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Presenze ¢ valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco* Wg HEV KOWWaS KAI KADdAOD eineiv ROAAG RpoKpivel tov Mevavépov "per dirla semplicemente e in generale preferisce di gran lunga Menandro” (Comp. Arist. Men. 853A). Con queste parole si apre il Confronto tra Aristofane e Menandro, in cui é presentata a chiare lettere una valutazione di Plutarco sui due pid insigni rappresentanti del teatro comico greco, ¢ appare fin da subito evidente quale sara l'esito del giudizio critico, la preferenza per il poeta della véa, con la conseguente 'bocciatura' del teatro di Aristofane'. Dopo averli messi a confronto prima per |'aspetto stilistico delle loro commedie, poi, pit specificamente, per la vis comica che esprimono, chi in un modo chi nell'altro, egli non ha dubbi su cosa scegliere: rispetto all'espressione ridondante ¢ infarcita di artifici retorici di Aristofane quella levigata e tersa di Menandro; rispetto alla comicita spregiudicata e inverosimile dell'apyaia il senso umoristico fine ed elegante della véa’. * La bibliografia data in forma abbreviata rinvia alle ‘Abbreviazioni bibliografiche’ poste alla fine del contributo. ' Registrato al numero 121 del Catalogo di Lampria, l'opuscolo andato perduto, ma c'é pervenuto un compendio compilato molto pid tardi, che sembra costituito comunque da una serie di estratti dell originale pitt o meno sapientemente ricuciti insieme. Cfr. Plutarch's Moralia, XIII t. II, with an English Translation by H. Cuerniss, London 1976, p. 607: "it begins with a reference in the third person to the author of what follows, which seems thus to be introduced as an extract or extracts from the original essay"; Harsster, p. X: "at verba et cpiniaiem Plutarchi rorsus recte servata esse existimare licet". Ma si vedano anche JEUCKENS, p. 68: ‘Kénnte aber durch den Epitomator verwischt ¢ QUADLBAUER, p. 65: "inc. 3 und 4 fasst der Epitomator... in eigenen Worten zusammen”. ZIEGLER, p. 280, Hatss.ex, p. X, ¢ LACHENAUD, p. 93 ss., in particolare notano l'omogeneita del saggio epitomato con le concezioni letterarie che Plutarco esprime nei suoi trattati letterari (De audiendis poetis, De audiendo) ¢ in un passaggio importante delle Quaestiones Convivales (711F-712B), dove si discute della possibilita di proporre intrattenimenti di poesia comica agli ospiti del simposio. 2 Cf. CamMmanora, p. 105; L. VAN DER StockT, Twinkling and Twilight, Plutarch's Reflections on Literature, Brussel 1992, pp. 155-161, in part. 160; D1 Fionio, p. 22. 158 Maria Di Florio Se ad una prima lettura sembra che i motivi di tale scelta scaturiscano dall’analisi degli elementi tipici dell'arte — la A€&tg, la gpdarg, il npéxoy, il mGavev — su cui |'autore via via si sofferma, un esame pit approfondito rivelera, invece, che in realta, per lui, & il problema morale-pedagogico a segnare il discrimine tra i due commediografi, Piuttosto che insegnare qualcosa di buono, la poesia aristofanea mira a strabiliare con giochi di parole ea sortire effetti di stupore con accostamenti illogici e, da pedagogo moralista qual Cheronese é vivamente preoccupato degli effetti che la lettura o la rappresentazione delle commedie possano provocare nell'animo dei fruitori. Non é un caso, allora, che quando di Aristofane vengono criticate la "scurrilita" (goptuxdy), la "teatralita" (@upeduxdy) ¢ la “volgarita” (Bavavoov), oppure la frequenza sconsiderata degli espedienti retorici, antitesi, omeoptoti e paronomasie, usati anche "a freddo” (yuxpde), si ha come I’impressione che la disapprovazione riguardi non solo il gusto artistico, ma anche, implicitamente, lo spirito intemperante che pervade le opere del poeta attico’. E risulta, d'altra parte, sintomatico che questi seduca solo I'uomo privo di educazione e sprovveduto, mentre chi ha la mente disciplinata dalla naiSeia - probabilmente da intendersi sia in riferimento all'educazione letteraria ¢ retorica sia in riferimento ad una formazione spirituale vera e propria - provera una repulsione immediata. Quanto, poi, all'clocuzione, si trovano mescolate confusamente in lui le categorie pitt disparate — il tragico, il comico, il solenne, il pedestre, linguaggio ermetico ¢ linguaggio comune, dignita ed elevatezza di stile, loquacita ¢ ciancia nauseante - senza nessuna forma dirispetto del "conveniente" (16 xpénov), al punto tale che come per caso sono messe in bocca ai personaggi le parole che capitano e non si potrebbe capire se a parlare ¢ un figlio, o un padre, o un uomo di ) Le forme sostantivate td goprixdy, 16 Oujektxdv € 19 Béivervoov assumono nel contesto un valore semantico che afferisce alla sfera tecnica della eritica letteraria € valgono a quallificare negativamente il linguaggio, lo stile ei contenuti delle commedie aristofanee; in merito c greta 193 n. 18. Sull'avverbio yuypax inteso nel senso traslato relativo alli insipidezza letteraria cfr. La Rut VAN HOOK, yugpoms # r6 vuredv, "CPh* 12, 1917, pp. 68-76 K. GUTZWILLER, yuzpdc und Byroy. Zurich 1969; G, Ariceia RICCIARDELL, TS yugpdv, "Helikon” 13/14, 1973/4, pp. 