, come gli « Glissi », dei
quali abbiamo già parlato, soltanto parodia. E appunto
per ciò rappresentano, nella storia della commedia at
tica antica, un interessante momento, degno d'essere
studiato e commentato. Composte nei primi anni della
guerra del Peloponneso, cioè non prima del 430, queste
due commedie di Cratino, insieme con altre di Ermippo
Teleclide e Callia (*), furono rappresentate quando sul
teatro greco comparivano Eupoli eFrinico, e sulla scena
politica ateniese sorgeva già Cleone. Il monologo di
Diceopoli negli « Acarnesi » è un' eco di quegli anni
fortunosi, che videro lo scoppio della guerra e il tra
monto di Pericle; e però, per intenderne il significato,

(') In verità, alcune notizie più precise potrebbe darle, se


fosse in condizioni migliori, l'iscrizione romana (cfr. Geissler,
Chronoloyie ecc. pag. 13). Sappiamo che Callia nel 431 riportò un
quarto premio alle I/enee, e che le sue « Rane » furono rappre
sentate alle Lenee tra il 430 e il 426 e riportarono anch' esse il
premio. Il poeta Teleclide riportò il secondo premio alle Lenee
prima del 430 con le « Bumenidi », e vinse il secondo premio
anche nelle Lenee del 430, con una commedia ignota. Di Ermippo
cfr. quello che diremo a pagina 90 sgg.
LENEE E DIONISIE DEL 430-429 89

è necessario ricostruire l'attività dei commediografi


del 430 e 429, cioè un brillante capitolo della vita e
operosità del poeta Cratino.

*
* Hi

Anzitutto, quistione cronologica. Che non è una qui-


stione noiosa, almeno in questo caso, e neppur cavil
losa, ma giova a meglio conoscere le circostanze e gli
avvenimenti. Del « Dioniso-Alessandro » di Cratino noi
possediamo quasi intera, chè mancano soltanto le prime
righe, l'argomento riassunto dai critici alessandrini
alla fine del quale si legge che la commedia fu scritta
contro Pericle « perchè aveva procurato agli Ateniesi
la guerra ». Dunque, la commedia fu composta e rap
presentata non prima del 430, primo anno di guerra,
e non più tardi del settembre 429, anno della morte
di Pericle.
Teniamo presenti queste date, e soprattutto non di
mentichiamo che, quando Cratino scrisse il « Dioniso-
Alessandro », la guerra era già scoppiata, la qual cosa
ci costringe a datare la commedia cratinea nel 429. I
critici precedenti non hanno considerato questo, e però
o si sono pronunziati indifferentemente per il 430 e 429,
o hanno proposto il 430 come data più probabile. A
formulare siffatta ipotesi li ha convinti il poeta Er-
mippo, che in quegli stessi anni, 430 o 429, rappresen
tava una commedia in cui Pericle era apostrofato « re
dei Satiri » e deriso per la sua vigliaccheria. Dunque,
hanno argomentato i critici, poichè il coro del « Dio
niso-Alessandro » di Cratino è composto di Satiri, è
stata la commedia di Cratino a suggerire ad Ermippo

(') Papyr. Oxyrhynchos n. 663. Ecco le parole finali: xu>|iwi8sìxoci


8' sv xfiji 8pi|i<xxi IlepixXrjs, |ietta 7tU)-av(ò£ 8i' &|^paaea>£ (i>s È7taYSio^ùs xol£
'Aftrjvaiocs xàv nóXs|iov, con è7taveio^ròs partificio perfetto.
90 CAPITOLO QUARTO

l'apostrofe al « re dei Satiri », e poichè le due com


medie non possono essere anteriori al primo anno di
guerra nè posteriori al 429, ch' è l'anno della morte
di Pericle, saranno da datare quella di Cratino nel 430,
e quella di Ermippo nel 429. 0 anche, saranno state
contemporanee, appunto perchè non si potrebbe da
tare nel 429 quella di Ermippo, i cui versi sono ci
tati da Plutarco per riferirli alle circostanze del 430:
e allora Cratino avrà rappresentato il « Dioniso-Ales
sandro » alle Lenee del 430; e, pochi giorni dopo, Er
mippo avrebbe presentato la sua commedia alle Dio-
nisie aggiungendovi in fretta l'apostrofe famosa a Pe
ricle « re dei Satiri » .
Credo che a tutti apparirà molto complicato questo
modo di ragionare, e, perchè complicato, sembrerà
anche falso. Difatti è falso, ed è stato suggerito da un
pregiudizio, dal comune pregiudizio che Cratino, com
mediografo di fama, avrebbe ispirato Ermippo, e non
già Ermippo, commediografo di secondo piano, avrebbe
potuto ispirar Cratino. Ma si tratta di una quistione di
buon senso, e per definirla non c' è altra via che ri
correre al testo, cioè leggere la più volte citata apo
strofe di Ermippo, senza però dimenticare le parole di
Plutarco che commentano i versi del commediografo.
Racconta Plutarco, nel trentesimo terzo capitolo della
vita di Pericle, che quando i Lacedemoni invasero
l'Attica, Pericle si mostrò dapprima esitante, ma che
al suo indugio si mostrarono ostili gli avversari della
sua politica e restii perfino gli amici, e molti l' ac
cusarono d' esser vile e inabile stratega e perciò col
pevole di abbandonare Atene ai nemici.
A Pericle sembrava rischio grande avventurare
Atene contro sessantamila Lacedemoni e Beoti che ave
vano invasa l'Attica, ma in quel terribile frangente
pochi mostrarono di capire la sua prudenza. « Gli si
mostrò avverso anche Cleone, che già s' avviava alla
LENEE E DIONISIE DEL 430-429 91

demagogia profittando dell' ira degli Ateniesi contro


Pericle, come dimostrano questi anapesti di Ermippo » :

BaaiXeù Soaupwv, xi tot' oùx èàréXeis


8ópu paarà£eiv, àXXà Xóyous [ièv
7tepi toù 7toXé[iou Seivoòs 7tapé^ei,
<]>'j^^v Sè TéXrjxos u7téaxrjs ;
xàYxeip[8(ou S' ctxóvrji axXrjpài
mxpaibjyouévrjs ^pu^eis xo7t£Sos,
Srj^eIs alìhovi KXéwvi.

« Pericle, re dei Satiri, perchè mai non vuoi portar


lancia, ma pronunzi incendiarli discorsi di guerra ed
hai tuttavia il coraggio di un Telete? Perchè mai, fe
rito dal morso dell'audace Cleone, fai il languido, ora
che il taglio del tuo pugnale l'hai affilato sur una
dura cote? ».
Il frammento appartiene alle « Parche » ('), alla stessa
commedia appartengono anche questi altri dimetri ana-
pestici, che è dubbio se seguissero o precedessero quelli
già citati, ma che in ogni modo è certo facevan parte
dello stesso coro. Sono cita ti da Ateneo, nel quindice
simo libro dei « Sofisti a banchetto » : « i grossi
mantelli sono stati messi via, tutti hanno indossata la
corazza e calzati gli schinieri, nessuno più desidera
le scarpine bianche .... ecc. » . Sono dimetri anape-
stici (2), questi e quelli, cioè sono versi pronunziati dal

(') È il frammento 46. Chi sia il Telete nominato nel fram


mento non sappiamo, probabilmente un Ateniese famoso per vi
gliaccheria.
(2) Nel frammento 47, che in parte ho tradotto, sono due
versi i quali figurano anche in un'altra commedia di Ermippo
intitolata < Soldati », e come dei « Soldati » sono citati dalla
scoliasta al v. 1422 della « Pace « di Aristofane. Sarà una svista
dello scoliasta, oppure i « Soldati » sono un rifacimento, la se
conda edizione, delle « Parche », oppure quei due versi e forse
anche più di due, Ermippo li volle ripetere ?
92 CAPITOLO QUARTO

coro, e prima descrivono (o dopo?) Atene nel trambusto


della mobilitazione improvvisa e poi attaccano Pericle
accusandolo d'ignavia. Se la commedia fu rappresen
tata nel 430, e l'invettiva contro Pericle fu suggerita
dalla commedia di Cratino di pochi giorni innanzi, mi
domando e domando come avrebbe potuto Ermippo in
fretta e furia aggiungere quei versi (').
Oltre questa difficolta, ce n' è un' altra, la quale
costringe a datare le « Parche » di Ermippo nel 429,
cioè nello stesso anno in cui fu rappresentato il « Dio
niso-Alessandro » di Cratino. Il commento di Plutarco
descrive le circostanze alle quali si riferiscono i versi
di Ermippo, e sono quelle dell'inverno del 430: i La
cedemoni hanno invaso l'Attica, Pericle esita, tutti sono
per la guerra, Cleone rinfaccia pubblicamente a Pe
ricle la sua esitazione. Queste cose Ermippo poteva ri
peterle e ricordarle solo nel 429, quando, dopo la breve
rimozione dalla strategia, Pericle fu di nuovo chiamato
a coprir quell'ufficio; altrimenti, avrebbe parlato di
cose non ancora avvenute. Perciò, a me sembra fuori
di dubbio la datazione delle « Parche » di Ermippo e
del « Dioniso-Alessandro » di Cratino nel 429, cioè nel
secondo anno di guerra, e tuttavia mi credo ben lon
tano dal supporre che l' uno dei due poeti abbia sug
gerito all'altro il motivo dei Satiri.

