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ITALa LANA
ORD. NELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO
STUDI SU
IL ROMANZO DI APOLLONIO
RE DI TIRO
CORSO DI LETTERATURA LATINA
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mi: gli aspetti propriamente retorici della composlzlone del
romanzo studiati dal punto di vista della tecnica della nar-
razione (I tema) e della descrizione (II tema); i rapporti
dell'Historia Apollonii con il romanzo greco di Senofonte
Efesio, Racconti efesii di Anzia e Abrocome e con le Etiopi-
che di Eliodoro (III tema); e, infine, la individuazione di
elementi del linguaggio virgiliano nel romanzo di Apollonio
(IV tema).
Era mia intenzione accludere alle dispense le relazioni
finali stese dagli studenti su questi quattro temi: però
ciò avrebbe comportato la necessità (per i tre,primi temi)
di dare molti testi in lingua greca, e, quindi, di accresce-
re notevolmente il costo di queste dispense, oltre al fatto
di mettere in difficoltà gli iscritti al corso non provenie~
ti dal liceo classico. Ho ripiegato perciò su una soluzione
intermedia: delle tre relazioni presento qui un estratto,
mentre il testo integrale delle relazioni stesse è a dispo-
sizione degli studenti presso l'Istituto di filologia clas-
sica.
L'analisi di Senofonte Efesio è stata compiuta da Enrica
Ciabatti e da Simonetta Sabello; quella di Eliodoro da Cate
rina Brusa e Giampiero Selvatico. Ha seguito i lavori di que
sti quattro studenti la dott.sa Elsa Botto, borsista del Con
siglio Nazionale delle Ricerche.
La ricerca sulla teoria retorica della narratio è stata
compiuta da Elena Arietti, Laura Bottero, Maria La Scala,
Claudia Varetto, con la collaborazione della dottosa Raffa-
ella Tabacco, titolare di un assegno biennale di studio;del-
la descriptio secondo le teorie dei retori si sono occupati
Wilma Banchero, Sergio Daglia, Silvana Favarin, con la colla
borazione di Maria Angela Rame110, ricercatrice del Consi-
glio Nazionale delle Ricerche. L'indagine sulla presenza di
Virgilio nel romanzo di Apollonio è stata svolta da Adele
Rovereto.
La lettura e il commento del I libro di Apu1eio sono sta-
ti affidati al dottor Luciano De Biasi, ricercatore del Con
sig1io Nazionale delle Ricerche, e alla dottosa Paola Ramon-
detti, titolare di tin assegno biennale di studio.
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Premessa
(*) Estratto dal volume: Atti del convegno perugino "Il latino nelle Facoltà
umanistiche", Roma 1974, pp.81-88.
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gnate dall'inserimento = senza riserve mentali - del latino
nel quadro degli studi storici, non tanto perché le nuove g~
nerazioni manifestano un evidente spiccato interesse prefere~
ziale per le discipline storiche, ma soprattutto perché:
a) liideale delle "belle lettere" è totalmente crollato;
b) la caratteristica del mondo attuale è l'amore della
problematici~à e l'accettazione del provvisorio come dato
qualificante in ogni campo~ ciò significa il rifiuto ~ non
di rado rabbioso e irridente - della visione del "classico"
come modello statico, come esemplare da reincarnareo
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verse (dalla lettura dei testi nella lingua originale alla
lettura dei medesimi in traduzione)e
INIZIATIVE DA PRENDERE
I. All'interno dell'Università:
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Cenni sul gruppo torinese.di ricerca sul pensiero po1i=
tico c1assicoe
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STUDI SUL ROMANZO DI
APOLLONIa RE DI TIRO
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PREMESSA
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illi dies per somnum, nox officiis et oblectamentis
vitae transigebatur (Tacito, Ann., 16, 18, 1).
Una pagina del Querolus (testo dell'inizio del V secolo)
attribuisce agli schiavi, in una società avviata verso un
cambiamento incontrollabile, una posizione analoga ••• Petr~
nio vive una vita di eruditus luxus: egli è fuori della tra-
dizione romana, sconvolge l'immagine d~l mondo ufficiale e
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modo di vivere, doveva essere apparso rarticolarmente ìnte~
ressante .. Comunque, quando deve morire:) Petronio ci riappare
come l'essere singolare, non qualificaùile secondo gli sche~
mi della tradizioneo Tacito racconta le sue ultime ore: e
non senza stupore e senso di scandalo scrive :
audiebatque referentes nihil de immortalitate
animae et sapientium placitis, sed levia carmina
et faciles versuso
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ti nella scuola: quasi per contrapposizione si sviluppa il
romanzo - e nasce la letteratura cristiana, prima in lingua
greca, poi anche in lingua latinae Il fiorire del romanzo
rispondeva evidentemente ad una qualche esigenza del pubb1i-
cOG Il rapporto fra l'opera e il pubblico è sempre strettoe
Se i romanzi si moltiplicano, vuo1 dire anzitutto che c'era
un pubblico di lettori che li gradiva e li desiderava. Ma
quale pubblico? e perché li desiderava?
Ma, anzitutto, che cos'era un romanzo? Il romanzo è un'o-
pera letteraria che sostanzialmente si sviluppa all'insegna
del gratuito, senza nessi rigorosio Talora un minimo di moti
vazione esiste, per le vicende che il'romanzo narra: c'è -
come nel teatro tragico, come nel poema epico - un persecut~
re,che:mette in moto la macchina dei viaggi e delle avventu-
reo Ma spesso questo è un artifizio del tutto esteriore; ser
ve a mettere in moto il meccanismo, che poi va avanti di
sua iniziativao Amore e viaggi, avventure e colpi di scena
dominano il romanzoo Una civiltà che ha raggiunto il suo cu!
