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Amedeo Cencini
Prima generazione che discerne – dall`indifferenza giovanile alla grazia della scelta.
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Giovani come simbolo di una Chiesa che si rinnova
Ciò che abbiamo detto, è stato possibile sperimentarlo nel Sinodo, dove i 34 giovani uditori, venuti
da tutto il mondo, divennero gradualmente un prezioso mezzo, capace di dare uno stile vivo e
gioioso ai lavori sinodali, di modificare i protocolli in sala, facendo emergere una vitalità e talento
che certamente cambiarono la percezione di tanti. E questo non può che essere gradevole, ma ci
porta anche ad un’ osservazione ovvia: quei giovani non rappresentavano qualsiasi giovane, erano
giovani scelti e super-selezionati, allineati e appartenenti alla stessa fede. E`vero che
pretendevano parlare anche a nome dei loro pari, che non condivono le loro stesse convinzioni, e
che furono capaci di rappresentare anche gli assenti, o tutti gli altri giovani con le loro tensioni, e
domande, ma certamente sarebbe stato un Sinodo diverso se invece dei 34 accuratamente scelti
dalle Conferenze Episcopali, fossero stati presenti giovani che, casualmente erano giunti là, o
semplicemente tirati a sorte, perfino polemici con la Chiesa istituzione, o apertamente atei, o
cristiani inerti, o appena cristiani per il registro. Certamente un altro Sinodo, ma non meno utile e
fruttifero di questo. Per questo tentiamo di dar voce ai giovani che non erano presenti, anche se
non furono totalmente assenti o esaminiamo più profondamente la situazione dei giovani di oggi
in generale. Questo sfida e provoca la Chiesa come qualsiasi altra istituzione che abbia il coraggio
di lasciarsi questionare.
Partiamo da tre punti di vista diversi e convergenti:
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Non è la fine del mondo, bensì di un certo mondo che si considerava religioso, ma senza
profondità e convinzione; non è la fine della fede, ma di una certa immagine di fede, più
convenzionale e preservata che scelta e convinta, frutto di discernimento.
Non è la fine della presenza giovanile nella Chiesa, ma di una certa Pastorale giovanile che
considerava ovvia la adesione alla fede, che si dirigeva ai giovani che non sono più quelli di
oggi. Non è la fine delle vocazioni, ma di alcune vocazioni, non è la crisi di vocazioni, ma una
crisi di alcune vocazioni, o di una certa idea di vocazione; la triade classica: padri, religiosi,
religiose.
E`la crisi di questa idea di vocazione, (grazie a Dio!) idea che non è cristiana, perchè
nell`antropologia cristiana ogni uomo e ogni donna è chiamato/a da Dio e Dio stesso è
l`eternamente chiamante, da tutta l`eternità Dio chiama. (chiamare viene dal verbo amare).
(E`meraviglioso pensare a Dio cosÌ!)
E perchè chiama?Chiama perchè ama.
Chiamare è voce del verbo amare e chiama coloro che ama. E coloro che chiama li invia ad
annunciare al mondo che questo Dio è amore, amore chiamante e l`uomo è l`eternamente
chiamato, ogni giorno della sua vita.
Non è la crisi delle vocazioni, ma di una certa idea di vocazione, che ignora una certa teologia e
antropologia della vocazione. Nella teologia vocazionale, Dio è l`eternamente chiamante e
l`uomo l`eternamente chiamato, ogni giorno della sua vita.
Il cristianesimo che sta davanti a noi, non è per niente peggiore di quello che sta dietro di noi. Il
Sinodo vuole convincerci di questo. E come si può aver nostalgiadi un cristianesimo di obbligo
e di abito, o di manuntenzione e conservazione (Es. una parrocchia che si preoccupa solamente
di mantenere la fede invece di fare il primo annuncio) e non rallegrarsi con un cristianesimo di
grazia, di libertà, di scelta personale, di convinzione e discernimento?
Una Comunità non può solo vivere di mantenimento, ha bisogno di un animo giovane,
appassionato, che si alimenta della gioia, della ricerca e scoperta, non teme le sfide e rischia
l`ospitalità, l`incontro e il dialogo. Come si può guardare con nostalgia un cristianesimo di
regole, che dovrebbe valere per tutte le situazioni e non comprendere la bellezza, perfino il
rischio del discernimento, come persone di fede, ad ogni passo del cammino?
Come si può rimanere nella logica di un Dio che ci vuole solamente come marionette
disobbedienti, che suscita paura e non essere sedotti dalla scoperta di un Padre che cerca Figli
felici?
Come non vedere la differenza tra una religione fatta di osservanza in vista di una salvezza
personale, individualistica e tra la fede di un Dio che ci salva e ci fa responsabili gli uni degli
altri?
Come pensare con nostalgia ad una vocazione che si apre a una interpretazione clericalista
che è alla radice di una mentalità, di una cultura abusante, fino agli abusi sessuali e non vedere
con gioia una Chiesa dove tutti sono chiamanti e chiamati, nella responsabilità reciproca?
Bisogna bandire qualsiasi pessimismo depressivo e deprimente o qualsiasi giudizio che risuona
per qualcuno come anticipo oscuro di un futuro avverso.
Questo disincanto diviene uno stimolo per un ri-incanto e per la passione della pastorale
giovanile e per i giovani da essere formati nella scelta della fede da parte di adulti che non solo
credono, ma sono anche credibili nella loro propria scelta.