(*) Intanto, una cosa è certa, che quei dimetri anapestici


seguivano i tetrametri anapestici del frm. 45, erano cioè se pa-
rodos, appendice alla parodos, o, se parabasi, appendice alla
parabasi : « se gli uomini d' oggi fossero capaci di combattere e li
guidasse un gran pesce lesso o una coscia di porco, allora sarebbe
necessario che gli altri stessero a casa e per la guerra partisse
il solo Wotippo, chè lui solo si mangerebbe tutto il Pelopon
neso ». .Non c' è dubbio che BaaiXeO Saxùptov ecc. sieno con
tinuazione dei sopraccitati tetrametri, e però non si capisce come
mai potrebbero essere un'aggiunta posteriore.
LENEE E DIONISIE DEL 430-429 93

Il motivo è comune a tutti e due, perchè tutti e


due lo hanno appreso dal popolo. Plutarco accenna
espressamente a canzoni e motteggi popolari diffusi in
Atene contro la vigliaccheria di Pericle, opera dei suoi
detrattori e avversari, che giocavano abilmente sulla
prudenza di Pericle, perchè apparisse vigliaccheria
la sua esitazione a dichiarare la guerra e pregiudi
care ogni possibilità d'intesa col nemico: noXXol 8'^iSov
«Séia(iaxa xai axwaiiaxa 7tpòs aSaxuvrjv è spuppilovxes atkoù
tyjv axpaxrjY£av, éq àvavSpov xal 7tpoì"e(iiv7jv xà 7tpàyuaxa
iolc, 7toXeufois. Il motivo di uno di questi canti e mot
teggi, che disprezzavano la nomiua di Pericle a stra
tego, come di un ignavo il quale avrebbe abbandonato
la città ai nemici, doveva consistere appunto nel no
mignolo di « re dei Satiri », chè i Satiri sono di lor
natura paurosi e anche affetti d' erotismo, e correva
voce che a Pericle piacessero molto le donne e che
Aspasia non soltanto gli concedesse le sue grazie, ma
gli procurasse anche i favori delle sue amiche. Ecco
da qual fonte Aristofane si procurò la trovata dei Me
garesi che rapiscono le meretrici dal lupanare di Aspasia,
ecco dove Ermippo attinse la trovata del « re dei Sa
tiri ». Più ingegnoso, Cratino sfruttò il motivo per creare
una commedia composta di un coro di Satiri, il « Dio
niso-Alessandro ».
Cosi è, é non altrimenti. Ma prima di discorrere
del « Dioniso-Alessandro », ora che ne abbiamo stabilita
la data nel 429, ci corre l'obbligo di determinare anche
la data della « Nemesi » dello stesso Cratino, che è del
450, o tutt' al più dello stesso anno del « Dioniso Ales
sandro », essendo possibile, in questo secondo caso,
supporre che nel 429 Cratino presentasse due commedie,
alle Lenee la « Nemesi » e alle Dionisie il « Dioniso-
Alessandro », come fecero, per citare esempi sicura
mente documentati, nel 421 Eupoli col «Mancante» e gli
« Adulatori », e nel 411 Aristofane colla « Lisistrata » e

se-»-
94 CAPITOLO QUARTO

le « Donne alle feste di Demetra » Le due commedie


di Gratino, le « Parche » di Ermippo, che potremmo
tradurre anche il « Destino », e che forse pregustavano
l'imminente fine di Pericle, già stanco e ammalato, e
un'altra commedia non meglio definibile di Teleclide,
queste sono le ultime amare invettive che la scena
ateniese lanciò contro il fondatore dell'impero ateniese.
La commedia insultò la grandezza dell' uomo, ma non
l'intaccò per nulla; invece la storia di Tucidide le in
nalzò un monumento eterno nei secoli, al di sopra degli
odi e delle invidie di parte.

La « Nemesi » e il « Dioniso-Alessandro » di Cra-


tino sono due commedie composte molto probabilmente
nello stesso anno, e, forse appunto per questo, sono
tutt' e due parodia mitologica (2). Cratino sembra piut
tosto monotono nella scelta degli argomenti, e lo di
mostrano i « Plutoi », gli « Archilochi », i Chironi » ;
monotono nel senso che, trovato un motivo, v'insiste a
lungo, uniformando ad esso la sua produzione. Egli

(') In questo caso, se tutt' e due le commedie di Cratino


sono del 429 è probabile che la commedia presentata alle Lonee
non ottenesse il primo premio, perchè alle Lenee del 429 quasi
certamente vinse il poeta Frinico.
(*) La lunga quistione intorno alla cronologia della « Nemesi »
fu provocata dall'errore dello scoliasta di Aristofane Av. 521:
6xi o3xo£ (il profeta Lampone) y,piga|i.oXóYO£- éì^-q 5è snl x9\( xtòv '0pvi9<i>v
8i8aaxaX£as, oùx (&» xivss sxefl-vrjxsi. no/Uòic xàp Oaxspov. Kpaxtvos èv xrji
Negasi oìBev a'ixòv £à>vxa, Hai xaùxa 7toXXffii Oaxepov. E ne risulterebbe
che la « Nemesi » sarebbe posteriore agli « Uccelli » di Aristo
fane, il che è impossibile, perchè Cratino era già morto quando
Aristofane scrisse gli « Uccelli i>. Tutti siamo d'accordo nel rite
nere errato lo scolio, e non potrebb' essere altrimenti, ma è
assolutamente inutile spiegare l' errore altrimenti che per ditto
grafia, giacchè il secondo tio/Ucòi Oaxepov è ripetizione del primo.
E perciò, a parer mio, la quistione non esiste affatto.
LENEE E DIONISIE DEL 430-429

passa meno rapidamente di Aristofane da un soggetto


ad un altro, ma in genere anche Aristofane, e con Ari
stofane anche gli altri commediografi, non riescono a
darci nello spazio di uno o due anni argomenti di com
medie molto diversi l'uno dall'altro. La « Lisistrata » e
le «Donne alle feste di Demetra » sono dello stesso anno
411, e suppergiù degli stessi anni sono la « Commedia
della tragedia » di Alceo, le « Rane » di Aristofane e
le «Muse» di Frinico. L'antica commedia attica pro
fittava di tutte le occasioni e motivi; un'occasione, un
motivo interessante suggeriva ai commediografi l'ar
gomento.
Il « Dioniso-Alessandro » e la « Nemesi » sono frutto
di determinati avvenimenti politici, e colpiscono due
momenti della vita di Pericle e di Aspasia. In tutte e
due le commedie, Pericle e Aspasia sono insieme, non
già espressamente nominati, ma indicati e designati
per allegoria, 8i' èu<p(£aews, come scrive l' autore del pa
piro di Ossirinco contenente il riassunto del « Dioniso-
Alessandro » .
Pericle, nelle vesti di Dioniso, era attaccato come
provocatore della guerra, incapace di condurla perchè
vile, fiacco ed imbelle. Si finge Paride e aggiudica il
premio della bellezza ad Afrodite per portarsi via la
graziosa Elena, ma, quando gli Achei (= Lacedemoni)
invadono la Troade (l'Attica), allora egli cerca rifugio
presso Paride sul monte Ida, nasconde Elena in un
canestro di formaggio ed egli stesso assume le sem
bianze di un montone ('). Il vero Paride scopre il trucco,
prende con sè la bella Elena, e abbandona Dioniso al
coro dei Satiri, perchè lo consegnino al nemico.

