Sei sulla pagina 1di 16

Minores et subditi omnibus. Tratti caratterizzanti dell’identità francescana, a cura di L.

Padovese, Roma
2003, 273-304.

Pietro Maranesi

L’ “INTENTIO FRANCISCI”
SUL RAPPORTO TRA MINORITÀ E STUDIO
NELL’IDEALITÀ FRANCESCANA DEL PRIMO CINQUANTENNIO DELL’ORDINE

Nella società medievale potente e ricco non era soltanto colui che occupava una posizione feudale
elevata, o colui che poteva disporre di un patrimonio fondiario o monetario, ma anche chi aveva avuto la
fortuna di saper leggere e scrivere. Dunque la preparazione culturale, al pari della ricchezza, costituiva una
situazione con la quale si doveva confrontare e scontrare immancabilmente la visione “minoritica” rivelata
da Dio a Francesco. E’ possibile supporre, allora, che Francesco e i primi frati avranno dovuto affrontare il
dilemma sulla possibilità e modalità di conciliare la chiamata ad essere “frati minori” con il possesso della
cultura, cioè come rapportare la scelta della povertà e minorità con il potere che concedeva nella società
medievale la ricchezza della cultura.
Tenendo presenti queste premesse stupisce un dato di fatto nella testualità di Francesco: non solo rare
sono i termini “minor-minoritas” e “studium”, ma soprattutto non sono mai messi esplicitamente in
relazione. Non è possibile infatti ritrovare nei testi iniziali del francescanesimo un preciso e diretto confronto
tra i due ambiti semantici. Agli inizi della fraternità minoritica gli studi non sembrano essere una questione
urgente da dover affrontare e risolvere. E tuttavia, anche se essi non sono uno dei temi fondamentali nella
formulazione normativa della prima autocoscienza dell’Ordine, è possibile rintracciare una specie di
formazione progressiva della problematica degli studi in relazione alla minorità dei francescani, uno sviluppo
che prende il via già da Francesco, ma che avrà la sua esplosione, come questione grave ed urgente, nei
decenni successivi alla morte del fondatore. In questo contributo vorremmo ripercorrere le due tappe
formative della questione degli studi nella loro relazione con la minorità francescana, indagando innanzitutto
la visione di Francesco attraverso i pochi passaggi a nostra disposizione, e spostando poi l’attenzione sul
primo cinquantennio della storia dell’Ordine, quando il confronto tra i due ambiti diventerà oggetto di serrata
discussione centrata in particolare sulla determinazione di quale fosse stata l’“intentio Francisci” nel ruolo da
conferire agli studi all’interno dell’idealità dell’Ordine minoritico.

I. TENSIONE IDEALE TRA MINORITÀ E STUDI NEI TESTI DI FRANCESCO

1. Gli studi: una questione marginale nei testi normativi


Sia nella Regola non bollata [Rnb] che nella Regola bollata [Rb] la questione degli studi e del loro ruolo
all’interno della fraternità minoritica è praticamente ignorata. Niente si dice ad esempio su come comportarsi
nei confronti dei “letterati” che chiedevano di entrare nell’Ordine, o, ancora più sorprendente, niente è detto
circa l’iter formativo dei candidati, quali studi cioè dovessero fare. Nel secondo capitolo dei due rispettivi
testi, dedicati all’accoglienza di coloro che vogliono intraprendere la vita minoritica, si offre delle norme
soltanto per l’anno di noviziato presentato come l’unico periodo di formazione dopo il quale essi
recipiantur ad obedientiam promittentes vitam istam sempre et regulam observare. Et nullo modo licebit eis de ista
religione exire iuxta mandatum domini papae1.
Una indiretta indicazione sulla probabile assenza di libri nella formazione e nella vita dei frati viene
dalla Rnb quando trattando dell’ufficio divino si stabilisce che i frati “libros tantum necessarios ad

1
Rb 2, 12-13 (Fontes francescani [Ff, ], a cura di E. Menestò e S. Brufani, Ed. Porziuncola, Assisi, 1995, p. 173). Il testo
della Rnb, pur restringendo il periodo formativo al solo anno di noviziato prima di fare la professione solenne, non è così
esplicito come la Rb infatti non è inserito l’elemento giuridico del voto perpetuo a cui si obbligano i candidati: “Finito vero
anno et termino probationis recipiatur ad obedientiam. Postea non licebit ei ad aliam religionem accedere neque extra
obedientiam evagari iuxta mandatum domini papae et secundum evangelium” (Rnb, II 9-10 [Ff, p. 187]). Un ampio commento
di questi passaggi e delle relative prescrizioni della Rb al capitolo II è offerto da M.T. DOLSO, Et sint minores”. Modelli di
vocazione e reclutamento dei frati minori nel Primo secolo francescano (Fonti e ricerche, 14), Ed. Biblioteca Francescana,
Milano, 2001, 26-36.

1
implendum eorum officium possint habere” 2, lasciando trapelare una esclusione di tutti gli altri generi di
libri. La diversa formulazione della norma presente nella Rb fa pensare ad un’evoluzione nella sensibilità e
nella presenza dei libri all’interno della fraternità: “Clerici faciant divinum officium secundum ordinem
sanctae Romanae ecclesiae excepto psalterio ex quo habere poterunt breviaria” 3. Ad osservar bene, la
formulazione della norma non è esclusiva, come lo era precedentemente, ma lascia aperta la possibilità di
avere anche altri libri, una trasformazione nata molto probabilmente da un’evoluzione della fraternità nella
quale i libri utilizzati non erano più soltanto i breviari 4. La diversa formulazione della norma permette solo
indirettamente di intravedere una possibile “evoluzione intellettuale” all’interno dell’Ordine francescano tra
gli anni che vanno dalla formazione della Rnb alla promulgazione della Rb, cioè tra gli anni 1210-1223.
Tuttavia essa non è stata così forte e ampia da richiedere delle norme precise e chiare sulla questione degli
studi nella vita dei frati. Che però vi sia stata un’evoluzione verso gli studi e di conseguenza vi sia stata la
nascita di una problematicità e tensione nei confronti di tale sviluppo intellettuale in seno all’Ordine a causa
proprio della sua difficile conciliazione con la vocazione minoritica, sembra essere attestato da un breve ma
estremamente significativo passaggio del capitolo X della Rb quando Francesco esorta: “non curent nesciente
litteras, litteras discere” 5. Al testo occorre dedicare una particolare attenzione, perché in esso troviamo per la
prima volta un confronto preciso, sebbene indiretto, tra minorità e studio. I rilievi che si faranno su questo
testo permetteranno poi di porre la domanda più generale sulla visione di Francesco riguardo agli studi
all’interno della sua vocazione specifica a cui Dio lo aveva chiamato come frate minore.

2. La tensione ideale tra minorità e studi nel X capitolo della Rb


La comprensione del passaggio ammonitivo rivolto ai “nescientes litteras” chiede, in forma preliminare,
un’analisi del contesto in cui è inserito, e cioè nel capitolo X che nella sua globalità costituisce un’ampia e
forte esortazione di Francesco fatta ai suoi frati affinché vivano ed aspirino a relazione improntate sulla
minorità, è proprio da questo contesto che nasce, per germinazione spontanea, l’esortazione fatta a coloro
che non sanno leggere di non preoccuparsi di imparare.

a. Il contesto spirituale del capitolo X


Il capitolo è composto di due parti tra loro distinte nel genere letterario (nella prima si offrono una serie
di precise indicazioni giuridiche, nella seconda vi è una doppia serie di ammonizioni spirituali), ma unite da
un simile contenuto spirituale centrato proprio sulla minorità. Leggiamo le due parti.
Nella prima parte il capitolo si occupa della questione circa il rapporto tra i ministri e i sudditi nel
contesto della vita fraterna, stabilendo la legge della sudditanza come criterio generale e risolutivo delle loro
relazioni: coloro che hanno la guida della comunità debbono sentirsi solo “ministri et servi aliorum fratrum”
prendendosi cura di loro con umiltà e carità; gli altri sono sudditi, chiamati a rinnegare la proprio volontà che
deve essere consegnata con fiducia ai ministri. E’ all’interno di questa mutua sottomissione – nella quale
risuonano con chiara evidenza i termini e le dinamiche spirituali legate all’essere “minores”–, che Francesco
colloca e risolve il caso concreto dell’eventuale necessità da parte dei frati di ricorrere ai propri ministri per
essere aiutati qualora si trovassero in difficoltà ad osservare spiritualmente la Regola: tra coloro che
ricorrono e coloro che accolgono deve esservi, secondo Francesco, una specie di circolo caritativo, dove i
primi possono rivolgersi ai ministri con fiducia e i secondi debbono essere disposti ad accogliere i sudditi
“caritative et benigne” perché, ripete ancora una volta alla fine Francesco, essi sono “servi omnium
fratrum”6. Sebbene, dunque, non ricorra la parola “minoritas”, è su di essa, di fatto, che sono impostate le
relazioni fraterne, rinviando così in modo diretto al testo parallelo della Rnb nel quale Francesco aveva
utilizzato esplicitamente la definizione di “fratres minores” per regolamentare uno stile di mutua
sottomissione e servizio tra i frati:
Fratres, in quibuscumque locis sunt, si non possunt vitam nostram observare, quam citius possunt, recurrant ad
suum ministrum hoc sibi significantes. Minister vero taliter eis studeat providere, sicut ipse vellet sibi fieri, si in

2
Rnb III 7 (Ff, p. 188).
3
Rb III 2 (Ff, p. 174).
4
Su questa piccola trasformazione e sul suo significato nell’evoluzione della prima fraternità cf. quanto ho esposto in
Nescientes litteras. L’ammonizione della Regola francescana e la questione degli studi nell’Ordine (sec. XIII-XVI) ,
(Bibliotheca seraphico-capuccina, 61), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, 2000, p. 60-61.
5
Rb X 8 (Ff, p. 179).
6
Rb X 7 (Ff, p. 179).

