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Gli ultimi anni della vita di Francesco di Assisi furono molto speciali. In
qualche modo essi corrisposero ai primi anni della sua esperienza, quando
era stato chiamato a scoprire la sua identità di uomo cristiano. In quel caso
fondamentali furono sia l’incontro con la malattia emarginante dei lebbro-
si da lui condivisa mediante un abbraccio di misericordia, sia la rottura re-
lazionale con la sua famiglia parentale che avevo preso le distanze da lui,
avendolo giudicato un discredito per la fama e l’onore della casa. Negli ul-
timi anni avvenne qualcosa di simile: il lebbroso che egli incontrerà sarà il
suo corpo sempre più malato e fragile, e insieme sperimenterà le difficol-
tà relazionali con i suoi frati con i quali si stava manifestando una forma di
rottura sul modo di vedere la vocazione minoritica. In ambedue i momenti,
agli inizi e alla fine della sua vita, Francesco fu chiamato a toccare la nudi-
tà della terra e lì deporre la sua persona per dare stabilità a tutto l’arco del-
la sua esperienza. Appunto: si potrebbero paragonare i due periodi di vita
al terreno arido e forse roccioso sul quale egli ha dovuto fondare i due pi-
loni, quello di partenza e quello di arrivo, del ponte della sua esistenza. Su
quella roccia dura e avversa era stato chiamato all’inizio e alla fine della
sua vita a scavare per fissare il ponte del suo itinerario umano, che lo sta-
va conducendo all’incontro di colui che aveva cercato con tutto il cuore.
In queste poche pagine vorremmo ripercorrere gli ultimi anni di frate
Francesco, quelli che vanno dal 1224 alla morte avvenuta il 3 ottobre 1226.
Sono gli anni in cui l’uomo Francesco, che aveva abbracciato l’identità di
fratello cristiano di tutti, deve riaffermare e far crescere fino alla sua piena
maturità questa scelta che Dio gli aveva donato all’inizio. Nella fatica e nel-
la delusione degli ultimi anni, molto simili a quelli iniziali, egli dovrà ricon-
segnare la sua persona al mistero di un Dio nascosto sotto le pieghe di una
storia indisponibile e contraddittoria. Cercheremo di ripercorrere questo trat-
to finale di vita, uno tra i più significativi e risolutivi della vicenda di Fran-
cesco. Gli inizi si congiungono con la fine per trovare il loro compimento.
Tre saranno i passaggi ideali che vorremmo riascoltare. Innanzitutto il
travaglio lacerante vissuto da frate Francesco colpito a morte sia dalla ma-
lattia fisica sia dalle difficoltà relazionali con i suoi fratelli. In esse egli do-
vrà compiere il passaggio dentro la grande tribolazione per lavare le sue
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vesti nel sangue del suo Signore crocifisso e risorto. Il Testamento scritto
da Francesco a ridosso della morte segna la seconda tappa di questo tragit-
to finale. Questo testo è il frutto maturo di un uomo che è uscito dal grande
travaglio mediante una ennesima e definitiva consegna rappacificata a Dio
e ai fratelli, lasciando ad essi con quel testo una preziosa ma anche impe-
gnativa eredità: la sua persona. A quel punto, dopo aver riabbracciato i suoi
fratelli consegnandosi ad essi senza pretendere nulla, Francesco è pronto per
l’ultima tappa, il grande passaggio, quando sorella morte lo consegnerà da
povero, cioè da uomo, alle mani di Colui al quale aveva donato la sua vita.
L’approccio che si vorrà seguire è senza grandi pretese di scientificità,
cioè non si tenterà di effettuare un’analisi dettagliata di quanto scritto in
antecedenza su questo tratto di vita di Francesco. Dunque, riprendendo in
mano le fonti ma senza sviluppare un attento confronto bibliografico, pro-
verò, nello spazio di poche pagine, a mettere in evidenza quali siano sta-
ti i tratti caratteristici di un uomo cristiano che accetta con coraggio la sua
vulnerabilità umana, quella che emergerà con forza e violenza negli ulti-
mi anni della sua esistenza, nella consapevolezza che essa è lo spazio pre-
zioso e unico per un incontro vero e definitivo con se stesso, con gli altri
e con Dio. In ultima analisi, pur evitando la banalità di un racconto esorta-
tivo e devozionale, mi limiterò a far riascoltare con semplicità e brevità al-
cuni aspetti, a mio avviso tra i più significativi, della storia cristiana di un
uomo che, proprio nel suo morire da uomo tra gli uomini, incontra nuova-
mente e definitivamente l’unica via per consegnarsi all’amore di Dio qua-
le senso ultimo della sua vita.
per le strade degli uomini. La sua attività apostolica non si ferma con la ma-
lattia. Con quella fantasia missionaria che gli era propria, non potendo più
andare fisicamente per il mondo, fa viaggiare attraverso le lettere le sue pa-
role di esortazione alla gente. La nuova strategia è presentata in modo pre-
ciso all’inizio della seconda redazione della Lettera inviata probabilmente
nel 1224 a tutti cristiani del mondo:
Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fra-
granti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare
personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio corpo, mi
sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le pa-
role del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello
Spirito Santo, che sono spirito e vita (2LFed 2-4: FF 180).