(') Dice il riassunto del Pap. Oxyrh. 663: xal xrjv |lèv 'mévr,v
sis xdXapov &QKsp xupòv xp'jc(jas, éauxòv 8' sis xpiàv |isxaaxeuàaas ò7io(iévei
xò tiéXXov. Pericle-Dioniso si muta in montone, e forse nel suo
travestimento sarà da vedere un'allusione al 7tpo^axontóXrjs, al
commerciante di montone amico di Pericle che si chiamava
Lisicle, e che fu uno dei capi del partito della guerra.
96 CAPITOLO QUAETO

Dioniso è Pericle, Elena è Aspasia, gli Achei sono


i Lacedemoni. A chi corrisponda il vero Paride non
sappiamo, e difficile sarebbe dire a chi corrisponda
Afrodite, chè molto probabilmente alcuni personaggi
e situazioni della commedia restarono quelli del mito,
mentre altri alludevano più o meno chiaramente a fatti
e personaggi della vita politica contemporanea. I Satiri
sono gli amici di Pericle, non c' è dubbio : essi accol
gono con grande schiamazzo e molti motteggi la com
parsa di Dioniso, e, quando poi il vero Paride consegna
loro Dioniso smascherato, essi gridano e cantano pro
clamando che non lo abbandoneranno al nemico. Sono
gli stessi Satiri di Ermippo, e vide bene il Meineke,
quando, a proposito delle « Parche », annotò che l'apo
strofe « re dei Satiri » non solo colpiva Pericle, ma
anche i suoi devoti. Comunque sia, se ce ne fosse bi
sogno, nell' argomento del « Dioniso Alessandro » tro
viamo la piena conferma dell' accusa mossa contro Pe
ricle, accusa di vigliacco e di domiamolo, di pauroso
e lascivo. I suoi Satiri sono quegli stessi amici che,
nel momento più critico della sua politica, si mostra
rono anch'essi, come si legge in Plutarco, esitanti e
dubbiosi, per restar poi decisamente dalla sua parte;
ed egli, Pericle, per Cratino, è cosi vigliacco che lo
stesso Paride ne ha disgusto.
Interessanti sono anche alcuni particolari della com
media, quali appaiono dal magro riassunto del Papiro
di Ossirinco. Pericle-Dioniso, fingendosi Paride, aggiu
dica il pomo famoso alla dea Afrodite, per vanità,
« pur essendogli stato dato il potere da Hera, la fortuna
in guerra da Athena, solo perchè Afrodite lo aveva
fatto bello ed amabile ». Insomma, Pericle, ch'era brutto
e deforme, reputava gli affari dello Stato molto meno
importanti del suo successo presso le donne.
Quando Pericle compare sulla scena vestito da Dio
niso, i Satiri lo motteggiano. Il travestimento di Pericle
LENEE E DIONISIE DEL 430-4A9 97

in Dioniso richiama alla mente quello di Dioniso in


Eracle, nelle « Rane » di Aristofane, e non c' è dubbio
che anche l' identità Pericle-Dioniso significa che Pe
ricle è un pauroso, essendo nota la vigliaccheria di
Dioniso. Ma c' è di più ; c' è che, come Dioniso nelle
«Rane» indossava, per assumere l'aspetto di Eracle,
«la pelle di leone sulla camicia color zafferano», Xeovxyjv
ini xpox(oxòn, cosi, nella commedia di Cratino, Pericle
appariva travestito da Dioniso, nella sua foggia di ve
stire più caratteristica, come qualcuno racconta nel
frm. 38 : « vestiva una camiciola elegante e va
riegata, color zafferano, aveva il tirso in una mano e
nell'altra un bicchiere». In fine, un altro particolare
è questo di Dioniso, che assume l' aspetto di un mon
tone, poichè si allude al Pericle donnaiuolo (') che pre
ferisce, come travestimento in caso di guerra, la pelle
del montone : il frammento 43, il famoso frammento
tante volte citato dai glottologi per il suono dell' èia,
descrive il Pericle-Dioniso che va belando: ó S'yjXfókos
&<mep 7tpóf3axov ^f} ^fj Xéywv ^aS££ei (!).
La commedia di Cratino fu accolta favorevolmente
dalla critica : nel papiro di Ossirinco si legge questo
giudizio : x(i>(lu>t,Seixai S' èv xfik Spà^axi IlepixXrjs ^aXa
7tifrav&s 8i' è[i^àaews, <S>s è7tayeio^ùs xots Aihjva£ois xòv
n6\z\lov. Essa era, come vedremo neh" ultima parte di
questo capitolo, un'audace innovazione, e trovò, se non
sùbito, certamente qualche anno più tardi, entusiastici
ammiratori e imitatori.

(') "Vedi però la nota di pag. 95.


(s) Il frammento 302 di commedia ignota, citato dall' Btymol.
magnum coinè di Cratino, cioè questi due tetrametri trocaici :
tbs ds |laXaxÒv xai répev xò xpavt£&iov, W "> #eo£. xai yòcp è[ÌX£|ia£ov
aùxijv, ^ 8' ècppóvxij' oùdé §v, potrebbero essere del coro dei Satiri
del Dioniso-Alessandro. Il coro descriverebbe la bella Elena e
l' impressione suscitata da lei sui sensibili sensi dei satirelli.
s
98 CAPITOLO QUARTO

* *

Intorno alla « Nemesi » si è molto discusso per una


quistione di carattere cronologico, che noi abbiamo,
per conto nostro definitivamente, dichiarata inesistente
a pag. 94 n. 2 di questo capitolo. È inutile ragionar
di date sur un errore. Che la « Nemesi » sia contem
poranea del « Dioniso-Alessandro » lo dimostra V argo
mento, perchè in tutt' e due le commedie Aspasia è
l' eroina principale, Aspasia è la realtà ossessionante
della politica di Pericle, Aspasia è la donna fatale; la
stessa Aspasia che in una commedia di Callia e in altri
scritti, e certamente nell'opinione dei contemporanei,
appariva l'ispiratrice dell'eloquenza e della potenza
di Pericle. La commedia le diede nomi divini ed eroici,
la chiamò Hera perchè moglie dell' Olimpio Pericle,
Deianira, Onfale, e finalmente Elena.
Questo soprannome di Elena le fu dato da Cratino
nella « Nemesi » e nel « Dioniso-Alessandro » (*), ma
poichè nella «Nemesi» si parlava della nascita di Elena,
la quale compariva già donna nel «Dioniso-Alessandro»,
è da credere che la « Nemesi » precedesse il « Dioniso-
Alessandro ». Del resto, nella * Nemesi » Pericle è
ancora Zeus, è ancora l'Olimpio Pericle, nel « Dioniso-
Alessandro » invece egli è Dioniso. In questo rapido
decadimento delle attribuzioni di Pericle è anche l'in
timo legame che tiene unite le due commedie, poichè
esso esprime, come meglio non si potrebbe, a traverso
un' allegoria mitologica, la rapida decadenza della po
tenza di Pericle nel 430. Aspasia personificata da Elena
è la politica di Pericle: come quella politica fosse nata
Cratino lo dimostrava nella « Nemesi », come mise
revolmente finisse lo dimostrava nel « Dioniso -Ales
sandro » .

(*) Cfr. pag. 31, e più innanzi pag. 102.


LENEE E DI0NISIE DEL 430-429 99

Questo io credo di potere affermare, distruggendo


una volta per sempre tutte le ipotesi precedenti, che
non hanno ragion d'essere dopo conosciuto l'argomento
del « Dioniso-Alessandro ». Gratino ha composto due
commedie che sono una sola commedia, in quanto che
l' una di esse precede e giustifica l'altra: ecco come la
attività di questo poeta, che sembra monocorde e mo
notona, risulta invece organicamente concepita e ar
chitettata.
Non è necessario cercar lontano per trovare le
prove del nostro assunto, ma in due opere che sono
molto simili e attingono alla stessa fonte alessandrina.
L'avventura di Zeus, che, mutato in cigno, volò a
Ramnunte attica, ottenne gli amori di Nemesi e di
venne padre di Elena, è raccontata da Eratostene con
temporaneo di Callimaco sulla fede di Cratino. Ma il
racconto di Eratostene nella redazione in cui l'abbiamo,
ch' è redazione modesta e incompleta, è fatto più pre
ciso dalle notizie che vi aggiunge Igino nell'Astrono-
micon, giacchè Igino racconta che Zeus si fece accom
pagnare da Afrodite, e che, come Zeus in cigno, cosi
Afrodite si mutò in aquila per non farsi riconoscere da
Nemesi. E quando poi Nemesi ebbe fatto l' uovo, Er
mete lo rubò per deporlo in grembo a Leda, che tro-
vavasi a Sparta, e cosi Elena nacque a Sparta invece
che nella terra dell'Attica.
Ecco l' argomento della « Nemesi » . Che sia questo
e nessun altro, appare dal « Dioniso-Alessandro », giac
chè, proprio all' inizio delle righe che ci sono rimaste
del papiro di Ossirinco, è detto che Ermete va via
dalla scena e comincia la parabasi (*). Dunque, quello
stesso Ermete che era nella « Nemesi » e che aveva
deposto nel grembo di Leda l'uovo di Nemesi, ricom-