mine, un suo equilibrio nella staticità, si scopre irrequie-
ta e insicura. I viaggi, le avventure, le meraviglie, gli a-
mori contrastati sono la proiezione dell'universo interiore
di una società, che gode prosperità m~ateriale, ferma nell'or
dine e nella conservazione: sono il modo con cui tale so-
cietà evade dalla ufficialità. Ne evade con il romanzo, pro-
prio perché il romanzo non è sottoposto a regole rigide, pro
prio perché il romanzo non è costruito come tutto il resto
di quella società secondo modelli ben definiti, che preved~
no tutto: per cui si sa già, prima di averli letti, come sarà
il poema epico, come sarà l'orazione, come sarà il trattato
di storia, e così via. Del romanzo, si sa che tratterà di
una vicenda di amore contrastato, ma come debba svolgersi ta
le vicenda, 10 sa solo la fantasia del suo autore. C'è posto
per l'imprevedibile, per l'assurdo, per il gratuito, per
l'inspiegabile. La società ufficialmente celebra i fasti del
razionalismo e della razion81ità: non dimentichiamo che que-
sto è il secolo di Marco Aureli0 9 l'imperatore filosofo stoi
co, che si fa assertore e propagandista di una visione del
mondo e dell'uomo dove tutto è razionalità, dove tutto è pre'
vedibile perché tutto è già stato e di nuovo sarà esattamen-
te così come è già statoo Più questa visione viene ufficial-
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stiamo alla superficie dei fatti narrati~ prevale l'elemento
del divertimento; se invece ci spingiamo in profondità e ci
soffermiamo a considerare il sen~o autentico degli episodi j
allora siamo in presenza di una nrivelazìone"~ e allora, il
racconto non già è fonte di divertiment0 9 ma di interpretazi~
ne della realtà vera che sta sotto ai fatti. che cogliamo con
gli occhiG Sembrerebbe che Lucio~Apuleio abbia capito que=
sto secondo piano~ in realtà j egli ha capito e non ha capito;
a parole ha capito, ma il seguito della sua vicenda~ il suo
lasciarsi andare alla curiositas~ anche dopo che ha appreso
dalla vicenda di Aristomene quanto sia pericolosa~ ci dimo-
stra che per lui la via dellwiniziazione e della purificazio
ne sarà assai lunga e dolorosa; essa lo farà passare attra-
verso la condizione bestiale prima di arrivare alla rigener~
zione grazie all'intervento di Isideo
Prima che il libro si chiuda~ assistiamo ancora all'epi-
I sodio dell'edile di Ipata, vecchio compagno di studi di Lu-
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può fare almeno questa riflessione: che l'episodio accresce
in Lucio - e quindi nei lettori del romanzo - il disorienta~
mento~ ci siamo sempre creduti in grado di giudicare ciò che
capita sotto i nostri occhi secondo certi schemi acquisiti. e
convalidati dall'esperienza; invece tutto ciò che è succedu~
to a Lucio sconvolge la nostra sicura certezza di vivere in
un mondo ordinato e regolato secondo leggi che abbiamo impa~
rato a conosceree Invece ora a queste leggi si sottraggono
non solo la magia~ ma ancheoeo le magistratureo Il primo pa~
so del1 9 iniziazione consiste nel far nascere il dubbio su
tutto ciò che è certezza incrollabile e indubitabileo Luci0 9
e i lettori del romanzo, sono preparati così ad accogliere
il seguito del romanzo senza restarne troppo sbalorditi Oj
comunque, senza considerarlo tranquillamente una fabula: do
po aver letto il primo libro delle Metamorfosi apuleiane dav
vero non sappiamo più dove passi il confine tra la realtà e
il sognoe
Queste considerazioni mi paiono utili perché ci fanno con
statare quanto il romanzo di Apuleio sia saldamente costrui-
to e abbia un'architettura ben precisa 9 nonostante che in aE
parenza sembri un seguito di novelle e racconti vari legati
tra di loro dal filo esteriore della vicenda di Lucioe In al
tre parole, Apuleio ha accettato la struttura corrente del
romanzo antico, che si presenta (e spesso è) come un susse-
guirsi di avventure slegate, ma l'ha posta al servizio di
un suo scopo ben precisoe Tutto nel suo romanzo concorre ad
uno scopo ben precisoe Questo è l'aspetto più singolare e
nuovo dellvopera di Apuleio e su di esso bisogna soffermar-
si per poterne cogliere il significatoo Ma quale è il suo sco
po ultimo? Qui i pareri degli studiosi divergono, e noi non
possiamo soffermarci ad affrontare il problema nella sua to
talità. Ritengo tuttavia di poter dire che Apuleio intende
offrire ai lettori una chiave per capire il mondo, la real-
tà, la condizione dell'uomo, i mezzi della sua "salvezza".
Anche chi non sia convinto che il messaggio specifico tra-
smessoci da Apuleio sia un messaggio religioso, non può non
riconoscere che nella "bottiglia" del romanzo è chiuso un
messaggio e che questo messaggio riguarda l'uomo in quanto
uomoe Ma fino a cent 9 anni (o anche meno) prima di Apuleio,
messaggi di questa natura venivano lanciati non per mezzo di
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m'egli scrive nella prefazione della sua edizione 9
permulti restant loci quibus variarum classium
codices ad verbum consentiant (po VI)o
La II classe comprende cinque codici~
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romanzo nel II volume dellYAntologia della letteratura latina
LANA-FELLIN, vol. II, pp~ 552 sgg.)&
Apollonio viene invitato (Cap. XIV) a pranzo da Archistra-
te e trattato con ogni benevolenza e cura ed esortato a part~
cipare con letizia al banchettoo
Al banchetto (cape XV) partecipa anche la figlia del re -
della quale il romanzo non dà il nome-, la quale è incuridsi~
ta dalla presenza del1 9 0spite: su invito del padre~ gli rivol
ge varie domande, ne vuoI conoscere i casi~ lo invita a rac=
contare tutto diffusamente.
Siamo in piena atmosfera virgiliana, come si vede. Si ri-
produce il rapporto Didone-Enea, so10 che qui la situazione
è complicata dalla presenza del padre della -fanciulla~ Spia
della derivazione virgiliana è fornita dall'osservazione di
Archistrate alla figlia, davanti ad Apollonio in lacrime, ~
teres ei renovasti dolores (p& 29, 10) che riprende IetteraI
mente il noto verso virglliano~ infandum, regina, iubes reno-
vare dolorem (Eneide, II, 3)0
La fanciulla conforta il naufrago suonando la lira~, -ma co-
stui, con il permesso del re, suona lui a sua volta la lira
meglio di lei e suscitando l'entusiasmo universale (capoXVI)o
Siamo ora (capo XVII) all'innamoramento della principessa:
costei ottiene dal padre per il giovane molti doni, Apollonio
su proposta della principessa viene accolto nella regg1a ove
d'ora in poi risiede stabilmenteo
LYanalogia con la vicenda di Didone, che ha a-eeolt 0-pr-esso
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III.
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ARGHISTRATE, il re di Girene, tiene un posto di grande ri-
lievo nella parte centrale del romanzo: XIII (da 24,9 alla fi
ne) - XX (da 38,4 alla fine); e XXI - XXIV (da 44,15 a 45,7);
XXV (da 45,8 a 46,2)Q Torna brevemente in iscena nel capitolo
finale: LI (113,10-114,5).
La FIGLIA DI ARCHISTRATE, di cui il romanzo non dà il nome:
essa campeggia nei cappo XV=XVIII; XX; XXII (da 40,9 a 41,6),
quando l'azione si svolge a Girene; nel capo XXIII essa ~. pure
presente, ma in stato di morte apparente; XXIV-XXV (da 46~2
alla fine); XXVII (52,7-11; 53,7-13); infine: cappo XLVIII(da
105,16 alla fine); XLIXo Anche il capo XXVI ~ dominato da lei,
pur se non partecipa all'azione, in quanto rinchiusa nel locu-
lus, in stato di morte apparentee
TARSIA, la-o figlia di Apollonio e della figlia di Archistra-
te: XXV (46,7; 48,3-5); XXIX-XXXI; XXXIII=XXXVI; XL (da 85,5
alla fine) - XLVI (da 102,1 alla fine); XLVIII (da 105,12 alla
fine); XLIX (da 109,8 alla fine); L9 Beninteso, essa ~ anche
presente nel finale del romanzo (LI, 113,11; 114,2; 115,13-14;
116,2).·
ATENAGORA, principe di Mitilene, che sposa Tarsia: XXXIII
(66,9=67,9); XXXIV (69,4-70,12); XXXV (72,1-5); XXXVI (75,1-5);
XXXIX (da 80,10 alla fine); XL; XLI (88,10-89,7); XLV (100,3-5);
XLVI; XLVII (105,1-2); XLVIII (105~12); L (105,10-11)0
In questo gruppo vanno ancora inclusi altri due personaggi
senza nome :
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alle iniziative delittuose della moglie.
Tra i cattivi va naturalmente incluso il LENO di Mitilene,
che dopo aver comprato dai pirati Tarsia, la chiude nel suo
postribolo: XXXIII (da 66,6 fino alla fine); XXXV (72,8 -
73,5); XLVI (da 101,8 a 102,12).
Altri personaggi, a cui è affidata una funzione precisa ne!
lo sviluppo dell'azione (in rapporto con Apollonio) e sia pure
limitata, sono
ELLENICO di Tarso: VIII (da 12,12 sino alla fine); LI (115,6
-12); egli rivela ad Apollonio che il:re Antioco lo ha pro-
scritto;
l'anonimo PISCATOR di Cirene: XII (22,3-23,13); LI (114,6-
115,5): offre ad Apollonio naufrago a Cirene qualcosa con cui
coprirsi e, soprattutto, gli offre solidarietà e conforto.
Entrambi sono di condizione sociale estremamente modesta.