Generazione incredula
E`corretto parlare di generazione incredula? Proprio per questo bisogna andare oltre il pensare
che la generazione attuale sia apatica, indifferente e, alla fine, incredula. E`necessario andare
oltre non solo perchè questo certamente non può esser detto di tutti i giovani, ma oltre tutto
perchè non siamo in un crocevia senza ritorno, ma, al contrario siamo davanti ad una grazia,
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una sfida per la Chiesa e per il mondo giovanile. La generazione giovanile è o diviene incredula,
o può divenire agnostica e indifferente, quando la sua ricerca di fede non trovasse percorsi
vivenziali che la comunità cristiana dovrebbe offrire a chi è in cammino e ha bisogno di essere
accompagnato, allora la ricerca rimane incompleta.
La generazione giovanile diviene incredula quando l`atto di fede non è stato veicolato da una
pedagogia della fede che gradualmente porta alla decisione di credere, facendo che tale
decisione sia libera e responsabile. Ancor più, l`attuale generazione rischia di essere una
generazione incredula perchè non trova adulti capaci di dare una ragione per la propria
speranza, o perchè i giovani hanno la sensazione che le lorodomande, preoccupazioni e
aspettative, non sono riconsociute come espressione della loro sete genuina di verità, o perchè
non hanno vicino a loro adulti che siano davvero adulti nella fede e che, invece, sono persone
ancora sedotte dall`illusione e dalla vanità di mostrarsi giovanili. Adulti che non assumono la
propria responsabilità di far crescere gli altri e di generare vita e, oltre tutto, adulti che non
permettono che i giovani siano giovani o perfino tolgono loro lo spazio vitale.
C`è chi dice che dove gli adulti e anziani non agiscono come adulti e anziani, i giovani non
possono essere giovani. E quando i giovani non possono fare i giovani, è il bene di tutta la
società che è collocato in serio pericolo.
Altro elemento che allontana la generazione giovane dalla fede, è il fatto di non riconoscere
nella Chiesa una comunità viva e un ambiente stimolante di fedeli in dialogo con coloro che si
aprono alla fede, o che sono tentati di chiudersi ad essa, o che sono disillusi dalla Chiesa o con
rabbia contro di essa, come con coloro che cercano la verità o sembra che non la ricerchino
più.
Altro fattore disanimante per i giovani è non sentirsi aiutati nel loro cammino di fede da adulti
in Cristo, maturi nella propria fede, tutti insieme, giovani e adulti, membri di una Chiesa aperta
al mondo con concretezza di vita in un tempo e luogo, in un clima sociale e culturale che non è
mai irrilevante.
Essa, di fatto, è una Chiesa che genera, che è madre, che si lascia fecondare, che si rinnova
proprio in ciò che è costitutivo del suo essere e della sua fede. Allora i giovani potrebberio
essere l`elemento fecondante e, al tempo stesso, frutto della generazione che continua
ininterrottamente, lungo il tempo, a generare la Chiesa stessa.
La Chiesa con il Sinodo del 2018 va incontro ai giovani, poichè non è più capace di attrarli,
cammina con i giovani, offrendo loro il compito di aiutare nella rinascita della Chiesa stessa.
Questo è un mistero grande!
Prima conseguenza
La conseguenza di tutto ciò, è che molte volte interpretiamo e assumiamo l`internet come
espressione di libertà e sentimento di non aver più frontiere per vedere e sentire,
sperimentare ed essere informato. In realtà ci offriamo, pieni di fiducia, alla rete, manifestando
segreti e desideri di attrazione privati, fino a quelle che non abbiamo il coraggio di confessare,
permettendo che essa ci conosca molto di più di quanto crediamo di conoscerci noi stessi. Più
specificamente: quando nel mio profilo sociale io indico i libri che mi piacciono, i film che
preferisco, le musiche che ascolto, l`ultimo viaggio che feci, il cibo che amo, io sto dando alla
rete il mondo dei miei gusti, cioè il mio mondo ben personale, ciò che io racconto solo ai miei
intimi amici, con coloro che non mi tradiranno mai e che non racconteranno a nessuno i miei
segreti!
In questo punto, l`internet dopo avermi concesso le mie attrazioni e simpatie belle e meno
belle,
morali o no, (ma per la rete tali valutazioni sono abbastanza insignificanti!), agisce per
trasformarle in necessità compulsive, riproponendomi tali gesti e piaceri in diversi modi e con
diverse esche, anticipando la mia ricerca e offrendomi immediatamente ciò che desidero,
rinforzando e seducendo sempre più la mia sensibilità e orientando nuovamente le mie scelte
verso quella direzione, forse, appena per un momento. E il gioco è fatto; il tradimento è
avvenuto e la libertà è stata compromessa, specialmente se il giochetto è stato ripetuto.
Il trucco è là, ma io non riesco a vederlo, o meglio, potrei vederlo se fossi più accurato! E´per
questo che possiamo dire che l`internet è un pensiero che gradualmente mi abita, partendo da
dentro; essa prende la forma del mio pensiero per dar forma al mio pensiero. I giovani che
vivono questa situazione, la generazione digitale, corrono il rischio di vivere in comunità virtuali
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e con un`autorità virtuale.Il rischio è, che si orienta sempre più verso fuori, senza che la persona
stessa percepisca che sta scivolando: questo è il primo rischio di questa situazione. La
coscienza, come organo di giudizio del giovane, scivola ogni volta di più verso fuori, senza che la
persona possa percepire che sta scivolando, quasi una evasione. E`una conseguenza molto
pericolosa!
Si crea una specie di incoscienza personale e collettiva che non ha niente a che vedere con
la coscienzaintesacomunemente e meno ancora nel significato cristiano. Il soggetto tiene come
punto di riferimento una comunità virtuale nella quale si sente di fatto membro e a chi
riconosce l’autorità. In verità, in questa forma di appartenenza, la persona rischia di essere
annullato nella sua propria misteriosa e sublime dignità di creatura capace di scegliere e
decidere con libertà e responsabilità.
