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KANT (pt2)

Immanuel Kant fu un pensatore della massima importanza, vero crocevia del


pensiero occidentale, imprescindibile pietra miliare della storia della filosofia
moderna, che si dividerebbe addirittura in un "prima" e "dopo" Kant: è grazie a lui
che si deve la rivoluzione Kantiana, che ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto. Fino
ad allora si era tentato di spiegare la conoscenza supponendo che fosse il soggetto a
dover ruotare intorno all’oggetto (ad adattarsi ad esso nel momento conoscitivo);
poiché molti fenomeni conoscitivi rimanevano insoluti, Kant invertì i ruoli e suppose
che fosse l’oggetto a dover ruotare intorno al soggetto. Come il sole non gravita più
passivamente intorno alla terra, così il soggetto conoscente (Sole) non gravita più
passivamente intorno all’oggetto (Terra) per raccogliere la conoscenza del mondo: è
il soggetto (il sole) a illuminare l’oggetto: egli ha un ruolo attivo nella conoscenza e,
con la sua attività a priori, mette in ordine i dati sensibili. Come Copernico in campo
astronomico aveva capovolto la concezione di Tolomeo e aveva posto il sole al
centro del nostro sistema (eliocentrismo), così Kant si vanta di aver apportato una
rivoluzione nella filosofia e nella gnoseologia. Egli assegna al soggetto la funzione di
legislatore della natura: non è più il pensiero che dipende dalle cose e le accetta
passivamente, ma sono le cose che dipendono dal pensiero, il quale le ordina
mediante le sue stesse leggi. Di conseguenza si designa un campo conoscitivo
comune a tutti gli esseri umani poiché tutti sono dotati della stessa facoltà di
organizzare le sensazioni, propria del pensiero umano e indipendente
dall’esperienza sensibile: i principi innati dell’intelletto si riferiscono al modo di
conoscere dell’uomo e non alla realtà esterna. Potremmo dire che la rivoluzione di
Kant è paragonabile alla sequenza causa-effetto: la nostra mente riceve “l’input” che
proviene dall’esterno (che in realtà già sappiamo, ma che ignoriamo fino ad allora)
per poter elaborare il fenomeno (formazione dell’immagine mentale). Gli oggetti,
quindi, sono filtrati e plasmati dalla nostra visione soggettiva che è diversa da quella
altrui e diversa dalla natura propria dell’oggetto. La mente dunque filtra attivamente
i dati empirici attraverso forme (l’insieme delle modalità con cui la mente umana
ordina le impressioni ricevute ) che precedono l’esperienza e che risultano comuni
ad ogni essere pensante. Tali forme, essendo a priori rispetto all’esperienza, sono
fornite di validità universale e necessaria, in quanto tutti le possiedono e le
applicano nello stesso modo. Un esempio concreto di come avvenga la conoscenza
consiste nel paragonare la mente ad un computer, fornito di programmi fissi,
corrispondenti ai princìpi a priori, con cui mette in ordine le informazioni che
vengono dall’esterno (i dati sensibili). Queste informazioni mutano continuamente,
ma restano immutati i programmi che le mettono in ordine.
Conoscere significa non solo ricevere passivamente dati dall’esterno, ma operare
attivamente per unificare, elaborare e ordinare i dati secondo forme proprie di ogni
soggetto pensante, quindi valide per tutti. Per risolvere il problema della verità si
cercherà di stabilire quali condizioni la conoscenza deve rispettare per essere valida.
La conoscenza è sintesi di materia e forma. La materia è la molteplicità delle
impressioni sensibili. La forma è l’insieme delle modalità con cui la mente umana
ordina le impressioni ricevute. La materia è “a posteriori”, la forma è “a priori”. La
nostra esperienza è frutto di una sintesi dei dati (o materia) e dell’attività formatrice
del soggetto, che Kant chiama trascendentali (le condizioni che permettono la
conoscenza). Trascendentale non è la conoscenza, ma il nostro modo di conoscere
gli oggetti, ossia le strutture mentali (sensibilità e intelletto) che, essendo proprie del
soggetto e non più dell’oggetto, devono essere a priori. (Conoscenza= esperienza +
principi a priori).

