BILATERALITÀ DEL PROCESSO MIGRATORIO: si è contemporaneamente emigrante per il paese di cittadinanza ed immigrato nel nuovo paese di residenza, e si è contemporaneamente vincolati dalle normative dei due stati in tema migratorio e si è portatori di aspettative nei confronti delle due terre. Metodo quantitativo (presuppone l’uso di dati statistici) per lo studio dell’immigrazione con la consapevolezza che dietro ai numeri ci sono le persone. Da parte di chi scrive è necessaria la consapevolezza dell’appartenenza ad una Nazione, perché la coscienza dell’altro presuppone un noi di cui chi scrive è parte. Attualmente l’esclusione e il rifiuto dell’altro sono legati agli stereotipi delle etnie e delle culture straniere ma, gli immigrati erano già marchiati in quanto altri quando appartenevano ancora prevalentemente alla medesima razza. CLANDESTINO: chi entra senza documenti; IMMIGRATI IRREGOLARI: sono i cosiddetti overstayers coloro entrati con un regolare documento d’ingresso alla cui scadenza rimangono sul suolo straniero diventando così irregolari, perdendo diritti e finendo nell’illegalità. Bauman parla di società liquida il cui elemento costituente è la presenza sempre > di migranti. Gli studi genetici sui primi ominidi rinvenuti dimostrano che una prima comunità si divise in 2 gruppi che si allontanarono tra loro per dare vita ad un processo evolutivo ≠, per riunirsi poi in una nuova comunità dopo circa 100.000 anni à l’ipotesi + accreditata vede come risposta alla migrazione le condizioni climatiche nell’Africa Sud-orientale dove la prima comunità viveva.
CARATTERISTICHE DEL MIGRANTE Le Nazioni Unite definiscono il migrante una persona che si è spostata in un paese ≠ da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno. à 2 elementi caratterizzanti del migrante: lo spostamento e la permanenza per + di 1 anno. àLIMITI: - considera solo le migrazioni internazionali (cioè tra ≠ stati) e non quelle interne dello stesso paese - durata dello spostamento perché la durata di 1 anno finisce per non considerare tutti gli spostamenti brevi su base stagionale -questione giuridica dei figli degli immigrati che molto spesso non acquisiscono la cittadinanza ma continuano ad essere considerati stranieri -la permeabilità delle frontiere condiziona la loro composizione strutturale e la provenienza geografica àPOLITICHE MIGRATORIE di 2 tipi: 1. Rivolte alla regolazione dei flussi migratori e al controllo dell’ingresso degli stranieri nei territori; 2. Tutte le norme indirizzate verso l’accoglienza o l’integrazione dei singoli nella società ospitante à a queste si aggiunge il gruppo delle politiche per gli stranieri con uno status giuridico problematico perché entrati nel paese senza autorizzazioni, come i richiedenti asilo.
Secondo Tomas Hammar, che focalizza l’attenzione sul ruolo delle politiche migratorie, le migrazioni in UE possono essere ricondotte a 4 periodi: 1. Quello iniziato nel 1800 con le prime migrazioni transoceaniche libere da vincoli, cioè non servivano documenti; 2. Il periodo compreso tra le due GM 1914-1945 quando le migrazioni erano sottoposte a regole e restrizioni; 3. Il periodo successivo alla fine delle GM e l’epoca della ricostruzione quando il benessere economico ha spinto ad una regolazione dei flussi in senso relativamente liberale; 4. Quello dagli anni 70 ad oggi dove ci sono più o meno severi criteri di regolamentazione. In risposta alle politiche adottate, il n° dei migranti è cambiato.
Problema della SEGREGAZIONE RESIDENZIALE (rilegati nei ghetti) e della SEGMENTAZIONE DEL LAVORO per il quale ai migranti sono aperte le porte solo di alcuni lavori definiti delle 5 P precari, pericolosi, pesanti, poco pagati e penalizzati socialmente.
LA DIMENSIONE TEORICA
Molto spesso di tende a utilizzare i termini come clandestino, migrante, extracomunitario come sinonimi, ma non lo sono à la Carta di Roma del 2008 è stata firmata dal mondo giornalistico, ed è un protocollo deontologico per promuovere una maggior consapevolezza sull’informazione inerente tematiche e soggetti legati all’immigrazione. CITTADINI STRANIERI: persone che non hanno la cittadinanza italiana APOLIDI: non considerati cittadini da alcuno stato in conformità della legge vigente. IMMIGRATI DI 2° GENERAZIONE: coloro che sono nati in Italia e che hanno la cittadinanza straniera o italiana per acquisizione, oppure discendenti di IMMIGRATI DI 1° GENERAZIONE La popolazione immigrata cos’ definita, ovvero facendo riferimento al luogo di nascita, non include i figli di cittadini stranieri nati in Italia.
LE TEORIE 1. Per lungo tempo si è ritenuto che il motore principale delle migrazioni fosse la spinta economica. Il mondo veniva macroscopicamente diviso in 2: da una parte le aree di partenza, povere, dall’altra le aree di arrivo, ricche. à TEORIA PUSH AND PULL per la quale a fattori di spinta rispondono fattori di attrazione. Si ritiene che i 2 fattori abbiano giocato ruoli ≠ in base alle epoche: durante lo sviluppo industriale, fine 19 inizio 20 sec, cosi come nella fase del benessere dopo la 2GM, si reputa prevalessero i fattori di attrazione da parte dei sistemi economici trainanti, mentre attualmente i fattori di spintaàpovertà, carestie, aumento demografico, catastrofi… Questa visione bipolare mette a confronto 2 sistemi opposti con una concezione del mondo in cui gli spostamenti rispondono agli squilibri. CRITICHE alla teoria push and pull: -è vero che ci sono tanti squilibri tra i paesi, ma perché i migranti non partono in massa soprattutto da quelli + poveri e le fasce sociali maggiormente interessate agli spostamenti non sono le + svantaggiate? In realtà emigrano molti da paesi non estremamente poveri e anche persone delle classi intermedie.
2. TEORIA DUALISTICA DEL MERCATO DEL LAVORO di Michael J. Piore, 1979 fonda i suoi principi sempre sul sistema economico, ed evidenzia come l’immigrazione sia la risposta a una domanda massiccia di manodopera non qualificata da parte dei sistemi economici sviluppati. Anche qui c’è una visione bipolare del sistema economico: da una parte le attività qualificate, stabili a buona retribuzione, dall’altra le occupazioni non qualificate, instabili àimmigrati.
Queste teorie però tengono conto solo dei sistemi economici e non delle spinte personali à nuove teorie che ripongono grande impo alle relazioni sociali tra individui: in quest’ottica, l’individuo che emigra lo fa in funzione dell’interazione con una o + reti di legami sociali e simbolici nelle quali è immerso. Douglas Massey ha definito i NETWORKS MIGRATORI come complessi legami interpersonali che collegano migranti attraverso vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine. I legami sociali danno vita a opportunità e risorse che possono essere considerate come una specifica forma di capitale sociale che è sempre disponibile per proiettare i migranti fuori dalla loro comunità, riducendo i costi finanziari e psichici della migrazione. È proprio grazie alla presenza di connazionali che molti individui finiscono col risiedere nello stesso quartiere (chinatown).