È chiaro che l’internet, offre anche nuove opportunità, espansione delle proprie frontiere,
enorme possibilità di contatto, e non è necessario demonizzare o vedere soltanto il lato del
rischio. È giustamente questo che ci piacerebbe evitare per comprendere con realismo dove
s’insinua il pericolo e, positivamente, dove lavoriamo con la generazione giovanile di oggi,
affinché il Vangelo sia presente e sia annunciato ogni volta a più persone, come una Buona
Notizia, la più bella per chi affronta la vita, facendo uso anche del mondo digitale. Come
abbiamo detto prima, questo è anche un principio pedagogico, per usufruire positivamente e
intelligentemente questo strumento che è l’internet, è previamente necessario e indispensabile
verificare i rischi ed i pericoli. Soltanto a questo punto, verificati questi rischi, si può pensare
all’uso intelligente ed anche creativo e vocazionalmente efficace. Però, vediamo che senso ha
quest’analisi, per la nostra analisi in quello che riguarda il discernimento.
Dalla prima generazione incredula fino alla prima generazione che discerne
Siamo nel nocciolo della nostra riflessione. Nella transizione strategica di una situazione che
delineiamo con sufficiente precisione: il giovane di oggi in crisi di fede e di orientamento
esistenziale, fino un punto terminale, verso il quale proseguiamo, che sarebbe questo punto
finale-terminale, la decisione di fede o della vocazione.
Quindi, in mezzo c’è il giovane, divenuto debole nella capacità della libertà di scelta.
Conseguentemente, l’intervento formativo, solo può essere diretto a rinforzare questa capacità
di libertà con tutto quello che significa ed implica. Questo è anche come già abbiamo indicato,
l’attitudine del Sinodo, quanto a partire dal titolo, propone il discernimento vocazionale, il che,
in sé, non sarebbe una novità. Quello che lo fa originale, è il fare una proposta esplicita di
accompagnamento per conseguire questo obbiettivo.
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In effetti, il discernimento è un’arte che si apprende con l’aiuto di un fratello o una sorella più
anziano/a nella fede e nel discepolato che in qualche modo trasmette quest’arte lungo il
cammino di un accompagnamento regolare.
Il discernimento cristiano, non è una metodologia pura, ma è attenzione per il proprio mondo
interiore, per la propria sensibilità o per la propria coscienza, affinché diventi ogni volta più
capace e libero per percepire l’attrazione della bellezza, per apprendere il fascino della verità e
della sua ricerca; per scegliere con decisioni concrete il bene e tutto quello che migliora la vita
della persona umana. Il bene possibile nel momento presente.
Questo è esattamente il tema intorno al quale il Sinodo ha costruito la sua proposta. Si tratta di
una coscienza che oggi corre il rischio di essere espropriata e sulla quale è importante
intervenire in quello che riguarda la sua formazione. Il discorso è più complesso che mai e
cercherò di abbordarlo soltanto da un punto di vista particolare o psicopedagogico, ma in due
direzioni:
Sono due sensibilità che si connettono tra loro, essendo l’accompagnatore la mediazione
necessaria affinché il giovane sia e diventi sensibile all’appello vocazionale. E qui, troviamo un
termine molto importante, la sensibilità. Un elemento centrale nel processo di sviluppo della
persona dal punto di vista psicologico e spirituale.
Gli elementi costitutivi della sensibilità sono: 1) i sensi esterni (i 5 sensi) e interni; 2) sensazioni,
che sarebbero le reazioni psicofisiche alle diverse situazioni della vita; 3) emozioni, che
sarebbero le reazioni emotive formate nella persona, per esempio perché sento paura in
questo momento? Questo è una emozione perché la paura si è formata lentamente; 4)
sentimenti che sono le emozioni trasformate in gesti, azioni, scelte corrispondenti; quando
l’emozione si converte in azione questa emozione si converte in sentimento. Per questo
abbiamo tantissime emozioni ma non tanti sentimenti; 5) affetti, simpatie, gusti, desideri, criteri
elettivi, aspettative, giudizi, passioni.
Questi sono elementi molto importanti. Io non capisco perché nella nostra formazione non si da
attenzione alla sensibilità. Questo è molto strano. Questa orientazione, sensibilità che di per sé
significa orientazione, incominciò a formarsi molto presto in ciascuno di noi e, come
menzionato sopra, continua formandosi in noi precisamente in virtù delle nostre scelte.
Dall’inizio della nostra vita, praticamente e probabilmente la sensibilità dei nostri genitori si è
comunicata a noi. Benché a partire da giovane età, ognuno di noi ha cominciato a formare la
sua sensibilità attraverso le proprie scelte. Scelte che sono tutte importanti nella vita. Come
risultato di tutto questo, potremo dire che tutti siamo responsabili della nostra propria
sensibilità. O in termini ancora più diretti: ciascuno ha la sensibilità che merita. Ognuno ha la
sensibilità che merita e che ha costruito, giorno per giorno, scelta dopo scelta.Il termine
coscienza immediatamente ci porta a pensare a qualcosa di intellettuale, di nobile, (coscienza,)
che si è formata soprattutto attraverso lo studio, attraverso lo studio dei testi di teologia
morale. Il termine sensibilità si riferisce ad una idea che non è soltanto mentale, razionale, ma
che implica anche l’emotività che sente e la sua volontà che decide e che continuamente va
formandosi lungo la sua esistenza. In ogni caso, la coscienza, ciò che chiamiamo coscienza è
sensibilità morale, perché il termine sensibilità da più l’idea di qualcosa che si va formando
lentamente e che non si è formata semplicemente negli anni del seminario o quando la persona
studiò teologia morale, si forma continuamente. In ogni caso, è precisamente in virtù della
sensibilità che percepiamo l’attrazione o il rigetto, sentiamo simpatia o disgusto, giudichiamo
qualcosa di buono o qualcosa di cattivo, bello o brutto, morale o immorale. Anche a un livello
spirituale è sempre con la nostra sensibilità che arriviamo a sentire Dio o a farci una particolare
immagine di Lui e non è solo questo, in quanto la coscienza, è soprattutto di tipo morale, la
sensibilità esiste in diversi livelli o cresce con noi in vari livelli. Di fatto, ci sono diverse sensibilità
nell’uomo e nella donna. Ad esempio: sensibilità intellettuale: apprezzare la verità, sentire che
posso fare una camminata fino alla verità. Sensibilità estetica: la sensibilità al bello, la nostra
preghiera senza la sensibilità estetica è solamente un insieme di atti di pietà, perché pregare è
una cosa bella. Dio è bello, è fantastico stare davanti a Lui. Sensibilità estetica che mi fa
sperimentare questo momento di preghiera come qualcosa di bello. Sensibilità morale.