407-413; M, L. Cuinico, Per wna poetica di Aristofane, "PP* 45, 1990, pp. 95-115. Presenze e valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 159 campagna, 0 un dio, o una vecchia, 0 un eroe. Al contrario, Menandro presenta una $péorg che sa adattarsi a personaggi di varia natura, rimanendo compatta pur nella sua eterogeneiti e nonostante qualche isolato effetto anomalo se l'azione lo richiede; ¢ in questo egli si comporta come un auleta che, aperti d'un tratto tutti i fori dello strumento, con sicurezza poi li richiuda e ristabilisca il suono nel suo normale registro’. Giusto a meta dell'opera il discorso va a concentrarsi pit precisamente sulle modalita di comunicazione dei due poeti eli si ha una conferma dell'impressione di cui si diceva prima. Se Menandro, infatti, viene esaltato per il costante ricorso al criterio del "verosimile" (10 mOavov)’, che lo fa risultare persuasivo e soddisfacente in tutte le occasioni ~ a teatro, a scuola, nei simposi -, Aristofane ¢ censurato perl'ostentato "autocompiacimento" (avOdSera) intollerabile ai pid, nonché proprio per |'"intemperanza" (@xdAactov) ¢ la “malizia" (KaxénGec), che non piacciono ai saggi: vale a dire, in altre parole, per via di quella mancanza di misura che rende le sue commedie “simili ad un’etera sfiorita che volesse poi imitare una moglie" (donep étaipag tig Roujoews napyKLaKviag Elta ppouRevys yore) Per ribadire la condanaa, infine, dopo un ulteriore riferimento alle arguzie stilistiche, per cui ad Aristofane sono attribuiti sales mordaci ¢ corrosivi di contro a quelli di Menandro che figurano addirittura come "sacri" (igpoi)’, l'autore passa ai contenuti ¢ sottolinea che Aristofane 'peggiora’ qualsiasi cosa rappresenti, sicché nelle sue commedie |'astuzia non é urbana ma maligna, la rustichezza * Sulla metafora dell'auleta usata da Plutarco cfr. F. PeRUsINO, Menandro come auleta: una metafora musicale nel Confronto tra Aristofane e Menandro, in MOYEA,"Scritti in onore di G. Morelli”, Bologna 1997, pp. 167-170. »'Sul péxov ¢ sul mWavdv come fondamenti dell'estetica del comico per Plutarco cfr. Di FLORIO, pp. 24-25. Per lo stesso motivo Plutarco bandisce I'dipyaia dal momento simposiale, perché i suoi discorsi sono disordinati, eccessivie licenziosi, laddove quelli della véa si presentano piacevoli ¢ pieni di massime di saggezza, assolutamente appropriati, fino al punto che “si potrebbe regolare la bevuta pid senza vino che senza Menandro™ (quaest. conv. 712B). Sul valore particolare, che assume la metafora dell’etera nel contesto della critica letteraria sulla commedia, cfr. IMPERIO, pp. 195-196 en, 23. ” Per il valore semantico che assume qui l'aggettivo tepéc eft. V. DE FALCO, Note menandree, in Studi sul teatro greco, Napoli 1958, pp. 184-226, in part. p. 205 ss. che lo mete in relazione alla categoria del cepvos A6yos ¢, quindi, all'eufemismo dettato da esigenze di decenza ¢ convenienza morale. 160 Maria Di Florio non é semplice ma sciocca, il ridicolo non @ scherzoso ma risibile, e l'amore non é lieto ma lascivo. Conclude, quindi ha seritto per nessun uomo morigerato, ma turpitudini ¢ lascivie per gli intemperanti e calunnie e cattiverie per gli invidiosi e i maligni*. Nello sviluppo dell'argomentazione trovano posto ben otto riprese attinte al repertorio delle commedie aristofanee, la cui presenza — concentrata in Comp. Arist. Men. 853BC - potrebbe forse giustificarsi, a dispetto dell'assenza di versi menandrei, in quanto funzionale all'intento dello scrittore di dare risalto all'irrazionalita del suo bersaglio critico piuttosto che ai pregi di Menandro, senza dovere per forza sospettare un testo ‘stralciato’ e quindi mutilo di citazioni di quest'ultimo originariamente presenti’. Innanzitutto, riconosciamo il fr. 724 K.-A.: ‘ématveitar yap" gnaw ‘ét tobs tapias éfanticey, ody tapiag GAG Aauias dvtac’. Ilriferimento ¢ modulato in forma di parafrasi dal compilatore del compendio che, con un gro. di passaggio, riporta qui cid che Plutarco scriveva nel suo trattato: é proposto a prova dell"'abuso’ di figure retoriche, dal momento che contiene una Paronomasia (rapiag.. Aapiac) e stabilisce, al tempo stesso, un gustoso gioco di scaml semantici tra i tesorieri, preposti alla conservazione e all'amministrazione del denaro pubblico, ¢ il mostro leggendario protagonista di tutta una serie di favole orribili che madri e nutrici raccontavano ai bambini per spaventarli. *B proprioa questo punta che E. WALGIGLIO, Htema della poesia nel pensiero di Plutarco, "Maia" 19, 1967, pp. 319-355, qui 352, vedrebbe comparire, dopo un‘analisi prettamente estctica, |'interesse moralistico, che, a suo avviso, si sarebbe probabil mente sviluppato nel seguito del compendio, purtroy spp mutilo, Pare, perd, pid plausibile che qu! sia rivelato dichiaratamente quello che prima si era lasciato comungque intuire col riferimento alle arguzie stilistiche, generando la reticenza € preparandoanimo del lertorealla condanna esplicitaeconclusiva. Antlogamente, LEBE, p. 106, nota che nel contesto dell’opuscolo la valutazione stessa del linguaggio sicolora di una valenza moralistica, ¢ cosi