2
consimili casu esset. Et nullus vocetur prior, sed generaliter omnes vocentur fratres minores. Et alter alterius lavet
pedes7.
La seconda parte del capitolo può essere letta come un doppio sviluppo esortativo di tipo spirituale – il
primo negativo il secondo positivo – sullo spirito di minorità che deve regnare nella fraternità così da aiutare
i suoi frati a capire quali debbano essere gli atteggiamenti dai quali soltanto può nascere questo circolo di
sudditanza e di servizio: evitare la superbia, la vana gloria, l’invidia, l’avarizia, le preoccupazioni, le
sollecitudini del mondo, la detrazione e la mormorazione, come è detto nelle prime otto esortazioni, per
cercare invece lo spirito del Signore e le sue opere, custodendo la preghiera e l’umiltà, la pazienza e l’amore
per i persecutori, come si conclude nelle seconde quattro ammonizioni 8. Le due serie di atteggiamenti morali
hanno dunque proprio nella minorità la loro discriminante e costituiscono esortazioni nelle quali Francesco
prolunga e specifica il nucleo fondante di una vera fraternità, che si inceppa o addirittura si spacca se si perde
lo spirito di mutua sudditanza, cioè di minorità e di umiltà reciproca per tendere invece al dominio e al
potere.
Tentiamo di capire meglio la relazione posta tra i due blocchi di esortazioni scanditi rispettivamente dai
due verbi: “caveant fratres” e “attendant fratres”. Al di là delle diverse specificazioni credo che la sintesi
delle due serie di ammonizioni sia da trovare nell’inizio della seconda: “habere spiritum Domini”,
espressione che indica, per logica di contenuto, che il primo gruppo di atteggiamenti è guidato invece - senza
che venga detto in modo esplicito - da uno “spiritus carnis”. Una conferma dei due “spiriti” che dominano la
doppia serie di atteggiamenti morali elencati e posti in contrasto da Francesco nel X capitolo della Regola è
data dal testo parallelo presente nella Rnb:

Rnb XVII 9-16 Rb X 9-13


v. 9-12: Omnes ergo vv. 8: Moneo vero et exhortor in Domino Jesu Christo,
fratres caveamus ab omni superbia et vana gloria; ut caveant fratres ab omni superbia, vana gloria,
[VIII, 1-2: Dominus praecipit in evangelio: Videte,
cavete ab omni malitia et avaritia et attendite vobis a invidia, avaritia (Lc 12, 15), cura et sollicitudine huius
sollicitudine huius seculi et curis huius vitae] seculi (Mt 13, 22),
detractione et murmuratione,
et custodiamus nos a sapientia huius mundi et a prudentia
carnis (Rm 8,6), spiritus enim carnis vult et studet multum
ad verba habenda, sed parum ad operationem, et quaerit
non religionem et sanctitatemin interiori spiritu, sed vult et
desiderat habere religionem et sanctitatem forsi
apparentem hominibus
et non curent nescientes litteras, litteras discere
vv. 9: sed attendant, quod super omnia desiderare
vv. 14-16 Spiritus autem Domini debent habere Spiritum Domini et sanctam eius
operationem,
v. 10-13: orare semper ad eum puro corde
vult mortificatam et despectam vilem et abiectam esse
carnem. Et studet ad humilitatem et patientiam et habere humilitatem, patientiam
et puram et simplicem et veram pacem spiritus. in persecutione et infirmitate, et diligere eos qui nos perse-
[XXII, vv. 1: Attendamus omnes fratres quod dicit quuntur et reprehendunt et arguunt quia dicit Dominus:
Dominus: Diligite inimicos vestros et benefacite his qui Diligite inimicos vestros et orate pro persequentibus et
oderunt vos ] [c. XVI, v. 12: Beati qui persecutionem calumniantibus vos (Mt 5, 44). Beati qui persecutionem
patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est re- patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est regnum
gnum caelorum. v. 21: et qui autem perseviraverit caelorum (Mt 5, 10). Qui autem perseveraverit usque in
finem hic salvus erit (Mt 10, 22).
usque in finem hic salvus erit].
Et semper super omnia desiderat divinum timorem et
divinam sapientiam et divinum amorem Patris et Filii et
Spiritus sancti.

Non è difficile constatare la dipendenza del passaggio della Rb dal testo della Rnb. Chiaro risulta tra i
due testi il parallelismo sia strutturale che di contenuto delle due serie esortative centrate su due opposti stili
di vita, due modi contrastanti di rapportarsi al mondo e agli altri. Nel testo della Rnb i due universi mentali,
7
Rnb VI 1-4 (Ff, p. 191).
8
Cf. Rb X 8-12 (Ff, p. 179-180).

3
le due impostazioni di vita sono raggruppate attorno a due espressioni poste a contrasto: “spiritus carnis” e
“spiritus Domini”9. E in quel testo i due atteggiamenti sono chiariti da Francesco con altre due serie di
termini che specificano e chiariscono i due opposti stili di vita: da una parte vi è la “superbia” e la “sapientia
mundi”, dall’altra l’“humilitas” e la “divina sapientia”. A leggere con attenzione, nelle due serie di
esortazioni Francesco parla di due possibili direzioni che l’uomo può imprimere alla sua esistenza: verso
l’alto, come un “super-ire” o verso il basso cioè verso l’“humus” di cui è composto; e contrappone dunque il
desiderio mondano di “maioritas” alla tensione evangelica della “minoritas”. I due ambienti semantici sono i
due nuclei tematici intorno ai quali gira sia il testo della Rnb che la ripresa di quel tessuto testuale fatta nella
Rb. Una perfetta sintesi dei due opposti movimenti come discriminanti di una doppia possibilità di vita la sia
ha in un passaggio della Rnb dove Francesco si rivolge ai suoi frati esortandoli a fuggire l’ascesa verso il
potere per scegliere la discesa verso il servizio:
Similiter omnes fratres non habeant in hoc potestatem vel dominium maxime inter se. Sicut enim dicit Dominus in
evangelio: Principes gentium dominantur eorum, et qui maiores sunt potestatem exercent in eos, non sic erit inter
fratres; et quicumque voluerit inter eos maior fieri sit eorum minister et servus; et qui maior est inter eos fiat sicut
minor10.
Ancora una notazione occorre fare partendo da questi legami terminologici caratterizzanti i due campi
semantici, ed essa riguarda l’espressione “sapientia” coniugata nel testo del XVII capitolo, come si è visto, a
due possibili e contrastanti realizzazioni: la sapienza della carne e quella divina. Va notato, in via
preliminare, che il testo della Rnb è posto all’interno del capitolo dedicato ai predicatori, la cui attività è in
bilico tra la ricerca della sapienza della carne, animata dalla superbia e dalla vanagloria, e quella divina,
guidata dall’umiltà. Il termine sapientia ha infatti una doppia valenza semantica. Il primo significato connota
una doppia possibilità di “sentire” il mondo guidata o dalla superbia o dall’umiltà; in questo caso sapienza è
legata alla sua origine etimologica di “sapor”: il sapore generale con il quale si vive nel mondo, un tipo di
sapienza allora che potremmo chiamare “sapienza saporosa” o anche "sapienza del cuore"; ed è la
connotazione che si è vista nel testo del XVII capitolo della Rnb o quella che emerge nell’Epistola ai fedeli
dove il possesso della sapienza spirituale, quella del cuore, significa avere in sé il Figlio di Dio “qui est vera
sapientia”11. Il secondo utilizzo che compare nei testi di Francesco è in relazione al conoscere intellettuale, al
sapere come scienza e conoscenza delle cose, e, dunque, che indica una "sapienza intelligente" o una
"sapienza della testa". E’ quel tipo di sapienza di cui parla il Santo nelle sue Ammonizioni quando rimprovera
coloro che “tantum sola verba cupiunt sciere” al fine di essere poi ritenuti dagli altri “sapientiores” 12, o anche
a cui rinvia in forma positiva nel Testamento quando afferma di non voler predicare contro la volontà dei
sacerdoti “pauperculos” anche se egli possedesse “tantam sapientiam quanta Salomon” 13. Questo secondo
tipo di sapienza, intesa come sapienza intelligente, cioè come capacità conoscitiva e potere intellettuale sulle
cose e sul mondo, è in stretta dipendenza da quella del cuore, dalla quale, infatti, essa acquista la positività o
negatività: l'utilizzo della sapienza intellettuale, se guidato da una “sapientia mundi”, cioè dallo spirito della
carne, diventa occasione e strumento di superbia; se guidato invece da una “divina sapientia”, cioè dallo
spirito del Signore, acquista i caratteri dell’umiltà e del servizio.
Ma vi è per Francesco, una terza parola che si inserisce in questa specie di ambiguità della sapienza: la
“simplicitas” quale caratteristica generale che accompagna e contraddistingue la sapienza del cuore e le
forme del suo manifestarsi nella sapienza della testa. Un primo interessante uso è rintracciabile nei residui
testuali di un’ipotetica seconda redazione della Rnb conservata nel manoscritto di Worcester, dove nel
relativo testo della Rnb XVII in cui si esorta i frati a possedere oltre l'umiltà e la pazienza anche “puram et
simplicem et veram pacem spiritus”, si legge che debbono possedere una doppia virtù: “puram simplicitatem
et veram pacem spiritus”14, la variante è attestata anche per il testo della Rnb da diversi manoscritti, ma
9
Per una presentazione dettagliata del capitolo XVII e dell’utilizzo in esso dei testi biblici fatto da dalla Rnb per
illustrare le qualità dell’essere fra la gente da parte del francescano cf. D. DOZZI, Il vangelo nella Regola non bollata di San
Francesco d’Assisi (Bibliotheca seraphico-capuccina, 36), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, 1989, p. 218-221; e anche
A. CICERI, La Regula non bullata: saggio storico-critico e analisi testuale, in F. Accrocca – A. Ciceri, Francesco e i suoi frati
(Tau, 6), Biblioteca francescana, Milano 1997, p. 223-226. Segnaliamo anche le pagine di L. LEHMANN, Die Bedeutung des
Geistes bei Franziskus und Klara von Assisi, in Wiss. Weis., 61 (1998) p. 12-21.
10
Rnb V 9-12 (Ff, p. 190).
11
EFid., II 8 (Ff, p. 75).
12
Amm. VII 2 (Ff, p. 29).
13
Test. 7 (Ff, p. 227).
14
FrRe I 52 (Ff, p. 128). L’ipotesi che i frammenti della Rnb siano il residuo di una seconda edizione della Rnb che si
porrebbe allora tra la prima e la seconda Regola, quale tentativo di rielaborazione poi accantonato per procedere ad una