Facciamo seguire il gruppo dei medici, tutti senza nome:
i MEDICI DI ARCHISTRATE : XVIII (35,6-10), che non individua"
no la causa delle sofferenze della figlia del re;
il MEDICO DI EFESO: XXVI (48,8-50,12); XXVII, a cui va a fi-
nire il loculus della moglie di Apollonio; egli è disposto ad
adottarla quando torna in vita ;
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potenti nei riguardi degli umili ~ non ci può stupire) e sul-
lo spirito di rassegnazione dei poveri. El vero che Ellenico'
"si sdegna" e fa, per così dire, una ramanzina al re: tuttavia
gli fornisce spontaneamente le preziose informazioni prima a~
cora che il re abbia potuto scusarsi del suo comportamento
screanzato. Poi si avvia un dialogo tra i due del tutto ami-
chevole, come se l'incidente iniziale non ci fosse neppure
statoo Alla fine il re lo ringrazia e gli vuoI offrire una
ricompensa: ma Ellenico non l'accetta:
"absit, dornine~ ut huius rei causa praemium accipiamo Apud
bonos enim homines amicitia praemi? non comparatur". Et
vale dicens discessit (pe 15, 4-7).
Agendo in questo modo, il vecchio ha l'ultima parola. E si
precisa l'intendimento del romanziere: egli sa bene come si
pongono di fatto i rapporti fra i potenti e gli umili; e ri-
tiene che siano questi a dover provvedere a far cambiare i po
tenti, non con la ribellione e neppure con l'invettiva, ma co
stringendoli ad accettare la loro amiciziao
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Per esempio: Ennio j Andromacha aechma10tis, IX, p~55 K10tz~
guid petam praesidi aut exeguar? guove nunc I auxilio exi1i
aut fuga freta sim ? I aree et urbe orba sume Quo accedam ?,
quol app1icem ?;Medea exul g X~ po 80: quo nunc me vortam ?
quod iter incipiam ingredi?; Accio, Atreus, XVII~ po 227 ;
quoi me ostendam ? quod temp1um adeam? guem ore funesto a110-
quar? Si veda anche il frammento di orazione di Caio Gracco
(tenuta nei suoi ultimi giorni di vita)~ quo me miser con-
feram ? quo vortam ? etce (fre XXIII, pe 196 degli Orato~
rum Romanorum fragmenta, ede Malcovati, Torino 1967, 3 A e-
dizo)o
Continuando nei suoi lamenti j Apol10nio passa a rimprove
rare se stesso (questo dev'essere il senso di cum sibi.met
ipsi increparet~ anche se increpare nel senso di 'rimprove
rare' vuole l'accusativo della persona che viene rimprovera-
ta, o in e l'accusativo: perciò questo costrutto è fuori
dell'uso corretto della lingua; è anche un comportamento
non conforme alla consuetudine del nostro testo che anzi
tende in più luoghi a sostituire ad + accusativo dove il la
tino corretto vuole il dativo: si veda al riguardo l'indice
del Riese, alla voce ad): mentre sta rimproverando se stesso,
egli guarda intorno a sé e di colpo (subito; l'avverbio vuo1
significare che ciò che,egli vede è del tutto inaspettato e
imprevisto) vede quendam grandaevum sago sordido circumda-
turno Qui è da notare il solenne grandaevus, vocabolo speci
fico della poesia epica (in Virgilio, Stazio, Va1erio F1ac-
co) e l'espressione con circumdatus, che trova il suo prece
dente anch'essa nella poesia epica e, soprattutto, in Corne
1io Nepote: Datames, 3, 2: ipseagresti duplici amicu10 cir-
cumdatus hirtague tunicao Il sagum è il vestito specifico
degli schiavi (e anche la divisa da campagna dei soldati);
. il sagum è anç.he sordidum;. (si noti l'allitterazione), è un
mantello sporco, SOZZOo La povertà si accompagna con la spor
cizia (si noti l'accostamento) o Apo1lonio si butta ai piedi
di questo vecchio e ne invoca la pietà, subito sottolinean-
do che egli, il naufrago, è un uomo di alta condizione; anzi,
si presenta per quello che è 9 dando il suo nome e specifica~
do di essere patriae meae princepso Si propone, a questo pun_
to, di raccontare al vecchio la sua "tragedia"; ma nel testo
a noi pervenuto, questa esposizione mancao Sono frequenti i
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luoghi del romanzo in cui un personaggio racconta i casi suoi
ad un altro o ad altri: si veda per esempio pe 29, 6-7 (racco~
to di Apollonio alla corte di Archistrate); 56, 10-58~6 (rac-
conto della nutrice Licoride a Tarsia); pe 97,12-99 j 4 (raccon
to di Tarsia-~d Apollonio); pe 107,2-108,12 (racconto di Apol
Ionio alla sacerdotessa di Diana in Efeso, sacerdotessa che
egli viene a scoprire così che è la moglie sua~ ch'egl~ crede
va morta dopo il parto) o Qui, nell'episodio che stiamo consi-
derando~ la promessa fatta non viene mantenuta: a mio avviso
per il fatto che il racconto Apollonio lo avrebbe dovuto fare
due volte (vedi po 29~6-7, citato qui sopra)o Però siccome del
racconto fatto alla corte del re Archistrate c'è, solo un cen-
no, la redazione originale del romanzo doveva contenere qui j
nell'episodio del pescatore, la narrazione per esteso dei casi
di Apolloni.o.;'"'Ma le redazioni a noi pervenute invece omettono
questa narrazione: segno sicuro, secondo me, di una manipola-
zione maldestra del testo~ Apollonio termina la preghiera al
vecchio chiedendogli di salvargli la vita~ Il pescatore si im
pietosisce per la bellezza del giovane e lo soccorre amorosa-
mente; non ..solo
..-. gli dà da mangiare ma si spoglia del suo mise
-
ro mantello, lo taglia in due parti eguali e gliene dà una pa~
te; lo invita poi ad andare in città, per ricevere aiuti più
consistenti. Qualora in città non riceva soccorso, torni pure
da lui, perché egli è disposto a condividere con il naufrago
tutto ciò che ha; faranno entrambi il pescatore e divideranno
la povertà. Però - aggiunge - se un giorno con l'aiuto di Dio
Apollonio sarà restituito alla dignità originaria, si ricordi
del vecchio pescatore e soccorra alla sua miseriao Apollonio
assume solenne impegno in questo sensoe Qui si chiude l'epis~
dioo
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Facciamo seguire al testo alcune note~
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ch'egli un adu1escens, come 19Apo110nia del nostro romanzoc
Si fa dunque battezzare, ma non lascia immediatamente il ser
vizio militare. Il biografo adduce qUtsta ragione: Martino
era affezionato al tribuna, cioè al suo comandante, e questi
si impegna a "rinunziare al secolo "appena avrà finito il
suo periodo di servizio: Martino resta, per questo motivo,
ancora sotto le armi per circa un biennioe Ma in questi due
anni solo 1icet nomine mi1itavit, "ma in maniera puramente
forma1e"e Che cosa questo significhi esattamente, non sappia
ma: la frase è tuttavia traccia dell'imbarazzo del biografo,
che nell'episodio del battesimo di Martino, grande propagato
re del monachesimo in Gallia, vorrebbe vedere ~ ma i fatti non
glielo consentono - l'inizio dell'opera di evangelizzazione
svolta così efficacemente da Martino.
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gli abiti: nel ginnasio sono tutti nudi: cfro p. 24,6). Quando
se ne è andato~ il re ne traccia un grandissimo elogio e manda
un suo servo a cercarlo e, appreso' che è un naufrago, lo invi-
ta a banchetto nella reggia, gli mette disposizione abiti a-
datti, lo incoraggia in ogni modo, lo esorta a sperare in Dio
e a dimenticare la disgrazia del naufragio. E' una tecnica
addormentatrice, questa del romanzo: i lettori sono indotti a
pensare che nei casi della vita tutto si aggiusterà, sempre si
troverà un vecchio, ricco e potente, che metterà a posto tut-
to. E' letteratura di evasione, questa; una letteratura sopo-
rifera. Siamo a Cirene in un mondo in cui comandano "i nonni".