anche TAGLIASACCHI, p. 108, riconosee come I'opuscolo sia basato al solito "su di un principio di valutazione extraestetico". CAMMAKOTA, p, 103 8. a sua volta insiste pid propriamente sulla preoecupazione pedagogica che guiderebbe Plutarco nel ‘analisi degli element artastici *'Nella Notice che accompagna la Comparatio nell'edizione "Les Belles Lettres", Lactitnaun, p. 9%, invece, sottolinea fin jolarita dell'assenza di versi menandrei, notando che "ce traitement différent des deux ocuvres a de quoi surprendre dans une comparaison qui prétend se fonder essentiellement sur le style et le vocabulaire” ¢ mette in conto che nulla garantisce l'assoluta fedelta di un compendio al saggio originale. Presenze ¢ valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 161 A questa parafrasi tengono dietro vere e proprie citazioni, elencate I'una di seguito all'altra e collegate solo dalla congiunzione xai, le quali presentano modifiche pitt o meno rilevanti rispetto all’ originale aristofaneo. La prima &: obdtos Hto1 Kaxiag 7 Guxodavtiag nvei. Si tratta di una ripresa piuttosto "variata' di Eq. 437: ds obtog H5n Karxiag H ovKogavtiag mvei. Nel contesto della commedia a parlare é il I Servo, sotto la cui figura si deve riconoscere Demostene, artefice dell'umiliazione dei soldati spartani a Pilo nell’ estate del 425 a.C. La batvuta si inserisce nel fitto confronto tra Paflagone, il furfante, il gabelliere che divora i beni dello Stato, ¢ l'anonimo ma altrettanto losco Salsicciaio che gli contende il governo della citta e lo attacca con acredine e sarcasmo. Appoggiando l'ascesa di quest'ultimo, il [Servo ora indugia a fare la cronaca della situazione, ora si impegna in consigli e vive esortazioni. Nello specifico egli fa un commento su Paflagone che ha appena accusato il Salsicciaio di aver rubato tanti talenti agli Ateniesi e, mettendo in guardial'imputato, gli dice di fare attenzione "ché costui ormai soffia vento di... grecale o di... delazione" (trad. Mastromarco). Il testo della Comparatio, cosi come ci pervenuto nella forma del compendio, presenta delle varianti, A parte l'uso di frot al posto di Hn", la variante pid significativa ¢ kaxiag su cui c'é il consenso uniforme della tradizione dell'opuscolo, che consente con una parte della tradizione diretta di Aristofane'!. Grande é |'incertezza di fronte ad una situazione del genere, perché 2 presumibile che nel compendio si tratti di una citazione di seconda mano: il termine kaxiag potrebbe codici che trasmettono il compendio della Comparatio hanno ito. convergendo con il pitt autorevole codice aristofaneo, il Raven. 429. Gli altri codici di Aristofane, invece, ¢ ciod il Ven. Mare. Graec. 474, il Parisin. Graec. 2712, l'Ambros, L 39 sup. ¢ il Laur. plut, 31, 15, hanno la lezione ijn, Per la constitutio feces delapuscols non’? affacto motivo di non accogliere la variante jirat che d'altra parte, perfettamente giustificata in correlazione col successive i (efr. J. D. Denniston, The Greek Particles, Oxford 1954, p. 553). " I codice Raven, 429, il Ven. Marc. Graec, 474, il Parisin, Graec. 2712, T'Ambros, L 39 sup. hanno xaxiag, mentre la lezione xatkiag ¢ trasmessa dal Laur. plut. 31, 15 ed @ attestata negli scoli. Gli editori di Aristofane accolgono unanimemente xauxiag (cfr. anche TAILLARDAT, p. 182) ¢ gli editori di Plutareo, a partire da WyrTeNnacn, correggono il testo trasmesso dai cod 162 Maria Di Florio chiaramente essere una banalizzazione dovuta ai copisti, ma non si pud escludere che, invece, risalga al compilatore del compendio o addirittura a Plutarco stesso, o per un errore involontario o per una scelta effettiva, magari a seguito di un confronto con un testo di Aristofane, che accogliesse, appunto, tale lezione!?. Sembrerebbe forse pid prudente conservare nel testo del compendio la lezione dei codici plutarchei. Occorre precisare perd che cid comporta una diversa funzione logica dei termini: la dove katxiag pud essere nominativo singolare, oppure accusativo plurale, ¢ cosi pure ouxogavtiac ad esso coordinato, Kaxiag ¢ senz'altro un accusativo plurale ¢, pertanto, determina anche la funzione di ovxogavtias. Non ci sono, perd, difficolta, dal momento che rvéw ¢ frequentemente attestato con valore transitivo nel senso di "spirare”, soprattutto in poesia”: non ci troveremmo, quindi, di fronte ad un personaggio che viene assimilato al vento, maad uno che “spiffera" malignita ¢ calunnic. Nell'esemplificazione dello stile “eccessivo’ di Aristofane, Plutarco poteva citare il verso per il suo colore retorico, particolarmente per l'omeoptotoe peril valore metaforico dello stesso verbo nvéu (proprio dei venti ¢ qui usato per la delazione). Va da sé che, qualora realmente nel testo del trattato originale ci fosse Kaixiag, il Cheronese doveva aver notato il gioco di parole che nasceva dalla confusione xauxias/xaxias" eancor di pit leffetto-sorpresa provocato dal paradossale accostamento di un fenomeno meteorologico come il vento di Nord-Est ad un motivo legato alla sfera giuridico-morale com’é quello della calunnia, o meglio della delazione. In tal caso, bisogna riconoscere