Le migrazioni hanno anche una forte dimensione spaziale che deve essere tenuta come sfondo o come attore nel fenomeno complessivo: i migranti non sono soggetti passivi ma individui che optano per la soluzione migratoria per reagire ad un complesso di stimoli e bisogni che difficilmente possono essere chiusi in una sola teoria.
La CONVIVENZA “ETNICA”: maggiori sono le differenze percepite tra due gruppi maggiore è la distanza sociale e minori sono le possibilità che il gruppo autoctono accetti al proprio interno il gruppo minore. Wilbur Zelinsky DOTTRINA DEL GRUPPO FONDATORE: ogni volta che un territorio disabitato viene colonizzato o una popolazione esistente viene soppiantata da un’altra, le specifiche caratteristiche del primo gruppo in grado di creare una società effettiva e capace di perpetuarsi da sola risultano fondamentali per la successiva geografia sociale e culturale dell’area in questione. La pressione dei gruppi etnici è maggiore nelle città, mentre è minore in un contesto rurale perché c’è più spazio da poter occupare. Le forme di discriminazione da parte del gruppo fondatore verso il gruppo minoritario dipendono da un insieme di fattori che possono essere messi in campo da entrambi i gruppi. La concentrazione di gruppi in quartieri separati o “omogenei” dal punto di vista della composizione etnica degli abitanti può essere considerata come il risultato dell’azione di alcuni fattori esterni e di elementi di controllo interni alla comunità messi in atto per motivi culturali e in risposta al senso di diffidenza nei confronti della società ospitante.
L’esistenza di un TERRITORIO ETNICO bene definito ha ≠ funzioni positive per il gruppo: - La DIFESA di membri del gruppo: l’individuo si sente protetto dalla vicinanza dei suoi simili, mentre chi non è del gruppo può sviluppare un senso di paura dalla presenza di un altro gruppo molto numeroso; - Il SUPPORTO: il fatto di poter contare sugli individui dello stesso gruppo nazionale rappresenta un luogo di accoglienza dove è presente il supporto umano e il contatto sociale; - La CONSERVAZIONE delle tradizioni, lingua, religione e degli elementi della propria identità; - L’ATTACCO o la RIVENDICAZIONE: un gruppo può raggiungere maggiori risultati in caso di attacco rispetto al singolo.
CARATTERI FONDAMENTALI DEL PROCESSO MIGRATORIO Gli spostamenti si possono classificare in base: o La MOTIVAZIONE. Sono ≠: - ambientale - affettivaà ricongiungimenti familiari - cervelli in fuga, spesso donne - rifugiati e richiedenti asilo à dovuti a squilibri politici - economica o La DURATA DELLO SPOSTAMENTO: - temporanea - permanente, lifetime migration In genere la maggior parte delle migrazioni si svolge lungo un arco di tempo e si conclude con il rientro nel paese d’origine à infatti migrano persone in età da lavoro à comporta un generale ringiovanimento delle popolazioni ospitanti e un parziale restringimento del n° di persone in età intermedia nel paese d’origine. o La TIPOLOGIA ORGANIZZATIVA: - spontanei - forzati, subentrano fattori esterni (diaspora ebraica, le GM) - organizzati, in Italia sono avvenute durante la bonifica della pianura pontina, i contadini hanno abbandonato le campagne venete e romagnole per coltivare le terre liberate dalle acque delle paludi o All’ENTITÀ NUMERICA DEI MIGRANTI è connessa con la tipologia perché può interessare un singolo, un nucleo familiare o popoli interi (emigrazione di massa) o La DESTINAZIONE DEI MIGRANTI: esistono migrazioni – a lungo/corto raggio - orizzontali/verticali - interne/esterne àquelle esterne possono coinvolgere individui che si spostano tra stati appartenenti allo stesso continente, quindi internazionali, oppure individui che si spostano tra stati ≠, quindi intercontinentali, mentre quelle interne possono interessare spostamenti dalle aree montane verso quelle pianeggianti, quindi verticali, dalle aree interne verso le coste, quindi orizzontali. La destinazione viene scelta dagli individui in base ad alcuni fattori detti territoriali che possono rendere preferibile un luogo invece di un altro e che sono connesso con i fattori personali e relazionali. Infatti si possono distinguere i flussi migratori anche in relazione al peso che assumono i differenziali personali e territoriali: - i DIFFERENZIALI MIGRATORI TERRITORIALI si riferiscono alla direzione che assume lo spostamento. La partenza può portare a destinazione con un viaggio diretto o a tappe; anche la DISTANZA influisce sul luogo della migrazione (in passato non ci si allontanava troppo dal paese d’origineàteoria della distance decay, cioè della diminuzione con la distanza). Lo sviluppo dei trasporti ha portato alla luce il fattore dell’ACCESSIBILITÀ (voli low cost)ànon ha più senso la teoria della distanza. Anche il CLIMA incide, oltre che al CONTESTO POLITICO (soprattutto da parte dei richiedenti asilo). Anche il fattore MILIEU incide, ovvero l’insieme delle condizioni naturali e socio-culturali che si sono stratificate in un luogo nel corso del tempo e che rappresentano il patrimonio comune della collettività locale e la base territoriale della sua identità. - i DIFFERENZIALI MIGRATORI PERSONALI cioè fattori individuali come l’età, il sesso, lo stato civile che entrano in gioco in ogni fase del processo migratorio. È stata registrata una propensione all’emigrazione in alcune fasce d’età e non in altre (20- 30 anni) e in genere persone nubili/celibi. Inoltre nell’immaginario collettivo il migrante è uomo ma le donne preso parte attiva nel processo migratorio assumendo sempre più ruoli primari.
DA ANGELI DEL FOCOLARE A BREADWINNER: L’EMIGRAZIONE FEMMINILE.