Sensibilità penitenzialeche ci permette di renderci conto che nel mio operato c’è qualcosa di
cattivo. Sensibilità di preghiera, di fede, pastorale, missionaria, vocazionale e tutte sono in
rapporto di reciprocità causale tra loro, dove una influisce l’altra.
Esiste anche una sensibilità vocazionale, ed è su questa che dobbiamo intervenire per fare un
autentico discernimento vocazionale. Se non si sveglia la sensibilità vocazionale, non si fa
nessuna pastorale vocazionale. L’elemento debole è la sensibilità vocazionale che invece
dovrebbe essere oggetto di molta attenzione. È difficile che una vocazione nasca in una persona
che non ha sensibilità vocazionale e se una vocazione nasce senza una sensibilità vocazionale, è
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una vocazione molto debole, transitoria, senza nessuna garanzia di perseveranza.Potremo
definirla nel seguente modo: la sensibilità vocazionale è quell`orientamento interiore che
sorge dal desiderio di cercare il proprio posto nella vita e di ascoltare che cosa e chi possa
aiutare nella ricerca, con il coraggio,poi, di decidere con libertà e responsabilità.
Orientazione interiore che sorge dal desiderio di cercare il proprio posto nella vita, il senso
della propria vita;
Ascoltare che cosa e chi possa aiutare nella ricerca;
Con il coraggio di decidere con libertà e responsabilità.
A questo punto si potrebbe già costruire una pedagogia corrispondente aquesti tre punti. Una
pedagogia molto importante per un intelligente animatore vocazionale. Tutti gli animatori
vocazionali sono intelligenti!!! L’intelligenza è anche un frutto della sensibilità e non del
coefficiente intellettuale.
Potremmo dire che fare animazione vocazionale significa suscitare questo tipo di sensibilità. Si
tratta intanto di un intervento che mira non soltanto a provocare un gesto, un gesto finale,- un
giovane che decide di entrare nel seminario -, non è solo questo. Si tratta soprattutto di
formare nei giovani un’atteggiamento o disposizione interiorea vari livelli o aree di sensibilità,
che sono alla fine varie forme di desiderio. Desiderio inteso nel senso psicologico della parola,
come un interesse alto, amore, attrazione, grande motivazione, passione, concentrazione di
energia nella tensione verso un’ideale o qualcosa che può essere sempre più al centro della
vita: questo è il desiderio. Desiderio, parte della sensibilità vocazionale.
In altre parole, la sensibilità vocazionale non è qualcosa di isolato. Stiamo già proponendo la
pedagogia del discernimento vocazionale. Questa sensibilità vocazionale non è qualcosa di
isolato che sorge spontaneamente.Come abbiamo già visto, la sensibilità è frutto delle scelte
della persona, quindi non è qualcosa di istintivo, che non si può modificare o evangelizzare. Al
contrario, la sensibilità vocazionale è ed indica come una costellazione di varie sensibilità,
essendo un’espressione e punto di riferimento di quelle. È importante, pertanto, indicare
questa costellazione, giacché ciascun elemento di essa rappresenta un cammino pedagogico,
con delle tappe lineari che può dare frutti. E tutti insieme, tutti questi elementi, questi distinti
tipi di sensibilità, sono come affluenti di un fiume, o gradini di una scala. Conseguentemente, è
una questione di metodo, di fasi intermedie, o di sensibilità che potremo
chiamare“propedeutiche” o inferiori. La sensibilità più importante in questo contesto
vocazionale è la sensibilità vocazionale. Per svegliare la sensibilità vocazionale devo svegliare e
prestare attenzione a questa costellazione di altre sensibilità che sono propedeutiche alla
sensibilità vocazionale, come affluenti di un fiume. Quindi, è una questione di metodo che deve
essere precisato, con tappe intermedie che devono essere specificate perché siano totalmente
coerenti con l’obiettivo finale.
Proponendo la vocazione in questo modo, con questa pedagogia, si alimenta la fede della
persona, ed è la fede che determina il discernimento vocazionale. Dunque, tutto il processo di
accompagnamento e discernimento vocazionale per svegliare la sensibilità vocazionale è
autentico cammino di fede. E questo perché? Perché l’elemento vocazionale è essenziale nella
fede cristiana. Non è un elemento successivo, posteriore ed eventuale, che si propone
solamente ai chierichetti e a coloro che sono già ben orientati. La vocazione è parte essenziale
della fede cristiana. Fino al punto che il cammino di provocazione del discernimento
vocazionale è anche un cammino di crescita nella fede. Quindi può essere proposta a qualsiasi
persona come punto di partenza e di arrivo. L’animazione vocazionale è universale. La proposta
non si fa solamente a delle persone che hanno già fatto un certo cammino di fede. La pastorale
vocazionale è per tutti!