(*) In un contesto molto corrotto si legge chiaro: ó 'Ep|ifjs


[àrcépx]sx<« ecc. Non c'è dubbio che Ermete era un personaggio
della commedia.
100 CAPITOLO QUARTO

pariva nel « Dioniso-Alessandro », e qui, in questa com


media, in tanto Dioniso, cioè Pericle, attribuiva il pre
mio ad Afrodite, in quanto la dea le aveva concesso
di riuscire amabile e gradito alle donne. Non c'è, in
tendiamoci bene, nessun' altra intenzione in Cratino,
che quella di dichiarare, a traverso la parodia mito
logica, che la guerra è scoppiata per quistioni di donne,
per un uovo rubato, per un capriccio qualunque, e che
perfino nell' uovo c' era una donna, Elena, la famosa,
fatale Elena. La politica di Pericle si riassumeva nel
nome di una donna ed era suggerita da una donna;
è inutile tentare di vedere, in questo o quel perso
naggio della commedia, questo o quel personaggio della
politica contemporanea: Ermete è Ermete, l'uovo è
l'uovo famoso dal quale nacque Elena: di contempo
ranei non ci sono che Pericle, che da Zeus diventa Dio
niso, e l' eterno feminino ch' è Elena, nient' altro. In
Elena non è personificata nè la flotta, nè il figlio di
Pericle e di Aspasia. Queste sono fantasie di critici,
ma non furono la fantasia di Cratino, la quale apparve
agli stessi contemporanei cosi audacemente creatrice,
che Aristofane la ricordava ancora nel 425 quando fa
ceva della filosofia della storia per bocca del popolano
Diceopoli, non già per parodiare le Storie di Erodoto,
ma per rendere un omaggio alla grandezza del poeta
Cratino.
I frammenti della « Nemesi » sono pochissimi, ma
in confronto di quelli di altre commedie cratinee pro
vano che la « Nemesi », come la « Bottiglia » e i « Chi-
roni », era abbastanza nota, e fu molto letta anche più
secoli dopo la morte del poeta. Essi dimostrano altresi
che Cratino fu felice non solo nell' architettura della
trama, ma anche nei particolari. E infine, pur cosi
scarsi come sono, documentano in pieno l'ipotesi nostra.
Per esempio, il frm. 107 riproduce il consiglio che
Afrodite dà a Zeus per ottenere le grazie di Nemesi :
LENEE E DIONISIE DEL 430-429 101

« è necessario che tu diventi un grande -uccello.. ... . ».


E il 109 contiene parole di Zeus, che, mutatò'-iii cigno,
becca il cibo e crede di vedere nel 'cibo jl fratto :e:
fiore prediletto che vuol cogliere sul corpo diNemesi
« . . . . sicchè io godo mangiando questo cibo, e mi par
che tutto sia bocciuolo di rosa ecc. » . Ma il frammento
più interessante è il 108, perchè sono le parole che
Ermete dice a Leda, quando, rubatolo a Nemesi, le de
pone in grembo il famoso uovo : « Leda, questo l' hai
fatto tu. Non indugiare a prendere le maniere di una
brava gallina, ma mettiti sùbito a covarlo, affinchè ci
regali da esso un bello e maraviglioso uccello » :
ArjÒa, aòv ipyov 8sì a' Stzuìc, eòa^^ovos
àXexxpuóvos ^rjSèv Siogaeis xoùs xpó7tous,
ènl xwiS' èrao^oua', u>s àv IxXétprjis xaXóv
iljulv xi xal frauuaaxòv èx toù8' 5pveov.
Non è possibile ricavare altro dai frammenti e nep
pure dal racconto di Igino. Ricorderò soltanto che, nel
tempio di Nemesi a Ramnunte, Fidia aveva rappre
sentato cosi la favola di Leda e di Nemesi, e che Pau-
sania ci descrive la scultura fidiaca nel primo libro
della Periegesi. E per concludere sulla grande affinità
di contenuto e di costruzione delle due commedie cra-
tinee, noterò ancora che Pericle, il quale è Zeus nell'una
e Dioniso nella seconda, deve in tutt'e due le commedie
travestirsi, nella prima da cigno e nella seconda da
montone.
L'azione si svolgeva a Ramnunte nella « Nemesi »,
e a Troia, sul monte Ida, nel « Dioniso-Alessandro », ma
nell'una e nell'altra commedia essa si svolgeva anche
a Sparta. Questo risulta chiaro non solo dal racconto
di Igino: Nemesis autem ovum procreava, quod Mer-
curius auferens detulit Spartani et Ledae sedenti in
gremium proiecit, ma anche dal sopraccitato fram
mento 108. Ed è perciò significativo che lo stesso av
102 CAPITOLO QUARTO

-.venga/ mei. •* Dioniso-Alessandro », dove Dioniso, dopo


' aggiudicato*!! premio ad Afrodite, corre a Sparta, prende
-Jjlèfiftió sp ..ne, ritorna sull'Ida: {Jiexà Sè xaùxa 7tXeuaas
de, Aax£8a£^ova xal xVjv "EXévrjv è^ayaY(bv iTtcwipyzxca eie,
xfjv "ISrjv. Questa è un'altra, ben più evidente e pre
cisa ragione d'affinità tra le due commedie cratinee,
ed è anche un documento molto interessante per giu
dicare della tecnica della composizione di Cratino, che
amava spostare da un luogo all'altro l'azione della com
media per renderla più vivace, come del resto fecero
anche Eupoli ed Aristofane.

*
* *

La notizia di Plutarco, nella vita di Pericle, che


Aspasia era chiamata dai commediografi coi nomi di
Onfale, Deianira, Hera, e da Cratino era definita anche
« meretrice », è confermata dallo scoliasta di Platone,
in un contesto impreciso ma di grande interesse, perchè,
comunque lo si corregga, ne risulta sempre che Eupoli
parlava di Aspasia in due commedie, negli « Amici »
e nei « Prospaltii », e che in quest'ultima commedia
la chiamava Elena (').
Di recente è stato pubblicato un lungo frammento
dei « Prospaltii » in un papiro di Ossirinco del primo
secolo dopo Cristo, edito dal Vitelli. Vi appare confer
mato quel che già si conosceva, che cioè i « Prospaltii »
erano cosi intitolati perchè il coro era formato da abi
tanti del demo di Prospalta, noti per la loro mania

(*) Kpaxtvos Ss '0|i!pc»Xr;v (cod. O(iyctXrji) xópavvov aùxijv xaXet Xsipwaiv


(cod. Xeiptov), EwtoXis «ftò.ois- èv 8è ILpo&K.aXxioi<z "EXévrjv atxrjv xaXsì.
Questa è la lezione preferibile : comunque, è certo che, sia negli
« Amici » che nei « Prospaltii », Eupoli parlava di Aspasia; ed è
anche probabile che negli « Amici » Eupoli chiamasse Aspasia
col soprannome di Onfale, mentre nei « Prospaltii » la chiamava
Elena.
LENKE E DIONISIE DEL 430-429 103

giudiziaria ('). Ma non se ne ricava altro, sicchè non


c'è nessun indizio buono per la datazione. Orbene,
tanto gli « Amici » quanto i « Prospaltii » non possono
essere datati tra il 424 e il 421, perchè nella cronologia
della commedia di quegli anni non c'è posto per essi:
dunque, o sono anteriori al 424 o sono posteriori al 421.
Che possano essere posteriori al 421 a me sembra
difficile e ardito immaginare, perchè non si giustifiche
rebbe in nessun modo la menzione di Aspasia. D' altra
parte, che Aspasia fosse chiamata Elena nei « Pro
spaltii » è un dato di fatto il quale consiglia di avvi
cinarci al 429. E poichè negli « Amici » uno dei per
sonaggi, forse Demo come propose il Wilamowitz (2),
si trova insieme con etere, niente vieta di credere che
anche negli « Amici » comparisse la nostra Aspasia
padrona di lupauare, e cosi si giustificherebbe come
mai lo scoliasta di Platone, tra le fonti su Aspasia, citi
anche gli « Amici » di Eupoli.
In ogni modo, tra il 429 e il 425 ci sarebbe posto
per le due commedie eupolidee. E poichè Eupoli ha
rappresentato la prima volta contemporaneamente a
Frinico nel 429, e vinse la prima volta nel 427-426, è
da supporre che quasi tutti gli anni dal 429 al 427-426
egli presentasse commedie per conseguire una vittoria.
Sulle orme di Cratino, cominciò forse coll' aggredire la
politica di Pericle e di Aspasia, sebbene Pericle fosse
morto da pochi mesi : perciò i « Prospaltii » ci sem
brano da datare nel 428, quando era ancora fresco il
ricordo dell' Elena del « Dioniso-Alessandro », e il nome

(') Il papiro ha il num. 1213 dei « Papiri della Società ita


liana ». Nel verso 6 sarà da leggere mp(màv[-c(ì>v £r(|iàxtov] e nel
verso 8 sarà iva |irj xa3rjaftai fóto' àvaX£ax[eiv -ce Xóyoui], e così non
c'è dubbio che si tratti proprio di gente litigiosa, che ordina ai
Prospaltii di mandare un « esercito di parole ».
(') Per il frammento 268.
104 CAPITOLO QUARTO

della donna fatale ad Ilio richiamava alle menti di tutti


la fatale politica di Pericle.