Stephen Castles e Mark Miller affermano che la femminilizzazione dei flussi è una delle 4 principali tendenze della “NUOVA ERA DELLE MIGRAZIONI”, oltre alla globalizzazione, all’accelerazione e alla differenziazione dei flussi migratori. In passato erano molte le donne che si ricongiungevano ai mariti immigrati per primi, oggi si osservano flussi di donne “sole” che arrivano per prime nei paesi i cui trovano lavoro. A livello mondiale le femmine costituiscono il 50% di tutti i migranti (le italiane all’estero sono il 47% di tutti gli italiani residenti all’estero). La distribuzione per sesso all’interno dell’intera popolazione straniera varia sensibilmente in funzione dell’area di provenienza: più donne dal sud america/filippine, più uomini dall’africa o asia meridionale. A partire dagli anni 70 un n° sempre > di donne immigrate si è inserito nel tessuto produttivo per rispondere alle nuove esigenze familiari conseguenti all’entrata della donna nel mercato del lavoro (avere la colf significava un simbolo di benessere per il ceto borghese e la possibilità di lavorare per le immigrate). MADRI TRANSNAZIONALI: che condividono con donne presenti in altre nazioni la cura e l’affetto dei loro bambini. Sono costrette ad abbandonare i propri figli per assisterne e crescerne degli altri. La partenza può rappresentare anche l’occasione per la conquista di una > indipendenza. Le donne inviano quasi tutti i risparmi alla famiglia per cui a volte diventano breadwinner dell’intera famiglia perché con le loro rimesse la famiglia d’origine riesce a vivere meglio. àla donna acquisisce un ruolo primario divenendo principale attore del processo migratorio. Le immigrate si concentrano soprattutto nelle grandi città (Roma, Milano) e nel corso degli anni hanno tessuto delle relazioni molto fitte per cui con il loro passaparola ed il loro aiuto altre donne sono arrivate in Italia e hanno trovato una casa e un lavoro. àle reti hanno assunto una connotazione di genere: inizialmente hanno richiamato soprattutto amiche e parenti mentre era più difficile coinvolgere gli uomini per cui questa rete si è estesa su un binario gender oriented, con il tempo però sono stati coinvolti anche gli uomini che a loro volta hanno fatto da rete per coinvolgere altri uomini. La collaborazione domestica su base etnica si è progressivamente espansa ed ha alimentato la segmentazione del mercato del lavoro: molte donne con titoli di studio elevati ancora oggi lavorano nel settore della cura, mentre altre rimangono imprigionate nel fenomeno della tratta e della prostituzione. In Italia le immigrate costituiscono il 51% dell’intera popolazione immigrata, mentre 6 anni fa erano solo il 35%. In termini assoluti il n° + elevato di donne risiede al nord, mentre al sud è + contenuto, mentre a livello regionale la situazione è inversa perché sul totale degli stranieri al sud, la maggioranza è donna. Alcuni gruppi presentano una differenziazione per sesso molto equilibrata, altri meno, come i thailandesi, gli ucraini, polonia e moldavia che sono + donne, mentre egiziani, marocchini sono + uomini. Le comunità vengono sostituite nel tempo da altre in arrivo: generalmente le comunità + vecchie raggiungono una buona stabilizzazione con un’equa distribuzione per fasce d’età, per sesso e per mobilità sociale. àesempio è la migrazione delle donne filippine (p.44). Si è notato che anche le donne sposate partono, molte delle quali divorziate, separate o vedove che avrebbero difficoltà d’inserimento nella loro società à partono per essere + libere ed essere socialmente accettate, oltre che per la possibilità di un “riscatto” nei confronti della sua famiglia (perché mandano i soldi a casa). Il processo migratorio risente fortemente del sistema di norme e di vincoli dei paesi perché in alcuni casi l’immigrazione viene condannata, in altri è rispettata. Recentemente si sta cominciando a registrare un nuovo tipo di migrazione femminile temporanea: alcune donne lasciano il proprio paese ed arrivano in Italia con un visto turistico, lavorano per 3 mesi e poi rientrano. Dopo alcuni mesi ritornano, lavorano e poi rientrano àIMMIGRATE TRIMESTRALI legate alla durata del visto e non + alle stagioni.
LA DIMENSIONE TERRITORIALE
All’inizio del 20 sec si emigrava dall’Italia per arrivare in America perché la penisola era afflitta da problemi strutturali e contingenti che non permettevano il sostentamento della popolazione. Solo dagli anni 70 la crisi internazionale collegata allo shock petrolifero spinse molti paesi ad applicare nuove norme restrittive all’immigrazione e molti italiani fecero ritorno in patria. In seguito per molti stranieri che non potevano andare in altri paesi europei, l’Italia era diventata terra d’immigrazione.
AREA SCHENGEN: nel 1985, 5 paesi dell’UE, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, hanno deciso di abolire tutti i controlli sui cittadini alle frontiere interne creando un territorio comune, la cosiddetta area Schengen. Questi paesi hanno introdotta una politica comune in materia di visti per l’intera zona e hanno deciso di realizzare controlli efficaci alle loro frontiere esterne. Questa zona si è gradualmente estesa comprendendo quasi tutti i paesi UE oltre ad Islanda, Norvegia e Svizzera. Irlanda e Regno Unito non hanno aderito, mentre Bulgaria, Cipro e Romania non rientrano nell’area Schengen.
Le città sono cresciute in risposta alle pressioni effettuate dai nuovi immigrati. Per quanto riguarda gli spostamenti interni della popolazione italiana e che costituiscono le radici dell’attuale assetto demografico, possono essere rintracciate nella storia degli ultimi 2 sec. A partire dalla fine del 19 sec, in conseguenza alla nascita delle industrie si sono avuti grossi spostamenti dalle aree montane (Alpi, Appennini e aree svantaggiate della penisola). Le industrie nelle valli hanno chiuso e i giovani si sono spostati nelle città, lasciando gli anziani nelle zone ruraliàle città sono cresciute in fretta. Le prime collettività straniere si sono concentrate a Roma e Milano rispondendo alla richiesta di manodopera a bassa qualificazione (prevalenza femminile nel sistema della cura alla persona e maschile nel commercio ed edilizia). Negli ultimi anni c’è stata una diffusione della presenza immigrata anche fuori dalle grandi cittààPROCESSO DI TERRITORIALIZZAZIONE che parte dai capoluoghi per investire le aree residenziali limitrofe àquesti processi residenziali vanno letti in accordo agli spostamenti interni della popolazione nazionale e al contempo anche come risposta al decentramento produttivo che si è registrato negli ultimi decenni. L’inurbamento non ha segnato un’accelerazione costante perché la crescita urbana ha recentemente registrato dei rallentamenti e ha visto una perdita di abitanti nelle zone metropolitaneàmolte persone si spostano in zone + accessibili e vivibili. Sul finire degli anni 70 si è parlato di contro-urbanizzazione o di SUB/URBANIZZAZIONE per la quale prima i contorni urbani si sono espansi e le periferie hanno accolto nuovi individui, poi i centri urbani sono stati abbandonati dalla popolazione italiana (DISURBANIZZAZIONE), gli edifici industriali centrali sono stati decentrati in spazi meno costosi. Lo spazio urbano si è andato differenziando e caratterizzando su basi strutturali, reddituali ed etniche. Interventi speculativi privati e dell’amministrazione pubblica attivano processi di ristrutturazione e recupero delle aree interne con edifici vecchi che affittano a caro prezzo agli immigrati, mentre attirano nuova popolazione a reddito medio-alto verso il centro (segno di RIURBANIZZAZIONE) à questo processo viene definito GENTRIFICATION e rappresenta una nuova forma di mobilità per la cittadinanza: fasce marginali di popolazione vengono sostituite da altra popolazione a reddito medio-alto che preferisce ritornare nel centro città e ai poveri e agli immigrati tocca spostarsi in altre zone della città (periferie). Il nord è la macro-area italiana che ospita la maggior parte degli stranieri, mentre il sud molto spesso è un’area di approdo e di transito verso il nord. A Roma gli immigrati si concentrano all’interno del Comune di Roma, mentre a Milano più a Bergamo e negli altri centri vicini. SOSTITUZIONE DELLA POPOLAZIONE quando gli stranieri abitano nelle case rese libere dall’invecchiamento demografico o lasciate da chi si è trasferito + vicino ai poli del lavoro. La presenza straniera lungo la costa è correlata alla presenza di popolazione italiana e alla richiesta di servizi da questa generata ma deve anche essere messa in relazione all’ampio mercato immobiliare diventato disponibile negli ultimi anni (dopo il boom economico degli anni 60 molti italiani hanno costruito le 2° case sulle coste, ma la crisi economica attuale ha portato gli italiani a rinunciare e a trasformarle in altre forme di investimento.