È la sensibilità di chi vuole cercare e vuole fare, innanzitutto, con la propria testa, perché si
tratta del proprio futuro. Questa sensibilità nasce, non soltanto da una necessità irreprimibile
della verità, ma dalla certezzache è possibile trovare la verità, che è appassionante cercarla.
Non è la verità filosofica e neanche la verità religiosa, prima di tutto è la verità di se stesso, la
propria identità. È impossibile non sentire la necessità di scoprirla. È proibito dare per scontato
la sua scoperta, come se fosse qualcosa di automatico con il passare degli anni o dare per
scontato il fatto di doverla cercare. Al contrario è saggio e provocativo accompagnare un
giovane perché cominci e continui la ricerca, alla luce delle seguenti condizioni:
1) Esiste la verità ed è possibile scoprirla. Certo che oggi viviamo in un contesto culturale che
non è d’accordo con questo principio, non esiste verità e, se esiste, è impossibile scoprirla. Per
questo si fa pastorale vocazionale anche nel momento in cui l’animatore vocazionale attrae
l’attenzione del giovane su questa realtà ed èsu questa realtà che esiste la verità ed è possibile
scoprirla, non è oscurità e inaccessibilità. Sapete la differenza tra mistero ed enigma? Il mistero
è l’eccesso di luce; ed è chiaro che devo avvicinarmi ad un mistero lentamente perché c’è
un’esagerazione di luce. Dio è mistero. La vocazione è mistero. L’enigma è il contrario: l’enigma
è l’eccesso di oscurità. Ad un mistero mi posso avvicinare,da un enigma mi allontano.
Nell’animazione vocazionale è importante verificare nel giovane qual è la sua attitudine di
fronte alla verità. Ha un atteggiamento misterioso o enigmatico? Se è enigmatico devo lavorare
su questo elemento, perché se la persona ha questo tipo di rapporto, se Dio si converte in
enigma, e questo è possibile, anche la persona si converte in enigma. Non si conosce. Non
pensa che sia possibile conoscersi. Gli altri si convertono in enigma. Questa persona stabilirà
rapporti enigmatici, vivendo in una comunità enigmatica, in una parrocchia enigmatica e se è
sacerdote sarà una persona che farà omelie enigmatiche, sacramenti enigmatici, liturgie
enigmatiche, questo è possibile non totalmente ma in parte, in una Chiesa enigmatica. Dunque
questi punti sono importanti. La verità esiste, è possibile scoprirla, è un mistero luminoso che
vuole essere svelato. Non è oscurità, non è inaccessibile, e non è enigmatica. È bello camminare
in questa ricerca. È gratificante ricercare poiché questa ricerca risponde ad una necessità
fondamentale dell’essere umano. Finalmente io solo posso coinvolgermi in questo processo,
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decidere di farloe farlo con i miei propri mezzi, giacché si tratta della mia verità, quella che dà
senso alla mia vita.
A. Dio ti ama come un padre o una madre, o anche come un amante eti ama di un amore
eterno. Tu sei prezioso ed importante ai suoi occhi, Dio è pieno di gioia se tu lasci che Lui ti ami.
Tuttavia Lui non impone il suo affetto. Al contrario, Dio soffre molto se tu non parli con Lui o
non lo ascolti.
B. Cristo ti salva. Lui è tanto interessato nella tua salvezza che ha donato la sua vita per te.
Quindi, Egli non solo ti capisce, e perdona le tue debolezze, ma confida in te e ti chiama per
realizzarti pienamente. Qual è la più grande realizzazione? Quando il salvato si converte in
salvatore. Questa è la tipica sensibilità della fede in un contesto vocazionale, salvato per essere
salvatore, per grazia naturalmente, questo è parte del kerigma vocazionale.
C. Lui vive e vive per sempre. Vive nella tua vita in tutti i momenti, ovunque tu vada Lui è lì ad
aspettarti per condurti dove Lui sa, perché tu possa sperimentare il potere della sua
resurrezione, la vittoria del bene sopra il male anche nella tua vita, affinché tu possa
annunciarLo agli altri.
La sensibilità orante – obbediente. Sondare il mistero della vita,della propria vita non è
qualcosa di semplice o immediato. Per questa ragione la dimensione religiosa s’impone sempre
di più. L’uomo di fede sa che solamente Colui che gli ha dato la vita, può rivelargli il significato
della stessa vita e non soltanto un significato in generale, cioè,quello che è buono per tutti, ma
precisamente il posto che deve occupare nella vita. Quelposto che Dio ha progettato
intenzionalmente per lui. Quindi, l’uomo di fedeimplora la grazia di capire il proprio futuro ma
senza aspettarsi alcuna rivelazione, ma collocandosiprima di tutto nell’atteggiamento di colui
che è alla ricerca, con l’attitudine del pellegrino che non sa bene il cammino, che non conosce
bene la strada. L’uomo di fede si mette in un’attitudine costante di ascolto per captare qualcosa
di molto importante per lui, qualche segno, voce, impronte, che possono in qualche modo
orientare il suo cammino. La sensibilità ob audiens, (colui che pone la mano all`orecchio per
udire) atteggiamento che è la radice del discernimento. Discernere significa che in ogni
momento, e non soltanto in alcuni momenti, dobbiamo “ob audiens” perché in ogni momento
la persona è un credente che cerca la verità e in ogni momento si chiede: “Dov’è, dov’è Dio?
Dov’è in questo momento? Cosa mi sta dicendo? Che mi sta chiedendo? Che mi sta donando?