Lo strumento epistolare era già stato utilizzato dal Santo subito dopo il
suo ritorno dalla Terra Santa. In quel caso aveva scritto alcune Lettere a tut-
ti i chierici del mondo per esortarli alla consapevolezza del mistero eucari-
stico e all’attenzione nella sua celebrazione. Si può affermare che il Santo
aveva aderito alla crociata eucaristica indetta dal Lateranense IV e ribadi-
ta dalla lettera papale Sane cum olim del 1219, in cui tutta la chiesa veniva
invitata ad aver cura e venerazione per il sacramento dell’altare. Interessan-
te anche il coinvolgimento chiesto al suo Ordine di moltiplicare la sua let-
tera eucaristica inviata ai chierici per farla conoscere il più possibile nella
Chiesa (cf. 2Lcus: FF 245-248). Una lettera pastorale, simile a quella scritta
per tutti i cristiani, sarà spedita, sempre nel 1224, a tutto l’Ordine, del qua-
le vuole restare il pastore per esortare i suoi frati ad una vita cristiana (cf.
LOrd: FF 214-233). Si indebolisce il corpo, ma non lo spirito missionario
ed evangelizzatore. La malattia non diminuisce l’entusiasmo di Francesco
nel restare sulle strade degli uomini annunciando la Parola.
primitiva situazione dei frati. Questo Francesco, però, era diventato un pro-
blema: il suo stile di vita da “semplice ed idiota” non è più adeguato alle
novità dell’Ordine, divenuto ormai “tale e tanto” da non aver più bisogno
di lui (cf. PerLet 11: FF 278). Quella porta che non si apre, rendendo Fran-
cesco un forestiero, riassume e raffigura la situazione di rifiuto e di solitu-
dine che in qualche modo stava vivendo il Santo.
Malato ed emarginato dai suoi: il tragitto esistenziale degli ultimi anni
conduce Francesco, come si è già detto, a una posizione simile, per alcuni
versi, a quella degli inizi del suo itinerario cristiano. Spogliato di tutto, deve
ridire e confermare la propria identità di uomo cristiano, scoperta agli ini-
zi tra i malati ed esclusi del lebbrosario e poi, nella solitudine emarginata,
vissuta a San Damiano. La terra arida sulla quale era stato piantato il seme
cristiano ridiventava alla fine il luogo sul quale doveva nuovamente appog-
giare l’arco della sua esistenza umana. Frate Leone, «se io avrò avuto pa-
zienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è
la vera virtù e la salvezza dell’anima» (PerLet 15: FF 278).
usare in questo contesto le parole di Agostino: io con voi frate e io per voi
Francesco. Fino alla fine resta immutata la dialettica che aveva attraversa-
to tutta l’esistenza di quest’uomo, producendo una diversità di manifesta-
zioni che non erano state, allora, l’insicurezza di un’identità, ma la com-
plementarietà di una vocazione. La riappacificazione identitaria avvenuta
sulla Verna era connessa alla pace di poter vivere con chiarezza e determi-
nazione le due parti della sua identità cristiana: frate Francesco. Questo era
l’unico modo di poter restare accanto ai suoi fratelli per servirli e aiutarli
senza volersi appropriare della sua opera.
zio, chiedendogli di vivere «secondo la forma del Santo Vangelo» (Test 15:
FF 116).
A questa prima e fondamentale notizia Francesco ne affianca una secon-
da altrettanto importante, secondo una dialettica della complementarietà del-
le parti. Se era vero che la Regola conteneva l’intuizione, essa tuttavia ne-
cessitava di un testo che ne permettesse una comprensione migliore. Nella
Regola vi era lo Spirito del Signore donatogli da Dio agli inizi, però, perché
esso potesse emergere meglio e dunque perché la stessa Regola potesse es-
sere osservata più perfettamente, doveva essere letta insieme al Testamento.
E sempre tengano con sé questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capito-
li che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole (Test 36-
37: FF 129).