che la citazione sarebbe sicuramente molto pid efficace nella finalita di stigmatizzare lo stile del pocta. Sono citati, poi, Eg. 454-455: ydorpite xai twig Evrépors xa toig noAoIg 9, " Pur usando la dovuta cautela nell’applicarlo al caso specifico, non si trascuri nemmeno di ricordare il fenomeno della ‘neutralizzazione'grafica di t nel dittongo at, attestato in alcune iscrizioni a partire dal VI sec. a.C.: ved. S. T. ‘TeoDORSSON, The Phonemie System of the Attic Dialect, 400-340 B.C., Géteborg 1974, pp. 97-99, 191-197. » Cle, ThGL s.v. avéw 1263 B; per l'esegesi ved. comunque COULON, | p99, ¢ MASTROMARCO, p, 248 n. 67, " Cfr, Nutt, p, 67, che, oltre che con xaxiag, include nel gioco di parole una confusione con aixias, ' Latradizione manoscritta dell opuscolo presenta varianti, che non trovano nessuna rispondenza nella tradizione diretta di Aristofane ¢ che non & possibile Presenze ¢ valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutareo 163 I versi illustrano le ‘dritte' del I Servo sul modo con cui il Salsicciaio potra vincere Paflagone: "dagliele al ventre con le trippe e le budella" (trad, Mastromarco)"*, II distico doveva, senz’altro, essere citato per l'omeoptoto, ma forse anche per il gioco di parole tra il verbo yaotpiC e i sostantivi évtepa e KGAc, afferenti al medesimo campo semantico”’, Segue, quindi, il fr. anepigrafo 629 K.-A.: ‘bmd yédurog eig PéAav doigonan'’, Con il curioso scambio semantico tra |'atto del ridere ¢ il nome della citta di Gela, il verso costituiva un chiaro esempio di quella che accoglicre. Tutti i codici plutarchei, infatti, hanno yaotpi Cf e wwéAoLS, La lezione ‘chotg, innanzitutto, sembra non avere senso compiuto coordinata conil sostantivo évréporg; piuttosto si trattera di un errore gencrato dall’omofonia. E preferil pertanto accoglicre nel testo, con WrTreNbAct, la lezione dei codici aristofanci. Analogamente, anche la lezione yaorpi {fj sari dovuta ad un errore di copiatura e non si potrh conservare nel esto. A parte le scars attestazioni del verbo Sw in combinazione con il dative privo di preposizione - eft. ThGL s.v. Caw 11 BC - lezione non risulta convincente nemmeno nella logica del contesto. Infant nell'esposizione dimostrativa dei giochi di parole usati di Aristofane, 'espressione varrebbe a segnalare solo un certo eattivo gusto nell'attenzione a quel filone della naturalita bassa rappresentato appunto da elementi come il yactip o |" Evtepov o il kOdov € avrebbe, pertanto, un valore paradigmatico poco incisivo, Pid calzante, invece, risulta 'espressione yaoxpite xai wis Eveéporg Kai toig KOAOLG, che da vita ad un‘immagine forte e vivace, la quale non pub essersi confusa alla memoria né di Plutarco né del compendiatore. "*Sulle scene di randellate nelle commedic aristofanec si veda almeno ALBINI, pp. 65-74. Nel testo di Aristofane seguiva un ulteriore gioco di parole tra lo stesso sostantivo Roda ¢ il verbo wondGeL¥ (“castigare, punire"), usato immediatamente dopo nel v, 456. In merito ved. SoMERSTEIN 1997, p. 168, ¢ NEIL, * Plutarco & unico testimone di questo frammento di Aristofane ed assume, pertanto, un'importanza fondamentale. Anche in questo caso la tradizione manoscritta presenta lezioni poco probanti. Tutt i codici tramandano la lezione dell'infinito sostantivato %6 yeAav, Gli editori, a partire da XYLANDER, che traduce: "prae risu ad Gelam (quod ridere est) perveniam”, intendono un riferimento alla citth di Gela e correggono Tékav espungendo l'articolo. Solo nella prospettiva di tale interpretacfone diventa molto efficace il gioco di parole. Non sarebbe una noviti in Aristofane, visto che anche altrove il nome della citta di Gela ® impiegato come termine di confronto per un buffo gioco di parole: et. Ach. 606 rot 8' Ev Kayrapivy xav Péag xév Karayéag, D’altra parte, in relazione a cid pud essere interessante il fatto che un gioco di parole simile, con lo scambio semantico tra nome proprio € nome comune, registrato ancora in un altro passo di Plutarco, il quale quindi si dimostra sensibile a questo tipo di figure retoriche: cfr. Dia 5, 8, 164 Maria Di Florio a Plutarco appariva come frivolezza e vacuita delle battute aristofanee. Di fabula incerta 2 anche il fr. 661 K.-A.: ti 8€ G01 Spciow xaxdSaipov, augopeis eootpaxrobeig,"”. L'interpretazione pare sicura: un uomo cacciato via per un voto di ostracismo si assimila paradossalmente ad un'anfora “ridotta in cocci"®. $'insiste, quindi, sul gioco di parole che provoca il verbo éEootpaxicery, il quale dal significato letterale (*ridurre in cocci") trapassa al valore semantico metaforico di “ostracizzare". Pid ‘pungente’ & la citazione di Th. 455-456: Gypraa yap twas, & yuvaines, Spa xaxd, Gx év dypiown tig Aazavors abrds tpadeic. E una donna del Coro a parlare. Dopo lal Donna, una Il Donna prendela parola e denuncia I'irreligiosita di Euripide, il quale, negando l'esistenza degli dei, I'ha privata del suo lavoro, che consisteva nell'intreeciare corone di mirto da offrire come doni votivi. A questo punto, peraltro, gli rinfaccia le umili origini. Sfruttando il ridicolo gioco di parole ottenuto con il