Che orizzontista aprendo alla mia vita?” Questa è una domanda normale, un credente
normale discerne continuamente, non esiste un momento senza discernimento, o almeno
non dovrebbe esistere, idealmente il discernimento è costante, in ogni momento. Il
discernimento come il modo normale di crescere nella fede di un credente normale. E questo
è fondamentale per il discernimento vocazionale. Solamente sarà capace di fare il
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discernimento tipicamente ed esplicitamente vocazionale la persona che abbia imparato a fare
sempre il discernimento. Solamente la persona che abbia imparato a fare continuamente il
discernimento potrà ad un certo punto identificare il suo posto nella vita, cioè la sua vocazione.
Ma tutto questo non si impone con un’evidenza assoluta ma come una brezza leggera per
arrivare a riconoscere e distinguere nell’attuale cacofonia di voci e parole, suoni e rumori il
timbro della voce dell’ Eternamente Chiamante. Il modo teologico tipico della pastorale
vocazionale.Questa definizione di Dio è meravigliosa: Dio come l’Eternamente Chiamante. In
questo “eternamente” è nascosto tutta la densità dell’amore che ha bisogno dell’eternità per
rivelarsi. Se Dio è l’eternamente chiamante anch’io sono l’eternamente chiamato. Chi non può
commuoversi davanti a questa prospettiva? Questa è autentica educazione nella fede.
Esiste intanto una condizione precisa per intendere il sogno di Dio sulla vita di una persona,
entrando in armonia con Lui, assumendo i suoi gusti, i suoi progetti, i suoi sentimenti e desideri,
infine la sua propria sensibilità. Non possiamo dimenticare che noi crediamo in un Dio che è
sensibile. È per questo che Paolo ci esorta ad avere in noi gli stessi sentimenti del Figlio di Dio
che s’incarnò esattamente per mostrarci e rendere evidente la sensibilità di Dio. Questo è
meraviglioso. Questo è l’unico modo di essere cristiano. Il Cristiano non è semplicemente una
persona che ha un certo tipo di condotta esterna ma è una persona che si è identificata con la
sensibilità di Dio. La Sensibilità di Dio,questo termine dice anche la verità di Dio. In questo
senso potremmo in un certo qual modo, affermare che lo Spirito Santo è esattamente la
sensibilità di Dio. Non so se i teologisarebberod’accordo, però è una maniera suggestiva per
pensare alla sensibilità in Dio. Questo non significa semplicemente avere una condotta corretta
e irreprensibile ma è un modo di coinvolgersi nelle cose e con le persone, la sua passione
nell’affrontare il dolore e il male dell’uomo, lo stesso sguardo e passione che portò il Figlio
dell’Uomo, il Servo, l’ Agnello, a consegnarsi per l’Umanità. Basicamente, questo è
precisamente l’obiettivo dell’accompagnamento vocazionale, indipendentemente della
decisione finale. Formare la coscienza richiede il cammino di una vita intera nel quale si
impara a coltivare gli stessi sentimenti di Gesù Cristo: assumendo i criteri delle sue scelte ed
intenzioni della sua attività. Con questo, intanto, non vogliamo dire che i giovani già
possiedano questa maturità spirituale, di piena configurazione in Cristo, ma che intuiscano che
potrà scegliere, secondo i desideri di Dio, nella misura in cui staranno sempre più in sintonia
con Dio e con la sua Parola, al punto che sentano questi desideri nel proprio cuore.
Tante volte la vocazione viene presentata in termini eroici, straordinari. È come un peccato
originale che ha contaminato molta parte della nostra pastorale vocazionale. Come se coloro
che fanno questa scelta fossero delle persone eccezionali e speciali. Di fatto, le chiamiamo
vocazioni di speciale consacrazione, questo è molto narcisista. Siamo persone speciali. Facciamo
una scelta speciale, non la scelta di un normale cristiano.Questo modo di pensare non è molto
intelligente e neanche conveniente. Chi sceglie conforme al cuore di Dio, intende una verità che
è tale soprattutto ad un livello umano e psicologico, e questo fa diventare la sua scelta etica e
morale.Laverità della vita, l’esistenza umana, è un dono ricevuto che tende, per sua natura, a
diventare un bene per essere donato. Estremamente semplice, ed è la verità di tutti, una verità
assolutamente elementare: tutta la pastorale vocazionale è costruita su questa interpretazione
della verità elementare della vita. Ripeto: l’esistenza umana è un dono ricevuto, un dono che
nessuno può dire di averlo meritato. Questa è una verità universale: l’esistenza umana è un
dono ricevuto. Da un punto di vista psicologico, cosa fa il dono ricevuto? Dal punto di vista
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psicologico il dono ricevuto tende per sua natura, senza la necessità di uno sforzo virtuoso o
eroico, a divenire un bene per essere donato. La vocazione è tutta costruita su questa logica
elementare e a sua volta è qualcosa di logico che qualunque persona intelligente e onesta
intuisce.
Non è strano decidere donare vita e consegnarsi alla vita. Al contrario, l’opposto sarebbe
strano e fuori della logica, prima di qualsiasi morale. L’egoista, come qualunque narcisista, è
prima di tutto un grande insensato. È naturale, il dono ricevuto tende per natura a convertirsi in
un bene donato.
