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VENGA IL TUO REGNO

STUDI SU

DANIELE E APOCALISSE

DI ROUSAS JOHN RUSHDOONY

Venga il Tuo Regno


Copyright 1970, 1998 by Rousas John Rushdoony

Titolo originale:
Thy Kingdom Come
Studies in Daniel and Revelation

Traduzione di Giorgio Modolo


Via Pastore, 74
31029 Vittorio Veneto
gio2joy@gmail.com

Può essere usato senza permesso


tutto o in parte
mantenendo chiaro il contesto
e dichiarandone le fonti.

Venga il Tuo Regno


INDICE

INTRODUZIONE …..…………………………………. i

PRIMA PARTE: DANIELE


Daniele 1: L’offensività di Daniele …………………… 2

Daniele 2: Il terrore dei sogni ………………………… 9

Daniele 3: La continuazione di Dio ………………….. 17

Daniele 4: Il centro rituale della terra ………………… 22

Daniele 5: La bilancia della giustizia …………………. 27

Daniele 6: Regno, giustizia e monoteismo ………….. 31

Daniele 7: Il corso del dominio ……………………….. 38

Daniele 8: Le prospettive della storia ………………… 46

Daniele 9: Confusione delle facce ……………………. 50

Daniele 10: La storia come liturgia ……………………. 54

Daniele 11: Legalismo e organismo (corpo sociale) … 57

Daniele 12: La certezza della vittoria …………………. 66

SECONDA PARTE: APOCALISSE


Apocalisse 1: L’esodo maggiore ……………………… 70

Apocalisse 2:1-7: Falsa santità ……………………….. 78

Apocalisse 2:8-17: La funzione dello stato ………….. 85

Apocalisse 2:18- 3:6: Morte e continuità …………….. 92

Apocalisse 3:7-22: Fede o sintesi …………………….. 98

Apocalisse 4: Il trono del governo …………………….. 103

Apocalisse 5: Testamento ed esecutore ……………… 108

Apocalisse 6: L’esecutore e il patrimonio ……………. 112

Venga il Tuo Regno


Apocalisse 7: Gli eredi ………………………………….. 117

Apocalisse 8: L’eredità dei falsi eredi …………………. 120

Apocalisse 9: Le piaghe contro Babilonia ……………. 124

Apocalisse 10: Pace e giudizio ………………………… 127

Apocalisse 11: Il regno militante ……………………….. 130

Apocalisse 12: Cristo contro Satana ………………….. 134

Apocalisse 13: Anti-cristianesimo in chiesa e stato …. 138

Apocalisse 14: Lo spossesso ………………………….. 142

Apocalisse 15: Il cantico di Mosè ……………………… 147

Apocalisse 16: Il grande scuotimento …………………. 149

Apocalisse 17: La meretrice di Babilonia ……………… 153

Apocalisse 18: La caduta di Babilonia ………………… 157

Apocalisse 18: 4: La chiamata a separarsi ……………. 161

Apocalisse 19: I due banchetti ………………………….. 164

Apocalisse 20: Resurrezione ……………………………. 167

Apocalisse 21:1-8: La nuova creazione ……………….. 172

Apocalisse 21:9-22:5: La nuova Gerusalemme ………. 176

Apocalisse 22:6-21: La stella del mattino ……………… 181

Il regno di Dio ……………………………………………… 184

L’albero della vita ………………………………………….. 187

TERZA PARTE: DIMENSIONI DEL FUTURO


Matteo 24 …………………………………………………… 191

1 e 2 Tessalonicesi sulla seconda venuta ……………… 198

Salmo 149: La chiamata è alla vittoria ………………….. 202


Venga il Tuo Regno


Venga il Tuo Regno
INTRODUZIONE

Edizione 2001

Lungo gli anni ho avuto il sentimento che Apocalisse sia il libro più difficile
dell’intera Bibbia sul quale scrivere, e in qualche modo, il più facile. I suoi dettagli
lasciano spesso perplessi, perfino sconcertati, eppure, il suo significato principale è
chiaro. Benché alcuni contesteranno anche questo, è un libro che riguarda la vittoria.
“Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Giovanni 5:4) Questo è
il motivo per cui conoscere Apocalisse è così importante. Alcuni crederanno che io
mi sbagli su molte cose riguardo a Apocalisse, ma su questo sono sicuro: Ci assicura
della nostra vittoria e la celebra.
Apocalisseè stato spesso ignorato da uomini più abili di me perché troppo
difficile, ma sono stati profondamente in errore. Genesi 3 ci dice della Caduta
dell’uomo nel peccato e nella morte. Apocalisse ci dà la vittoria sul peccato e sulla
morte dell’uomo in Cristo. Come si può trascurare Apocalisse? Possiamo errare nella
nostra interpretazione di molti dettagli, ma se sottolineiamo la nota di vittoria, siamo
nel giusto più di molti uomini capaci. La vittoria, ampia e totale, nel tempo e
nell’eternità, presentata da Giovanni in Apocalisse è troppo importante per ché sia
tralasciata.
Apocalisse è piena di testi difficili, ma ancor più è piena dell’assicurazione di
vittoria. Io credo di essere completamente nel giusto nella mia accettazione di questa
risonante nota di vittoria. La mia vita e la mia opera si posano su questa fede. Questa
vittoria è celebrata in Daniele e altrove, nell’intera Bibbia. Non ci è stato dato un
Messia che è un perdente. I testi escatologici acclarano che l’essenziale buona
novella dell’intera Bibbia è la vittoria, vittoria totale.
Qualcuno dice che la rinascita del post-millennialismo abbia le sue radici in
Venga il Tuo Regno. Dall’essere, come mi è stato detto, un punto di vista passato ed
ora morto, il post-millennialismo è ora una forza sociale crescente. Tra le altre cose,
ha fatto avanzare la scuola cristiana ed il movimento della scuola domestica.
Perciò, io sono felice di aver scritto quest’opera, è ho fiducia che continuerà a
rivitalizzare l’azione Cristiana.

Rousas John Rushdoony


Dicembre 7, 2000
Vallecito, CA

i
Venga il Tuo Regno
PRIMA PARTE
DANIELE
DANIELE 1
L’OFFENSIVITÀ DI DANIELE

Il libro di Daniele, che comincia molto innocentemente con un capitolo


riguardante la dieta di quattro giovani, è ciò nonostante uno dei libri più esplosivi di
tutta la storia umana poiché assume in ogni punto una filosofia della storia che è
anatema per l’uomo autonomo. Non solo questo concetto della storia è assunto come
articolo di fede, ma è confermato nei fatti stessi, nei piccoli dettagli della storia, come
manifestato da un Dio Sovrano il cui eterno decreto segna la caduta del passero e
conta il numero dei capelli dell’uomo. (Mt. 10:29-30). Affermare questa fede
retrospettivamente è una cosa, affermarla prospettivamente un’altra. In Daniele è
affermata in prospettiva e verificata dal corso di uomini e di imperi, ammesso che
Daniele sia da prendere così come si presenta.
Ma, è comunemente affermato che Daniele sia essenzialmente un falso, e da
datarsi non dal sesto secolo prima di Cristo, dai giorni dall’Impero Caldeo e della
potenza Medo-Persiana, ma dal periodo dei Maccabei: 168-165 a.C.. Le supposte
basi per tale affermazione sono nella critica testuale, la presupposizione è una
filosofia della storia radicalmente opposta a Daniele. Nei termini di questa
presupposizione, Daniele è un libro completamente impossibile ed offensivo; non può
essere vero, perché la sua veracità richiederebbe un rovesciamento di ogni
concezione e filosofia della storia accettata dall’uomo moderno. Di conseguenza è
un’opera crassa e cruda, troppo sfacciata nel suo soprannaturalismo per poter essere
accettabile in qualche senso.
L’offensività di Daniele, comunque, è l’offensività di tutta la Scrittura, poiché
qui sono concentrati elementi basilari della fede Biblica in termini netti e convincenti
che non consentono una lettura “poetica” ma richiedono, con aspra insistenza, una
sottomissione che l’uomo autonomo trova intollerabile. Quest’offesa può essere
riassunta in quattro punti, ciascuno dei quali implica credenze di vasta portata.
Prima di tutto, Daniele è un’offesa perché manifesta in termini inevitabili il
concetto biblico di Dio: Dio il Signore, il sovrano, non-creato, ontologico Signore
YHWH, Colui che è, accanto al quale non c’è nessun altro. Questo Dio deve essere
chiaramente distinto dal dio dei critici testuali, che non sono atei, nel fatto che
affermano di avere fede in un dio, ma credono in un dio che è essenzialmente Valore,
2
Venga il Tuo Regno
oppure egli stesso un essere tra esseri, un anziano cittadino dell’universo. Il dio
Valore è l’epitome del bene, del vero, e del bello, l’essenza di tutte le virtù che
l’uomo apprezza. Questo dio Valore trova espressione nell’uomo e attraverso l’uomo,
cosicché, la famosa frase omiletica recita: “Dio non ha mani da poter usare se non le
mie”. Questo, nei termini di Daniele è un concetto blasfemo, poiché Dio il Signore è
autosufficiente e completamente indipendente dalla sua creazione, non avendo in
alcun modo bisogno delle sue creature per agire o per manifestare Se stesso. Nei
termini di questo concetto di Dio come valore e del corollario di questa credenza:
“Dio non ha mani da poter usare se non le mie”, né la creazione né la redenzione
possono essere spiegati in termini Biblici. La storia Biblica, le piaghe d’Egitto, il
passaggio del Mar Rosso, i miracoli di Daniele, la nascita verginale e la resurrezione,
tutti questi e gli altri, quando siano mantenuti, sono svuotati del significato Biblico e
subordinati ad un nuovo tipo di storicità nella quale l’esistenza e la consapevolezza
dell’uomo sono supreme, e le attività di Dio sono nascoste e offuscate. Il limitato dio
dell’essere è di nuovo marcatamente diverso dal Dio delle Scritture. Poiché egli è
solamente un aspetto dell’universo, per quanto ne sia un aspetto superiore, non può
controllare ciò di cui egli stesso è un prodotto. Il suo potere è perciò limitato,
nascosto e vago, e la sua “rivelazione” non meno incerta. Solamente un Dio auto-
sufficiente, sovrano e onnipotente può dare una rivelazione di sé piena e sufficiente.
Nell’uomo, potenzialità e realtà non sono mai uguali e, di conseguenza, l’uomo non
può mai pienamente rivelare se stesso, perché non può né conoscere se stesso
perfettamente, né controllare in modo assoluto le sue realtà presenti e future. Ma,
poiché il Dio sovrano delle Scritture non ha in se stesso elementi inconsci, è
autosufficiente e onnipotente, e perché, conoscendo se stesso perfettamente, Egli può
conoscere tutte le sue attività presenti e future pienamente e perfettamente, la sua
rivelazione è inevitabilmente piena e sufficiente e non può che essere tale. Egli è
immenso e inesauribile ma mai nascosto o inconscio in alcun modo. Poiché Dio non
è mai nascosto a se stesso, la sua rivelazione è inevitabilmente trasparente e libera
dalla prospettiva di sorprese future e nascoste. Perciò, ne consegue inevitabilmente
che, se il Dio di Daniele è il vero Dio, la sua rivelazione sarà sia infallibile sia chiara,
e Daniele è stato con la stessa inevitabilità un terreno di prova e campo di battaglia di
quella fede. Se la rivelazione è nascosta nella Bibbia, allora anche Dio è nascosto
nell’universo. Se nuove rivelazioni di nuovi aspetti della verità o di nuove verità
fossero possibili, sarebbe perché un Dio mutevole e parzialmente inconsapevole è
incapace di una rivelazione completa. La Scrittura infallibile e inerrante è la sola
parola possibile da un Dio onnipotente e sovrano, e la dottrina della parola infallibile
è il corollario inevitabile della dottrina dell’onnipotenza di Dio. La natura di Daniele
ci costringe a fare questa associazione, e perciò questo Libro è importante per le sue
evidenti implicazioni quanto per il suo contenuto immediato.
Questa dottrina di Dio è offensiva perché l’uomo, col suo antropocentrismo
ribalterebbe il ruolo di Dio e usurperebbe il suo trono. In questi termini l’uomo
diventerebbe conoscibile e Dio non conoscibile, l’uomo si presenterebbe rivelato e
Dio diverrebbe nascosto. Ma le Scritture affermano il contrario: “Il cuore dell'uomo
programma la sua via, ma l'Eterno dirige i suoi passi.” (Pr. 16:9). “I passi dell'uomo
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Venga il Tuo Regno
sono dall'Eterno; come può quindi l'uomo conoscere la propria via?” (Pr. 20: 24) Se il
decreto sovrano è di Dio e non dell’uomo ne consegue che l’uomo non può
comprendere le sue stesse proprie vie. Per prima cosa la determinazione ultima non è
sua e al massimo egli è solo parzialmente consapevole della sua propria natura. In
secondo luogo, mancando sia la pienezza della consapevolezza epistemologica che la
maturazione storica, egli stesso non è ancora completo. Terzo, ciò significa che non
solo buona parte della sua vita è ancora inconscia, ma, più di questo, deve ancora
nascere nel suo inconscio perché è ancora futura almeno a quel grado di
manifestazione. Di conseguenza, le psicologie, psichiatrie e teologie che ascoltano
l’antica sirena: “conosci te stesso”, ricercano una manifesta impossibilità. Quale che
sia la misura di conoscenza di sé che l’uomo possa avere, può averla solo nei termini
dell’interpretazione che Dio pone su di lui come creatura: ribelle o redenta. Poiché la
causalità primaria della sua vita rimane in Dio, nessuna vera interpretazione o
comprensione della sua vita è possibile separatamente da Dio. Dio, d’altra parte,
essendo onnisciente e onnipotente, è conoscibile, non avendo una natura nascosta né
alcuna tensione sub-conscia, ma non è conoscibile dall’uomo esaustivamente, perché
conoscere Dio esaustivamente richiederebbe che l’uomo avesse una mente uguale a
quella di Dio, ma Egli può essere ed è conosciuto veramente e coerentemente
attraverso la sua auto-rivelazione. La nostra conoscenza di Dio è analogica della
conoscenza divina. Benché la conoscenza di Dio da parte dell’uomo non possa essere
esaustiva o comprensiva, cioè totale, in virtù della creazione ad immagine di Dio è
vera conoscenza, mentre la conoscenza esaustiva, totale si trova solo in Dio. Dio
conosce se stesso completamente perché “l’essere di Dio ha la stessa estensione della
sua auto-consapevolezza”1 . L’essere di Dio e la sua conoscenza di sé sono identiche,
mentre per l’uomo non esiste tale identità tra l’essere e la sua conoscenza analitica,
né può esistere, poiché tutta la sua conoscenza è sintetica e dipende da riferimenti a
cose altre da se stesso. Perciò, la sostituzione della psicologia per la teologia e la
psicologia della religione per la filosofia della religione, è un’indicazione del
rovesciamento radicale dei ruoli di Dio e dell’uomo. Coinvolge una ricerca di una
sapienza impossibile ed inesistente nei termini di un’autonomia dell’uomo che è
mitologica e irrazionale. Il Dio di Daniele è il Signore sovrano che infrange le
illusioni di autonomia dell’uomo e umilia la sua affermazione di conoscenza. I sogni
perciò, hanno una parte importante in Daniele; l’uomo è tormentato dal fantasma del
futuro e dell’ignoto e reso conscio, contro la sua volontà, della temerarietà della
propria ribellione e della pazzia delle proprie affermazioni.
Secondo, Daniele è offensivo perché presenta profezia predittiva nella sua
forma più chiara, non poetica, schietta e non confondibile. Scritto, secondo la sua
stessa dichiarazione, nel sesto secolo a. C. da Daniele, traccia il corso dell’impero per
secoli in avanti, presenta la venuta di Cristo e la costituzione della chiesa, e fa tutto
ciò con la specifica e singolare confidenza che questa non solo è la rivelazione di
Dio, ma anche la manifestazione della normale e continua attività di governo di Dio
sull’uomo e sulle nazioni. E questa è una pietra d’inciampo, uno scandalo. L’uomo e

1 Cornelius Van Til, The Defense of the Faith; Philadelphia: Presbyterian and Reformed, 1955, p. 52.
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Venga il Tuo Regno
le nazioni vogliono credere nella loro autonomia, nella loro indipendenza da Dio,
preferiscono considerarsi artefici del proprio destino, fautori e formatori; creatori,
non creature. Ma contro tutto questo, Daniele afferma enfaticamente che Dio è il solo
agente indipendente della storia, sia creatore che governatore del tempo e
dell’eternità. Dio, che determina ogni cosa, e nel quale viviamo, ci muoviamo e
siamo (At. 17:28), determina ciascun nostro oggi e domani e conosce e determina la
storia perché conosce e determina se stesso. Come Dio non ha in se stesso
potenzialità inesplorate, né qualsivoglia sub-conscio, conosce se stesso e governa se
stesso in modo assoluto, così la storia, sua creazione, non ha potenzialità inesplorate
al suo interno né elementi inconsci che possano svilupparsi separatamente dall’eterno
decreto di Dio. Le nazioni sono un nulla davanti a lui, ed Egli muove uomini e
nazioni ed imperi per i propri fini, non per i loro. Egli usa tutta la storia e non è mai
usato da essa, la piega, la modella, la forma nei termini del suo scopo eterno e
nessuno può fermare la sua mano. Ma gli uomini cercano un Dio che possano usare,
non un Dio che usa loro e da questo nasce l’offensività di Daniele. Profezie predittive
così specifiche rendono inevitabile la subordinazione del tempo al decreto eterno.
Terzo, Daniele è offensivo a motivo dei suoi miracoli, miracoli la cui natura
implica certe cose riguardo a Dio e alla storia. Nell’antichità era comune la fede che
la verità di una religione fosse manifesta nel successo che avrebbe portato all’uomo.
Il pragmatismo antico considerava la religione strumentale all’uomo. La verità di una
religione dipendeva dai suoi risultati. Se gli dèi d’Egitto davano successo all’Egitto
essi erano fin lì veri. Se Babilonia guadagnava la preminenza, allora anche i suoi dèi
guadagnavano la preminenza. Daniele 1:2 indica che Nebukadnetsar, nel portare gli
utensili del tempio da Gerusalemme alla casa del suo dio, espresse con ciò la
preminenza della sua fede a la necessaria posizione di subalternità e servitù della fede
di Giuda alla sua fede. Alla base di questa pratica c’è un orientamento centrato
sull’uomo: Dio deve essere giudicato nei termini della sua usabilità, di ciò che può
fare per l’uomo, e in quale misura lo fa prosperare, una fede che sfortunatamente è
comune alla chiesa come al mondo. Questo pragmatismo e antropocentrismo si fonda
ancora una volta sulla premessa dell’autonomia dell’uomo. Se l’uomo è da se stesso
la verità o realtà finale, e la sua esistenza è la premessa basilare della sua fede, allora
Dio e la religione non possono avere un carattere indipendente o una verità ma
possono avere solamente un significato relazionale; non sono sostantivi ma aggettivi
e perciò, come col modernismo, una fede mutevole è una necessità nei termini delle
mutevoli condizioni e necessità dell’uomo. La rigidità della fede Biblica diventa
prova di un falso razionalismo e dell’evidenza di irreligiosità, e la fede Biblica viene
disprezzata, derisa e perseguitata. I miracoli di Daniele sono un affronto alla religione
pragmatica e centrata sull’uomo, e giustamente, perché questi miracoli sono una
dichiarazione di guerra contro ogni simile fede che viene ridotta all’assurdità proprio
mentre signoreggia su uomini di fede. Questi miracoli trascendono anche la fede
della chiesa e rivelano la sovranità di Dio nella sua salvezza, il suo potere verso i
deboli, e il suo disprezzo dei potenti di questo mondo.
Infine, quarto, Daniele è offensivo perché assume e afferma la totale
provvidenza ed il totale governo di Dio, il quale governa, domina e revoca in ogni
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Venga il Tuo Regno
evento della storia fino al più piccolo dettaglio. Gli uomini preferiscono l’anarchia
del caso che permette loro di essere dio sul loro piccolo angolo di caos, alla sovranità
di Dio e alla Sua totale predestinazione di tutte le cose. Un Dio che può metterci, in
lacrime, presso i fiumi di Babilonia o giovane e solo, prigioniero sotto istruzione nel
palazzo di Nebukadnetsar, è un Dio che ovviamente governa e usa l’uomo e non è
mai governato ed usato da esso. Questo non è ciò che l’uomo ha sempre cercato nella
religione, alla quale egli si è rivolto per potere, guarigione, buona fortuna, in breve
per una polizza assicurativa di responsabilità civile generale. Dio, in contraccambio
per certe gentilezze dall’uomo, dovrebbe perciò essere posto in debito verso l’uomo e
soggetto a chiamate d’emergenza, un Dio messo in reperibilità. Ma Daniele ed i suoi
amici, per quanto innalzati nell’impero, sono sempre gli strumenti di Nebukadnetsar,
ovvero dell’uomo, e al di la e al di sopra di ciò, strumenti di Dio. Tale Dio costituisce
nei fatti una magra assicurazione all’uomo in cerca della propria esaltazione, ma
costituisce la sola sicurezza e gioia per un uomo che sappia di essere una creatura.
Quattro tali uomini, uomini molto giovani, furono scelti da Babilonia dalla
Giudea appena conquistata e portati al palazzo del re per un corso di studi triennale, a
studiare lingue, astronomia, astrologia, matematica, storia naturale, agricoltura,
architettura e scienze politiche. L’antico sogno della globalizzazione caratterizzò
Babele, l’Assiria e la Caldea, e nazioni furono frantumate, popolazioni mescolate per
rompere i legami nazionali e giovani uomini di nazioni conquistate venivano
preparati a diventare alti funzionari per aiutare a mantenere la lealtà del loro popolo e
per dare un carattere internazionale e cosmopolita all’impero. Questa diversità di
leadership e lo scambio delle popolazioni avrebbe portato ad una società di “melting
pot” dove avrebbe preso radice il concetto di mondo unificato (mondializzazione).
Di conseguenza, mentre erano in un senso prigionieri, vivevano nel lusso,
mangiando una porzione del pranzo giornaliero del re. Secondo 1 Re 4: 22-23 La
provvista di viveri di Salomone per ogni giorno consisteva in trenta cori di fior di
farina e sessanta cori di farina ordinaria, dieci buoi ingrassati, venti buoi da pascolo e
cento ovini senza contare i cervi, le gazzelle, i caprioli e il pollame ingrassato. (1 core
= circa 350 Kg.) Possiamo sicuramente presumere che le provvigioni di
Nebukadnetsar saranno state allo stesso modo lussuosamente abbondanti. Certamente
tali lussi erano calcolati per indebolire vecchie lealtà già logorate dal tempo e dalla
distanza, e per favorire nuove alleanze. Nei termini di questa opulenza YHWH e
Giuda potevano entrambi divenire remoti e primitivi.
Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con i cibi squisiti del re e
con il vino che lui stesso beveva; e chiese al capo degli eunuchi di concedergli di non
contaminarsi. (1:8) Daniele era sicuramente il capo di questi quattro giovani senza
difetto (v.4) che chiaramente quindi non erano essi stessi eunuchi benché altri di
stirpe reale fossero stati fatti eunuchi (cfr. Is. 39: 7), giovani uomini probabilmente di
quindici, sedici anni al tempo della loro deportazione. La loro richiesta non implicava
ascetismo ma due principi chiari e ben definiti. Primo, mangiare era a quel tempo un
sacramento di comunione non solo con uomini ma anche con le loro divinità. In tale
difficile situazione, il tipo di accomodamento, di facilitazione, permessa a Naaman
nella casa di Rimmon (2Re 5: 18-19) non era possibile per i quattro giovani che se
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Venga il Tuo Regno
non avessero cominciato con una presa di posizione di principio non avrebbero
potuto continuare in essa. La presa di posizione fu fatta diplomaticamente, con tutte
le intenzioni di favorire il loro servizio a Nebukadnetsar per mezzo della loro
maggiore lealtà a Dio. Secondo, se non riuscivano a prendere posizione su questioni
semplici, come avrebbe resistito la loro fede alla prova delle pesanti responsabilità
che sarebbero venute più avanti? La santità Biblica non è mai nei termini di principi
astratti, o nei termini di ritiro dal mondo, ma nei termini d’affrontare i problemi e le
lotte di questa vita vittoriosamente. Di conseguenza, il loro scopo era una
preparazione nei termini delle necessità e delle lotte vere e reali. Nessun santo
Biblico ha mai ricercato la santità in sé e per sé, essa fu un prodotto della sua fede ed
un aspetto della sua forza. Il suo scopo non è la santità per sé ma la gloria di Dio e il
suo proprio godimento della vita sotto Dio, perciò mai una fuga dal mondo, ma una
preparazione per i problemi e le responsabilità nel mondo.
Il sostentamento richiesto al posto della carne e del vino del re furono legumi
ed acqua, cose generalmente non offerte in sacrificio o consacrate sugli altari di
Babilonia prima dell’uso normale. Fino al tempo in cui non avrebbero comandato sul
proprio cibo, preferirono una dieta ristretta, per niente normale per gli Ebrei, e Dio li
fece prosperare in essa.
Quando arrivò il tempo dell’esame, “su ogni argomento che richiedeva
sapienza e intendimento e intorno ai quali il re li interrogasse, li trovò dieci volte
superiori a tutti i maghi e astrologi che erano in tutto il suo regno” (1:20).
Giuda era in frantumi, Gerusalemme spogliata, e i suoi giovani migliori fatti
servi della potenza di Babilonia. Ma quella stessa parola che richiede fedeltà ed
obbedienza dai servitori (Cl. 3:22-25), dice anche chiaramente che essendo stati
comprati a prezzo da Cristo (1 Co. 6:20), non possono mai diventare servi dell’uomo
in senso abbietto, ma, nella loro obbedienza devono deliberatamente farlo “come al
Signore e non per gli uomini” (Cl. 3:23). Tale servizio è possibile solamente se il Dio
che si serve è Colui per il cui decreto i re regnano, il passero cade, e i padroni
esercitano la loro autorità. Nei termini della sua sovrana volontà, Egli sarà servito,
volontariamente o contro voglia, da ogni creatura, cosicché uomini di fede possono
servire un Nebukadnetsar nella certezza che la gloria sarà di Dio. Questi quattro
giovani uomini di Giuda agivano in questa fede e con questa certezza.
In questo modo le questioni sono chiaramente focalizzate. Babilonia,
echeggiando l’antico sogno di Babele di un mondo, di un paradiso senza Dio,
un’unità cosmica fondata su un principio altro dal Creatore, aveva in Nebukadnetsar
un brillante ed orgoglioso promotore di quella fede, un uomo dedicato a quell’unità e
a quell’ordine che gli statisti hanno ricercato fin da quando Caino costruì la città di
Enoch (Gn.4:17). Torkild Jacobsen ha descritto il concetto Mesopotamico primitivo:

Il fatto che l’universo Mesopotamico fosse concepito come uno stato, che gli
dèi che possedevano e governavano le varie città-stato fossero legati insieme in
una unità superiore, l’assemblea degli dei, che possedeva organi esecutivi per
esercitare pressione esternamente quanto per applicare la legge e l’ordine
internamente, ebbe vaste conseguenze per la storia Mesopotamica e per il
7
Venga il Tuo Regno
modo in cui gli eventi storici furono giudicati ed interpretati. Esso irrobustì
fortemente le tendenze verso l’unificazione politica del paese comandando
perfino i mezzi più violenti a quel fine. Infatti, ogni conquistatore, se aveva
successo, era riconosciuto come un agente di Enlil. Provvide pure, anche in
tempi in cui l’unità nazionale era debole e le molte città-stato erano, per ogni
scopo pratico, unità indipendenti, un retroterra in cui la legge internazionale
poteva operare 2.

Questo retroterra, diede un principio di continuità e di terreno comune alle relazioni


umane, una sottostruttura comune a tutti gli uomini, ovunque. Come apparirà più
avanti, c’era coinvolto molto di più nel concetto di continuità, un principio di unità
che rese possibile non solo l’unità politica e religiosa senza disgregazioni dei
componenti, ma che rendeva anche tutti gli uomini costituendi una comune divinità
se solamente si fossero adoperati con successo. Contro tutto questo, la fede di
Daniele e dei suoi amici fu una forza aliena e disgregatrice, una rottura violenta della
società umana. Un Dio come il Signore di Daniele, Adonai, era un Creatore troppo
geloso, un Marito-Pattizio troppo esclusivo, e troppo alieno e discontinuo con
l’universo dell’uomo per poter essere altro che un intruso offensivo all’uomo
babilonese. La questione fu perciò chiaramente visibile.
Il concetto di continuità significava crescita e sviluppo (evoluzione) in dio
come nell’uomo, mentre il Dio di Daniele è discontinuo con la sua creazione e al di là
di crescita essendo Egli stesso l’onnisciente e onnipotente creatore di tutte le cose e di
ogni crescita. Poiché Dio è assoluto nel suo essere, la sua parola e la sua opera
inevitabilmente partecipano di quell’assoluta auto-consapevolezza che rende
impossibile che abbia qualcosa di nascosto. Perciò, l’infallibilità della sua parola e la
predestinazione di tutte le cose sono necessarie conseguenze del suo essere, né può
alcun aspetto del suo essere e della Sua rivelazione venire limitato senza che questa
limitazione sia estesa pure agli altri aspetti. Una parola nascosta significa elementi
nascosti in Dio, un decreto limitato di nuovo introdurrebbe il nascosto nell’essere di
Dio. Contro tutte queste divisioni, il libro di Daniele è un muro, e per i suoi critici,
un’inalterabile offesa.

2 H. e H. A. Frankfort, John A. Wilson, and Torkild Jacobsen, Before Philosophy. The Intellectual Adventure of Ancient
Man; Penguin Books, 1949, p. 210
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Venga il Tuo Regno
DANIELE 2
IL TERRORE DEI SOGNI

Mentre non ci sono attività inconsce e potenzialità nascoste in Dio, l’uomo è da


esse fortemente governato, e i sogni sono un ricordo persistente di questo fatto. I
sogni sono la costante resuscitazione di un passato morto ed impotente:

Sleep, kinsman thou to death and trance


And madness thou hast forged at last
A night-long Present of the Past 1.
Sonno, parente tu di morte e trance
E di pazzia infine hai tu forgiato
Un Presente notte-lungo del Passato.

Con questo ricordare la fragilità dell’uomo e la mancanza di libertà assoluta e


di possibilità di determinare la propria vita, i sogni parlano anche di morte, trance e
pazzia all’uomo orgoglioso. Anche la gioia che un uomo gode nei sogni è illusoria,
come un proverbio comune alle varie culture dice: “Dopo aver sognato di nozze
arriva un funerale”. L'irrealtà del potere dell’uomo rivelata dai sogni getta ombre
sulla realtà del suo autogoverno da sveglio, cosicché nel cuore dell’uomo di tutte le
culture si soleva anche la questione del risveglio: “Dormo? Sogno?… Le cose sono
ciò che sembrano?” Prospero, nella Tempesta di Shakespeare, esprime il cinismo che
riguarda la vita rassomigliandola al sogno a causa della sua inconsistenza:

We are such stuff


As dreams are made on, and our little life
Is rounded with a sleep.
Noi siam di quella materia
Di cui son fatti i sogni, e la nostra piccola vita
È circondata da un sonno

Sicuramente, dovunque l’uomo aspiri d’essere come Dio, e di affermare una


libertà assoluta, i sogni sono un terrore nel richiamare alla memoria la creaturalità, la

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Tennyson, In Memoriam, canto 71
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Venga il Tuo Regno
colpevolezza, e la condanna. Il terrore dei sogni, perciò, è il terrore della mortalità,
della colpa, e la disperazione della mutabilità.
Nabukadnetsar, sia consciamente sia inconsciamente, era venuto faccia a faccia
con questo terrore. Prima di dormire, egli era stato profondamente preoccupato per il
futuro (2:29). Il suo grande impero, costruito sul principio della continuità e sul
sogno della mondializzazione, avrebbe potuto un giorno incontrare quella radicale
discontinuità di morte e distruzione che aveva sovrastato precedenti Torri di Babele.
Tali angosciosi fatti hanno spesso portato l’uomo, dagli antichi a Nietzsche fino al
presente, ad un concetto ciclico della storia, all’orrore della mancanza di significato
dell’eterna ricorrenza. Dormendo dopo tali infelici meditazioni, Nebukadnetsar fu
soggetto da Dio ad un sogno in risposta alla sua pressante preoccupazione riguardo
ciò che deve avvenire da quel momento in poi; (2:29), ma la sua reazione era stata di
terrore (2:1).
La sua reazione da sveglio era stata di odio verso l’impotenza dei professionisti
religiosi e scientifici del suo tempo e un desiderio di mettere a nudo la loro futilità.
Avendo conosciuto il terrore di ciò che non si vede o non si conosce, e
comprendendo vividamente come l’uomo nella sua più orgogliosa conoscenza
potesse solamente pattinare sul ghiaccio sottile del visibile o del conosciuto, il suo
stimolo, il suo forte desiderio fu per la distruzione di massa. Era paragonabile al
risentimento del malato verso il sano, del morente verso il vivente. Avendo visto il
lavoro di tutta la sua vita ridotto in essenza a un nulla, egli cercò selvaggiamente la
riduzione di tutta la conoscenza dell’uomo alla stessa morte e allo stesso caos. La sua
richiesta, che i suoi saggi interpretassero il sogno senza conoscerlo, non era basato
sul fatto che egli l’avesse dimenticato ma sul fatto che deliberatamente voleva tenerlo
nascosto.
Essi risposero una seconda volta e dissero: “Racconti il re il sogno ai suoi servi e
noi ne daremo l’interpretazione". Il re allora rispose e disse: “Mi rendo
chiaramente conto che voi intendete guadagnare tempo, perché vedete che la mia
decisione è presa; se non mi fate conoscere il sogno, c'è un'unica sentenza per
voi; vi siete messi d'accordo per dire davanti a me parole bugiarde e perverse,
nella speranza che i tempi mutino. Perciò raccontatemi il sogno e io saprò che
siete in grado di darmene anche l’interpretazione” 2.
Questi uomini eruditi, messi di fronte ad un decreto di morte, furono sia
consciamente sia inconsciamente evasivi. La loro evasività consapevole era un
tentativo di guadagnare tempo fino a che il re avesse cambiato umore, e con ciò
salvate le loro vite. La loro evasività inconsapevole era la volontà di non affrontare le
implicazioni del terrore dei sogni. Il sogno poteva essere spiegato senza conoscenza
dei particolari; tutte le speranze dell’uomo di essere autonomo, il suo rifiuto
dell’eterno decreto di Dio, la sua insistenza sulla non conoscibilità di Dio e sulla
conoscibilità dell’uomo, venivano ridotti al nulla e al terrore da qualsiasi sogno. Nei
sogni l’uomo testimonia inconsciamente del peso della sua colpa riguardante il

2 H.C. Leupold: “Exposition of Daniel” Columbus, Ohio: Wartburgh, 1949, p. 90. Daniele 2: 7-9
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Venga il Tuo Regno
passato, della sua impotenza nel presente, e della sua ignoranza e paura del futuro.
Quando i saggi di tempi più recenti, a cominciare con Freud, iniziarono, quantunque
in modo fallace, a rivolgersi ai sogni e all’inconscio in una ricerca più sistematica, fu
l’inizio dell’auto-consapevolezza epistemologica dell’uomo, ed il lavoro di Freud è
stato spesso rifiutato per questa ragione oltre che per i suoi errori. L’uomo dimentica i
suoi sogni e dimentica il significato dei sogni per poter sfuggire all’auto-
consapevolezza epistemologica. Il suo tentativo di fare i conti, di venire a termini col
fatto dell’esistenza del suo essere inconscio è stato subdolo: i sogni, e il preteso
governo di stelle e pianeti (come nell’astrologia, il riconoscimento dell’uomo di un
controllo esterno) sono parte di un continuum, cosicché la consapevolezza dell’uomo
è condivisa con un cosmo il cui determinismo 3 è pure condiviso dall’uomo, cosicché
un’essenza e una divinità comune, ed una comune lotta caratterizzano l’insieme
dell’essere. Il fatto della creaturalità viene così ovviato ed evitato. Sogni e stelle sono
pure utilizzati per evadere la responsabilità, in modo che l’uomo, nella sua
ambivalenza, afferma da un lato, la totale autonomia e responsabilità come dio, e
dall’altro lato, nega la sua umanità responsabile e ogni imputabilità nel nome del caso
e di un condizionamento totale.
Nebukadnetsar, spinto da un desiderio di mettere a nudo la pretenziosità della
conoscenza autonoma dell’uomo, forzò la questione in termini che richiedevano la
resa dall’uomo, o il riconoscimento dell’onnipotenza del terrore e della morte.
Avendo conosciuto la futilità, non avrebbe tollerato speranza né conoscenza. Avendo
annusato la morte, odiava la vita.
Il decreto di esecuzione fu trasmesso, e ad Ariok fu comandato di procedere. Il
decreto includeva tutti i membri del collegio reale, inclusi quelli non immediatamente
consultati, come Daniele ed i suoi amici, che erano ignoranti delle sue cause (2:13ss).
Era in essenza un decreto contro la conoscenza ed un attacco ad ogni sapere perché
futilità. Se Nebukadnetsar era condannato alla mutabilità e all’insignificanza, e
Babilonia insieme a lui, allora ai suoi filosofi e ai suoi saggi meno di chiunque altro
sarebbe stato permesso il lusso dell’auto-inganno.
È importante comprendere questo umore, perché è sempre più il temperamento
dell’uomo moderno. Warner, nel suo The Urge to Mass Destruction ha descritto
questo senso d’impotenza e di sconfitta, e il suo bisogno di distruggere, come un
impulso “ad organizzare la distruzione di massa”, a “desiderare una fossa comune
per tutti” e a trovare “vittoria nella sconfitta” e nella distruzione totale 4. Il
Nichilismo ed il bagno di sangue sono la vendetta sulla vita dell’uomo sconfitto ed il
suo mezzo di trionfo, e questo, almeno in parte fu il sentimento di Nebukadnetsar,
come è quello di tutti gli uomini empi, potenzialmente, o nei fatti, in gradi diversi. Un
uomo che non ha ragione di vivere ha una ragione per odiare la vita, ed un uomo

3 Dottrina filosofica secondo la quale tutti i fenomeni dell’universo sono il risultato necessario di condizioni antecedenti
o concomitanti [n.d.T.]