Archistrate interpreta tutto benevolménte: si ~eda il suo bre-
ve colloquio con uno degli anziani durante il banchetto (pG
27, 8 sgg.)o Quando entra in iscena la figlia del re, costui
la vezzeggia come una bambina; è pronto a soddisfarne ogni de-
siderio; la incoraggia a mettersi in contatto col giovane o-
spite ignoto, a interrogarlo; salvo poi rimproverarla con mo!
ta dolcezza dopo che Apollonio, narrate le sue vicende" si è
messo a piangere. Qui, del tutto maldestramente, l'autore met
te in bocca ad Archistrate parole virgiliane (veteres ei reno-
vasti dolores, p. 29, 10). Ma c'è un modo, per la figlia, di
rimediare: faccia generosi doni all'ospite: alla principes-
sina non pare neanche vero e subito assicura l'ospite che ella
grazie all'indulgentia patris lo farà ricco. Qui torna a suo-
nare il tasto solito: quello della ricchezza e del denato (di
cui ci occuperemo più avanti). Con la ricchez~a in questo mon-
do tutto si risolve. La visione artefatta della realtà è mas-
simamente evidente proprio in questo culto del denaro. E' un
vecchio padre arrendevole in tutto e per tutto. Non solo co~
cede alla figlia di fare doni al giovane e ne è contento (et
permisi et permitto et opto, p. 32,7), ma addirittura, su ri-
chiesta di lei, lo ospita a corte. E poi le concede di rivol-
gersi ad Apollonio come a maestro di studi. Poi la fanciulla
si ammala d'amore: e il re, che non ha capito di che male la
figlia soffre, le manda medici a curarla. Anzi, crede che sia
il troppo studiare, che l'ha fatta ammalare (p. 36,6). Tutta
la vicenda va avanti così, sino al matrimonio dei due giovani.
Il re consente alle nozze con parole do1cis~ime rivolte alla
fi.glia: sed ego tibi vere consentio, quia et ego amando'fac-
tus sum pater (p. 41,6). Questa frase mi pare che sia la più
71
significativa~ tra quante il romanzo fa pronunziare ai suoi
personaggi (anche la redazione della T~ classe dei codici la
dà identica)e Questo riconoscimento che la paternità ha fonoa
damento nell'amore, che solo in quanto ama i figli un padre
può dirsi padre, che anzi un padre diventa veramente padre
solo in quanto ama i figli, indica un approfondimento della
tematica dei rapporti tra padri e figlie Sembra che qui ci
sia un barlume di luce j che ci fa intravedere possibilità di
collocare tutta la vicenda del romanzo su altre basi rispet-
to a quelle banali e piuttosto insignificanti su cui le reda
zioni a noi pervenute si collocanoe Forse la redazione origi
naIe sviluppava tematiche di approfondimento e di scavo an-
che psicologico? Non lo sappiamo, e non possiamo formulare
ipotesi gratuite. Naturalmente possiamo - e dobbiamo dire _
che la coppia Archistrate / figlia di Archistrate si contraE
pone nettamente alla coppia Antioco / figlia di Antioco: que
sta modello di ciò che non deve essere il rapporto tra pa
dre e figlia. L'una coppia tutta negativa l'altra tutta posi
tiva.
74
gaudio plenus (11,9; 52,13); magnum gaudium (42~15); gaudio
conversus (44,5); flens prae gaudio (99,6-7);
e col verbo gaudeo :
valde gavisus est (30,3); gaudens (40,1); gaudeto~ogaudet
(42,12); gaudet (42,14); laetare et gaude (44,1~2; 45~ 1-2);
gaudens atgue exhilaratus est (45~ 8~9); gaude (88~8);
con laetus e laetitia e laetor :
laetitia (42,7); omnes laeti atgue alacres (42,10); laeti-
tia (42, 17, 19); laetitiam (84,5); laetari (87,7); laetari
(88,4); laetus (100,1); laetitia (105,2); facta est laetitia
maxima (109, Il); laetantur omnes (109·,13); ad ~aeti tiam (113,5);
laetatus est (114,3);
con hilaris, exhilaro
exhilarati facti (1 8,5); hilari vultu (27,16); exhilara
(30,5); exhilaratus est (45,9); hilarem et non lugentem (72,
10) •
il culmine dell'allegrezza è segnato da exulto: exultant (42,
14) •
Ancora un'osservazione, prima di chiudere; nel romanzo di
Apollonio si ride poco; anzi, l'unica volta che vi si ride,
si ride piuttosto a sproposito:
vedi p. 72,1, ridentem. Nel romanzo di Apollonio non si sa
sorridere: l'unico che sia pure una volta sola sorride è il
vecchio re di Girene quando incontra i tre scolastici preten-
denti della mano di sua figlia che lo salutano a una voce ed
egli subridens chiede loro ragione del fatto (pagina 35,15)0
Ha un significato, questo particolare, che non si sappia nè
ridere né sorridere o EV il segno di unVetà che ha radicalizza
to le posizioni e non sa più considerare con distacco e con
spirito di tolleranza le contrapposte posizionio In questa s~
cietà cvè posto per la collera 9 per lo sdegno, per il furore,
per il dolore, per la vergogna, per la paura e il terrore,an-
che per la pietà (spesso interessata o solo in superficie),a~
che per la gioia e lVesultanza, ma non cvè posto per il sorri
sOo Ma una società che non sa più sorridere è condannata a
morire e Perciò questo rornanzo,ancheper ciò, è un segno inquieta~
te di unVetà che è ormai finitao
IV
1 o
2.
Si veda subito all'inizio del romanzo: Antioco darà la fi-
glia~ in moglie a chi saprà risolvere degli indovine11i(quae-
stiones proponebat, S,l}: le soluzioni di questi indovinelli
possono venire trovate prudentia 1itteratum (5,4), cioè con
il sicuro possesso della cultura umanistica. Ora è ben vero
che moltissimi aspiranti alle nozze (p1urimi undique reges,
undique patriae principes, 5,7-8), pur risolvendo in maniera
esatta gli indovinelli, vengono mandati a morte dal re (che
è sleale: non sta alle regole del gioco da lui stesso fissa-
te): ma ciò nel romanzo avviene, non perchè l'autore non ten-
ga in conto la cultura, ma solo per un'esigenza strutturale,
cioè per mettere meglio in evidenza la superiorità di Apo110-
nio, che affronta una prova davanti alla quale moltissimi
altri hanno fatto fallimento e, lui solo, riesce, se non a
superar la in pieno (ottenendo in moglie la figlia del re),a!
meno a mettere in iscacco il re e a salvare la vitao
Anche Apo110nio, sentito l'indovinello, cum sapienter
scrutaretur. favente deo invenit auaestionis solutionem (6,
r •
76
1-7,1)0 L indovinello si ri olve dunque con la sapientia (e
"con l'aiuto di Dio": ma questa è certamente un'intrusione e ..
trane alla redazione originaria dell'opera: essa è una trac-
cia dell'ingenua "cristianizzazione" di questo testo, perciò
non dobbiamo, qui, tenerne conto)o
Apollonio, ottenuta una dilazione di trenta giorni e rient-
trato in patria, convinto che la soluzione da lui proposta non
fosse giusta (così gli aveva detto Antioco, 7, 8-10),
introivit dornurn et aperto scrinio codicurn suorum inquisi-
vit quaestiones omnium philosophorum omniumque Chaldaeo-
rum (9, 3-5)0
Questo passo è di estr.emo interess'e., ° perché cio dH:.e qual.co;;.-
sa di preciso sul carattere della cultura quale è conosciuta
ed esaltata dall'anonimo autoreo E' una cultura che si basa
sulle quaestiones: di derivazione filosofico-retorica, le
"questioni" propongono problemi di carattere universale (quae-
stiones infinitae) e problemi di carattere particolare (quaes-
tiones finitae)o Per esempio, an uxor ducenda, "se si debba
prendere moglie", è una quaestio infinita; an Caio uxor ducen-
da, "Se Gaio debba prendere moglie "è una quaestio °finitao Una
vera e propria "letterat!lra" sulle "questioni" si sviluppò nei
secoli tardi: i sapienti riuniti a banchetto si ponevano a vi
cenda quaestiones e ne fornivano solutioneso Se ne veda un e~
sempio, tratto dalle Noctes Atticae di Ao Gellio, XVIII, 8,
nell'Antologia della Letto latina di LANA-FELLIN, vol. III,
p o 156 sgg.:
3.
