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Egidio d’Assisi e la prima fraternitas minoritica, in Frate Egidio d’Assisi.

Atti dell’incontro di studio in


occasione del 750° anniversario della morte (1262-2012), pp. 1-16

LuigiPellegrini
FRATE EGIDIO E LA PRIMA FRATERNITAS

A leggere le tre Vite di frate Egidio, composte tra gli ultimi decenni del
secolo XIII e la metà del XIV si può avere l’impressione che gli autori abbiano
inteso presentare, come è stato scritto anche da storiografi criticamente
scaltriti, «un’esemplarità proposta come lezione di vita individuale [...] un
caso classico...di un serie di soluzioni personali e individuali alla propria
vocazione» 1 . Diversa, forse, l’intenzione dei redattori, che isolando il loro
protagonista - e apparentemente diversificandolo all’interno dei primi
componenti la fraternitas nata dall’esempio e dalla proposta evangelica di
Francesco - hanno ,però, posto in evidenza modalità di vita, che
caratterizzarono il primo gruppo minoritico. Quando gli scriventi mettevano
mano alla loro opera, quel decennio iniziale era lontano nel tempo e quelle
modalità di vita erano ormai nettamente superate e accantonate. Esse, anzi,
erano state obliterate persino nella memoria, dati i ritmi monastico-
comunitari ormai ben radicati e dettagliatamente codificati all’interno della
“fraternità”, che da tempo si era trasformata in un poderoso Ordine religioso,
i cui membri vivevano all’interno di comunità stabili, riservate e organizzate
in gran parte sui moduli della tradizionale vita monastica. Anche i
protagonisti di un supposto ritorno alle origini - fossero dapprima i cosidetti
“rigoristi” e in seguito gli spirituali e i fraticelli, che facevano riferimento alla
vera o presunta autorevolezza testimoniale di frate Leone - erano
condizionati dalle forme organizzative, dai ritmi della vita e dalla stabilità
insediativa dei diversi nuclei comunitari, ivi compresi quelli che avevano
scelto il ritiro negli eremi.
Ne è indice evidente il fatto che gli autori delle Vite presentano, a
volte, il vagabondare di frate Egidio, nel primo quindicennio dalla sua

1STANISLAO DA CAMPAGNOLA, La «leggenda» di frate Egidio d’Assisi nei secoli XIII-XIV, in


Francescanesimo e società cittadina: l’esmpio di Perugia, cur. U. NICOLINI, Spoleto 1992 (Perugia 1979)
(Qiuaderni del Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di
Perugia, 21), pp. 113-143, part. 113-114, dove scrive di «caratteri di una classicità atipica e
anomala» e di «anomala leggenda agiografica».
1
aggregazione alla fraternitas, come caso singolare: quasi un fenomeno isolato
ed insolito, un privilegio personale concesso da Francesco al suo terzo
discepolo. Si pensi che, ben prima della redazione di tali testi, Tommaso da
Celano, a soli due anni dalla morte di Francesco, presenta l’esperienza dei
primi compagni come fosse organizzata sul registro di una vita comunitaria a
Rivotorto sotto la vigilante disciplina e il severo magistero di Francesco 2.

La prima fraternità : modalità di vita e d’insediamento


Il primo agiografo, e dopo di lui gli altri autori di testi sul santo
assisiate, pur continuando a sottolineare il carattere comunitario di quella
prima esperienza - non importa se a Rivotorto o alla Porziuncola - non
poterono non prendere atto della grande mobilità di quel primo gruppo di
seguaci di Francesco. L’incontro con Innocenzo III, primo, importante passo
sul percorso istituzionale della fraternitas, non ne modificò la scelta di
assoluta provvisorietà abitativa, di libera mobilità, di adeguamento alla
difficile e precaria quotidianità dei pauperes; ne divenne, anzi, la norma,
codificata di volta in volta per scritto, e riconfermata nella Regula del 1221.
Basta leggerne con attenzione il testo, la cosidetta Regula non bullata,
per rendersene conto. Le precise indicazioni ivi contenute sono totalmente
protese a regolamentare i diversi tipi di attività, svolti nel vivo dei differenti
ambienti e delle varie articolazioni della società dell’epoca. In quel complesso
di norme, riveduto e risistemato tra il 1220 e il 1221, non vi è alcun
riferimento a nuclei comunitari stabili e rigidamente organizzati. Si indicano,
anzi, esperienze di vita e di impegno lavorativo presso case private, oppure
di impiego professionale, svolto spostandosi da luogo a luogo secondo le
esigenze e le richieste di mano d’opera e portando con sé «ferramenta et
insrtrumenta suis artibus necessaria»: si noti che viene usato il termine latino