4 Samuel J. Warner: “The Urge to Mass Destruction”; New York: Greene and Stratton, 1957, p. 152, 99.
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Venga il Tuo Regno
senza speranza detesta ogni speranza come fosse un brutto male. Non è sufficiente
condannare questo cinismo, bisogna dargli una risposta.
Daniele e i suoi amici, sentenziati a morte senza che avessero commesso alcun
crimine, immediatamente implorarono Dio in preghiera, e Daniele ricevette la sua
risposta in una visione notturna. Il significato fu compreso immediatamente da
Daniele: “Sia benedetto il nome di Dio per sempre, eternamente, perché a lui
appartengono la sapienza e la forza. Egli muta i tempi e le stagioni, depone i re e li
innalza, dà la sapienza ai savi e la conoscenza a quelli che hanno intendimento. Egli
rivela le cose profonde e segrete, conosce ciò che è nelle tenebre, e la luce dimora
con lui.” (Da. 2:20-22)

…il corso della storia giace nelle mani di Dio. Questi periodi critici che
avvengono nel reame del tempo (i tempi e le stagioni) sono determinati da
Dio…Non è solo in cielo che dobbiamo cercare le evidenze della potenza di
Dio, ma anche sulla terra dove la sua potenza è dimostrata giornalmente nel
controllo di tutte le cose … Dio ha la sovrana determinazione di tutti i
cambiamenti politici. In questa espressione, dice Montgomery, risiede una sfida
al fatalismo della religione astrale Babilonese, una caratteristica che nella sua
influenza è sopravvissuta a lungo nel mondo Greco-Romano 5.
Qui c’è un’affermazione netta del decreto eterno: l’oscurità esiste, e il reame
della creazione è molto carico del peso della potenzialità e dell’ignoto, ma
saggezza e luce abitano con Dio, che è nella sua totalità interamente onnisciente ed
auto-consapevole ed inevitabilmente agisce con uno scopo e nei termini di un
decreto eterno. Ogni mutabilità è nei termini di questo obbiettivo, e i cambiamenti
e i tempi delle stagioni di conseguenza non sono mai futili ma sempre pieni di
proposito. Inoltre, il tempo presente non è meramente concime per il tempo futuro,
ma il tempo stesso rivela Dio ed il suo decreto eterno, che è sempre reso manifesto
ai saggi e intelligenti, quelli che sono del Signore e le cui vite sono governate dalla
Sua parola. Il cinismo di Nebukadnetsar è dunque senza scuse perché fine a se
stesso, benché passo necessario verso la sua disillusione delle interpretazioni
filosofiche dell’uomo autonomo. La preghiera di ringraziamento di Daniele (2:23)
è il suo gioire nella grazia sovrana di Dio. Il fondamento di questa rivelazione non
è qualche merito da parte di Daniele ma la grazia di Dio libera e predestinante.
Daniele, portato davanti a Nebukadnetsar, enfatizza l’impotenza dell’uomo
contro il decreto eterno (2:27), ponendo tutto il potere e la gloria in Dio, che solo è
la fonte di ogni determinazione, interpretazione e potenza. Daniele negò qualsiasi
merito da parte sua. Dio lo aveva usato come strumento per portare a
Nebukadnetsar auto-consapevolezza epistemologica (2:28 Dio fa conoscere!),
cosicché egli può considerarsi e conoscere se stesso in relazione a Dio.
Daniele disse che il sogno di Nabukadnetsar fu di una immagine grande e
terrificante la cui (1) testa era d’oro fino, (2) il suo petto e le sue braccia d’argento,

5 EdwardJ. Joung, The Prophecy of Daniel; Grand Rapids: Eerdmans, 1949, p. 67.
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Venga il Tuo Regno
(3) il suo ventre e le sue cosce di bronzo, e (4) le sue gambe di ferro i suoi piedi in
parte di ferro in parte d’argilla, chiaramente un quadro di deterioramento. Una pietra
fu “tagliata senza mani” e, non per mano d’uomo “colpì l’immagine ai suoi piedi”
distruggendola così radicalmente che i frammenti furono “come la pula sulle aie
d'estate; il vento li portò via e di essi non si trovò più alcuna traccia. Ma la pietra che
aveva colpito l'immagine diventò un grande monte, che riempì tutta la
terra.”(2:31-35)
Daniele ne diede dunque l’interpretazione:

1) C’è un decreto sovrano, emanato da un Dio sovrano per il cui ordine


unicamente Nebukadnetsar regna. Niente può essere compreso se non a
partire da questa presupposizione.
2) La testa d’oro è Nebukadnetsar e il suo impero, che rappresenta in forma
particolare e potente il sogno imperiale e cosmico dell’uomo autonomo.
3) Seguirà un secondo impero, che darà corpo allo stesso sogno, ma con
minore capacità. Più avanti nel libro questa potenza è vista da Daniele come
l’Impero di Medo-Persia.
4) Il terzo, di bronzo, rivelato più avanti essere l’impero di Alessandro Magno
e gli stati stabiliti dai suoi successori.
5) Poi assume il comando la quarta potenza, più tardi identificata con Roma
che rappresenta il culminare dell’antico sogno dell’impero come
ricostruzione del sogno dell’uomo di un paradiso senza Dio. I suoi
componenti però non hanno coesività e, come ferro e creta non si
amalgamano.
6) Ai giorni di questo quarto impero, una Quinta Monarchia, di origine
sovrannaturale, distruggerà l’antico sogno e lo sostituirà con un vero impero
che conquisterà la terra e “sussisterà in eterno” (2:36-45).

Nebukadnetsar, confrontato col terrore dei sogni, di essere governato e


conquistato dall’inconscio cosmico, la rivolta e la signoria dell’ignoto o sconosciuto,
dell’universale nascosto, e del sonno che sopraffà i brevi stati da sveglio dell’uomo,
riceveva ora una risposta altra dal caso o dal fatalismo come chiave della storia. La
questione, in ultima analisi è tra il caso e il decreto eterno, ma l’uomo l’ha
immaginato anche coinvolgere un’altra e illogica alternativa. Le alternative dunque
diventano:

1) Il regno e la causa ultima del caso. Affermazioni e significato diventano


impossibili, come pure legge, conoscenza, scienza e la vita stessa. Nessuna
cultura ha mai affrontato le implicazioni del valore ultimo del caso senza
collassare.
2) Determinismo cieco e materialista o fatalismo. Il fortuito concorso di atomi
ha in qualche modo e illogicamente portato ad un cieca ed inanimata legge
che è irrilevante alla consapevolezza, che manca di qualsiasi significato, e
che conduce solo alla miseria dell’eterna ricorrenza. I filosofi orientali e
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Venga il Tuo Regno
Nietzsche hanno allo stesso modo trovato questo essere terreno di
disperazione e di negazione del mondo e della vita, per quanto possano
come nel caso di Nietzsche, aver lottato contro di esso. La religione astrale
Babilonese sosteneva una forma di fatalismo, e Nebukadnetsar era sotto la
sua maligna influenza.
3) Il decreto eterno o la totale predestinazione. Viene stabilita la contingenza
delle cause seconde, e alla storia e alla vita dell’uomo sotto Dio vengono
date responsabilità, significato e direzione. Senza il decreto eterno il
significato non è possibile e regna solo la bruta sequenza dei fatti, senza
possibilità di interpretazione.

Questo salvataggio della storia portò gioia a Nebukadnetsar e promozione a


Daniele e ai suoi tre amici (2:46-49). Inoltre, portò all’adorazione da parte di
Nebukadnetsar di Daniele quale rappresentante del “Dio degli dei” e “Signore dei
re”, il Dio il cui eterno decreto sostiene tutta la creazione (2:47).
Nebukadnetsar, comunque, mancò di comprendere il pieno significato della
visione. Era un salvataggio della storia, ma in quali termini, a quale fine?
La ricerca del salvatore del mondo e il ritorno al paradiso è comune agli
obbiettivi imperiali dell’antichità. La secolarizzazione degli studi della storia, ha
condotto alla sua castrazione e dell’asportazione di tutti gli obbiettivi religiosi in
favore di una proiezione sugli imperi dell’antichità di obbiettivi puramente politico-
economici o di altri obbiettivi moderni. Cristo e i Cesari di Ethelbert Stauffer è una
importante dichiarazione del contrario riguardo al sogno messianico di Roma.
L’obbiettivo era magnificente, voluto con potere, passione, intensità: paradiso
riguadagnato. Dalla città di Caino, Enoch alla torre di Babele, e avanti a Roma
imperiale fino al presente, l’uomo ha cercato di cancellare il peso della colpa e della
miseria umana, di unire l’umanità in un solo mondo, e di ristabilire il paradiso
all’uomo. Il deprezzamento del passato come primitivo ha portato ad oscurare le
incredibili approssimazioni di ordine, ricchezze illimitate, pace e prosperità in vari
imperi dell’antichità, tutte condizioni viste come paradisiache, ma queste ed altre
furono solo approssimazioni, mai la realtà.
La Quinta Monarchia ha successo dove fallirono tutti i falsi predecessori
messianici, talché qualsiasi concetto cristiano della storia che sia disfattista o che
ponga la vittoria nell’altro mondo rimane sotto la condanna di Daniele. Il mondo non
è meramente una valle in cui salvare l’anima, né culminerà nel triste storico trionfo
dell’Anticristo come vorrebbero le interpretazioni a-millennariste e pre-millennariste.
La Quinta Monarchia ha successo, non solo nel distruggere i suoi rivali, ma anche nel
compiere ciò che essi, con le loro false premesse cercarono di fare. Gli imperi a quel
tempo, i modernisti oggi, e gli stati di questa epoca, sono a questo riguardo tutti più
saggi della chiesa, nel fatto che non negano significato o trionfo alla storia, ma lo
ricercano zelantemente, benché su false premesse e nei termini dell’uomo autonomo.
C’è, comunque, una differenza tra l’obbiettivo di questi quattro imperi e il proposito
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Venga il Tuo Regno
Biblico. Non è il paradiso in terra in sé e per sé ad essere l’obbiettivo della storia
come la Bibbia lo descrive, ma piuttosto la restaurazione della comunione con Dio,
di cui un paradiso in terra, come descritto da Isaia e dall’Apocalisse, è un effetto
secondario. L’uomo è acutamente conscio della perdita del paradiso, ma non
consapevole della rottura della comunione con Dio. Questa comunione e il nuovo
ordinamento mondiale fu dipinto da Isaia come conseguenza dell’espiazione. Inoltre,
non è un ritorno all’Eden, né una nuova creazione del Giardino, ma Paradiso nei
termini di comunità con Dio e l’uomo, nella Nuova Gerusalemme. Il romanticismo
dell’isolamento e dell’auto-esaltazione viene rimpiazzato con la comunione in
comunità. Questo richiede un lungo procedimento di maturazione storica, che
comincia con la chiamata di Abrahamo, che vide quella città in visione e gioì
(Eb.11:8-16; Gv. 8:56) e che culmina col ritorno di Cristo, il fine escatologico della
storia, quando il procedimento è completato. Allora la zizzania sarà pienamente
zizzania e il grano pienamente grano. L’auto-consapevolezza epistemologica, la
conoscenza di se stesso come creatura da parte dell’uomo, e la sua conoscenza
analogica di Dio, effettuerà la piena restaurazione degli uomini pii, proprio come la
piena implicazione della Caduta sommergerà i reprobi ovvero i trasgressori del patto.
Essendo state sviluppate le implicazioni della storia, il tempo non sarà più.
I quattro imperi sono dipinti come un uomo, un uomo caduto e pseudo-
messianico. Incontriamo questa immagine dovunque l’uomo e lo stato assumono il
controllo messianico della storia, dovunque echeggi il grido di Amleto. “Time is out
of joint, O cursed spite, that ever I was born to set it right”. “Il tempo è slogato, Oh
maledetto dispetto, che io sia nato per rimetterlo a posto”. Per quanto nobile possa
risuonare questo grido, è l’essenza dell’orgoglio e della pazzia. Nessuno di noi è
chiamato a mettere a posto il mondo o il nostro tempo, ma piuttosto a far fronte alle
nostre responsabilità sotto Dio. La responsabilità e il lavoro a portata di mano è
nostro, la questione è nelle mani di Dio. La storia ci da la perpetua crisi e la sconfitta
di quella presunzione, da Babele alle Nazioni Unite ed oltre. Nessun uomo e nessuno
stato può prendere il ruolo di Atlante senza incorrere nel giudizio, perché siamo
chiamati ad essere uomini e non Dio, e tentare di più non è nobiltà ma pazza
presunzione. Amleto, una volta accolta l’illusione di essere il dio di giudizio e di
restituzione, rese inevitabile la sua tragedia, e la sua vita fu un’esplosione del bene
come del male nei termini di un male più radicale di quell’omicidio che condannò.
L’immagine di Nebukadnetsar è l’uomo caduto che con tutto il suo orgoglio tentò di
promulgare il proprio eterno decreto e di impadronirsi delle redini della storia per sé.
Questo sogno è perciò una condanna dell’uomo e degli stati sposati a questa
speranza.
È anche una grande offesa ai Giudei, e offre un indizio importante del perché
questo libro fu negletto nell’antichità e susseguentemente. Daniele dice chiaramente
che Dio by-passò il suo popolo scelto in favore di quattro grandi monarchie che
dovevano elaborare le implicazioni della storia antica, e poi avrebbe introdotto una
Quinta Monarchia che non viene in nessun modo identificata con Israele. Il Dio che
innalzò l’Assiria: “La verga della mia ira” (Is. 10:5), e Nebukadnetsar, nelle cui mani
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Venga il Tuo Regno
fu data tutta la terra e al quale Dio parlò come aveva anticamente parlato ai Re
D’Israele e di Giuda, il Dio che chiamò Ciro il suo unto, chiaramente non era il Dio
esclusivo d’Israele, né uno che limitava i suoi eterni propositi al popolo che aveva
scelto. La priorità del decreto eterno sulla chiamata storica di Israele è troppo
manifesto, troppo apertamente presente e presunto da non aver bisogno di una
dichiarazione. Questa priorità del decreto eterno sulla storia e il suo statuto di
fondamento di tutta la storia, su Israele e sulla chiesa, fu un’offesa ad Israele come
oggi è offensivo alla chiesa. Ma la priorità del decreto eterno sopra ogni tempo, su
Israele come su Babilonia, e la presunzione dell’Israele esteriore o apparente e della
chiesa non è un’offesa minore dell’orgoglio di Babele e di Roma. L’uomo autonomo
(in salvezza l’arminiano N.d. T.) ha sempre piedi d’argilla.
Così, Dio l’onnipotente regna, non un Dio ai bordi del campo che
semplicemente premia quelli che determinano la storia, ma Dio il Signore, che ordina
ogni cosa e per la cui volontà solamente i re regnano, imperi cadono, e nei termini
della cui sola volontà la storia ha scopo, significato, direzione. E la storia è il
procedimento di Dio col quale l’inconscio nella creazione è portato a consapevolezza,
l’implicito è fatto esplicito, e la zizzania ed il grano maturano, finché sarà adempiuta
la visione di Gioele:

Mettete mano alla falce


perché la messe è matura.
Venite, scendete,
perché il torchio è pieno,
i tini traboccano,
poiché grande è la loro malvagità». Gioele 3:13

In quel giorno avverrà che i monti stilleranno mosto, il latte scorrerà dai colli e
l'acqua scorrerà in tutti i ruscelli di Giuda. Dalla casa dell'Eterno sgorgherà una fonte,
che irrigherà la valle di Scittim (Gl. 3:18).

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Venga il Tuo Regno
DANIELE 3
LA CONTINUAZIONE DI DIO

L’uomo può accettare conclusioni logiche senza trarre da esse logiche


deduzioni, e Nebukadnetsar poteva accettare il salvataggio della storia per mezzo del
decreto eterno di Dio senza trarne conclusioni bibliche. Per lui, il contesto del sogno
ed il salvataggio della storia era il redivivo concetto babilonese di continuità. A
questa trionfante anche se erronea conclusione, egli diede testimonianza erigendo
nella pianura di Dura “Un'immagine d'oro, alta sessanta cubiti, e larga sei
cubiti,” (Da. 3:1). Quest’immagine era indiscutibilmente un eco e un dare corpo al
suo sogno, presentando non solo la gloria di Babilonia, ma anche la propria personale
maestà, gloria e dominio come grande testa d’oro. Secondo il sogno, come
Nebukadnetsar lo intese, la Quinta Monarchia sarebbe stata preceduta da quattro
grandi imperi dei quali egli ere la testa, ed al quale “Il Dio del cielo ha dato il regno,
la potenza, la forza e la gloria” (2:37). Che Dio desse ad un uomo la gloria, agli
uomini dell’antichità che erano fuori dalla fede Ebraica, significava una cosa sola: la
condivisione della sua divinità e del suo regno con l’uomo. Significava per loro la
partecipazione nella vita e nel regno di Dio, e faceva di loro e del loro ordinamento
una continuazione di Dio ed una sua manifesta incarnazione. Così, Nebukadnetsar
poteva agire nella confidenza, basata nella sua interpretazione delle parole di Daniele
nei termini delle semantiche della continuità, che Dio gli aveva dato certe cose:

1) Benché il grande regno appartenesse al futuro, il presente regno di


Nebukadnetsar ne era il precursore.
2) Nei termini di ogni precursore, Nebukadnetsar aveva la preminenza ed era “la
testa d’oro”.
3) Dio aveva dato il mondo a Nebukadnetsar, il suo vice-reggente, e aveva fatto di
lui la potenza e la presenza di Dio alla sua epoca.
4) La storia era perciò nella mani di Nebukadnetsar e derivava il suo significato
da lui.
5) Come potere e volontà di Dio per la sua epoca, Nebukadnetsar non poteva
essere resistito senza resistere a Dio.

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Venga il Tuo Regno
Un duro, aspro elemento di verità sta sotto a queste presupposizioni, per quanto
fallaci possano essere. Mentre la gloria che Dio dà all’uomo come uomo è gloria di
creatura, Egli stesso mai condividendo la propria gloria con l’uomo, pure rimaneva il
fatto che Dio aveva dato il mondo nelle mani di Nebukadnetsar. È egualmente certo
che nel ventesimo secolo Dio abbia in svariati tempi dato potere e dominio a uomini
quali Hitler, Mussolini, Chamberlain, Stalin, Daladier, de Gaulle, Roosevelt, Mao,
Kennedy, Nasser, Nehru ed altri mentre lasciava i suoi santi senza aiuto ed
apparentemente impotenti davanti a queste potenze da Lui ordinate. Non senza
ragione, mentre contemplavano queste cose, i santi in Babilonia diedero voce alla
loro sofferenza:

Là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo, ricordandoci di Sion;


sui salici di quella terra avevamo appese le nostre cetre.
Là, quelli che ci avevano condotti in cattività ci chiedevano le parole di un
canto, sì, quelli che ci opprimevano chiedevano canti di gioia, dicendo:
«Cantateci un canto di Sion».
Come avremmo potuto cantare i canti dell'Eterno in un paese straniero?
(Sl. 137:1-4)

Questa è infelicemente la nostra vocazione costante ora, cantare canti del


Signore in un paese straniero, in un mondo dato nelle mani ai figli di Babilonia.
Nel mezzo di tutto ciò arriva il comando: “È ordinato che, vi prostriate per
adorare l'immagine d'oro che il re Nebukadnetsar ha fatto erigere” (3:5)
La pena per chi non adora era “una fornace di fuoco ardente” un modo di
eseguire la pena capitale comune agli Assiri e ai Caldei e prevalente in Persia fino al
1662. In quell’anno ad Isfahan, durante una grande carestia, le fornaci furono tenute
accese per un mese per intimorire qualsiasi mercante di cereali trovato colpevole di
frodare i poveri o di violare il controllo governativo dei prezzi.
Probabilmente Daniele era assente in questa occasione, o troppo forte per poter
attaccare il suo rifiuto di adeguarsi. Il potere di Daniele fu attaccato nelle persone dei
suoi tre amici arrestati per l’accusa di “certi Caldei” (3:8) che erano risentiti di questa
preminenza Giudaica negli affari di Babilonia.
Nebukadnetsar fu “adirato e furibondo” di questa insolenza, di questo rifiuto di
accettare l’inevitabile testimonianza dall’ordine soprannaturale delle cose del loro
stesso canale di rivelazione. Nondimeno, secondo il suo punto di vista, questo
monarca fu equanime con questi tre ribelli, dando loro un’altra opportunità d’essere
obbedienti e di ritornare alle loro case e alla loro posizione. Come potevano osare
rifiutare, domandò, poiché “Qual è quel Dio che potrà liberarvi dalle mie
mani?” (3:15). Qui c’è l’essenza della fede dell’Imperatore. Nei termini di questo
concetto di continuità, Nebukadnetsar era in continuità con Dio e l’incarnazione della
sua potenza e della sua gloria. Resistere lui significava resistere Dio, non nel senso
Paolino, ma come la continuità nei cui soli termini l’uomo poteva prosperare, e
separato dalla quale nessuna mediazione poteva propriamente esistere. Il ruolo
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Venga il Tuo Regno
sacerdotale del re Caldeo, come grande mediatore, era stato rinforzato dal sogno, e
fino a che Nebukadnetsar avesse tenuto il potere egli sarebbe stato la mano, la testa, il
potere e la mente di Dio per i suoi giorni. By-passarlo nell’adorazione significava
disprezzare entrambi Dio e la gloria incarnata di Dio; altre e periferiche adorazioni di
potenze minori erano permissibili solo quando l’immagine e la gloria di
Nebukadnetsar fossero state per prima riconosciute. Il politeismo era perciò permesso
come parte della politica di tolleranza religiosa, purché alla religione di stato fosse
prima stato dato il dovuto, a tutti gli altri dèi appartenevano solo gli avanzi.
L’umanesimo dell’uomo moderno, la sua professione di autonomia, e le religioni
dello statalismo sono tutti egualmente tolleranti delle altre fedi e sono politeisti, a
condizione che siano prima riconosciute le loro richieste, e al Dio Trino vengano
elemosinati solo gli avanzi della devozione dell’uomo. Questi ordinamenti, centrati
sull’uomo, avanzano verso di lui e stingendogli il collo, dichiarano in effetti: “Qual è
il Dio che ti libererà dalle mie mani?” Già! Quale Dio infatti soccorrerà il suo popolo
da questo mondo politeista, dal potere dello statalismo, dello scientismo, e dai credi
antropocentrici? Il dio di Nebukadnetsar era una potenza ben presente, manifesta
attraverso il processo naturale della storia e nell’ordinamento sociale, e per mezzo di
esso. Mentre era un dio inevitabilmente in crescita e cambiamento, come è il dio dei
teologi esistenzialisti, era comunque la potenza e gloria sempre presente e
impossibile da resistere. Poteva essere trasceso ma non resistito. E perciò la sua
adorazione era obbligatoria.
La risposta di questi tre ribelli contro il politeismo della continuità fu nitido “Il
nostro Dio, che serviamo, è in grado di liberarci” Non importava che lo facesse, né
avevano questa sicurezza riguardo al responso divino alla loro presa di posizione.
Indipendentemente delle conseguenze “Sappi o re, che non serviremo i tuoi dèi e non
adoreremo l'immagine d'oro che tu hai fatto erigere” (3:17-18). Notate la sfida alla
fede di Nebukadnetsar. Senza dubbio questi tre uomini avevano pregato per una
liberazione, ma sentirono che era imperativo fare chiarezza sulla natura
trascendentale e libera di Dio e sulla sua radicale discontinuità con la Sua creazione e
con i suoi santi. Essi negarono la continuità di Dio sia con Nebukadnetsar sia con loro
stessi: Dio non era obbligato a salvarli, ed era precisamente questo Dio libero che essi
adoravano e nessun altro. Una fede così “futile” senz’altro sembrò una radicale
perversità e un tradimento a Nebukadnetsar e fece di questi uomini, come fu anche
per i Cristiani di Roma, anarchici della peggior specie, nemici di ogni legge e ordine.
I Cristiani dell’Impero Romano pregavano per l’imperatore ed obbedientemente gli
davano il dovuto; i filosofi e gli scrittori adoravano al santuario imperiale e poi
cinicamente deridevano ciò che avevano adorato. Ciò nonostante erano i Cristiani ad
essere perseguitati, poiché la loro religione della discontinuità era radicalmente
sovversiva dell’intera filosofia dell’Impero. Così fu con gli amici di Daniele.
Come conseguenza di questa resistenza, i tre uomini furono gettati nella
fornace, una fornace alimentata a tal calore che uccise gli uomini che gettarono i tre
nel fuoco (3:22). I tre “caddero legati in mezzo alla fornace di fuoco ardente” (3:23).
Immediatamente dopo furono visti camminare nel fuoco, incolumi e slegati, con
presente un quarto uomo che, secondo Nebukadnetsar era “simile a un Figlio di
19
Venga il Tuo Regno
Dio” (3:25). Quel monarca allora chiamò fuori i tre testimoni della fede, “servi del
Dio Altissimo” (3:26), perché solamente quella superiorità di associazione, egli era
certo, avrebbe potuto salvarli. Uscirono illesi, senza un capello bruciato, perfino
senza l’odore di fumo su di essi (3:27).
Nebukadnetsar, reso più conscio della trascendenza di Dio, ma senza ancora
perdere il suo orientamento Caldeo, immediatamente lodò Dio e riconobbe la sua
esclusività riguardo all’adorazione (3:28). Più importante ancora, egli riconobbe un
elemento di discontinuità: Dio, con un atto sovrano di revoca, aveva “cambiato
l’ordine del re” (3:28) La storia non era dunque un singolo processo: Dio aveva un
popolo la cui integrità ed il cui esclusivismo di culto non poteva essere sfidato senza
pericolo. Perciò, un decreto reale proibì qualsiasi mala rappresentazione di Dio pena
la morte e la totale dissoluzione della famiglia del colpevole, “perché non c'è nessun
altro Dio che possa salvare a questo modo” (3:29). I tre uomini furono promossi e
fatti prosperare “nella provincia di Babilonia” (3:30). La potenza di Dio, manifestata
nei suoi santi fu in questo modo strettamente associata con la potenza di Dio come
era creduta manifesta nel trono e nell’impero.
La decisione, dalla prospettiva del mondo, fu fatale per Nebukadnetsar, e il
mondo preferisce dubitare la storicità dell’intero incidente e perciò sfuggire alla sua
sfida. Se vero, l’incidente rivela una larga crepa nel muro dell’uomo e delle sue
difese. La storia non è nelle mani dell’uomo, e il governo, il peso del comando non è
sulle spalle dell’uomo. Il decreto eterno divenne per Nebukadnetsar non una polizza
d’assicurazione, ma un decreto di abdicazione, se solo lo avesse saputo. Con questo
Dio non è possibile il compromesso, e i sogni dell’uomo sono messi da parte come
ribellione e futilità: “Perché tumultuano le nazioni e i popoli immaginano cose
vane?” tutti i loro consigliarsi contro il Signore e contro il suo Unto, tutte le loro
speranze di sfuggire dalle corde e dai legami del suo decreto, sono derisi da Dio:
“Colui che siede nei cieli riderà, il Signore si farà beffe di loro.” Dio dichiara a suo
figlio riguardo alle potenze mondiali:

“Tu le spezzerai con una verga di ferro, le frantumerai come un vaso d'argilla.
Perciò, Servite l'Eterno con timore e gioite con tremore.
Sottomettetevi al Figlio, perché non si adiri e non periate per via”
(dal Salmo 2)

La vera prospettiva, così, non era un vasto quadro della continuità del mondo
come processo con Dio, con una discontinuità ed una immediatezza apparente in
alcuni grandi santi, ma una totale discontinuità e un radicale ed esclusivo governo di
tutta la creazione da parte di Dio il Creatore. Lungi dall’essere parte del processo
dell’essere, Dio, l’Essere non creato è il creatore e il governatore dell’intero corso
degli esseri creati e Egli stesso al di là di qualsiasi cambiamento, processo, crescita o
deterioramento. Tale Dio non concede ricorso ma solo resa e adorazione oppure
morte.
Ma il compromesso, ora come allora, è la vana speranza e la via percorsa
dall’uomo. La chiesa, lo stato e la scuola affermano di essere un’incarnazione di Dio
20
Venga il Tuo Regno
e del suo Unto, una continuazione dell’incarnazione ed un vero sacerdozio. L’uso di
paramenti sacri nelle chiese, l’uso di vesti clericali da parte di giuristi e da cattedratici
testimonia di questo concetto di sacerdozio e di mediazione in quanto saggezza,
potenza e gloria, visibili, di Dio. Ma, secondo le Scritture, Gesù Cristo solamente è
l’incarnazione di Dio, e Lui solo il Messia, e solamente in Lui, quali membri del suo
corpo, i credenti hanno un sacerdozio, un sacerdozio tenuto in comune da tutti i
credenti in virtù del loro statuto di membri in Cristo e non tenuto nei termini di qual
che sia priorità d’ufficio e di santificazione. Nei termini di tutto ciò, una similare
insistenza del concetto e dichiarazione di continuità in questa e in tutte le altre aree di
auto-esaltazione dell’uomo devono essere resistite nel nome e nella potenza di Dio.