La Rivoluzione Gnoseologica di Kant


Quando ci si accosta alla sua concezione quel che risalta immediatamente è la presa
di distanza che egli intende assumere nei confronti della tradizione cartesiana e in
specie dal dibattito metafisico avviato da questa: il suo obiettivo è quello di
affermare con fermezza che la metafisica (nella versione in cui si è andata
costituendosi nel corso dei secoli da Aristotele in poi fino ad arrivare al razionalismo
europeo), non ha titolo per caratterizzarsi come scienza dato che, per le modalità
con le quali questo “sapere” si è organizzato ed ha condotto le proprie ricerche,
chiunque se ne sia dedicato non è stato capace di apportarvi alcun progresso. In
breve, si può sostenere che per l'autore delle tre Critiche sono due gli aspetti da
mettere in luce riguardo il problema della metafisica: per prima cosa è sbagliato,
come fa Cartesio, pretendere di poter predisporre un sistema di pensiero tale che la
metafisica possa costituire il supremo metro di giudizio che sia in grado di
giustificare ogni affermazione, ogni congettura propria di un'altra scienza. Secondo
Kant è contestabile il fatto che i metafisici pretendano di poter dimostrare
attraverso una serie di prove l'esistenza di Dio e soprattutto di farlo per mezzo della
ragione e dei suoi contenuti puri (le idee) i quali non trovano riscontro
nell'esperienza reale che per lui è, invece, l'unica misura valida che ci consente di
comprendere con certezza ciò che è reale e ciò che non lo è. L'esperienza sensibile è
così per Kant sia l'ambito all'interno del quale si muove la nostra possibilità di
giungere a conoscere un qualcosa sia ma il limite oltre il quale nulla possiamo
cogliere. Se la metafisica fosse fondata sull'esperienza cioè, se le sue argomentazioni
potessero essere provate empiricamente allora sì che essa troverebbe il modo di
essere considerata a tutti gli effetti un sapere scientifico, ma così non è. Ora,
proviamo a delineare un secondo aspetto rilevante nella visione di Kant dalla
speculazione metafisica fino al razionalismo: l'interrogativo circa l'opportunità di
provare l'esistenza di Dio. Mostrare l'esistenza di un Essere supremo è sempre stato
un tratto distintivo, o meglio una vera e propria preoccupazione del pensiero
metafisico fin dai suoi esordi ai tempi di Aristotele (con la sua concezione del
Motore immobile ingenerato, eterno, immutabile, infinito e sempre in atto che
rende possibile lo stesso divenire degli Enti e quindi tutto l'Universo) fino alle prove
addotte da Cartesio e dai suoi seguaci, passando per Agostino e San Tommaso
d'Aquino: così non è per il nostro autore poiché egli, da buon figlio della cultura
illuminista, ritiene alquanto impossibile sviscerare una prova dell'esistenza di Dio. La
prima critica non può pertanto che essere rivolta a Descartes, in modo particolare
alla modalità con la quale il pensatore francese aveva cercato di dare vita alle sue
prove: le prove dimostrative Cartesiane sono contestabili perché sviluppano la loro
trama dimostrativa a partire da una certezza di base (cioè che la nostra mente
possiede l'idea di Dio, la quale parrebbe quale innata in noi) e perché provare
l'esistenza di Dio, così come cerca di farlo Cartesio, impossibile in quanto si pretende
di derivare una realtà da un'idea. In altri termini con il criticismo kantiano cambia
completamente la prospettiva che si viene ad assumere nei confronti delle idee, dei
concetti razionali, in quanto essi non possono più costituire una testimonianza
dell'esistenza di un qualcosa del quale sono la pura rappresentazione e questo per
una motivazione abbastanza palese: perché l'esistenza non è osservabile a priori ma
soltanto a posteriori, cioè solamente attraverso l’esperienza. Di un oggetto
(rappresentato da un'idea) non si può dire nulla circa la sua effettiva esistenza fino a
che essa non viene rilevata nella realtà. Per queste ragioni il fatto che noi
possediamo un'idea non prova nulla di per sé, non implica che l’idea che
possediamo sia anche dotata di un'esistenza reale e questo vale anche per Dio.