L’una ha bisogno dell’altro: quando i frati leggeranno la Regola dovran-
no sempre leggerla insieme al Testamento. Come “frate” il Santo proclama
l’adesione alla Regola quale testo identitario sufficiente per vivere la pro-
pria vocazione minoritica, ma come “Francesco” sente che deve interveni-
re ancora per affiancare ad essa uno strumento che ne permetta una più pie-
na osservanza. In fondo si potrebbe affermare che nel rapporto in cui pone
la Regola e il Testamento, il Santo ripropone e concretizza la dialettica esi-
stente nelle due parti della sua identità personale: frate che osserva la Re-
gola e Francesco che ne diventa la misura.
Francesco aveva preso congedo dai frati ed era pronto ad andare incon-
tro a sorella morte. Gli ultimi atti della sua esistenza costituiscono le ulti-
me pennellate di una vita consegnata all’amore di Dio nelle mani dei fra-
telli. Da quel momento egli non si apparterrà più e smetterà per sempre di
essere “frate Francesco sulla terra”, per diventare subito dopo “san Fran-
cesco in cielo”.
Il racconto degli ultimi giorni della sua vita e gli eventi legati alla sua
morte ci vengono narrati da due fonti: da una parte le memorie conservate
nella Compilazione di Assisi e dall’altra le biografie ufficiali, quelle di Cela-
no e in particolare di Bonaventura. Le due serie permettono di intravvedere
una doppia prospettiva nel racconto dei fatti, legata alle diverse intenzioni
degli autori nel presentare la morte o di un uomo cristiano (la Compilazio-
ne) o di un santo cristiforme (le biografie ufficiali). Vorremo ripercorrere
le due tradizioni narrative, riascoltando due modi sicuramente diversi, se
non opposti, di presentare il compimento della vita di Francesco. Nel pri-
mo caso si vedrà la morte di un uomo che da uomo, cioè da bisognoso, si
consegna a Dio lasciandosi aiutare dai suoi fratelli, nel secondo invece si
assisterà al transito glorioso di un Santo che si offre consapevolmente ai
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paura poiché con la grazia di Dio non sono un codardo che teme la morte»
(CompAss 100: FF 1638).
È chiaro che al desiderio di verità si affiancava il tremore di fronte ad
essa. Un uomo che aspetta un verdetto e lo aspetta da uomo. Il verdetto fu
spietato, annunciandogli la prossima morte tra la fine di settembre e l’ini-
zio di ottobre. La famosa risposta data da Francesco è quella di un uomo
che accetta la sua paura ma è disponibile agli eventi: «Ben venga mia so-
rella morte».
Il secondo blocco di testi si trovano agli inizi della Compilazione, cioè
ai numeri 4-8, dove gli eventi si spostano dal palazzo del vescovo in Assisi
alla valle sottostante nella chiesetta della Porziuncola. Consapevole della
sua imminente morte egli volle lasciare di nuovo Assisi e concludere il suo
tragitto terreno là in basso, nella povertà di quel tugurio dove aveva inizia-
to con i suoi compagni la sequela di Cristo. Era inutile restare nel palazzo
del Vescovo, non c’era più nulla da fare per la sua salute, e allora «si fece
portare a Santa Maria della Porziuncola in barella» (CompAss 5: FF 1546).
Stava andando incontro alla morte per abbracciarla là dove aveva incontra-
to la vita. In questo contesto la Compilazione racconta tre episodi nei quali
viene di nuovo presentato un uomo che si appresta a consegnarsi alla mor-
te in modo umano. Il primo episodio è legato alla discesa verso la Porziun-
cola quando volle prendere congedo dalla sua città di Assisi. Dopo essere
sceso in basso nella valle e aver chiesto di essere posto in fronte alla città,
benedice Dio per le meraviglie che egli aveva compiuto e invoca la sua be-
nedizione su di lei affinché «essa sia sempre luogo e dimora di coloro che
ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto» (CompAss 5: FF 1546).
In quel luogo di uomini e di donne egli aveva incontrato e amato Dio e, ol-
tre a ringraziare Lui, ringrazia anche idealmente quella città, affidandola
a Lui.
Il secondo episodio riguarda l’aggiunta della strofa sulla morte corpo-
rale, fatta da Francesco nel suo Cantico delle creature e la richiesta a frate
Angelo e a frate Leone di cantarglielo «a lode del Signore e a consolazione
dell’anima sua e degli altri» (CompAss 7: FF 1547). Più che nei testi litur-
gici la preparazione alla morte è trovata nel canto trobadorico, nella lauda
medievale con la quale quell’uomo era sempre riuscito a esprimere se stes-
so e ad incontrare Dio; ed essa restava dunque per lui la via prediletta per
prepararsi all’ultimo incontro. Quell’uomo, sfatto dalla malattia, non smet-
te di essere un giullare che ha bisogno di cantare per proclamare la vita ed
essere sostenuto nella sua battaglia finale.