21
Venga il Tuo Regno
DANIELE 4
IL CENTRO RITUALE DELLA TERRA

La torre di Babele fu un’affermazione del concetto di continuità e un tentativo,


mediante l’unificazione statale della società e di un programma di auto-
giustificazione, di raggiungere il cielo, di rafforzare la continuità con le potenze
celesti partecipando nell’opera di redenzione del mondo. Non è la “malvagità” del
“peccato e della carne” che caratterizzò la Torre di Babele e la proseguente città di
Babilonia, la grande “madre delle meretrici” (Riv. 17:5); ma il suo statuto di giustizia
rivale e rivale concetto di unità e di redenzione.
Con la loro architettura, le Ziggurat babilonesi, scale verso il cielo,
affermavano il concetto di continuità. In tutte le fedi in tali torri, pietra dopo pietra,
passo dopo passo, piano dopo piano, grado dopo grado, l’uomo arriva al cielo e fa del
regno dell’uomo l’obbiettivo e la realtà della storia.
Il “Concetto di Centro” era strettamente in relazione a questo sogno. Il
quadrato ed il cubo, antichi simboli di perfezione, di completezza e di piena
comunione, divennero simboli vitali della vera città dell’uomo: Babilonia la Grande.
Akhenaton costruì una città secondo un progetto quadrato, e, secondo Erodoto, anche
Babilonia era un quadrato. Lo stesso concetto compare anche negli scritti di alcuni
pensatori Greci 1 . Il Centro, il Trono e il Santuario erano in relazione ed erano
basilarmente lo stesso concetto, nel fatto che il concetto di continuità identificava gli
dei, lo stato e l’uomo e li considerava esistenti in una società celebrata in un punto
focale rituale. Tanto Gerusalemme che Gherizim erano considerate da alcuni Giudei e
da alcuni Samaritani in simili termini (Gv.4:20), cosicché il concetto pagano di un
centro rituale sembra si potesse trovare anche in Israele, non solo ai giorni di
Geremia ma anche al tempo di Cristo 2. Contro tutto questo, il Nuovo Testamento
affermò enfaticamente, come fece pure il Vecchio (Sl. 87 ecc.), che il vero centro non
è nell’uomo, né nel suo regno o città, ma in Cristo e nella sua Nuova Gerusalemme,
una città costruita “quattroquadrati”, un cubo perfetto, col “trono di Dio e

1 Platone, Protagora, 344; Aristotele, Retorica iii,11,2.

2 Vedi V. Burch, Anthropology and the Apocalipse; London, Macmillan, 1939, p. 202
22
Venga il Tuo Regno
dell’Agnello” (Ap. 22:1) quale sorgente di ogni cosa. Riservando il trono a “Dio e
all’Agnello”, piuttosto che all’Agnello come tale, la Trinità ontologica è posta al
centro focale, e non Dio solamente come rivelato e messo in relazione con la
creazione. In quanto Alfa e Omega, questo Cristo è visto anche come al di là della
creazione e discontinuo con essa, mentre è incarnato senza confusione di nature.
Questo concetto del vero centro era stato presentato nel disegno del
tabernacolo. Il Santissimo era un cubo. L’accampamento d’Israele, l’assemblea della
Chiesa di Dio era un quadrato, come illustra chiaramente Numeri 2, col tabernacolo o
trono di Dio al centro. Questa forma, data per mezzo di una rivelazione sul monte
(Es. 25:9,40; Nm.8:4; Ez. 43:10; Eb. 8:5), era disegnata per presentare e affermare il
vero e trascendente centro, trono e santuario, e attaccare con ciò tutti i concetti
puramente immanentisti.
Il concetto Babilonese di continuità era chiaramente presentato nella forma
dell’investitura del re Caldeo, che consisteva in essenza nel “prendere la mano del
dio”, un rituale osservato da tempo immemorabile e seguito anche dagli Assiri a
Ninive, e dai suoi conquistatori, ad esempio Sennacherib, Esaraddon, e Assurbanipal
in Babilonia. Ciro, nel conquistare Babilonia, divenne re agli occhi dei Babilonesi
solo dopo “aver preso la mano del dio” ad Esagila 3 . Con questo rituale, l’impero,
nella persona del re, assumeva comunione con gli dei sulle basi di una vita comune.
Un ulteriore simbolo presentava la natura della continuità in forma animata,
l’albero o “palo” come centro rituale della terra. Questo albero sacro o colonna
sostiene il cielo ed è l’albero della vita, il legame tra cielo e terra. Poiché un albero è
una cosa vivente, quest’albero della vita presenta dunque un legame in crescita, un
concetto in chiara ostilità con l’albero protetto della rivelazione Biblica (Ge. 3:24).
Ancora, il concetto di re pastore affermava l’autorità divina ed il potere del monarca,
il quale, come guardiano del suo popolo, controllava il loro destino, che era
inseparabile dalla loro vita come soggetti (sudditi) dello stato. Contro tutto questo,
YHWH, Dio il Padre e Gesù Cristo, Dio il Figlio, sono dichiarati essere il Buon
Pastore (Sl.23; Gv. 10:11; 1 Pt. 2:25), e la Sapienza o Logos, Cristo è il vero albero
della vita (Ge.2:9; 3:22; Pr.3:18; 11:30; Ez. 47:7, 12; Riv. 2:7; 22:2,14). Per
Nebukadnetsar, comunque, era naturale ed inevitabile, nei termini del concetto di
continuità, sognare di sé come l’albero della vita per la sua generazione.
Ma per quanto “naturale” questo concetto potesse essere per Nebukadnetsar
quale monarca Caldeo, egli era anche una creatura di Dio, e nei termini di questo
fatto, la sua fede era “innaturale” ed un peccato. Il condizionamento culturale è reale,
ma basilare alla condizione di ogni uomo è il fatto della sua creaturalità e della sua
creazione ad immagine di Dio. Questa realtà primaria e determinativa non può essere
obliterata dalle condizioni della storia o dalla tirannia di uomini e filosofie. Perciò, in
ogni epoca, gli uomini sono inescusabili perché hanno volontariamente scambiato la
verità di Dio con una menzogna (Ro.1:25) e si sono sottomessi alla menzogna
comune e democratica preferendola alla impopolare parola di Dio.

3 G. R. Tabouis, Nebuchadnezzar; London: Routledge, 1931, p. 69.


23
Venga il Tuo Regno
In tali circostanze, Dio frequentemente usa le stampelle dell’uomo per
testimoniare contro di lui svergognandolo con le sue stesse stampelle. Secondo
Diodoro, i Caldei spiegavano i sogni come portenti, interpretandoli nei termini di
regole dure e fisse come simboli Freudiani, e li ritroviamo spesso registrati come
articoli importanti dello stato.
Il sogno di Nebukadnetsar, come Daniele osservò con turbamento “è per quelli
che ti odiano” cioè “piacerà ai tuoi nemici” (4:19)4. Nebukadnetsar aveva visto se
stesso come “un albero in mezzo alla terra” cioè il centro rituale e albero della vita, “e
la cui altezza era grande” (4:10). L’albero era “cibo per tutti” (4:12), sostegno e
nutrimento per la sua generazione, cosicché Nebukadnetsar rappresentava il principio
di vita per il suo tempo, l’albero di Dio, in cui erano manifesti il potere e la presenza
di Dio. Il sogno, comunque, mostrò “un guardiano, un santo” (4:13) discendere dal
cielo e pronunciare contro l’albero un decreto divino di abbattimento, con solo un
ceppo da lasciarsi come origine di nuova crescita. Un cuore di bestia avrebbe
sostituito quello umano, cioè il re sarebbe stato un animale, fino a che “passino su di
lui sette tempi” (4:16), fino a che la pienezza del decreto fosse stabilita. La
dichiarazione a Nebukadnetsar fu ancor più esplicita: “La cosa è decretata dai
guardiani e la sentenza viene dalla parola dei santi perché i viventi sappiano che
l'Altissimo domina sul regno degli uomini, egli lo dà a chi vuole e vi innalza l'infimo
degli uomini" (4:17).
Questo sogno fu visto da Nebukadnetsar nel suo contesto culturale, ma il colpo
fu capitale. Daniele chiarì anche la fonte del decreto, non “dei guardiani” ma
“dell’Altissimo” (4:24), una sentenza di umiliazione a meno che Nebukadnetsar non
avesse “posto fine” ai suoi “peccati e…iniquità, usando misericordia verso i
poveri” (4:27).
Non c’è motivo di dubitare che, nei dodici mesi (4:29) prima che passasse la
sentenza, Nebukadnetsar abbia provato a fare proprio questo. L’unico supposto
ritratto di lui che abbiamo, un cammeo ora nel Museo di Berlino, indica una
fisionomia onesta e sensibile. Nei termini dei suoi concetti Caldei, egli cercò d’essere
quel re giusto che aveva sempre cercato di essere, ed ora ancor di più. L’iscrizione
Grotefend indica la sua auto-valutazione: “Nebukadnetsar, il re giusto, il pastore
fedele, che dirige l’umanità, che governa sui sudditi di Bel, Shamash e Marduk,
l’arbiter, il possessore della sapienza, che si prende cura della vita, il sublime,
l’instancabile, il mantenitore di Esagila ed Ezida, il figlio di Nabopolasser, re di
Babilonia, io sono”. Nebukadnetsar poi scrisse della sua reverenza per il suo creatore,
Marduk, la ricchezza dei suoi sacrifici, l’unificazione di “numerosi popoli” sotto
Babilonia. “Sotto la sua continua protezione io ho radunato insieme tutta l’umanità
nel benessere, e ho quivi immagazzinato grandi mucchi di frumento in quantità
incalcolabili” 5. Nabukadnetsar considerava se stesso il “pastore fedele”,

4 L’A. sembra preferire questa traduzione tratta da Leupold: “Commentario a Daniele”.

5 Robert Francis Harper, Assirian and Babilonian Literature; traduzioni selezionate; New York: Appleton, 1904, p.
147-150
24
Venga il Tuo Regno
nell’iscrizione Winckler “il pastore legittimo” 6 il divino re il cui amore per il dio-
creatore era iniziato alla nascita. Egli aveva avuto successo nell’estendere il grande
regno dei sogni di dio e dell’uomo portando numerosi popoli all’unità dentro ad un
impero comune, impero dedicato alla giustizia e alla pace. Nell’Iscrizione di
Borsippa, c’è una sincera richiesta all’ “eterno figlio, messaggero esaltato”, Nabu:

Proclama tu la lunghezza dei miei giorni, scrivi tu la mia progenie!


Alla presenza di Marduk, il re del cielo e della terra,
il padre, mio generatore, guarda con favore sulle mie opere.
Ordina ch’io riceva favore!
Possa Nebukadnetsar,
Il re, il restauratore,
esser reso per sempre stabile sulla tua bocca! 7

In un’altra iscrizione Nabukadnetsar pregò:

In verità rispondimi
Con giudizi e con sogni! 8

Con la sua reale dipendenza da Daniele, Nebukadnetsar diede prova


dell’intensità del suo desiderio di essere giusto, ma il suo concetto di giustizia era
completamente in termini Caldei. La struttura a gradini dei ziggurat, con ogni piano
che recedeva successivamente, dava da una certa distanza l’apparenza di una scala
gigantesca che raggiungeva il cielo, un simbolo appropriato di questa religione di
continuità e della sua fede nell’unione tra cielo e terra. L’umiltà di Nebukadnetsar era
reale, ma non era centrata in Dio, essendo posta nel contesto di uno che aveva preso
la mano del dio per il suo popolo in solenne umiltà e orgoglio nella sua funzione di
centro, trono, albero, pastore, colonna e gloria. In questa prospettiva, Dio era
coinvolto nella dialettica della storia e non al di la di essa, il punto di coinvolgimento
era Nebukadnetsar ed il suo impero.
Di conseguenza, Nebukadnetsar, nei termini della propria fede, parlò
onestamente e con qualche solenne umiltà insieme ad orgoglio, nell’affermare: “Non
è questa la grande Babilonia, che io ho costruito come residenza reale con la forza
della mia potenza e per la gloria della mia maestà?” (4:30). Queste parole non devono
essere interpretate come mero, vanaglorioso vantarsi, ma piuttosto come il felice e
orgoglioso compendio di un uomo che gioisce nella sua opera e nella sua giustizia,
affermando che il suo ordinamento è nei fatti l’adempimento del regno ed il reale
centro rituale della terra, il punto focale umano della gloria divina. La dichiarazione è
perciò un’affermazione della sua soddisfazione che la minaccia del sogno fosse stata

6 Ibid., p. 143

7 Robert Francis Harper: Op. Cit. p. 150-152

8 Ibid., p. 156s.
25
Venga il Tuo Regno
bloccata, che il sogno, senza dubbio registrato negli archivi di stato come lo erano gli
altri sogni, fosse stato fermato dalla giustizia umana del re e del suo ordinamento. Era
la consumata espressione di giustizia autonoma, l’accentuazione di quella vera fede
che Dio stava sfidando.
Fu in questo modo, precisamente nel momento in cui Nebukadnetsar credette
che il regno fosse sicuramente stabilito, che arrivò la sentenza: “Il tuo regno ti è
tolto” (4:31). Inoltre, dovunque l’uomo cerchi di diventare più che uomo, diventa
meno che uomo. Qualsiasi suo tentativo di essere come Dio ha per risultato una
riduzione della sua umanità e una ritirata nell’irrazionalità e nell’irresponsabilità. In
Nebukadnetsar, il preteso albero della vita, questa metamorfosi si manifestò con ciò
che è stato definito licantropia o più propriamente zooantropia, una malattia in cui
l’uomo, odiando Dio e perciò anche se stesso come creato ad immagine di Dio, cerca
di colpire Dio cercando di obliterare ogni traccia della propria umanità e
dell’immagine divina in se stesso. Ci sono alcune evidenze che Nebukadnetsar fu
completamente assente dal potere per quattro anni 9.
Il proposito dell’umiliazione di Nebukadnetsar era stato: “Finché tu riconosca
che l'Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole” (4:25). C’è buona
ragione per credere che l’esperienza di Nebukadnetsar sia culminata nella sua
rigenerazione. Benché la sua proclamazione sia in parte espressa in termini politeisti,
è significativo che tale riferimento compaia nella sua descrizione del proprio pensiero
prima della sua guarigione. Certamente il documento è rimarchevole se paragonato
ad altri documenti dell’antichità nella sua umiltà e confessione di peccato. La
dichiarazione asserisce tre cose: 1) l’assoluta sovranità e discontinuità di Dio con
l’uomo (4:34-35,37); 2) l’intera proclamazione è una dichiarazione di pentimento e
3) è una confessione di peccato. Molto meno viene richiesto a molti moderni
“convertiti” ed esitare riguardo all’integrità di fede di Nebukadnetsar sembra
ingiustificato. Inoltre, come il periodo posteriore di Giobbe fu benedetto più del
precedente (Gb. 42:10-13), così Nebukadnetsar fu rafforzato nel suo regno “e la
grandezza mi fu enormemente accresciuta” (4:36).
Il significato dell’intera attitudine di Nebukadnetsar è stata ignorata ma non è
di poca importanza. Anche concedendo ai dubbiosi che il monarca non sia mai
divenuto un vero adoratore, pure rimane il fatto che il segno della sua preferenza per
Daniele ed i suoi associati, e per la loro fede, diede agli Ebrei una posizione
privilegiata in quell’impero. Questo fu sufficiente per creare un sentimento anti-
ebraico tra i Caldei sia allora (3:89) che più tardi (6:4) sotto Dario. La posizione degli
Ebrei fu dunque di sicurezza, privilegio e prosperità, cosicché la loro cattività
divenne non una maledizione ma una protezione. Erano sotto un re la cui attitudine
verso Dio, anche con un minimo di interpretazione, se paragonata con quella dei re di
Giuda, era migliore, e se, come Young abilmente argomenta, la sua fede era ora
genuina, la loro situazione era marcatamente migliore. Così, anche nell’asprezza
della cattività, la grazia, protezione e benedizione di Dio fu apertamente manifestata.

9 Tabouis: Op. Cit., p. 341.


26
Venga il Tuo Regno
DANIELE 5
LA BILANCIA DELLA GIUSTIZIA

La fede di Nebukadnetsar fu efficace nella sua vita ma non nei termini della
storia Babilonese. Dopo la morte di quel monarca, Babilonia passò attraverso una
successione di deboli mani finché Nabonide, genero di Nebukadnetsar pervenne al
trono. suo figlio, Belshatsar, nipote di Nebukadnetsar, fu fatto vice-reggente per
rafforzare la sua posizione, e per dargli indipendenza nell’estendere l’impero. La
campagna di Nabonide in Arabia portò alla costituzione di una nuova capitale a
Tema, sulle strade del mondo antico, per controllare i percorsi del commercio che
portavano al Mar Rosso, al Golfo Indiano, all’Egitto, all’India e a tutto il mondo di
quei tempi. Tema, a metà strada tra Damasco e Mecca, è ancora un importante centro
di scambi dell’interno dell’Arabia, ma sotto Nabonide la città raggiunse la propria
gloria come “la capitale dell’impero Neo-Babilonese, perché il re viveva lì in un
palazzo che eguagliava quello di Babilonia” 1. L’importanza di Tema però, era
comunque condizionale al continuato potere di Babilonia stessa, poiché Nabonide era
in terra straniera e capace di far progredire il potere imperiale solo per quanto la casa
madre poteva sostenerlo. Il regno di Nabonide segnò così un ulteriore sviluppo del
potere imperiale come anche il suo termine.
L’ascesa dei Medi e dei Persiani, all’inizio una nuvola non più grande di una
mano d’uomo, si sviluppò in una forte tempesta mano a mano che queste potenze
raggiunsero Babilonia. La sicurezza dei Babilonesi, comunque, era fondata sulla loro
capacità di sostenere, come essi credevano, un assedio di settant’anni, con i Medi ed i
Persiani che si sarebbero probabilmente distrutti nel tempo per la loro distanza da
casa ed i problemi causati dal prolungarsi dell’attesa del vettovagliamento. Perciò
Belshatsar si sentì libero di procedere con la festività religiosa.
Alla grande festa del nuovo anno, solo il re sommo sacerdote, Nabonide,
poteva presiedere, ma nelle altre festività, Belshatsar, come vice reggente, poteva
officiare. L’occasione fu marcata da un grande banchetto con molto vino, con
Belshatsar stesso che presiedette il pranzo davanti a mille dei suoi nobili (5:1).

1 Raymond Philip Dougherty, Nabonidus and Belshazzar, A Study of the Closing Events of the Neo-Babylonian Empire;
New Haven. Yale, 1929, p. 146. Lo studio di Dougherty da eccellenti evidenze dell’affidabilità storica di Daniele
confermando l’esistenza e la posizione di Belshazzar. Vedi anche Edwin Yamauchi, Greece and Babylon; Grand rapids.
Backer Book House, 1967, p. 70s, 89ss.
27
Venga il Tuo Regno
Questa stravaganza di splendore e celebrazioni era comune nell’antichità come
testimoniano i 15.000 che più tardi, secondo Ateneo, pranzeranno giornalmente al
tavolo del monarca Persiano e al quale Ester 1:3-5 testimonia. Ma la motivazione
religiosa era centrale e basilare all’esuberante osservanza. A conferma di quella
motivazione religiosa, Belshatsar, un uomo devoto, espresse la condanna ufficiale di
Babilonia riguardo ai sogni di Nebukadnetsar registrati come da interpretazione
dall’Ebreo, Daniele. I vasi sacri, portati via dal tempio di Gerusalemme, furono
portati in modo “che il re e i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine” (5:3)
bevvero in essi. Questo fu un atto di deliberato sacrilegio, e anche una dichiarazione
di fede. La fede Babilonese era 1) una fede nella salvezza per opere, una fede che
implica inevitabilmente che, 2) poiché l’uomo salva se stesso, egli controlla il suo
destino, e il futuro è perciò nelle sue mani. Chiaramente Belshatsar fece quest’ultima
deduzione. La sua pretesa ignoranza di Daniele viene corretta da Daniele stesso
“benché tu sapessi tutto questo” (5:22), cioè del sogno e dell’esperienza di
Nebukadnetsar, del giudizio di Dio, e del ruolo centrale di Daniele in tutta questa ben
conosciuta sequenza di eventi. Belshatsar, sicuro della vittoria sui Medi e Persiani,
espresse con questo sacrilegio il suo disprezzo per YHWH e la propria abilità di
utilizzarLo. Egli non era legato dai sogni o dalla loro interpretazione profetica di
Daniele, ma solo dalla propria volontà e forza. Questo monarca, quale devoto
sacerdote-re, dando ripetutamente evidenza della propria fede 2, asserì la propria
indipendenza da questo Dio discontinuo che prepotentemente rifiutava la mano
dell’uomo o le sue opere, questo Dio che agiva in disprezzo della gloria umana. Si
può forse dire che in quel momento la religione Babilonese fu chiaramente ed
acutamente focalizzata nell’atto sacerdotale di Belshatsar. Mentre bevevano vino dai
vasi del tempio “lodarono gli dèi” (5:4).
“In quello stesso momento”, apparve la mano di un uomo che scrisse sul muro
in una scrittura sconosciuta, riempiendo tutti di terrore, il sacerdote-re in particolare. I
suoi consiglieri non furono capaci di decifrare lo scritto nonostante le allettanti
offerte. La regina madre 3 sollecitò che si prendesse in considerazione Daniele, forse
parlando come se Daniele fosse sconosciuto a Belshatsar in modo da confondere,
velare la vergogna di aver bisogno di un uomo il cui Dio e le cui interpretazioni
profetiche erano state solo un’ora prima apertamente disprezzate e sfidate.
Belshatsar dunque mandò a cercare Daniele, offrendogli la terza carica nel
regno (dopo Nabonide e se stesso) per l’interpretazione dello scritto. Il suo approccio
a Daniele cominciò in parte così: “Sei tu Daniele, uno degli esuli di Giuda, che il re
mio padre condusse dalla Giudea?” (5:13). Ciò che la regina madre aveva detto
riguardo a Daniele concerneva la sua eminenza sotto Nebukadnetsar, non le origini
di Daniele. Belshatsar scelse di ignorare questo fatto, dando ogni evidenza che egli
conosceva perfettamente chi fosse Daniele, e per ridurre Daniele al silenzio per
quanto concernesse il predicare a lui, egli in effetti disse a Daniele; “Tu sei un

2 Ibid., p. 87-92

3 Young, Commentary on Daniel ad. loc.


28
Venga il Tuo Regno
Giudeo, portato qui prigioniero anni fa. Qualsiasi eminenza tu abbia guadagnato è
eminenza Babilonese presa in prestito. Sii consapevole del tuo posto. Cosa può
offrire a me o dirmi il tuo Dio, quando non può fare nulla per il suo popolo?”
L’offerta di fare di lui la “terza carica del regno” (5:16) era un’offerta di restituzione
dell’eminenza già posseduta sotto Nebukadnetsar, e dalla quale, probabilmente per
motivi religiosi, era stato rimosso.
La risposta di Daniele fu impavida e incisiva: “Tieniti pure i tuoi doni e dà a un
altro le tue ricompense; tuttavia io leggerò la scritta al re” (5:17). Daniele poi ricordò
al monarca la sovranità di Dio, che “diede” a Nebukadnetsar tutto ciò che aveva
posseduto, e poi “lo depose dal suo trono regale” per un periodo a motivo del suo
orgoglio (5:18-20). L’orgoglio è qui chiaramente un aspetto della religione della
continuità e ne è la premessa. Belshatsar, sapendo tutto questo, aveva proceduto
deliberatamente in un percorso di disprezzo per Dio, un disprezzo manifestato
nell’uso dei vasi del tempio, innalzando se stesso, cioè ponendosi al di sopra e in
indipendenza dal “Dio, nella cui mano è il tuo soffio vitale e a cui appartengono tutte
le tue vie” (5:21-23).
La scritta sul muro veniva da questo Dio, ed il suo significato era chiaro e
diretto: MENE, MENE, TEKEL, UPHARSIN, o, come Young lo rende: MENE,
MENE. TEKEL, UPERES 4.
Il quadro qui è quello della bilancia della Giustizia, quella divinità
dell’antichità, che compare implicitamente o esplicitamente in una religione dopo
l’altra, in Egitto, Babilonia, Persia, Grecia, Cina e Roma. La bilancia della giustizia
compare anche nella chiesa di Roma, a San Michele Arcangelo, uno dei cui compiti
nella vita a venire si afferma sia quello di pesare le anime dei morti su quella bilancia.
Pere la Chaise, confessore Gesuita di Luigi XIV, lo sollecitò a revocare l’Editto di
Nantes come mezzo per spostare favorevolmente la bilancia dell’Arcangelo Michele.
In ogni religione fondata sulle opere, dovunque abbia il più pallido appiglio il
concetto di auto-salvazione, compare il concetto della bilancia. È l’epitome, il
simbolo più caratteristico dell’auto-giustificazione, dell’orgoglio religioso e
dell’indipendenza da Dio, un concetto di merito che guadagna per l’uomo
l’assoluzione da Dio e dalle sue richieste.
Ora, in conformità al proprio credo, Belshatsar viene pesato e condannato dal
Dio sovrano. Si può permettere che un uomo abbassi la propria legge morale quanto
voglia, ed egli la violerà e distruggerà lo stesso. Lasciatelo ridurre la giustizia alla
nuda sincerità, ed egli sarà inevitabilmente un’ipocrita. L’uomo non può giustificare
se stesso neanche nei termini di qualsiasi legge egli stesso crei, poiché, essendo un
trasgressore del patto con Dio, non può evitare di essere un trasgressore del patto con
se stesso essendo una creatura fatta ad immagine di Dio. Perciò, la sua vita è una di
radicale alienazione non solo da Dio e dalla Sua parola, ma anche da se stesso, e da
qualsiasi legge od ordinamento egli stesso crei.

MENE, MENE: “Dio ha fatto il conto del tuo regno e vi ha posto fine” (5:26).

4 Young, Commentary., ad loc.


29
Venga il Tuo Regno
TEKEL: “Sei stato pesato sulla bilancia, e sei stato trovato mancante”. (5:27).

PERES: “Il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5:28). Nella
parola PERES (diviso) c’è un’allusione a PARAS (la parola che viene tradotta
persiano), che sembrerebbe indicare che i Persiani erano la potenza dominante
nel dividere, o dissolvere Babilonia 5.

Essendo una questione di dignità religiosa e regale, Belshatsar mantenne la sua


parola ed esaltò Daniele a terza carica dell’Impero (5:29). La stessa notte, Babilonia
cadde e Belshatsar fu ucciso. Ciro aveva deviato le acque dell’Eufrate ed era entrato
nella città, secondo la propria dichiarazione, senza incontrare ostilità o battaglia.
Dario il Medo, all’età di sessantadue anni, divenne re di Babilonia.
Per il credente, la bilancia della giustizia è un concetto impotente. Vivo in
Cristo, egli è libero dal potere del peccato e della morte; vivendo per grazia, non è
sotto la sentenza della legge. La croce di Cristo è la Carta della libertà. La radicale
alienazione dell’uomo da Dio, dall’uomo e da se stesso è distrutta, e la libertà
comincia a diventare l’ordinamento della sua vita, la libertà della creature, libertà di
essere un uomo sotto Dio e vice reggente della creazione. Ma fino a quando l’uomo,
in religione, politica o qualsiasi altra area di vita cerca di essere dio, non può essere
uomo o godere la libertà, la gloria o la franchezza dell’uomo la creatura. Egli
inevitabilmente gravita intorno ad un concetto di legge quale fondamento dell’ordine,
in contrasto al fondamento biblico di vita in Cristo, e la legge è sempre una sentenza
di morte. Ogni legge egli crei, per quanto minima, lo rivela come trasgressore del
Patto e uno che odia la legge, e ogni sua bilancia, per quanto falsificata, lo pesa lo
stesso un uomo condannato. La legge della sua vita diventa perciò la morte, mentre la
legge del credente è la vita e la natura di Cristo e una gloriosa libertà. La legge della
morte, mentre opera nell’uomo, richiede a gran voce il giudizio e la tomba, e gli
uomini invocano e creano il loro proprio giudizio, modellano il proprio inferno, e
rifiutano di permettere alle loro culture e alla loro storia di essere altro che una
vendemmia d’ira e un triste racconto di auto-punizione. Confrontati col destino da
essi stessi invocato, i Belshatsar della storia ritornano al loro vino e aspettano la
morte.

5 Young: Commentary, p. 127.


30
Venga il Tuo Regno
DANIELE 6
REGNO, GIUSTIZIA E MONOTEISMO

L’esperienza, eminenza e integrità di Daniele fu riconosciuta da Dario il Medo,


che primo su tutti lo fece presidente sui 120 principi che governavano il suo regno 1 .
Questo generò non poca gelosia. Come ha osservato Joseph Parker riferendosi a
questo passo: “ogni primato deve essere pagato”. Se quel primato è in fedeltà e
giustizia come quello di Daniele, dovrà essere pagato doppio. Le richieste livellanti
del male sono per una democrazia dell’essere, una democrazia cosmica nella quale
tutte le distinzioni sono annullate in favore di una genericità che sfuoca identità,
responsabilità e significato. Gli uomini malvagi cercano di rendere tutto malvagio; gli
uomini che sono un fallimento domandano un fallimento universale. E gli uomini che
non sono capaci o non vogliono sollevarsi al di sopra della loro condizione cercano
selvaggiamente di livellare ogni eminenza in una comune democrazia di mediocrità e
di sconfitta. La democrazia è il grande amore dei falliti e dei codardi della vita, ed
include un odio per le differenze, perché la libertà è inseparabile dalle differenze,
dalle distinzioni, dai discernimenti e dalle sagge discriminazioni. Ma la libertà è un
nemico per quelli che odiano la responsabilità, e di conseguenza deve essere distrutta
perché principio aristocratico per lasciare il posto per la “libertà” della democrazia
totale, che è la fine di ogni significato, discriminazione, divisione, sia buona che
cattiva, nel nome di questa virtù superiore, l’unità mistica e l’assorbimento dentro la
massa dell’umanità caduta e corrotta. “Ogni primato deve essere pagato”, o con la
guerra totale contro un mondo ostile, o con una radicale concessione e sottomissione
a quel mondo. Religiosamente e politicamente Daniele rifiutò di cedere anche di un
centimetro.
Il suo punto di vulnerabilità, conclusero i suoi nemici politici, era la sua fede
religiosa. Perciò, Dario fu persuaso d’emanare un interdetto “in base al quale
chiunque durante trenta giorni rivolgerà una richiesta a qualsiasi dio o uomo
all'infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni” (6:7). Questo decreto, una volta
promulgato, non poteva essere rovesciato “in conformità alla legge dei Medi e dei
Persiani, che è irrevocabile” (6:8).

1 Riguardo all’identità di Dario, si veda John C. Whitcomb, Jr., Darius the Mede; Philadelphia: Presbyterian and
Reformed Publishing Co., 1959; si veda pure Yamauchi: op. cit., p. 89.
31
Venga il Tuo Regno
Parecchie credenze politico-religiose molto importanti vengono qui focalizzate,
tutte considerazioni di permanente rilevanza ed importanza.

1) Il regno sacerdotale del monarca è qui manifesto in un concetto altamente


sviluppato. Il sacerdote-re era il mediatore tra Dio e l’uomo, e l’anello di
congiunzione tra cielo e terra, una Torre di Babele vivente e il punto di
continuità tra i due mondi.

2) Di conseguenza, la buona vita era possibile solo nei termini di quell’ordine


manifesto in quel sacro anello e mediante d’esso, senza il quale non poteva
esistere nessun vero ordine. Fare una petizione, attraverso il re quale
mediatore, pregare nel suo nome come i Cristiani ora pregano “nel nome di
Gesù” era così il dare testimonianza della pietra angolare della società e del
fatto fondamentale della vita.

3) La legge fondamentale di ogni essere era espressa in e per mezzo del


mediatore-re, nei suoi interdetti (divieti) ufficiali o nelle sue dichiarazioni ex
cathedra. Queste leggi erano sicuramente nei termini di situazioni storiche
concrete ma erano ciò nonostante leggi fondamentali relative alla storia e
perciò inalterabili.

4) Il sacerdote-re era quindi il punto focale di cielo e terra e la voce della legge,
e legge incarnata, eppure allo stesso tempo, in un senso veramente reale, sotto
legge, legato dalle proprie stesse dichiarazioni e impossibilitato a rovesciarle,
come testificano sia Daniele 6:14 sia Ester 1:19 e 8:8.

La storia secolare da ampia conferma di questa posizione dei monarchi Medo-


Persiani. Diodoro Siculo riportò l’impossibilità di Dario III di revocare la sua
affrettata condanna a morte di Charidemos. Quinto Curzio scrisse “I persiani
adoravano i loro re tra gli dei” 2. Plutarco registrò un simile rapporto nel suo
Temistocle, citando Artabano a Temistocle che cercava udienza con Serse:

O straniero, le leggi degli uomini sono diverse, e una cosa è onorevole per un
uomo e un’altra per un altro, ma è onorevole per tutti onorare ed osservare le
proprie leggi. È l’abitudine dei Greci, si dice, onorare, sopra tutte le cose,
libertà ed uguaglianza, ma tra le nostre molte eccellenti leggi, noi reputiamo
questa la più eccellente, onorare il re e onorarlo in quanto immagine del grande
preservatore dell’universo, se dunque, acconsenti alle nostre leggi, e ti prostri
davanti al re e lo adori, tu puoi sia vederlo sia parlargli, ma se tu pensi in un
altro modo, devi fare uso di altri che intercedano per te, perché non è qui
costume nazionale che il re dia udienza ad alcuno che non si prostri a terra
davanti a lui.

2 Si veda Young, Keil e Delitzsch, H.C. Leupold, Commentari, ad. loc.


32
Venga il Tuo Regno
Tale concetto non era affatto limitato ai Persiani. I Greci deificarono le loro
città-stato e considerarono la polis in se stessa il locus della divinità, talché la loro
“democrazia” era una democrazia delle divinità. Questo concetto di vero ordine e di
divina mediazione è l’inevitabile concomitanza di ogni teoria sociale, incluse quelle
che negano il soprannaturale, o che perfino negano il concetto di verità in favore del
relativismo o del pragmatismo. Per la democrazia la voce del popolo è la voce di Dio,
vox populi, vox dei; per il Marxismo la dittatura del proletariato è storia giunta al
centro incarnato, ed il pragmatismo, con tutte le sue dichiarazioni d’essere un
pensiero anti-metafisico, è basato su una serie di supposizioni a priori che riguardano
la natura ed il destino dell’uomo che sono sconcertanti atti di fede. Non esiste teoria
sociale che non abbia la propria “voce della legge” il proprio grande mediatore ed
anello tra processo e realtà, tra tempo ed eternità, tra la storia e l’ordine finale del
tempo, tra Dio e l’uomo. Chiese, governi, scuole e filosofie tutte profferiscono anelli,
mediatori, e voci di legge e, sia che ammettano la realtà di Dio oppure no, cercano di
rendere temporale l’eternità e con ciò dare significato, scopo, e direzione al tempo e
alla storia. Ciascuno promette all’altro tolleranza, concesso che la propria primaria
dichiarazione di Verità sia riconosciuta. Adora Dio, ma prima inchinati allo stato
quale vero, reale ordinamento dell’uomo. La religione, l’esperienza privata e la
cultura possono essere tollerate purché sia prima ammesso il primato
dell’ordinamento democratico. Ciascuna filosofia, chiesa od ordinamento politico
insiste su questo punto: “Io sono la porta. Il vero ordine non è ottenibile senza di me”.
Contro tutto questo Cristo parlò come il solo vero mediatore, il legame tra cielo e
terra nella sua incarnazione, ma una unione senza confusione delle due nature, talché
Dio rimane Dio e l’uomo rimane uomo. Nel dichiararsi l’unica vera porta, Gesù
dichiarò che tutti quelli che cercavano di entrare nel regno, nell’adempimento
dell’uomo e della storia, da qualsiasi altra porta altra da Lui erano ladri e briganti che
ricercavano la morte dell’uomo e la distruzione di ogni ordine (Gv. 10). Dio e l’uomo
devono essere uniti se l’uomo e la storia debbano essere salvati e compiuti, ma senza
confusione, perché quella tentazione alla confusione è la tentazione satanica “sarete
come Dio” (Ge. 3:5). Questa confusione significa la distruzione della storia e
dell’uomo, significa il tentativo di rendere eterno il tempo e il processo, e negare il
fatto della creazione e la necessità di crescita, sviluppo e maturazione. Significa la
fine del tempo, e la fine del significato del tempo. I costruttori culturali di piramidi di
ogni generazione cercano di arrestare il processo e la decomposizione e di rendere
eterni i loro ordini, reali o sognati, ma invano perché la confusione (tra il divino e
l’umano) è impossibile, e il tentativo viene confuso dalla confusione di Dio
(Ge.11:1-9). In Cristo, i due ordini, tempo ed eternità, Dio e l’uomo, vengono uniti,
incarnati, ma senza confusione, cosicché è possibile la redenzione della storia, è
effettuata la salvezza dell’uomo, e preservata l’integrità del tempo. Il Concilio di
Calcedonia, riconoscendo questo fatto, diede alla storia Occidentale il suo
fondamento per la libertà, la libertà di funzionare come processo nel tempo e tutti i
tentativi medievali e moderni di arrestare il tempo non hanno avuto successo nel

33
Venga il Tuo Regno
negare quella vittoria. Calcedonia (451 D.C.) dichiarò in parte che questo “uno e lo
stesso Cristo” è:

Figlio, Signore, Unigenito, riconosciuto IN DUE NATURE, SENZA


CONFUSIONE, SENZA CAMBIAMENTO, SENZA DIVISIONE, SENZA
SEPARAZIONE: la distinzione delle nature non essendo in alcun modo
annullata dall’unione ma anzi, la caratteristica di ciascuna natura essendo
preservata e unita per formare una persona e una sostanza, non come divise,
separate in due persone, ma uno e lo stesso Figlio e unigenito Dio la Parola,
Signore Gesù Cristo; proprio come i profeti fin dall’inizio parlarono di lui e
nostro Signore stesso ci ha insegnato, e i credi dei Padri ci hanno consegnato.