2 Vita beati Francisci (Vita I), nrr. 42-51 in Fontes franciscani, a cura di E. MENESTO e S: BRUFANI e di
G. CREMASCOLI,E,. PAOLI, Lu. PELLEGRINI, S. DA CAMPAGNOLA Assisi1995 (d’ora in poi FF), pp.
316-326.
2
ars, nella sua forma plurale artes 3 , che indicava appunto non un lavoro
qualunque, ma un “mestiere” specializzato. Altri fratelli erano impegnati nel
servizio presso ospizi e lebbrosari: lo indica chiaramente il capitolo VIII della
Regula non bullata, nel quale vi è un’esplicita e significativa concessione:
«Fratres autem in manifesta necessitate leprosorum possunt pro eis querere
helemosinam»4. I forti richiami della Regula danno decise, anzi imperiose
indicazioni, tese a ricondurre ogni forma di “servizio” alle radicali esigenze
della povertà e della minorità. La libertà di scelta di luoghi, tempi e modalità
di lavoro appare condizionata esclusivamente da tali esigenze, unica e
fondamentale caratteristica di quella religio e unica condizione per
appartenervi.
L’ingresso nella fraternità fino al settembre del 1220 era
esclusivamente regolato dal vivere secundum forma sancti evangelii 5 e
imponeva, come unica condizione a chi volesse mettersi alla sequela Christi,
entrando nella fraternità, l’espropriazione totale a favore dei poveri e la
coerenza assoluta con la minorità evangelica 6, qualunque fosse la concreta m
situazione in cui ognuno dei membri di quel gruppo religioso poteva
svolgere, e di fatto svolgeva, la propria attività 7 . Scrivendo all’inizio degli
anni Venti del secolo XIII, Giacomo da Vitry elogia l’estrema povertà dei frati
minori, che consente loro di spostarsi velocemente «volando come nubi» da
luogo a luogo. Egli, però, dopo aver sottolineato come coloro che entravano
nella loro religio, venivano vestiti con tonaca e corda e lanciati sulle vie del

3Regula non bullata, Cap. VII in FRANCESCO D’ASSISI, Scritti. Edizione critica, a cura di C. PAOLAZZI
OFM, Grottaferrata (Roma) 2009 (Spicilegium bonaventurianum XXXVI) (d’ora in poi Scritti), pp.
252-255.
4 Scritti, pp.256-257.
5È l’espressione con la quale frate Francesco nel suo Testamentum sintetizza la proposta di vita
«postquam Dominus dedit mihi de fratribus» (Scritti, pp. 396-397).
6Sono queste le due uniche condizioni che, secondo il Testamentum, caratterizzavano le scelte esistenziali
di coloro «qui veniebant ad recipiendam vitam» (ibid.); tali condizioni sono proposte imprescindibilmente nel
cap. II della Regula non bullata (Scritti, pp.244-245).
7Basti il riferimento al cap. VII della Regula non bullata, dove, a proposito delle attività svolte dai
“fratelli” «qui steterint apud alios ad serviendum vel laborandum, prescrive: et sint minores e
subditi omnibus qui in eadem domo sunt» ( ibid., pp. 252-253).
3
mondo, esprimeva le sue riserve nei confronti del rischio per i nuovi arrivati,
che egli definisce «infirmi et imperfecti», di soccombere se non fossero stati
sottoposti a un previo, e, secondo lui, opportuno periodo di prova 8 . Nel
settembre del 1220 Onorio III intervenne con la Cum secundum consilium per
imporre, appunto, e tassativamente, l’introduzione dell’annum probationis,
cioè l’anno di noviziato, l’irrevocabilità della professio, promessa definitiva di
appartenenza alla religio, e aggiunge «inhibemus etiam, ne sub habitu vitae
vestrae liceat alicui extra obedientiam evagari» , pena le censure canoniche.
Tali nuove norme furono inserite nella Regula del 1221 in applicazione del
mandatum domini pape 9.
Tale il quadro della vita e organizzazione della fraternitas offerto dalla
Regula non bullata, che ben ne rappresenta la vicenda di oltre un decennio
(1208-1221). Il primo gruppo minoritico, pur con caratteristiche analoghe alle
contemporanee fraternitates 10 , appare, a differenza di quelle, notevolmente
composito e articolato non solo nella diversità delle competenze “culturali” e
delle mansioni dei suoi membri, ma nelle modalità di vita, di lavoro e di
“abitazione”. Il quadro viene sintetizzato in quel capitolo XVII destinato ai
predicatori, ma di fatto in gran parte dedicato all’impegno “della predica
dell’esempio” da parte di tutti i fratelli, distinti, con forzatura schematica, in
predicatores, oratores, laboratores 11 . Superfluo richiamare qui la tripartizione
della società medievale - che Adalberone di Laon rese classica, nel suo Carmen

8«Hic autem perfectionis ordo et spatiosi claustri amplitudo infirmis et imperfectis congruere non
videtur, ne forte, descendentes mare in navibus et facientes operationem in aquis multis, fluctibus
procellosis involvantur, nisi sederint in civitate donec induantur virtute ex alto» (The Historia
occidentalis of JAQUES DE VITRY, A critical edition, Freiburg, 1972 (Spicilegium Friburgense 17), p.163;
Fonti francescane. Terza edizione rivista e aggiornata, Padova 2011 (d’ora in poi FFit,), nrr. 2214-2230,
pp. 1463-1478).

9Cf. Bullarium franciscanum romanorum Pontificum...,, studio et labore FR. J.H. SBARALEAE (d’ora in
poi BF), I, Romae 1759, p.6; Regula non bullata, cap. II, Scritti, 244-245.
10Tale analogia è stata fortemente sottolineata da M.D. CHENU, «Fraternitas». Evangile et condition
socio-culturelle, in Revue d’histoire de la spiritualité, 49 (1973), pp. 385-400.
11 Scritti, pp. 268-269.
4
ad Robertum regem 12 - se non per annotare la sostituzioni dei predicatores ai
bellatores.
C’è nella stessa Regula un altra suddivisione, oltre quella ovvia tra
«chierici e laici»; il capitolo XV, nel regolamentare le situazioni dei membri
della fraternitas, inserisce un’interessante distinzione: «iniungo omnibus
fratribus meis [...] euntibus per mundum vel morantibus in locis» 13 . Sono,
dunque, indicate due distinte categorie di fratelli: coloro che si muovono da
luogo a luogo, senza ulteriori specificazioni - «qui vadunt per mundum»,
appunto - e i «morantes in locis». Anche per quest’ultima situazione non
vengono date altre precisazioni: si poteva trattare di temporanei periodi di
ritiro eremitico, vissuto secondo i canoni della Regula pro eremitoriis 14, ma non
è escluso il riferimento ai fratres qui stant apud alios ad serviendum vel
laborandum, ricordati nel capitolo VII della Regula non Bullata. il verbo stare
evidenzia che tali fratelli sperimentano una certa stabilità abitativa, forse solo
periodica, in quanto le due categorie potevano essere interscambiabili. I
morantes non erano certo legati inamovibilmente a un luogo di convivenza
comunitaria e tanto meno di carattere conventuale: la costituzione di
“conventi” verrà avviata in seguito e la stessa denominazione applicata alle