4
purtroppo non è stata scelta come lezione nelle due recenti edizioni critiche del testo 15. Questa rilettura
sembrerebbe più fedele alla terminologia di Francesco 16 che non ha mai legato a pace gli aggettivi di “pura” e
“semplice”, mentre, come si vedrà subito, caratteristico è l'abbinamento della “pura semplicità”, una virtù
che nel contesto sempre del capitolo della Rnb è in relazione con la sapienza divina che deve ricercare il frate
minore. Una importante conferma e chiarimento di questo primo indizio si trovano nella Salutatio virtutum,
dove la sapienza e la pura semplicità sono imparentate da Francesco: “Ave regina sapientia, Dominus te
salvet cum tua sorore sancta pura simplicitate” 17. Le due lavorano in coppia come due sorelle: la prima
confonde satana e tutte le sue malizie, invece “pura sancta simplicitas confundit omnem sapientiam huius
mundi et sapientiam corporis”18. Quella di Francesco dunque è una sapienza semplice, o una semplicità
sapienziale nella quale i due tipi di sapienza, quella del cuore e quella della testa vengono ad essere uniti e
armonizzati. La semplicità è la discriminante infatti per verificare quale sapienza anima il cuore dell’uomo,
se la sapienza della carne cioè della superbia, o quella divina cioè dell’umiltà. La “simplicitias” è la cartina
tornasole per vedere quale siano i desideri che guidano gli uomini nella loro ricerca della sapienza
intelligente, se cioè sono animati dal desiderio della “maioritas” o della “minoritas” nell'esercizio e utilizzo
del conoscere intellettuale.

b. L’inserzione dell’ammonizione rivolta ai “nescientes litteras”


E’ all’interno di questa tensione ideale tra i due poli fondamentali dell’esistenza umana, al cui desiderio
istintivo di essere in alto Francesco risponde l’invito evangelico di porsi in basso, che è inserita
l’ammonizione rivolta a coloro che non sanno leggere. Doppia è la relazione che il breve passaggio ha con il
suo contesto: di discontinuità redazionale, e di omogeneità con il contenuto spirituale. Osserviamo
innanzitutto il suo carattere di estraneità con il contesto 19. Innanzitutto è da rilevare la rottura di contenuto tra
le due serie di ammonizioni spirituali e l’esortazione concreta riguardante una scelta molto pratica e precisa
qual era lo studio. La rottura redazionale operata dall’inserimento del testo rivolto ai “nescientes litteras”
diventa ancora più evidente se si osserva l’interruzione da esso operata nei confronti della relazione sintattica
tra la prima serie di ammonizioni rivolte ad “omnes fratres” e la seconda che si apre con “sed attendant”: il
passaggio rivolto ai “nescientes litteras” inserirebbe infatti un nuovo soggetto a cui riferire il “sed attendant”,
così che tutti i frati sono chiamati ad evitare un certo spirito superbo, mentre soltanto i “nescientes litteras”
sembrerebbero dover tendere agli atteggiamenti di umiltà e minorità della seconda serie. Una ennesima
conferma di tale frattura redazionale attuata dall’inserzione del breve testo sugli studi la si ricava dal
confronto sinottico tra il materiale del seconda parte del X capitolo e i testi paralleli della Rnb: tutto le
esortazioni morali delle due serie costituiscono una specie di collage di passaggi sparsi nella regola
precedente, l’unica e assoluta novità è proprio il testo riguardante lo studio, aggiunto successivamente alla
stesura (concettuale) delle due serie morali di ammonizioni.
Sebbene “estraneo”, il passaggio sugli studi è suscitato dal contesto e si inserisce nella sua atmosfera
spirituale centrata sulla minorità dei rapporti. Nell’esortare all’umiltà reciproca, fuggendo la ricerca del
potere e della supremazia, cioè nel ribadire lo spirito di minorità quale cardine dei rapporti tra i frati,

radicale riformulazione del testo, è stata proposta da C. PAOLAZZI nel recente convegno “Verba Domini mei” tenutosi a Roma
nell’aprile di questo anno per ricordare la figura di K. Esser. Nel suo studio, prossimo ad essere pubblicato con il resto degli
atti, intitolato “Nascita degli Scritti e costituzione del canone”, i cui fogli dattiloscritti mi sono stati gentilmente forniti
dall’autore egli motiva in modo convincente tale ipotesi di collocazione cronologica dei Frammenti in base a due passaggi:
innanzitutto costatando un uguale testo (Rnb XXII,5) presente oltre che nel ms di Worcester anche in un passaggio del
Commento alla Regola di Ugo di Digne e una pagina della II vita di Celano, deduce la necessità di presupporre un testo unico
diverso da quello da noi conosciuto e circolante in tre ambienti diversi; in secondo luogo analizzando la qualità la qualità
stilistica e contenutistica dei frammenti rileva la presenza di un chiaro miglioramento del testo precedente, cosa che può essere
spiegato soltanto presupponendo una successione temporale nella loro redazione. A mio avviso anche nel nostra coso della
trasformazione da “puram et semplicem et veram pacem spiritus” in “puram semplicitatem et veram pacem spiritus” si assiste
ad una tale operazione di miglioramento del testo, non solo a livello stilistico, ma anche di contenuto in quanto si accorda
molto di più alla terminologia di Francesco che come vedremo accorda sempre il binomio “pura semplicitas”.
15
Sia D. FLOOD, Die Regula non bullata der Minderbrüder, Dietrich-Coelde Verlag, Werl, 1967, p. 66, sia K. ESSER, Die
Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue Textkritische Edition, Grottaferrata, 1989, p. 392, nelle loro rispettive edizioni
pur rilevando la presenza di una larga base di testimoni che riportano “pura simplicitatem” hanno preferito la lettura “puram et
simplicem” preferendo questa lezione più difficile attestata da solo due codici.
16
Della stessa opinione è anche L. LEHMANN, Die Bedeutung des Geistes, p. 14.
17
SVit., 1 (Ff, p. 223).
18
Ivi, 10.
19
Cf. l’analisi già fatta in Nescientes litteras, p. 34-37.

5
Francesco con l’inserzione dell’ammonizione rivolta ai “nescientes litteras” sembra rivolgersi istintivamente
ad una problematica “urgente” per la fraternità, ad una questione quale quella dello studio che nelle sue
dinamiche era perfettamente legata ai due possibili stili di vita posti a contrasto dal Santo. Oltre che nei
rapporti tra ministri e sudditi, anche negli studi emergeva il rischio di una ricerca del dominio e non del
servizio. Si potrebbe interpretare l’inserzione rivolta ai “nescientes” come una specie di “lapsus freudiano”,
dove più o meno inconsciamente Francesco dalle sue stesse esortazioni alla minorità è spinto a fare questa
piccola deviazione e applicazione concreta riguardante la questione degli studi interrompendo quel preciso
ritmo redazionale fondato sul rapporto tra “cavenat … sed attendant” che egli riprendeva dalla costruzione
testuale del passo parallelo presente nel XVII capitolo della Rnb. A livello storico è possibile pensare alla
nascita all’interno dell’Ordine di una certa problematica legata agli studi, una situazione nuova, assente agli
inizi e non ancora trattata nella Rnb, che doveva essere confrontata e integrata con la scelta minoritica
rivelata da Dio a Francesco e ai suoi primi frati. L’entrata nella fraternità di un sempre più grande numero di
letterati e chierici preparati stava facendo emergere il rischio di perdere l’essenziale della sequela di Cristo a
causa della scienza, nella quale si nascondeva il pericolo di una frattura verticale tra coloro che sapevano le
lettere e quelli che non le conoscevano, creando forse anche tensioni interne animate dal desiderio di
“dominio culturale” e facendo scatenare quei sentimenti da cui mette in guardi nelle prime otto esortazioni
morali. L’“aggiunta redazionale” dedicata agli studi e inserita tra le ammonizioni dirette a tutti i frati per
aiutarli a conservare uno spirito di minorità sembra rinviare a questo retroterra storico. E si potrebbe valutare
l’inserzione del breve passaggio sugli studi un po’ alla stregua dei testi negativi della Rnb giudicati ormai
concordemente dagli studiosi come le tracce di una stratificazione redazionale dell’evoluzione subita dal
12010 al 1221 dal testo della prima Regola per essere adeguata ai diversi problemi che si venivano
presentando ai frati nella realizzazione della loro vocazione 20; l’ammonizione ai “nescientes litteras” più che
un’inserzione successiva di tipo temporale, va vista di tipo “psicologico”, cioè come aggiunta
“inconsapevole” mossa dallo stesso clima del contesto spirituale e rivolta ad un “problema nuovo” e molto
concreto che, pur esulando dalle questioni generali trattate nel capitolo X, era incluso all’interno di quel
clima esortativo alla minorità. L’aggiunta rivolta ai “nescientes” lascia dunque pensare ad una tensione in
senso alla fraternità tra minorità e studi: questi in fondo non sono importanti, – tanto che chi non sa leggere
non deve preoccuparsi –, mentre vi è un nucleo essenziale da difendere come costitutivo della propria vita
rappresentato dallo spirito di minorità e sudditanza che rischia di essere messo in forse o addirittura perduto a
causa degli studi. I frati non si curino di saper leggere ma di possedere lo “Spiritum Domini”, la sua
sapienza, cioè la semplicità del cuore.
Per comprendere meglio questa esortazione concreta rivolta ad una questione particolare come quella
del sapere leggere posta, però, all’interno di una esortazione morale a favore della minorità di spirito, credo
sia opportuno fare attenzione all’utilizzo dell’aggettivo “simplex” che nelle tre volte presente nei testi di
Francesco ricorre per due volte come autoqualifica del Santo. La prima è posta in relazione ad un altro
aggettivo, e insieme caratterizzare due ambiti fondamentali dell’esistenza “povera” di Francesco, il primo
spirituale, il secondo fisico: “Et quamvis sim simplex et infirmus tamen…” 21. Nel secondo passaggio invece
l’aggettivo “simplex” è una qualifica data da altri a Francesco ed è abbinato ad un aggettivo che ne specifica
il suo significato spirituale: “tu es unus simplex et idiota” 22; i due termini appartengono allo stesso contesto
semantico e possono essere letti nelle due direzioni: la semplicità intellettuale di Francesco aveva il suo
prolungamento concreto nel suo essere illetterato e, viceversa, l’essere illetterato costituiva la condizione
migliore per essere semplice. Francesco si sente e si presenta come una persona sguarnita da una
impostazione mentale sofisticata e intellettuale, cioè caratterizzata da quella semplicità di pensiero e di cuore
tipica di coloro che non hanno avuto accesso alla lettura. Un uomo illetterato può raggiungere meglio la
semplicità e con essa vivere in uno stato di minorità e sudditanza. Questo è il secondo ambito che nasce dalla
concatenazione dei termini presenti nella testualità francescana, infatti, come Francesco ricorda nel
Testamento, vi è una ennesima relazione coordinata tra essere illetterati e sudditi: “Et eramus idiotae et
subditi omnibus”23. Le parole, dunque, messe in relazione da Francesco e che insieme formano un’unità
semantica sono: simplex, idiota, subditus, e dunque simplex, nesciens litteras, minor. Da questo circolo
terminologico nasce l’esortazione inserita nella seconda parte del X capitolo: uno spirito di semplicità e

20
L’opinione proposta da D. FLOOD nel suo studio sulla Rnb (Die Regula non bullata der Minderbrüder, p. 105-108), è
ormai accettata da tutti.
21
Test. 29 (Ff, p. 230).
22
Perf.Let. 11 (Ff, p. 242).
23
Test. 19 (Ff, p. 229).