C’è stato un tempo in cui c’era la tendenza di presentare la vocazione come il compimento di
quell’immagine e somiglianza con Dio che il proprio Creatore aveva impresso nella creatura e
questo sarebbe il modello creativo. Teologicamente corretto. Ma è possibile dare un altro passo
e pensare alla chiamata d’accordo ad un modello redentore. Non solamente creativo. La
vocazione non è mai unicamente in funzione dell’individuo e della sua realizzazione o della sua
salvezza privata, ma seè veramente una chiamata cristiana è un appelloaprendersi cura
dell’altro, della sua felicità, della sua salvezza. Non è semplicemente la riproduzione in me del
modello originario creativo. Il modello redentivo mi parla di una responsabilità: io sono stato
salvato, per essere salvatore. Questa è la vocazione cristiana. Solamente a questo punto
possiamo capire correttamente la vocazione cristiana. Questo è un punto molto prossimo
alcuore del Papa Francesco e che ritorna ripetutamente nell’EsortazioneApostolica Post-
Sinodale Christus Vivit, dove il Papa si dirige cosi ai giovani di oggi: “Che tu possa vivere sempre
più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare
la vita.” E più avanti: “Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”.
Tu puoi domandarti chi sei tu e passare tutta la vita cercando chi sei tu. Ma domandati: Per chi
sono io? Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto
in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri.”
Infine,seCristo ci ha salvato nella Croce e ci rese capaci, per grazia naturalmente, di fare la
stessa cosa che Lui ha fatto, di amare con il suo cuore, di divenire salvezza o mediazione di
salvezza per gli altri.La vocazione quindi è chiamata per realizzare questa capacità. Che mistero
grande! Ma che vocazione più attraente e convincente, perché dà e chiede alla persona il
massimo.
Che cos’è il vero, il bello e il buono? È molto comune sentire una persona di fede che faccia o
che stia per fare una scelta di tipo vocazionale dire che fa questa scelta perché ha intuito o ha
scoperto che questa è la volontà di Dio. È una maniera classica di giustificare la scelta
vocazionale. Possiamo dire che è una risposta teologicamente corretta. Ciò nonostante non è
sufficiente, specialmente se il cuore non sente, allo stesso tempo, una certa attrazione, almeno
un minimo di attrazione per qualcosa che è anche bello in sè stesso, e non solo perché Dio lo
chiede, ma perché è la mia verità, il mio tesoro che sono nascosti là. Allostesso tempo, non è
sufficiente una risposta perfetta ad un livello solamente teologico se la volontà percepisce la
scelta (molto) pesante e soltanto pensante e molto difficile da concretizzare, specialmente per
le rinunce che chiede.
Cosa vogliamo dire? Che la scelta solo è salutare e possibile, soltanto quando rispetta alcuni
principi psicologici.
Il primo è il Principio della totalità intra-psichica, cioè, solamente quando la scelta sia
amministrata insieme dalle tre strutture del psichismo umano: mente (verità), cuore (bellezza)
e volontà (le esigenze della scelta) alle quali corrispondono la percezione della verità (mente e
verità), l’attrazione della bellezza (il cuore) e la forza del bene (la volontà). E quando la
prospettiva scelta diventa convincente (mente), attraente (cuore), esigente (volontà) è la stessa
cosa che succede all’uomo del Vangelo che scopre il tesoro, la cosa bella, dove è nascosta la sua
verità e identità, pieno di allegria, dice il Vangelo, lascia – rinuncia a tutto per questo tesoro. La
bellezza della scoperta gli dà la forza per la rinuncia. Questo è un altro principio fondamentale
della psicologia della scelta.
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Al contrario, la scelta diventa improbabile quando è sorretta soltanto da una delle tre facoltà.
Se solo della mente, in questo caso abbiamo l’intellettualismo, anche se può essere religioso. Se
solo delcuore, in questo caso abbiamo il sentimentalismo. O solamente della volontà, abbiamo
il volontarismo. Con questi “ismo”, la scelta sarebbe debole e avrebbe una vita breve. Mentre
l’atteggiamento ideale è quella della persona che scopre allo stesso tempo, la verità, la bellezza
e la volontà della scelta. Questo è il principio della totalità intra psichica che già troviamo nel
Deuteronomio: amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua mente, con tutta la tua forza e con
tutto il tuo cuore.
È importante formarsi al senso del mistero e del trascendente, come espressione dell’identità
dell’uomo, troppo grande per essere autosufficiente e, per la sua propria natura,
misteriosamente attratto dalle più alte possibilità. Una persona non può essere felice, se decide
di fare o di essere appena un millimetro sotto quello che potrebbe fare o essere. Questo
principio psicologico è interessante. Questa dimensione, da una parte si riferisce a qualcosa che
l’individuo non realizzò ancora in sé stesso, nella sua personalità: l’IO ideale. Dall’altra parte, è
esattamente lo spazio di novità nel quale è nascosto, qualcosa che l’individuo non conosce di se
stesso. È la logica del mistero che va rivelandosi nella misura in cui il vocazionato risponde al
progetto che va oltre se stesso e gli chiede qualcosa di più ogni giorno.
Qualsiasi persona che sceglie a partire dalla fede, si pone in una situazione diversa di chi ha
imparato a fare delle scelte secondo una logica solamente umana. La scelta fatta secondo la
sola logica terrena, in verità, perdura brevemente, perché ha molte pretensioni. La scelta
unicamente umana, dovrebbe avere queste caratteristiche:
A. Accetta il rischio: chi obbedisce con fede non rivendica assoluta sicurezza umana.
B. La decisione cristiana è una scelta ad un costo massimo, che tende al dono totale di sé
stesso, al massimo di quello che si può dare.
C. È precisa, ma mai completamente chiara, cioè libera dalla pretensione di prevedere tutto
ed eliminare qualsiasi avvenimento inaspettato o fatto.
D. È motivata dalla fiducia e non dal calcolo.
E. È elaborata secondo il piano di Dio, che può chiedermi qualcosa che sento impossibile per
me.