poliptote ¢ l'assonanza, si fa leva, insomma, sul doppio senso dell'aggettivo ayptog, tipico della tragedia, che vale ora in riferimento alle “cattiverie” ora agli “ortaggi*?', e viene lanciata malignamente una 'frecciata' relativa all'occupazione della madre di Euripide”, E probabile che non sia un caso che nel ‘proceso’ ad Aristofane venga citato proprio un passo contenente un attacco dove il tiranno di Siracusa Dionigi dice che Gelone era diventato il "riso” della Sicilia (tv Peden... yehara tik Lixedtas yeyovdvar), Soomevars Ia lezione dei codici non ha senso, perché si tratterebbe di una freddura ins + forza del riso arriverd a ridere"?), che certamente non poteva essere re Gone om confusione del compendiatore, "Anche questo frammento & testimoniato dal solo Plutarco, MrtNexe avanza congetture per ristabilire il metro (+i dita Spdow o', & xaxddaywov, dydopede/ e£ootpaxiobeic;), ma t preferibile conservare con gli editori Kassei~Austin la lezione dei dal momento che non @ oggettivamente possibile individuare confini precisi di verso. # Su questa immagine eft. TAILLARDAT, p. 426. ” Cfe. TAGL s.v. dypiog 478 B-C. 2 Cfr, SOMMERSTEIN 1994, p, 387, ¢ Aristofane, Le donne alle Tesmoforie, a ©. di C, Prato, Milano 2091, p. 244, Presenze ¢ valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 165 del commediografo ai danni di quello che risulta essere il tragediografo pit caro ¢ dalla sensibilita pid affine a Plutarco”. Le ultime due citazioni, infine, sono entrambe tratte dagli Acarnesi ¢ appartengono al medesimo contesto: il serrato confronto tra il generale Lamaco ¢ il contadino Diceopoli che irride la guerra. Sitratta di una ripresa di Ach. 1111, citato con qualche leggera modifica: AA. G02 ai tprzdfipmtes tov Adgov pou Katégayov"’, edi Ach. 1124-1125: AA. 9épe Sebpo yopyovarov donidog xUKhov. Al. Kapok Aaxodvt0s typdvwtow bog xUKhov"*. Nel primo caso |'attenzione 2 puntata su Lamaco: chiamato all'improvviso a montare la guardia e ad affrontare il nemico ai passi innevati, egli controlla le armi ene nota con solenne gravita il logorio, constatando come le tarme gli abbiano corroso il cimiero. Nel verso » La profonda ammirazione per Euripide mostrata dalle numerosissime citazioni tratte dalle sue tragedic, di cui sono prodighi gli scritti del Cheronese. Si vedano al riguardo ZieGLeR, p. 334 s.; SCHLAEPFER, pp. 42-56, ma cfr. anche Hetwgoup-O'Nen, pp. 30-33;5. G. MITcHeLt, An analysts of Plutarch's quotations from Euripides, Diss. Univ. of California 1968; D1 Grecorio 1980, pp. 46-79% P. Carrara, Plutarco ed Euripide: aleune considerazioni sulle citazion euripidee in Plutareo (De aud. poet.), "ICS" XIII 1988, pp. 447-455. Cf. Ar. Ach. 1111: ddd" H tprySPpares tods K4goug wou karégayov. 1 codici del compendio presentano delle varianti. Innanzitutto, hanno tpizopdotpuyes ©, con variante omotonica, tpizoBderpizes, che perd & forma non attestata. Va accolta, pertanto, la correzione: probabilmente l'errore si sara originato sulla base di un‘assonanza con fdotpuzog. Consentono, invece, sia nell'uso dell'articolo al posto della particellaf, sia nel singolare tov Adgov sostituito al plurale robs kdgoug della tradizione aristofane: entrambi i casi non c't motivo di intervenire sul testo, perché le due varianti si giustificano facilmente nell'ambito dell operazione di citare a memoria. 7 manoseritti plutarchei 10 Yepdventoy / ynpdvenroy / yapdverov, che sembrano corruttele di un ori io tupdverov. La forma yupdvarov sara, probabilmente un errore di maiuscola derivato dalla lettera T letca T (cfr. Aristophanes, Acharnians, edited with introduction and commentary by S.D. O1son, Oxford 2002, p. 343). Quanto a ynpéventov e yapsvaroy, invece, & imile che l'errore si sia originato sulla base di un antigrafo gid corrotto, nel primo caso per omofonia yu / ym, nel secondo per una confusione paleografica tra ye ya. E opportuna, pertanto, la correzione degli editori. 166 Maria Di Florio successivo, che perd non é citato da Plutarco, campeggia, invece, Diceopoli intento ad emularlo... nel preparare un succulento banchetto! La contrapposizione che qui appena evocata ? messa poi in maggiore risalto nella citazione successiva, dove ¢ ripreso |'intero distico di battuta ¢ risposta dei due personaggi: il generale si prepara alla guerra e reclama lo scudo con la figura della Gorgone; il contadino, dal canto suo, impartisce disposizioni culinarie e richiede una focaccia ricoperta di cacio”, A prescindere dagli omeoptoti e dagli bapax legomena yopyovatos ¢ tupdveatos, modellati su due epitcti per gli scudi usati in tragedia”, pare che queste due ultime citazioni siano proposte proprio come modello di un'antitesi, che si esprime materialmente nell'inconciliabilita tra due stili di vita. E appare chiaro per quale di essi potesse nutrire simpatia Aristofane. Al gusto per l'ironia che dissacra anche il senso del valore militare ¢ dell'onore personale, corrisponde perd chiaramente il fastidio di Plutarco. Gli elementi critici che emergono dall'opuscolo valgono, dunque, ad evidenziare una valutazione del commediografo nient'affatto positiva ¢ le