6
minorità è favorito dall’essere illetterato, intesa quale condizione concreta per difendere relazioni fraterne
fondate non sulla corsa verso l’alto del potere, ma verso il basso del servizio reciproco.

3. La doppia anima dell’“intentio Francisci” sugli studi


Minorità/semplicità e impegno intellettuale non sono dunque conciliabili per Francesco? Sebbene non
vogliamo impegnarci in una trattazione specifica di questa domanda, con la quale molti si sono confrontati
senza giungere ad una risposta univoca e definitiva 24, vorremo proporre una doppia considerazione finale che
prenda le mosse proprio dall’esortazione fatta ai “nescientes litteras”.
Nel gioco testuale svolto dall’ammonizione nel contesto del capitolo X della Regola occorre
sicuramente dire che lo studio e le lettere sono poste in qualche modo a contrasto con lo spirito di minorità,
esortato come essenziale per la vita dei frati. Questo giudizio di sospetto nei confronti degli studi è
confermato e accentuato da un altro passo, dal cui confronto si evidenzia la diversa valutazione data da
Francesco ai due ambiti di vita del frate minore: infatti mentre il Santo esorta a non imparare a leggere per
chi non sappia le lettere, al contrario riguardo al lavoro manuale, cioè riguardo ad ogni “laboritio quod
pertinet ad honestatem” Francesco trasforma radicalmente l’esortazione: “Qui nesciunt, discant” 25.
Contrariamente al lavoro intellettuale, per Francesco il lavoro manuale non si oppone alla minorità, anzi la
favorisce.
Insieme a questa prima riflessione occorre dire che l’“intentio” di Francesco espressa nell’ammonizione
del X capitolo contiene un altro aspetto, che in qualche modo completa il precedente controbilanciando quel
giudizio negativo. Se da una parte, il santo fondatore esorta il gruppo dei “nescientes litteras” a non
preoccuparsi di imparare, non dice niente nei confronti dei frati “intellettuali”. Il testo non esprime un
comando, né vi è un giudizio radicalmente e globalmente negativo nei confronti di ogni attività di studio,
come sono le diverse proibizioni contenute nella Regola nei confronti a esempio del denaro e di altri ambiti
dell’attività dei frati. Lo studio non è proibito come assolutamente contrario alla vita dei frati, né, dunque,
alla loro scelta di minorità e semplicità. E’ possibile dunque rilevare nell’ammonizione del X capitolo una
specie di insicurezza e ambiguità nella posizione di Francesco: non entusiasta degli studi, anzi sospettoso
della loro conciliabilità con una vita minoritica, egli non condanna in modo radicale e totale ogni forma di
studio.
Tale forma di ambiguità viene confermata e specificata in altri due passaggi di Francesco i quali
mostrano che non si è di fronte ad un’ambiguità, ma a due “anime” nel Santo. Esse emergono in modo molto
evidente nel Testamento, testo finale, così importante per comprendere le “intenzioni” dell’ultimo Francesco,
dove è possibile rintracciare un doppio spirito nei confronti degli studi. Da una parte Francesco ripensa con
nostalgia ai tempi in cui egli e i suoi primi compagni erano “idiotae et subditi” 26, cioè illetterati e minori, una
situazione questa giudicata come riferimento ideale della fraternità minoritica; dall’altra il Santo riconosce ai
teologi un ruolo di centrale importanza per la fede, definiti come coloro che dispensano lo spirito e la vita, ai
quali egli riconosce lo stesso trattamento riservato all’Eucarestia:
Et omnes theologos et, qui ministrant sanctissima verba divina, debemus honorare et venerari, sicut qui ministrant
nobis spiritum et vitam27.
Una conferma di questo “doppio sentimento” nei confronti degli studi e degli studiosi è confermato e
“risolto” nel famoso biglietto inviato a frate Antonio, dove il Santo esprimeva il suo favore all’insegnamento
della teologia impartita da Antonio ai suoi confratelli.
Placet mihi quod sacram theologiam legas fratribus, dummodo inter huius studium orationis et devotionis spiritum
non exstinguas, sicut in regula continetur28.
In Francesco non vi è dunque né un diniego, né una sopportazione della richiesta fattagli da Antonio di
insegnare teologia, al contrario nel Santo vi è gioia e piacere. Nello stesso tempo il richiamo allo spirito di
orazione e devozione a cui debbono sottostare gli studi e soprattutto il rinvio alla Regola fatto in quel
biglietto, e cioè proprio al X capitolo, precisano l’atteggiamento con il quale Antonio deve vivere il suo
impegno. La sua preparazione teologica e la sua attività di insegnamento non debbono fargli eliminare lo

24
Cf. quanto già detto in Nescientes litteras, p. 37-39.
25
Test. 21 (Ff, p. 229).
26
Test. 19 (Ff, p. 229).
27
Test. 13 (Ff, p. 228). Gli stessi verbi infatti erano usati per i “sanctissima mysteria” che egli vuole “honorari et
venerari” (Test. 11 [Ff, p. 228]).
28
EAnt. (Ff, p. 55).

7
spirito di semplicità e minorità, dal quale lo studio deve essere sempre guidato e giudicato. In questo
biglietto, dunque, troviamo riassunta la doppia tensione di Francesco e la sua risposta nei confronti degli
studi sulla cui legittimità e utilità per l’Ordine egli in pratica risponde con un “Sí, però…”.
In Francesco non vi è sicuramente un’opposizione di principio nei confronti degli studi, ma soltanto una
forte preoccupazione a favore di un valore ancora più grande e irrinunciabile quale è una vita vissuta nella
reciproca sudditanza e servizio, nella minorità e nella semplicità di spirito. I testi del Santo offrono dunque
dei punti di riferimenti ideali dove sono indicati delle tensioni e dei confini, senza stabilire però delle
soluzioni precise e definitive.

II. LE DUE IMMAGINI DI FRANCESCO NEL DIBATTITO DEI PRIMI CINQUANTANNI DELL’ORDINE
Questa sorta di ambiguità o meglio bipolarità della posizione di Francesco diventerà una grave domanda
da risolvere nei decenni successivi della sua morte, quando si assisterà ad una specie di “metamorfosi”
dell’Ordine29. L’espansione numerica, la clericalizzazione e il forte impegno pastorale spinge l’Ordine ad una
precisa e ampia “intellettualizzazione”, ad una sorta di svolta intellettuale nella quale gli studi diventano una
scelta necessaria e pianificata.
Senza voler fare la storia degli studi nell’Ordine per dimostrare la presenza di questa svolta già a ridosso
della morte del fondatore30, ricordiamo semplicemente tre date con tre altrettanto significativi avvenimenti:
nel 1236 entra nell’Ordine il famoso maestro di Parigi Alessandro di Hales, decisione clamorosa che oltre a
dare il diritto ai Minori di avere una cattedra di insegnamento all’Università parigina, sarà di esempio e di
stimolo all’entrata nelle file dei frati minori di una grande quantità di studenti e professori; nel 1239 il
generale frate laico Elia verrà sostituito prima dal frate sacerdote Alberto da Pisa a cui, per la sua morte
improvvisa, dopo pochi mesi succederà Aimone di Faversham professore a Parigi e entusiasta assertore
dell’impegno intellettuale dell’Ordine; sempre nel 1239 inizia la stesura e l’organizzazione delle prime
costituzioni dell’Ordine, conosciute come prenarbonensi, nelle quali oltre a confermare e regolamentare una
vita “universitaria” negli “studia generalia” dell’Ordine minoritico, si stabiliscono dei criteri esclusivamente
culturali per l’ammissione dei nuovi candidati 31.
In questa svolta l’Ordine è rimasto fedele alla sua vocazione o ha tradito invece l’“intentio Francisci”? E
dunque qual era la volontà di Francesco e la sua proposta di vita lasciata in eredità ai suoi frati riguardo agli
studi? Due sono le risposte date a queste domande, due posizioni che tratteggiano due immagini distinte e
contrapposte di Francesco e che assumiamo da due racconti biografici del Santo, da quei documenti, cioè che
veicolavano l’idealità minoritica e costituivano punti di riferimento importanti per l’autocoscienza dei frati.
Il primo testo è redatto verso il 1245 e ci è consegnato da alcuni compagni di Francesco, il secondo è del
1262 composto da generale dell’Ordine Bonaventura da Bagnoregio. I due testi costituiscono le due risposte
alternative alle domande che esploderanno in senso all’Ordine negli anni successivi alla morte di Francesco,
riguardanti la possibilità e la modalità di conciliare alla semplicità e minorità francescana l’impegno serio e
ampio per gli studi.

1. I testi leonini della Compilatio assisiensis: Francesco contrario agli studi


A livello di storia redazionale gli studiosi sono fondamentalmente d’accordo nel ritenere che l’opu scolo
costituisca il risultato di un lavoro redazionale – ed è per questo che si preferisce ora chiamarlo Compilatio –,

29
Secondo l’espressione utilizzata da G.G. MERLO, Storia di frate Francesco e dell’Ordine dei Minori, in Francesco
d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, Ed. Einaudi, Torino, 1997, 17-20, dove viene accentuata l’importanza in tale
movimento di trasformazione al ruolo dei frati intellettuali.
30
Sulla nascita e gli sviluppi degli nell’Ordine sono ancora validi sia la presentazione generale fatta da GRATIEN DE
PARIS, Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des frères mineurs au XIII e siècle, (Bibliotheca seraphico-
capuccina, 29), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2, 1986, p. 125-135; uno studio più ampio e specifico è quello di H.
FELDER, Geschichte der wissenschaftlichen Studien im Franziskanerorden, Freiburg im Br., 1904, in particolare si vedano i
capitoli II-IV della seconda parte riguardo ai tre studi. Recentemente è stato pubblicato un importante lavoro
sull’organizzazione educativa all’interno dell’Ordine nei prime tre secoli di storia B. ROEST, A history of Franciscan education
(c.1210-1517) (Education and Society in the Middle Ages and Renaissance, 11), Köln, 2000.
31
“Nullus recipiatur in ordine nostro nisi sit talis clericus qui sit competenter in gramatica instructus vel loica vel
medicina vel decretis vel legibus vel theologia, aut nisi sit talis clericus vel laicus, de cuius ingressu esset valde famosa et
celebris edificatio in populo et in clero” (Praenarbonenses, 30, per il testo C. CENCI, De Fratrum Minorum Constitutionibus
Praenarbonensibus, in Ach. Franc. Hist., 83 [1990], p. 50-95). Sull’impostazione delle prime costituzioni a favore degli studi
cf. Nescientes litteras, p. 77-85.