Criticismo
Il termine “critica” deriva dal greco “krinein” e significa “giudicare, chiamare in
causa” e designa la filosofia kantiana che va intesa come attività di ricerca che
indaga le capacità e i limiti della ragione umana, acquisendo consapevolezza
dell’estensione e dei confini del suo orizzonte conoscitivo, evitando di inseguire i
pericolosi “sogni metafisici” (chiamata anche “filosofia del limite). Il criticismo è
un'analisi della ragione umana, che diventa insieme giudice e imputato nel tentativo
di scoprire cosa può realmente conoscere e affermare con certezza. Esso restringe in
tal modo il campo di indagine della filosofia, ma permette al contempo di acquisire
una maggiore sicurezza sulla veridicità delle affermazioni che vengono fatte al suo
interno. Il criticismo nasce in un momento in cui la ricerca filosofica si era fermata di
fronte allo scontro tra due concezioni opposte e inconciliabili: il razionalismo e
l'empirismo.
Il razionalismo, il cui maggior esponente era Cartesio, era quella corrente filosofica
che si proponeva di spiegare tutta la realtà tramite la ragione, partendo dall'idea di
Dio e dall'autocoscienza (il cogito ergo sum cartesiano). Si avvaleva, cioè, del solo
strumento della conoscenza a priori. Il razionalismo afferma che l’anima, al
momento della nascita, possiede determinati princìpi razionali, ossia le idee innate
come contenuto a priori, ossia non derivato dall’esperienza, ma posto e garantito da
Dio; da queste idee innate, che sono indipendenti dall’esperienza, vengono dedotte
le altre verità con un procedimento deduttivo-matematico che va di pensiero in
pensiero, come avviene per la geometria che, da alcuni postulati, deduce i suoi
teoremi. Secondo tale concezione l’uomo ha già in sé implicito tutto il conoscere e
all’intelletto non rimane se non un lavoro di analisi che serva a mettere in luce
questo sapere. La forma di conoscenza dei razionalisti, secondo Kant, è il giudizio
analitico, in cui il predicato è già implicito nel soggetto, ossia può venir desunto per
analisi dal soggetto. Esso rende esplicito ciò che è già contenuto nel soggetto. ES. “I
triangoli hanno tre lati, il cerchio non ha lati”. Tutti i principi analitici sono giudizi a
priori, che si basano sul principio di non contraddizione: è impossibile affermare il
loro contrario. Il giudizio analitico ha valore universale in quanto vale per tutti ed è
necessario perché vale in ogni caso; inoltre si fonda sui princìpi logici di identità e di
non contraddizione, ma è astratto, vuoto e infecondo, perché risulta una ripetizione
che non aggiunge nulla di nuovo al soggetto. Il punto debole di questa corrente di
pensiero, tuttavia, era rappresentato dall'impossibilità di affermare con certezza che
il pensiero corrispondesse all'essere, che il piano logico corrispondesse al piano
ontologico. Infatti, Kant paragona la Metafisica al folle volo di una colomba che
immagina di fare senza l’aria per non sentirne la resistenza (pag.449).
Tuttavia, Kant non aderisce all’empirismo anzi ne sottolinea i forti limiti.
L'empirismo, rappresentato da Thomas Hobbes, David Hume, era la corrente
filosofica che affermava l'esatto contrario del razionalismo: l'unico modo per
conoscere la realtà circostante sono i sensi e le nostre percezioni. L’empirismo
afferma che l’anima, al momento della nascita, è come una tabula rasa su cui nulla è
stato ancora scritto, per cui tutte le conoscenze derivano dall’esperienza ossia dai
sensi: esse sono a posteriori. Il pensiero ha il compito di aggiungere per sintesi nuovi
dati sensibili a quelli già registrati con l’esperienza. La forma di conoscenza propria
degli empiristi viene da Kant chiamata giudizio sintetico, nel quale il predicato non è
contenuto nel soggetto, ma aggiunge qualcosa di nuovo al concetto che fa da
soggetto (es: “Quest’uomo è calvo”). Tale giudizio è estensivo, (aggiunta = sintesi).
Tutto ciò che deriva dall’esperienza è a posteriori: esso è sintetico e concreto e
accresce il nostro sapere, ma ha valore particolare, perché non si basa sui principi
logici di identità e non contraddizione, ossia non è universale e necessario e le idee
che ne derivavano avevano valore solo in quella situazione/in quel momento
particolare. Es. “Questo triangolo è scaleno; Francesca è simpatica”. Ne derivava,
quindi, uno scetticismo, e un'impossibilità di conoscere qualcosa con sicurezza.
Una volta che Kant si sveglia dal “sonno dogmatico” grazie al filosofo Hume, capisce
che, se è vero che la conoscenza umana non può scavalcare l’esperienza (come
dicevano gli empiristi), è proprio a partire dal riconoscimento di tale limite che è
possibile fondare la legittimità e la validità della scienza. La concezione empirista
costituisce per Kant il presupposto per individuare un ambito in cui è realizzabile
una conoscenza universale e necessaria. Analisi delle condizioni di possibilità di tale
sapere è l’obiettivo della prima Critica kantiana, ovvero la Critica della Ragion Pura.