12Effetivamente la tripartizione, più che indicata con i termini enunciati nel testo, è esposta,
evidenziando i ruoli di ciascun ordine: Res fidei simplex status est, sed in ordine triplex [...] Triplex ergo
Dei domus est, quae creditur una /Nunc orant, alii pugnant, aliique laborant. /Quae tria sunt simul et
scissuram non patiuntur (ADALBERONIS, Carmen ad Robertum regem, vv 275-296; cf. ADALBERO
EP.LAUDUNENSIS, Poème au roi Robert. Introduction, édition et traduction par C. CAROZZI, Paris 1979
[Les classiques de l’histoire de France au Moyen Age, 32)], p. *)
13 Regula non bullata, cap. XV, Scritti, pp. 264-265.
14 Vedi il testo in Scritti, pp. 344-345.
5
sedi minoritiche stabili continuerà ad essere quella di locus, non di conventus,
almeno fino all’avanzato secolo XIV 15.

Le esperienze vissute da frate Egidio nell’ambito della prima fraternitas


Quale coerenza tra le esperienze vissute da frate Egidio e la realtà
quotidiana dei componenti la fraternità minoritica, quale siamo andati
delineando in base alle fonti più attendibili? Per rispondere a tale domanda
non resta che affidarsi, ma con attenzione critica, agli eventi personali del
frate assisano, narrati, pur con alcune notevoli varianti, da ciascuna delle tre
Vite. Notiamo innanzitutto che tali testi sono concordi nell’indicare il XVIII
anno dalla sua conversione - l’anno stesso della morte di frate Francesco -
come il momento cronologico della svolta conclusiva nella vicenda del beato.
Quell’anno, ci dicono i tre biografi, segnò l’abbandono ultimativo di un
incessante susseguirsi di peregrinazioni, per dedicarsi definitivamente alla
vita eremitica, tutta dedita alla contemplazione.
Stando al racconto dei testi agiografici, i diciotto anni precedenti
furono da lui vissuti in un continuo andirivieni tra Assisi, Perugia e le più
lontane e disparate destinazioni: un itinerare, o meglio un peregrinare
incessante verso. molteplici mete; fa eccezione, lo si vedrà, la Vita attribuita a
frate Leone /VitaLeo). Ecco come la prima tra le biografie del beato, la Vita

15Paolino da Venezia nel suo Provinciale Ordinis Fratrum Minorum, nell’elencare, provincia per provincia, le
sedi stabili dei frati Minori usa sistematicamente il termine locum (correttamente al neutro), sia che si tratti di
nuclei di piccola entità, sia che indichi grandi sedi urbane: si noti che il testo venne redatto negli anni trenta
del secolo XIV; la fonte è stata edita da C. EUBEL, Provinciale Ordinis Fratrum Minorum vetustissimum
secundum codicem Vaticanum 1960, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1892; lo stesso fa Bartolomeo da Pisa
nel De conformitate vitae beati Francisci ad vitam domini Iesu usa sistematicamente il termine locus (testo
edito in Analecta franciscana, IV, pp. 178-336); va però notato che a partire dalle Constitutiones del 1239 si
distinguono i loci conventuales dai loci non conventuales: vedine l’edizione in Constitutiones Generales
Ordinis Fratrum Minorum, (Saeculum XIII), cura et studio C. CENCI et G. MAILLEUX O.F.M., Grottaferrata 2007
(Analecta franciscana XIII, nova series Documenta et studia I), p. 19, nr 11.
6
contenuta nel codice perugino (VitaPer ) 16 , presenta questo periodo iniziale
della vita di Egidio dopo il suo ingresso alla sequela di Francesco. Nei
primordi della fraternità egli si reca nella “Marca di Ancona” assieme allo
stesso Francesco, che predica la penitenza in quelle contrade, seguito, di volta
in volta, dal commento del compagno «Optime dicit: credatis ei» 17 . È già
stata fatta notare la corrispondenza testuale di questo racconto con l’analogo
del De inceptione, il cui anonimo autore, si dilunga in particolari, che pare non
interessino l’agiografo egidiano, il quale, comunque, riproduce alla lettera il
commento del frate alle esortazioni di Francesco 18. C’è anche corrispondenza
letterale tra le due fonti nelle indicazioni offerte per caratterizzare il
successivo soggiorno comunitario alla Porziuncola 19 . Nella VitaPer tale
soggiorno è presentato come una breve parentesi nel susseguirsi incessante
dei viaggi di Egidio, che non trova riscontro nel seguito della narrazione del
De inceptione, il cui autore, interessato a frate Egidio solo per quel tanto che la
sua vicenda s’intreccia con quella di Francesco e dei suoi primi compagni,
non dà ulteriori riferimenti al frate assisano.
Il seguito immediato dell’esposizione nella VitaPer sembra seguire il
filo del racconto di Tommaso da Celano, dal quale l’agiografo egidiano
riprende la conclusione del breve discorso esortativo di Francesco prima di
«inviare per il mondo» i primi fratelli. Il tono e contenuto dell’esortazione
collima con il De inceptione, ma si conclude, come nella Vita beati Francisci, con
la citazione dal salmo 54, cui nell’opera del Celanese segue l’indicazione,
raccolta e sviluppata nella VitaPer, di un pellegrinaggio di Egidio e Bernardo