8
realizzato ad Assisi intorno agli anni 1247-1260 32, nel quale un anonimo frate riprende piú o meno
integralmente, senza nessun ordine cronologico o tematico, le memorie dei socii di Francesco inviate al
generale Crescenzio da Jesi per l’inchiesta da lui promossa nel 1244 al fine di offrire a Tommaso da Celano
nuovo materiale per una seconda vita di Francesco. L’obiettivo editoriale dell’anonimo compilatore era
conservare memorie preziose su Francesco e i suoi primi frati inviate da frate Leone e dai suoi compagni, ma
che, non essendo state utilizzate completamente da Tommaso, rischiavano di essere dimenticate: “Bisognava
allora salvarle: nasceva così la Compilatio assisiensis”33.
Tra il materiale narrativo presente nella raccolta è stato individuato un blocco di testi corrispondenti ai
numeri 102-10534 che si ritiene sicuramente appartenuti ai famosi “rotuli” di frate Leone 35, anch’esso
materiale inviato a Crescenzio, che sebbene ignorato da Tommaso, restò in circolazione tra i frati fino ad
essere utilizzato da Ubertino da Casale nella disputa avignonese con la comunità 36 e nel suo Arbor vitae, e
poi anche da Angelo Clareno nell’Expositio regulae37. Il problema centrale trattato in questi numeri è la
questione degli studi, giudicati come non facilmente conciliabili con la vocazione specifica dei frati minori.
Nella valutazione fortemente negativa che emerge dagli episodi raccontati dai tre ampi numeri della
Compilatio è possibile ritenere che in essi si condensi un sentire serpeggiante nelle file dell’Ordine che vuole
trovare in Francesco la base ideale del loro sospetto nei confronti degli studi. Che però essi possano essere
ritenuti attendibili nella ripresentazione storica di Francesco sul giudizio riguardo agli studi è un’altra
questione a cui risponderemo alla fine della lettura dei testi.
Alla base dei racconti si trovano due episodi in qualche modo paralleli, caratterizzati dalla doppia
richiesta rivolta a Francesco innanzitutto da un ministro riguardo ai molti libri da lui posseduti (n. 102), e poi
da un novizio sulla possibilità di possedere un breviario (n. 103-105). I dialoghi che si sviluppano nelle due
situazioni hanno alcuni elementi narrativi comuni che rendono i testi di estremo valore per la questione da
noi affrontata. Gli episodi sono collocati cronologicamente dopo il ritorno di Francesco dall’Oriente, quando
cioè egli non è più ministro dell’Ordine38. Inoltre, per ambedue i casi non si tratta di avere il permesso di
Francesco, ma di sapere il suo parere, la sua “intentio”, percepita dai due frati come necessaria e urgente per
tranquillizzare la loro coscienza, sebbene avessero già ricevuto il permesso dai superiori di conservare i libri
e di ricevere un breviario. Il bisogno urgente e ripetuto di ottenere il consenso anche di Francesco rivela
l’importanza ideale posseduta dalla sua “intentio”: secondo la struttura dei racconti il modo di sentire di
Francesco, pur non avendo potere giuridico, conservava un valore risolutivo nel giudicare le scelte fatte o da
dover fare riguardo alla questione dei libri e della scienza. Nello stesso tempo occorre notare il ruolo
simbolico posseduto dai due frati che si rivolgono a Francesco, quali rappresentanti dei due estremi della
fraternità minoritica: il primo, il ministro, è colui che ha la responsabilità del mantenere gli altri frati fedeli
alla loro vocazione, il secondo, cioè il novizio, è colui dal quale dipenderà lo stile di vita futuro dell’Ordine.
Dai due, dunque, dipendono le scelte presenti e future della fraternità, scelte i cui criteri di valutazione
debbono avere in Francesco e nella sua “intentio” i punti di riferimento costanti ed essenziali. Questo è il
primo grande e fondamentale messaggio che viene veicolato all’Ordine da questi testi 39.
A livello di contenuto i due episodi sviluppano due grandi obbiezioni nei confronti degli studi. Nel
primo episodio al centro vi è la questione del rapporto tra la povertà e gli studi, se cioè fosse possibile
conciliare l’assoluta povertà professata dall’Ordine con i molti libri posseduti dal ministro. La risposta del
Santo è assoluta e senza tentennamenti: occorre osservare la Regola alla lettera, ed essa concede di avere
32
Cf. E. MENESTÒ, La Compilatio assisiensis, in Ff, p. , 1464; si veda ancora la recente sintesi fatta da F. URIBE,
Introduzione alle fonti agiografiche di san Francesco e santa Chiara d’Assisi Sec. XIII-XIV) (Saggi 7), Ed. Porziuncola,
Assisi, 2002 p. 288-296 il quale distingue livelli storici successivi di blocchi redazionali presetni nel testo.
33
E. MENESTÒ, La Compilatio assisiensis, p. 1468.
34
Ff, p. 1639-1647.
35
Sui dati cronologici e sull’“attività editoriale” di frate Leone cf. E. MENESTÒ, Leone e i compagni di Assisi, in I
compagni di Francesco e la prima generazione minoritica. Atti del XIX Convegno internazionale. Assisi, 17-19 ottobre 1991
(Società Internazionale di Studi Francescani), Spoleto, 1992, rispettivamente p. 41-50, 51-58.
36
Sulla disputa del 1309-1312 tra la comunità e gli spirituali guidati da Ubertino da Casale cf. GRATIN DE PARIS,
Histoire, p. 432-457, sul problema particolare degli studi in quel dibattito cf. P. MARANESI, Nescientes litteras, p. 164-175.
37
Sull’individuazione del materiale appartenuto ai “rotuli” di Leone di cui parla Ubertino dicendo di averli avuti tra
mano e consultati riportando diversi episodi tratta da quel materiale si veda E. PÁSZTOR, Frate Leone testimone di san
Francesco, in Coll. Franc., 50 (1980), p. 50-74.
38
La notazione cronologica apre la serie dei racconti: “unde quodam tempore, quando de ultramarinis partibus reversus
fuit…” (Compilatio, 102, 1 [Ff, p. 1639).
39
Il valore ermeneutico dell’“intentio Francisci”nella valutazione della Regola e delle conseguenti scelte dell’Ordine fu
uno dei temi caldi della disputa di Avignone tra gli spirituali e la comunità, cf. P. MARANESI, Nescientes litteras, p. 170-171.

9
“nisi vestimentum cum corda et femoralibus” 40; né l’intransigenza si ammorbidisce di fronte al turbamento
suscitato nel ministro da tanta durezza, anzi Francesco rimprovera duramente i suoi frati come ipocriti: “vos
fratres minores ab hominibus vultis videri et vocari observatores sancti evangelii et operibus vultis habere
loculos” (102, 9). Dunque, la prima grande obbiezione agli studi deriva dalla povertà, la cui radicalità
professata nella Regola impedisce ogni possesso di libri.
Nel secondo episodio, molto più ampio e articolato, l’attenzione si sposta su di un altro fronte,
maggiormente complesso perché meno “misurabile” come il precedente. L’episodio del novizio (103-105)
che chiede a Francesco di poter ricevere una breviario, è animato dallo stesso spirito del ministro, cioè dal
bisogno di placare la propria coscienza agitata dalla consapevolezza che il permesso accordatogli dai
superiori di avere un breviario si scontrava con l’intenzione di Francesco; il novizio infatti
quia audiverat quod beatus Franciscus nolebat ut fratres sui essent cupidi de scientia et de libris, sed volebat et
fratribus praedicabat ut studerent habere et imitari puram et sanctam simplicitatem, orationem sanctam et
dominam paupertatem41.
E il racconto, che si snoda nei tre lunghi numeri, costituisce una specie di lotta tra il novizio, che ritorna
piú volte alla carica per strappare il permesso da Francesco, ed il Santo, che resiste ai diversi assalti. La
totale irremovibilità di Francesco non dipende da una sua avversione alla scienza sacra, al contrario “eos qui
erant sapientes in Religione et omnes sapientes nimio venerabatur affectu”42, tanto da essere riportato anche
il passo del Testamento che dice “omnes theologos debemus honorare”; la sua fermezza contro ogni
concessione ai libri e alle scienze dipendeva dalla preveggenza, donatagli “per Spiritum Sanctum”, che
multi fratres sub occasione hedificandi alios dimittent vocationem suam, videlicet puram et sanctam simplicitatem,
orationem sanctam et dominam nostram paupertatem43.
Ecco i termini che si opponevano, secondo il racconto della Compilatio, allo studio: la semplicità,
l’orazione e la povertà44. Nel passaggio emerge una questione centrale nel dibattito della metà del 1200
all’interno della fraternità, dove urgente era conciliare la propria identità francescana con il mandato
pastorale della predicazione e la conseguente e necessaria preparazione culturale. L’impegno pastorale non
doveva, secondo le intenzioni di Francesco riportate dalla Compilatio, far perdere i tre cardini della
vocazione francescana la cui fedeltà avrebbe prodotto più frutti di ogni predicazione piena di scienza,
allontanatasi però dall’ideale di semplicità, devozione e povertà.
Di grande valore in questo contesto è il lungo passaggio che chiude il n. 103, dedicato al contrasto tra i
frati che spendono tanto tempo nello studio per la predicazione e quelli che nel nascondimento si dedicano
alla preghiera. Le parole poste in bocca a Francesco si immettono all’interno della grande domanda sul ruolo
che deve svolgere l’Ordine in seno alla Chiesa per determinare quale dovesse essere il suo stile di vita per
collaborare più efficacemente alla salvezza delle anime. Dedicarsi alla predicazione o vivere negli eremi
pregando e facendo penitenza? La scelta che qui viene fatta è chiaramente a favore della seconda ipotesi: i
veri seguaci di Francesco, coloro che appartengono al suo esercito e sono definiti “mei milites tabule
rotonde”, sono coloro che
latitant in desertis et remotis locis ut diligentius vacent orationi et meditationi sua et aliorum peccata plorantes
quorum sanctitas a deo cognoscitur aliquando a fratribus et ab hominibus ignoratur 45.
E’ grazie alle loro preghiere che molte anime potranno giungere davanti al cospetto di Dio, perché è Dio
che salva non la perizia e le parole umane.
40
Compilatio, 102, 3 (Ff, p. 1639).
Ivi, 102, 9 (Ff, p. 1640).
41
Ivi, 103, 2-3 (Ff, p. 1641).
42
Ivi, 103, 4.
43
Ivi, 103, 6 (Ff, p. 1642).
44
Un testo in qualche modo parallelo, sebbene con toni piú apocalittici e radicali, si trova anche al n. 47: “Dolebat
multum beatus pater si, virtute neglecta, scientia quereretur, presertim si non in ea vocatione quisque persisteret, in qua
vocatus a principio fuerit. ‘Fratres, ait, mei, qui scientie curiositate ducuntur, in die tribulationis manus invenient vacuas
[...]. Nam et ventura est, inquit, tribulatio, qua libri ad nichilum utiles in fenestris proi ciantur et latebris’. Non hec dicebat
quod Scripture studia displicerent, sed quo a superflua cura discendi universos retraheret, et quosque magis caritate bonos,
quam curiositate sciolos esse vellet. Preodorabatur etiam tempora non longe ventura, in quibus occasionem ruine fore
scientiam sciret. Quendam sociorum eius aliquando predicationibus intendentem, post mortem in visione apparens,
prohibuit, viamque simplicitatis incedere iussit”. Il testo è riportato anche dalla Secunda vita di TOMMASO al n. 195,
facendo di questo brano la conclusione del tema trattato ai numeri 189-195 “de sancta simplicitate”.
45
Compilatio, 103, 13 (Ff, p. 1643).