stesse citazioni, essendo estrapolate ex abrupto dal contesto delle commedie e private cosi di un senso logico compiuto, sono astutamente impiegate come esempi di quella presunta irrazionalita che il Cheronese imputa al teatro aristofaneo”. Non si pud trascurare, tuttavia, come il pensiero di uno serittore non si esaurisca mai completamente in una sola opera scritta da lui, La Comparatio potrebbe corrispondere solo ad una fase temporale del pensiero plutarcheo”, senza esplicitare necessariamente, peraltro, tutte le varie ¢ possibili component di un personale giudizio globale. Si comprende facilmente, allora, che I'analisi dell'opuscolo, per quanto dettagliata, non pud bastare per un'indagine che tenti di ricercare l'intimo sentire di Plutarco, a maggior ragione, poi, per il fatto che ne conserviamo solo un compendia, il quale, per quanto sia fedele, tale rimane e per sua natura non lascia cogliere l'evoluzione del % Chr. TAIL AKDAT, p, 97, Sul valore della parola winchos, invece, ved. 1D. p. 367. 2 Cfr. Eur, Tro. 1136 ¢ Phoen. 1130. » Cr. PLent, p. 107, ¢ DMPERIO, p. 193 s. » E probabile che Plutarco abbia composto la Comparatio in gioventii: fr. JEUCKENS, p. 68; Z1eGLEX, p. 359. Per Pune, p. 104, l'opuscolo raccoglie un'idea manifestatasi nello scritto giovanile De se ipsum citra invidiam laudando (547 C-E). Presenze e valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 167 giudizio 0, anche, scoprire eventuali contraddizioni interne. Sara opportuno, pertanto, allargare l'indagine all'intero corpus della produzione plutarchea, per trovare o meno un sostanziale riscontro di quello che & gia emerso. La nostra ricerca si concentrera sui Moralia® ¢, sulla base del repertorio di Helmbold ¢ O'Neil", rivisto da Totaro™, tender’ ad enucleare le citazioni proprie ed occulte del commediografo. All'clenco dei dati statistici, "utili per definire in termini quantitativi la ‘presenza' delle commedie nella memoria letteraria di Plutarco", si accompagnera di volta in volta anche il tentativo di una riflessione sulle ‘situazioni’ di impiego della fonte comica stessa, in modo tale che ne risulti, indirettamente, l‘opinione che ha Plutarco in merito. Lo screening rivela che, tra citazioni ¢ rimandi impliciti, i versi di Aristofane ricorrono circa trenta volte ¢ sono tratti da quasi tutte le commedie™. a) Equites Maggiormente citata dal Cheronese & la commedia dei Cavalieri, notoriamente anticleoniana, ‘riusata' per corroborare l'aggressivita espressiva nei contesti di argomento politico in senso lato. L'ostentata rabbia dei vv. 454-455 citati nella Comparatio torna, infati, anche in diversi altri opuscoli. In.am. prol. 497B, ad esempio, 1a dove, tratando il tema della trasmissione dell' eredita dai padri ai figli, il discorso cade su chi i figli non li ha ed 2 circondato da una serie di ‘arrampicatori sociali’, sono citati Eg. 50-51, introdotti come ai KopiKal oevai’: 6 Aine, Kodom. mpGrov éxdixdoas piay, EvOov, pognoov, Evtpay’, Exe tpudforov. » Nell’analisi saranno incluse anche le presenze rilevate negli opuscoli dei Moralia la cui autenticitd 2 messa in dubbio dagli studiosi. Cf. Hetmpoip-O'Net., p. 7s. ® Chr. TOTAKO, p. 198 5. che si occupato di analizzare le presenze nelle Vitae dell'apzaia in genere ¢ di Aristofane in particolare. SZaneTTO, p. 319. “La rassegna che segue sari presentata secondo un ordine numerico decrescente delle riprese dalle varie comedic. Per i versicitatio riecheggiati presi in esame da qui in avanti sari adottato il testo di Plutarco curato per l'edizione “Les Belles Lettres”. 168 Maria Di Florio Le parole di Paflagone, che con un atteggiamento di finta premura blandisce il padrone Afwos, invitandolo a lavarsi, a mangiare ¢ a bere, ritirando la paga intera di tre oboli dopo aver giudicato appena una sola causa, celano l'astuzia di chi mira ad un proprio tornaconto personale ¢ si addicono, pertanto, perfettamente alle voci degli estranei che circondano di cure ¢ riguardi l'uomo senza figli in vista dell'eredita. Plutarco, che pare dovesse avere una conoscenza per lettura diretta di questa commedia’, non esita ad impiegarle, in modo tale da far scattare automaticamente il confronto ¢ condannare, pur tacitamente, l‘iniquita di un simile comportamento. ‘Talvolta, poi, la citazione é impiegata per tratteggiare meglio un personaggio. Cosi, in cwrios. 517A Plutarco attraverso una similitudine (Kai KaBdnEp TOD KMpMdoUpéVOD KALevoc...) adatta al suo ritratto del ficcanaso la descrizione di Cleone che si trova in Eq. 79: Wh xeip’ ev Aitwhois, 6 vobs év KAomdav. Siamo all'inizio della commedia ¢, parlando con il II Servo, a un certo punto il I Servo fa la caricatura di Paflagone, alludendo con giochi paretimologici alla sua ‘onnipresenza' ¢ alla capacita di non lasciarsi sfuggire niente”. Le connotazioni semantiche degli Etoli, il cui nome é allusivo delle continue richieste (aiteiv) del demagogo ateniese, ¢ dei Clopidi, che etimologicamente richiamano il concetto del rubare (Aon), si estendono pertanto alla figura del’ 'impiccione’, che fa richieste indiscrete e sottrae dettagli privati alla vita degli