Gli stratagemmi con i quali l’uomo ha cercato di raggiungere quella falsa


unione di cielo e terra non sono solo istituzionali ma anche esperienziali, come
testimoniano l’ascetismo e il misticismo. Così uno studioso del passato
nell’analizzare San Massimo Confessore, ha scritto. “La deificazione è il sommo
adempimento della capacità di Dio della natura umana…deificazione e salvezza sono
la stessa cosa” 3.
Che sia nell’esperienza, o nella persona, o nell’ufficio, o nell’istituzione,
l’obbiettivo è il legame tra il tempo e l’eternità, la rappresentazione o manifestazione
dell’ “immagine del grande preservatore dell’universo” in modo che l’uomo possa
sfuggire dal tempo, o che la storia possa essere fermata da quell’ordine manifestato.
Daniele, comunque, rifiutò di farsi deviare dalla legge di Dario dentro al timore
o al compromesso. Infatti, la sua reazione al decreto, che egli riconobbe essere mirato
a lui, fu la preghiera: “Quando Daniele seppe che il documento era stato firmato,
entrò in casa sua. Quindi nella sua camera superiore, con le sue finestre aperte verso
Gerusalemme, tre volte al giorno si inginocchiava, pregava e rendeva grazie al suo
Dio, come era solito fare prima” (6:10). Daniele non era mediatore in Babilonia, ma
in Gerusalemme in rovine, nel tempio tipologico, in quell’altare in cui Cristo ed il suo
sacrificio erano stati presentati ritualmente. L’impossibilità che il tempio di
Gerusalemme fosse realmente la casa di Dio, cioè Lo contenesse, era stato dichiarato
da Salomone alla sua dedicazione, al cui tempo anche il significato tipologico fu
alluso nell’indicazione che tanto Israeliti che stranieri avrebbero pregato “rivolti a
questo tempio” (1Re 8) 4 .
Apparentemente i nemici di Daniele avevano in casa sia almeno un informatore
da consentire loro di assicurare il suo arresto e la sua dichiarazione di colpevolezza,
perché questa pratica privata fu conclusivamente provata in un udienza pubblica alla
presenza di Dario e per la costernazione di quel monarca. Dario fu ora costretto dalla
propria legge a sentenziare a morte il suo associato più fidato e primo presidente. Il

3 Polycarp Sherwood, Traduzione con introduzione, St. Maximus the Confessor, The Ascetic Life, the Four Centuries
on Charity; Ancient Christian Writers, Vol. 21, London: Longmans, Green, 1955, p. 71.

4 Riguardo a questa pratica si veda Robert Dick Wilson, Studies in the Book of Daniel; Seconda serie; New York:
Revell, 1938, p. 241ss.
34
Venga il Tuo Regno
suo dolore ed agonia sono evidenti, e la sua posizione, tragica. In quanto voce della
legge, non poteva negare se stesso senza cessare di essere quel legame tra cielo e
terra. Poteva indulgere in qualsiasi altro vizio, ma il suo ufficio e potere richiedevano
questa irremovibile lealtà alla legge. Così la legge di Dario disse morte a Daniele,
mentre il suo amore diceva vita, e i due non potevano essere uniti. In ogni struttura di
pensiero non Biblica, questo conflitto compare in qualche forma, l’irreconciliabile,
incolmabile abisso tra legge e amore. Fate che trionfi la legge, e la sua asprezza la
trasformerà infine in un freddo schema di giustizia organizzata. Fate trionfare l’amore
sulla legge, e nuovamente l’ingiustizia terrà banco perché l’antinomismo infetterà
ogni baluardo d’ordine. La tensione tra la legge e l’amore è perciò una tensione
continua che lavora alla dissoluzione di una civiltà dopo l’altra ed è oggi basilare a
molta della tensione contemporanea, quando gli impulsi umanitari cercano di passare
sopra alle richieste della giustizia rigorosa e ai dettami della sua legge. La tensione
non è in alcun modo limitata all’ordinamento politico ma è endemica alla famiglia,
società, scuola, e ogni altro ordinamento.
Solo nella rivelazione Biblica viene risolta la tensione tra legge e amore, con
enormi implicazioni sociali e storiche, nella persona e l’opera di Gesù Cristo. Con la
Sua perfetta giustizia e la Sua vicaria espiazione, le più rigorose richieste della legge
e della giustizia furono pienamente conseguite ed adempiute, e gli statuti di Dio
osservati fino ad ogni apice e iota, ma pure, in uno e lo stesso momento, l’amore di
Dio per la salvezza fu manifestato in Cristo e per mezzo di Cristo. La croce è così il
simbolo d’unità della legge e dell’amore in Gesù Cristo e la completa domanda e la
piena integrità di entrambi. La radicale ingiustizia di ogni ordinamento separatamente
da Cristo è così vinta da questa sintesi, e la realizzazione storica di un ordinamento
fondato su questa unità, non ancora realizzato, viene resa possibile. I tentativi
dell’uomo di creare un ordine equo e vivibile separatamente dall’espiazione sono
stati condannati al radicale collasso, come testimonia il tentativo di Giulio Cesare di
soppiantare la legge fallimentare con la sua clementia senza grazia 5 . L’amore o il
perdono che non sia capace di rigenerare l’uomo diventano solo una licenza e un
sussidio del male, e la legge è essa stessa ugualmente incapace di qualsiasi ruolo
creativo e di funzioni rigeneranti.
Dario, preso da questa tensione, poté solamente gridare: “Daniele, servo del
Dio vivente, il tuo Dio, …ha potuto…?”. (6:20). E Daniele, dal profondo della fossa
dei leoni poté dichiarare che Dio aveva quella notte chiusa la bocca dei leoni e lo
aveva liberato senza alcuna ferita. Il re, colmo di gioia, ristabilì Daniele nella sua
posizione, e sentenziò i suoi avversari e le loro famiglie (un ingiustizia proibita in Dt.
24:16; 2Re 14:6) a quella stessa morte che avevano progettato per Daniele.
Il decreto di Dario (6:25-29) mentre ha scopo commemorativo, e di auto-
raccomandazione in riferimento a questo Dio Vivente di Daniele, riconosce la Sua
onnipotenza e sovranità chiaramente e schiettamente. Ma, mancando così com’è di
una relazione personale con quel Dio, e senza alcun senso dell’uomo come peccatore,
non è una confessione di fede ma un riconoscimento di potenza. Questo è quanto

5 Si veda Ethelbert Stauffer, Christ and the Caesars; Philadelphia: Westminster, 1955, p. 42-53.
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Venga il Tuo Regno
poteva credere Dario, e onorando Daniele ulteriormente e attaccandolo più
strettamente al proprio trono, come fece anche Ciro (6:28), Dario cercò di rafforzare
il proprio trono quale legame vivente tra cielo e terra. Il politeismo non era stato
necessariamente vinto, infatti, la molteplicità dell’uomo, le sue culture le sue potenze,
era vista come controparte della molteplicità dell’ordine soprannaturale.
L’unificazione dell’unico ordine, quello dell’uomo, sotto un grande sacerdote-re,
significava anche la coalescenza dell’ordine soprannaturale in e attraverso quell’uno
e lo stesso anello divino-umano: il grande sacerdote-re. Di conseguenza, mentre i
grandi imperi dell’antichità si svilupparono e si espansero, furono caratterizzati da un
doppio accento, primo, una sintesi culturale ed un amalgamarsi e, secondo, un
sincretismo religioso, quando i vari dei e le varie fedi venivano focalizzate nel e per
mezzo del rituale legame tra cielo e terra. Il monoteismo fu perciò uno sviluppo
dell’impero, e un aspetto del suo concetto di unità.
Il monoteismo è, storicamente ed essenzialmente, un parente stretto del
politeismo e un aspetto della stessa filosofia basilare. A prima vista questa sembra
una radicale contraddizione, in quanto politeismo significa, come la parola stessa
indica, una credenza in molti dèi, e il monoteismo una credenza in uno solo. Ma il
politeismo non è solo una credenza in molti dèi, ma anche ed essenzialmente che dio
è molti, cioè che egli è vario nelle sue forme e apparenze, spesso in contraddizione
una con l’altra, cosicché egli è uno in essere benché illimitato nella diversità della sua
natura come lo è la natura. Così politeismo ed enoteismo sono anelli vicini
storicamente. Nell’enoteismo, sono riconosciuti molti dèi, e ciascuno è, per il
momento adorato come la concentrazione di tutti gli attributi della divinità. Di
conseguenza, troviamo, insieme al politeismo, un’ identificazione enoteista, talché
Astarte e Chemosh sono collegati strettamente o identificati, benché radicalmente
differenti, Giove e Zeus sono facilmente congiungibili e l’intero pantheon degli dèi
può essere visto come diversi aspetti di quella diversità dell’essere. In periodi di stati
in competitività o in guerra, l’aspetto politeistico era eminente, mentre l’imperialismo
enfatizzava l’enoteismo e il monoteismo. È anche importante notare che il
monoteismo filosofico e religioso moderno, riconoscendo la “verità” in o di tutte le
religioni è fortemente enoteistico e lontano solo un passo dal politeismo.
Roma passò dal politeismo al monoteismo e all’enoteismo quando si sviluppò
da repubblica ad impero. La sua politica religiosa la faceva capace di utilizzare
pienamente ogni fede locale, mentre la onorava, la collegava all’Impero e
all’imperatore. Così, alcune delle città più estranee furono anche le più devote
aderenti al culto dell’imperatore senza staccarsi dal loro culto locale, come
testimoniano Smirne e Pergamo. L’unità dell’Impero andava mano nella mano con
l’enoteismo e il monoteismo, e questi due portarono direttamente alla fondazione del
concetto centrale Romano: la legge. Basilare a questo sviluppo fu il concetto Romano
di legge naturale, che era ius gentium, la legge degli stranieri o le legge delle nazioni,
l’analogo giuridico del religioso enoteismo. Leggi straniere furono assorbite da
Roma, come furono assorbiti culti stranieri, nel monoteismo dello stato. Ma
l’enoteismo giuridico e il monoteismo erano alieni alla fede biblica quanto
l’enoteismo religioso. La Bibbia non è né enoteistica né monoteistica, ma piuttosto
36
Venga il Tuo Regno
trinitaria e teista, e il suo concetto soprannaturale di legge invalida sia la legge civile
Romana sia la legge delle nazioni. L’opposizione Romana al Cristianesimo fu perciò
basata su una perspicacia maggiore di quanto non lo sia l’opera di molti apologeti
cristiani. La stessa tensione esiste oggi. Una fede che pone il politeismo Africano, il
panteismo di Spinoza, il monoteismo unitariano, e l’enoteismo modificato di Toynbee
tutti su un uguale livello come errori è un’offesa cardinale all’uomo imperiale, il cui
impero deve essere onni-inclusivo ed il cui concetto di verità e potere è spesso
strettamente legato con l’estensione geografica e con l’inclusivismo politico-
religioso. Enotesismo e monoteismo, quali aspetti di una sola fede, sono nella natura
dell’Impero come l’uomo lo sviluppa, e un aspetto dell’essere dello stato.
Nei termini di ciò, l’Impero Romano poteva tollerare una diversità di fedi
finché la loro unità in essenza poteva essere riconosciuta, e finché il culto
dell’imperatore quale punto focale ed il ponte tra cielo e terra fosse mantenuto. Il
Cristianesimo, la fede Biblica, fu perciò doppiamente offensiva perché: primo,
proclamava un altro esclusivo mediatore, Gesù Cristo; e, secondo, sembrò
peculiarmente e ostilmente politeista in paragone al deismo che sottostava a tutto il
politeismo pagano. I credenti e i pensatori Greci e Romani non erano grossolani
politeisti ma sofisticati deisti. Il Dio Trino era un’offesa permanente perché la sua
autosufficienza era così evidente, così manifesta: Egli provvedeva il suo mediatore o
anello, ed il suo proprio Spirito, contro le mediazioni dell’uomo, le sue aspirazioni, la
sua ascesa. La Trinità ontologica, Egli stesso il principio fondamentale di unità e di
molteplicità, creatore, redentore e sostenitore, troncava alla base l’autonomia
dell’uomo ed i suoi sforzi religiosi e rendeva tutta la magnificenza dell’Impero vana
nel suo sforzo di portare compimento all’uomo e alla società e di creare
l’ordinamento definitivo. Di conseguenza, l’Arianesimo, il subordinazionismo, il
monofisismo, il Nestorianesimo e altre eresie, ed occasionalmente anche il
Giudaismo (come nel regno Khazar), divennero gli inutili rifugi dell’uomo dalla
mostruosa potenza del Dio trino nella sua piena-sfericità e co-eguaglianza di potenza,
potenza che distruggeva e distrusse le dichiarazioni dell’Impero e della religione di
essere l’anello, il legame divino-umano. Il regno ed il sacerdozio di Cristo troncarono
alla base re e sacerdoti umani e la definitività del suo ufficio di profeta significò la
fine della religione quale agente creativo ed indipendente; a tutti ora veniva richiesto
di essere o ministeriali (servitori) oppure criminali. Progressivamente, perciò, a mano
a mano che la questione veniva focalizzata, il patronato della vera cristianità divenne
sempre meno possibile per lo stato. La facilità con cui Dario pagò tributo a Dio
diventa sempre meno praticabile a uomini il cui mediatore e dio sia lo stato. A questo
riguardo, la Russia Sovietica manifestava un grado più alto di auto-consapevolezza
epistemologica di quegli stati che sono ancora capaci di pagare un ipocrita tributo a
Dio mentre in realtà gli fanno la guerra. Questa ipocrisia non fu presente in Dario,
perché la tensione fondamentale non era ancora focalizzata. La tensione della nostra
epoca testimonia della sua esistenza ed è perciò il precursore della sua soluzione.

37
Venga il Tuo Regno
DANIELE 7
IL CORSO DEL DOMINIO

La seconda metà di Daniele è dedicata alla profezia predittiva estesa e


specifica, e perciò, l’offensività del libro viene focalizzata ancor più acutamente.
L’uomo, desiderando mantenere il controllo sulla storia in maniera assoluta, è
radicalmente intollerante di un Dio che sia più che idea o l’ideale. Poiché i fatti della
storia devono essere puramente il dominio dell’attività dell’uomo, la Trinità
ontologica è un’offesa in virtù della sua creazione e governo della storia. Inoltre,
l’attuale nella storia deve essere soggetto solo alla previa interpretazione dell’uomo
autonomo, mentre il Dio della Scritture riserva a Se stesso non solo la creazione ma
anche l’ultima e vera interpretazione della storia. L’uomo naturale perciò, non
tollererà un Dio che governa la storia, ma avrà solo un dio governato dalla storia e dal
processo e Lui stesso un loro prodotto. Ogni descrizione biblica di Dio è perciò
un’offesa permanente, una presentazione di un Dio crudo alla quale bisogna ridare
forma affinché sia conformata alla ristrettezza della mente dell’uomo e assoggettata
alla sua radicale richiesta per la propria ultimità 1, ed autonomia. Di conseguenza, la
profezia predittiva viene esclusa su un fondamento a priori; è giudicata essere
religiosamente e storicamente offensiva, come sicuramente è per l’uomo che pretende
d’essere autonomo, e viene soppiantata da un’immagine della storia che è nudi fatti,
bruta fattualità, un caos dal quale l’uomo e il processo cosmico che trova il punto
focale nell’uomo portano ordine, luce, significato. Ne risulta la conversione della
storia in mito, mentre Daniele ci da un salvataggio della storia dalle interpretazioni
dell’uomo il costruttore di miti.
En passant, bisogna notare quanto assurda sia la nozione di una data Maccabea
per Daniele. Non solo il libro presuppone e richiede la conoscenza degli eventi di un
contemporaneo e non solo rivela la sua datazione precedente a livello testuale, ma è
inoltre un libro che è impossibile sia stato scritto da un Giudeo Maccabeo, anzi da
qualsiasi Giudeo eccetto uno agli ordini di Dio. E perfino in questo caso Daniele fu
profondamente addolorato dalla visione (7:15-28), che chiaramente dichiarò il
sorpasso, l’accantonamento permanente di Israele come nazione. L’intenso

1 (la
pretesa di essere egli stesso il principio ultimo delle cose. N.d.T.)
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Venga il Tuo Regno
nazionalismo dei Giudei era manifesto in Zorobabele, Esdra e Nehemia, e al tempo
dei Maccabei questo nazionalismo era troppo inclusivo, intenso ed esclusivo per
poter tollerare un libro che dichiarò che il Consiglio di Dio decise di by-passare
Israele 2 . Fu brevemente usato nell’epoca Maccabea per un punto d’interesse e poi
relegato allo sfondo.
La data di questa visione è “Nel primo anno di Belshatsar re di
Babilonia” (7:1). Ritrae la storia come un grande mare squassato dai “quattro venti
del cielo” (7:2), un’immagine ripetuta in Apocalisse 17:15 Poi mi disse: “Le acque
che hai visto, dove siede la meretrice, sono popoli, moltitudini, nazioni e lingue.” La
storia è dunque un mare scuro e turbolento, scuro a se stesso, e mosso dal di fuori
mentre ha la vita e il suo movimento al suo interno, un’entità, ma in nessun modo
un’entità autosufficiente ed auto determinativa. Mentre all’uomo il mare della storia
appare scuro e nascosto nelle sue profondità, dal trono di Dio appare come un mare
di vetro simile a cristallo (Ap. 4:6), non ci sono nella storia angoli bui per Dio che dal
suo trono determina tutte le cose che accadono e vede la fine dal principio.
Dal profondo del mare salirono quattro grandi bestie, che tipizzavano i quattro
imperi. Bestie da preda sono tradizionalmente state simboli dello stato, intendendo
tipizzare il potere nazionale e la sua capacità di divorare e distruggere. Benjamin
Franklin, dissentendo da questo desiderio di scegliere un animale da preda come
simbolo per l’America, suggerì il tacchino selvatico, un uccello utile nonché
rappresentativo dell’abbondante ricchezza naturale del continente, fa la sua mozione
fu cassata.
L’identificazione dei quattro imperi è stata più o meno uniforme, e i dissensi
sono stati basati sul tentativo di forzare un’interpretazione dentro al testo. “La prima
era simile a un leone ed aveva ali di aquila. Io guardavo, finché le furono strappate le
ali; poi fu sollevata da terra, fu fatta stare ritta sui due piedi come un uomo e le fu
dato un cuore d'uomo” (7:4). Così l’impero babilonese viene dipinto come
controllato, tenuto a freno nel corso del suo dominio imperiale, da una forza
umanizzante esercitata dall’esterno, dalla stessa sorgente di tutti i governi della storia,
Dio Stesso. Ciò fa riferimento all’umiliazione di Nebukadnetsar, dopo cui la forza
espansiva Babilonese non si riprese più, nonostante gli sforzi di Nabonide in quella
direzione.
“Ed ecco un'altra bestia, la seconda, simile ad un orso; si alzava su di un lato [o
alzava un dominio] e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: ‘Levati,
mangia molta carne’” (7:5). Questo comando di distruggere proviene da Dio, che
solleva l’impero come vendicatore e nei termini dei suoi scopi finali. Qui è descritto
l’Impero Medo-Persiano, col maggior dominio dei Persiani, e una vasta conquista di
Babilonia, Lidia ed Egitto (le “tre costole” secondo interpreti molto antichi e anche di
contemporanei), furono date a questa enorme e dormiente potenza.
“Dopo questo, io guardavo, ed eccone un'altra simile a un leopardo, che aveva
quattro ali di uccello sul suo dorso; la bestia aveva quattro teste e le fu dato il
dominio” (7:6). Il rapido ergersi a potenza dell’impero Macedone di Alessandro

2 Wilson, op. cit., p. 28


39
Venga il Tuo Regno
Magno è appropriatamente dipinto nel leopardo o pantera alati. “Il simbolismo indica
sia la rapidità con cui furono fatte le sue conquiste sia l’estensione del territorio che
prese. Aveva quattro teste, e così viene evidenziata la natura mondiale o ecumenica
del regno. Il dominio viene dato a questa bestia da Dio e così impariamo di questa
bestia, come delle prime due, che anch’essa è nelle mani della provvidenza di Dio
che tutto controlla” 3. Le quattro teste non si riferiscono ai quattro successori di
Alessandro, i suoi generali ma, “rappresentando i quattro angoli della terra
simbolizzano l’ecumenicità del regno” 4 . Il sogno imperiale del regno dell’uomo, un
paradiso mondiale senza Dio, è quindi il punto focale dell’espansione e della
conquista, e rappresenta il desiderio dell’uomo di impadronirsi della gloria di Dio e di
realizzarla nella storia. Per comprendere più chiaramente l’impulso di questi imperi,
prendiamo nota del commento riassuntivo che ne fa F.W. Buckler:

Il monarca Orientale, il Grande Re, rappresenta personalmente Dio in terra. Il


suo volto è il volto di Dio. Egli è l’ombra di Dio sulla terra, e quando è seduto
sul suo trono, è riconosciuto come la soglia della munificenza di Dio. Tutto
questo in virtù del suo possesso della divina Gloria del re, che non può “essere
presa con la forza” ma è il dono di Dio, al quale deve essere ascritta altrimenti
se ne dipartirà. In modo da rendere manifesta agli occhi dei non iniziati la
Gloria, o la Grazia, la traduzione alternativa, il re porta una lunga barba, fa uso
abbondante di cosmetici, indossa abiti magnifici e siede sotto una corona
risplendente, sospesa per apparire come indossata, su un trono tempestato di
pietre preziose. Egli è in questo modo la rivelazione della Gloria se possiede la
Gloria o la Grazia…
Ma per quanto divino nella sua persona, in virtù della divina epifania inerente
la sua regalità, egli è umano nelle sue limitazione in virtù del suo essere un
figlio dell’uomo…. Infatti il re orientale rappresenta molto di più di un tiranno
arbitrario. Egli sta per un sistema di governo di cui è l’incarnazione,
incorporando nel suo corpo, per mezzo di certi atti simbolici, le persone di
quelli che prendono parte al suo regno. Essi sono considerati come facenti
parte del suo corpo, membra corporis regis, e nel loro distretto o sfera d’attività
essi sono il re stesso, non i servi del re, ma “amici” o membra del re, proprio
come l’occhio è l’uomo nella funzione della vista, e l’orecchio in quello
dell’udito 5.

Le manifestazioni istituzionali di questa concezione di regalità erano, come ha


evidenziato Buckler, quattro: 1) le vesti d’onore, 2) il giuramento simbolico
d’alleanza, 3) comuni assemblee e pranzi comuni quali legami di lealtà e fonti di

3 Edward Young, The Messianic Prophecies of Daniel; Delft, Olanda, 1954, p. 30.
4 Young: Commentario, ad. loc.

5 F.W. Buckler, The Ephiphany of the Cross; Cambridge, England: Heffer, 1938, p. 4s., 99.
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Venga il Tuo Regno
termini e simboli di lealtà e, 4) la terminologia della burocrazia e la natura della
carica per mezzo delle quali gli ufficiali del re sono le sue membra organiche
piuttosto che servi 6.
Questa evidenza rivela la somiglianza molto marcata del sogno imperiale col
regno di Dio, così che Babele corre parallela a Gerusalemme punto dopo punto.
Questo significato viene comunemente mancato: Babilonia viene assunta come
immorale, e la vera Gerusalemme morale, la prima malvagia, la seconda giusta in
termini moralistici. Ma il contrasto è radicalmente diverso: è tra auto-giustizia e
giustizia, tra moralismo e rigenerazione come metodi conflittuali di salvezza, ovvero
salute e restaurazione per l’uomo e la società. Il regno di Dio è l’obbiettivo, ma
Babilonia s’impadronirebbe della Gloria di Dio e farebbe del regno un dominio e
possedimento dell’uomo, mentre la vera Gerusalemme nell’apice della visione di
Giovanni è vista “che scendeva dal cielo da presso Dio” (Ap.21:2), ed è tutta dalla
grazia. Il pericolo di condannare gli imperi della visione di Daniele, e i presenti
pretendenti del regno, sul terreno del moralismo, è la necessità di ripetere i loro
errori, poiché il moralismo è proprio il terreno e lo spirito delle pretese dell’uomo al
regno, alla potenza e alla gloria.
Questi regni imperiali appaiono e scompaiono, e un quarto sorge con un più
duraturo impatto sulla storia:

“Dopo questo, io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia
spaventevole, terribile e straordinariamente forte, essa aveva grandi denti di
ferro; divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi, era diversa da tutte le
bestie precedenti e aveva dieci corna.

Stavo osservando le corna, quand'ecco in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo


corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte; ed ecco in quel
corno c'erano degli occhi simili a occhi di uomo e una bocca che proferiva
grandi cose” (Da. 7:7-8).

Questa quarta bestia non ha controparte nel mondo della natura, cioè non ha
carattere suo proprio. In Daniele 2:40-43 questo quarto impero è similmente ritratto,
come una mistura tenuta insieme con la forza ma non avere innato il potere di legare.
Il carattere messianico di questo quarto o Romano Impero non era meno prominente
di quello dei suoi predecessori, come Christ and the Caesars di Stauffer rende
chiaro. Il suo potere imperiale era più sincretista di quello dei suoi predecessori per il
fatto che serviva meno potere innato come punto di amalgama. Il suo concetto di
unità era meno organico e più giuridico, e da ciò, benché più debole, era un concetto
più duraturo e più facilmente trasmissibile ad altre culture. La pax Romana o pace
Romana era basata sulla legge Romana. Questa legge Romana fu ben riassunta nel
suo spirito da Cicerone in De Legibus, nel quale egli echeggia il temperamento
fondamentale della sua eredità, nell’affermazione: “La sicurezza del popolo sarà la

6 F. W. Buckler, The Epiphany of the Cross; Cambridge, Englnd: Heffer, 1938, pp. 99-107.
41
Venga il Tuo Regno
legge più elevata”. È da questo principio che vennero in seguito le “dieci corna”, cioè
la pienezza dell’impulso e del potere nazionale (essendo il corno un antico simbolo di
potenza e dominio). L’obbiettivo del potere divenne la fondazione dell’unità sotto la
legge, legge non in un senso astratto e remoto, ma legge in senso umanistico, nei
termini di welfare umano e di diritti dell’uomo. Le rivoluzioni dell’uomo
Occidentale, ed ora sempre di più, le rivoluzioni e le aspirazioni di Asia, Africa e del
mondo intero, sono nei termini di questo concetto antropocentrico: “la sicurezza del
popolo sarà la legge più elevata”. I diritti dell’uomo, il benessere umano, libertà,
fraternità ed uguaglianza, tutte queste cose e di più sono il prodotto di questo
principio ultimo del moralismo: salvezza ed il regno dell’uomo per mezzo della
legge. Su Roma e su i suoi eredi in tutto il mondo, “le dieci corna”, è caduto il
mantello degli Scribi e dei Farisei! “Dieci” come numero della pienezza indica la
totalità della devozione statista dell’uomo a questo sogno. (I numeri sette e dieci,
come numeri terminali nei loro rispettivi sistemi numerici, e il numero quattro,
rappresentativo delle quattro direzioni, sono usati ripetutamente per tipizzare totalità
e pienezza). Un altro corno o potenza si leva, sradicando tutte le altre in ogni
direzione (le tre corna, o punti della bussola), esercitando il dominio con
dichiarazioni e pretese molto audaci “una bocca che proferiva grandi cose”. Proprio
come gli altri rappresentano imperi e domini, anche quest’ultimo rappresenta un
potere simile, affermando un unico dominio mondiale sotto la sovrana unità della
legge. Non è una persona più di quanto non lo siano i suoi predecessori e, come essi,
è l’epitome della pretesa moralistica di salvezza per mezzo della legge. Poiché questa
è profezia politica, il riferimento perciò non è all’area ecclesiastica alla quale
appartiene l’Anticristo, e perciò non è l’Anticristo.
Il concetto di salvezza per mezzo della legge trovò una particolare espressione
nel concetto e nella fondazione delle Nazioni Unite, e la sua speranza è abilmente
riassunta da uno studio intitolato Pace Mondiale per Mezzo della Legge Mondiale, di
Grenville Clark e Louis B. Sohn 7. Può la pace mondiale essere creata per legge, più
di quanto l’omicidio possa essere prevenuto per legge? Non è lo scopo della legge
punire un assassinio piuttosto che prevenirlo? Può la legge cambiare il cuore o la
mente di qualsiasi uomo? Al massimo, la legge, per timore, può costituire un
deterrente, non può esercitare un ruolo creativo. Aspettarsi che le leggi delle Nazioni
Unite convertano in qualche modo nazioni omicide in nazioni amiche è moralismo
del tipo più maligno, ed è un moralismo calcolato per assicurare il trionfo del male,
che il moralismo farà, come sempre.
Il concetto organico di società, da un lato cerca di effettuare la salvezza con
l’esperienza mistica dell’assorbimento nel gruppo. L’incorporamento nel corpo
politico, l’attuale grande dio in terra, è esso stesso salvezza. Così, durante i primi anni
del Nazismo, che fu infatti una breve rivisitazione del concetto organico, un agitatore
nazista disse ad una platea di paesani esagitati: “Noi non vogliamo il prezzo del pane
diminuito, noi non vogliamo prezzo del pane aumentato, noi non vogliamo prezzo del

7Titolo originale: World Peace Through World Law; Pubblicato da Harvard università Press, seconda edizione, 1960.
Sohn è un membro della facoltà della Harvard Law School.
42
Venga il Tuo Regno
pane inalterato, noi vogliamo il prezzo NazionalSocialista del pane” 8 . Qui c’è una
ricerca di significato in una fuga dal significato.
Il concetto organico assolve l’individuo dalla libertà e dalla responsabilità,
dove invece il concetto legalista dell’uomo e della società pone sull’uomo un peso di
radicale individualismo che è più di quanto possa sopportare, e che infine lo distrugge
e lo porta ad una fuga dalla libertà. Nessuno dei due è capace di effettuare alcun
cambiamento nell’uomo o di aggiungere al suo essere. Il Cristianesimo Biblico, per il
suo concetto federale dell’uomo, vede due umanità, una in Adamo, un’altra in Cristo.
Il suo concetto dell’uomo è perciò federale e pattizio e il suo concetto della società è
organico, ma con insieme un’insistenza sulla responsabilità individuale a Dio il
Giudice. Ogni uomo è caricato della propria responsabilità per la propria vita e per il
proprio destino ma, come membro di Cristo e del popolo dell’Alleanza, egli non è
mai solo e un vivere realmente pio è un vivere responsabile e sociale, stanto
individualmente che organicamente, con la sua piena legge nella Parola rivelata di
Dio, le Scritture, e la sua reale società organica, il Corpo di Cristo. Ma fondamentale
a tutto questo è la rigenerazione, per la quale l’uomo è risparmiato dall’orrore
organico di Adamo e dall’irresponsabile individualità del trasgressore dell’Alleanza,
è fatto una nuova creatura in Cristo, e da qui in poi è capace di vivere sia sotto la
legge sia nella società, perché Cristo, la viva Parola e giustizia di Dio, è ora l’uomo
nuovo in lui e la legge è scritta sulle tavole del suo cuore, ed egli è membro di quella
grande, organica, nuova creazione il cui architetto e costruttore è Dio. Perciò,
all’uomo è richiesto di portare la propria responsabilità davanti a Dio, ma non ci si
aspetta che esista in isolamento e senza legami naturali e sociali.
La scena del giudizio celeste ci rende consci della sovranità di Dio in tutto
questo corso del dominio. Dio l’Onnipotente regna, e il giudizio “si tenne” (7:10), o
letteralmente “il giudizio sedette” 9. Dal trono procede il giudizio contro “il piccolo
corno” (piccolo in vero potere, benché potente in pretese), ed è consumato. “ma con
la distruzione del piccolo corno, la potenza della quarta bestia scompare
interamente”10. La Caduta di Babilonia è completa, il sogno della salvezza per mezzo
della legge è pienamente e definitivamente nella storia, poiché il trionfo di Cristo non
è per l’eternità solamente ma in virtù della sua resurrezione è manifestato nella storia,
attraverso la storia e culmina nella storia, ed è perciò sia storico che escatologico, Le
altre bestie (7:12), cioè le altre forme di presunzione messianica di politica e stato,
rimangono a malapena vive dopo la loro disgiunzione da Roma, ma anch’esse sono
ora distrutte pienamente e completamente.
Ora il vero regno diviene manifesto, “Ed ecco sulle nubi del cielo venire uno
simile a un Figlio dell'uomo” (7:13). Questo titolo, Figlio dell’uomo, nello stesso
senso di Daniele, fu applicato a se stesso da Gesù. Usato in diversi contesti, l’idea
dominante è quella della sovranità. Il Figlio dell’uomo governa con autorità divina…