Quali siano i "contenuti" della cultura ci è mostrato
chiaramente dalla vicenda di Apo110nio naufrago in Cirene.
Qui egli è privo di tutto: ha perduto nave, ricchezze, com-
pagni, persino gli abiti ha perduto: ma non ha perduto la sua
cultura o
Il suo primo intendimento, com'è ovvio, è quello di risa-
lire la china e riportarsi a galla: egli pensava unde auxi-
1ium vitae peteret (24,1). Proprio nelle sue capacitA "cul-
turali" trova per sé auxi1ium vitae: esse consistono in va-
"
I r •
80
I rie abilità: 1) nel giuoco della palla (24~11-25~8); 2) nell'
I (31,6).
Ora si noti che la figlia del re si innamora del giovane
I proprio per la sua cultura, non per la sua bellezza o per al-
tre doti esteriori :
I
I
81
84
4.
..
87
5.
.'\~ _----
........
89
.l
,. , I
l,'
90
,;
,.
92
per nove anni, cioè fino all'età di 14 anni (56,1; cfr.59,13;
63,15). Interrompe, poi, dopo la morte della nutrice Licoride,
per un poco di tempo la frequenza, per osservare il lutto: ma,
subito dopo, finito il lutto, torna a scuola:
Et dep0'sito luctu induit priorem dignitatem L-cioè gli
abiti non più di lutto, gli abiti confacenti al suo sta-
to sociale, alla sua dignitas _iet petiit scolam suam et
ad studia liberalia reversa, etc. (58,13-15; cfr.60,14;
61,7) •
7 ti
8.
L'utilità della cultura posseduta da Tarsia è dimostrata
ancora da un altro episodioo
Quando la nave su cui viaggia Apollonio, di ritorno da
Tarso - dove il principe ha appreso la falsa notizia (da lui
creduta vera) della morte della figlia - attracca a Mitilene,
essendo stata travagliata da una tempesta, Apollonio resta
confinato - così ha deciso - nella stiva della nave, a mace-
rarsi nel dolore (p. 79, 3-5).
Fermiamoci un istante a considerare il vocabolo subsannium.
Esso compare cinque volte nella redazione AP (79,4 e 6;
81~13; 84,10; 86,4) ed è sempre accompagnato dal genitivo
navis (ancorchè questa specificazione non sia necessaria: ma
evidentemente il vocabolo è sentito come fortemente tecnico
- e quindi fuori dell'uso - per cui la specificazione navis
aveva il valore di inserirlo nel suo contesto specifico). N~
tiamo anzitutto che la parola è formata da sub + sannium. Co-
me osserva il Riese nell'Index sannium richiama il greco
san!dOrna, "tavolato", e sanls, "tavola" (anche, al plurale,
"tavolette per scrivere"), e, riferito ad una nave, "tavola-
to", cioè ponte della nave. Dato questo rapporto con il gre-
co, sembra che la forma corretta del vocabolo latino debba
essere quella con una sola ~: subsanium. A e P sono incerti
- nella grafia del termine - si veda l'apparato critico del
,Riese -; la II classe dei codici è in grande imbarazzo davan-
ti al vocabolo: o lo omette del tutto, p. 79,5, o lo sostitui-
sce con il comune sentina,- 79,3; o sostituisce la frase,84,9
Et'fJ-tt.,-3J-una; ~ola volta, 81,8, conserva il vocabolo. Può ero:.
f · -j (_
::- .'~"""
,.
96
fettivamente darsi~ come suppose Phe Thielmann~ Ueber Sprache
und Kritik des lateinischen Apolloniusromanes, Speier,1881,p.5,
che la forma con doppia ~ si sia affermata per influenza del
verbo subsannare ("beffeggiare"), abbastanza frequente nel l~
tino tardo: a torto, io credo, il Forcellini ritiene invece più
corretta la grafia con la doppia n.
Ciò che più ci interessa, però, è il significato del vocab~
10e Non esist~ in greco un vocabolo su cui si sia formato il
I
97
sia, perché là dove egli è fallito, Tarsia riuscirà (85,2),
con la sua culturae A lei Atenagora chiede di confortare A-
pollonio e di persuaderlo a tornare a ~ivere con gli altri
uominie Le promette un premio consistente: una specie di li-
cenza di 30 giorni dal servizio di lupanare e una consistente
somma di denaroe Egli le dice di essere convinto che
hic est ars studiorum tuorum necessaria (85,7-8)e
Tarsia accetta e scende nella stiva dove si rivolge ad Apol-
lonio (86,9) cantandogli un carne di d04ici esametri del tut
to irregolari, con cui accenna copertamente alle sue vicende~,
alla sua origine regale) alla sua attuale misera condizione
(versi 1-7) e conclude con un'esortazione ad Apollonio per
chè si faccia animo.
., ''t
,,
98
scit com / pungi mu / crone, con un errore nel primo piede
(_ cut è lungo, seguito da ro-) e due nel quinto (l'ultima
- -
di compungi è lunga: la i finale di parola è sempre lunga
salvo pochissime eccezioni, nei polisillabi; la prima silla
ba di mucrone è lunga) Q
. ..
~~
~:
,
-:;.}. "
,.
100
"in ogni simi1 itudine o viene prima la similitudìne e la cosa viene dopo
o vi ,eversa. Talvolta, però, la similitudine è indipendente e sganciata
(intendi: ilialla cosa); talvolta - e ~uesta è la forma migliore - è lega-
ta con la cosa di cui essa è immagine: in questo caso la simi1itudine è
valida in entrambe le direzioni (cioè i ruoli stessi di "parabo1all e di
"cosa" si p ssono scambiare), e questo è l'effetto di una rappresentazi~
ne reciproca che si chiama an-tapodosi~.
Mentr e' gli indovine Ili sono per Sinfosio una specie di
"peccato" di cui si vergogna o che, almeno~ lo mette in imba
101
razzo,per l'anonimo autore del romanzo ~ssi costituiscono in
vece una delle manifestazioni più significative e valide del-
la cultura (e della cultura, anche, dei re!).
Per quanto riguarda la questione dell'autore e della data
del nostro romanzo la presenza di aenigmata sinfosiani non è
riso1utivao Possiamo solo dedurne che la redazione a noi per
venuta è posteriore a Sinfosio: ma di costui non conosciamo
la cronologia. Possiamo solo dire che è di età molto tarda
(V secolo? VI secolo?). D'altronde il fatto che nel romanzo
siano riportati ben lO indovinelli di Sirifosio - cioè mo1ti~
più di quanti la struttura veloce e sbrigativa del romanzo
di Apo110nio consentirebbe - dimostra che essi costituiscono
un'inserzione di un corpo estraneo nella trama del romanzoo
In altre parole: è ~e110 spirito del nostro romanzo che qui
Tarsia si serva di indovinelli (d'altronde sappiamo che A-
po110nio era abile nel risolvere indovinelli), ma qui ne ab-
biamo troppi!
Sono qui a confronto due "sapieriti": Apo110nio e sua fi-
glia. Apo110nio riconosce la prudentia della giovinetta e, se
gli fosse possibile, la renderebbe ancora più dotta (92, 1-3).