La manodopera straniera è attratta soprattutto da alcuni comparti lavorativi: - Settore primario (albanesi, marocchini, indiani, tunisini): nel sud molte attività stagionali molto spesso irregolari. (pesca, allevamento, raccolto) - Settore secondario (cinesi): soprattutto nelle piccole e medie imprese del nord - Settore terziario: commercio, ristorazione, alberghiero e servizi di cura.
Anche le aree montane iniziano a richiamare gli immigrati: se si considera l’incidenza (cioè il rapporto tra il numero di stranieri residenti e la popolazione totale) emerge che gli stranieri sono presenti in montagna dove è scarsa la popolazione italiana. L’Italia ha iniziato a registrare un n° consistente di arrivi tra la fine degli anni 70 e i primi 80 e inseguito con l’allargamento dell’UE e l’abbattimento delle barriere alla mobilità sociale. Un segnale di stabilità del fenomeno di radicamento nel territorio italiano dell’immigrazione è il TASSO DI NATALITÀ DEGLI STRANIERI (n° di bambini stranieri nati in 1 anno ogni 1000 abitanti) che è incrementato grazie alla maggiore stabilità raggiunta dagli immigrati e anche il N° ASSOLUTO DEGLI STRANIERI NATI IN ITALIA ed ivi residenti (+ del 20% degli stranieri) à chiamati 2° GENERAZIONE (G2), mentre i minori nati in un paese straniero e giunti in Italia in età adolescenziale x i ricongiungimenti con i familiari arrivati prima sono la GENERAZIONE 1 E MEZZO (il 70% è nato in Africa o nell’UE centro orientale).
Uno stereotipo riguarda la MORTE DEGLI STRANIERI (perché i cinesi non muoiono mai?) Gli immigrati quando arrivano in Italia sono giovani e quindi, siccome il fenomeno migratorio è recente, è difficile rilevare un gran n° di anziani. E poi gli immigrati tendono a ritornare al loro paese d’origine quando si è vecchi. Un altro stereotipo riguarda la MANCANZA DI UN LIVELLO DI STUDIO SUPERIORE. La difficoltà della lingua italiana fa si che gli immigrati svolgano attività manuali dove non è richiesta la conoscenza della lingua, ma in realtà posseggono titoli di studio molto alti ma che in Italia non valgonoàBRAIN WASTE, spreco di cervelli.
Fino a pochi anni fa in Italia c’erano 2 tipologie residenziali: 1. Le grandi AREE URBANE, monocentriche, che attiravano gli immigrati e gli inglobavano nelle periferie; 2. Le AREE POLICENTRICHE, reticolari, dove risiedevano gli immigrati a seguito delle possibilità economiche offerte dal territorio.
Oggi lo scenario sembra indicare una > diffusione della residenzialità straniera à la permanenza sul suolo italiano da pare di sempre + stranieri si riflette in una maggiore mobilità territoriale perché gli stranieri tendono a spostare la residenza in tempi brevi, cercando di minimizzare i costi degli affitti e seguendo opportunità lavorative.
IL MOSAICO ETNICO
In Italia ci sono sia comunità di vecchio insediamento che nuovi arrivati che non hanno dato vita a veri e propri gruppi. La prima comunità straniera residente in Italia proviene dalla Romania, seguita da Albania e Marocco. L’incidenza delle ≠ provenienze geografiche è correlata alla situazione politica e ambientale delle zone di partenza e alle politiche migratorie attuate dai paesi di partenza e di destinazione. La distribuzione territoriale degli stranieri è strettamente correlata anche alla specializzazione lavorativa: la segregazione orizzontale e verticale che investe la > parte degli stranieri concorre alla geografia delle residenze (donne con le famiglie, orizzontale, stranieri e bassa retribuzione, verticale). Le nuove comunità creano e percepiscono paesaggi che sono ≠ e multiformi e subiscono numerose trasformazioni sia dall’ambiente che dall’uomo. Appadurai parla di MODERNITÀ DIFFUSA nella quale entra come fattore costituente anche il fenomeno migratorio. Egli propone come chiave interpretativa primaria l’esistenza di ≠ paesaggi: technoscpes, financescapes, mediascapes, ideoscapes, ETHNOSCAPES: cioè l’insieme delle persone che costituiscono il mondo mutevole nel quale viviamo. In questa visione viene fuori il ruolo dei fenomeni di territorializzazione che vengono studiati in relazione alle scelte insediative della popolazione immigrata. La progressiva trasformazione dei luoghi caratterizzati da un’altissima densità di segni etnici che rendono visibile il radicamento della comunità straniera porta a quella che Papotti definisce TERRITORIALIZZAZIONE SEMANTICA nella quale proprio gli immigrati raccontano la loro diversità. Tra le COMPONENTI MATERIALI si affermano gli spazi residenziali (quartieri, edifici), gli spazi legati al movimento (stazioni), gli spazi religiosi (sia architettonici che elementi d’arredo), spazi dedicati al commercio (negozi, ristoranti). Ma sono anche le COMPONENTI IMMATERIALI a costruire e definire la diversità e l’unicità dei paesaggi: gli elementi linguistici delle insegne luminose, la corporeità degli abitanti, la simbologia degli ornamenti Il PAESAGGIO ETNICO rappresenta la manifestazione visibile della diversità culturale nei territori della quotidianità ed è correlato alla percezione del fenomeno immigratorio nelle sue dimensioni territoriali. Dal momento che la COMPONENTE PERCETTIVA è importante nell’identificazione di un paesaggio, in quello etnico bisogna focalizzare l’attenzione sulla percezione che la popolazione del Paese ospitante ha delle comunità immigrate. Ma la percezione viene orientata non solo dalla vista diretta quanto dalle immagini proiettate dai media. È l’idea veicolata ad orientare la percezione individuale e collettiva e quindi risulta importante addivenire ad una conoscenza diretta del fenomeno migratorio. Per combattere il pregiudizio bisogna lavorare sulla comunicazione.
Per quanto riguarda i luoghi del commercio etnico si assiste ad una specializzazione produttiva per i ≠ gruppi nazionali: - commercio ambulanteàafricani. Si tratta di una bassa qualità dell’offerta, immagine commerciale molto semplice e forte caratterizzazione di genere (uomini); - commercio all’ingrossoàcinesi. Più stabili e molte volte i negozi etnici subentrano a quelli lasciati dagli italiani. All’inizio l’attività commerciale è intraetnica (rivolta solo agli individui appartenenti alla stessa comunità), per poi diventare interetnica, cioè rivolta anche alle altre popolazioni (call center, alimentari). La richiesta di prodotti esotici da parte degli acquirenti stranieri genera un sistema di import-export che offre lavoro a numerosi imprenditoriàhanno anche cominciato a coltivarli per abbattere i costi e garantire la freschezza. Però non sempre la presenza di questi negozi viene accettata dalla popolazione.