8 Peter F. Drucker, The End of Economic Man, New York: John Day, 1939, p. 13s.

9 Young: Commentario, ad. loc.

10 Young: Commentario, ad. loc.


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Venga il Tuo Regno
“Figlio dell’uomo” è un titolo che indica la divinità piuttosto che l’umanità….il
Figlio dell’uomo è strettamente associato con un popolo. È una figura societaria…la
connessione tra il Figlio dell’uomo e i santi dell’Altissimo è stretta” 11. “Le nubi del
cielo” si riferiscono alla gloria di Dio ogni qualvolta si manifesta (Es. 19:9, 33:9;
34:5; 40:34 ecc.), sia in rivelazione, come nel Monte della Trasfigurazione o durante
l’ascensione, sia in giudizio, come in Isaia 19:1. Il giudizio finale è dunque una tale
manifestazione tra molte. Il Messia è Egli stesso la manifestazione della gloria di
Dio, ed era chiamato dai Giudei o il Nuvoloso o il Figlio delle Nubi. Non solo Gesù
reclamò questo titolo, ma reclamò anche il dominio che ne conseguiva, parafrasando
Daniele 7:14 in Matteo 28:18-20, dando il grande mandato in virtù del suo dominio
come predetto da Daniele. Questo dominio, datogli al tempo del quarto impero (Da.
2:34s.) raggiunge potere mondiale quando le ultime manifestazioni del falso sogno
sono pienamente distrutte e cadono in rovina, ridotte all’impotenza.
Il dolore di Daniele all’ovvio accantonamento di Israele rese necessaria
ulteriore profezia (7:15:28), e “la verità di tutto questo” (7:16) gli viene comunicata.
Il regno del Messia non è per un millennio ma è per l’eternità (7:18). Il “piccolo
corno” prevale contro “i santi” (7:21) finché Dio interviene nella storia per dare
dominio ai santi, i membri del vero regno di Dio. Il quarto impero era maggiore in
potenza e influenza, ma non di tipo diverso: “l’intero punto del capitolo è di
dimostrare che c’è un solo regno veramente universale, e che gli altri potevano essere
chiamati tali solo di nome” 12.
“Il piccolo corno” “proferirà parole contro l'Altissimo, perseguiterà i santi
dell'Altissimo con l'intento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge; i
santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un
tempo.” (7:25) L’opposizione del regno umano al regno di Dio si farà sentire sempre
di più. La “divisività” di Dio, e la Sua discriminazione in salvati e persi, è offensiva
al desiderio dell’uomo che “la sicurezza del popolo sia la legge più elevata”. Perciò
Dewey chiamò la Cristianità una fede aliena perché dedita ad una fondamentale
discriminazione e separazione, ad una “aristocrazia spirituale”: “Io non posso
comprendere come sarà possibile qualsiasi realizzazione dell’ideale democratico
come moralmente vitale e spiritualmente ideale nelle vicende umane senza
l’abbandono del concetto di basilare divisione a cui la cristianità è dedicata” 13. La
salvezza attraverso la legge culmina così in anti-legge quale principio di democrazia
e di sicurezza del popolo! Ogni uomo il proprio dio, ed ogni uomo preservato dalla
possibilità di essere messo in discussione, dalla insicurezza e dalle conseguenze:
questo è il regno compiuto! Il tentativo di “mutare i tempi e la legge” è così il
tentativo del principio di legge dell’uomo di liberare l’uomo dalla legge, di far
diventare legge l’antinomismo e di liberare l’uomo dal processo e dalla storia.
Dewey, nel cercare di obliterare le “divisioni basilari” dalla vita, sta cercando di

11 Leon Morris, The Lord from Heaven; Grand rapids; Eerdmans, 1958, p. 28

12 Young. Commentario, ad loc. 7: 23.

13 John Dewey, A Common Faith; New Haven: Yale University Press, 1934, p. 84.
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Venga il Tuo Regno
evitare e di negare il processo e la storia e di sfuggire dal tempo e dal giudizio.
Questo è l’ideale politico del regno dell’uomo, afferma l’uomo, solo per distruggerlo.
Afferma la storia al di sopra dell’eternità, solo per sfuggire al tempo e cercare di
eternizzarlo. Deifica il processo per poterlo immobilizzare. La sua legge in questo
modo è anti-legge, e la sua vita è morte. Si rivolge al processo prima per sfuggire a
Dio, e poi tenta, per mezzo degli stessi poteri dell’uomo, di trasformare il processo in
una eternità senza Dio.
Il “tempo, dei tempi e la metà di un tempo” è un periodo della storia
indeterminato ma limitato. Essendo “tempi” plurale, la portata e la lunghezza a cui si
riferisce è definitivamente al di la della nostra conoscenza. C’è come una volontà di
evitare una datazione definita, ma un’affermazione specifica del fissato limite del
potere del “piccolo corno”. La metà di un tempo marcherà l’improvviso collasso
all’avvicinarsi dell’apparente vittoria. “Il piccolo corno”, privo della pompa imperiale
dei suoi predecessori, ma sopravanzatili in presunzione, sarà succeduto dal regno di
Dio, il cui potere ininterrotto continuerà attraverso il tempo dentro all’eternità.
I settant’anni di cattività erano vicini alla fine quando Daniele vide la visione.
Per suo dolore, invece della restaurazione della teocrazia in Israele, egli vide un
lungo potere imperiale, succeduto dal regno messianico molto chiaramente dissociato
da Israele. Non è meno dissociato dalla presunzione e dai sogni ecclesiastici. Questa
è una profezia politica. Il regno di Dio non è descritto come un regno politico, ma la
sua incontestabile sovranità nella sfera politica come in ogni altra sfera è affermata
completamente. Separare perciò quel regno dagli aspetti economico, politico ed
educazionale dell’ordinamento mondiale, e dal confronto con le presunzioni
messianiche di queste e di altre attività dell’uomo, è un fare violenza al regno e non
comprenderlo. Mentre il regno non è di questo mondo, nel fatto che è primariamente
ed originalmente un ordinamento eterno, il suo trionfo in e su questo mondo è
presentato nella resurrezione, un evento storico, e sarà sviluppato nei termini
dell’interezza della storia.

45
Venga il Tuo Regno
DANIELE 8
LE PROSPETTIVE DELLA STORIA

“Nel terzo anno di regno del re Belshatsar” (8:1) pervenne a Daniele un’altra
visione, una che concerneva il secondo ed il terzo impero. La visione era perciò
precedente al tempo degli eventi di Daniele 5.
La località della visione è Shushan, o Susa, la capitale principale dell’Impero
Persiano nei suoi giorni di potere. Daniele 8:2 e 8:16 rendono chiaro che l’intera
visione, dai giorni del potere Medo-Persiano fino ad Antiochio Epifane, proviene da
Susa, un fatto che colpisce, perché il centro della scena, per quanto concerne
l’azione, è solo brevemente Susa. La prospettiva perciò, è Susa, perché la fede e la
filosofia di quella fortezza e sede dell’impero rimase la prospettiva dei suoi
successori finché Roma non apparve sulla scena.
Il concetto organico di regalità e la sua affermazione della continuità del
popolo col re, e del re col divino, è quindi il principio dominante della visione, poiché
questo concetto fu più chiaramente focalizzato nell’Impero Medo-Persiano e dominò
gli imperi seguenti, influenzando anche Roma in misura notevole. Ad ogni modo, in
Roma a dispetto delle influenze Orientali molto marcate, il principio legalista,
giuridico, trionfò come fattore residente nella susseguente storia occidentale ed ora
mondiale, benché non senza conflitti, nel fatto che entrambi i concetti (unità organica
e unità nella legge) furono trasmessi a Roma e per mezzo di Roma.
Il disprezzo Greco per i Persiani fu dichiarato da Plutarco nei suoi commenti
nel suo Vita di Artaserse II: “Il re Persiano ed il suo impero erano potenti certamente
in oro, lusso e donne, ma altrimenti era un mero spettacolo di vana ostentazione”.
Molto di questo disprezzo è basato sull’invidia, e i Greci non erano preoccupati
solamente delle conquiste ad Oriente, ma anche del potere nei termini di
quell’Eldorado d’Oriente. Così, Alessandro e i suoi quattro successori assunsero il
concetto di regalità Medo-Persiana in misura notevole. Plutarco citò un esempio
incisivo degli estremi a cui fu spinto il concetto Persiano di regalità. Artaserse II
sposò la propria figlia Atossa, dichiarando “ella essere la sua legittima sposa,
calpestando tutti i principi e le leggi con cui i Greci si ritengono legati, e
considerando se stesso come divinamente istituito quale legge ai Persiani, ed il
supremo arbitro del bene e del male”. Questi stessi fini, il calpestare il bene ed il male
da parte dell’uomo il Legislatore, e la deificazione dell’uomo, furono anche gli
46
Venga il Tuo Regno
obbiettivi ultimi del legalismo Romano, ma il concetto Persiano lo ricercò nell’unità
organica della società nel dio-re, gli eredi Romani nei diritti giuridici dell’uomo
individuale, per il cui bene esiste la legge, il governo e la società.
Daniele vide l’Impero Medo-Persiano come un montone, “Le due corna erano
alte ma un corno era più alto dell'altro, anche se il più alto era spuntato per
ultimo” (8:3). Secondo Keil: “in Bundehesch lo spirito guardiano del regno Persiano
appare sotto le forme di un montone con piedi ben torniti e corna appuntite, e,
secondo Ammiano Marcellino XIX. 1, il re Persiano, quando stava a capo del suo
esercito, indossava, invece del diadema, la testa di un montone”. Daniele vide
espandersi considerevolmente la potenza di questo impero in ogni direzione eccetto a
Est “così fece quel che volle e diventò grande” (8:4). “Quel che volle”, ha
sottolineato Young, significa “fece esattamente come volle, indicando potere
dispotico, arbitrario” 1.
Ad ogni modo, sorge un “capro”, Alessandro Magno, il quale, osserva Young:
“Divenne conosciuto come ‘Quegli delle due corna’, poiché egli si faceva
rappresentare con due corna per provare che era figlio di Ammon testa di montone,
dio della Libia” 2. Ammon o Amon, di Egitto e Libia, identificato anche con Giove e
Zeus dagli scrittori classici, veniva rappresentato o con la figura seduta di un uomo
con la testa di montone, o un montone intero blu; in suo onore gli abitanti di Tébessa
(Tunisia) si astenevano dalla sua carne. Il suo nome compare su monumenti Egizi
come Amn o Amn-re (Amon il sole). L’Amon di Tebe aveva semplicemente forme
umane, ed era chiamato “il re degli dèi” ed era virtualmente identificato in un culto
col sole, in un altro con l’Egizio Pan. Il giudizio viene pronunciato su di lui in
Geremia 46:25. “Ecco io punirò la [amon] moltitudine di No”.
Il capro era un’antica divinità, o simbolo di divinità, come indica Levitico 17:7,
essendo i “demoni” [sai’yr = capro, demone] che gli Israeliti adorarono nel deserto. Il
culto al capro esisteva in Egitto, era presente nell’adorazione di Pan (dio greco dei
pastori inventore del flauto di Pan) ed era un simbolo riconosciuto della nazione
macedone. Monete di Archelao, re dei macedoni (413 A.C.), rappresentano sul
rovescio un capro e, molto più tardi, la conquista della Persia da parte di Alessandro è
rappresentata su di una gemma con una incisione di “due teste unite all’occipite,
l’una di montone, l’altra di un capro unicorno” 3. Così, Alessandro fu il grande corno
e fondatore dell’Impero Macedone, ed il trasmettitore della vita e della base razionale
dell’Impero Persiano, col suo assorbimento di quella fede dentro alla propria
struttura. Il presuntuoso e arrogante potere di Alessandro è descritto in 8:8 “Il capro
diventò molto grande”; ovvero potente e di successo ai propri stessi occhi. La rabbia
dei Greci pure (8:7) era notevole, e il desiderio di rovesciare la Persia era pari al
desiderio di raddrizzare la storia. Comunque, nel mezzo della sua potenza,
Alessandro “si spezzò” [meglio sarebbe “fu rotto”], morì a trentatré anni, e l’impero

1 Young: Commentario, ad. loc.

2 Ibid.

3 John M’Clintock e James Strong, Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, III, p. 899s.
47
Venga il Tuo Regno
fu diviso fra quattro notabili “quattro corna cospicue” (8:8), i quattro generali,
essendo un quinto, Antigono stato sconfitto precedentemente ad Isso, nel 301 a.C.,
cosicché, vent’anni dopo la morte di Alessandro nel 323 a.C. il regno pervenne ai
quattro generali. Lisimaco prese Tracia e Bitinia e possibilmente tutta l’Asia Minore.
Cassandro guadagnò la Macedonia e la Grecia. Tolomeo prese Egitto e territori
contigui e Seleuco prese Siria, Babilonia e le nazioni Orientali fino all’India.
Dalla potenza Siriana, alcune generazioni più tardi, dall’insignificanza a grande
potere ed esaltazione “uscì un piccolo corno, che diventò molto grande” (8:9) 4 .
Costui fu Antiochio IV, Theos, Epifanes, Niceforus, nomi che egli si diede, il quale
regnò dal 175 al 164 a. C.. Antiochio cominciò la sua vita come ostaggio di Roma,
non riponeva la sua fede in alcun dio eccetto il dio romano della guerra, e le fortezze
furono i suoi veri templi. La sua politica riguardo ai Giudei sembrò incoerente alla
luce dei suoi modi di procedere usualmente liberali, ma sgorgò da un passionale
desiderio di portare alla consumazione il proprio concetto di stato, l’unione di popolo
e re quale unità divina ed organica, il re stesso essendo la manifestazione di questa
divinità nella propria persona, il punto focale del processo storico e divino. Non
sorprende che Gerusalemme e “il paese glorioso”, o meglio “il desiderio” com’era
chiamata Canaan (Ez. 20:6; Gr. 3:19 Da.11:16, 41) abbia catturato la sua attenzione,
nel fatto che la fede di quel paese era un’offesa radicale per ogni aspetto della sua
filosofia. I Giudei erano nel processo di diventare ellenisti nei termini dell’Ellenismo
Siriano, avrebbero potuto abbracciare un radicale sincretismo, se Antiochio non
avesse sostenuto e protetto la flagrante corruzione e l’omicidio da parte dei sacerdoti
ellenisti. Antiochio Epifane, chiamato anche scherzando col suo nome: Epimanes
cioè il Demente, cercò di spegnere ogni traccia della fede biblica (8:10-11),
ordinando l’adozione della religione greca, consacrando, nel dicembre 168 a.C. il
tempio di YHWH a Gerusalemme al Zeus dell’Olimpo, ergendo la sua statua e
sacrificando in suo onore un maiale. Queste azioni fecero precipitare la rivolta
Maccabea.

V.12 E un esercito gli fu dato insieme al continuo in trasgressione e gettò a


terra la verità, fece e prosperò. Nel dare questa traduzione, sto semplicemente
presentando ciò che il testo sembra dire…In questo modo, un esercito (cioè
molti degli Israeliti), a motivo della trasgressione (Cioè apostasia da Dio), sarà
dato (arreso in trasgressione) insieme con (allo stesso tempo de) il sacrificio
continuo.
Inoltre, il corno gettò la verità (la verità oggettiva, manifestata nell’adorazione
di Dio) a terra, e prosperò nelle sue azioni. Cfr. 1 Macc. 1:43-52, 56, 60 per
l’adempimento storico 5.

4 Young: Traduzione e comm. a 8:9.

5 E.J. Young, Comm. ad. Loc. Per l’estensione dell’apostasia Giudaica si veda Josef Kastain, History and Destiny of the
Jews; New York, Garden City Publishing Co., 1936, p. 94-102.
48
Venga il Tuo Regno
La durata di questo gettare a terra è 2300 giorni (8:14), dopo i quali il santuario
è purificato. Keil ha giustamente interpretato questo tempo, un po’ meno di sei anni, a
significare non del tutto il pieno giudizio di Dio su Israele, che cadde nella pienezza
nel 66-70 d.C. per la loro culminata apostasia. L’apostasia e la punizione sotto
Antiochio sono descritte come giungere vicino alla fine dei tempi, cioè dell’era
dell’Antico Testamento (8:17). Sarà una manifestazione dell’ “indignazione” di Dio
(8:19) per l’apostasia d’Israele. I Trasgressori di 8:23 sono i Giudei apostati e
compromessi. Antiochio è fatto sorgere da Dio per punire Israele ed è anche da Dio
fatto cadere (8:24-25), “infranto senza mano”, senza l’intervento umano.
Questa visione, con la sua ulteriore dichiarazione che Israele è messo da parte
da Dio, ebbe l’orrore aggiunto dell’apostasia d’Israele, con la sua indicazione di una
apostasia culminante verso la fine, e di conseguenza lasciò Daniele profondamente
addolorato e fisicamente malato (8:26-27).
Qual’è la relazione tra questo “piccolo corno” dell’era del Vecchio Testamento
con quello dell’era del Nuovo Testamento, come viene descritto in 7:8, 24-26? La
comparazione dell’uno o dell’altro, entrambi figure politiche, con l’Anticristo, figura
religiosa ed ecclesiastica, è, come abbiamo visto incorretta. Il “piccolo corno” del
Vecchio Testamento, Antiochio Epifane, compare come un germoglio dei tre grandi
imperi, Babilonia, Medo-Persia e Macedonia, e del loro concetto organico di regno (o
regalità), di cielo o paradiso in terra per mezzo di questo concetto di continuità che
unisce cielo e terra. Il “piccolo corno” dell’era del Nuovo Testamento viene
similmente dopo la pienezza dello sviluppo del concetto Romano di regno dell’uomo
e rappresenta la sua idea di pace mondiale per mezzo della legge e di continuità con
le potenze ultime della creazione per mezzo dell’inserimento dentro al loro potentato
per mezzo di legalità e legge. Quindi, questo primo corno è visto da Shushan, dal
picco del concetto Orientale di compimento dell’uomo, ed il secondo dalla
prospettiva di Roma, la quarta monarchia, vista come potenza emanata dal quarto
Impero. Ciascuno è un prodotto finito. Ciascuno spinge o forza la questione (il
proprio concetto di salvezza) alle sue implicazioni ultime, ed entrambi sono distrutti
da Dio e, con il secondo, la sua distruzione è fatta coincidere con l’inizio della
potenza matura e aperta del vero regno di Dio.

49
Venga il Tuo Regno
DANIELE 9
CONFUSIONE DELLE FACCE

Daniele 9 registra una preghiera e la risposta a quella preghiera. Daniele,


“Nell'anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu costituito re
sul regno dei Caldei” (9:1), era in fervente preghiera a risultato dei suoi studi di
Geremia, in particolare di Geremia 25:11 e del capitolo 29 (Cfr . vs.10 con Da. 9:2)),
ed anche di Deuteronomio come i versetti 11-15 indicano chiaramente. I settant’anni
di cattività predetti erano virtualmente terminati e pertanto la liberazione era vicina
cosicché, nei termini della restaurazione promessa, Daniele avrebbe potuto gioire.
Invece, egli confessa la sua paura ed il suo dolore per il suo popolo, riconoscendo
(vv. 1-19) che “tutto Israele” entrambi i regni di Nord e Sud, meritavano la loro
prigionia, ma, nonostante la cattività, non avevano imparato nulla. Mancando di vera
fede, per la maggior parte di loro l’avversità non aveva prodotto guarigione o
esperienza redentiva, non aveva operato alcun pentimento talché Daniele temette che
il loro solo meritato destino sarebbe stato di punizione e di ulteriore cattività. Le
indicazioni sono infatti, che il Fariseismo fu un prodotto della cattività stessa. Il
peccato di Giuda fu in modo predominante il sincretismo, un persistente tentativo di
unire fedi nella convinzione dell’esistenza di un cuore o nocciolo religioso comune in
tutte le religioni. La forma più comune di sincretismo era ed è il moralismo e, prima
della caduta di Gerusalemme una delle primitive e flagranti pratiche di sincretismo
con i culti della fertilità avevano lasciato il posto al culto del tempio e al moralismo.
Durante la cattività, il contrasto tra la moralità Ebraica e i costumi pagani era
sprofondato in un isolazionismo ed un orgoglioso moralismo, quest’ultimo
ovviamente un moralismo sincretista, ed il fariseismo ne fu il risultato. Il giudizio e la
caduta di Gerusalemme era già unico nella storia (9:2) in quanto esempio della
retribuzione di Dio ad un popolo privilegiato. Vedendo il loro ulteriore disprezzo per
Dio, Daniele era timoroso del loro immediato futuro e, come uno del residuo fedele,
pregò ferventemente per grazia (9:18). Quale vero credente e nemico del moralismo,
Daniele sapeva che la sua giustizia non era in lui o da lui stesso ma interamente per
grazia: “O Signore, a te appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della
faccia” (o delle facce) (9:7).
L’espressione “confusione delle facce” è significativa, è la confessione di un
uomo di Dio, e il principio della sua potenza. Il moralismo non è caratterizzato da
50
Venga il Tuo Regno
alcun simile riconoscimento, ma piuttosto da una sicurezza di facce, un sentirsi giusti
in se stessi che suppone che la storia sia controllata dalla moralità e da opere di
moralità. In questo modo, si presume che l’amore sia capace di rigenerare e di
controllare uomini, nazioni e la storia. Libertà, fraternità ed uguaglianza, il
moralismo della Rivoluzione Francese e dell’umanesimo, e delle politiche e rivolte
che ne susseguirono, sono ancora una volta esempi della confidenza farisaica che la
storia sia soggetta al dominio dell’uomo per mezzo delle opere di moralità Il
Comunismo e la Democrazia sono ulteriori istanze di questo stesso moralismo
nell’area politica, proprio come il Tomismo e l’Arminianesimo ne forniscono
l’esempio nelle chiese. Virtualmente tutte le chiese oggi sono monumenti al
moralismo, ma il monumento più grande è lo stato moderno. Fichte, dando lezione a
Berlino nel 1804-1805, espresse la tesi del moralismo statale: “Uno Stato che cerchi
costantemente di aumentare la sua forza interiore, è perciò forzato a desiderare la
graduale abolizione di tutti i Privilegi, e lo stabilimento di Equi (Uguali) Diritti per
tutti gli uomini, in ordine che lo Stato stesso possa entrare in possesso del suo vero
Diritto: di applicare l’intera eccedenza di potere di tutti i suoi Cittadini senza
eccezioni, per l’avanzamento dei propri scopi” 1. Fichte credeva che solo così,
l’obbiettivo grande e giusto (giustificato) dell’umanità potesse essere compiuto e il
vero ordinamento dell’uomo potesse essere introdotto. Perciò, ogni potere sia dato
allo Stato moralista.
Ma la giustizia appartiene a Dio, e a noi, confusione delle facce, poiché l’uomo
è per natura peccatore, un trasgressore dell’alleanza e, come uomo redento, cammina
solo per fede e per grazia di Dio. La storia non è nelle sue mani, né può vedere un
solo passo avanti. A lui appartiene la confusione delle facce. La responsabilità è sua,
ma la responsabilità non è il potere di eseguire i decreti eterni, ma piuttosto la
responsabilità, il dovere di rendere conto a Colui il cui decreto sovrano sta a
fondamento di tutta la creazione. Solo quando l’uomo sa di essere uomo, una creatura
sotto Dio, può entrare in questo dominio come vice-re sotto Dio. Solo quando fonda
le sue parole sulla parola di Dio, può parlare con verità e sicurezza.
Daniele, pregando nei termini di questa confidenza nelle certe misericordie di
Dio (9:9), ricevette risposta da Dio per mezzo di Gabriele (9:21-27), che egli aveva
visto precedentemente in una visione (8:16). La dichiarazione di Gabriele si riferisce
alla preghiera di Daniele per Israele, la cui fine era già stata indicata, e il cui corso
prima di quella fine viene incidentalmente trattato ora. Il riferimento primario è
Messianico. Di conseguenza, come ha sottolineato Hengstenberg: “L’annuncio è
essenzialmente di carattere incoraggiante. Questo è vero in un certo senso anche di
quella porzione di esso che tratta della distruzione della città e del tempio.… I giudizi
setaccianti di Dio sono una benedizione per la chiesa. … Daniele non aveva pregato

1 William Smith, traduttore, The Popular Works of Johann Gottlieb Fiche, vol II, Lezione XIV: “Sviluppo dello Stato
nell’Europa Moderna”; London: Trubner, 1889, p.236.
51
Venga il Tuo Regno
per i duri di collo e per gli empi, ma per coloro i quali di tutto cuore si univano a lui
nella confessione penitenziale dei loro peccati”2
Gabriele parlò di “settanta settimane” (9:24) o più accuratamente di “settanta
sette” per Israele e Gerusalemme, un’espressione ancora una volta indicativa della
pienezza di un tempo specifico. Lo scopo della rivelazione non è un calendario di
eventi, ma di avvertimenti, come pure di speranza in termini del Messia. Prima della
fine di quel periodo, sei cose saranno compiute, come ha evidenziato Young:

Negative Positive
1. Metter fine alla trasgressione 1. Introdurre giustizia eterna
2. Mettere fine al peccato 2. Sigillare visione e profeta
3. Coprire l’iniquità 3. ungere un santissimo 3

“Mettere fine alla trasgressione” o apostasia e ribellione, fu l’opera di Cristo, il


quale: “Mise fine alla trasgressione con un’azione che Egli fece, esattamente la Sua
morte espiatoria. Questo è il solo possibile significato delle parole” 4. “Mettere fine al
peccato” si riferisce nuovamente all’espiazione, togliere il peccato dalla vista. “Fare
riconciliazione per l’iniquità” significa propiziazione per il sangue espiatorio del
Messia, che è il soggetto della profezia. In questo modo, i “settanta sette” saranno
quel periodo in cui Dio prepara la via e poi compie l’opera di espiazione. “Giustizia
eterna” sarà introdotta dal Messia, la giustizia di Dio per la salvezza ed un regno
senza fine. “Visione e profeta” saranno sigillati o terminati, la rivelazione Neo
Testamentaria di Cristo riassumerà e concluderà le Scritture. L’unzione del
Santissimo cioè del Messia Gesù, si riferisce alla piena assunzione del suo potere e
posizione con la sua ascensione e la caduta di Gerusalemme a conferma della sua
parola e profezia.
I “settanta sette” sono divisi in tre periodi (9:25-27). I primi due periodi sono
chiaramente datati dal permesso di ricostruire Gerusalemme fino al “Messia il
Principe”, e i primi ‘sette sette’ coprono il tempo dall’emissione del permesso al
completamento dell’opera di Esdra e Nehemia, e il secondo, ‘sessantadue sette’ ha
riferimento al lungo periodo intertestamentario dalla ricostruzione di Gerusalemme al
Messia.
Il terzo ed ultimo periodo, un singolo sette, coprirà la vita e l’opera del Messia:

1. Il Messia sarà messo a morte.


2. il popolo di un principe (della quarta monarchia) entrerà in Israele a
distruggere città e santuario, in una guerra che sarà come un “diluvio” e la
sua fine sarà “desolazione”. Questo si riferisce alla guerra del 66-70 D.C. e
a Tito Vespasiano.

2 E.W. Hengstenberg, Christology of the Old Testament, vol III, p.86; Grand Rapids, Kregel, 1956.

3 Young: Commentario, p. 197

4 Young: Commentario, ad loc.


52
Venga il Tuo Regno
3. Il Messia confermerà o causerà il prevalere di “un patto con molti”, e
quest’azione sarà la fine del tempio col suo “sacrificio ed oblazione” sia
religiosamente sia giuridicamente, cosicché il tempio sarà anche consegnato
alla profanazione e alla distruzione. “È il tempio stesso, che è qui
menzionato come un’abominazione. Una volta che il vero sacrificio del
Calvario fosse stato offerto, il tempio non sarebbe più stato il Tempio di Dio
ma un luogo abominevole” 5 .

Con questa distruzione, il giudizio è pronunciato non solo sul moralismo della
storia istituzionalizzato nel culto del tempio, ma anche nella funzione legittima del
tempio che cercò di perpetuarsi come unico veicolo di rivelazione. L’esclusività della
rivelazione non può essere arrogata dagli strumenti storici con un’arroganza ed un
orgoglio nei quali il vaso ascrive a se stesso il potere del vasaio. Dio, sempre geloso
del suo onore, non permetterà alla storia di eternizzare 6 se stessa. La storia della
chiesa, dello stato, delle università, dell’arte e della società è stata una concupiscenza
per l’eternità che conduce alla radicale confusione delle facce della desolazione e del
giudizio, mentre solo la confusione delle facce della creaturalità ed il pentimento
conduce alla vita della “misericordia e perdono” (9:9) nei cui termini solamente,
l’uomo può rimanere in piedi ed il tempo avere significato e diventare esso stesso
terreno di gioia e di vittoria.

5 Young: The Messianic Prophecy of Daniel, p.74

6 (la storia proviene dall’eternità e vi termina, non la produce ne la diventa, N.d.T.)


53
Venga il Tuo Regno
DANIELE 10
LA STORIA COME LITURGIA

La visione finale di Daniele è datata “nel terzo anno di Ciro re di Persia” e


collocata presso il fiume Tigri (o Hiddekel) il ventiquattresimo giorno del primo
mese, dopo tre settimane di digiuno con pane azzimo (10:1-4). Il digiuno di Daniele
incluse la Pasqua e la Festa degli Azzimi, e il ricordo della grande liberazione dalla
cattività dell’Egitto gli ricordò la cattività di Babilonia e la recente liberazione. Come
il primo evento fu seguito da ingratitudine, sembrava così anche ora col secondo,
come le notizie da Gerusalemme sembravano indicare. Daniele perciò, come Mosè
prima di lui, fu in fervente preghiera per il suo popolo.
La visione ebbe lo scopo d’essere un avvertimento simile a quello Mosaico del
Deuteronomio 26-32, una dichiarazione della giustizia di Dio e del suo proposito.
Centrale in questa visione è la figura del grande sacerdote-re (10:4-8) una
descrizione echeggiata in Ezechiele 1:26-28 e Apocalisse 1:13-15, le quali sono
entrambe d’aiuto ulteriore nell’identificazione di questa figura sacerdotale e regale
con Dio il Figlio. In Apocalisse, dove la visione è stata registrata con maggiori
dettagli, vediamo Dio il Figlio nel santuario, circondato dai candelabri, che dichiara il
significato ed il corso della storia. Tutte e tre le visioni concordano su tre punti:

1. Questa è una persona regale e divina.


2. È un sacerdote.
3. La sua liturgia, o opera pubblica, è la storia.

Il significato letterale di “liturgia” nell’originale Greco è lavoro pubblico ed il


lavoro pubblico di Dio il Figlio è la storia. Essendo tutte le cose state create da Lui,
ed avendo il decreto eterno predestinato tutte le cose al loro corso pre-ordinato e
determinato, Dio il Figlio, con la sua personale apparizione ed incarnazione in quella
storia che Egli controlla, afferma e dimostra la sua signoria con la sua opera pubblica,
la sua liturgia. Il cuore di questa liturgia è sicuramente la morte espiatoria sulla croce
e la sua resurrezione, ma inseparabile da essa è la trama e l’ordito della storia, di cui
ogni filo costituisce la sua opera pubblica e la manifestazione e proclamazione del
suo ruolo sovrano quale sacerdote-re. Il sacerdote-re ora come profeta dichiara la
natura della sua liturgia .
54
Venga il Tuo Regno
La degradazione della parola liturgia ad un rito ecclesiastico non deve oscurare
il contesto teologico della parola. Per il credente, la propria liturgia è la paropria vita
quotidiana e il suo corpo è il suo strumento liturgico (Romani 12); per Cristo il Re,
tutta la creazione, e la storia in particolare, è la sua liturgia e l’area della sua aperta
dichiarazione di dominio. Perciò, la profezia, e specificamente la profezia predittiva,
è un’ inimitabile concomitanza della dottrina biblica del sacerdozio di Gesù Cristo.
Un sacerdote che sia creatore e Signore su tutte le cose, ed il cui ruolo liturgico
implica il suo entrare nella storia, non solo reclamerà apertamente il controllo sopra
ogni sfaccettatura ed ogni più piccolo dettaglio di quella storia, ma affermerà anche
il suo controllo progettando, mappando e dichiarando il percorso totale.
Una tale dichiarazione incontrerà l’opposizione di una creazione caduta e
ribelle. Le cadute potenze spirituali della creazione sfideranno quel piano e quel
controllo. La loro sfida, manifestata nel “principe” spirituale (non un re terreno) di
Persia, è citata dal grande sacerdote-re (10:9-14). In questa lotta col principe di
Persia, l’angelo Michele, “uno dei primi (principali) principi” e principe o spirito
guardiano d’Israele, venne in suo aiuto. Mentre il sovrano ed assoluto controllo della
storia ha origine nel Dio trino, la Trinità ontologica, pure, il ruolo liturgico o storico
dell’uomo è reale tanto quanto il lavoro pubblico di Cristo. Così, mentre ogni passo
dell’uomo è predestinato e gli stessi capelli del suo capo sono numerati, il suo ruolo è
reale e non meno serio e storico della morte espiatoria e resurrezione di Gesù Cristo.
Quando la storia viene arresa al diavolo la liturgia viene ceduta alla chiesa. A
motivo della totalità del piano di Dio (10:14; Atti 15:18; Ro. 9, ecc.) c’è una totalità
di liturgia: ogni aspetto della storia è un lavoro pubblico del grande sacerdote-re e
comprensibile solo nei termini di Lui, ed ogni granello di sabbia nella creazione, e la
totalità di tutte le cose, può essere compreso solo in Lui e per mezzo di Lui dal quale
tutte le cose furono create. Il vero principio di interpretazione si trova quindi
solamente nel Dio sovrano.
Inoltre, Dio il Figlio parla profeticamente da sacerdote-re a Daniele secoli
prima della sua incarnazione, come infatti fa nell’intero Vecchio Testamento e in tutta
la creazione. Il significato di questo fatto non deve essere eluso od oscurato, perché
farlo significa togliere il fondamento a qualsiasi filosofia cristiana della storia che sia
valida. Il ruolo profetico di Gesù Cristo e la sua opera pubblica, la sua liturgia, non
dipendono dalla Sua incarnazione, come vorrebbe la neo-ortodossia, ma sono il
fondamento e la condizione della Sua incarnazione. L’essere di Dio non può perciò
esaurirsi nella sua relazione con la creazione, o, nei termini della neo-ortodossia,
essere perpetuamente nascosto perché mai profeticamente manifestato ma sempre
equivoco. L’antropocentricità della storiografia neo-ortodossa riduce Dio alla
dimensione dell’uomo e di conseguenza arrende il tempo al caso e l’uomo ai demoni.
Ma, molto tempo prima dell’incarnazione, Dio il Figlio, parlò profeticamente di
quelle cose decretate dal consiglio della Trinità ontologica, ed il suo parlare fu
antecedente la sua epifania e non condizionale ad essa. In questo modo il ruolo di Dio
è creativo e determinativo, il ruolo dell’uomo è interpretativo e analogico. La realtà
del ruolo dell’uomo è la realtà della creaturalità; quelli che vedono l’unico ruolo
possibile dell’uomo come autonomo e sovrano, si ribelleranno invariabilmente contro
55
Venga il Tuo Regno
la predestinazione come “distruttiva” dell’uomo, e nei fatti lo è dell’uomo autonomo,
di colui che vorrebbe essere come Dio. Ma per l’uomo, la creatura, ricreato da Cristo
ad immagine di Dio, c’è un ruolo glorioso nella liturgia o lavoro pubblico nella storia
come vice-re di Dio, chiamato ad esercitare il dominio nel suo nome su tutta la
creazione. Secondo le “scritture [o scritti] della verità”, non c’è “nessuno” che prenda
posizione col Signore nella sua guerra per mantenere e sviluppare i suoi propositi
eccetto “Michele il vostro principe”, cioè Michele il guardiano (difensore 12:1) del
popolo scelto da Dio, e con lui quelle persone scelte. Gli scelti di Dio oggi sono i veri
credenti, il suo popolo è la vera chiesa, il cui totale combattimento è la sua gloriosa
condivisione nella liturgia della storia di Cristo.
Secondo Apocalisse 12:7: “E vi fu guerra in cielo: Michele e i suoi angeli
combatterono contro il dragone; anche il dragone e i suoi angeli combatterono”; solo
la vera chiesa combatte effettivamente, solo la vera chiesa viene alle prese con le reali
ed ultime questioni della storia, ed essa sola conosce il suo nemico, la sua forza ed il
suo obbiettivo.