10
La predicazione e la necessaria preparazione culturale non solo non sono, secondo la Compilatio,
elementi costitutivi della vita scelta da Francesco, ma rappresentano attività rischiose per la fedeltà ad una
vita minoritica fondata su di uno spirito di semplicità:
Unde omnes fratres tam ministros quam praedicatores informabat ad opera dicens eis quod propter praelationem et
officium et sollicitudinem praedicandi omnino non deberent dimittere sanctam et devotam orationem ire pro
eleemosyna et operari manibus suis sicut alii fratres propter bonum exemplum et lucrum animarum suarum et
aliorum46.
Gli studi sono inoltre pericolosi perché porteranno nella fraternità una sottile ma precisa divisione tra
coloro che hanno la scienza e quelli che invece ne sono sprovvisti, introducendo uno spirito di dominio e di
potere. Proprio questo tema sarà alla base della risposta data da Francesco al secondo tentativo del novizio
di ottenere dal santo il permesso di avere un breviario:
Postquam habueris psalterium, concupisces et voles habere breviarium; postquam habueris breviarium, sedebis in
cathedra, tamquam magnus prelatus dicens fratri tuo: Apporta michi breviarium47.
Ad esso aggiunge anche una confidenza: “Ego similiter temptatus fuit habere libros” che superò
mediante la lettura del testo biblico: “Vobis datum est nosse mysterium regni Dei”. La conclusione è molto
forte: “Et ait: Tot sunt qui libenter ascendunt ad scientiam, quod beatus erit qui fecerit se sterilem amore
Domini Dei”48. Nel contrasto posto tra “ascendere ad scientiam” e “facere se sterilem” credo si possa
intravedere lo spirito della “minorità” che vuole evitare il rischio di lasciare il basso per ascendere in alto
mediante la scienza. I frati debbono rimanere semplici per poter essere “minori”; difficilmente coloro che
hanno una grande scienza riusciranno a mantenere uno spirito di semplicità e dunque di minorità.
A livello di terminologia occorre concludere che la questione dell’accordo degli studi con la vita
francescana è rapportata in questi testi della Compilatio mediante la parola “simplicitas” che traduce la
vocazione alla “minoritas” nel contesto degli studi. Si può dire che negli episodi biografici riportati nei
quattro numeri della Compilatio emerge l’abbinamento terminologico tra “simplicitas” e “studium” già
presente, come si è visto, in forma indiretta negli scritti di Francesco. Negli episodi narrati dalla Compilatio
le due categorie vengono abbinate e poste a contrasto in modo chiaro e forte. Tale relazione tra le due parole
non solo continua a permanere nei circoli spirituali dei decenni successivi, ma acquista una valenza risolutiva
nell’affrontare la questione degli studi all’interno dell’Ordine. Emblematico è l’utilizzo del termine
“simplicitas” fatto cinquant’anni dopo da Ubertino da Casale nella sua disputa con la comunità conventuale
accusata precisamente di aver perso a causa degli studi la “simplicitas innocentissima quam columbinam
Christus vocat”49. Questi racconti “leonini” trasmessi dalla Compilatio assumono, dunque, un termine tanto
importante nei testi di Francesco qual è lo spirito di semplicità per porlo, insieme alla povertà e allo spirito di
orazione, a misura dello stile francescano nello studio: esso sarà francescano e dunque minore se sarà
semplice.
Sebbene questi racconti pretendano di essere delle memorie privilegiate di quali fossero state le
“intenzioni” di Francesco durante la sua vita nei confronti degli studi, si deve ritenere che i due episodi e i
“logia” di Francesco in essi contenuti più che sicure informazioni biografiche sul Santo vadano letti come
uno spaccato della tensione creatasi negli anni 30-40 tra le diverse anime dell’Ordine su di una questione
cruciale della propria identità. Le memorie inviate al generale Crescienzo da Jesi e contenute nei “rotuli
fratris Leonis” più che un resoconto storico su Francesco debbono essere considerate un confronto critico di
un gruppo di frati con le scelte operate dall’Ordine e sintetizzate idealmente nei due episodi. Il racconto del
breviario chiesto dal novizio lascia, infatti, dubitare della sua veridicità storica: oltre ad essere una possibilità
concessa dalla Regola di avere un salterio, è difficile pensare tanta fermezza da parte di Francesco nel negare
al novizio un breviario, quando egli stesso ne possedeva uno al quale aveva anche fatto aggiungere un
evangeliario50. Dai numeri 102-105 della Compilatio siamo informati dunque non tanto sull’“intentio” storica
46
Ivi, 103, 18 (Ff, p. 1644).
47
Ivi, 104, 2 (Ff, p. 1645).
48
Ivi, 104, 10 (Ff, p. 1646).
49
Il testo si trova nel memoriale “Sanctitas vestra” inviato alla commissione cardinalizia di inchiesta creata da Clemente
V per risolvere la disputa tra gli spirituali e la comunità all’interno dell’Ordine ed è pubblicato da F. EHRLE, Zur
Vorgeschichte des Concils von Vienne, in Arc.Litt.Kirch.Gesch., III, Berlin, 1887, p. 51-89, per gli studi cf. p. 72s. Un esame di
questo materiale è svolto in P. MARANESI, Nescientes litteras, p. 164-173.
50
Sebbene mai affermato nelle diverse biografie su Francesco, sembrerebbe accettata dalla critica storica la veridicità
della notula autografa apposta da frate Leone all’inizio del breviario da lui lasciato in eredità al protomonastero delle Clarisse

11
dei Francesco sugli studi, quanto sul giudizio critico di un gruppo di frati “compagni di Francesco”,
rappresentati sicuramente di un certo malessere serpeggiante nell’Ordine nei confronti della svolta
intellettuale e pastorale avvenuta nell’Ordine proprio negli anni ‘40. Per frate Leone e la cerchia di frati da
cui nascono queste memorie gli studi sono difficilmente conciliabili con la vocazione minoritica perché
mettono in forse i centri nevralgici della vita rivelata da Dio a Francesco, che doveva essere centrata sulla
semplicità, orazione e povertà; né essi sono giustificabili a motivo della pastorale, in quanto l’autentico
impegno per la salvezza delle anime a cui dovevano essere chiamati i frati minori non doveva essere la
predicazione, ma la preghiera e la meditazione negli eremi.

2. La Legenda maior di San Bonaventura: Francesco favorevole agli studi


Nel capitolo di Roma del 1257, i frati oltre ad eleggere il giovane professore di Parigi, Bonaventura da
Bagnoregio, a generale dell’Ordine, avevano anche espresso il desiderio di avere un’unica biografia di
Francesco così da superare i tanti e diversificati testi biografici circolanti nell’Ordine 51. Si trattava di
proporre un’immagine unitaria e definitiva di Francesco quale riferimento ideale per tutti i frati.
L’operazione biografica, dunque, rivestiva un valore fondamentale per l’autocoscienza di un Ordine che
doveva conciliare e mantenere uniti gli sviluppi organizzativi, culturali e pastorali con la sua idealità
minoritica.
Una delle domande a cui Bonaventura doveva rispondere riguardava anche le “intenzioni” di Francesco
sul ruolo degli studi e dell’impegno culturale e pastorale nella vita dell’Ordine, un aspetto tanto importante
quanto problematico per la coscienza minoritica. I testi attribuiti a Leone che si sono incontrati, pur non
essendo stati inseriti nella Vita seconda di Tommaso da Celano, circolavano tra i frati e costituivano motivo
di turbamento e di perplessità nei confronti delle scelte culturali e pastorali dell’Ordine. Nella lettera inviata
ad un maestro anonimo Bonaventura aveva già affrontato e risolto teoreticamente diverse delle questioni
spinose dell’identità dell’Ordine tra le quale anche quelle riguardanti l’impegno culturale e pastorale dei
frati52. Si trattava ora di affrontare più direttamente la domanda sull’“intentio Francisci” circa gli studi e
l’impegno pastorale dell’Ordine, così da rispondere alle dure critiche che venivano dal Francesco tratteggiato
dalle memorie di Leone. Nella sua Legenda presentata a tutto l’Ordine nel capitolo del 1262, Bonaventura
affronta le due questioni cruciali in due distinti e successivi capitoli: l’XI dedicato al “De intelligentia
Scripturarum et spiritu prophetiae” di Francesco e il XII centrato sul “De efficacia praedicandi et gratia
sanitatm”.

a. Francesco e gli studi


Il passaggio centrale in questa “rilettura” di Francesco è contenuto nei primi due numeri del capitolo
XI53. Il materiale narrativo è chiaramente ripreso dai nn. 102-103 della seconda vita di Tommaso da Celano,
episodi sui quali Bonaventura, però, attua un’importante rielaborazione guidata da precise intenzioni
redazionali a favore degli studi. Al centro del primo numero vi è la descrizione delle capacità interpretative
della Scrittura da parte di Francesco e il posto che ebbero gli studi in questa attività. Come per il Celano,
anche per Bonaventura era importante mostrare che la competenza interpretativa delle Scritture “miro
intellectus acumine” non era stata acquisita da Francesco per scienza umana ma “aeternae lucis fulgoribus”,
una capacità spirituale che nel Santo, conclude Bonaventura utilizzando una bellissima espressione del
Celano, era legata all’amore:
Penetrabat enim ab omni labe purum ingenium mysteriorum abscondita, et ubi magistralis scientia foris stat,
affectus introibat amantis54.
Tutto ciò però non escludeva l’utilizzo dei libri sacri che Francesco, come notano entrambi i biografi,
“quandoque legebat” ruminandoli nel cuore e conservandoli nella memoria. E’ a questo punto che
Bonaventura inserisce la prima grande diversità redazionale nei confronti del testo del Celano. Per Tommaso

di San Damiano ad Assisi, nella quale egli esortava le suore a conservare quel volume “in memoria et devotione sancti Patris”
perché da lui posseduto e costantemente usato fino alla morte (cf. S. A. VAN DIJK, The Breviary of Saint Francis, in Franc.
Stud., 9 [1949] p. 13-40).
51
Per i dati storici della composizione cf. F. URIBE, Introduzione alla fonti agiografiche, p. 239-243.
52
Per una lettura del testo cf. Nescientes litteras, p. 109-116.
53
Leg. maior, XI 1-2 (Ff, p. 869-870).
54
Ivi, XI 1, 2 (Ff, p. 869). Il testo è alla lettera ripreso da TOMMASO DA CELANO: “Penetrabat enim ab omni labe purum
ingenium mysteriorum abscondita, et ubi magistralis scientia foris est, affectus introibat amantis” (Vita secunda, LXVIII 102,
2 [Ff, p. 537]).