Le teorie sulla distribuzione spaziale delle imprese etniche hanno messo in evidenza 5 elementi principali in grado di orientare la concentrazione. Dal human ecological model si possono estrapolare 3 fattori 1) gli ethnic business sono particolarmente concentrati in quartieri all’interno dei quali si aggrega anche molta popolazione immigrata 2) e nei quali sono presenti abitazioni di scarso pregio 3) the economic sociology of ethnic business dimostra l’importanza per le piccole imprese etniche della vicinanza spaziale (economie di localizzazione) 4) mentre l’organizational ecology pone in evidenza il rapporto indirettamente proporzionale tra n° d’imprese in un’area e possibilità d’inserimento di nuove imprese 5) nel senso che a una concentrazione eccessiva può causare danni mentre una concentrazione relativa può offrire molti vantaggi.
Per quanto riguarda gli edifici di devozione, essi rappresentano una forma di stabilizzazione della comunità perché indica una presenza quantitativa considerevole di adepti, una residenza stabile nell’area e un riconoscimento da parte dell’amministrazione pubblica. Tante difficoltà da parte di alcune comunità per la costruzione dei loro luoghi di culto: ci sono piccoli luoghi di preghiera, ma per un luogo di culto serve un’intesa formale con lo Stato (Roma c’è la + grande Moschea d’UE). All’inizio quando le collettività sono ancora piccole, la preghiera è lasciata ai singoli, con il passare del tempo la comunità costruisce un edificio destinato alla preghiera o sottopone un edificio già esistente a un cambio di destinazione d’uso à in ogni caso i luoghi di culto vengono realizzati preferibilmente nelle aree periferiche del centro urbano.
LA QUESTIONE ABITATIVA
La casa rappresenta un nodo cruciale nel processo d’inserimento nella società ospitante. I modelli residenziali variano in base al progetto migratorio del singolo individuo, al gruppo d’appartenenza, al sesso, al ciclo di vita e alla durata di residenza nel paese d’immigrazione. Le ricerche spaziali generalmente analizzano i PATTERN RESIDENZIALI senza porre attenzione all’ottica di genere, come se non ci fossero differenze nelle scelte territoriali tra i sessi, ma in realtà uomini e donne non sempre attuano uguali strategie residenziali. Ad esempio le donne immigrate dopo un primo momento in cui vengono ospitate dalla comunità etnica di appartenenza, riescono a trovare una sistemazione all’interno delle case degli italiani dove lavorano. Non tutti gli immigrati però riescono a farsi ospitare dai parenti, quindi alcuni cercano sistemazione nelle strutture d’accoglienza, mentre altri sono trattenuti nei centri d’identificazione ed espulsione. Nate a partire dagli anni 90, attualmente in Italia operano 3 tipi di strutture pubbliche per l’accoglienza e l’assistenza degli immigrati irregolari: 1. CDA, centri d’accoglienza: soprattutto nel centro-sud, in base alla legge 563/95 sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare. L’accoglienza è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza o l’allontanamento. Capienza di 4000 posti 2. CARA, centri di accoglienza richiedenti asilo: in base al DPR 303/2004 e al D.Lgs. 28/01/2008 strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo tra i 20 e i 35gg lo straniero richiedente asilo senza documenti per consentirne l’identificazione o il riconoscimento di status di rifugiato 3. CIE, centri d’identificazione ed espulsione: sono presenti anche al nord, in base alla legge 92/2008 sono gli ex centri di permanenza temporanea ed assistenza, cioè strutture destinate al trattenimento degli extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione. Previsti dal Testo unico sull’immigrazione 286/2002, questi centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio. Il termine massimo di permanenza in questi centri è passato da 60 a 180 gg.
Molti immigrati cercano casa, ma hanno grandi difficoltà a causa del mercato immobiliare. La maggior parte è in affitto, ma dato che i costi sono molto elevati, soprattutto per gli immigrati, stanno cercando la casa di proprietà. Molti studi hanno dimostrato l’esistenza di DISCRIMINAZIONI ETNICHE nei confronti della casa oltre che all’indisponibilità di una parte dei proprietari a concedere loro una casa in affitto. Dato che i salari sono bassi, molti immigrati finiscono per condividere la casa e le spese con altri connazionali. Quasi tutti gli immigrati che vivono in affitto in modo indipendente o con parenti sono regolari, mentre chi è irregolare coabita con altri immigrati o risiede dal datore di lavoro. Quando invece cercano di acquistare casa, le difficoltà provengono dall’agente immobiliare perché vendere una casa agli immigrati significa svalutare l’intera zona degli immobili vicini Generalmente si tende a collegare l’acquisto di una casa da parte dell’immigrato con l’idea di stabilità, ma non è sempre così perché comunque anche chi compra casa ha sempre in mente di tornare nel proprio paese. L’acquisto della casa è una forma di investimento e permette di uscire dal mercato degli affitti. All’inizio magari la comprano in periferia, per poi rivenderla e comprarne un’altra più in centro. Da una parte l’acquisto di una casa in periferia ha i suoi vantaggi perché ha un costo contenuto, inoltre comporta un’acquisizione di autonomia per l’immigrato che compra una villetta indipendente, cosa che non accade all’interno dei condomini dove possono nascere dei conflitti con i vicini a causa degli odori, della musica, degli amici. Negli ultimi anni sono nate anche molte agenzie immobiliari di origine etnica, gestite direttamente da stranieri, soprattutto cinesi ed est-europei. Proprio il ricorso all’intermediazione del connazionale influisce sulla localizzazione delle residenze e delle attività economiche, perché il raggio d’azione dell’agente si rivolge principalmente ad un’area specifica. E comunque compra casa chi è in Italia da + tempo e chi ha un contratto di lavoro stabile (soprattutto rumeni, cinesi, indiani). Anche l’uso dello spazio privato e pubblico cambia in relazione all’appartenenza etnica degli individui (ad esempio il balcone è vissuto dagli africani come luogo estraneo alla casa in cui stipare oggetti e non da abbellire).
LA SEGREGAZIONE RESIDENZIALE
Esistono molti ostacoli che si mettono fra gli individui e il mercato immobiliare e sono direttamente collegati con alcune caratteristiche strutturali della popolazione: l’appartenenza etnica, il sesso, l’età, la classe sociale, la religione. Il discorso sulla distribuzione degli individui nello spazio urbano presuppone la coscienza del ≠ ruolo che questo assume nella vita dei singoli e delle collettività. Lo spazio urbano è differente al suo interno: può essere fortemente denso o sfilacciato, interconnesso o isolato, accessibile o negato, con un solo centro o da + centri legati tra loro dai flussi di persone, capitali e merci, urbano o metropolitano, polifunzionale o specializzato in una sola funzione. Le città statunitensi sono prima pianificate e poi costruite, di solito si formavano inseguito alla nascita di una fabbrica; le città europee non hanno quasi mai ospitato le industrie al loro interno perché il tessuto urbano, all’epoca dell’industrializzazione, era già occupato da costruzioni storiche e le imprese erano concentrato lungo delle vie/quartieri. Lo spazio delle città europee è + frammentato, caratterizzato da quartieri distinguibili per la popolazione che vi abita, è + compatto e + complesso à è ≠ da quello americano che invece ha sperimentato la segregazione residenziale. Le prime teorie sulla segregazione si sviluppano a Chicago quando, a partire dagli anni 20, nacque la cosiddetta SCUOLA DELL’ECOLOGIA SOCIALE che analizzava la composizione sociale della città e metteva in luce le forze della COMPETIZIONE SOCIALE PER LO SPAZIO. In quegli anni si assiste ad una rapida crescita demografica nei contesti urbani, le industrie avevano bisogno di manodopera, prevalentemente “bianca” perché c’erano le barriere contro l’immigrazione dall’Asia, Africa, Caraibi à cominciano a formarsi interi quartieri, NICCHIE ETNICHE, abitati da immigrati dello stesso paese d’origine: Little Italy. La scuola di Chicago indagava il rapporto tra lo spazio urbano, le caratteristiche architettoniche dei quartieri e la composizione sociale dei suoi residenti. In quest’ottica la segregazione veniva considerata un fenomeno temporaneo provocato da un’immigrazione molto recente e ancora in atto. L’idea di fondo di questa teoria è che gli immigrati al loro arrivo occupano uno spazio degradato e solo dopo si spostano verso aree – svantaggiate. àuna forma di SUCCESSIONE per la quale nel tempo una collettività si sostituisce ad un’altra che si disperderà nella città o andrà ad occupare spazi + ricchi.