*
* *

L'imitazione di Eupoli è una prova di come Ora-


tino riuscisse a conquistare il pubblico e a trascinare
sulle sue orme i giovani commediografi. Aristofane si
è formato in questo ambiente; egli è, come Eupoli, uno
scolaro di Cratino, e forse ammirò anche lui le ultime
grandi commedie di Cratino. Il « Dioniso-Alessandro »
era commedia audace, non solo perchè commedia po
litica e parodia mitologica, ma anche e soprattutto
perchè dramma satiresco. Il coro era composto di Sa
tiri: i Satiri accoglievano Dioniso, i Satiri recitavano
la parabasi in difesa del poeta, i Satiri accompagnavano
Dioniso nell'esodo. Potremmo definire il «Dioniso-Ales
sandro » la commedia dei Satiri, un dramma satiresco
di significato politico, e forse cosi esprimeremmo be
nissimo, e convenientemente, l'originalità di questa
commedia, che, almeno nell'architettura della trama, è
una delle più grandi commedie del teatro ateniese.
Lo stesso Cratino più tardi, nel 424, presentò una se
conda commedia satiresca intitolata « Satiri » alla quale
fu aggiudicato il secondo premio dopo i « Cavalieri » di
Aristofane. La sconfitta fu amara, tanto più amara perchè
l'anno prima gli « Acarnesi » del giovane Aristofane
avevano superato i « Tempestati » del vecchio Cratino.
La sua commedia impallidiva, ma il vecchio tentò per
l'ultima volta l'anno seguente, e vinse strepitosamente
colla « Bottiglia » .
Ma vinse ancora tanti anni dopo, sebbene fosse già
morto e dimenticato sulle scene. Quel suo tentativo di
mutare il dramma satiresco in commedia politica fu
imitato dall' ultimo commediografo politico Ateniese,
al tempo di Demostene e dei Macedoni. Gli « Eroi »,
LENEE E DIONISIE DEL 430-429 106

il « Licurgo », i « Satiri di Demos » sono commedie


satiresche del poeta Timocle, e lo sono anche i suoi
«Discendenti di Icario». Credo di averlo già dimo
strato molti anni fa in un brevissimo articolo ('), al
quale per ora rimando il lettore, ma che comparirà,
completamente riveduto, nel nono capitolo del secondo
volume di questo mio libro, per significare che gli ultimi
bagliori della commedia attica antica s' illuminarono,
nostalgicamente, della luce di Cratino.

(') Rivista di Filologia classica, 1927 pag. 453 sgg.


CAPITOLO QUINTO

I NUOVI COMMEDIOGRAFI
Non solo Ecfantide aveva composto, prima di Cratino,
una commedia satiresca, ma anche il poeta Callia. Il
« Satiri » di Ecfantide sono databili intorno al 445,
quelli di Callia, che ottennero il quarto premio, sono
certamente delle Lenee del 437. Cratino, che negli
« Archilochi » aveva già censurato aspramente la com
media di Ecfantide e chiamato « figlio del funaro » il
poeta Callia, presenterà egli stesso, alle Lenee del 424,
una commedia intitolata « Satiri » (*).
Di questa commedia non si conserva altro che il
titolo, ma poichè, dopo il « Dioniso-Alessandro » e la
« Nemesi », Cratino ha rappresentato ancora quattro
commedie con titolo mitologico, gli «Abitanti di Serifo»,
le « Stagioni », i « Satiri », le « Deliadi », e finalmente
la «Bottiglia», che è di argomento letterario, ecco
confermato per altra via quel che noi già abbiamo
opinato intorno alla sua attività, che fosse suo costume,

(') Come ho già avvertito a pag. 37 il frammento 324 di


Cratino potrebb' essere dei « Satiri », se non facesse difficoltà il
Xoiptov del terzo verso. Dal frm. 334 risulta che Cratino chiamava
Ka7tvtav Ecfantide, perchè poeta « oscuro, torbido » come il vino
xoOTV£as. In ogni modo, i « Satiri » di Ecfantide e Callia dovevano
essere anch' essi commedia satiresca, e tale sarà stata anche
l' omonima commedia di Erinico.
110 CAPITOLO QUINTO

una volta trovato un tipo di commedia, insistervi a


lungo ('). In ordine di tempo, gli « Abitanti di Serifo »
sembrano precedere le altre commedie sopraccitate, e
seguire immediatamente il « Dioniso-Alessandro », come
ci sembra di potere meglio suffragare con nuove prove,
essendo facile ricostruirne il contenuto nelle linee ge
nerali coll' aiuto dei frammenti. E poichè ne risulta
che anche gli « Abitanti di Serifo » erano parodia
mitologica e commedia politica del tipo del « Dioniso-
Alessandro », sembra a me legittimo supporre che
dello stesso tipo fossero probabilmente anche le « Sta
gioni », le « Deliadi » e i « Satiri ».
I frammenti degli « Abitanti di Serifo » sono citati
da lessicografi e grammatici, e perciò non sono molto
interessanti. Risulta dal frm. 209 che alcuni uomini si
sono rifugiati a Serifo in volontario esilio, e che la
popolazione di Serifo si compone appunto di questi
esuli. Nel frammento 208, si allude alla « città degli
schiavi e dei nuovi ricchi....», che sarebbe Atene,
sebbene Atene non sia affatto chiamata col suo nome.
Nel frammento 211, un personaggio capita a Serifo e
saluta i suoi abitanti: yxLpzxz 7tóvxes Saoi noXùfìwxov
7tovx£av Sépicpov Finalmente, due nuovi frammenti,
fatti conoscere da Ugo Rabe nella edizione degli Scholia
ad Lucianum, ci dicono chiaro che Cratino negli « Abi
tanti di Serifo » attaccava Cleone.

* *

Questi due nuovi frammenti, che meglio si direb


bero notizie, sono molto importanti, non solo perchè
hanno permesso di datare gli « Abitanti di Serifo »
dopo il 429, ma soprattutto perchè, secondo me, per-

(») Cfr. pag. 95.


I NUOVI OOMMEDIOGKAFI 111

mettono anche di stabilire in che modo Cratino aggre


disse Cleone e quale motivo egli svolgesse nella com
media. Cratino aggrediva Cleone colpendolo per la sua
pazzia furiosa (') e descrivendolo come un uomo dagli
occhi scintillanti : xà 8è ùnò x-fjv 5t}"v ^v àpyaXéos xal
nàXiaxa xàs 5<ppùs, a>s Kpaxtvos èv 2epi<p£ois.
Serifo era una piccola inospitale isola sita a sud-est
dell'Attica, fedele alleata di Atene, ma di nessuna im
portanza. Perchè mai Cratino immaginava che a Serifo
andassero in volontario esilio gli Ateniesi della vecchia
generazione? i quali fuggivano la « città degli schiavi »
dove s'erano affermati uomini della borghesia (!) arric
chitisi disonestamente, i veo7tXouxo7c6vijpoi, com' egli li
chiama, ricordandosi, forse, di quel che aveva scritto
nei « Plutoi » molti anni prima. I nuovi ricchi sono,
senza dubbio, gli eredi della politica democratica di
Pericle, bottegai, fornitori di crusca, commercianti di
montoni, conciatori di pelle; si chiamano Eucrate da
Meli te, Lisicle, Cleone, ma uno domina su tutto e su
tutti, il cuoiaio Cleone. Perciò gli Atenesi dabbene sono
fuggiti in esilio, e si sono fermati nell' isolotto di Serifo,
dove un giorno capita Perseo, che si commuove al
racconto delle loro sventure e corre a distruggere il
mostro, la Gorgone orribile che soffoca Atene e mi
naccia la Grecia. L'uccide, ritorna con la testa di
Medusa dallo sguardo folgorante, e la dona agli esuli
perchè atterriscano con essa i loro avversari e ritornino
finalmente in patria.
La Gorgone è la democrazia ateniese, Medusa è
Cleone. Ecco da quale fonte Aristofane imparò a chia
mare mostro Cleone, che è definito « Tifone, uragano
devastatore» nella parabasi dei «Cavalieri», e in quella

(*) |iaviai dice lo scolio lucianeo. Ma anche da Aristofane


Cleone era descritto irascibile come un pazzo.
(?) Cfr. pag. 65 n. 2.
112 CAPITOLO QUINTO

delle « Vespe » e della « Pace » è descritto con tratti


paurosi : « il nostro poeta, quando cominciò a istruire
il coro comico per la prima volta, lion aggredi gente
comune, ma sùbito, con foga degna di Eracle, attaccò
i mostri più giganteschi, e sùbito, con ardore, si misurò
con la bestia dalle zanne leonine, nonostante gli orri
bili sguardi dei suoi occhi di Cinna (meretrice), che
lanciavano fulgori. Erano, intorno a lei, cento altre
teste di adulatori che la lambivano con le lingue, la
sua voce era di torrente devastatore, il puzzo di foca,
i testicoli lucidi come quelli del mostro Lamia, il de
retano grande come di cammello ».
Gli occhi grandi e folgoranti di meretrice, che Ari
stofane attribuisce a Cleone, sono il terribile sguardo
e le profonde occhiaie di Medusa, del Cleone-Medusa
che Gratino aveva descritto negli « Abitanti di Serifo ».
Aristofane aveva assistito alla rappresentazione della
commedia di Cratino e ne aveva ricevuto, come tutti
gli Ateniesi, una forte impressione, giacchè non solo
se ne ricorda ancora molti anni dopo, scrivendo la
parabasi delle « Vespe », ma anche sùbito, un anno o
due anni dopo la rappresentazione degli « Abitanti di
Serifo », nel 425, vi allude espressamente negli « Acar-
nesi », in quel monologo famoso, nel quale Diceopoli,
esposte le cause della guerra del Peloponneso, per
meglio dimostrarne la futilità, ricorre a questo esempio:
« supponete che un Lacedemone, partito sur un
vascello, trovi e faccia vendere come suo un cagnolino
rubato agl' isolani di Serifo » A noi moderni,
lontanissimi dal tempo di Aristofane, la menzione della
piccola Serifo e del piccolo cane non dice altro che la
meschinità delle cause, le quali, secondo Diceopoli,
avrebbero provocato la guerra; ma agli Ateniesi, i

(') Acain. 541 sgg.