F. È coraggiosa e per sempre. Senza timore o sensazioni di solitudine.
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Queste sarebbero le sensibilità propedeutiche che l’animatore vocazionale dovrebbe svegliare
nel giovane.
La sensibilità vocazionale del formatore può essere espressa in tre punti, che sono anche
nominati dell’Esortazione Post Sinodale.
La seconda attenzione di un buon formatore è quella che permette di distinguere la grazia dalla
tentazione. In un discernimento vocazionale, il formatore deve essere molto perspicace e
riuscire ad andare oltre la superficie di ciò che è stato detto, dell’atteggiamento esibito, dalla
stessa scelta che si va definendo, anche quando sembra che il giovane prenda una direzione
oggettivamente desiderata e desiderata soprattutto per l’accompagnatore (ad esempio entrare
in seminario). Non è detto che la scelta positiva (in termini di adesione ad esempio la risposta
all’appello vocazionale), sia sempre l’azione della grazia e che la tentazione sia sempre ed
unicamente quella che si oppone ad essa in termini di resistenza, paure e incertezze. Potrebbe
essere anche l’opposto: se di fatto ci sono tanti giovani che sono frenati per la paura delle
esigenze della consacrazione, ci sono anche, soprattutto oggi, coloro che sono attratti dalle
aspettative irrealistiche e non molto evangeliche, nel loro presunto desiderio di consacrarsi a
Dio. Diciamo che oggi questo non è così strano e assurdo. Strano e pericoloso sarebbe, come
minimo, che quelli che dovrebbero discernere, non conseguissero riconoscere l’inganno o la
confusione, o non si dessero conto dello strano fenomeno della selezione avversa, per causa del
quale gli individui meno santi e meno capaci di vivere un determinato ideale, certe volte sono
attratti da questo, riuscendo a mostrarsi così convinti che finiscono per convincere coloro che
dovrebbero aiutarli nel vero discernimento istituzionale. Questo fenomeno significa la selezione
avversa. Quindi, gli individui meno santi e meno capaci di vivere un certo ideale, tante volte,
sono attratti da questo. E questo succede soprattutto quando, ad esempio, l’Istituzione non
vive, o la qualità della vita comune viene meno, in questi casi si attraggono i meno santi. Questa
è dunque la selezione avversa.
È proprio per questo, che coloro che disimpegnano questo ministero, devono essere liberi nel
cuore dalle interpretazioni facili e previsibili, come gli interessi parziali, manie di numeri, che li
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rendono meno attenti, meno esigenti nel discernimento iniziale. Essi devono conoscere la lotta
del discernimento interiore tra lo spirito buono, che ci propone la verità del Signore, e lo spirito
cattivo con le sue trappole, inganni e seduzioni. È necessario avere il coraggio, l’affetto e la
delicatezza necessaria per aiutare l’altro a riconoscere la verità, gli inganni o le scuse.
Questa, forse, è l’attenzione più importante. Quella che in qualche modo riassume e finalizza le
due sensibilità precedentiportando il discernimento al suo epilogo naturale. Questa sensibilità
aiuta a riconoscere il progetto di Dio, che non necessariamente si identifica con le sensazioni e i
gusti, o con gli impulsi immediati del soggetto in ricerca della sua vocazione. Esiste una
tendenza oggi, che si dirige pericolosamente in questa direzione, forse legata “a quella
dittatura” dei sentimenti o del così chiamato “vai dove ti porta il tuo cuore”, che caratterizza la
cultura odierna, che ha perso i riferimenti al trascendente e che di fatto fa le persone
soccombere come qualsiasi dittatura. Per evitare l’errore, dice Papa Francesco, è necessario che
la persona non guardi le sue paure e perplessità, previsioni o calcoli, ma guardi a quello che più
aggrada al Signore, il suo progetto per la propria vita che si esprime in una inclinazione del suo
cuore, oltre l’apparenza, i gusti, i sentimenti.E´ qui che risiede il problema.
Fin qui, dovrebbe arrivare la capacità del discernimento della guida: andare oltre l’apparenza
dell’umano, per comprendere il profondo disegno divino. Per andare e condurre l’altro oltre
l’io, oltre l’ “io sento”, interamente soggettivo, a fine di identificare quello che Dio sente e
desidera per la mia vita. E dopo tutto, è desiderabile arrivare a questa conclusione, non
percependola come volontà estranea, diversa da quella della persona, ma come quello che
realmente la propria persona finisce per scoprire essere il suo proprio desiderio, la sua
intenzione finale, anche se la persona particolarmente all’inizio non lo sapeva. In altre parole, la
prima intenzione, quello che la persona sente soggettivamente, sarebbe l’immediata che sorge
istintivamente e spontaneamente, che le è stata dettata dalla propria natura e per l’impulso,
ma che tante volte s’impone al sentimento dell’individuo se lui non hamaiimparato ad
investigare i suoi sentimenti ed emozioni. Una motivazione in più per rafforzarel’educazione
della sensibilità, la formazione della sensibilità, l’evangelizzazione della sensibilità.
L’intenzione ultima invece è, il desiderio che sta radicato nelle profondità della propria persona.
Desiderio molte volte nascosto e non evidente, che emerge soltanto dopo un cammino di
purificazione e auto-conoscimento, o più precisamente di discernimento, in cui si rivela
l’inconsistenza e la falsità della reazione immediata e la verità del desiderio profondo. È per
questo che è importante andare oltre l’involucro delle sensazioni puramente umane, perché
queste nascondono la verità dell’ego, impedendogli di emergere e offuscando l’intenzione o
l’inclinazione ultima del cuore. Invece l’autentico discernimento riconosce il progetto di Dio,
unito a quello che il soggetto realmente vuole come sua propria verità.
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