Certo, per suo riconoscimento, essa possiede una cultura ecce
ziona1e~ data la sua età:
o
o o
. I
J'
103
v.
LA CONSIDERAZIONE IN CUI E' TENUTO IL DENARO NEL ROMANZO
DI APOLLONIO
(Il romanzo poi non dice Quale destinazione avessero ricevuto gli altri
dieci sesterzi d'oro: probabilmente rimasero al medico, che aveva deciso
di adottare la giovane donna (53,8). Anche il silenzio sulla destina-
zione di Questa somma di denaro ci fa pensare che l'attuale redazione del
romanzo sia una redazione abbreviata).
108
110
stata donata è ben meritata~
. /
~ .
112
di Apollonio pesasse 78 Kg~: i suoi centomila moggi di grano
equivalgono a hlo 8733, cioè a Kg~ (8733 x 78) = Kge681 0174,
cioè a tonnellate 681,1740
Dalla vendita Apollonio ricava centomila denario
Per quanto riguarda il prezzo a cui egli mette in vendi-
ta il suo grano, sappiamo che nel 149 doCo un moggio di gra-
no costava 5 denari; che sotto Settimio Severo e Caracalla
il prezzo era salito a 10/15 denari; infine sotto Dioclezia-
no il prezzo era salito a 100 denarie
Assumendo in ipotesi che l'indicazione del prezzo data
nel romanzo (8 denari al moggio) abbfa un qua~che riferimen-
to alla rea1tà~ ne deduciamo che il romanzo fu scritto in
età intermedia fra il 149 d.Co e il 193 d.C. (ascesa al tro-
no di Settimio Severo): quindi anche questo romanzo apparter
rebbe, nella sua stesura originaria, al secolo II d.C. (e
precisamente alla sua seconda metà), che vide il massimo fio
rire del romanzo (è la stessa età di Apu1eio).
n costo
sempre più elevato del grano è in rapporto allo
svi1imento progressivo della moneta: pe chè mentre nel 149
il denarius, del peso di g 3,40, contiene 1'85% di fino,cioè
di argento, alla fine del II secolo l'argento è scaduto al
50% del peso del denarius, mentre sotto Diocleziano il dena-
rius, del peso di g 3,8, è ormai di rame imbiancato.
Se vogliamo ora farci un'idea del senso che aveva l'acqui
sto di un moggio di grano ai fini dell'alimentazione di una
persona, teniamo presente che si riteneva che 4 moggi di gra
no fossero necessari per l'alimentazione di un mese. Cioè
ogni mese si consumavano litri (4 x 8,733) = litri 34,932 di
grano, pari a Kg. 27,247 In altre paro1e,si:ritefleva dido:\ter
&).
."
113
Filocalo del 254 apprendiamo che i giorni festivi nell'anno
erano circa 180, dunque nel 354 dGC. un maestro lavorava in
media 15 giorni a 1 mese. Se a 1 tempo d.~ Diocleziano le cose
non erano molto diverse, possiamo assumere che un maestro
guadagnasse al mese denari 50x15= 7500 Poichè nell'edictum
de pretiis il prezzo del grano è fissato in 100 denari al
moggio, risulta che per comprarsi i 4 moggi di cui aveva bi-
sogno per la sua alimentazione mensile, il maestro spendeva
400 dei 750 denari che guadagnavao (E se aveva moglie e fi-
gli? E le spese per l'alloggio, ecco?)
Torniamo a Tarso e alla liberalità di Apollo~ioG I suoi
centomila moggi di grano costituiscono la base alimentaria'
indispensabile per 25.000 persone per un mese. Queste perso-
ne erano disposte a pagare "a borsa nera" il grano al prezzo
di 1 aureo al moggio.
114
prezzo a borsa nera del grano a Tarso (1 aureo al moggio)
era più ili 20 volte più alto del prezzo di mercato (8 denari
al moggio), nell'eventualità che la libbra d'oro valesse
10.000 denari; e, invece, di più di 104 volte più alto, se
la libbra d'oro valeva 50.000 denari.
All'età di Diocleziano - verso cui queste considerazioni
ci orientano per fissare la data approssimativa della reda
zione AP del romanzo - indirettamente siamo condotti anche
dal fatto che nel romanzo non si menziona il solidus intro-
dotto da Costantino. Cioè la riforma monetaria di quest'imper~
tore, che non sostiene più il denarius (di rame) e basa tutta
l'economia sul solidus (d'oro), non risulta nota al redatto-
re del romanzo. Infatti sotto Costantino il potere d'acquisto
del denarius, già gravemente ridotto sotto Diocleziano, scen
de paurosamente e si riduce ancora ad 1/20 (o secondo altri
calcoli ad 1/40) del denario del tempo di Diocleziano.
Da altri dati del romanzo siamo egualmente orientati ver-
so la stessa datazione per la composizione dell'opera: mi ri
ferisco alla frequente menzione di sestertia auri.
Per orientarci a capire i passi relativi ai sestertia sono
ricorso alla competenza del collega Giuseppe Nenci dell'Uni-
versità di Pisa, il quale mi scrive :
" ••• quanto ai sestertia auri, posso assicurarti che il se-
sterzio non fu mai coniato in oro, bensì in argento, orical-
co e altre leghe (Plinio, Naturalis historia, 34,2,4). Il s~
sterzio non si conia più verso il 260 d.C. Poiché qui si all~
de al sesterzio di età imperiale, normalmente d'oricalco che
pesava quattro assi e cioè g 48, ritengo che nell'Historia
Apollonii si alluda non a monete, ma a pesi in oro pari a
quello dei sesterzi del tempo. Perciò dieci sestertia auri
(non aurea) corrispondono a g 48x10 = 480 g in oro. Come il
sesterzio antico (d'argento), che era di due assi e mezzo,
passa in Columella (de atboribu$, 1,5) a indicare impropria-
mente una misura lineare di due piedi e mezzo, qui il sester
zio potrebbe indicare il peso (in questo caso 48 g) e indica-
re non monete, ma una certa quantità di oro, che poteva esse
re corrisposta sia in metallo coniato sia in metallo tout-
court. Si tratterebbe di un caso paragonabile a quello di
115
68,12 in cui compare la libra aurie Di più non saprei dirti,
purtroppo, né i lavori sulla monetazione imperiale danno lu-
mi di sorta"G
Dunque possiamo assumere, dopo aver ascoltato l'autorevole
parere del Nenci, che l'espressione più volte ricorrente nel
romanzo sestertia auri non indichi monete (il sesterzio non
fu mai coniato in oro): ma allora, anche in questo caso, si~
mo orientati verso una data posteriore al 260 dGCO (quando
le zecche cessano di coniare sesterzi), ma neanche così
lontana dal 260 che la gente non avesse più idea di che cosa
fosse un sesterzio. In questo senso, l'età dioclezianea -
verso la quale per altra via già siamo orientati a collocare
la redazione AP del romanzo - sembra la più probabile.
Accettata questa base, possiamo agevolmente trasformare
tutti i sestertia auri del romanzo nel peso corrispondente:
Poichè il sestertium auri corrisponde a g. 48, si hanno
queste corrispondenze:
lO sestertia auri = g. 480
20 " " = g. 960
30 " " = g. 1.440
40 " " = g. 1.920
50 " " = g. 2.400
60 " " = g. 2.880
70 " " = g. 3.360
80 " " = g. ·3.840
90 "
ti
= g. 4.320
100 " " = g. 4.800
200 " " = g. 9.600
Nel romanzo sono anche menzionate delle 1ibrae auri. Ora
il peso esatto della libbra romana oscilla tra g. 323,5 e g.