I NUOVI COMMEDIOGRAFI 113

quali, uno o due anni prima, avevano applaudito la com


media di Cratino intitolata gli «Abitanti di Serifo», essa
richiamava alla mente il ricordo del Cleone-Medusa (').
Negli « Acarnesi », Aristofane non aggredisce Cleone
personalmente, ma la sua politica; più tardi, quando
nel 424 farà di nuovo il suo nome, lo descriverà sùbito
come il mostro della rapina, e dirà che « il suo volto
è cosi spaventoso che un fabbricante di maschere non
saprebbe riprodurlo » (s).
Sono ricordi di Cratino anche questi. E chissà se
non ce ne fossero già nei «Babilonesi», cioè nella
seconda commedia di Aristofane? 0 addirittura nei
« Banchettanti » del 427 ? (3). « Gli Abifanti di Serifo »
sono databili tra il 428 e il 426.

(') Bastava un brevissimo accenno. Per esempio, nella « Pace »


Aristofane immagina lo scarafaggio volante, xóv&apos: non sarà
esso un'allusione scherzosa al poeta Kantharos, che l'anno prima
aveva vinto il premio ?
(2) Cfr. i versi 230 sgg, e 247 sgg. dei c Cavalieri » ; ma anche
in 137 è chiamato Sp7tag e la sua voce è paragonata allo strepito
di un torrente. Però negli « Acarnesi » non c' era nessuna allu
sione apertamente offensiva contro Cleone, che, essendo stato
aggredito nelle commedie precedenti, si era già vendicato di
Aristofane e lo aveva fatto condannare come diffamatore della
città. Questa ora la famosa accusa di jjevÉa, la YPatP'*ì ESV'ocs) poichè,
a parer mio, Aristofane fu accusato non già d' essere straniero, ma
d'aver diffamato alla presenza di stranieri la città di Atene, e
perciò appunto nei « Cavalieri » 496 sgg. egli insiste nel ricor
dare che ha sempre inteso parlare di alcuni cittadini, non già di
tutti i cittadini, non già della città: oòyj. irjv 7ióXiv Xkyio (v. 515).
Gli antichi hanno interpretato male quest'accusa di diffamazione
della città alla presenza di stranieri, e l'hanno confusa con una
vora e propria ypoiyri ètviag e reputato perciò che l'Ateniese Ari
stofane fosse uno straniero, in contraddizione con tutte le più
attendibili fonti biografiche.
(3) Le due prime commedie di Aristofane furono certamente
scritte contro Cleone, perchè provocarono l'accusa di Cleone e
la condanna di Aristofane (cfr. Acarn. v. 4 sgg.>.
9

i
114 CAPITOLO QUINTO

* *

La guerra del Peloponneso non solo segna il comin-


ciamento di una nuova era politica in Atene, poichè
si affermano e consolidano forze e interessi nuovi,
rappresentati al potere dai novi homines, ma segna,
altresi, la nascita del nuovo teatro comico ateniese.
Sorgono i commediografi nuovi, quasi tutti giovanis
simi, Frinico ed Eupoli, Platone ed Aristofane, e co
minciano tutti come scolari di Cratino, ma quasi tutti,
dopo il primo successo, quand' ebbero messe le ali e
appreso a volare più alto, si allontanarono da lui, anche
il giovanissimo Aristofane, che appena diciottenne
aveva dato alle scene una sua commedia, e nelle grandi
Dionisie del 426 aveva superato lo stesso Cratino rap
presentando i «Babilonesi».
I nuovi commediografi si affermarono tutti nei primi
anni della guerra del Peloponneso, dal 429 al 426,
prima Frinico, sùbito dopo Platone ed Eupoli, e per
ultimo Aristofane, ch' era il più giovane. Un quinto,
Amipsia, cominciò più tardi; Ermippo si era già affer
mato, ed era ormai maturo di anni; Ferecrate doveva
essere già vecchiotto. Il teatro comico ateniese appar
teneva ormai alla nuova generazione, e la grande
commedia di Cratino era condannata ad un rapido
tramonto.
Eupoli cominciò coi « Prospaltii » o cogli « Amici »
come abbiamo già detto a pag. 102, più probabilmente
cogli « Amici » essendoci nei « Prospaltii » un'evidente
allusione ad Aspasia derivata dalla « Nemesi » e dal
« Dionisio-Alessandro che sono del 429, mentre è sta
bilito e pacifico che Eupoli e Frinico rappresentarono
contemporaneamente le loro due prime commedie nel
429. Aristofane rappresentò la prima commedia intito
lata i « Banchettanti » nel 427, che è data sicura. Re
stano dunque Platone e Frinico.
I NUOVI COMMEDIOfìRAFI 115

Di solito, si crede che Platone cominciasse a rap


presentar commedie nel 427-424, contemporaneamente
ad Aristofane, che cominciò nel 427, o più tardi di
Aristofane; e si crede cosi da tutti, perchè Cirillo nel
l'opera sua contro l'imperatore Giuliano, scrive che
« Aristofane, Eupoli e Platone cominciarono nell' ottan-
tottesima olimpiade » : èy Sovrjx.oax-fji òySórji xòv xto^wiSòv
'Apiaxocpdvrjv E'jtoXJv xe xal IlXdix(ova ysvéaO-ai. La notizia
di Cirillo, che è vera per Aristofane, non è nient' af
fatto vera per quel che riguarda Eupoli, il quale,
secondo la datazione, molto meglio circostanziata, del
l'anonimo autore di un trattatello sulla commedia, co
minciò insieme con Frinico nel 429; e però può essere
falsa anche per quel che riguarda Platone ('). Del resto,
si tratterebbe di un errore di poca entità, giustificabi
lissimo per il fatto che Cirillo ha messo accanto al più
grande dei tre, cioè Aristofane, gli altri due, che erano
appena di uno o due anni ad Aristofane anteriori. E
neppur per noi sarebbe importante la quistione del
l' anno, se essa non ci permettesse di definire con sicu
rezza quale sia stata la prima commedia di Platone,
e se proprio le notizie che noi abbiamo intorno ad
una commedia di Platone non ci costringessero a cre
dere errata la notizia di Cirillo.
Ateneo, che, quando cita frammenti di commedie
o di tragedie, li cita cronologicamente (!), a proposito
del genere grammaticale della parola xàpixos, riferisce
nel terzo libro dei « Sofisti a banchetto » il frammento
272 del « Zeus maltrattato » di Platone insieme con

(') Ecco il testo dell' anonimo : Eii7toXis 'AO-rjvatos èSiSaSsv sui


àp-yjovxos 'ArcoXX.o8(ópou, iy' où xal "fcpuvtyos. Cfr. Geissler, Chronologie
pag.12.
(2) È stato dimostrato da Obllachbr, Zur Chronologie der
altattische Komodie, Wiener Studien 1916, 81 sgg. Ateneo stesso
lo dice in VI 268 e: à)jpi]3a|ir;v xrji xój;ei xtùv Spa(lavo-/, u>s èSiSdx&rjv eco.
116 CAPITOLO QUINTO

un frammento del « Dioniso-Alessandro» di Cratino, con


uno dei « Banchettanti » di Aristofane, e un altro delle
« Belve » di Cratete ecc. ('). La commedia di Platone
è citata al secondo posto tra quella di Cratino e i
« Banchettanti » di Aristofane, e però se è vero, ed è
vero, che Ateneo cita le opere drammatiche con ordine
cronologico, come ha dimostrato l'Oellacher e come
lo stesso Ateneo espressamente confessa, sarà altret
tanto vero che la commedia di Platone intitolata « Zeus
maltrattato » fu rappresentata prima dei «Banchettanti»
di Aristofane e dopo il « Dioniso-Alessandro » di Cratino,
prima del 427 e dopo il 429. La data 428 s'impone, e
potrebb' essere confermata da un altro passo di Ateneo,
che nell'undicesimo libro della stessa sua opera, a
proposito della parola tcóxuXos « lenone », cita un fram
mento del « Zeus maltrattato » di Platone dopo gli
« Dei » di Ermippo.
Qual' era l' argomento de) «Zeus maltrattato?» Dai
frammenti risulta questo soltanto, che vi compariva
Eracle a giocare a cottabo con una meretrice in un
lupanare, e n' era poi cacciato vergognosamente, senza
vesti e mezzo affamato (!). Ma il titolo non lo si spieghe
rebbe senza supporre che, essendo Eracle figlio di Zeus,
c'entrasse anche Zeus in qualche modo. Quale parte
egli avesse nella commedia e che mai significhi quel
titolo « Zeus maltrattato », io credo non lo si possa
assolutamente capire se non si congetturi che la com
media di Platone non fosse soltanto parodia mitologica,
ma anche commedia politica. In altri termini, Platone
è nella tradizione di Cratino, cioè del nuovo Cratino
autore della «Nemesi» e del «Dioniso-Alessandro».