La TEORIA DELL’ASSIMILAZIONE ha descritto la direzione assunta da tali flussi migratori in base alle caratteristiche dello spazio urbano americano. Gli immigrati quando arrivavano abitavano nella città in cui lavoravano, poi quando avevano abbastanza soldi si spostavano in altri quartieri, nelle periferie e nei sobborghi à questo modello non va bene per i contesti europee caratterizzati da processi di urbanizzazione + lenti e da politiche territoriali a forte differenziazione. Una CRITICA a questa teoria è nel mancato riconoscimento da parte dei ricercatori dell’esistenza di forme di discriminazione legate all’appartenenza etnica che persistono nel tempo e condizionano le possibilità di spostamento all’interno dei quartieri urbani (persone di colore in USA). A partire dagli anni 60 però le barriere contro l’immigrazione vengono abbattute per mancanza di manodopera e così si viene a creare la mixitè.
La scuola di Chicago ha sviluppato degli INDICI STATISTICI per misurare il grado DI SEGREGAZIONE DI UN GRUPPO (in Italia scarsamente usati). Si calcolano considerando la popolazione presente in piccole porzioni di territorio: l’uso di porzioni di territorio + o – ampio incide sui risultati dell’indice perché + sono estese le zone considerate, > è il valore dell’indice di segregazione. La concentrazione spaziale di un fenomeno può variare molto anche se l’indice complessivo che ne indica l’intensità è lo stesso, perché dipende molto dalla distribuzione spaziale del fenomeno. Massey e Denton identificano 5 dimensione della segregazione spaziale: 1. UNIFORMITÀ: i membri di un gruppo possono essere in n° molto elevato in un’area e molto scarso in un’altra, variando quindi il loro grado di omogeneità; 2. ESPOSIZIONE: i membri di un gruppo possono essere distribuiti in modo tale che il contatto con i gruppi maggioritari sia limitato; 3. CONCENTRAZIONE: i membri di un gruppo possono essere geograficamente concentrati in un settore specifico della città; 4. CENTRALITÀ: i membri di un gruppo possono occupare lo spazio centrale in proporzione > del resto della popolazione; 5. CLUSTERING: le aree delle minoranze possono essere fortemente raggruppate così da formare un’ampia enclave (isola amministrativa) o essere disseminati nell’intera città (clustering). Tutti questi aspetti della segregazione vengono appiattiti dall’uso di un indicatore complessivo perché necessiterebbero di specifici indicatori capaci di enucleare le ≠ caratteristiche della distribuzione spaziale. Peach suggerisce di puntare l’attenzione su 3 aspetti della segregazione: 1) Il GRADO DI CONCENTRAZIONE RESIDENZIALE: la consistenza delle aree nelle quali predomina un gruppo etnico; 2) Il GRADO DI ASSIMILAZIONE: la condivisione dello spazio residenziale con la società ospitante; 3) Il GRADO DI INCAPSULAMENTO: il livello di isolamento del gruppo rispetto alla società ospitante e gli altri gruppi etnici. L’indice proposta da Massey e Denton ha molti limiti interpretativi, ma viene ancora usato.
La formula per il calcolo dell’indice di segregazione è:
𝑥𝑖 𝑦𝑖 𝐼𝑆 = 0.5 ∗ ∑ − ∗ 100 𝑋 𝑌
xi= n° dei residenti di un gruppo nazionale nella zona urbanistica i; X= n° dei residenti dello stesso gruppo nazionale della città; yi= è il totale della popolazione residente nella zona urbanistica i; Y= è il n° totale degli abitanti della città. L’indice può variare da 0 a 100 rappresentando rispettivamente la maggior dispersione e la + alta concentrazione d’individui. Questo indice misura il grado di possibilità che ha l’appartenente ad un gruppo di essere in contatto con gli altri membri del gruppo. L’indice di dissimilarità permette di comprendere la peculiarità della distribuzione di residenza delle comunità ma non rende possibile l’individuazione territoriale della logica seguita. Non è possibile individuare quali sono i quartieri nei quali sono presenti gli individui appartenenti alla comunità indagata. Nell’indice di segregazione i singoli gruppi vengono messi a confronto con la somma delle popolazioni presenti nella città ma, dal momento che tra queste incide soprattutto quella autoctona, si perdono le info relative alla distribuzione degli immigrati.
È possibile integrare i risultati dell’indice di segregazione con un altro indicatore che può rappresentare anche graficamente lo stato di distribuzione della popolazione straniera nelle zone urbanistiche, il QUOZIENTE DI LOCALIZZAZIONE: esprime il rapporto tra la proporzione di un gruppo nazionale e la popolazione straniera nelle singole unità urbanistiche e la consistenza del gruppo nell’intera città rispetto alla popolazione straniera Viene calcolato così:
𝑥𝑖 𝑦𝑖 𝑄𝐿 = 𝑋 𝑌 xi= n° dei residenti appartenenti ad un gruppo nazionale nella zona urbanistica i; yi= totale della popolazione straniera nella zona urbanistica i; X= la popolazione dello stesso gruppo nazionale nella città; Y= totale della popolazione straniera nella città.