327,5; da una libbra d'oro si ricavano, come abbiamo visto,
60 aurei, sotto Diocleziano. Perciò il prezzo fissato dal l~
none, per la verginità di Tarsia, a mezza libbra d'oro (68,
11-12) equivaleva a 30 aurei; e a g 163,75G Perciò quando 1~
amico di Atenagora dona a Tarsia 40 aurei (70,3) le dona lO
aurei in più di Atenagora (le dona in monete un peso pari a
g 218,33): egli ritiene che Atenagora avrebbe potuto faci1-
'mente donarle un'intera libbra d'oro (71,6), cioè il corri-
, '
l" ,
- :l,
.•.•. f"' .
• Ma1~':~~.\,:. l"
r •
116
spondente in oro di 60 aureio Passiamo quindi dai 30 aurei
di Atenagora ai 40 dell'anonimo amico, ai 60 ipotizzati da
quest'ultimoo Notiamo ancora che il prezzo fissato dal leno-
ne per un "incontro" con Tarsia, 1 aureo (69,1:ivi. patefit
non ha bisogno di essere corretto: patefio ("vengo aperto"),
qui riferito a Tarsia costretta alla prostituzione, è al po-
sto suo, anche se non è altrove attestato; mi pare anche più
opportuno del patebit dei codici della II classe, che signi-
fica "sarà a disposizione"), è pari al prezzo di borsa nera
di .un moggio di frumento.
Facciamo ancora qualche considerazione. Tarsia sulla nave
di Apo11onio chiuso nella sentina raggrane11~ un bel capita-
le
lO sestertia auri iniziali da Atenagora (86,2-3);
200 aurei da Apo11onio (88,7);
400 aurei da Atenagora (89,4);
100 aurei da Apo11onio (97,4-5);
in totale lO sestertia auri e 700 aurei; cioè 9 in peso, 480
g più I l libbre e 2/3 di libbra d'oro, cioè (calcolando la
libbra uguale a g 327,5) g 3820,83; in totale dunque g 4300,83.
Questa fanciulla viene davvero caricata d'oro!
o
o o
r •
SOMMARI DELLE RELAZIONI SULLE RICERCHE
COMPIUTE NEL SEMINARIO
DI LETTERATURA LATINA
o
o o
.,
,.
121
I.
Libro I
Due giovani efesii, di ricca famiglia e di straordinaria
be11ezza,Anzia e Abrocome, per volere di Eros, che vuole ve~
dicarsi del peccato di hybris commesso dal superbo fanciul-
lo, s'incontrano durante una processione in onore di Artemide
e si innamorano l'uno dell'altra. Poichè la pena d'amore ri-
duce i due ragazzi in fin di. vita, i loro genitori interrog~
no l'oracolo di Apollo Co10fonio, che svela la causa del ma-
le, ma predice anche per i due giovani infinite sventure, pri-
ma della meritata fe1icitAo Anzia e Abrocome si sposano, e
quasi subito partono per mare, per sottrarsi al castigo di
~ros; ma la loro nave viene assalita ed incendiata da pirati~
che conducono i due prigionieri al quartier generale della
banda~ presso il loro capo Apsirto, a Tiroo
, J
,
122
Libro II
Libro III
Libro IV
Libro V
DalW··~~'~~~~">ii ~~~.'~'.
,.
124
te entro i limiti consentiti dall~uso di due lingue diverse)~
Ci limiteremo in questa sede ad indicare sommariamente i pa~
si presi in esame e i loro contenuti~ e ad accennare alle
conclusioni che ne abbiamo tratte, rimandando~ per un'esposi
zione più completa, alla copia del lavoro la!sciato a disposi
zione degli studenti in Istitutoo
,,
125
biltà d'animo ed assicurano alle due malcapitate la loro com~
prensione e protezionte Le analogie, in questo caso, vanno
oltre la somiglianza contenutistica e si spingono fino a quel
la formale, per l'esame della quale si rimanda al testo inte:
grale della presente relazionec
o
o o
· ,.... ~.' .. ",
127
II
:,: .. ~.
,. .
134
attraverso allusioni dirette a miti tragici o tragedie (di
EURIPIDE)o La cultura ha un ampio rilievo nelle Etiopiche
come, dialtra parte~ è possibile riscontrare in quasi tutte -
le opere letterarie del periodo tardo, sia latine sia grechee
Si possono fare due diverse letture, a due livelli, della
cultura in questo romanzo greco: il primo livello, che si
può definire "oggettivo", più facilmente riscontrabile, ri-
guarda l'importanza della cultura in sé oppure per scopi pra
tici; il secondo,"soggettivo",è costituito dai continui ri-
ferimenti e rinvii alla cultura letteraria del passato, ri-
ferimenti che vanno da OMERO fino a PLUTARCO (questi riferi
menti sono di vario genere: lessical~, dalla singola parola
alla locuzione, frase, verso; di contenuto; di impianto na~
rativo), oppure da discussioni di carattere letterario-eru-
ditoo Nell'Historia l'aspetto più propriamente di erudizio-
ne - come già detto - si è ridotto a formulazione di indovi
nelli e la cultura ~ tidotta a mezzo"in Vista-di un-fine.
o
o o
135
III
L a n a r r a t i o
138
142
o
o o
I
143
IV
La descriptio~
.~--:
,: .
"
},-.," .
('. ...... 1
"~ ..
.
,..
144
torio, come i retori greci Teone, Ermogene, Aftonio, Nico-
lao, autori appunto dei Progymnasmata, altri nel senso di
figura come Quintiliano e gli autori dei trattati perì sche-
maton; tuttavia le definizioni di descriptio si corrispon-
dono, sempre, nella forma e nella sostanza. Lo scopo della
ricerca sarà quello di analizzare gli elementi e le qualità
caratteristiche della descrizione oratoria; non è stato in~
vece possibile, per ragioni di tempo, giungere a quello che
era lWobiettivo finale della ricerca stessa, cioè ad un con
fronto tra la teoria retorica con le descrizioni che si tro-
vano nei romanzi antichi (in particolare nella Historia Apol-
lonii regis Tyri) per verificare sulla base dei risultati
un possibile rapporto di dipendenza del romanzo, originale
creazione del periodo post-c1assico, rispetto agli eserci-
zi preparatorie
Prima di Quinti1iano la Rhetorica ad Herennium, il testo
più antico su11'ars dicendi che ci è pervenuto e che costi
tuisce per noi un modello, un archetipo rispetto ad altre
opere retoriche, ci dà una precisa definizione di descriptio
(4,39,51): Descriptio nominatur guae rerum conseguentium
continet perspicuam et di1ucidam cUlTI gravitate expositionem.
Perspicuus, come si vedrà in Quinti1iano, indica una quali-
tà comune anche alla narratio ed è sinonimo di lucidus
(Inst. Or. IV, 2, 31), secondo il retore spagnolo. Circa il
termine gravitas, anch'esso proprio della narratio, sembra
riferirsi all'atteggiamento di chi si esprime, piuttosto
che allo stile, poichè, se lo intendessimo in questo senso,
la descrizione verrebbe automaticamente inserita nello sti-
le sublime; il sostantivo gravitas poi, insieme all'agget-
tivo dilucida, è in un'ulteriore definizione tralasciato
dall'autore per inserire l'avverbio breviter indicante un'al~
tra virtù essenziale della descriptioe
~':.i·I·~·.
,.
146
ciando dag i antefatti per finire alle conseguenze)) senza p~
rò mai essere prolissiQ Si accenna poi da parte di Teone ed
Ermogene alle qualità più proprie delliékphrasis (5): la . sa-
phéneia (chiarezza) e l'enàrgheia (evidenza)Q
A questo pun~~ dunque, dall'analisi e dal confronto delle
definizioni di descriptio / ékphrasis è facile constatare
che il primo tenniue è la traduzione del secondoe Anche al-
tri vocaboli però sembrano assumere lo stesso significato.