(') Dunque le « Belve » di Cratete sono posteriori o contem


poranee ai « Banchettanti » di Aristofane.
(') Cfr. frm. 46 e 49. Che nel v. 60 delle « Vespe » Aristofane
alluda a questa commedia di Platone, è un'ardita ma nient' af
fatto accettabile ipotesi del Cobet.
I NUOVI COMMEDIOGRAFI 117

Le fonti confermano quel che noi diciamo, poichè


l' antichità conosce un Platone caro a Cratino, e giudica
Platone ripetendo giudizi espressi già per Cratino. Ateneo
l0 definisce Xa(«tpòv xòv xaPaxxfjPa e uu grammatico
anonimo lo chiama xòv xa>tux(óxaxov fin xai Kpaxtvov olSa
auvaiSovxa, che è grande lode e preziosa notizia, perchè
prova che Cratino non disprezzava affatto, ma teneva
in conto le qualità del commediografo Platone. Di qui
si spiega come mai Eusebio parli di Cratino e Platone
credendoli contemporanei, mentre l'uno era vecchio e
l'altro giovanissimo, e perchè la stessa inesattezza
compaia in forma anche più grave presso Sincello .(').
Molto probabilmente, Platone deve avere collaborato
a commedie di Cratino, senza conseguirne altra soddi
sfazione che quella di poter dire più tardi, al tempo
della sua polemica con Aristofane, di aver fatto da
sè e di avere aiutato gli altri, ma di aver ottenuto il
successo degli Arcadi, che, pur essendo valorosissimi
ma poveri, non vincevano mai battaglie in proprio
nome e lasciavano agli altri il vanto della vittoria (s) :
Sia yàp xò xàs xw^anS£as aòxòs noi&v àXXois 7tapé)(eiv Sià
7tev£av 'ApxàSas u-i^slaìl-ai icprj. Egli era povero, e co
stretto dalla povertà, Sià 7tev£av, scriveva commedie
che gli altri rappresentavano come proprie, per esempio
1l poeta Kantharos (3); e quasi certamente aveva co
minciato coll' aiutare il vecchio Cratino della « Nemesi »
e del « Dioniso-Alessandro » .

(*) IHce Eusebio Chron. Olimp.: Cratinus et Plato comici


hac aetate occurrebant; e Sincello: Kpaxlvof xal IRoixtov ol xu>|ux<3t
ìpt|JLa£ov.
(2) Questo lamentava nel « Pisandio » frm.99.
(*) Kantharos vinse un anno o due anni prima delle « Vespe »,
cioè 422 o 421, con una commedia intitolata Su|i|ia)(£a che è anche
titolo di una commedia di Platone. Comunque, Suida attribuisce
a Platone anche altre commedie di altri, oltre l' elenco delle sicu
ramente autentiche.

118 CAPITOLO QUINTO

Perciò credo che Platone, il quale nelle sue commedie


non mancò di attaccare gli uomini politici, e menò vanto
d'essere stato il primo ad aggredire Cleone ('), abbia
rappresentato nel « Zeus maltrattato » un argomento
di stile cratineo. In quegli anni Cratino componeva
commedie politiche, abilmente e ingegnosamente ve
lando la satira politica con la parodia mitologica, ed
è probabile che il suo giovane collaboratore Platone
nella prima commedia ne seguisse sùbito l' esempio.
Eracle nel « Zeus maltrattato » compare in un lupanare,
e di un lupanare di Aspasia si parlava fin troppo in
Atene, calunniosamente. Zeus agli Ateniesi del 428 ri
cordava sempre l' olimpio Pericle morto l' anno prima,
e il titolo Zeùs xaxou^evos conveniva benissimo ad una
commedia che volesse rappresentare le disgrazie di
Pericle nell'ultimo anno di sua vita. Il figlio di Zeus,
l' Eracle che vive in un lupanare e anche dal lupanare
è poi scacciato in malo modo, potrebb' essere il figlio
di Zeus e di Aspasia, al quale l' anno prima, essendo
ancor vivo Pericle, gli Ateniesi avevano concesso il
diritto di cittadinanza.
Una conferma della nostra ricostruzione la troviamo
forse nel frammento nuovo estratto dal Lessico Sab
batico, dove a me pare sieno da leggere parole di Zeus
ad Afrodite, e non già di Eracle ad una meretrice:

Olnoi xàXas, ànoXzlq \i 'AcppoSixap£Siov


yXuxuxaxov, SxExeuw ae, u.e 7tspiÉSujis.

« povero me infelice, tu mi rovinerai carissima Afro-


dituccia mia: te ne supplico, non disprezzarmi cosi...».
E Afrodituccia sarebbe Aspasia, come Zeus è Pericle,
come Eracle è figlio dei loro amori. Zeus e Aspasia
sono i lenoni che educano il proprio figlio nel lupanare,

(') Nel frammento 107 del IIspiaJ.Yijs : 6s 7tptoxa \ikv KXétov

i
I NUOVI COilMKDIOORAFI 119

lo l'anno giuocare a cottabo con una meretrice, gi' in


segnano a pronunciare discorsi, ♦ perchè la lingua dà
forza alle parole e con le parole avrai tutto quello che
desideri > . Scene di famiglia, ma un giorno
scoppiò la lite in famiglia, e Zeus e Afrodite litigarono
forte, essendo Afrodite troppo prepotente e capricciosa.
La mia è una seducente ipotesi, ma non vorrei essa
fosse giudicata soltanto un'ipotesi brillante. Nella com
media di Platone c' è troppo Cratino perchè possa
sembrare ardito supporre che quel commodiografo
cominciasse coll' imitare sùbito il grande maestro suo,
alle ultime commedie del quale aveva generosamente
ed efficacemente collaborato (').

*
* *

E concludiamo con Frinico, che la tradizione ricorda,


insieme con Eupoli, per la prima volta autore di com
medie nel 429, e che certamenle fu vittorioso quello
stesso anno o l' anno seguente. Come Aristofane, egli
ottenne sùbito il successo, ma fu, o per la brevità della
sua vita o per altre cause, autore di appena dieci
commedie.
Qualche anno fa, Girolamo Vitelli pubblicò un nuovo
frammento di commedia nel decimo volume dei Papiri
della Società italiana (2), e, con molta prudenza e sol
tanto per ipotesi, li attribui a Frinico, e precisamente
al « Crono » di Frinico. Parve invece ad altri che il
frammento si dovesse attribuirlo ad un poeta della
cosiddetta commedia di mezzo e non già ad un poeta