16 Il testo contenuto nel codice perugino (edito in Acta santorum, aprilis III, pp. 222-228) è comunemente
ritenuto successivo a quello tradizionalmente attribuito a frate Leone e perciò viene indicato come Vita II;
sono assolutamente convincenti le conclusioni di Stefano Brufani, che, invertendo l’ordine cronologico
tradizionale dei testi, considera quella contenuta nel codice perugino la prima biografia di Egidio, dalla quale
hanno attinto le altre due - quello attribuito a Leone (VitaLeo) e quello contenuto nella Chronica XXIV
generalium, edito in Analecta franciscana, III, pp. 74-115 , con aggiustamenti riorganizzativi del materiale,
che comportarono più di una modifica (S. BRUFANI, Frate Egidio d’Assisi tra storia e agiografia, in
Franciscana XIII (2011), pp. 1-96, part. 29-34. Nel testo utilizzeremo le sigle suggerite dal Brufani:
rispettivamente VitaPer, VitaLeo, VitaChr.
17 AA. SS. aprilis III,Antverpiae 1675, (Bruxelles 1968 riprod. anastatica) p.221a, nr 3.
18Cf. De inceptione, § 12; FF, pp. 1320-1321 Per l’intertestualità fra le due fonti vedi BRUFANI, Frate Egidio,
pp. 34-35.
19 Confronta i due testi in AA.SS., p. 221a, nr 3 e De inceptione 25, FF, p.1330.
7
verso s. Giacomo di Compostella. Si noti che nel De inceptione non v’è alcun
riferimento a tale pellegrinaggio; l’autore si sofferma invece a lungo sulle
disavventure dei primi compagni di Francesco durante le loro sortite nelle
regioni circonvicine 20 ; in tale contesto, ovviamente, non era inseribile un
viaggio fino in Galizia.
Il semplice accenno in proposito nel testo di frate Tommaso si
trasforma nella VitaPer in una lunga esposizione, ricca di particolari,
frammisti a considerazioni, a volte piuttosto generiche, in parallelo, per lo
più, a quanto scritto nel De inceptione a proposito delle disavventure dei primi
fratres 21 . L’agiografo indica un sosta presso Ficarolo, castrum Lombardie sul
percorso di ritorno, un’occasione per presentare il protagonista, che, secondo
quanto prescritto nei due testi delle regole minoritiche, va richiedendo
l’elemosina di porta in porta, come mezzo di sostentamento; ma viene
inserito un episodio singolare, rispetto a quanto narrato nelle altre “fonti
francescane”: il rifiuto della proposta del gioco d’azzardo con i dadi.
Difficile, a questo punto, e comunque di scarsa rilevanza, mettere
ordine nell’itinerare del frate: i tre testi agiografici discordano nella
successione e nelle tappe. Va, invece, rilevato che essi concordano nel
presentare Egidio nel ruolo di pellegrino: un ruolo consueto all’epoca e svolto
sistematicamente da “professionisti” di tali intraprese 22 e valutato
idealmente da Francesco stesso. L’Assisiate si poneva senz’altro sulla
tradizionale linea del peregrinari pro Christo, ma la innovava radicalmente
nella pratica quotidiana della prima fraternitas, applicandola non solo ai fratres
qui vadunt per mundum, ma anche ai morantibus in locis, ricordati, lo si è visto,
nel capitolo XV della Regula non bullata. Persino quando ormai i luoghi stabili

20Per indicazioni più specifiche sull’intertestualità delle due fonti in questa parte del racconto rimando a
BRUFANI, Frate Egidio, pp. 34-36.
21 Confronta AA.SS. aprilis III, p. 121ab con FF., p. 1325.
22Sono, appunto, i “pellegrini di professione”, ricordati e documentati nel bel lalvoro di G. CAGNIN, «Io vado a
roma; aretornerò s’el plaserà a Cristo». Pellegrini e vie del pellegrinaggio a Treviso nel Medioevo, in I
percorsi della fede e l’esperienza della carità nel veneto medievale, a cura di A. RIGON, Padova 2002
(Carrubio 1), pp.173-212, specificamente 189-212; dello stesso vedi Pellegrini e vie del pellegrinaggio a
Treviso nel Medioevo : secoli 12.-15,, Sommacampagna 2000, (Studi e fonti di storia locale 5).

8
e riservati per i frati erano divenuti una realtà, nel suo Testamentum Francesco
raccomandava «semper ibi hospitantes sicut advene et peregrini», pronti a
trasferirsi «in aliam terram ad faciendam penitentiam cum benedictione Dei»
23. Il continuo “vagabondare” di Egidio si colloca perfettamente in tale
contesto e non costituisce affatto un’eccezione. Poco importano, allora, il
diverso ordine cronologico, la varietà delle mete e persino la dissimile
collocazione dell’uno o dell’altro episodio nelle Vite. Scervellarsi per risolvere
tali aporie è fatica inutile: prendiamo atto che la VitaLeo e la VitaChr
inseriscono un pellegrinaggio al santuario di S. Michele in Capitanata e un
altro a S. Nicola di Bari - prima o dopo il viaggio in Terra santa nel diverso
ordine narrativo delle due fonti, ha, nella sostanza, scarso significato - e che
in tale trama narrativa ambedue i testi pongono il “miracolo” del «mezzo
pane» a rifocillare l’estenuazione del frate, mentre la VitaPer introduce
l’episodio prodigioso nel bel mezzo del pellegrinaggio compostellano 24 .