12
infatti l’unico metodo di lettura era quello dell’affetto e non quello “per millenos evagari tractatus” 55,
aggiungendo che vero filosofo è “qui desiderio vitae aeternae nihil praeponeret” 56, e che soltanto l’umiltà
permette di far passare dalla scienza umana alla scienza divina. Questo duro giudizio sul metodo
“scolastico”, reputato inutile per affrontare la Scrittura, è totalmente tralasciato da Bonaventura, per il quale,
invece, come dirà nell’Hexaemeron, l’ultima opera teologica da lui prodotta, occorre assolutamente un
metodo ordinato e progressivo nello studio della Scrittura 57. A questa significativa omissione fa seguito una
decisiva aggiunta di un testo assente sia in Tommaso, che nelle altre fonti biografiche, dove Bonaventura
riporta una testimonianza secondo la quale Francesco non solo non era contrario agli studi, ma anzi era
contento che i suoi frati, entrati nell’Ordine già letterati, studiassero la Scrittura. Sia nella domanda posta a
Francesco che nelle parole di riposta del Santo si risente chiaramente il rinvio al biglietto inviato ad Antonio:
“Mihi quidam placet”58, a cui si aggiunge l’esortazione a unire allo studio la devozione e la pratica di quanto
studiano. A questa convergenza tra lavoro intellettuale e devozione spirituale, Bonaventura fa seguire anche
un’altra coppia di atteggiamenti che rappresentano sicuramente la sua visione media tra un puro
spiritualismo sdegnoso e sospettoso per ogni lavoro intellettuale e un impegno culturale sganciato dalla
santità di vita:
Volo inquit fratres meos discipulos evangelicos esse sic que in notitia veritatis proficere, quod in simplicitatis
puritate concrescant, ut simplicitatem columbinam a prudentia serpentina non separent, quas Magister eximius ore
suo benedicto coniunxit59.
Lo sforzo intellettuale verso la conoscenza della verità deve mirare al raggiungimento della semplicità,
così da porre insieme il suggerimento di Gesù in Mt 10,16 di essere sia come serpenti, cioè intelligenti, sia
come colombe, cioè semplici. Bonaventura, dunque, affronta direttamente la parola chiave utilizzata da
Leone per mettere sotto accusa gli studi come pericolosi per la vocazione francescana; l’operazione
interpretativa del generale dell’Ordine non è quella di negare l’importanza della semplicità per l’idealità
dell’Ordine, ma quella di ampliarla e completarla: sia attraverso il rinvio al breve testo inviato ad Antonio,
sia attraverso una particolare esegesi del testo di Mt 10,16 il santo biografo di Francesco vuol evidenziare
che la “simplicitas” non solo non si oppone all’intelligenza, ma deve accordarsi con essa, le due si
sostengono e crescono a vicenda, appunto come risulta anche dall’invito di Gesù di essere insieme serpenti e
colombe.
Nel numero successivo60 Bonaventura, seguendo il testo del Celano 61 che racconta l’incontro avuto da
Francesco con un dottore in sacra scrittura, sviluppa una seconda importante rilettura della questione degli
studi. Accorciando notevolmente l’episodio del dialogo tra il santo e il dottore, – passando sotto silenzio però
che questo apparteneva, come era per Tommaso, all’Ordine dei predicatori – Bonaventura, oltre a riportare lo
stupore del maestro per la sapiente interpretazione data da Francesco ad un difficile passo della Scrittura,
offre una importante conclusione assente in Tommaso:
Nec absonum, si vir sanctus scripturarum a Deo intellectum acceperat, cum per imitationem Christi perfectam
veritatem ipsarum descriptam gestaret in opere et per sancti Spiritus unctionem plenariam, doctorem earum apud
se haberet in corde62.
Lo stato di perfetta santità, che gli faceva possedere “santi Spiritus uncitonem plenariam”, esentava
Francesco dalla fatica dello studio, una considerazione dalla quale sembrerebbe Bonaventura faccia sgorgare
una implicita ma chiara conclusione: coloro che invece non hanno questo dono non possono astenersi
dall’impegno dello studio. Francesco era come un aquila e la sua scienza dunque volava sui misteri della
Scrittura, al contrario “nostra vero scientia ventre graditur super terram” 63; di conseguenza, sembrerebbe dire

55
TOMMASO DA CELANO, Vita secunda, LXVII 102, 5 (Ff, p. 537).
56
Ivi.
57
Nella collazione XIX dell’Hexaemeron Bonaventura affronta la metodologia dello studio della Scrittura dove propone
la convergenza tra studio letterale, con le sue esigenze scientifiche, e studio spirituale quale frutto ultimo del nutrimento della
Scrittura. Su tutto ciò cf. P. MARANESI, Littera et spiritus: i due principi esegetici di Bonaventura da Bagnoregio, in Coll.
Franc., 66 (1996), p. 97-125, dove si amplia quanto già scritto in Verbum inspiratum, chiave eremeneutica dell’Hexaemeron
di san Bonaventura (Bibliotheca seraphico-capuccina, 51), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, 1996, p. 302-311.
58
Leg. maior, XI 1, 5 (Ff, p. 870).
59
Ivi.
60
Leg. maior XI 2 (Ff, p. 870)
61
Cf. Seconda Vita, LXIX 103 (Ff, p. 537-8).
62
Leg. maior XI 2 (Ff, p. 870).
63
Ivi.

13
Bonaventura, noi dobbiamo utilizzare i nostri poveri mezzi offertici dalla scienza per addentrarci nella
Scrittura; e per Bonaventura questa è la situazione di ognuno che doveva affrontare la Scrittura. Appellarsi a
Francesco nel rifiutare lo sforzo dell’intelligenza e dello studio significava volersi confrontare superbamente
con la santità inarrivabile e inimitabile di un uomo ripieno dei doni di Dio. Dunque, con umiltà
rassegniamoci ad utilizzare i lenti strumenti dell’intelligenza per accedere ai misteri della Scrittura così da
poterla annunciare efficacemente agli altri 64. Tale sembra essere la conclusione offerta dal padre generale ai
suoi frati nell’elaborazione del testo del Celano.
In conclusione, si può dire che Bonaventura nella sua rilettura biografica di Francesco riguardo agli
studi abbia effettuato una doppia operazione per superare il contrasto tra vocazione francescana e l’impegno
intellettuale proposto nei testi leonini: innanzitutto ha eliminato la portata critica della parola “simplicitas”
conciliandola di fatto con la necessità degli studi quale via ad essa, e poi ha tentato di innalzare Francesco ad
uno stato di perfezione e santità tale da non poter più essere imitato ma solo ammirato da parte degli altri
frati. Voler rifiutare gli studi a favore di una pura intelligenza spirituale non sarebbe stata una scelta di fedeltà
a Francesco, ma di superbia da parte di coloro che non possono disporre degli stessi doni soprannaturali
concessi al Santo. La fedeltà a lui invece comportava un impegno umile negli studi per accedere a quella
semplicità di spirito e di devozione a lui donata in pienezza direttamente dallo Spirito santo.

b. Francesco e la predicazione
L’altro fronte caldo della disputa interna all’Ordine e nelle quale si giocava la possibilità e la necessità
degli studi riguardava l’attività pastorale a cui erano chiamati i frati. Come si è visto, per i testi leonini la
questione non era semplicemente se i frati dovessero studiare per la predicazione, ma è in qualche modo
anticipata, e cioè se i seguaci di Francesco dovessero dedicarsi pienamente all’attività pastorale tra la gente: i
cavalieri della tavola rotonda non dovevano brandire la spada della predicazione quale arma di
combattimento, ma la preghiera umile e ritirata negli eremi. Bonaventura non poteva dunque esentarsi dalla
domanda riguardo al posto occupato dalla predicazione nella vita di Francesco. La questione è tanto urgente
e fondamentale da essere affrontata due volte nella Leggenda maggiore, sia nel capitolo IV che nel capitolo
XII65. Innanzitutto la questione è trattata al capitolo IV dove, in sostanziale conformità con tre altre fonti
biografiche, i primi compagni insieme a Francesco debbono decidere all’inizio della loro attività “utrum inter
homines conversari deberent, an ad loca solitaria se conferre” 66. La risposta, donatagli per rivelazione divina,
lo invitava a impegnarsi a strappare le anime al diavolo, e per questo “magis omnibus quam sibi soli vivere
preelegit, illius provocatus exemplo, qui unus pro omnibus mori dignatus est”67.
L’altro testo lo troviamo all’inizio del XII capitolo dedicato alla descrizione dell’ampia attività
predicazionale svolta da Francesco nella sua vita. Il primo elemento da notare di questo importante testo è la
stretta connessione posta da Bonaventura tra questo capitolo con il precedente dedicato, come si è visto
all’intelligenza della Scrittura posseduta dal Santo. Infatti colui che conosceva per dono dello Spirito santo
così bene il vangelo e lo viveva da fedele seguace aveva il diritto e il dovere anche di predicare: in questa
relazione posta tra XI e XII capitolo nella Legenda, cioè tra dono sapienziale e predicazione Bonaventura
giustifica indirettamente il bisogno da parte dei frati minori di conoscere il vangelo per poterlo annunciare
efficacemente. Evidenziata questa logica redazionale rintracciabile tra i due capitoli, soffermiamoci
brevemente sul primo numero che apre il XII capitolo, dove Bonaventura racconta la soluzione trovata dal
santo alla sua “magnam dubitationis cuiusdam agoniam” 68 di fronte ai due possibili stili di vita. L’elenco dei
vantaggi della vita ritirata in preghiera e i pericoli spirituali nell’andare tra la gente a predicare messi in
bocca a Francesco dal biografo costituiscono una sintesi mirabile delle obbiezioni che si sono in parte lette