altri. Analogamente, la ripresa della stessa commedia giova a disegnare la figura dell'uomo di governo in praec. ger. reip. 804C, dove & citato Eq. 137, che 2 saldato al testo senza nessuna formula introduttiva: pra’ Kexpaxms, Kuxdopdpov goviy ézov. Anche in questo caso, il verso fa parte del colloquio iniziale tra idue servi ed @ pronunciato dal I Servo, il quale adesso legge l'oracolo Ry p. 59. » Per la spicgazione dei giochi paretimologici qui presenti ¢ soprattutto per KAwmidat coniato sulla base di Kpanidat cfr. © £q. 79 Jones. Si veda anche SOMMERSTEIN 1997, p. 149. Presenze e valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 169 di Bacide che prevede il destino di Paflagone, "un rapace, che strilla con la voce di Cicloboro" (trad. Mastromarco). C’é da fare, perd, una distinzione: il valore negativo che il comico esprime in questo verso, con il quale intende colpire l'impetuosa oratoria del detestato Cleone, paragonandola ad un fiume in piena™, sfuma nel contesto plutarcheo nella rassegna delle qualita positive che, al contrario, & opportuno lo statista possieda. Infatti, il Cheronese sottolinea ¢ rimarca limportanza della fermezza di voce ¢ della forza dei polmoni come armi da impugnare nella violentissima lotta per il potere, al fine di avere un sicuro sucesso. Si tratta, insomma, di una di quelle riprese ‘per contrasto’, se cosi si pud dire, che, interpretate diversamente rispetto all'intenzione autentica del poeta, valgono a yeicolare un messaggio funzionale al contesto nuovo nel quale sono inserite. Una chiara ripresa in chiave polemica, invece, ¢ in Alex. fort. virt, 337E, in cuié presente Eq. 1056, citato con valore emblematico e senza che sia fatto il nome del poeta: ai xe yovh $épor Gx0, éxei xev dviip ava8ein. Si tratta questa volta proprio del Salsicciaio, il quale deride Paflagone (alias Cleone) a proposito dell'impresa compiuta a Pilo, il cui felice esito si doveva piuttosto ascrivere a Demostene, e dice, alludendo presumibilmente allo stato di una donna incinta, che "anche una donna sa portare un peso, se un uomo glielo mette addosso" (trad. Mastromarco). La citazione é di secondo grado, perché si tratta diun verso che Aristofane traevaa sua volta dalla Piccola Iliade (fr. 2 Allen). Sono gli scoli alla commedia ad illustrare quello che doveva essere il contesto originale: dopo la morte di Achille, si discute chi debba prenderne le armi, Aiace oppure Ulisse. Si decide cosi di scoprire chi preferiscano i Troiani ¢ vengono collocate delle spie sotto le mura della citta per ascoltare i discorsi dei passanti. E raccolta la conversazione di due ragazze che parlano l'una a favore di Aiace, Taltra a favore di Ulisse. La prima esalta, infatti, il valore di Aiace, che si caricd sulle spalle il corpo di Achille ¢ lo portd fuori della mischia, ma la seconda, per ‘diminuire' l'azione dell'eroe, risponde a ™ Sull'immagine metaforica, che mette a confronto la figura del poeta € quella dell'oratore con un torrente, cfr. TAILLARDAT, p. 284 $. 170 Maria Di Florio sua volta con questo verso’. Nell'opera plutarchea, la citazione é introdotta nell'arco di una riflessione sulla magnificenza degli onori e viene proposta per essere smentita: non basta essere 'maschi’ per ottenere ¢ conferire potenza ¢ ricchezza — anche un bambino o una donna possono riceverle ¢ darle = maa fare la vera differenza tra gli individui intervengono virta, magnanimita ¢ intelletto. Ecco dunque come la ripresa vale, qui, a fornire il pretesto perché i] Cheronese esprima in tono pitt acceso il suo pensiero. Olure alle citazioni esplicite ed evidenti, poi, la commedia dei Cavalieri torna in altri luoghi dei Moralia, che pure lasciano indovinare una pid o meno precisa reminiscenza del testo di Aristofane, attraverso i cosiddetti richiami impliciti che, talvolta, sembrano dei veri riecheggiamenti involontari prodotti per effetto di un naturale processo di introiezione”, In praec. ger. reip. 802C, ad esempio, alla domanda del re di Sparta su chi fosse piti forte, lui o Pericle, Tucidide di Melesia risponde: “ovk Gv eidein tig" eimev' "Stay yap éyd KaTaBGAM madaiov, Exeivos A€yov [ti Rentoxévar vind Kai meiBer tods Be@pévous", "nessuno potrebbe dirlo: infatti quando lo abbatto nella lotta, egli, dicendo di non essere caduto, vince persuadendo di cid gli spettatori ¢ la vittoria @ sua" (trad. Caiazza). Sembrano riprese, con valore metaforico, le parole di Eq, 571-572, versi che appartengono all'elogio pronunciato dal coro dei cavalieri per gli uomini valorosi del buon tempo antico, dove appunto é rappresentata un'analoga scena: ei 5€ nov nécotev ic TOV dpov év payn twit, /todt Gneynjoavt Gy, el’ ipvoivto wh rextoKévanr, “ese mai in battaglia cadevano supini, si toglievano di dosso la polvere, negavano di essere caduti" (trad. Mastromarco). Al rimando contenutistico si accompagna, come si nota, l'eco lessicale di pi) nentwxévan, la quale é, peraltro, ammantata di un valore pregnante che penetra tutto il racconto: la resistenza ad oltranza al nemico, con la conseguenza di negare le cadute, diventa prerogativa dell'uomo che difende la n6Atg ¢ ad essa ? tributata la profonda ammirazione dello scrittore*'. » Cir. ¥ Eg. 1056a Jones. * Si veda quello che Di Gruconio 1979, p. 12 s.,notaa proposito dei tragici. “Non si pud trascurare di notare, perd, la somiglianza del contesto plutarcheo anche con il canto del I e del II Semicoro nella parabasi della commedia degli Acarnesi, a partite dal v. 676 ss., dove appunto sono esaltate le battaglie che i Presenze e valutazione di Aristofane nei Moralia di Plutarco 171 Una ripresa pitt viva & quella di vit. aer. al. 829B. In un discorso sulla necessita di evitare di approfittare del denaro altrui, |'autore denuncia le brutte beghe degli usurai ¢, a un certo punto, costruisce un parallelismo tra Pilo e l'interesse: i&yetan piv napa Mesonviots' “Eott MvAog xpd MMvAoto, MUAog ye pév €or Kal GAAog AexOhoetar Be npds tog Savetotdg’ “Eoti toKog xpd téKoLo, toKos ye pev goth Kai GAAog, E facile riconoscere qui la parodia di Eg. 1059: "Eom Fva0g mpd I0Ao10 -Ti todto LEye1, mpd MUACLO"; Quasi ‘giocando’ con le parole, per caricare di ironia I'attacco ad una pratica che evidentemente reputa riprovevole, Plutarco trova quanto mai appropriato il modello aristofaneo che gli propone la formula della ripetizione ossessiva della parola-chiave: come Paflagone ripete pid volte il nome di Pilo per ricordare ai presenti il luogo, in cui ha trionfato ¢ catturato i soldati spartani, cosi il Cheronese insiste sul tékog, quasi a volerlo demonizzare. In questo caso, quindi, proprio il gioco di parole imputate nella Comparatio ad Aristofane tra gli artifici pid intollerabili delle sue commedie diventa strumento utile a rendere la sua personale idea. b) Acharnenses Ispirata ad una grottesca irrisione della guerra e dei suoi fautori, anche questa commedia compare piii volte nei Moralia. A parte le due citazioni della Comparatio, un’altra citazione si pud individuare in adulat. 71D, dove leggiamo: ‘Apiotopavng dé Kai tov KiAgova. tour éyxadelv onow ot Eévov napéviow thy ROA KaKGs MEyeR. Si tratta di un libero adattamento di Ach, 503, dove invece che in terza persona singolare il discorso é in prima persona singolare (kévav xapédvtiey thy mdktv Kaxds Ayo). II verso contiene un veterani ateniesi combatterono per mare, distinguendosi per la foga senza tregua mostrata a Maratona, fino ad arrivare al v. 702 s., dove & menzionato lo stesso quale viene questa volta rappresentato come un veechio deriso da giovani sicofanti corrotti. # I verso, probabilmente in origine un proverbio, illustra una disputa tra gliabitantidi tre luoghi del Peloponneso oceidentale che portavano il nome di Pilo ¢ si contendevano l'onore di essere stati il regno di Nestore. Cf. anche Str. 8, 3, 7. 172 Maria Di Florio riferimento ad una notizia molto interessante relativa alla diversa composizione del pubblico degli agoni lenaici e degli agoni dionisiaci: Diceopoli sostiene che Cleone questa volta® non potri calunniarlo con l'accusa di parlare male della citta in presenza di stranieri, chiarendo che la rappresentazione si sta svolgendo nell'ambito di un agone lenaico (a cui gli stranieri abitualmente non assistevano). Nel contesto plutarcheo la citazione si inserisce nel discorso sulla franchezza come alternativa all'adulazione. Pur non approvando nessuna forma di adulazione, Plutarco, tuttavia, mette in guardia anche dai pericoli di una franchezza 'sguaiata'e ‘irrispettosa’, quella che si manifesta, cio’, in momenti poco opportuni, e ricorda come esempio l'attacco portato da Aristofane a Cleone nei Babilonesi, citando appunto questo verso degli Acarnesi, in cui il poeta lamentava per bocca del suo personaggio il rimprovero ricevuto dal demagogo per la precedente ‘licenza™. Un‘allusione implicita si coglie, invece, in Herod. mal. 856A, lA dove, nell'arco di una pid ampia riflessione sul metodo usato dallo storico di Alicarnasso, é criticata la cattiva fede degli scrittori che tendono ad accogliere la versione dei fatti meno credibile. E segnalato, allora, a titolo dimostrativo, il caso dei poeti comici, i quali raccolsero le voci diffamatorie che circolavano sul conto di Aspasia ¢ Fidia - voci per le quali sarebbe stato colpito indirettamente lo stesso Pericle - e ricondussero le cause della guerra del Peloponneso alla stizza provata dallo statista ateniese piuttosto che ad una giusta ambizione di mettere un freno all'arroganza peloponnesiaca: donep ot KapIKOL ‘tov nOAcHOV Ud TOD MepiKAgous Exkekadodat 61’ “Aoraciay 7 1a Perdsiav dxogaivovtes, od oLdotimia tivi Kai oLAoviKia HGAAOV stopéoa tO opdvnna Metonovvnsiay Kai pndevos voeic@ar Aaxedatpoviors 8eknoavt05, Il primo ‘indiziato' di quei poeti comici a cui l'autore del de Herodoti malignitate alluderebbe @ Aristofane, che non a caso presenta due versioni assolutamente assurde dello scoppio della guerra, facendo, perd, sempre coincidere l'inizio delle ostilita con il decreto emesso da Pericle ai danni di Megara, che avrebbe poi chiamato in causa Sparta. Precisamente, in Pax 606-611 la causa di © Rispetto alla volta precedente in cui furono rappresentati i Babilonesi, come

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