Critica della Ragion Pura


Che cosa posso sapere? Quali sono i limiti della mia conoscenza? E come posso
sfruttarla?
Nella Critica della ragion pura Kant si propone di sottoporre a giudizio la ragione
umana. Per critica della ragion pura intende l'indagine rigorosa della "facoltà della
ragione riguardo a tutte le conoscenze a cui può aspirare indipendentemente da
ogni esperienza" per stabilire la possibilità o meno di una metafisica come scienza.
La conoscenza derivante dall'esperienza è detta "a posteriori", mentre quella
indipendente dall'esperienza è chiamata "a priori" e solo essa è universale e
necessaria. La conoscenza è composta da una materia (le impressioni sensibili che
derivano dall'esperienza) e da una forma (l'ordine e l'unità che le nostre facoltà
conferiscono alla materia. La conoscenza scientifica, come opera nella matematica e
nella fisica, è una "sintesi a priori", contiene cioè "giudizi sintetici a priori":
"sintetico" significa che il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, e "a
priori" vuol dire universale e necessario e perciò non derivante dall'esperienza (per
esempio, la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°). L'opera intende
dunque rispondere alla domanda come siano possibili giudizi sintetici a priori,
ovvero come è possibile la scienza, poiché opera con simili giudizi. Queste
"condizioni di possibilità" della scienza e della conoscenza risiedono negli elementi a
priori che ordinano le impressioni: l'oggetto dell'esperienza risulta da una sintesi tra
un dato della sensibilità e un elemento a priori: Kant chiama tale oggetto
"fenomeno". La Critica della ragion pura vuole indagare gli elementi formali, o
trascendentali, della conoscenza; per trascendentale si intende una conoscenza "che
si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti". Questa
inversione nel rapporto conoscitivo per cui è l'oggetto ricevuto dalla sensibilità e
pensato dall'intelletto che si adegua al soggetto conoscente e non viceversa viene
definita da Kant la rivoluzione copernicana del pensiero. La Critica della ragion pura
si divide nell'estetica trascendentale e nella logica trascendentale, che a sua volta si
divide in analitica trascendentale (analitica dei concetti e analitica dei principi) e
dialettica trascendentale. L'estetica trascendentale determina le forme pure della
sensibilità, entro cui le sensazioni sono ordinate: sono le intuizioni pure di spazio e
di tempo, che possiedono una "realtà empirica" e una "idealità trascendentale" e
condizionano il modo delle cose di apparire a noi. Se la sensibilità è recettività,
l'intelletto è spontaneità e la sua attività è il giudizio: dunque pensare significa
giudicare. La logica trascendentale astrae dal contenuto empirico e tratta dei
concetti puri, o categorie dell'intelletto. L'attività dell'intelletto si esplica nel
giudicare secondo classi (quantità, qualità, relazione, modalità) che si articolano in
funzioni intellettuali (le 12 categorie: per esempio, unità, molteplicità; realtà,
negazione; causalità, azione reciproca). Per applicare le categorie agli oggetti
dell'esperienza occorre il passaggio della "deduzione trascendentale". Se infatti nella
sensibilità il molteplice dell'esperienza viene ordinato secondo le intuizioni di spazio
e tempo, nell'intelletto il molteplice dato dalla sensibilità deve sottostare "alle
condizioni dell'unità sintetica originaria dell'appercezione": l'Io penso. Il pensiero di
un oggetto mediante i concetti dell'intelletto può diventare conoscenza solo se
relazionato agli oggetti dei sensi. Ciò significa che pensare e conoscere non sono la
stessa cosa: un oggetto può essere pensato tramite le categorie, ma tale oggetto
pensato può essere conosciuto solo mediante le intuizioni sensibili di spazio e
tempo. L'analitica dei principi insegna ad applicare ai fenomeni i concetti, e ciò
implica che sia trovata una mediazione tra sensibilità e intelletto, tra intuizione e
concetto. Occorre cioè un terzo termine, omogeneo con il concetto, che è
intellettuale, e con il fenomeno, che è sensibile: si tratta dello "schema
trascendentale", un prodotto dell'immaginazione. L'immaginazione configura nel
tempo (che è a priori come le categorie dell'intelletto e intuibile come le forme pure
della sensibilità), secondo le varie categorie, il materiale fornito dalla sensibilità.

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