Annotiamo, invece, quel vadens per mundum, utilizzato dalle tre Vitae, che
riecheggia, appunto, i «fratres qui vadunt per mundum», ricordati, lo si è
visto, nel capitolo XV della Regula non bullata, come condizione normale, per
non dire ordinaria, dei componenti la prima fraternitas e riproposto nella
Regula bullata.
Secondo quanto narra la VitaPer, Egidio dopo un’altra sosta presso la
Porziuncola assieme agli altri fratelli, viene inviato da Francesco a Roma «per
dimorarvi»: si noti l’uso del termine moraturus, che indica chiaramente un
soggiorno prolungato. Il racconto di tale “dimora” è per l’agiografo
un’ulteriore occasione per evidenziare l’impegno di Egidio nei più
occasionali e disparati lavori manuali, caratterizzati da vilitas e honestas: è ciò
che la Regula non bullata mostra consueto, anzi prescrive, per gli appartenenti
alla fraternitas in quegli anni iniziali 25 . Anche la VitaChr dedica notevole

23 Scritti, pp. 398-401.

24Confronta AA.SS. aprilis, III, p. 221b con Scripta Leonis et Angeli sociorum s. Francisci, edited and
translated by R. BROOKE, Oxford 1970 (reprinted 1990), p. 324, nr 4 e con Analecta franciscana III, pp.
77-78.
25Cf. AA.SS. aprilis, III, p. 221b-222a, nrr 5-6; vedi quanto scritto nel già citato capitolo VII della Regula non
bullata.
9
spazio al soggiorno romano, ma lo inserisce, come un’ampia parentesi,
all’interno del racconto sulla dimora protrattasi per vari anni nella località
Favarone nel suburbio di Perugia 26 Nelle due Vitae lo sviluppo espositivo di
del non breve periodo romano evidenzia non solo i molteplici tipi di lavoro,
ma anche la diversità dei luoghi di temporaneo soggiorno, non specificati
dall’agiografo, se non in riferimento al monastero dei SS. Quattro Coronati: la
dimora più o meno protratta di alcuni dei primi frati presso sedi monastiche è
documentata da altre fonti minoritiche: essa, a volte, sostituiva il periodo di
prova, non essendo ancora stato introdotto l’anno di noviziato e, comunque,
fungeva da sede temporanea in assenza di insediamenti stabili e riservati per
la giovane fraternità 27.
La varietà delle attività nelle quali Egidio è impegnato «per
guadagnarsi il necessario» lascia supporre un periodo di almeno alcune
stagioni: dal trasporto della legna «da un bosco distante otto miglia da
Roma», all’aiuto ai contadini nella vendemmia, alla raccolta delle noci. Gli
autori ricordano i servizi svolti nel monastero, quali attingere l’acqua,
purgare la farina, aiutare nella preparazione del pane 28 . Tali impegni di
umile e minoritico servizio rientravano perfettamente nelle indicazioni
normative - formulate, con tutta probabilità, prima del 1216 e assemblate nel
1221 nel capitolo VII della Regula non bullata - per i «fratres qui stant apud
alios ad serviendum vel laborandum» 29 , fra i quali l’esperienza di Egidio
risulta, dunque, perfettamente inserita.
Le tre Vitae narrano concordemente del pellegrinaggio in Terra Santa,
di cui la VitaPer e la VitaChr descrivono le diverse tappe: l’attesa della nave
nel porto di Brindisi, la visita al santo Sepolcro e ad altri “luoghi santi”, la
sosta presso S. Giovanni d’Acri. La VitaLeo, modificando il percorso,
sostituisce la sosta brindisina con quella ad Ancona e omette il resto del

26 Cf. Analecta franciscana III, pp. 78-84.


27 Vedi in proposito la testimonianza di frate Stefano in FFit, nr 2680, p. 1677.
28 AA. SS. aprilis III, p. 223ab; Analecta franciscana III, p. 82..
29 Scritti, pp.252-253.
10
racconto per introdurre la «visita al cardinale Nicola, vescovo di Tuscolo»:
ultima tappa - secondo tale fonte - delle «peregrinazioni» di frate Egidio. Si
noti che tale “visita”, o piuttosto dimora ospitale, va cronologicamente
collocata nel 1225, quando appunto la curia romana si trovava a Rieti 30 .