Può avere valori: - = 1: la distribuzione del gruppo analizzato corrisponde con quella registrata nell’intera città; - < 1: il gruppo è presente in misura minore rispetto al resto della città; - > 1: c’è un relativo sovradimensionamento della comunità nella zona urbanistica. VANTAGGI: nella comparazione tra la distribuzione residenziale di un singolo gruppo nazionale ed il resto dell’universo straniero (con l’esclusione quindi della popolazione autoctona). Con il QL si cerca di capire se le collettività straniere si distribuiscono indifferentemente sul territorio o se si suddividono lo spazio. LIMITI: 1) L’indice è nullo quando nella zona considerata non è presente alcun individuo dell’aggregato sociale di riferimentoàindica una chiusura da parte della comunità nei confronti dei primi; 2) L’indice risulta insensibile all’ampiezza demografica del territorio considerato, per cui, a parità di proporzione, due zone otterranno lo stesso punteggio anche con % della popolazione totale diverse; 3) L’indice non rileva se le zone statistiche in cui è ripartito il territorio cittadino hanno dimensioni di diversa estensione. Il modello dell’ASSIMILAZIONE è stato molto usato come modello di riferimento in USA e Canada, ma non è utile in UE perché i processi di urbanizzazione sono + lunghi e le politiche territoriali sono molto differenziali. Nelle capitali UE ci sono ≠ problemi: 1. L’estensione territoriale delle capitali: Parigi ha una piccolissima estensione, mentre Roma è mooolto grande; 2. Ogni paese UE raccoglie dati statistici sull’immigrazione a diverse scale territoriali; 3. C’è anche una diversa cronologia della rilevazione statistica: ciascun paese fa il censimento della popolazione con scadenze specifiche e diverse, rendendo disponibili dati internazionali cronologicamente sfalsati; 4. Ogni stato, in base alla provenienza dei suoi immigrati, perviene all’analisi della singola comunità o crea un’aggregazione geografica di < o > ampiezza in base alla consistenza degli individui; 5. Ogni stato da una diversa definizione ai termini “straniero” e i suoi “derivati”: c’è chi considera straniero chi non è cittadini del paese ospitante anche se ci è nato, chi lo include nelle statistiche dei residenti; 6. La diversa capacità da parte dei paesi di rilevare le caratteristiche sociali della componente demografica.
Sia in Francia, Germania, Spagna e Italia le città sembrano avere + che un tessuto a scacchi, un tessuto melange con qualche macchia. Se nelle città del nord-america i quartieri etnici si differenziano da quelli abitati dai bianchi, in UE esistono quartieri multietnici con bassi indici di segregazione. La frammentazione dello spazio sociale urbano porta ad una situazione multipolare: ogni gruppo usa ≠ strategie per allontanarsi dai gruppi che si trovano ai livelli + bassi della scala sociale à si creano i ghetti formati soprattutto da individui ad alto reddito e istruzione che si vogliono isolare dal resto della popolazione. Le POLITICHE SOCIALI portate avanti fino adesso, possono essere ritenute un fallimento: il sociologo Maurin suggerisce un cambio di rotta spostando l’attenzione dal territorio alla persona: non pensare + a politiche per grandi gruppi, ma ad un’azione indirizzata verso i singoli per offrire loro le opportunità di scegliere il territorio nel quale vivere. Migliorando lo status sociale dei singoli si migliorerà anche il territorio.
I QUARTIERI ETNICI
Negli USA il gruppo fondatore dell’epoca coloniale ha dato origine alla cultura dominante che contraddistingue gli spazi urbani: quando nel 19° sec è cominciata l’emigrazione di massa, i gruppi hanno nettamente percepito la distanza sociale tra loro, dando origine a specifiche forme residenziali. Si sono creati quartieri etnici all’intero dei quali una comunità prevalente legava la sua presenza al toponimo del quartiere: Chinatown, Little Italy. à quanto maggiore era la distanza sociale tra i gruppi, tanto maggiore era la distanza fisica sul territorio. Col passare del tempo, quando la comunità cresce, nascono dei quartieri “satelliti” nelle aree periferiche che vengono chiamati ETHNOBURBS (ethnic suburbs, periferie etniche). Se il gruppo etnico occupa uno spazio ben determinato a causa di vincoli esterni e forme di discriminazione che ne forzano la locazione, allora si parla di GHETTO.
Nell’agosto del 2011 a Londra si sono verificate delle rivolte da parte degli stranieri residenti-à Alain Touraine ha visto in queste rivolte una conseguenza della mancata integrazione sociale degli immigrati, mentre Marc Augè, che nega l’importanza dell’integrazione sociale, ha attribuito la protesta, da lui ritenuta senza contenuti ideologici, alla concorrenza fra le bande giovanili dei quartieri periferici per apparire in tv. Altri analisti hanno interpretato le rivolti in termini di inassimilabilità dei nuovi venuti, di problema generazionale, di nuove forme di povertà. Alain Touraine afferma che le radici della conflittualità stanno nella recente accentuazione della xenofobiaàquando un gruppo sociale sta male, cerca un capro espiatorio trovandolo nella xenofobia. Ciò provoca una duplice reazione: aggravamento della xenofobia e accentuazione delle reazioni anti-xenofobe.
In ITALIA sono chiaramente rintracciabili i ghetti ebraici. Il ghetto più antico è quello di Venezia. Il termine GHETTO deriva dal veneziano gèto per indicare la gettata di metallo fuso e successivamente l’area della fonderia di Cannaregio dove furono costretti a vivere gli ebrei di Venezia dal 16° sec. Il ghetto era circondato da mura e aveva una sola entrata e un’uscita: gli abitanti dovevano rientrare prima del calar della sera e uscire all’alba successiva. Il ghetto di Roma viene fatto 40 anni dopo secondo la bolla di Papa Paolo 4 del 1555 che obbligava gli ebrei romani a risiedere nel ghetto separati dai cristiani, che stavano fuori. Nei ghetti però gli ebrei avevano molta autonomia e si autogovernavano attraverso il diritto ebraico. Vennero via via aboliti nel 19 sec. Durate il nazismo però il problema dell’antisemitismo esplose e i ghetti divennero il luogo della concentrazione coatta degli ebrei, dove venivano considerati prigionieri. Anche oggi sono presenti nuove forme di discriminazione (a Padova è stata eretta una barriera di 3 metri intorno alcuni edifici di immigrati). Molti cittadini di ceto medio-alto scelgono di isolarsi dalla città confinandosi nelle GATED-COMMUNITIES per un bisogno di sicurezza e di privacy. Si tratta di zone residenziali private composte da appartamenti o villette che possono formare dei paesi isolati oppure occupare un quartiere all’interno di una città più grande, solitamente cintate da muri o cancelli ed in cui ogni abitante si deve identificare per entrare. I residenti concorrono per le spese e per la cura dell’ambiente, facendo così delle piccole entità giuridiche in parte indipendenti (molto diffusi in Argentina, Canada, Cina, Messico) à paura del diverso e delle difficoltà di confrontarsi con le differenze nei nuovi contesti urbani.