Il primo di questi, diatyposis, significa propriamente
"formazione, configurazione", ma nel linguaggio retorico se~
bra indicare la descriptio~ Infatti Aquila Romano (Halm 23,
18-21;26, 3~4), nel III seco doC~, e: Marziano,Capella (Halm
478, 17-19), nel V sece doCe, che trascrive le stesse parole
del primo, la definiscono descriptio ~el deformatio (Prisci~
no, come si è visto, identificherà ormai inconsciamente que~
sti due termini latini) e affermano che essa deve esporre le
singole cose nei loro minimi particolari (come già nei Progim
nasmi)o Zonaio (Walz 8,678, 12-15), nel V seco doC., e l'A-
nonimo Petì schem&ton (Walz 8, 704, 12-13) traggono anch'es-
si dai retori greci l'espressione "descrivere un oggetto in
modo da presentarlo quasi alla vista dell'uditore"(il secon-
do tiene a dire però che l'ékphrasis deve trattare cose
realmente accadute e non cose soltanto verosimili) e
Nel Peri schematon di Alessandro (Sp. III, 25,13) la dia-
tiposi è una "raccolta e accostamento (parasynagoghé, ter-
mine rarissimo e di non chiaro significato) di personaggi e
fatti" che dà forma espressiva e rende evidenti gli stati d'~
nimo delle persone (pathe) e l'aspetto delle cose (eidè);
in questa definizione si ritrova liaccenno alla evidentia e
in particolare la distinzione, già di Aquila Romano e Marzia
no Capella, tra formae (eide in Alessandro) che si riferi-
scono all'aspetto esteriore delle cose o ai tratti che con-
traddistinguono una persona~ e habitus (path~) che sono i
comportamenti e gli stati d'animoo In Febammone (Sp. III,
51-17) poi D e specialmente in Tiberio (Sp. III, 79, 19-23),
la diatiposi è ancora l'esposizione minuta di un fatto attra
verso più particolari Sl ma il secondo retore distingue quest~
tipo di diatiposi da quella che assume come oggetto cose non
accaduteSI temi fantastici, non reali, e ciò si potrebbe col~
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legare alla tematica del romanzo, frutto di fantasiao La dia
tiposi infine, era già stata definita da Quinti1iano (Inst.
Or. IX 9 2, 40-1) al solito modo, come rappresentazion; vi-
va di cose che sembrino più vedute che ud:i.te o Altri termini
oltre a quello appena esaminato possono ricol1egarsi in qua!
che modo alla descriptio-ékphrasis. La demonstratio, ad e-
sempio, che, come si è accennato, Prisciano identifica con
la descriptio, fu presa già in considerazione dall'autore
della Rhetorica ad Herennium: le sue caratteristiche sono
quelle stesse che abbiamo visto esser proprie della descri-
zione e della diatiposi: necessità di esporre icasticamente,
iniziando dagli antefatti e terminando con le conseguenze
della situazione descritta (Rhet. ad Her. IV, 55, 68). Con
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charakter si designa invece la descrizione di una persona,
come afferma il retore Cocondrio (Wa1z VIII, 795); in lati-
no non c'è un termine specifico che traduca questo sostantivo
greco, così che Cicerone, per esempio, 10 indica genericame~
te con descriptio aggiungendo però che i Greci 10 chiamano
charakt~r (Top. 22, 83). Nella Retorica ad Erennio (IV, 49,
63) è detto effictio il demonstrare una persona e i suoi
tratti somatici e l'effictio è distinta dalla notatio che
fa riferimento alle qualità interne dell'individuo in og-
getto (i termini forma e natura richiamano l'antinomia er-
mogeniana tra éide e pathe). Il precedente passo di Cicero-
ne contiene dunque una definizione non molto precisa, così
come secoli più tardi Ruti1io Lupo evidenzierà (Ha1m 16-1)
solo l'aspetto interiore della persona e Isidoro ~I sec.)
quello esteriore (Halm 521, 19-21).
Un'ultima particolare forma di descrizione è quella ri-
guardante i luoghi, ossia la topografia, come si legge in
Quintiliano (IX, 2, 44) o in seguito in Emporio (Halm· 5~9,
25) e negli Schemata dianoeas (Ha1m 71,11) il cui autore di
stingue tra la descrizione di un luogo ben individuato (to-
pographia) e la descrizione di un luogo che non può esiste-
re e deve essere inventato (topothesia): quest'ultimo caso
è proprio del romanzo.
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Passiamo ora a considerare le caratteristiche della de-
scriptioe
Dall'esame dei passi latini e greci fin qui considerati
sulla figura della descrizione, risultano chiare le qualità
che la contraddistinguono: essa deve essere perspicua, di-
lucida , gravis, brevis, evidens, saph~s, enargh~s: questi
sono i termini più significativi. Per l'autore della Retori
ca ad Erennio, la descriptio deve essere dilucida (IV 39,
51), te~ine che in un passo riguardante la narratio (I,
9, 14-5) indica un'esposizione ordinata secondo il susse-
guirsi degli avvenimenti, mentre altrove (IV, 12 17) è ri-
ferito all'uso di parole comuni e appropriate~ così come in
Cicerone (Partitiones Oratoriae VI, 12). Nellilnstitutio 0-
ratoria~ poi, Quintiliano muta dilucidus in lucidus (IV, 2,
31), ma il senso si conserva inalterato essendo questa voce
inserita nella definizione di narratio dove le altre quali
tà sono le stesse presenti nel passo' della Retorica ad Eren-
nio (I, 9,14-5)Q Quintiliano inoltre afferma la sinonimia
di lucidus e perspicuus (IV, 2,31) e lo stesso si può de-
durre dalla definizione di narratio in Giulio Vittore (Halm
424, 22) che riferisce ad un modo di esprimersi perspicuus
le caratteristiche che la Retorica ad Erennio attribuiva ad
uno dilucidus: rispetto di un ordine per la successione dei
fatti e uso di vocaboli correnti e appropriati. Riguardo
alla perspicuitas, se Cicerone sostiene (Academici II, 6,
17, 30-1) che essa è sinonimo di evidentia (ed entrambe e-
quivalgono al greco en'rgheia), Quintiliano fa una distin
zione quando subordina la seconda alla prima 'nello svolgi-
mento di una narratio (IV, 2,63-4), o quando dice che l'evi-
dentia patet,ma la perspicuitas se quodam modo ostendit
(VIII, 3,62). Per il retore' spagnolo l'en~rgheia traduce
evidentia (o anche repraesentatio o illustratio: VIII, 3,
62 e VI, 2,32) la quale riproducendo( . un fatto ci fa quasi
provare la sensazione di assistervi direttamente. Se per
Quintiliano essa è ancora, senza dubbio, una virtus della
descript~o e anche della narratio, così come per l'Anonimo
della Techne rhetoricht che la definisce tropos diègh~seos,
cioè modo della narrazione (Sp. I, 370), o per Teone ed Er-
mogene che la dicono aret~ dell'ékphrasis (Sp. II, 16e
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118), da altri retori fu considerata una vera e propria fi-
gura: l'enargheia è una figura con la guale esponiamo con pa-
role la forma e l'immagine delle cose i in modo da porle sot-
to gli occhi e alla presenza del lettore (Giulio Rufiniano,
IV sec~ d.C. - De schematis dianoeas, Halm 62, 29-30).
Da tutti i passi riguardanti l'evidentia e infine da que
sto traspare una fiducia assoluta ed esasperata nella Paro-
la, sentita come strumento con cui si riproduce e si domina
la realtà. Se usata con il possesso di opportune tecniche,
la parola può giungere a sostituire ~ viswne dell'oggetto.
Anche attraverso questi scritti di retorica si coglie un mo
mento fondamentale e tipico del mondo classico: la fede nel
la parola dominatrice della realtà, concezione che ha una
lunga storia, a partire dalla Sofistica e da Gorgia, esalta
tore della capacità fascinatrice e quasi magica della Paro-
la, per giungere a Teone, Ermogene, Aftonio e ai neosofisti,
fino ai gr~mmatici latini e greci che con il proprio contri
buto tramandarono e arricchirono il patrimonio di tutta la
retorica antica.
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Avvertenza 1