L’agiografo a conclusione, per sottolineare l’impegno del frate assisano nel


lavoro manuale, cita il salmo 127 «Labore manuum tuarum manducabis» e, a
collegare tale impegno con le precise disposizioni date da Francesco alla sua
prima fraternità, continua ricordando Sic beatus Franciscus docuit primo
fratres et in regula fecit scribi et in Testamento suo prope mortem
confirmavit». Con il riferimento alla fatica del lavoro manuale e alle precarie
e dolorose condizioni di sussistenza l’autore della VitaLeo sintetizza
conclusivamente questo primo periodo della vicenda di Egidio, quasi a
scusarsi per le successive omissioni, o piuttosto per l’improvvisa interruzione
della vita errabonda: «quantum laborem, famem, sitim, frigus, inopiam,
tribulationes et verecundiam sustinuerit cum gratiarum actiones, sicut ipse
retulit, longum esset omnia enarrare» 31. Stando, infatti, al sviluppo narrativo
di questa fonte, il frate assisano a partire dal «sesto anno della sua
conversione», dunque dal 1214, avrebbe posto fine alle sue “itinerare” e si
sarebbe ritirato «in quoddam eremitorio in planitie Perusii». Si noti
l’introduzione a quest’ultima fase, quella del ritiro eremitico:
«Revertente autem eo de peregrinationibus suis, considerans beatus
Franciscus quod frater Egidius esset homo Dei et boni exempli, gavisus est
valde dixitque ei, ut pergeret quo vellet. Cui beatus frater Egidius respondit,
quod in tam libera obedientia ire et vivere nolebat. Tunc sexta anno
conversionis sue misit eum ad quoddam heremitorium nomine Fabrione in
planitie Perusii» 32.
Il commento dell’autore sembra voler ricondurre la libertà concessa, in
prima battuta, da Francesco a un’eccezione, dovuta alla caratura spirituale

30 Vedi in proposito BRUFANI, Frate Egidio, pp. 16-17.


31 Scripta Leonis, p. 326.
32Ibid., nr 6.
11
(«quod esset homo Dei») e alla condotta esemplare di Egidio, che ispira
nell’Assisiate una fiducia assoluta. Analogo il racconto nella VitaPer, nella
quale, però, vi è una significativa: aggiunta: Egidio si prese la libertà,
concessa da Francesco, di «recarsi dovunque volesse andare», ma solo per
«quattro giorni», per poi ricredersi e tornare a porsi sotto l’obbedienza del
santo, che lo inviò, appunto, a nel “luogo” di Favarone , dove, soggiunge
l’autore, «Egidio dimorò per diversi anni» 33.
A differenza della Vita attribuita a frate Leone quella contenuta nel
codice perugino offre uno sviluppo narrativo, che inserisce diverse
interruzioni nell’esperienza solitaria del frate a Favarone: poco oltre l’autore
indica la presenza di Egidio a Rieti presso il cardinal Nicola di Tuscolo, pur
introducendola con un generico alio tempore, quasi ad avvertire il lettore
dell’omissione di qualsiasi nesso cronologico 34, che viene invece evidenziato
a proposito del soggiorno del frate «nella chiesa di san Lorenzo nel monte
sopra il castrum di Deruta», introdotto da un post haec, e ancor più
chiaramente esplicitato dalla “obbedienza” richiesta e ottenuta dallo stesso
cardinale. Interessanti le espressioni che caratterizzano la chiesa in questione
«remota satis et ab omnibus derelicta». È un’indicazione che pare
perfettamente collimare con la situazione ricordata da Francesco d’Assisi nel
suo Testamentum, dove rammemora ai frati del 1226 le modalità di abitazione
dei primordi della fraternitas: «satis libenter manebamus in ecclesiis»;
l’Assisiate sceglie qui una terminologia di significato notevolmente esteso,
applicabile a qualsiasi complesso edilizio con annesso luogo di culto, fosse un
hospitium o una chiesa, officiata o meno da qualche sacerdote. Tale
indicazione di precaria e temporanea dimora nel Testamentum, evidente
all’epoca di Francesco, non lo era altrettanto per i più tardi copisti, alcuni dei
quali vi aggiunsero, a chiarimento la precisazione, pauperculis et derelictis, che
è quanto segnalato dall’agiografo di frate Egidio nel registrare la situazione
della chiesa di San Lorenzo. Si noti che l’autore della VitaPer all’interno di

33 In eo autem loco per plures annos morans (AA. SS. aprilis III, pp. 223a).
34 AA. SS. aprilis III, p. 223b, nr 10.
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questo racconto indica con precisione: «loca tunc fratrum rarissime
inveniebantur» e pone in bocca al cardinale la disperata constatazione: «Isti
sicut aves non habentes nidos». La stessa constatazione faceva Giacomo da
Vitry nel 1221 a proposito dei frati Minori in generale, «non habent
monasteria, neque ecclesias, neque campos, neque vineas [...] non domus» e,
citando il teso evangelico, «neque ubi caput reclinent». Contemporaneo, ma
più drasticamente realistico è il rilievo di Buoncompagno da Signa, il quale
nella Rethorica antiqua - redatta attorno al 1220 - a proposito dei componenti la
nuova religio scriveva:
«Fratres Minores ex maiori parte sunt iuvenes vel pueri. Unde, si iuxta
etatum suarum flexibilitatem sunt mutabiles et proclives, non est contra
rerum naturam. Ipsi autem iam ad extremam dementiam pervenerunt, quia
per civitates, oppida et loca solitaria sine discretione vagantur, horribilia et
inhumana martyria tollerando» 35.
Sembra riprodurre sinteticamente le esperienze di frate Egidio, quali
vengono descritte nelle Vitae, ivi comprese le condizioni di vita vissute presso
la chiesa di s. Lorenzo.
Se dovessimo inquadrare nell’ambito della multiforme articolazione
della fraternitas le scelte operative dei primi anni dall’aggregazione di Egidio
al gruppo dei seguaci di Francesco, non v’è dubbio che, stando ai racconti
delle Vite, egli ci si presenterebbe nel novero dei pellegrini, che percorrevano
gli itinerari predisposti per raggiungere i più noti santuari della cristianità,
quindi tra i fratres qui vadunt per mundum, ai quali si rivolge il capitolo XIV
della Regula non bullata - indicazioni riproposte nel capitolo III della bullata 36 -
fossero itineranti, artigiani o altro. Dal primo pellegrinaggio a San Giacomo
di Compostella, a quelli verso i più celebri santuari dell’Italia dell’epoca, ai