56
Venga il Tuo Regno
DANIELE 11
LEGALISMO E ORGANISMO (CORPO SOCIALE)

Con la sola esclusione dei nomi degli uomini e talvolta degli imperi, l’esattezza
di Daniele 11:2-35, nella sua descrizione della storia dalla Monarchia Persiana fino
ad Antiochio Epifane è concessa da ogni studioso, ma con una differenza. Per gli
esponenti dell’alta critica, il passaggio è il fondamento cardinale per la loro tarda
datazione di Daniele, e per la loro affermazione che un Maccabeo, familiare con la
storia coinvolta, scrisse il libro come strumento per incoraggiare i Giudei perseguitati
del proprio tempo. Per lo studioso cristiano ortodosso, questo passo è un’altra istanza
di profezia predittiva e provenne dalla mano di Daniele.
Secondo Daniele, chi parla è Cristo, il quale sostenne Michele, e perciò il suo
popolo scelto, durante i giorni sopra menzionati (11:1), ed Egli, Dio il Figlio, fu
strumentale nel rovesciamento di Babilonia da parte di Medo-Persia quale mezzo di
avanzamento dei suoi propositi redentivi per il suo popolo.
Dio il Figlio parlò quindi nei termini della sua promessa (10:14) di far
conoscere i problemi del popolo scelto, cioè la vera chiesa, nel “tempo futuro”,
nell’era Messianica (11:2). Primo, la chiesa Giudaica viene preparata per la sua
prova, e la sua esperienza fatta basilare alla prospettiva del futuro. In addizione al
monarca corrente, tre re si sarebbero susseguiti sul trono di Persia, e poi un quarto
“diventerà molto più ricco di tutti gli altri; quando sarà diventato forte per le sue
ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Javan”(Grecia) (11:2b). Ciro era re a quel
tempo, i tre successori furono Cambise, Smerdis e Dario Histappe, ed il quarto Serse.
Questi tentò l’invasione della Grecia quando il potere persiano fu all’apice. La
potenza imperiale greca pervenne all’attenzione in Alessandro Magno (11:3-4) del
quale vengono predetti la potenza, la morte prematura, e la quadruplice divisione del
suo impero “ma non fra i suoi discendenti”.
Il periodo successivo (11:5-20) è la lotta tra Tolomeo e Seleuco e i loro
successori, per la Palestina. l’Egitto, “il Sud” divenne potente sotto Tolomeo Soter,
322-305 a. C., e Seleuco, fatto fuggire quando Antigono gli prese Babilonia,
guadagnò il sostegno di Tolomeo e recuperò Babilonia nel 312 A.C., annettendo un
regno che si estendeva dalla Frigia all’Indo. (11:5). Alcuni anni dopo, furono formate
delle alleanze tra questi due regni, col matrimonio della figlia di Tolomeo Filadelfo
57
Venga il Tuo Regno
Berenice ad Antiochio II, Theos, che mise da parte la propria moglie Laodicea per
sposare lei. Quando, due anni dopo, Tolomeo Filadelfo morì, Antiochio II abbandonò
Berenice e rifece regina Laodicea, la quale, piena di desiderio di vendetta,
contraccambiò assassinando prima suo marito e poi Berenice, col risultato del
fallimento dell’alleanza come profetizzato (11:6).
Il fratello di Berenice, Tolomeo Euergetes, il terzo Tolomeo in Egitto, invase
allora “il nord”, mettendo a morte Laodicea (11:7) e ritornando con molto bottino
(11:8). Due anni dopo, Seleuco Callinicus riguadagnò il potere “al nord”, marciò
contro Tolomeo, ma fu sconfitto malamente, c. 240 A.C. (11:9). I suoi figli, Seleuco
Cerunus e Centiochio il Grande, riportarono il potere nel reame e lo estesero
attraverso la Palestina fino a Gaza (11:10). Tolomeo Filopator allora attaccò i
Seleucidi, o Siriani, e li sconfisse in modo schiacciante a Rafia ma “non sarà più
forte”, mancando del carattere necessario per utilizzare la vittoria (11:11-12). Una
delle inevitabili prove della vittoria è la capacità d’usarla.
Antiochio ritornò alla guerra tredici anni dopo, dopo la morte di Tolomeo
Filopator, in lega con Filippo di Macedonia e ribelli in Egitto, ed anche “trasgressori”
in Giudea che si erano allineati con la Siria nella speranza di stabilire il loro sogno o
visione messianica col rovesciamento dell’Egitto. (11:13-14). Antiochio sconfisse
l’Egitto a Sidone (11:15), solo per cadere vittima del suo stesso orgoglio, ma non
senza una totale vittoria sui suoi nemici ed un dominio sicuro in Palestina (11:16).
Antiochio diede in moglie la propria figlia Cleopatra al giovane Tolomeo nella
speranza di controllare quel trono, ma essa appoggiò il marito contro il proprio padre
(11:17). Poi Antiochio conquistò alcune isole del Mediterraneo, con non poco
vituperio verso Roma, solo per essere sconfitto da Lucio Scipio Asiatico, con il
vituperio che gli ricadde addosso. (11:18). Ne risultò l’eclissarsi di Antiochio (11:19),
che fu seguito da Seleuco Filopator, il quale tentò, attraverso Eliodoro, il primo
ministro, di impadronirsi del tesoro del tempio in Gerusalemme, solo per fallire e
Seleuco stesso presto perì (11:20).
La sezione successiva (11:21-35) tratta chiaramente di Antiochio Epifane, che
prese un potere non suo di diritto, “uomo spregevole” che prenderà “il regno con
intrighi (chalaqlaqquah, adulazioni)” (11:21). Con l’inganno e la falsa pace,
Antiochio Epifane arginò le potenze dei suoi nemici, svuotando con i suoi mezzi le
straripanti forze aliene (11:22-24). Ne seguì la prima campagna d’Egitto, con la
vittoria per Antiochio, che si sentì allora sicuro abbastanza per cominciare i suoi piani
per abbattere la separazione religiosa e l’indipendenza della Giudea. (11:25-28).
Viene menzionata anche un’altra campagna d’Egitto (11:29), che avverrà “al tempo
stabilito” nei termini degli scopi di Dio. Viene quindi descritta la persecuzione dei
Giudei per la loro indipendenza religiosa (11:30-35); che procede da, e viene dopo il
fallimento di Antiochio di catturare l’Egitto, dovuto all’intervento di Roma (le navi
Romane vennero da Chittim o Cipro). Il tempio fu occupato, il sacrificio continuo
terminato, e il suo idolo collocato all’interno. I Giudei apostati o ellenizzati furono in
lega con Antiochio, “ma il popolo di quelli che conoscono il loro DIO mostrerà
fermezza e agirà”. Ai fedeli verrà accresciuto l’intendimento e daranno conoscenza
ad altri, ma ciò nonostante i fedeli incontreranno tragedie in quei giorni. Quando
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Venga il Tuo Regno
prendono posizione e prosperano molti ipocriti si uniranno a loro. L’intero processo,
comunque, avverrà nei termini di una purificazione e raffinamento da parte di Dio,
per far avanzare l’intendimento e la maturazione storica.
La sezione conclusiva di Daniele 11, i versetti 36-39, 40-45, sono i punti di
radicale divergenza tra i commentatori. I critici modernisti, mentre argomentano
contro qualsiasi frattura nella narrativa, nondimeno riconoscono una cesura di
qualche tipo. Così, H.T. Andrews nel Peake’s Commentary on the Bible vide una
cesura a 11:40, dove “la storia finisce ed inizia la profezia”, un’opinione sostenuta
anche da Driver. La ragione di questa opinione è l’espressione in 11:40 “E al tempo
della fine” presa a riferimento di qualche era futura. Eppure, nonostante questa frase,
il resto del passaggio continua in perfetta continuità col precedente! Inoltre, anche
quelli che avrebbero 11:36-39 riferirsi ad Antiochio Epifane trovano difficile
interpretarlo nello stesso senso di compimento di 11:2-35, dove, senza problemi, gli
eventi collimano con la storia, mentre invece in 11:36-39, il parallelo stretto diventa
forzato. Pertanto alcune cose diventano apparenti:

1. L’intera natura del capitolo richiede continuità, a 11:30 non meno di 11:36.
Benché 11:35 marchi una chiusura “questo avverrà al tempo stabilito”, 11:36
inizia con una nota di continuità, e 11:40 allo stesso modo, col suo ritornare al
“re del sud”, costringe a qualche tipo di continuità.
2. Allo stesso tempo, sia 11:36 sia 11:40 segnano nuovi sviluppi ed in questo
modo hanno un elemento di discontinuità, accresciuto dalla loro natura più
generale, notabile specialmente in 11:36-39.
3. Ci sono dei precedenti, in tutte le profezie bibliche, più brevemente e
potentemente in Matteo 24, dove specifici incidenti prima della caduta di
Gerusalemme sono seguiti da una descrizione molto generale del tempo di lì in
poi e della fine dei tempi, per predizioni specifiche seguite da altre più
generiche, per la descrizione di eventi, e poi di condizioni.
4. Antiochio Epifane non è, in 11:21-35 individualmente chiamato un “re” (né
poteva cf. vs. 21), solo una volta, collettivamente (11:27 “il cuore di questi due
re”) ma viene chiamato semplicemente “un uomo spregevole” e poi sempre
“egli”. In questo modo si evita di dargli dignità, mentre 11: 36-39 si riferisce a
“il re”.

Keil, in accordo con i più nel riferire 11:36-45 all’Anticristo, rimarcò:


“Essenzialmente il riferimento della sezione 11:36-45 all’Anticristo è corretta ma
la supposizione di un cambio di soggetto nella rappresentazione profetica non è
stabilita”. Keil così optò per un tipo profetico di continuità e di sviluppo. “Nella
contemplazione profetica c’è compresa nell’immagine di un re ciò che è stato
storicamente adempiuto ai suoi inizi da Antiochio Epifane, ma troverà il suo
completo compimento solamente per mezzo dell’Anticristo al tempo della fine” 1
Questa è un’osservazione molto percettiva, benché inaccurata nel suo riferimento

1 C.F. Keil, Commentary, ad loc.


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Venga il Tuo Regno
all’Anticristo. Come abbiamo visto, Daniele dà profezia politica, mentre
l’Anticristo è un concetto religioso. E mentre è vero che la politica ha carattere
messianico, è comunque ancora chiaramente politica, attività civile, in nessun
modo ecclesiastica. Perciò il riferimento non può essere all’Anticristo, perché
questa sarebbe una rottura radicale con l’intero contenuto della profezia di
Daniele. Calvino, come sempre un commentatore percettivo, applicò queste
sezioni all’Impero Romano. “Con la parola ‘re’ non penso sia indicata una singola
persona, ma un impero, qualunque sia il suo governo, sia con un senato, o per
mezzo di consoli, e per proconsoli”. Tale uso era già stabilito in Daniele. Inoltre, i
quattro imperi erano stati profetizzati come levarsi e cadere in relazione alla
venuta del Re messia.

Lo esplicitiamo senza perifrasare: l’angelo non profetizzò di Antiochio, o


di qualsiasi singolo monarca, ma di un nuovo impero, significando quello
Romano. Abbiamo sottomano la ragione per cui l’angelo passò direttamente da
Antiochio ai Romani. Dio desiderò sostenere lo spirito dei pii, affinché non
fossero sopraffatti dal numero e dal peso dei massacri che attendevano loro e la
chiesa intera anche fino all’avvento di Cristo. Non è sufficiente predire gli
eventi sotto la tirannia di Antiochio; poiché, dopo il suo tempo, la religione
giudaica fu sempre più danneggiata, non solo da nemici stranieri, ma dal loro
stesso sacerdozio. Nulla rimase incontaminato, poiché la loro avarizia ed
ambizione era arrivata a tale picco, che essi calpestarono tutta la gloria di Dio,
e la legge stessa. I fedeli avevano bisogno di essere fortificati contro tali
numerose tentazioni, fino a che Cristo venne, e poi Dio rinnovò la condizione
della sua Chiesa. Perciò, il tempo che interveniva tra i Maccabei e la
manifestazione di Cristo, non doveva essere omesso. Ora è abbastanza chiaro il
motivo per cui l’angelo passò subito da Antiochio ai Romani 2.

Possiamo aggiungere, a conferma di tutto ciò, che “il re” o regno di 11:36
continuerà almeno finché (e, dopo quello, la sua storia non è per il momento
d’interesse) “finché l’indignazione sia completata” (cf. 8:19), cioè l’intera ira di Dio
per l’apostasia sia sfogata su Israele. Questo chiaramente si riferisce agli eventi del
66-70 D.C., e allora sia l’apostasia manifestata sotto Antiochio Epifane avrà avuto il
culmine, sia l’ira di Dio o la Sua indignazione sarà stata pienamente rivelata. L’ira di
Dio contro Israele non può dirsi essere culminata o terminata sotto Antiochio
Epifane, e di qui, 11:36 si riferisce ad un altro “re” o regno: Roma. Inoltre, ciò che ci
viene dato qui è, per usare un’espressione di Calvino (Lezione LXIII.) “una serie
perpetua” con la quale la vera chiesa viene preparata per tutti gli aspetti di quella
quarta monarchia e la sua fede: salvezza per legge o legislazione, che marcherà la
storia durante molta dell’era cristiana quanto i secoli conclusivi dell’era del Vecchio
Testamento.

2 Giovanni Calvino: Commentaries on Daniel, Lezione LXII, Daniele 11:36


60
Venga il Tuo Regno
Secondo 11:37, questa nuova minaccia sarà segnata da tre caratteristiche:

1. L’agnosticismo o l’ateismo saranno il comune atteggiamento religioso. La


religione verrà usata piuttosto che creduta. Le società organiche erano
inevitabilmente religiose e con tendenze panteistiche; le società legaliste nate
da Roma sono inevitabilmente, nel loro sviluppo, aliene od ostili alla religione,
avendo un approccio alla vita razionalista e legalista, e nel loro splendore
dando il primato all’etica sulla metafisica. Questo tipo di agnosticismo ed
ateismo formali, mentre erano apparenti in Grecia dopo la sua caduta, fiorirono
meglio in Roma e nella società moderna, che nel suo orientamento è legalista
come Roma

2.”Il desiderio delle donne” sarà rinnegato. Il significato di ciò è che costituisce
un desiderio di trascendere o di rinunciare alla creaturalità. Alessandro Magno,
che, mentre aveva inclinazioni verso vizi vari, cercò in tutti i modi di evitare le
donne, lo fece sul fondamento della loro indicazione di umanità. Secondo
Plutarco “Egli era solito dire che il dormire e l’atto del generare specialmente
lo rendevano sensibile di essere mortale, tanto da dire che stanchezza e piacere
procedevano dalla stessa fragilità ed imbecillità della natura umana”.
L’iscrizione sul sepolcro di Ciro commosse Alessandro profondamente,
“riempiendolo con i pensieri dell’incertezza e della mutevolezza delle faccende
umane” cioè l’orrore di essere umano. L’uomo oggi è pieno dello stesso orrore,
e per mezzo della scienza cerca di sfuggire alla creaturalità, e con la politica
cerca di creare un ordinamento eterno. Questo orrore dell’umanità, sviluppato
nell’antichità, è venuto a focalizzarsi meglio ed è pervenuto al potere formale
negli stati post-Romani, nei quali l’uomo legalista spera mediante legislazione
e laboratorio di entrare nel regno degli dei. Nell’antichità l’obbiettivo era
l’apatia, essere senza passioni e quindi divino. L’obbiettivo nella vita moderna
ha svariato tra il Romanticismo ellenico, con frenesia ed entusiasmo come
possessioni divine, e un razionalismo e scientismo freddo, senza passione,
legalista, astrazione, come via dell’uomo alla divinità, con quest’ultimo infine
padrone del campo in virtù del suo controllo sulla scienza. Nella Rivoluzione
Russa, che segnò il trionfo del socialismo scientifico e del materialismo, vari
capi adottarono nomi nuovi per esprimere la loro divina apatia, per es. Stalin o
“acciaio”, Molotov “martello”.

3. “Si magnificherà al di sopra di ogni dio” L’umanesimo, lo scientismo, il


modernismo, la democrazia, questi ed altri sviluppi dell’uomo legalista
costituiscono i suoi modi di auto-affermarsi e di auto-magnificarsi. Il concetto
Romano di legge è la radice di questa affermazione e la sua premessa basilare.
È la dichiarazione di autonomia dell’uomo.

Questo dunque, era la nuova minaccia che si erse nella forma di Roma, nella sua
prima formulazione, dopo che calò la minaccia di Antiochio Epifane. Antiochio
61
Venga il Tuo Regno
aveva i suoi seguaci in Israele (11:32), e ai giorni di Cristo, fatta eccezione per un
residuo che sarà interamente separato dal vecchio Israele, tutti erano in apostasia. La
linea di divisione tra Roma e Giudea era tale solo umanamente: entrambe erano
sposate ad un concetto di salvezza radicalmente legalista. Non fu un incidente della
storia, ma la certa rivelazione della sua relazione, che l’organizzazione che meglio
perpetua la dottrina farisaica chiami se stessa Chiesa Cattolica Romana, sostenendo,
come i farisei, la salvezza per opere, opere di supererogazione (fare di più di quello
che è richiesto), i meriti dei santi (o con i Giudei, di Abrahamo), ecc.
Daniele 11:38-39 parla quindi della devozione di questo nuovo impero, al “dio
delle fortezze” e alla conquista ed espansione imperialista, ricompensando quelli che
stanno con il dio di questo programma. Disprezzare Dio significa inevitabilmente
disprezzare l’uomo. Disprezzando la loro creaturalità, i figli di Roma disprezzano
anche tutte le altre creature e ricercano l’auto-magnificazione attraverso la
distruzione umana. C’è sempre qualche Cartagine che deve essere distrutta perché
qualche Roma sia libera di imporre il proprio marchio di schiavitù. Lo stato imperiale
moderno insiste sulla neutralità verso Dio, ma il neutralismo riguardo lo stato
imperiale ed i suoi obbiettivi è intollerabile, un affronto alla maestà dello stato divino.
Gli Stati Uniti, un tempo grandi campioni internazionali di neutralismo, confrontano
oggi (1970) l’Unione Sovietica come loro grande nemico 3. Nessun stato può evitare
di fare di sé la grande pietra di paragone della verità e del carattere se si allontana
dalla primazia di Dio e della sua parola e legge. Il dio della forza diventa il solo dio
e la legge ultima, che sia espresso nei termini del concetto del potere della
maggioranza e del governo democratico, o apertamente dichiarato nell’uso della
“forza” o “armamento bellico” quali basi della legge. È una potenza immanente e
coercitiva che viene deificata; è la sopraffazione di gruppi minoritari e dei diritti e
della legge nel nome di un potere più forte al presente, la maggioranza degli
impugnatori di fucili.
In Daniele 11:40-45, abbiamo un ulteriore sviluppo della prospettiva profetica
sulla storia. Alcune cose appaiono chiaramente:

1. “Al tempo della fine,” il re del sud, l’Egitto, attaccherà la potenza del quarto
impero, ed anche il re del nord, Siria lo farà, con il nord trionfante nell’impero.
2. Egli trionferà anche sul paese glorioso (la Delizia) (la chiesa, o popolo scelto di
Dio) e lo assorbirà.
3. Quelli relativi, connessi, contigui ad Israele, Edom, Moab e Ammon, saranno
risparmiati.
4. Questa rinnovata potenza conquisterà anche l’Egitto.
5. Di là partirà per vincere e sopraffare ogni ribellione ed opposizione.
6. Il suo quartier generale sarà posto a metà strada tra il mare e il monte, cioè il
tempio.

3 Si veda Felix Morley: Freedom and Federalism, Chicago: Regnery, 1959, p. 87-115.
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Venga il Tuo Regno
Questo passaggio è chiaramente simbolico, come pure il precedente. Sostenere un
compimento letterale nei termini di Siria, Egitto ed Israele richiede anche la
ricostruzione di Edom, Moab, ed Ammon, stati e popoli morti da lungo tempo. Che
cosa dunque significa il passaggio?

1. Nell’era del vangelo, l’era cristiana, ripetutamente chiamata la “fine” o “ultimi


tempi” nel Nuovo Testamento, non solo lo stato legalista, col suo concetto di
salvezza per legge, sarà il potere dominante in lungo e in largo, ma vedrà anche
una recrudescenza dello stato organico, che si spingerà contro e penetrerà in
esso, senza distruggere o rovesciare lo stato legalista. Le forme apertamente
malvagie, l’Egitto, il paese di schiavitù e tipico di essa, non trionferà, ma avrà
successo la forma ellenica come quella della Siria.
2. Questo trionfo si farà notare specialmente nei termini della chiesa, nella quale
un concetto organico dell’uomo, lo stato e la chiesa causeranno l’inciampare di
molti mano a mano che il concetto invade e corrompe la chiesa. Al posto del
più vecchio razionalismo legalista, il concetto ellenico della grande catena
dell’essere sarà il concetto più basilare in entrambi i regni. La schiavitù della
chiesa non sarà quella ovvia di prigionia in Egitto, ma la signoria ellenica su di
essa con l’apparenza di libertà.
3. I vicini della chiesa, quelli nella chiesa ma non della chiesa, sfuggiranno,
poiché la corruzione della chiesa non reca loro alcun danno.
4. Il male ovvio, dichiarato, come quello dell’Egitto, lascerà il posto al male
sofisticato e apparentemente buono della Siria, cioè il suo desiderio per l’unità
religiosa e sociale, il suo affermare l’apoteosi dell’uomo, il suo concetto
organico dell’uomo e della società come si trova nel contesto non delle
Scritture, ma della grande catena dell’essere. Il rovesciamento dell’Egitto è il
trionfo del moralismo.
5. Il male trionfa, perciò, come bene apparente. L’auto-giustificazione e
l’adorazione dell’uomo diventano virtù e vengono promosse contro tutti i mali
anti-sociali e tutte le fedi metafisiche.
6. Questa posizione significa pure un radicale sincretismo, cosicché l’ordine del
giorno non diventa né la guerra aperta di Antiochio Epifane nel suo tentativo di
assorbire Israele dentro la Siria, né l’integrale persecuzione di Roma. Diventa
piuttosto il sincretismo. Il mare è il mondo (Ap. 17:15, ecc.), ed “il glorioso
monte santo” una figura frequente della vera chiesa. In questo modo, il male
nel suo sviluppo diventa sempre più ovviamente auto-giustificazione e
sincretismo, diventa un tentativo di avere la potenza di Dio e la forma della
divinità in radicale disprezzo al loro riguardo.

All’inizio di questa visione, fu detto chiaramente che essa era per “gli ultimi
giorni” e “per molti giorni” (10:14) 4. Così, mentre tratta del tempo da Daniele ad
Antiochio, il punto focale è chiaramente l’era cristiana. L’espressione “ultimi tempi

4 (Quei Giorni Diodati; Molti giorni K.J.)


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Venga il Tuo Regno
(posteriori)” è applicata dal Nuovo Testamento al tempo tra il primo ed il secondo
avvento (1 Tim.4:1). “Ultimi giorni” è anche frequentemente usato (Atti 2:17; 2Tim.
3:1;Eb. 1:2; 2Pt. 3:3 ecc.), anche “ultimi tempi” (1Pt. 1:20), e Giovanni ci dice due
volte in un solo verso che “è l’ultima ora” (1Gv. 2:18; cfr. Giuda 18). La monotonia
della storia di Daniele 11: 2-35 è la monotonia della ciclicità orientale. La nota di
progresso nel male viene introdotta da Roma, col suo concetto legalista di salvezza
per mezzo della legge civile, e poi dal risveglio del concetto bastardo Ellenico-
Orientale di unità organica, che invade la chiesa dal mondo civile e crea un prevalere
della propria fede sincretista. Lo stato organico non è stato privo dei suoi trionfi
nell’area politica. L’heghelianesimo lo ha sicuramente fatto avanzare nel mondo
moderno, e la sua influenza sul Marxismo è marcata, benché il motivo legalista sia
definitivamente predominante nel pensiero Marxista. Il periodo Hitleriano fu
sicuramente un revival dello stato organico, e così il Fascismo. Ma la vittoria più
netta nell’arena politica appartiene al legalismo romano. È nell’area della chiesa che
il concetto organico ha trionfato, ed il pensiero esistenzialista e quello neo-ortodosso
sono ovvie evidenze di questa vittoria. La distinzione Creatore-creatura è basilare al
concetto Cristiano del corpo di Cristo e dell’esserne membro. L’unione del credente
con Cristo non è un condividere la sua divinità, ma la sua perfetta umanità. È Cristo
come ultimo Adamo, l’uomo nuovo che è l’origine della nuova umanità, a cui il
credente è unito. La distinzione viene elusa nell’ecclesiologia eretica, e l’uomo fatto
partecipe della divinità di Cristo. Il trionfo di Antiochio Epifane e dell’
“abominazione della desolazione”, il simbolo della continuità dell’uomo col divino,
è la chiesa moderna. Lo stato sul quale regnò Antiochio Epifane fu un incontro tra il
divino e l’umano, con lui stesso il punto focale di quell’incontro, e la necessità
dell’unità organica rese imperativa la persecuzione di quei Giudei separatisti che
rifiutavano le vere premesse della società siriana. Oggi la chiesa modernista sostiene
un concetto organico di se stessa in termini ellenici-orientali, ed è una chiesa alla
ricerca di quello stato divino-umano attraverso il quale verrà l’ordinamento
redentivo. Il revival o risveglio “del nord” della società divina-umana, e l’
“abominazione della desolazione”, mentre comincia come filosofia politica, ha avuto
successo essenzialmente nel reame della chiesa ed è divenuta il fondamento
dell’ecclesiologia moderna. Può parlare il linguaggio del “corpo di Cristo” ma il suo
significato ha un intento radicalmente diverso. Il suo quartier generale è perciò
precisamente tra il mondo e la chiesa. Proprio come lo stato organico e lo stato
legalista lottarono per il popolo del Vecchio Testamento e la loro terra, col trionfo
imperiale del legalismo, così i due lotteranno per la Chiesa cristiana, col trionfo che
andrà prima al legalismo, e poi, ma non definitivamente all’organicismo (o teoria del
corpo sociale).
Bisogna prender nota di un ulteriore punto. La prima porzione di Daniele 11 e
l’ultima (v. 36ss.) entrambe hanno quale punto focale Gerusalemme. Gerusalemme è
descritta come l’obbiettivo di Siria ed Egitto, ed è l’obbiettivo anche del nuovo
regno degli ultimi giorni. Gerusalemme rappresenta qui il popolo di Dio, i santi di
Dio. All’inizio, l’ostilità non è manifestata consciamente ma, con l’aumentare della
consapevolezza epistemologica, come con Antiochio Epifane, diventa aperta e
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Venga il Tuo Regno
diretta. Il popolo di Dio rappresenta una potenza aliena, e perciò il regno dell’uomo
gli fa guerra. Ma il governo è sulle spalle di Cristo (Is. 9:6), ed Egli prevarrà, ed il
suo popolo con Lui.

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Venga il Tuo Regno
DANIELE 12
LA CERTEZZA DELLA VITTORIA

La vasta prospettiva di Daniele, profezia storica e politica con la visuale su


tutto il tempo, non opera, comunque, a detrimento della prospettiva personale. Il
dolore privato di Daniele all’accantonamento d’Israele come nazione, e la creazione
di un Israele non razziale a divenire popolo di Dio, è sempre davanti agli occhi. Viene
focalizzato in modo specialmente acuto in 12:1.
L’ultima profezia cominciò (10:14) col destino e caduta d’Israele in
prospettiva, e con l’interesse di Daniele in queste cose e la sua relazione con esse.
Ancora, con riferimento a “quel tempo” la visione continua. La citazione di Gesù di
12:1 (Matt. 24:21-22) con riferimento alla caduta di Gerusalemme (Matt. 24:21-22 è
comunque da alcuni interpretato in altro modo) è qui significativa. La caduta di
Gerusalemme e la pubblica reiezione dell’Israele fisico quale popolo scelto, significò
anche la liberazione del vero popolo di Dio, la chiesa in Cristo, gli eletti, dalla
schiavitù a Israele e Gerusalemme, che erano aspetti “della grande città, che
spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore è stato
crocifisso” (Ap. 11:8). Di conseguenza, Daniele viene identificato con gli eletti e
deve ricercare la propria identità al loro interno “In quel tempo il tuo popolo sarà
salvato, tutti quelli che saranno trovati scritti nel libro” (12:1). Questo nuovo popolo
di Dio non sarà confuso col rimanente del tempo di Daniele, è una moltitudine, infine
la schiacciante maggioranza, cosicché questa descrizione (12:2), presentando la
salvezza e indicando avanti alla resurrezione generale, può parlare degli eletti di Dio
come dei “molti” e dei reprobi come degli “alcuni”. Quelli che sono savi, o che
insegnano agli eletti durante il periodo dell’oppressione degli eletti avranno un
premio ed una responsabilità più grande nel regno eterno (12:3).
Alla profezia di Daniele fu data la posizione e la dignità delle Scritture, e fu
dichiarata essere valida attraverso il tempo come mezzo di vera conoscenza per gli
uomini. La ricerca della conoscenza, onesta ma vana nel fatto che Dio viene aggirato,
caratterizzerà la storia umana. Come Young traduce: “Molti andranno avanti e
indietro (vanamente Gb. 1:7) affinché aumenti la conoscenza” (12:4) 1.

1 Commentario, ad. loc.


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Venga il Tuo Regno
La conclusione di Daniele, 12:5-13, introduce essa stessa, come Deane e Young
hanno ambedue notato, un nuovo simbolo, “il fiume” dei versi 5, 6, e 7, una parola
che originariamente indica un riferimento al Nilo, benché il fiume attuale sia il Tigri
o Hiddekel 2 . Il doppio riferimento da evidenza della generalità del riferimento: ogni
cattività degli eletti, sia a Egitto, a Babilonia o agli stati organici o legalisti, sarà nella
sua interezza nelle mani dell’onnipotente, e sarà da Lui utilizzata per i suoi gloriosi
propositi. Dio è da ambo i lati del fiume con i suoi angeli, e controlla ogni aspetto di
ogni passo della storia (Ro. 8: 28) cosicché nessuna cattività del popolo di Dio può
terminare altro che nella gloria di Dio e nella distruzione dei loro carcerieri. Proprio
come Dio aveva miracolosamente liberato Israele dall’Egitto, e stava per usare
l’impero Babilonese alla sua gloria, così in ogni epoca l’ira e i tesori degli uomini
vengono fatti servire Lui.
L’obbiettivo in tutti questi eventi è il trionfo dei santi, che ha da rivelarsi col
collasso del “piccolo corno”, alla fine “di un tempo, dei tempi e una metà” (12: 7; cfr.
7: 25). Con quel collasso la società cristiana trionferà in ogni reame, allora per la
sofferenza “sarà la fine”, quella sofferenza che è infatti causa di “meraviglie” (o cose
difficili da capire), poiché sembrano indicare incapacità di arrecarsi aiuto da parte del
popolo di Dio, ed il fallimento di Dio nel liberare. (12: 6-7).
Questa risposta non soddisfece Daniele, che “non comprese” e di conseguenza
chiese: “Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?”. La risposta è acuta: lascia
perdere, non proseguire, poiché qui la cosa va al di la del tuo tempo e del tuo
interesse, ma sarà capita da quelli che ne hanno bisogno, che hanno sapienza, e che
sono redenti e maturi nel Signore (12: 8-10). Per quanto la sofferenza possa sembrare
dominare la prospettiva del mondo, pure è ben lontana dall’essere il quadro totale. I
quotidiani registrano incendi, assassinii e rapine, tutti in realtà lontani dal descrivere
gli eventi del giorno, costituiti nella maggior parte da adorazione, lavoro, riposo,
gioco, ma l’anormalità domina la scena. Allo stesso modo, la tribolazione degli eletti
sembra dominare la prospettiva, mentre essa è ben lontana dall’esserne
rappresentativa. La persecuzione sotto Antiochio Epifane è paragonata a 1290 giorni,
cioè, un po’ di più della metà di sette anni, o della pienezza dei tempi, cosicché di
questi giorni sinistri, che non sono senza la loro importante rivitalizzazione della
fede, si può dire rappresentino il fatto che la sofferenza della vera chiesa, con ogni
aspetto di essa, sarà un elemento della storia circoscritto e limitato. Coloro che
aspettano attraverso queste prove e ottengono le loro vittorie in Cristo troveranno la
benedizione dei 1335 giorni, 45 giorni in più del periodo precedente. La somma di
1290 e di 1335 arriva a più di sette anni e le due cifre non sono intese come
rappresentazioni proporzionate del tempo e della storia. Il primo rappresenta
persecuzione; il secondo benedizione di tipo cospicuo. Anche la storia ha le sue
epoche di stagnazione, sviluppo, brancolamento ecc., e la descrizione di questi due
periodi come “giorni” indica la loro natura limitata nei termini del tutto, ma
nondimeno, per la loro relazione a sette anni, la loro importanza nei termini del

2H. Deane, in Ellicott: Commentary on the Whole Bible, vol. V; Grand Rapids: Zondervan, p. 400, e Young:
Commentario, ad loc.
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Venga il Tuo Regno
significato del tutto. Sofferenze o prove, e il compimento hanno entrambi un ruolo
decisivo nella vita e nella storia dell’uomo. La parola culminante è di trionfo nella
storia, nei 1335 giorni (Da. 12:11-12)
La parola conclusive a Daniele è: “Ma tu va pure alla tua fine;” o, come Young
l’ha interpretata: “Continua come sei fino alla fine della vita” 3 e riposati, “ti rialzerai
per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni”, cioè, ricevere la tua eredità
eterna nel Signore (12:13).
Daniele è profezia politica, ed è profezia fiduciosa, che dichiara la vittoria certa
del regno di Dio (da non confondersi o limitarsi alla chiesa istituzionalizzata, del
quale è una manifestazione), nella storia.
Se la vittoria di Cristo deve essere solo escatologica, e solo nei termini di un
ordinamento eterno, allora Daniele è un mostruoso pezzo di irrilevanza. Il meschino
“complesso della tribolazione” di una chiesa soddisfatta e auto-compiaciuta,
circondata dalla comodità e dal lusso, è certamente un fatto sorprendente, un fatto
sicuramente indicativo di un desiderio masochista di auto-espiazione per mezzo della
sofferenza. Ma l’interezza delle Scritture proclama la certezza della vittoria di Dio nel
tempo e nell’eternità. Non ci può essere ritirata dalla vittoria senza una
corrispondente ritirata da Cristo. Il Grande Mandato, col suo comando sicuro di fare
discepoli di ogni nazione (Mt. 28:19), non fu un’iperbole o una vana espressione di
ansiosa speranza, ma la certa promessa di colui che poté dire “Ogni autorità mi è stata
data in cielo e in terra” (Mt.28:18), “Andate dunque” (Mt. 28:19). Tristemente, dal
giorno del Calvario, la chiesa si è troppo spesso occupata ad imbalsamare Cristo,
mentre i suoi nemici, un po’ più realisticamente, hanno inutilmente cercato di
guardarsi dal suo potere. È tempo di proclamare la potenza della sua resurrezione.
La resurrezione viene menzionata in Daniele 12:2 come chiave musicale
dell’era del vangelo, cioè degli ultimi giorni. Il “giorno” o tempo di resurrezione
cominciò con la resurrezione di Gesù Cristo, perciò i Cristiani vivono nell’era della
resurrezione. L’era ha le sue tribolazioni, le sue battaglie fino alla morte, ma la sua
essenza per il cristiano è vittoria a vita. A motivo della resurrezione di Gesù Cristo
non può essere altrimenti.