(') Platone rappresentò nei primi anni del quarto secolo una
commedia intitolata « Faone » : sarà il caso di ricordare che anche
Cratino doveva avere trattato un argomento simile, come lasciano
supporre i frammenti 330 e 331?
(2) Rimando per altre notizie e per il testo del frammento
la n. 1175 dei Papiri della Società italiana.
120 CAPITOLO QUINTO

della commedia antica; e però finora la quistione è


rimasta aperta e insoluta, pur essendo, invece, possi
bile risolverla definitivamente.
Per risolverla, è opportuno respingere sùbito le im
pressioni di chi afferma di sentir nel frammento il tono
lo stile il vocabolario della cosiddetta commedia di
mezzo. Noi non abbiamo mai letto una commedia di
mezzo, non perchè non abbiamo voluto leggerla, ma
per il semplice fatto che non ce n'è rimasta neppure
una, e tuttavia qualche volta parliamo di stile di voca
bolario di tono e di altre simili cose della commedia
di mezzo. Questo significa fantasticare, e sarebbe per
donabile difetto.
Ma il grave è che nel caso del nuovo frammento
pubblicato dal Vitelli, se lo giudichiamo della commedia
di mezzo, mostriamo di dimenticare il tono lo stile il
vocabolario di un qualunque monologo delle commedie
di Aristofane, per esempio del monologo di Diceopoli
negli « Acarnesi », tanto per scegliere a caso il primo
della serie. Se lo ricordassimo, ci accorgeremmo sùbito
che il frammento in quistione è dello stesso stile voca
bolario tono, e perciò impareremmo una volta per sem
pre a non sollevare quistioni cosi delicate e difficili sul
vuoto. Niente vieta di credere che i monologhi della
commedia di mezzo presentassero anch' essi lo stesso
tono vocabolario e stile, ma è certamente strano che
si voglia giudicare della paternità di un nuovo fram
mento ricorrendo agli elementi stilistici, senza riflettere
che nei pochi versi del frammento non c'è nessun ele
mento stilistico che non convenga alla commedia antica,
mentre ce n' è qualcuno di contenuto, e cioè il decreto
di Mégara, che non conviene affatto ad un periodo
posteriore al 420.
Traduco il frammento: Qualcuno di voi (spet
tatori) potrebbe dire: e a me che me ne importa? Ma
io invece risponderò col famoso verso di Sofocle: « mi è
I NUOVI COMMEDIOGRAFI 131

capitata una vera disgrazia, perchè il vecchio Crono »


beve e mangia i miei figli e non me ne lascia nessuno,
ma fa tutto da sè, scende a Mègara, vende il figliuolo
che ho partorito e se lo pappa cosi. In verità, egli teme
l' oracolo più di quel che la lepre non tema il cane,
perchè una volta Apollo gi' imprestò una dramma e
non l'ebbe mai restituita, e perciò, con animo adirato,
gli prestò non già un'altra dramma, non danaro, non
oggetti, ma un vaticinio, che un giorno suo figlio lo
caccerà di trono. Sicchè, per questa sua paura, i figli
Crono se li tracanna tutti ».
Ho tradotto, e però non leggo il greco che sarebbe
anche. più vivace e fresco per un giuoco di parole che
in italiano non è possibile rendere altrettanto efficace,
ma ritengo che la sola traduzione basti a convincere
chiunque che Rea, in questo frammento di prologo, non
parla diversamente dal Diceopoli degli « Acarnesi » .
E cito gli « Acarnesi » proprio perchè negli « Acar
nesi » troviamo esplicitamente dichiarata la ragione del
perchè Crono corra a vendere i suoi figli a Mégara
e non li venda in Atene. Diceopoli, nel lungo mono
logo 496 sgg., incolpa Pericle di aver provocato la
guerra per dare retta ad Aspasia, che gli consigliò di
chiudere il mercato ai Megaresi e di affamarli, avendole
essi rapito due meretrici dal lupanare, e Mégara fu
costretta alla fame e a gettarsi dalla parte dei Lace
demoni. Dunque, a Mégara, dal 430 al 423, un boccone
di pane costava prezzi favolosi, e appunto per questo
l' autore del nuovo frammento, sia esso Frinico o un
altro poeta, immagina che Crono corra a Mégara, a
vendervi i suoi figliuoli appena nati.
Diciamolo francamente : non è strano che qualcuno
abbia supposto della commedia di mezzo questo fram
mento, quando il terminus ante quem e il terminus
post quem sono stabiliti cosi bene tra il 430 e il 423,
l'anno dello scoppio della guerra e l'anno della con
122 CAPITOLO QUINTO

clusione della pace? Commedia antica, solo e sempli


cemente commedia antica; quasi certamente, a parer
nostro, una commedia che si apriva col prologo, come
gli « Acarnesi », ossia con un monologo-prologo e non
già col coro. Dunque, non Cratino, ma un commedio
grafo autore di commedie il cui titolo possa convenire
all'argomento. Vitelli cercò e trovò il «Crono» di
Frinico; perciò propose, con prudenza, l'ipotesi; ma
ch'essa sia possibilissima e probabilissima spero d'averlo
dimostrato già, e non m'illudo se affermo che anche
per altra via si giungerebbe alla stessa conclusione.

* *

Eupoli e Frinico, per quel che si legge nel tratta-


tello di un anonimo sulla commedia, confermato poi da
Suida nelle poche notizie su Frinico, si cimentarono
insieme la prima volta nel 429. Lo scoliasta al v. 988
degli « Uccelli » di Aristofane cita il frammento 9 del
« Crono » di Frinico, e dichiara espressamente che il
« Crono » è anteriore agli « Amfizioni » di Teleclide (*),
i quali a loro volta sono anteriori ai « Minatori » di
Ferecrate rappresentati circa il 425, ma forse non molto
posteriori al 430: sicchè il « Crono » sembra sia stata
la prima commedia di Frinico, quella del 429, e forse
anche la sua prima vittoria alle Lenee.
Commedia politica, o soltanto parodia mitologica?
Nel frammento parla Rea moglie di Crono, ed è legit
timo supporre che parli quasi prologando. Cita Sofocle,
e difatti Sofocle fu amico di Frinico, e nelle « Muse »
fu da Frinico lodato ed esaltato. Il frammento è molto
interessante, non solo pel contenuto, ma anche perchè
è un esempio di commedia del 429, che cominciava col

(') napdxsixai 5s v.ai xà <£p>jv£)(OU S|i 7t poa&e v èv Kpóvun, dove


1' È|iitpoaS-tv non può avere altro valore che temporale.
I NUOVI COMMEMOT.RAFI 123

monologo-prologo di un personaggio, e non già diret


tamente col coro, come la commedia di Cratino : il pre
cursore di Aristofane in questo particolare tecnico fu
Frinico, ma è difficile affermare o negare che prima
di Frinico il prologo esistesse già nelle commedie di
Magnete e di Chionide o in quella di Susarione, come
lascerebbe credere il solo, più o meno autentico, fram
mento conservatoci di Susarione, o nelle commedie degli
altri commediografi che scrissero prima di Frinico. In
ogni modo, se la tecnica della composizione non è più
quella di Cratino, questa prima commedia di Frinico
rimane fedele, per l' invenzione della trama, alla tra
dizione cratinea, e annunzia la vivacità elegante e
brillante del monologo di Aristofane.
INDICI DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Alessandrini (critici), 5 frm. 293, 40


Archiloco (e Cratino), 36, 44 302, 97
Aristide (Elio), 39 sgg. 306, 40
Aristofane 322, 40
Acarnesi, 87-88 324, 37
parabasi Cavalieri, 6 iièXri, 26
àp^aió7tXouxos, 66 Nemesi, 94, 98-102
Aspasia (soprannomi di), 31, 32 Plutoi, 26-29, 61, 63-67
aùfl-rj|ispivol 7toirjxai, 42 TJlissi, 68, 80-84
Callia, 37, 88, 109 Veditutto, 34
Chionide, 4, 20 Si^opia, 80 sgg.
Cleono, 112 Ecfantide, 4, 36, 37, 109
commedia megarica, 18 sgg. èjjóSioi vófioi, 77
Cratete, 12-17, 39 è7UttaxxÙeiv, 21
Cratino Ermippo, 91-92
Abitanti di Serifo, 112 sgg. esodo, 77-78
Archilochi, 34-39 Eupoli
Bottiglia, 40-51 Amici, 103
Bifolchi, 56-57 Capre, 70
Chironi, 30-33, 40, 69, 77 Cantoni, 75
cronologia, 25-26 frm. 14, 70
Dioniso-Alessandro, 89-97 Mancante, 47
eloquenza, 35 Prospaltii, 102
frm, 49, 39 Euripide (e Aristofane), 48
153, 33 Ferecrate, 13
165, 61 Frinico, 120-129
208, 65 Kantharos, 117
235, 77 Kattviocf, 37
237, 40 XoylSiov, 74
126 INDICI DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Xiyoi, 12 parodos, 55-63, 70-72


\6yoc,, 74 Pericle, passim (cfr. 63)
Magnete, 7-10 Platone (comico), 115-119
Metrobio, 36-36 Platonio 3, 61, 68, 67-69
Morichide, 30 Kpày\Mxa, 12
(iO&oi, 12 nxépvi^Eiv, 21
veonXo'Jxo^ivrjpoi, 65 Susarione, 18 sg.
Niceneto (epigramma), 45 Teleclide, 88
£uvxuxia, 28, 32, 62 Timocle, 106
parabasi, 66 titoli (al plurale), 34
PUBBLICAZIONI STRAORDINARIE
della R. Accademia delle Scienze di Bologna
(classe di scienze morali)

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ELEMENTI DI GLOTTOLOGIA

L. 80 —

(BOLOGNA - NICOLA ZANICHELLI - 1923)

V. DE BARTHOLOMAEIS

LE CARTE DI G. M. BARBIERI

NKLi; ARCHIGINNASIO DI BOLOGNA

L. 20 —

(BOLOGNA - L. CAPPELLI - 1927)

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IL NUOVO CALLIMACO

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