35Il brano della Rethorica antiqua è trascritto in Testimonia minora saeculi XIII de s. Francisco Assisiensi
collecta. Edidit P. LEONARDUS LEMMENS O. F. M., Ad Claras Aquas 1926, p. 92; «I frati Minori sono
nella maggior parte giovani e fanciulli. Perciò, se si tiene conto della loro età, non è contro natura
che siano mutevoli e incostanti, ma .essi sono già arrivati all’estremo della pazzia, perché vanno
vagando per le città, i paesi e i luoghi solitari, senza discrezione e sopportando sofferenze orribili e
disumane» (FFit., nrr 2239-2240, pp.1473-1474).
36Scritti, p. 264; si noti che nel cap. III della Regula bullata vengono riunite le norme date in due cap. della
non bullata (oltre il XIV, il XV, che vieta di cavalcare, Scritti, p.326).
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luoghi sacri alla presenza di Cristo in Terra santa. Un ulteriore lungo e
periglioso viaggio è intrapreso per recarsi oltremare in Tunisia.
La Vita Leo sembra voler ridurre nel tempo questo primo periodo della
vita del beato: secondo l’agiografo il ritiro a Favarone sarebbe avvenuto sexto
anno conversionis sue. Si ha la netta sensazione che egli voglia affrettarsi a
condurre Egidio nell’eremo, anticipando il concludersi dei tempi del suo
peregrinare. Significativo in proposito che il testo attribuito a frate Leone
accenni al viaggio in Tunisia solo di passaggio e come lontano ricordo del
frate assisano ormai prossimo alla morte e solo in funzione delle sue
esperienze mistiche nel ritiro dell’eremo 37 . Le altre due Vitae, invece,
convergono nell’inserire l’avventura tunisina nel contesto delle missioni
volute da Francesco. La convergenza dei due testi agiografici nel racconto del
viaggio a Tunisi è, per il nostro compito, più rilevante di quanto non sia la
sua diversa collocazione nell’ordine narrativo o la vistosa e intenzionale
lacuna della fonte leonina. Le due Vite anticipano il viaggio rispetto al ritiro
nell’eremo di Favarone e lo inseriscono nel contesto delle spedizioni volute
da Francesco, quando ormai il numero dei frati si era moltiplicato e la loro
presenza si era dilatata geograficamente: «Interea sanctus Franciscus gregem
suum ampliari conspiciens, cupiebat quod eorum aliquis nomen et legem
Domini predicaret inter Saracenos et alios infideles» 38. Questa e le altre mete
del lungo e diversificato itinerare di Egidio si collocano, dunque, in perfetto
parallelo con le scansioni cronologiche del mobilissimo attivismo dei
componenti la fraternitas nel suo primo quindicennio di vita. I fratres euntes
inter saracenos et alios infideles, ai quali i due testi delle regole minoritiche
dedicano uno specifico capitolo 39 , ebbero un’organica prosecuzione nei
decenni successivi: per quanto attiene al flusso verso le terre islamiche le
vicende dei frati minori si collocano in perfetta continuità, pur nel modificarsi

37 «Quodam tempore, cum ex desiderio martirii pro Christi amore iverit ad Saracenos, postquam reversus
fuit et meruit ascendere ad culmen contemplationis, ait ‘Noluissem tunc mori morte martirii» (Scripta Leonis,
p.346, nr 18).
38 AA. SS. aprilis III, p. 222b, nr 8; (cf. Analecta franciscana, III, p.78).
39 Regula non bullata, caitolo XVI, Regula bullata, capitolo XII (Scritti, pp. 264-268, 336-339).
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sostanziale, e per certi aspetti radicale, della vita e dell’organizzazione
dell’Ordine.
Il viaggio di Egidio in Tunisia non può che inserirsi nel contesto delle
diverse spedizioni avviate e realizzate a partire dalla metà del secondo
decennio del secolo XIII. Le fonti che informano di tali prime spedizioni non
accennano a frate Egidio: altro è il loro intento, quello di evidenziare la scarsa
o nulla organizzazione, il carattere di assoluta improvvisazione e il
conseguente insuccesso, o la drammatica e tragica conclusione 40 . Di segno
analogo il racconto dei testi agiografici dedicati a Egidio, che, ovviamente, vi
assume il ruolo di protagonista assoluto. Con un chiaro meccanismo di
retroproiezione la VitaLeo pretende che già da quella prima spedizione
Francesco avesse cercato, senza trovarli, «fratres scientia litterarum eruditos,
idoneos qui voluntarie irent», il che sarebbe avvenuto solo successivamente e
in seguito alla tragica esperienza dei cinque martiri del Marocco. Secondo
l’agiografo il santo avrebbe fin d’allora (1217/19) tentato una selezione
rigorosa quanto inutile, in mancanza di elementi scientia idoneos; sarebbe,
perciò, stato “costretto” a rivolgersi al frate assisano, figura emergente, «sicut
qui Domini fervebat spiritu», nel piccolo drappello degli inviati ad gentes
barbaras. Soprassediamo al pregiudiziale concetto nei confronti delle
“barbare” popolazioni islamiche: basti pensare alla ben diversa immagine del
loro rapporto con i frati minori, offerta da Giacomo da Vitry, il quale nel 1221,
in netta contraddizione con la sorte dei troppo avventurosi e avventati viaggi
dei primordi, scrive:
«Non solum autem Christi fideles sed etiam saraceni et obtenebrati
homines, eorum humilitatem et perfectionem admirantes, quando causa