3 Commentario, ad. loc.


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Venga il Tuo Regno
SECONDA PARTE
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APOCALISSE

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Venga il Tuo Regno
APOCALISSE 1
L’ESODO MAGGIORE

Il concetto biblico della storia, com’è dichiarato da Apocalisse, fu dato come


risposta specifica al grido agonizzante di una chiesa sofferente, fu dato, inoltre,
mediante un uomo in sofferenza, l’Apostolo Giovanni, un prigioniero a Patos a
conseguenza della persecuzione Romana dei Cristiani. Essendo vicini agli eventi
della vita terrena di Cristo, i cristiani conoscevano la potenza stupefacente e
miracolosa della sua prima venuta, il suo trionfo sulla morte, e le opere miracolose
fatte nel suo nome per mezzo degli apostoli, e conoscevano altrettanto la certezza del
suo ritorno in pieno trionfo e vittoria. Questa conoscenza accentuava la loro presente
impotenza: perseguitati, oppressi, i miracoli terminati, “Per amor tuo siamo tutto il
giorno messi a morte; siamo stati reputati come pecore da macello” (Sl. 44:22; Ro.
8:36). Le due grandi domande nella mente e nel cuore della chiesa erano: Perché
queste cose? E, per quanto tempo Signore, per quanto ancora? Il grido da “sotto
l’altare” (6:9) da parte di quelli che erano stati redenti dall’espiazione di Cristo era
preciso: “Fino a quando aspetti, o Signore, che sei il Santo e il Verace, a fare giustizia
del nostro sangue sopra coloro che abitano sulla terra?” (6:10).Apocalisse, il cui vero
autore è identificato essere Cristo (1:1), è la risposta a questa domanda della chiesa di
ogni epoca 1 .
Apocalisse descrive il mondo come un mare turbolento, senza riposo, sempre
in movimento, non il proprio padrone ma mosso dai venti dal cielo, un area senza
fondamenta, sicurezza o stabilità. I santi sentono l’impatto del mondo e della sua
febbre, sono sbattuti dalle sue tempeste, sentono la febbre della sua irrequietezza,
della sua impotenza, della sua concupiscenza per il potere e la sicurezza, e la sua

1 Riguardo alla frase: “che devono accadere rapidamente”, 1:1 Alford osservò: “Questa espressione non deve essere
forzata a significare che gli eventi della profezia dell’Apocalisse dovessero avvenire a breve poiché abbiamo una chiave
del suo significato in Luca 18:8(vecchia Diodati), dove nostro Signore dice:”E Iddio non vendicherà egli i suoi eletti, i
quali giorno e notte gridano a lui; benché sia lento ad adirarsi per loro? Certo, io vi dico, che tosto li vendicherà”, dove
è evidentemente implicato un lungo ritardo…siamo indirizzati allo stesso senso del testo come in Luca 18, sopra, e
cioè, al rapidamente di Dio, benché egli sembri tardare”. Henry Alford, The New Testament for English Readers
(Chicago, Moody Press), 1781.
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Venga il Tuo Regno
mutabilità di contorni indefiniti. Si sentono sospinti, abbandonati all’uragano di un
mare selvaggio e senza riposo, e si interrogano riguardo al ruolo di Dio in tutto
questo.
Il saluto (1:1-6) identifica Cristo e l’Apostolo Giovanni, dichiara alla chiesa
angosciata l’eterno potere di Dio, l’energia potente e penetrante dello Spirito santo e
della sua presenza dimorante, e la signoria redentrice di Gesù Cristo, il quale
distruggerà i suoi nemici. Mentre si rivolge a sette chiese specifiche (1:4), sette, quale
simbolo di completezza, indica che queste sette chiese rappresentano la chiesa di ogni
epoca, proprio come i “sette Spiriti” significano lo Spirito santo nella totalità del suo
essere e della sua attività. Gesù Cristo è “il testimone fedele, il primogenito dai morti
e il Principe (o governatore) dei re della terra”(1:5), il profeta, il sommo sacerdote
datore di vita, e il vero re della creazione. Egli ha fatto il suo popolo “un regno e
sacerdoti a Dio suo padre” (1:6), un’ importante dichiarazione. Riguardo al Cristo,
Salmo 89:29 dichiarò: “Renderò pure la sua progenie [del figlio di Davide, il Messia]
eterna e il suo trono come i giorni dei cieli”. Questo era un trionfo che si sarebbe
rivelato nella storia, e allo stesso modo il sacerdozio e la regalità dei credenti si
riferiscono tanto alla storia quanto all’eternità. Negare il trionfo di Cristo nel tempo è
un erodere la validità della resurrezione e delle sue implicazioni per la storia; è un
ridurre il cristianesimo ad una setta trascendentale e di fare di una ritirata dalla vita
l’essenza della fede.
Questo Cristo viene continuamente nelle nubi del giudizio sulla la storia (1:7).
Identifica se stesso come Dio: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine” dice il
Signore “che era, che è e che ha da venire, l’Onnipotente”(1:8, cfr. 1:4; 4:8; 11:17).
Secondo Plutarco, (Isis e Osiris, 9) l’iscrizione nel tempio di Isis o Minerva a Sais
dice: “Io sono tutto ciò che sia mai venuto in esistenza, e ciò che è, e che sarà, e
nessun uomo ha sollevato il mio velo”.

L’iscrizione pagana identifica Dio con l’universo, facendo di Lui non un


sempre-esistente ma un sempre-in-divenire dal quale la personalità è esclusa: la
descrizione cristiana è del Dio personale, eterno, autorivelante, che era, che è e
che viene. Ci saremmo aspettati che dopo “è” e “era” ci sarebbe stato “sarà”
ma non c’è “sarà” con un Dio eterno. Con lui tutto è, talché viene usata la
parola “viene”, suggerendo la sua costante manifestazione nella storia, e la
venuta finale in giudizio 2.

Martin Rist ha richiamato l’attenzione ad altri paralleli. Pausania, in Descrizione


della Grecia (X. 12.5) menziona “un canto di colombe a Dodona: Zeus era, Zeus è, e
Zeus sarà”. Il Bundahish Persiano (1:3) dichiarò: “Ormazd e la regione, la religione e
il tempo di Ormazd furono, sono e saranno sempre” 3. La dichiarazione che concerne
Ormazd è in contrasto con quella che concerne Aharman, il quale: “È colui che non

2 W. Boyd Carpenter, Comm. su 1:8, in Ellicott, Commentary on the Whole Bible

3 Martin Rist, in Interpreter’s Bible, XII (New York: Abingdon, 1957), p.368f.
71
Venga il Tuo Regno
sarà” talché si riferisce alla continuità d’esistenza piuttosto che ad una autosufficienza
assoluta e senza cambiamenti. “Entrambi gli spiriti sono limitati a se stessi” 4 .
L’iscrizione di Isis e i suoi paralleli danno per assunto una continua (crescente)
potenzialità in Dio, ecco perché l’altare al dio sconosciuto (Atti 17:23), vale a dire al
dio non conoscibile, è l’altare più adeguato a tutte le fedi in un dio di continuità che è
per sempre continuo con l’universo e perciò nascosto per sempre perché mai capace
di una piena auto-consapevolezza. Il dio dell’iscrizione di Isis, come il dio di Karl
Barth, è un dio con un futuro, a causa delle sue potenzialità inesplorate. Il Dio delle
Scritture non ha futuro, ma solo un eterno presente perché, quale creatore totalmente
onnipotente e totalmente auto-consapevole, ogni cosa è sotto il suo controllo sovrano
e interamente inclusa nel suo decreto eterno. Perciò Egli vive in un eterno presente
mentre la vita futura è il ruolo della creatura, e dei falsi dei. L’eterno “Ora” di Dio è
basilare anche al suo decreto eterno: la totale auto-conoscenza e la totale sovranità
portano inevitabilmente al decreto sovrano: “A Dio sono note da sempre tutte le
opere sue” (Atti 15:18).
Degli dèi pagani, come dèi espressione del concetto di continuità, non ci si può
fidare. Infatti, a parte la vera fede biblica, di nessun potere divino ci si potrà mai
fidare, ma si possono solamente placare, o tacitatare, o ci si deve sottomettere
ciecamente. Essendo pieni di potenzialità, tali dei non sono mai affidabili, e mancano
spesso perfino di un carattere accertabile. Alcuni assumono il duplice ruolo del
diavolo e di dio. L’amore o la fiducia in Dio non sono possibili se non nella
predestinazione nel suo senso biblico. Nel paganesimo, la natura imprevedibile degli
dèi si rifletteva anche nell’imprevedibile carattere degli uomini, nell’incapacità di
vedere un che di assoluto come fondamentale alla divinità o alla sottostruttura della
fede e della vita umana. I poemi epici e le storie dell’antichità sono perciò racconti
che enfatizzano la situazione al di sopra del carattere, e se il carattere viene
presentato lo è contro lo sfondo di un fato truce ed ironico, che è dimentico della
natura dell’uomo, cosicché il carattere è visto come futile contro la situazione. Questo
concetto di continuità, in Cina ha condotto al relativismo radicale e completamente
umanistico del Confucianesimo, dietro il quale sta una dottrina metafisica, la
continuità, la quale capovolge tutti i criteri nei termini del valore ultimo del
cambiamento. Il Taoismo è la continuità logicamente sviluppata e formulata. Cristo,
comunque, quale Dio Vero da Dio Vero, è l’Alfa e l’Omega, il dalla A alla Zeta di
ogni verità e potere, onni-inclusivo nel suo totale controllo della storia. Se la storia è
dunque nelle mani di Cristo, il suo scopo è la vittoria, non la resa del tempo a satana
riservando l’eternità a Dio. L’affermazione perciò, di un prominente fondamentalista
Americano nel 1953, il quale attaccava ogni tentativo di riforma sociale nel nome del
pre-millennarismo: “Non si lucidano gli ottoni in una nave che sta affondando” è
paganesimo matricolato e radicalmente in contrasto con le Scritture. Apocalisse
comincia con una promessa di benedizione a tutti quelli che “ascoltano…leggono…
serbano le cose che sono scritte nel libro” (1:3), e “questa profezia” non è una

4 Vedi Palhavi Texts, translated by E.W. West, Part I, Vol. 5 of Sacred Books of the East. Part I edited by Max Muller;
(Oxford: Clarendon Press, 1880), 4s.
72
Venga il Tuo Regno
promessa di sconfitta ma una dichiarazione di sovranità, di signoria e di vittoria di
Cristo nella storia.
In 1:9-20, Giovanni descrive la sua visione di Cristo in gloria, una visione
profetica, che dipinge Cristo come Signore, che possiede “le chiavi della morte e
dell’inferno” (1:18), con le chiavi che stanno a significare il controllo totale, e
descrive Cristo nella sua gloria più splendente del sole e della luna e fonte di ogni
luce e potenza (1:16). Egli compare in abiti di potere giudiziario e regale. La cintura
non è sui lombi come fosse pronto all’azione e al lavoro (Luca 12:35), ma è portata
come uno che riposa dal lavoro nel “riposo della sovranità” (Carpenter Commentario
1:13). Cristo viene visto come presente nel mondo nella chiesa, nel mezzo dei sette
candelabri d’oro (1:12, 20), vivo e presente nella storia quanto nell’eternità. Cristo è
nascosto ora dal mondo, ma ciò nonostante è presente non solo come Re della
creazione sul suo trono, ma anche come vera chiesa ed il suo capo. Lo scopo di
questa visione è quello di dare alla chiesa conforto e assicurazione di vittoria, non di
confermare le loro paure o le minacce del nemico. Leggere Apocalisse in modo altro
che quello del trionfo del regno di Dio nel tempo e nell’eternità è un negare la vera
essenza del suo significato.
Un parallelo familiare tra Genesi e Apocalisse è istruttivo a questo punto per
sottolineare il tono radicalmente storico del libro. È Apocalisse nel senso vero del
termine: “rivelazione”, e il suo interesse è, come afferma il primo versetto, un
interesse immediato e storico. Ai santi assediati non viene detto di un alt alla storia,
né di un rapimento fuori da essa, ma della venuta del Cristo Sovrano e della sua
Nuova Gerusalemme dentro la storia. Il parallelo dunque è istruttivo:

Genesi Apocalisse
Paradiso perduto Paradiso riguadagnato
Creazione del cielo e della terra Nuovi cieli e nuova terra
L’entrata della maledizione: il peccato, Non ci sono più la maledizione, il peccato
la tristezza, la sofferenza e la morte. La tristezza, il dolore, la morte.
L’albero della vita protetto. L’albero della vita restituito
Quattro fiumi bagnano il giardino Un puro fiume d’acqua della vita
La comunione distrutta La comunione restituita
Il lavoro maledetto Il lavoro benedetto
L’uomo in disarmonia con la natura L’uomo in pace con la natura

Questo parallelismo è, naturalmente, deliberato e profetico. Proprio come il Figlio di


Dio venne e, con la sua incarnazione fece della storia luogo di vittoria, così, per la
sua continua opera, la storia vedrà le ulteriori implicazioni della sua regalità. Cristo,
in quanto il perfetto uomo, non pose fine alla storia adempiendo ogni giustizia, ma
piuttosto la aprì agli “ultimi giorni”, la grande era del regno di Dio. La sua
resurrezione non fu una resa al diavolo della storia e del mondo materiale, ma una
dichiarazione della sua signoria sulla creazione e la promessa che, on quanto primo
frutto tra quelli che dormono, c’è la sua vittoria all’interno della storia. Con la sua
73
Venga il Tuo Regno
nascita verginale, la sua perfetta obbedienza alla legge, e la sua resurrezione, Egli
divenne l’ultimo Adamo, l’origine della nuova umanità, e perciò l’adempimento del
tempo e della storia, non il mezzo di fuga da essi Il pensiero Pre-millennarista e
quello A-millennarista abbracciano implicitamente un latente dualismo.

Ancora, Apocalisse, col suo estensivo echeggiare l’Esodo, non solo nelle
piaghe sull’Egitto, il Nome di Dio, la liberazione dall’Egitto ed il rovesciamento di
nemici, nella cura miracolosa e possente nel deserto, ma anche in molti dettagli di
passaggio, invita ad un paragone con l’Esodo. Secondo Luca 9:31, Mosè ed Elia sul
monte della trasfigurazione parlarono a Gesù “del suo decesso che doveva compiere a
Gerusalemme”, la parola decesso o dipartita traduce exodous dal testo greco. La
morte di Gesù era così il vero esodo del popolo di Dio dalla schiavitù alla libertà, dal
peccato e la morte alla giustizia e alla vita in Lui. Ebrei 9:15-23 rende chiaro che “la
morte del testatore”, Gesù Cristo rese legge il testamento ed aprì l’eredità promessa e
mostrata in ombre nell’Antico Patto per il popolo del Nuovo. Perciò le benedizioni
materiali e spirituali promesse nell’Antico Patto cominciarono ad entrare in piena
applicazione per mezzo della morte di Gesù Cristo.
Esodo 3:14 è echeggiato in Apocalisse 1:4 e 8. Il nome di Dio, IO SONO
COLUI CHE SONO, è basilare alla dichiarazione: “Io sono l’Alfa e L’Omega dice il
Signore che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Di nuovo, Apocalisse 1:6
echeggia Esodo 19:6, la promessa di Dio che il suo popolo sarebbe stato “un regno di
sacerdoti, e una nazione santa”, viene ora adempiuto nella vera chiesa e ancor più
largamente nel regno di Dio. Questo ricordare l’adempimento è una promessa di cose
ancor maggiori a venire in breve. Il Sabato, comandato in Esodo quale giorno di
commemorazione della redenzione dall’Egitto e dunque quale giorno di adorazione, è
ora adempiuto in Cristo, il vero Redentore, cosicché l’adorazione ora è nel giorno
della resurrezione “il giorno del Signore” (Ap. 1:10-13,20). La sua apparizione è di
fuoco consumante, ed Egli è, come in Egitto, foriero di piaghe sui nemici di Dio e del
suo popolo. I candelabri d’oro si vedono per la prima volta in Esodo 25:37, e si fa
allusione alle piaghe in Apocalisse1:7.
C’è un ulteriore echeggiare sia di Esodo che di Matteo nelle beatitudini di
Apocalisse. La legge fu data per la prima volta in Esodo, Gesù Cristo, in qualità del
vero datore della legge, deliberatamente pronunciò l’adempimento di quella legge in
se stesso nel Sermone sul Monte, essendo la legge ora, per coloro che sono in Lui,
non una maledizione, ma la promessa e fondamento di vita, una trasformazione che
comincia con le beatitudini (Mt. 5:1-12). Per dichiarare enfaticamente questa
promessa di vita e le condizioni del suo adempimento, sette (il numero della
pienezza) beatitudini vengono pronunciate sui fedeli, mentre la maledizione della
legge (De. 28:15-68) viene scatenata contro gli empi quando le sette coppe d’ira
vengono riversate sulla terra (Ap. 16:1). Le sette beatitudini di Apocalisse sono:

1: 3 Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e
serbano le cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino.

74
Venga il Tuo Regno
14:13 Poi udii dal cielo una voce che mi diceva: “Scrivi: Beati i morti che d'ora
in avanti muoiono nel Signore; sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro
fatiche, perché le loro opere li seguono”.

16:15 “Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti
per non andare nudo e non lasciar così vedere la sua vergogna”.

19:9 Quindi mi disse: “Scrivi: Beati coloro che sono invitati alla cena delle
nozze dell’Agnello". Mi disse ancora: “Queste sono le veraci parole di Dio”.

20:6 Beato e santo è colui che ha parte alla prima risurrezione. Su di loro non
ha potestà la seconda morte, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e
regneranno con lui mille anni.

22:7 Ecco, io vengo presto; beato chi custodisce le parole della profezia di
questo libro.

22:14 Beati coloro che adempiono i suoi comandamenti per avere diritto
all'albero della vita, e per entrare per le porte nella città.

Queste beatitudini dichiarano che tutte le promesse della legge e le beatitudini e le


maledizioni della legge, sono comprese nel loro senso più pieno nei termini degli
scopi di Cristo nella storia e attraverso la storia. A questo scopo Apocalisse dà
certezza ai santi che:

1. Dio vede le loro lacrime, 7:17; 21:4.


2. Le loro preghiere sono ascoltate e usate per governare il mondo, 8:3-4.
3. La loro morte o sofferenza conduce alla gloria, 14:13; 20:4.
4. La loro vittoria finale è sicura, 15:2.
5. Il loro sangue sarà vendicato, 6:9.
6. Il loro Cristo vive e regna per sempre ed è vittorioso nel tempo e
nell’eternità, 5:7-8; 21; 22.

Come vedremo, viene inoltre dichiarato in molti versetti che:

1. Il tempo è vicino.
2. Gesù Cristo è il dominatore dei re della terra.
3. Egli è l’Alfa e l’Omega.
4. Egli tiene la chiesa e i credenti nelle sue mani.
5. Dio, il Dio Trino è sovrano.
6. Cristo è l’eterno Dio il Figlio.
7. L’essenza della chiesa è la sua fede in Cristo; essa è il vero Israele di Dio,
include i santi delle epoche del vecchio e del Nuovo Testamento.

75
Venga il Tuo Regno
8. Il mondo non è una scampagnata ma un campo di battaglia, uno comunque
di certa vittoria.
9. Nel mezzo di tutto il combattimento, la chiesa canterà “nuovi cantici” al
Signore, “un termine del Vecchio Testamento per inni di ringraziamento resi
espressamente per misericordie inaspettate” (Thomas Scott).

Tutto ciò è inevitabile, perché Gesù Cristo è, come asserisce Apocalisse 1

1. Il fedele testimone (o martire).


2. Il primogenito dai morti.
3. Il re di tutta la terra.

La terra è del Signore ed è il terreno della sua vittoria. La questione del


combattimento del regno non sarà una fuga dalla storia quanto non lo furono
l’incarnazione e l’espiazione. Dio il Figlio non è entrato nella storia per arrenderla. È
venuto a redimere i suoi eletti, affermare i suoi diritti di Re, rendere manifeste le
implicazioni della sua vittoria, e poi per ricreare tutte le cose nei termini del suo
volere sovrano.
Gesù venne, inoltre, come maggiore e vero Mosè, e in un senso duplice,
adempì quel ruolo. Primo, presentò se stesso deliberatamente come il vero datore
della legge nel Sermone sul Monte (Matteo 5-7), parlando da una montagna,
dichiarando la vera natura e la portata della legge, e affermando se stesso quale
origine della legge: “Avete udito che fu detto agli antichi…ma io vi dico”. Secondo,
Egli fu il vero e maggiore Mosè nella sua capacità come redentore, liberando il
popolo di Dio dalla schiavitù del peccato e conducendolo nella terra promessa,
l’adempiuto regno di Dio. In quanto tale, dunque, la sua espiazione segnò l’inizio
dell’Esodo maggiore.
La proclamazione di quell’esodo, e la chiamata ad esso, furono fatte
formalmente alle due miracolose moltiplicazioni dei pani. Come Giovanni ci ha
chiaramente riportato, Gesù proclamò se stesso il Mosè che diede pane dal cielo che
era di potere maggiore della manna. “Io sono il pane della vita. I vostri padri
mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane che discende dal cielo
affinché uno ne mangi e non muoia, Io sono il pane vivente che è disceso dal cielo;
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che
darò per la vita del mondo” (Giovanni 6: 48:51). Il vecchio Israele, comunque, come
Stefano dichiarò, era sempre “di collo duro e incirconciso di cuore e di orecchi” (Atti
7:51), cercando costantemente di ritornare all’Egitto, o fisicamente, come all’inizio, o
spiritualmente (Ez. 20:23). La ribellione del deserto fu pienamente compiuta ai tempi
di Cristo. I ribelli che dissero contro Mosè: “Scegliamo un capo e torniamo in
Egitto!” (Nm. 14:4), ovviamente preferivano la schiavitù alla libertà. Essi perciò non
avevano alcun amore per il datore della legge o per la sua legge, il cui preambolo
dichiarava: “Io sono l'Eterno, il tuo DIO, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto,
dalla casa di schiavitù” (Dt. 5:6). La casa di schiavitù era sicurezza per loro. La
dichiarazione di Israele, nella persona del proprio sommo sacerdote: “Noi non
76
Venga il Tuo Regno
abbiamo altro re che Cesare” (Giovanni 19:15) fu un’aperta ammissione dell’altro
capo, qualsiasi altro capo eccetto il Messia di Dio, e un ritorno alla casa di schiavitù5 .
Il vero esodo venne in Cristo, e la ribellione essenziale fu contro di Lui. Cristo, nel
ruolo di uomo rappresentativo (capo federale), ruppe i legami della schiavitù e della
legge, e compì il vero esodo (Osea 11:1: Matteo 2:14-15), talché la vera chiamata
fuori dall’Egitto, di cui Israele fu solamente tipo e ombra, venne con Gesù.
Egli appare, perciò, al centro dell’accampamento, il nuovo Israele di Dio, in
mezzo ai candelabri ovvero della chiesa. La sua somiglianza è come di fuoco
bruciante e consumante per i nemici, ma come colonna di fuoco protettiva per il
popolo di Dio. Egli è il loro vero santuario e la loro forza.
Quando Egli comincia il grande esodo nelle promesse di Dio, anch’egli
all’inizio ha a che fare con una moltitudine mescolata, con alieni nel campo, con
uomini il cui cuore brama la schiavitù, e di qui il suo Manifesto, le lettere alle sette
chiese, la sua chiamata alla vittoria. Al popolo di Dio era stata assicurata la terra
promessa sotto Mosè, ma non senza combattimento. La chiamata perciò, è alla guerra
aperta, con l’assicurazione del trionfo, e a colui che vince, una “corona della
vita” (2:10). Coloro che si trovano in mezzo al combattimento non devono mai
perdere di vista due fatti centrali riguardanti il loro statuto:

1) Tutte le promesse della legge e dei Profeti, tutte le promesse di vita come è creata
da Dio, sono rese disponibili dall’espiazione. “La morte del Testatore” (Eb 9:15-23)
rese disponibile l’eredità al popolo di Dio. La legge del patto, violata da Israele alla
sua inaugurazione, poteva essere riportata in vigore solo dalla morte del testatore,
Gesù Cristo, in quanto uomo rappresentante federale, il quale non solo pagò la pena
per l’offesa del popolo del Patto, ma rese anche perfetta obbedienza alla legge.
Proprio come quella morte era stata presentata nella tipologia del sacrificio, quale
ombra della realtà, così tutte le promesse materiali e spirituali adempiute del Vecchio
Testamento erano ombre e tipi delle promesse rese disponibili per i membri del
Nuovo Patto. Vengono quindi emessi degli avvertimenti al popolo di Dio (Ap. 2-3) di
non deviare dal patto e dalle sue promesse come fece l’Israele di una volta.

2) Questo pellegrinaggio verso la promessa è il maggiore e vero esodo del popolo di


Dio, il quale viene così chiamato ad entrare e possedere la terra. Essi non devono
indugiare, come fece il vecchio Israele, in timori ai confini e con ciò morire
condannati nel deserto. La “corona della vita” attende quelli che vincono.

5 K. Schilder, Christ on Trial, (Grand Rapids, EErdmans, 1950). pp. 221-236 tradotto da Henry Zylstra.
77
Venga il Tuo Regno
APOCALISSE 2:1-7
FALSA SANTITÀ

Apocalisse nella sua interezza è una lettera aperta e “la rivelazione di Gesù
Cristo” (1:1), il quale dichiara: “Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniarvi
queste cose nelle chiese” (22:16). Non c’è dunque da meravigliarsi che Giovanni, da
scriba (1:4) abbia parlato, come ha notato Ramsay, “Col tono dell’assoluta autorità.
Egli spinge questo tono all’estremo, molto al di la perfino di quello degli altri
apostoli, Paolo e Pietro, nello scrivere alle chiese dell’Asia” 1 . Gesù Cristo parla alla
chiesa del tempo di Giovanni e di tutti i tempi con autorità assoluta e in modo
definitivo.
Apocalisse 2 e 3 sono perciò lettere dentro una lettera, delle parentesi,
affermazioni particolari a certi tipi di chiese di tutti i tempi, mentre il resto del libro è
indirizzato apertamente a tutte le chiese. La forma dell’indirizzo è particolarmente
rivelante: “All’angelo della chiesa di Efeso, scrivi…” Il commento di Ramsay
riguardo sia all’ “angelo” sia alla “stella” sono particolarmente pertinenti:

È fondamentalmente la stessa idea di un piano più alto e uno più basso di


esistenza che viene espresso nel simbolismo dell’angelo e delle stelle in cielo,
il quale corrisponde alla chiesa e ai candelabri sulla terra. Il candelabro, che
rappresenta la chiesa, è un simbolo naturale e ovvio. La chiesa è divina: è il
regno di Dio tra gli uomini, in essa risplende la luce che illumina le tenebre del
mondo.

Perciò la stella e l’angelo, di cui la stella è il simbolo, sono gli stadi intermedi
tra Cristo e la sua chiesa col suo candelabro che risplende nel mondo. Questo
simbolismo fu preso in prestito da san Giovanni dalle forme di espressione
tradizionali nelle teorie riguardanti la natura divina e la sua relazione col
mondo.

1 W.M. Ramsay, The Letters to the Seven Churches of Asia And Their Place in the Plan of the Apocalipse New York:
Doran, 1904; p. 79s.
78
Venga il Tuo Regno
Nuovamente, osserviamo che, nel linguaggio religioso simbolico del primo
secolo, una stella denotava l’essere celeste corrispondente ed un essere divino,
o una creazione divina o un essere locato sulla terra. Così, nel linguaggio dei
poeti romani, la figura divina dell’imperatore sulla terra ha una stella in cielo
che gli corrisponde e che è la sua controparte celeste. Così l’intera famiglia
imperiale si diceva avesse la sua stella o che fosse una stella….

La stella, perciò, è ovviamente l’oggetto celeste che corrisponde al candelabro


che risplende sulla terra benché superiore ad esso in carattere e purezza,
l’equazione dunque è: il candelabro sulla terra sta alla stella in cielo, come la
chiesa sulla terra sta all’angelo. Questa è la relazione chiaramente indicata.
L’angelo è l’essere corrispondente su un altro e più alto piano d’esistenza, ma
più puro in essenza, più strettamente associato con la natura divina di quanto
possa essere la chiesa individuale sulla terra 2.

L’ovvio difetto di questo commento perspicace è il suo platonismo, mentre qui ed


altrove le Scritture sono marcatamente ostili al platonismo e alle sue idee. Il pensiero
biblico è tipologico, mai astratto come nel platonismo. Inoltre, la tipologia vede la
realtà spesso come manifesta nella storia, non in un universo astratto e trascendentale.
Così, la tipologia nelle Scritture è di tre tipi:

1. In una forma c’è una triplice divisione: ombra – immagine - corpo. Così, in
Ebrei 10:1, la legge del Vecchio Testamento “avendo solo l'ombra dei beni futuri e
non l’ immagine stessa delle cose”(V.D.), la quale, immagine, compare con Cristo, il
corpo della legge è nel Dio Trino. Similmente, in Ebrei 8:5, il sacerdozio del Vecchio
Testamento fu un ombra e il “tanto più eccellente ministerio” nel “vero tabernacolo”
“nei cieli” (Eb. 8:1-2,6) è il corpo. In questo senso la tipologia vede l’ombra nel
Vecchio testamento, l’ immagine nel Nuovo, e la sostanza o corpo in Dio.

2. Poi, c’è tipo e antitipo, dove l’antitipo è ciò che il tipo prefigura. In questo
senso il tipo dell’Antico Testamento è una figura o parabola della realtà che compare
nel Nuovo Testamento (Eb. 9:8-9)

3. L’enfasi principale, comunque, può cadere nel fatto dell’Antico Testamento.


Così Melchisedek è il modello o realtà, Cristo la copia, “secondo l’ordine di
Melchisedek” (6:20). Ad ogni modo, questa stessa immagine diventa alterata quando
leggiamo che Melchisedek fu “fatto simile al figlio di Dio” (7:3), col Figlio che
diventa il tipo, e Melchisedek l’ antitipo.