64
In qualche modo si conferma qui l’interpretazione generale data da G. MICCOLI sulle intenzioni redazionali che
guidarono la penna di Bonaventura nella sua Legenda di fare di Francesco un esempio da ammirare più che da imitare,
un’operazione biografica attraverso la quale superare la pura osservanza letterale proposta dalla corrente spiritualista (cf.
Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Einaudi, Torino, 1991, p. 281-301).
65
Una accurata presentazione della tradizione biografica sul problema della scelta tra vita eremitica e vita apostolica è
fatta da P. MESSA, Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Porziuncola, Assisi, 2001. Nel V e ultimo capitolo,
quello dedicato al periodo che segui il ritorno da Roma e la prima attività nella valle spoletana, l’A. dedica un ampio spazio ai
due testi bonaventuriani (cf. p. 125-130).
66
Leg. maior, IV 2, v. 2 (Ff, p. 804). Per un’analisi particolare di questo capitolo e dei testi paralleli della Vita prima
dell’Anonimo perugino e dei Tre compagni si vedano le pagine di P. MESSA p. 109-126.
67
Leg. maior, IV 2, v. 4 (Ff, p. 804)
68
Ivi, XII 1, v. 2 (Ff, p. 879).

14
nei testi leonini contro la grande attività apostolica dell’Ordine69. A questi forti dubbi sulla predicazione però
si oppone un’unica ma importante considerazione: l’esempio di Gesù che è disceso dal cielo per annunciare
la parola di Salvezza.
Et quia nos debemus omnia facere secundum exemplar eorum quae videmus in ipso tamquam in monte (Es 25,40)
sublimi, videtur magis Deo placitum, quod intermissa quiete foras egrediar ad laborem 70.
Tale considerazione cristologica, che Francesco considera più decisiva delle altre, è confermata da due
interlocutori a cui il Santo aveva sottoposto la domanda su quale scelta di vita seguire: Silvestro e Chiara, la
cui concordia è tanto più decisiva quanto eremitica e claustrale e la loro vita. Essi infatti:
Concordaverunt autem mirabiliter in id ipsum superno eis revelante Spiritu venerabilis sacerdos et virgo deo dicata
beneplaciti scilicet esse divini quod Christi praeco ad praedicandum exiret71.
Gli argomenti messi in campo da Bonaventura nel chiarire la scelta di Francesco a favore a favore di
uno stile di vita apostolica condotta tra la gente sono forti e definitivi: sia l’esempio di Cristo che la concorde
risposta di Silvestro e Chiara, ambedue impegnati nella contemplazione eremitica, hanno confermato a
Francesco la sua vocazione alla predicazione e costituiscono una risposta anche ai dubbi dell’Ordine.
L’unicità e la solennità di questo episodio nel quale Bonaventura mette in campo sia la teologia che la
santità di due testimoni iniziali dell’esperienza di Francesco, mostrano con molta chiarezza l’importanza che
aveva per Bonaventura poter togliere ogni dubbio sul mandato apostolico dell’Ordine. La questione era stata
affrontata con molta angoscia da Francesco ed era stata risolta con altrettanta chiarezza e precisione: insieme
ai suoi frati doveva dedicarsi all’attività della predicazione. E anche in questo caso la conseguenza implicita,
non affermata in modo chiaro e diretto da Bonaventura nel racconto biografico, ma percepita come logica e
necessaria da ogni frate che leggeva questi episodi era il bisogno, anzi il dovere di studiare per svolgere con
efficacia e frutto l’impegno della predicazione appartenente alla vocazione dell’Ordine.

III. CONCLUSIONE
Indubbiamente lo studio e l’impegno intellettuale non appartengono agli elementi costitutivi e fondanti
l’idealità francescana. I testi di Francesco danno poco spazio alla questione intellettuale, e in quei pochi casi
si percepisce una preoccupazione fondamentale: gli studi non debbono far perdere o mettere in forse i valori
fondamentali della vita rivelata da Dio a Francesco centrata sulla semplicità e sulla sudditanza minoritica.
Tuttavia la posizione di Francesco non è quella di un’opposizione radicale e totale nei confronti degli studi,
essi non sono giudicati come essenzialmente contrari all’esperienza rivelatagli da Dio: non vi è una
proibizione assoluta di studiare, anzi, non solo esprime riverenza e onore nei confronti dei professionisti
dello studio sacro, i teologi, ma dà il suo beneplacito ad Antonio per l’insegnamento ai frati della sacra
scrittura. Esiste dunque una specie di tensione, ma non opposizione tra la scelta prioritaria alla minorità e
semplicità e l’accettazione del valore degli studi.
La tensione che già si percepisce nei pochi passaggi dei testi di Francesco, diventerà una questione di
grande importanza e di forti dibattiti subito dopo la morte del fondatore, e ciò a causa della decisa scelta a
favore dell’attività pastorale e la conseguente necessità di una adeguata preparazione culturale e teologica da
parte dei frati.
L’appello costante a Francesco per determinare quale dovesse essere l’identità dell’Ordine riguardo agli
studi e la profonda diversità dei “due Francesco” che emergono dai racconti biografici della Compilatio e di
Bonaventura costituiscono la sintesi di quanto distanti le opinioni tra i due gruppi. Il Francesco raccontato
dai testi leonini pervenutici attraverso la Compilatio e il Francesco di san Bonaventura sono tra loro non solo
alternativi, ma contrari nel mostrare quale fosse l’“intentio” del fondatore sugli studi: il primo
irremovibilmente ostinato a difendere uno stile di vita semplice e ritirata, l’altro aperto ad un utilizzo degli
studi per assolvere con efficacia e frutto il servizio della predicazione, della lotta alle eresie e delle
confessioni. A conclusione della lettura di quei testi sarebbe inutile e fuorviante se si ponesse la domanda su

69
“Videtur etiam in oratione lucrum et cumulatio gratiarum, in praedicatione distributio quaedam donorum caelitus
acceptorum; in oratione etiam purificatio interiorum affectuum et unitio ad unum verum et summum bonum cum vigoratione
virtutis, in praedicatione spiritualium pulverizatio pedum, distractio circa multa et relaxatio disciplinae. Tandem in oratione
Deum alloquimur et audimus et quasi angelicam vitam agentes inter angelos conversamur, in praedicatione multa oportet
condescensione uti ad homines et humane inter eos vivendo humana cogitare, videre, dicere et audire ( ivi, vv. 5-7 [Ff, p.
880]).
70
Ivi, v. 12.
71
Ivi, XII 2, 6 (Ff, p. 881).

15
quale sia stato il vero Francesco; questi testi infatti non ci parlano del Francesco storico, ma del Francesco
ideale, quello cioè trasformato dalle due visioni di vita francescana e utilizzato a conferma della loro
impostazione ideale. E tuttavia, la doppia trasformazione ideale subita da Francesco nei testi biografici
riguardo al problema degli studi non va interpretata come perdita o tradimento della sua figura storica, ma
come doppia accentuazione delle due anime presenti già nei testi di Francesco. Si può ritenere, cioè, che la
doppia e contrastante immagine di Francesco che emerge nei testi non solo dei primi decenni dell’Ordine, ma
nel resto dei successivi secoli, costituisca la più fedele interpretazione dell’“intentio Francisci” intesa come
proposta bipolare di una scelta nella quale la minorità si concilia con l’impegno per il mondo. Il doppio e per
alcuni versi opposto giudizio formulato dall’autocoscienza dell’Ordine sugli studi deve, dunque, essere
valutato come sviluppi complementari dell’unica esperienza nata dal Santo di Assisi, come un doppio atto di
fedeltà a Francesco, o per usare un’immagine concreta, come la doppia faccia di una stessa medaglia, il cui
valore dipende proprio dall’unità e diversità dei due lati. La minorità negli studi ha significato fin dall’inizio
della storia dell’Ordine una bipolare esigenza nella quale conciliare la semplicità, la povertà con una
generosa ricchezza culturale posta a disposizione della Chiesa. Le due anime sono state le due facce della
minorità francescana negli studi.
A partire da questa conclusione sull’esame storico condotto sulla testualità dei primi decenni
dell’Ordine credo si debba porre una domanda finale, un interrogativo tanto difficile quanto importante: che
significa per noi oggi confrontarci con queste diversità ideali che hanno animato l’Ordine e di cui i testi ci
tramandano flebili ma sicuri echi? Sia le ampie possibilità di accedere alla cultura offerte dal nostro mondo
contemporaneo, sia il bisogno molto più urgente di una volta di disporre di una preparazione adeguata per
poter entrare in contatto con gli uomini di oggi, rendono gli studi e il lavoro intellettuale una esigenza
inderogabile e un impegno necessario. Nonostante ciò credo che il serrato confronto emerso dai testi
francescani della prima ora non abbia perso tutto il suo valore. Sebbene superato l’interrogativo sulla sua
conciliabilità con l’ideale francescano, resta la questione mai risolta, perché ogni epoca la ripropone in modo
nuovo, sul nostro modo di “studiare da frati minori”. Al di là di soluzioni particolari e definitive che non
possiamo cercare e pretendere dai testi delle prime generazioni francescane, la discussione che abbiamo
ascoltato dipanarsi tra le due anime i testi francescani ci ricorda una doppia verità. L’impegno intellettuale e
la fatica dello studio non può né spegnere lo spirito della semplicità, che comporta una visione di sé lontana
dalla superbia e dalla vanagloria, né eliminare un contatto con la realtà e con gli altri animato dallo spirito di
umiltà, nella coscienza che non la nostra scienza salva il mondo, ma solo l’amore solidale. D’altra parte ci
viene ricordato che siamo chiamati alla coraggiosa e tenace fatica dell’intelligenza, la ricchezza delle nostre
istituzioni debbono cioè produrre una cultura e una preparazione capace di entrare in un vero e serio dialogo
con il mondo per offrire ad esso una risposta piena di senso e di speranza. Le due tensioni ideali, che
debbono restare tra loro unite e convergenti, sono in qualche modo riassunte ed esortate nelle parole di
Francesco rivolte ad Antonio: “Placet mihi quod sacram theologiam legas fratribus, dummodo inter huius
studium orationis et devotionis spiritum non exstinguas”.

16

Potrebbero piacerti anche