40Tale è il contenuto della relazione di queste prime spedizioni oltralpe e oltremare contenuta nella
cronaca di Giordano da Giano (cf. H, BOEHMER, Chronica frattris Jordani, Paris 1908 [CED VI], nr 3-7,
pp. 3-7; vedi ora l’edizione di J. SCHLAGETER, Die Chronica ders Bruders Jordan von Giano. Einfuhrung
und kritische Edition nach den bisher bekannten Handschriften, in Harchivum franciscum Historicum, 104
(2011), pp. 34-36; FFit.,nr 2325-2330, pp. 1529-1531. .
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predicationis ad ipsos intrepidi accedunt, grato animo necessaria
providentes, libenter eos accipiunt» 41.
Il racconto della VitaPer e della VitaChr assume un tono ben diverso: il
rapporto tra i Saraceni e il gruppetto di frati che accompagna Egidio è di
netta contrapposizione; i due agiografi sottolineano i rischi mortali, cui i frati
andarono incontro e dal quale si salvarono grazie alla protezione offerta dalla
popolazione cristiana 42, la cui convivenza in terra islamica rischiava di essere
turbata dalla predicazione dei frati.
La conclusione di tutto questo discorso ci riporta al titolo della
presente relazione: la vita di Egidio fino al suo definitivo ritiro nell’eremo di
Cetona nel «XVII anno della sua conversione» , secondo la puntualizzazione
cronologica delle Vite 43, si svolse in perfetto parallelo con le consuetudini e
modalità di vita della prima fraternità. Nulla di singolare, dunque. Per
individuare la sua “singolarità” bisognerà semmai guardare più oltre:
all’ultimo periodo della sua vita, trascorso in quella, pur non troppo atipica
comunità mista di Monteripido, ma su questo ci intratterrà con la sua ben
nota competenza Attilio Bartoli Langeli.
Vale piuttosto la pena di ribadire in questa sede quanto già ben
evidenziato da Stefano Brufani a proposito del significato che l’autore della
Vita Leo attribuisce alle esperienze mistiche di Egidio nell’eremo di Cetona 44:
per l’agiografo esse assumono tale importanza da indurlo a porre in bocca al
frate assisano espressioni che sembrano voler sminuire, fin quasi ad
annullarlo, il valore religioso dei precedenti pellegrinaggi, anzi la loro stessa
funzione santificatrice. Eloquente in proposito il seguente passaggio:

41Historia occidentalis, p. 161 ; «e non soltanto i fedeli di Cristo, ma persino i saraceni e gli uomini
ancora nelle tenebre, quando i frati Minori vengono intrepidi da loro a predicare, pieni di
ammirazione per la loro umiltà e perfezione, volentieri li accolgono e li provvedono del necessario
con animo riconoscente» (traduzione di FFit. nr, 2226, p. 1466).
42 Acta sanctorum aprilis III, p. 223a, nr 8; analecta franciscana, III, p. 78.
43 Acta sanctorum aprilis III, p. 225a, nr 12;Scripta Leonis, p. 328, nr 8; Analecta Franciscana, III, p.96.

44 BRUFANI, Frate Egidio, pp. 52-53.


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«Commendabat frater Egidius locum de Setone propter misericordiam
Domini et gratiam et magnam prerogativam quam ostendit ei in predicto loco
super omnia loca et citramarina et ultramarina, sex locis ultramarinis
exceptis, quibus etiam hunc comparabat, et dicebat, quod ad hunc locum
deberent homines accedere cum maiore reverentia et devotione quam ad
sanctum Angelum et ad sanctum Petrum et ad sanctum Nicolaum et ad
aliquem locum citramarinum, cum sit maior Dominus quam servus et sic
Christus quam alii sancti; dicebetque, quod similis huic loco esse poterat,
maior autem esse non poterat» 45.
Da tale commento alle straordinarie visioni del periodo natalizio del
1226, dunque nei due mesi successivi alla morte di frate Francesco, appare
chiaro che l’agiografo pone al vertice dell’esperienza religiosa della vita di
Egidio il ritiro meditativo e contemplativo, che sembra assorbire in sé e dare
significato alle peregrinazioni precedentemente esposte. La lunga
conversazione successiva con i soci, i frati Graziano, Giacomo e Andrea - che
occupa la parte finale di questa Vita - è tutta tesa a rimarcare la vertiginosa
esperienza e a rafforzare l’idea della sua superiorità assoluta nei confronti di
quelle vissute nel periodo precedente, anzi delle stesse esperienze mistiche
con il Risorto e persino degli eventi della Verna. Il tutto è riassunto nella
incredibile definizione degli incontri mistici con Cristo nell’eremo di Cetona:
«hoc fuit maius quam fecerit humanitati». Raggiunto tale culmine, Egidio è
pronto alla morte, sigillo definitivo di un’esemplarità, ricondotta alle esigenze
agiografiche di un uomo, l’autore, anzi di un gruppo che ormai vede nella
meditazione e contemplazione dell’eremo l’unica via d’uscita per un ritorno a
primordi noti - e riproposti nel primo, breve periodo della vicenda umana di
Egidio - ma non sufficientemente apprezzati nella loro valenza ideale di vita
evangelicamente vissuta, se non per l’impegno in un lavoro assiduo di umile
servizio, destinato, comunque, a lasciare il posto al ritiro nell’eremo, che solo
consente la contemplazione e l’ascesa alle più alte vette dell’unione
santificante con Cristo.

45 Scripta Leonis, p. 336, nr 12 (13).


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