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Criticismo
Il termine “critica” deriva dal greco “krinein” e significa “giudicare, chiamare in
causa” e designa la filosofia kantiana che va intesa come attività di ricerca che
indaga le capacità e i limiti della ragione umana, acquisendo consapevolezza
dell’estensione e dei confini del suo orizzonte conoscitivo, evitando di inseguire i
pericolosi “sogni metafisici” (chiamata anche “filosofia del limite). Il criticismo è
un'analisi della ragione umana, che diventa insieme giudice e imputato nel tentativo
di scoprire cosa può realmente conoscere e affermare con certezza. Esso restringe in
tal modo il campo di indagine della filosofia, ma permette al contempo di acquisire
una maggiore sicurezza sulla veridicità delle affermazioni che vengono fatte al suo
interno. Il criticismo nasce in un momento in cui la ricerca filosofica si era fermata di
fronte allo scontro tra due concezioni opposte e inconciliabili: il razionalismo e
l'empirismo.
Il razionalismo, il cui maggior esponente era Cartesio, era quella corrente filosofica
che si proponeva di spiegare tutta la realtà tramite la ragione, partendo dall'idea di
Dio e dall'autocoscienza (il cogito ergo sum cartesiano). Si avvaleva, cioè, del solo
strumento della conoscenza a priori. Il razionalismo afferma che l’anima, al
momento della nascita, possiede determinati princìpi razionali, ossia le idee innate
come contenuto a priori, ossia non derivato dall’esperienza, ma posto e garantito da
Dio; da queste idee innate, che sono indipendenti dall’esperienza, vengono dedotte
le altre verità con un procedimento deduttivo-matematico che va di pensiero in
pensiero, come avviene per la geometria che, da alcuni postulati, deduce i suoi
teoremi. Secondo tale concezione l’uomo ha già in sé implicito tutto il conoscere e
all’intelletto non rimane se non un lavoro di analisi che serva a mettere in luce
questo sapere. La forma di conoscenza dei razionalisti, secondo Kant, è il giudizio
analitico, in cui il predicato è già implicito nel soggetto, ossia può venir desunto per
analisi dal soggetto. Esso rende esplicito ciò che è già contenuto nel soggetto. ES. “I
triangoli hanno tre lati, il cerchio non ha lati”. Tutti i principi analitici sono giudizi a
priori, che si basano sul principio di non contraddizione: è impossibile affermare il
loro contrario. Il giudizio analitico ha valore universale in quanto vale per tutti ed è
necessario perché vale in ogni caso; inoltre si fonda sui princìpi logici di identità e di
non contraddizione, ma è astratto, vuoto e infecondo, perché risulta una ripetizione
che non aggiunge nulla di nuovo al soggetto. Il punto debole di questa corrente di
pensiero, tuttavia, era rappresentato dall'impossibilità di affermare con certezza che
il pensiero corrispondesse all'essere, che il piano logico corrispondesse al piano
ontologico. Infatti, Kant paragona la Metafisica al folle volo di una colomba che
immagina di fare senza l’aria per non sentirne la resistenza (pag.449).
Tuttavia, Kant non aderisce all’empirismo anzi ne sottolinea i forti limiti.
L'empirismo, rappresentato da Thomas Hobbes, David Hume, era la corrente
filosofica che affermava l'esatto contrario del razionalismo: l'unico modo per
conoscere la realtà circostante sono i sensi e le nostre percezioni. L’empirismo
afferma che l’anima, al momento della nascita, è come una tabula rasa su cui nulla è
stato ancora scritto, per cui tutte le conoscenze derivano dall’esperienza ossia dai
sensi: esse sono a posteriori. Il pensiero ha il compito di aggiungere per sintesi nuovi
dati sensibili a quelli già registrati con l’esperienza. La forma di conoscenza propria
degli empiristi viene da Kant chiamata giudizio sintetico, nel quale il predicato non è
contenuto nel soggetto, ma aggiunge qualcosa di nuovo al concetto che fa da
soggetto (es: “Quest’uomo è calvo”). Tale giudizio è estensivo, (aggiunta = sintesi).
Tutto ciò che deriva dall’esperienza è a posteriori: esso è sintetico e concreto e
accresce il nostro sapere, ma ha valore particolare, perché non si basa sui principi
logici di identità e non contraddizione, ossia non è universale e necessario e le idee
che ne derivavano avevano valore solo in quella situazione/in quel momento
particolare. Es. “Questo triangolo è scaleno; Francesca è simpatica”. Ne derivava,
quindi, uno scetticismo, e un'impossibilità di conoscere qualcosa con sicurezza.
Una volta che Kant si sveglia dal “sonno dogmatico” grazie al filosofo Hume, capisce
che, se è vero che la conoscenza umana non può scavalcare l’esperienza (come
dicevano gli empiristi), è proprio a partire dal riconoscimento di tale limite che è
possibile fondare la legittimità e la validità della scienza. La concezione empirista
costituisce per Kant il presupposto per individuare un ambito in cui è realizzabile
una conoscenza universale e necessaria. Analisi delle condizioni di possibilità di tale
sapere è l’obiettivo della prima Critica kantiana, ovvero la Critica della Ragion Pura.