I tipi, inoltre, possono prefigurare e predire. In questo modo, mentre la realtà fa


parte del reame degli universali astratti nel platonismo, la fede biblica, mantenendo
sempre la priorità della Trinità ontologica con il decreto sovrano ed eterno, col quale

2 Ibid, p 67-69.
79
Venga il Tuo Regno
l’ordine temporale è predestinato e subordinato all’eternità, ciò nonostante fa
dell’ordine temporale un dominio della realtà per mezzo della tipologia. La realtà
viene vista come fatti passati, presenti e futuri ed è sia temporale che eterna, dove
invece per il platonismo la realtà non è mai temporale, non avendo passato, ne
presente, ne futuro, e, nella sua eternità è sia impersonale sia astratta. La grande
certezza data al credente che “tutte le cose cooperano al bene” (Ro. 8:28) è possibile
solamente nei termini del duplice fatto che c’è un decreto eterno o assoluta
predestinazione, e che “tutte le cose” hanno una realtà, nel fatto che né il tempo né
nessun era o porzione del tempo è escluso dalla presenza e manifestazione della
realtà ed è in integra relazione con la realtà. “L’angelo della chiesa di Efeso” in
questo modo non è un universale astratto o “un essere corrispondente su un piano
diverso e più alto, ma più puro in essenza, più strettamente associato con la natura
Divina di quanto la chiesa individuale sulla terra possa essere”. L’angelo è la chiesa
in ombra – immagine – corpo, è tipo e antitipo insieme, come modello e copia, è una
chiesa totalmente afferrata nella “sua mano destra” (2:1), ed ancora non totalmente in
Lui. Alla realtà (della chiesa) è attribuita la sua piena posizione in Cristo, e la realtà è
allo stesso tempo attribuita al suo stato presente di servizio e di imperfezione. È la
chiesa il cui passato, presente, futuro e stato eterno sono strettamente interconnessi,
tutti possedendo realtà e allo stesso tempo espressione di ombre e di tipi l’uno
dell’altro. Questa è la chiesa nella pienezza della sua vita e della sua realtà.
In questo modo, la vita del credente nel regno non è un annullamento del
passato ma il suo adempimento. Il regno è “i tempi della restaurazione di tutte le
cose” (Atti 3:21) e il tempo della loro rigenerazione (Mt. 19:28). Il disprezzo per la
storia quindi non è né santo né sostenibile. Il pensiero non biblico è sempre culminato
in un cinismo nei confronti della storia, vedendola nei termini del caso cieco o del
determinismo, e di ricorrenze senza significato, cercando di unire Dio e l’uomo in
una grande catena dell’essere, ha distrutto il vero fondamento del significato. Ogni
essere diventa uno, ugualmente divino e ugualmente privo di significato, l’uno e il
molteplice pure sono senza significato nel fatto che l’uomo si perde, o in un mare di
particolari, o alla deriva in un non differenziato oceano dell’essere. La dottrina
biblica della Trinità ontologica, come ha dimostrato Van Til 3, ha per fondamento la
realtà e l’unità dell’uno e del molteplice, uguali, insieme nel costituire il valore
ultimo dell’Essere; la dottrina della creazione, con la sua distinzione creatore –
creatura, ci fornisce il principio interpretativo, nel fatto che il creatore è anche la
fonte del significato, essendo tutti i fatti, fatti creati da Dio. La tipologia è un aspetto
essenziale di questa interpretazione poiché in essa viene affermata la correlazione tra
il temporale e l’eterno, ma senza confusione. Il matrimonio, per esempio possiede di
più della propria natura fisica e temporale ed è tipico della relazione di Cristo e la Sua

3 Vedi Cornelius Van Til, The difense of Faith, 1955. A Christian Theory of Knowledge, 1954, Christian Apologetics,
1953, ecc., Presbyterian end Reformed Publishing Co.
80
Venga il Tuo Regno
chiesa, proprio come la paternità umana è un’immagine dell’eterna relazione della
Trinità ontologica tra Padre e Figlio 4.
Inoltre, la redenzione implica, non il semplice ingresso dell’anima dell’uomo
dentro al regno, ma l’ingresso nella pienezza di vita, cosicché l’ordine redento è il
vero ordine, quell’ordine nei cui termini solamente la vita ha significato. Vita,
famiglia, società, legge, governo e altre sfere di attività umana non hanno esistenza
indipendente da Dio e senza di Lui non possono esistere a lungo senza collassare e
morire. Perciò la vita redenta è anche l’ingresso nell’opportunità di avere pienezza di
vita in ogni sfera, e le sfere vengono ora viste come aspetti veri del regno di Dio.
Perciò Paolo, nel riformulare il quinto comandamento, utilizza un termine nuovo per
“onorare”: “Onora tuo padre e tua madre” (Ef.6:2) dove “onorare” significa, nel
Greco, “tributare un prezzo e poi tributare onore” e si riferisce quindi al prezzo di
sangue. Questa affermazione è fatta al popolo del patto e dichiara che le stesse sfere e
strutture della vita nel regno sono date–da–Dio e parte dell’ordine redento.
L’espiazione di Cristo non solo portò la vita al popolo di Dio, ma anche le condizioni
pattizie della vita, cosicché famiglia società, scuola, stato ed ogni sfera deve essere
reclamata dal credente come propriamente il suo reame in Cristo. Vero onorare i
genitori, e qualsiasi altro aspetto del patto, è vedere il loro statuto nei termini della
parola di Dio e comprendere il loro ruolo come sfaccettatura della pienezza di vita nel
regno.
Questo rende chiaro un punto enfatizzato da Ramsay ma negletto da molti
commentatori, riguardante la relazione della chiesa con Efeso.

Egli (Giovanni), assume sempre che la chiesa è, in un senso, la città. La chiesa


locale non vive separatamente dalla località e dalla popolazione, in mezzo alla
quale ha una dimora meramente temporale. La chiesa è tutto ciò che è reale
nella città. Il resto della città ha fallito la realizzazione di se stessa, della
propria vera identità, e si è fermata nel proprio sviluppo. Similmente, la chiesa
locale a sua volta non è giunta al suo perfetto sviluppo: l’ “angelo” è la vera, la
realtà, l’idea (in senso platonico) della chiesa. Così, in quel caratteristico
simbolismo la città sta alla sua chiesa nella stessa relazione in cui la chiesa sta
al suo angelo 5.

Ancora una volta la prospettiva di Ramsay è platonismo e chiaramente errata, ma la


sua percezione della relazione della città alla chiesa è chiaramente sulla strada giusta.
Come Ramsay ed altri hanno notato, Apocalisse ci dà il conflitto frontale di due
grandi imperi invisibili, Babilonia la Grande e la Nuova Gerusalemme. Questo
conflitto si manifestò visibilmente tra Roma e la chiesa. Roma cercò costantemente di
eliminare la cristianità, o almeno di ridurla allo stato di un culto romano dedicato a

4 Vedi R. J. Rushdoony Intellectual Schizophrenia, Philadelphia, Presbyterian and Reformed Publishing Co, 1961,
pp.21-37.

5 Ibid, p. 41
81
Venga il Tuo Regno
provvedere cemento sociale. Roma non poteva rimanere Roma e tollerare la
cristianità, una rivale molto più mortale di Cartagine per la sua struttura basilare. Due
imperi molto reali erano chiaramente in conflitto. Efeso era una caposaldo centrale di
quell’impero in Asia, e la chiesa di Efeso non di minore importanza quale centro
visibile dell’impero di Cristo. Nessuna delle due era un’ombra nel senso platonico. I
due sono imperi rivali, ma Roma è dedicata all’odio di Dio che comporta morte (Pr.
8:36), mentre la chiesa è una tribù del Signore, in esodo dal mondo di quell’impero
alla terra della promessa e dell’adempimento. L’Efeso di Roma è il Canaanita che
deve essere spossessato, mentre la chiesa di Efeso è la vera Canaan di Dio. Questa
conquista avverrà “a poco a poco”: “L'Eterno, il tuo DIO, scaccerà a poco a poco
queste nazioni davanti a te; tu non riuscirai a distruggerle subito, perché altrimenti le
fiere della campagna diventerebbero troppo numerose per te” (De. 7:22);
L’ordinamento sociale richiede il procedimento lento, ma deve essere continuo. La
chiesa non può diventare fredda nel suo amore e nel suo servizio (Ap. 2:4-5). Non
sorprende, perciò, che il linguaggio delle lettere sia “tratto dall’uso militare”: “a colui
che vince” (2:7) 6 . Due imperi sono in guerra e ciascuno reclama il titolo delle stesse
città e delle stesse terre.
“Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e che cammina
in mezzo ai sette candelabri d'oro” (2:1). Le sette stelle e i sette candelabri d’oro si
riferiscono entrambi alle “sette chiese” cioè alla chiesa nella sua interezza. Il
commento di William Barclay in riferimento al verbo “tiene” è centrato:

In questa frase viene usato Kratein, non col genitivo usuale, ma col molto più
inusuale accusativo. Il significato è che Gesù Cristo tiene la totalità della
chiesa nella sua mano. Non è una chiesa qualsiasi ad appartenere
esclusivamente a Gesù Cristo, nessuna singola chiesa è la chiesa di Gesù
Cristo. Egli tiene tutte le chiese nella Sua mano, poiché tutte le chiese sono sue
e tutte gli appartengono.

Inoltre, egli cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. Ciò equivale a dire
che la presenza del Cristo risorto è in ogni chiesa. La sua presenza e la sua
potenza non sono confinate ad una singola chiesa; egli è lì nel mezzo di loro
tutte 7.

“L’attribuzione della dignità divina”, come Stauffer ha osservato, caratterizza


Apocalisse 2:1 nel suo riferirsi a Gesù 8.
“Io conosco le tue opere, e la tua fatica e la tua costanza e che non puoi
sopportare i malvagi, e hai messo alla prova coloro che si dicono apostoli e non lo
sono, e li hai trovati bugiardi” (2:2). Barclay ha richiamato l’attenzione sul primo “e”

6 Vedi Martin Rist, op. cit.. p. 382

7 William Barclay, Letters to the Seven Churches,New York: Abingdon, 1957. p. 19

8 Ethelbert Stauffer, NewTestament Theology,New York, Macmillan, 1956; 248


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Venga il Tuo Regno
di questa frase, un “e epesegetico” che “spiega ciò che viene prima”, cosicché, come
la traduce il Barclay, la clausola dice: “conosco le tue opere, con ciò voglio dire la tua
fatica e la tua costanza”. Fatica è kopos, la “fatica che rende esausti”, e costanza è
hupomone, “fermezza trionfante” 9. La pazienza della chiesa di Efeso, comunque,
non si riferisce agli eretici, che furono abilmente messi alla prova ed esclusi, si
riferisce alla loro stessa prova sotto persecuzione, mentre l’Impero Romano cercava
di distruggere questo bastione dell’Impero di Cristo (2:3). Questa persecuzione aveva
indebolito il loro amore (2:4), nel fatto che i credenti si stancarono delle afflizioni e
persero speranza. Servire Cristo era divenuto solo combattimento, e le dimensioni
importanti e necessarie della speranza e del premio (Eb. 11:6) si spegnevano e
sembravano remote. Ma fede, speranza e amore sono facce diverse di uno stesso
fatto, e l’uomo non può rimanere a lungo nella vera fede senza speranza e amore (1
Co. 13:13). La perdita della speranza e dell’amore sotto il fuoco nemico significò un
corrispondente declino della fede. Una chiesa senza una viva speranza è una chiesa
che sarà presto sradicata da Gesù Cristo (2:5), e una chiesa che rigetta la storia quale
dimensione della fede, della speranza e dell’amore è allo stesso modo sotto giudizio.
L’avvertimento a Efeso è perciò un avvertimento di grande gravità: o ti muovi nella
piena confidenza di fede, speranza e amore, confidando in me quale fondamento di
vittoria, o ti muovi nei termini di morte e rimozione. Nondimeno, un po’ del loro
“primo amore” rimane nel loro odio delle “opere dei nicolaiti, che odio
anch’io” (2:6). Questa affermazione qualifica quella precedente “Ma io ho questo
contro di te, che hai lasciato il tuo primo amore” (2:4). Non si può amare Dio senza
odiare tutto ciò che Egli odia e tutto ciò che gli si oppone. Chi non può odiare non
può neppure amare ed è incapace sia di agire sia di sperare.
“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: a chi vince io darò da
mangiare dell'albero della vita, che è in mezzo al paradiso di Dio” (2:7). Quel
paradiso che fu la condizione di vita dell’uomo prima della caduta sarà in senso
nuovo e compiuto la sua eredità in Cristo. L’albero della vita sarà di nuovo la
scaturigine della sua vita e l’essenza della sua natura redenta. L’albero della vita è
Gesù Cristo, che si proclamò “pan di vita” che dà la vita eterna (Giovanni 6:47ss), e
di essere la fonte dell’ “acqua viva”, “fonte d’acqua che zampilla in vita
eterna” (Giovanni 4:10,14). Cristo è dunque il fondamento e la condizione del
paradiso. Non ci può essere evasione dalla guerra tra imperi nella speranza di trovare
riposo e ristoro ai margini o nel campo nemico: il riposo esiste solo in Lui, e nella
vittoria, combattendo la guerra tra gli imperi, nel suo nome.
Efeso, intitolata la “Suprema Metropoli dell’Asia” e città di grande importanza
commerciale e amministrativa (sede di una corte d’assise), era anche una città di
grande importanza religiosa in quanto località del Tempio di Diana. Il fondale del suo
fiume–canale richiedeva lavoro continuo per essere liberato dal limo. Proprio come la
chiesa di Efeso era un “tipo”, così la città di Efeso possedeva un significato che la
caratterizzava (tipizzava) nella propria vita e nella propria fede.

9 Barclay, Op. Cit., p. 19s.


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Venga il Tuo Regno
Nessuna chiesa poteva esistere in tale centro senza o compromettere o
combattere: più era la vicinanza al centro e più era vicino il centro del conflitto.
Proprio per questo Paolo aveva dato a Efeso molto tempo e molti sforzi, come pure
aveva fatto Giovanni. Qui, al centro, bisogna affrontare il combattimento.
Inoltre, la vittoria era assicurata se la chiesa avesse mantenuto la propria
posizione in Cristo. La religione del mondo era ben rappresentata nei sacerdoti di
Diana, chiamati Megabyzi, eunuchi. Efeso, nelle sue monete, chiamava se stessa la
neokoros o schiavo delle pulizie del Tempio di Diana. Qui c’era un sacerdozio
dell’escapismo, una fuga dal mondo, un sacerdozio di uomini castrati che Dio
dichiara inadeguati al suo servizio. Solo l’uomo intero, che affronta tutte le
responsabilità della vita, è chiamato al servizio di Dio il Signore. Il tempio di Diana
possedeva anche il diritto d’asilo, cosicché Efeso era piena di criminali che ne
avevano fatto il proprio rifugio. Il diritto di santuario o asilo nelle Scritture è limitato
ai casi di omicidio involontario, per proteggere l’uomo dalla vendetta. Le lettere
efesine vendute al tempio erano amuleti magici da indossarsi da parte di credenti. In
ogni suo aspetto, il culto di Diana rappresentava l’escapismo, una fuga dalla realtà, e
la giustificazione del male nel nome della misericordia. Era dedicato alla morte e alle
vie della morte, e la sua santità era solo castrazione. Ogni fede che abbia un
disprezzo per la storia alla fine costringerà il proprio clero a diventare, fisicamente o
psichicamente, eunuchi come misura della loro santità. Questa eresia si è infiltrata
nella chiesa capillarmente.
Ma la chiamata alla chiesa è di cingersi per un agire continuato, di mantenere
la posizione, combattere, amare e odiare da uomini. L’uomo non può rifiutarsi di
essere uomo, non può cercare la fuga nell’eunuchismo e diventare niente di più di
un’abominazione per Dio; né può cercare di essere di più di un uomo, di innalzarsi
fino al cielo e di essere come Dio. Questi tentativi gemelli dell’uomo apostata,
eunuchismo o divinizzazione, hanno come risultato solo e sempre la morte. L’albero
della vita è solo per coloro che, da uomini, vincono in battaglia, coloro che entrano e
possiedono la terra sotto Dio. L’uomo è chiamato alla vittoria mediante il
combattimento.

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Venga il Tuo Regno
APOCALISSE 2:8-17
LA FUNZIONE DELLO STATO

Le città e le chiese di Apocalisse 2 e 3 sono egualmente tipiche nel loro


significato e devono essere comprese solamente nella loro piena portata, non come
istituzioni limitate e ristrette, e le lettere di Apocalisse devono essere comprese nella
stessa maniera.
Smirne, una città portuale, era sessanta chilometri a nord di Efeso. Una città
particolarmente bella, si gloriava di essere la “Gloria dell’Asia”. Le sue strade diritte
e larghe includevano la famosa “Strada d’Oro”. Smirne diceva d’essere la città natale
di Omero. Città libera e sede d’assise, Smirne era importante per Roma quanto Roma
era importante per Smirne. Di conseguenza era uno dei grandi centri del culto di
Cesare, il quale, ai tempi di Domiziano, divenne obbligatorio in tutto l’Impero, con
l’emissione di un certificato annuale di conferma dell’avvenuta adorazione richiesto a
tutte le persone.
In Smirne, il culto di Cesare fu adattato quale coronamento e fulcro della vita e
della religione locale. L’adattamento era l’essenza della religione statale in ogni
luogo. La divinità patrona della città di Smirne era una variante locale di Cybele, la
grande Divinità Madre dei Frigi, e tra i Romani, la Grande Madre degli Dèi, Grande
madre dell’Ida (magna Deum Mater, Mater Deum magna Idaea). Questo culto fu uno
dei grandi nemici della cristianità e per lungo tempo suo rivale. Cybele era la madre
universale degli uomini e degli dèi, ed era strettamente collegata con la natura,
l’abbandono orgiastico, e monti boscosi. I suoi sacerdoti erano eunuchi chiamati
Galloi; vestivano femminile e portavano i capelli lunghi. Attis (o Adonis) era il figlio
e amante di Cybele, il suo ciclo di morte e rinascita veniva ritualmente osservato
come inverno e primavera, la morte della fruttificazione e la rigenerazione della vita
delle piante da Madre Terra. Cybele era dunque la grande divinità Asiatica della
fertilità. I suini erano associati con lei nei primitivi culti in Grecia e Anatolia, e la
carne di maiale non era mangiata dalla gente di Pessino. Il culto entrò in Roma nel
204 a.C. ed era accreditato con l’aver aiutato Roma a sconfiggere Annibale. Fu solo
molto più tardi, sotto Claudio, che il culto, in particolare la sua adorazione dell’albero
sacro, fu ufficialmente pienamente incorporato nelle religioni riconosciute da Roma.
I sacerdoti umani di Cybele arrendevano la loro mascolinità alla divinità,
principio della fertilità della natura, per poter ricevere indietro per l’umanità la
85
Venga il Tuo Regno
fertilità della natura. Questo era, ovviamente, un’affermazione del principio di
continuità: la natura era in se stessa sterile finché impregnata dal grande lavoro e dal
sacrificio dell’uomo e resa fertile. Il Giorno del Sangue, il 24 marzo, sembra fosse
una commemorazione annuale e, forse, da parte dei novizi, l’iniziazione in questo
sacrificio. Il 25 marzo veniva celebrata la rinascita della natura, il Festival della Gioia
(Hilaria), ove prevaleva universalmente la licenziosità, tutti gli uomini liberi di fare e
agire come loro piacesse. Ci fu molto presto un tentativo di fondere questa
osservanza con la Pasqua, che era chiamata da alcuni la Domenica della Gioia 1. Il
sommo sacerdote di Cybele, sia a Pessino che a Roma era chiamato Attis 2. Il nome
Attis indicava, non solo il dio Attis (o Adonis), ma anche ad Atys, uno dei primi re
della Lidia, cosicché Attis non era solo il rappresentante dell’uomo che, con la sua
morte liberava la fertilità della natura, ma anche il rappresentante del re, cosicché il
punto focale del concatenamento tra la divinità e l’umanità avrebbe potuto ancora una
volta essere stato il re-sacerdote. L’Asia era l’area principale e più forte di questa
fede, benché Roma si sia data estensivamente a questo culto.
Questa divinità-madre aveva una strettissima affinità con lo statalismo ed era
nei fatti largamente l’espressione religiosa della fede nella politica. L’uomo,
attraverso la sua attività politica, estrae da una sterile, ma potenzialmente grande
natura, tutta la fruizione del potere statale e realizza lo sviluppo della vita ed il
benessere dell’uomo. Benché lo sforzo ed il sacrificio siano molto reali, i risultati per
l’uomo sono incalcolabili: il Giorno del Sangue conduce alla Festa della Gioia.
L’evirazione (smascolinizzazione) dell’uomo è la salvezza sociale dello stato. Inoltre,
lo stato poi tende a diventare la grande madre-divinità della cittadinanza, Attis. In
Smirne, nel 196 a.C., fu eretto un tempio a Dea Roma la dea di Roma, e fu la prima
città a farlo, gloriandosi allora e da allora di essere la città che sia serviva Roma sia
riceveva della sua generosità, orgogliosa del proprio ruolo di Attis per la Cybele di
Roma. Smirne, come città era stata morta ed era stata riportata in vita, e, sotto Roma,
“ebbe una carriera di prosperità quasi ininterrotta” 3 . Smirne era perciò politicamente
e religiosamente strettamente alleata con Roma, ed era nei fatti e nello spirito un
centro del culto dell’imperatore.
Cristo, parlando a questa chiesa e città, cominciò: “E all'angelo della chiesa in
Smirne scrivi: queste cose dice il primo e l'ultimo, che morì e tornò in vita” (2:8).
L’auto- identificazione di Cristo è un assalto diretto contro Smirne. Quale “primo e
ultimo”, cioè la totalità di ogni sovranità, decreto e divinità, ogni partecipazione alla
divinità da parte di altri uomini e dèi viene immediatamente eliminata, e negati sia la
fede in Cybele sia il culto dell’imperatore. Inoltre, la vantata resurrezione di Smirne
come città, e il mitologico risveglio della vita e della fertilità celebrato nel rituale
Cybele-Attis, furono ugualmente relegati al disprezzo e messi al bando dalla storia
dall’affermazione enfatica che era Lui “che fu morto e tornò in vita

1 J. Bingham, Works, vii. (Oxford, 1855), 317s.

2 Sir James gorge Frazer, edited by Theodore H. Gaster,The New Golden Bogh; New York: Criterion, 1959; p.315

3 Ramsay, op. cit., 383


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Venga il Tuo Regno
nuovamente” (che è la traduzione da preferirsi secondo molti); “fu morto” è pieno di
forza, significa “divenne morto” o “divenne un cadavere”. La storia qui viene
bruscamente posta contro il mito, come avviene in tutta la Scrittura.
Ma se il Signore comanda la storia, perché allora Smirne prosperava e la chiesa
impoveriva? “Io conosco le tue opere, la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia tu
sei ricco)” (2:9) Tribolazione è letteralmente pressione, e la povertà è destituzione,
cosicché la difficoltà della chiesa è apertamente riconosciuta da Cristo; ciò
nonostante sono ricchi poiché stanno in piedi con Cristo e in sicuro comando della
storia, contrariamente a Smirne in fuga dalla storia e dalla realtà. La fede nello
statalismo di Smirne rappresentava un cosmico “monismo”, una conversione di
entrambi, la natura e lo stato, in una madre munifica che toglieva o cercava di
togliere ai suoi figlioli ogni cosa spiacevole, mentre Dio Padre abbandonava i suoi
Figli in Cristo alla dura realtà della maturazione. La loro era ricchezza di vita, mentre
Smirne aveva solo morte con i fiori.
“Conosco la calunnia di coloro che si dicono Giudei e non lo sono, ma sono
una sinagoga di Satana” (2:9). In un capolavoro di fantasia, Rist caratterizza questa
affermazione come “antisemitismo” 4. Effettivamente, i Giudei di Smirne non solo
ostacolavano la chiesa, ma anche utilizzarono il culto dell’imperatore per trascinare i
cristiani al processo e alla morte. Molto tempo dopo, nel 160 d.C. i Giudei ebbero
parte attiva nel martirio di Policarpo di Smirne, portando perfino combustibili per
bruciarlo, benché fosse il loro giorno di Sabato. Questo fu un orrore particolare per i
giudei credenti, i quali, come Paolo, desideravano ardentemente la salvezza del
vecchio Israele. (Ro. 10:1) poiché i legami di sangue erano molto forti. Contro tutto
questo il Signore dichiarò la dura realtà: i “giudei” non sono più i veri giudei o Israele
di Dio, ma una sinagoga o assemblea di Satana, l’avversario di Dio. Devono essere
considerati storicamente, non sentimentalmente o idealmente. I membri di questa
sinagoga, anziché essere in alcun tipo di relazione con Dio, erano in aperta
bestemmia contro di Lui attraverso i suoi santi e perciò, veramente, “la sinagoga di
Satana”. I giudei cristiani di Smirne dovevano perciò vedere i loro parenti nella
carne, non in termini razziali ma nella prospettiva religiosa.
“Non temere ciò che dovrai soffrire ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi
in prigione per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni Sii
fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita” (Ap. 2:10). Di fronte alla vita
facile dei non credenti di Smirne, Gesù promette la certezza della sofferenza. È una
perversione ed un immorale svilimento della cristianità che alcuni predicano,
promettendo ogni tipo di felicità in cambio del pensiero positivo, o affermando che
Cristo rapirà i suoi santi togliendoli dalla tribolazione. I pii che dichiarino: “Grazie
Dio sono salvato e tutti i miei problemi sono spariti” potrebbero benissimo non essere
salvati, e certamente non sono onesti. Cristo promette tribolazioni, fatiche e prove al
suo popolo. Sono i morti a non avere problemi, o i viventi morti, come la gente di
Smirne e di Efeso, aderenti ad una fede che sostiene che la castrazione è santità, la
diminuzione della vita è vita, e l’assenza di vizi è virtù. La salvezza nella religione

4 Rist, op. cit.,383.


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Venga il Tuo Regno
Romana ed Ellenica era una salvezza automatica (deux ex machina), un rapimento
miracoloso o una liberazione dall’avversità dentro ad una situazione felice e
lussureggiante. La salvezza biblica, come sottolinea l’incarnazione, è nel contesto
della vita è non è una liberazione dai problemi e dai conflitti, ma la promessa di forza
per combattere e per vincere. La promessa da parte di Gesù che avremo tribolazione è
perciò più di una dichiarazione di onestà singolare: è una rivelazione della stessa
natura della fede biblica com’è dichiarata o dedotta per esegesi dall’incarnazione e la
resurrezione di Cristo, con la totalità della sua vita. La richiesta di una salvezza
automatica (deux ex machina) da parte di cristiani è dunque un radicale errore ed
un’offesa.
La “corona di Smirne” era una frase familiare che indicava la collina chiamata
Pagos, con i suoi grandiosi edifici pubblici, e la frase suggeriva ancora una corona
d’edera o una ghirlanda floreale, spesso indossata da adoratori di bacco e di altre
divinità in occasioni rituali 5. Contro tutta questa esibizione imponente, Cristo offre la
vera corona, “una corona di vita”, nelle tribolazioni e attraverso le tribolazioni, non
isolata da esse. “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: chi vince
non sarà certamente colpito dalla seconda morte” (2:11) La chiamata a soffrire,
perciò, non è per amore della sofferenza o in disprezzo della vita: nessuna falsa
santificazione viene profferta, e neppure l’ ascetismo. La guerra aperta tra i due regni
o imperi implica la tribolazione, e quella tribolazione e combattimento sono un passo
essenziale verso la vittoria.
La chiesa di Smirne rimaneva in una posizione di non compromesso,
nonostante fosse stremata dall’ostilità dei parenti giudaici. La chiesa di Pergamo,
comunque, nonostante alcuni marcati aspetti di forza, non era senza compromesso.
Pergamo, a nord est di Efeso, era una capitale, storicamente la più grande
dell’Asia Minore. La sua famosa biblioteca conteneva 200.000 libri, e la parola
“pergamena” proviene da he pergamene charta, la carta di Pergamo. Religiosamente
era dedicata all’adorazione dell’Imperatore, e anch’essa prese il titolo di neokoros, gli
spazzini del tempio di Cesare. Era anche devota in maniera prominente al culto di
Dionisio, il dio-toro, e ad Asclepio, il dio della guarigione, il cui simbolo era il
serpente.
Dionisio o Bacco è meglio conosciuto come la personificazione dell’estasi e
dell’ubriachezza. Secondo una delle forme del mito, Dionisio o Zagreus fu ucciso dai
Titani mentre occupava il trono di Zeus, e un rituale annuale di rivitalizzazione era
parte di quella fede. Egli era la divinità della vegetazione e appariva anche in forme
animali (toro o capro), doppiamente connesso con ciò con l’agricoltura e la fertilità.
Però, Dionisio non era meramente fertilità nello stesso senso di Cybele, ma era
l’estasi della fertilità e la relativa eccitazione.
Asclepio, conosciuto come Asclepios Soter, Asclegio il salvatore, era un dio di
guarigione e il suo emblema era il serpente, spesso il serpente intrecciato. Nel suo
tempio vagavano liberamente bisce addomesticate e si credeva che i malati, lasciati li
per la notte, fossero guariti dal tocco di queste bisce.

5 Ramsay, op. cit., 256,258


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Venga il Tuo Regno
In questo modo, il culto di Dionisio offriva salvezza attraverso l’evasione
dentro all’estasi, dentro la religione esperienziale, e il culto di Asclepio offriva un
culto di guarigione, mentre il culto dell’imperatore offriva all’uomo il suo anello
della catena dentro all’ordinamento divino per mezzo dello stato. La legge e la pace
Romana erano pietre fondamentali di quell’ordinamento divino, e i Cesari la
manifestazione visibile di quell’ordinamento e direzione. Valeriano, che pervenne al
potere nel 253, proclamò la natura di quella direzione in una moneta in cui dichiarava
di essere il “restauratore della terra” ed il suo co-imperatore e figlio Gallieno iscrisse
in un’altra moneta ubique Pax, “Pace in terra” 6. L’autorità romana aveva dunque
quale propria direzione, scopo e obbiettivo questo ordinamento divino-umano, il cui
fondamento era la legge. La funzione fondamentale della religione era attualizzata
dallo stato, e le funzioni religiose subordinate erano attualizzate dai culti. Contro
questa legge e autorità la parola o legge di Cristo il Re dichiarò la propria autorità.
“E all'angelo della chiesa in Pergamo scrivi: queste cose dice colui che ha la spada
affilata a due tagli” (Ap. 2:12). Dovunque qualsiasi stato assuma come proprio
obbiettivo “la vita buona”, e un ordinamento messianico come propria funzione
anziché quella della semplice amministrazione della giustizia, deve necessariamente
dichiarare guerra al regno di Dio e a sua volta essere oggetto degli attacchi da parte
dei cristiani, e questo è vero oggi altrettanto di quanto lo sia stato al tempo di Roma.
Non possono esserci concessioni: Cristo chiama tale stato “il trono di satana” (2:13).
Oggi, come allora, molta della chiesa abita “proprio lì dov’è il trono di satana”. Lo
stato moderno si assume, col consenso delle chiese false e compromesse, il ruolo
della salvezza e della religione, e lascia le consolazioni e i doveri periferici della
religione alle chiese.
Nel complesso, comunque, la chiesa di Pergamo era stata fedele. Si era mossa
in una sfida diretta contro l’impero: “abiti” (Katokein) implica lo stabilimento di una
dimora fissa e permanente. La chiesa stava reclamando i regni di questo mondo per
Cristo e stava testimoniando fedelmente addirittura fino alla morte, come nel caso di
Antipa (2:13). Il conflitto era inevitabile a partire dal fatto che “satana abita” Katocrei
nello stesso luogo, reclamando il regno per Cesare. Ma la spada non è nella mano di
Roma ma in quella del Signore, la cui stessa parola (2:16) detiene maggiore autorità e
potere di tutta la potenza di Roma. Se non vorranno combattere per il Signore
dovranno combattere contro di Lui. La spada che Egli porta, inoltre, è la daga romana
a due tagli, non un’arma orientale. La daga era l’emblema dell’autorità romana.
Questa autorità Cristo reclamò come propria e sfidò Roma su territorio romano. Ma,
bisogna notare che Cristo si muove per primo contro la chiesa e gli uomini negligenti.
C’erano alcuni che compromettevano in Pergamo, seguaci di Balaam e i nicolaiti.
Balaam (Nu. 24-25,31) per mezzo di Balak fece cadere Israele a nell’idolatria e nella
fornicazione, nella corruzione come mezzo per vincere la fede piuttosto che con un
assalto diretto. Questi uomini, in effetti, stavano raggiungendo lo stesso fine,
cercando di far mescolare la chiesa e il mondo, di ammorbidire l’offesa della croce, e
di far causa comune con Roma nella ricerca religiosa dell’uomo. Il loro peccato

6 Ethelbert Stauffer, Christ and the Caesars; Phiuladelphia: Westminster, 1955; p. 238-240
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Venga il Tuo Regno
primario era spirituale, e le conseguenze apparenti nel reame della moralità. Ma gli
uomini non possono dedicare Cristo al compromesso, per quanto possano dedicare
istituzioni al compromettere, e il risultato della loro compromissione non è pace ma
guerra con Cristo stesso (2:16).
Una doppia promessa (2:17) viene data a chi vince:

1. “La manna nascosta”, un sostegno soprannaturale, la provvigione e la


liberazione caratterizzeranno la loro vita quotidiana. La loro resistenza e il loro
successo sarà nascosto al mondo per quanto riguarda la sua causa ma non i suoi
effetti.

2. “Una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno
conosce, se non colui che lo riceve”. La pietruzza bianca ha una varietà di
significati nell’impero Generalmente era un cubo o un rettangolo di pietra o di
avorio. Era simbolo di vittoria, o anche di assoluzione, e ancora anche un biglietto
gratuito per cibo o divertimento. Questi ed altri significati sono tutti suggeribili in
questo contesto. Anche il nome nuovo era compreso nell’impero come riferimento
all’imperatore e al suo titolo nell’assunzione del potere. Con Antipa, che fu
chiamato da Cristo “il mio fedele martire”, Gesù Cristo gli diede nientemeno che
il proprio titolo. In Apocalisse 1:5 Gesù Cristo stesso è chiamato il fedele
“martus”, e questo è proprio il titolo che Egli diede ad Antipa 7. Così, il nome
imperiale di Cristo è dato al credente trionfante ed è un simbolo di vittoria e pegno
d’ingresso nel vero reame dell’uomo, il regno di Dio.

Sarebbe bene notare che queste lettere sono delle chiamate alla battaglia, non
solo nella loro terminologia tecnica militare, ma anche nella loro diretta dichiarazione
di odio e guerra sia verso il nemico sia verso chi compromette. Davide poteva
dichiarare: “Benedetto sia l'Eterno, la mia rocca, che ammaestra le mie mani alla
guerra e le mie dita alla battaglia”(Sl. 144:1; Cfr. Sl. 18:34). Guerra e conflitto in
qualsiasi senso sono sia un prodotto del mondo decaduto sia una sua necessità. La
capacità di combattere viene persa dove sia perso il significato, dove il male divenga
semplicemente l’altra faccia della realtà, o venga relativizzato. Come ha osservato
Robert Rendall: “Perché ripudiare il male se esso è parte della realtà ultima?” 8 .
Roma, con la propria fede, si era ritirata da quel conflitto basilare ed era capace solo
di opporsi a coloro che con suggerimenti di vita disturbavano la sua morte ordinata.
Se il male è il principio ultimo delle cose quanto la giustizia, allora la morte è il
principio ultimo quanto la vita, e possibilmente più basilare, poiché più prevalente.
Lo stoicismo avrebbe presto affermato questo regno della morte, e il suicidio sarebbe
presto divenuto quasi una virtù. La lotta basilare della chiesa, perciò, doveva essere
con se stessa. Le lettere furono scritte con in mente questo. Oggi, come allora, bene e

7 Barclay, op. cit.,p.50

8 Robert Rendall, History, prophecy and God, London Paternoster, 1954, p.47.
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Venga il Tuo Regno
male, vita e morte, tutte le cose sono infatti ugualmente di valore ultimo per l’uomo,
il quale rimane quindi sempre più snervato da ogni accenno di guerra. Contro cosa
può guerreggiare, e dov’è il suo nemico? La prospettiva moderna post-darwiniana è
sempre più incapace di fare guerra alcuna eccetto la guerra totale contro tutte le cose.
O tutto viene condonato, o tutte le cose vengono selvaggiamente disprezzate e pestate
sotto i piedi. Il risultato in entrambi i casi è la morte. La lotta basilare della chiesa è di
nuovo con se stessa, e contro il compromesso.
Quando gli uomini eguagliano il bene e il male, sperano con Adamo di aprire
una maggiore libertà all’uomo, e di rendere la vita più ricca nella sue possibilità e
nelle sue attualità. Ma la relativizzazione è una spada a due tagli, anziché diventare
più ricca con il rovesciamento della legge morale, la vita ne viene degradata allo
stesso livello della morte e niente di più. Nietzsche comprese le conseguenze della
sua vantata libertà e crollò sotto il suo peso. Dewey non potè spiegare perché, avendo
relativizzato tutte le cos