L’ultimo atto è quello più umano di tutti, nel quale quell’uomo non ha
pudore di nascondere la sua umanità bisognosa degli altri e delle creature,
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e volle benedire tutti i suoi frati riuniti attorno a lui, come se fossero stati
intorno al patriarca che li stava lasciando.
Ma l’ultimo gesto è diretto a Dio, interlocutore primo ed ultimo del-
la sua esistenza, verso il quale Francesco voleva rivolgersi per l’ennesima
volta, anticipando l’incontro che si sarebbe compiuto da lì a poco con l’ar-
rivo di sorella morte:
Chiese poi che gli venisse letto il Vangelo secondo Giovanni, a incominciare
dal versetto: Prima del giorno della Pasqua: voleva sentire in esso la voce del
Diletto che bussava e dal quale lo divideva ormai soltanto la parete della car-
ne. Finalmente, siccome si erano compiuti in lui tutti i misteri, pregando e sal-
meggiando l’uomo beato si addormentò nel Signore. E quell’anima santissima,
sciolta dalla carne, venne sommersa nell’abisso della chiarità eterna (LegMin
VII, V: FF 1388).
Muore un santo che nel suo morire mostra definitivamente quanto già
con le stimmate aveva manifestato: egli non apparteneva alla terra e aspet-
tava impaziente il compimento del suo desiderio di perfezione, quando fi-
nalmente, sciolto dall’ultimo legame terreno, si sarebbe immerso nella pura
trasparenza della luce di Dio.
Francesco servo e amico dell’Altissimo, fondatore e guida dell’Ordine dei fra-
ti minori, modello nel professare la povertà, forma della penitenza, araldo del-
la verità, specchio di santità e modello di tutta la perfezione evangelica, pre-
venuto dalla grazia celeste pervenne, con ordinata progressione, dal grado più
basso ai più sublimi (LegMag XV 1: FF 1246).
Il modo di incontrare la morte costituisce dunque per Bonaventura l’atto
definitivo di uno svelamento della verità che si era resa già palese ed eviden-
te nelle Stimmate: in Francesco l’uomo con le sue passioni e con le sue pau-
re era oramai completamente superato per far trasparire il perfetto imitatore
di Cristo, colui che aveva vinto in anticipo la morte affrontandola da vitto-
rioso. Secondo il racconto di Bonaventura, dunque, non avviene un atto di
morte, perché un Santo non muore ma passa in Dio, giungendo finalmente
là dove era già arrivato con la sua vittoria sulla carne. Frate Francesco non
c’era più. Restava fulgido e splendente solo san Francesco, il serafico po-
verello di Assisi, il cavaliere di Cristo che aveva vinto anche l’ultima e de-
finitiva battaglia, per meritare così il posto più in alto in cielo, tra i serafini.
Sommario – Gli ultimi anni di vita di un uomo sono sempre molto speciali come
lo sono stati quegli degli inizi della sua vocazione. L’autore parte da questo pre-
supposto nell’indagine degli ultimi anni di vita di Francesco. Oggetto del presente
studio sono gli anni 1224-1226, individuando in essi tre possibili tappe storiche-
esistenziali: il momento della difficoltà relazionale di Francesco con se stesso,
per le sue malattie, e con i fratelli risolte nell’esperienza della Verna, la scrittura
LA MORTE DI UN UOMO CRISTIANO 599
del Testamento quale ultimo atto della sua passione per i suoi fratelli e, infine, il
momento supremo della morte secondo la doppia tradizione delle biografie uf-
ficiali, in particolare di Bonaventura e della Compilazione di Assisi. Il desiderio
che percorre queste pagine, libere da ogni riferimento bibliografico, è mostrare il
percorso profondamente umano che Francesco dovette vivere negli ultimi suoi
anni, un tempo di fragilità e di prova, e per questo tempo di grazia speciale, per
giungere alla verità su se stesso, alla riaccettazione dei suoi fratelli e alla consegna
definitiva a Dio.
Summary – The final years of a person’s life are always very special, as are those
years at the beginning of one’s vocation. Based on this premise, the Author ex-
plores the final years in the life of St. Francis. This study investigates the years
1224-1226 and identifies three possible historical-existential stages: (1) Francis’
relational difficulty with himself due to his illnesses, and their being resolved with
his brothers in the experience of La Verna, (2) the writing of his Testament as the
final act of his passion for his brothers, and (3) his death according to the double
traditions of the official biographies, particularly the accounts of Bonaventure and
of the Assisi Compilation. The desire that permeates the pages of this investi-
gation, free of any bibliographical references, is to show the profoundly human
trajectory that Francis had to follow in the final years of his life. It was a time of
fragility and testing, and thus a time of special grace to come to the truth about
himself, to accept his brothers once again, and to hand himself over to God once
and for all.