LITTLE ITALY non moriranno mai (Jerome Krase). Gli italiani erano il gruppo + consistente, la popolazione era formata da: maschi in età lavorativa, pochi nuclei familiari, no donne sole. Le attività erano: commercio al dettaglio, ristorazione, artigianato. La differenza tra i “quartieri italiani” e la Little Italy sta nell’istituzionalizzazione della seconda grazie, ad esempio, dell’intitolazione delle strade oppure alla realizzazione di eventi culturali e religiosi tipicamente italiani. L’espressione Little Italy è nata in USA nel 1880 quando è stata usata dai giornali per designare i due luoghi di concentrazione degli immigrati italiani àvenivano chiamati Wops (WithOutPaperS) perché molti entravano senza documenti e le Little Italy erano i quartieri malfamati, però adesso ha perso la valenza negativa. Secondo Donna Gabaccia il termine Little Italy nasce dalla “malattia italo-fobica” da parte del mondo anglofono, per la quale le èlite politiche residenti nelle colonie si sentono minacciate dalla presenza dei nativi visti come outsider della società. In UE però non c’è questo termine perché il processo d’urbanizzazione e territorializzazione che si è verificato nella vecchia UE da parte degli immigrati italiani ha portato ad una grande varietà nei modi di residenza: gli italiani si sono mischiati agli altri. In alcuni casi lo spostamento di residenza degli immigrati da un quartiere a un altro può essere effetto di un MOVIMENTO SPAZIALE ORIZZONTALE (cambio di residenza tra 2 quartieri con simile composizione sociale) o di un MOVIMENTO SOCIALE VERTICALE (ascesa nella scala sociale). Attualmente Jerome Krase affaerma che le Little Italy sono diventate un PARCO D’ATTRAZIONE ETNICA, cioè un quartiere abitato da collettività alloctone dove può essere effettuato un turismo “pericoloso ma senza rischio”, perché gli italiani non risiedono più in quei quartieri mentre le attività economiche sono rimaste lì. Questi quartieri contengono anche i MUSEI DELL’ASSIMILAZIONE, cioè luoghi per la conservazione storica di oggetti inanimati (archivi, gallerie, monumenti), e i GIARDINI ANTROPOLOGICI, che hanno il compito di trasmettere l’organizzazione sociale attraverso le persone viventi (centri anziani, club). Loretta Baldassar propone di distinguere 2 dipologie di MONUMENTO ETNICO ITALIANO: 1. Success story: quello che racconta la storia di successo, l’ascesa sociale, il lavoro; 2. Via crucis: quello che deve essere memore dello sforzo. I monumenti etnici sono relativamente recenti e sono il prodotto dei cambiamenti sociali, storici e politici.
CHINATOWN sono invece nate da interazioni complesse che sono state a lungo caratterizzate dal pregiudizio, razzismo e segregazione etnica. Negli USA dall’abrogazione dell’Immigration Act nel 1965, i flussi provenienti dalla Cina divennero consistenti e bilanciati tra i 2 sessi à le Chinatown già esistenti crebbero oltre i limiti. Anche in Italia iniziano a nascere le Chinatown, a Roma nel quartiere dell’Esquilino à è diventata un’area connotata dalla presenza degli stranieri e di conseguenza gli autoctoni se ne sono andati. A Milano, invece sono nell’area di Paolo Sarpi, vicino alla stazione. Nonostante i negozi cinesi avessero scalzato quelli italiani, molti abitanti hanno accettato la trasformazione urbana e hanno portato avanti una convivenza pacifica, mentre altri hanno creato comitati contro l’invasione cinese.
LE MIGRAZIONI AMBIENTALI
È molto difficile isolare la causa ambientale da quelle che spingono alla migrazione perché le catastrofi ambientali hanno ripercussioni dirette e indirette su una varietà di aspetti sociali ed economici che difficilmente possono essere separati. Chiaramente il tipo di impatto dell’evento naturale influisce sull’immigrazione della popolazione: se è improvviso si ha – tempo rispetto ad evento più graduale. Sembra che la comunità scientifica sia concorde nel classificare i cambiamenti ambientali come un “moltiplicatore di minacce” per individui e gruppo. Uno dei primi problemi da affrontare è L’INDIVIDUAZIONE DELLA DEFINIZIONE DEL MIGRANTE AMBIENTALE. In ambito internazionale non esiste una definizione univoca in grado d’indicare un migrante costretto o spinto da motivazioni ambientali. Si utilizzano le espressioni migrante ambientale, ecomigrante, rifugiato ambientale, ma pur riferendosi a individui che migrano, indicano situazioni di partenza o status giuridici ≠ per i quali, però non esiste una considerazione univoca comune. L’espressione rifugiato ambientale fu inizialmente proposta nel 1976; migrante ambientale viene usata dall’International Organization for Migration per indicare le persone che, a causa di improvvisi o graduali cambiamenti nell’ambiente che influenza negativamente le loro condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le proprie case. Il Parlamento Europea ha proposto di utilizzare l’espressione più generale environmentally induced migration per indicare l’intero fenomeno e enviromentally induced displacement per indicare le forme di migrazione forzata causata primariamente dagli stress ambientali. Bisogna differenziare tra la migrazione forzata e quella volontaria anche se non è facile: le migrazioni ambientali forzate non hanno un adeguato riconoscimento giuridico nella legge internazionale e nei singoli ordinamenti statuali e questa mancanza è connessa al diverso riconoscimento giuridico che si vuole dare ai migranti, evidenziando la differenza tra le forme di migrazione collegate all’ambiente. La Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo Supplementare del 1967 non prevedono delle specificità giuridiche per i rifugiati ambientali quindi i governi si troverebbero obbligati al riconoscimento dello status di rifugiato e al loro accoglimento dentro al loro paese. Il problema è molto complesso perché se il n° dei rifugiati aumenta, i finanziamenti disponibili andrebbero suddivisi tra molti + richiedenti. I migranti ambientali definiti come sfollati sono persone costrette a spostarsi all’interno del proprio paese o a causa di conflitti o disastri naturali.
Ambiente, sviluppo e migrazioni sono strettamente correlati e possono condizionare le realtà sociali, economiche e ambientali assumendo pesi disuguali nei diversi contesti geografici. Morrisey individua 2 approcci principali sul tema dei rifugiati politici: 1. Minimalista: il rapporto fra cambiamento ambientale e migrazioni è LINEARE e riconoscono anche lo sviluppo come 3° fattore: le migrazioni possono avere sia effetti negativi che positivi sullo sviluppo perché la capacità di resilienza e adattamento di una popolazione ad un territorio potrebbero rallentare la spinta al cambiamento finendo per facilitare e aumentare il degrado. 2. Massimalista: il rapporto fra cambiamento ambientale e migrazioni è COMPLESSO perché entrano in gioco altri fattori, come la pressione demografica, i conflitti. Lo SVILUPPO può sia inibire che incoraggiare la migrazione perché la mancanza di opportunità economiche può favorire le partenze ma può permettere il viaggio, perché se la povertà fosse estrema non si riuscirebbe a partire. Inoltre lo sviluppo tecnologico ed economico di un paese è direttamente connesso anche ai possibili interventi di tutela ambientale e di prevenzione che possono limitare l’impatto delle catastrofi ambientali.
La distinzione uomo-natura non è sempre netta e di facile applicazione nell’analisi delle catastrofi naturali: le variabili natura e azioni umane sono interconnesse. Tutto ciò si complica se si aggiunge il fattore migrazione. Pollice fa una distinzione nelle determinanti migratorie di matrice umana: - Cause accidentali: incidenti nucleari e chimici; - Progetti di sviluppo: il progetto della diga delle Tre Gole in Cina; - Strategie di guerra: quelle strategie che utilizzano l’ambiente come arma. Gli effetti delle catastrofi sulla popolazione possono essere diretti o indiretti e possono investire una scala temporale molto diversa con implicazioni differenti. I fenomeni ambientali che causano direttamente o no le migrazioni per essere analizzati devono essere scomposti in categorie per poter monitorare la distribuzione geografica e le problematicità specifiche di ogni tipologia e suggerire gli interventi idonei. Inoltre bisogna fare una differenziazione prendendo come punto di riferimento la scala cronologica che distingue gli eventi catastrofici di BREVE PERIODO (tifoni, uragani) e di LUNGO PERIODO (innalzamento del mare, siccità, desertificazione). Catastrofi di origine tecnologica: tutti quegli eventi causati direttamente dall’azione dell’uomo: fuoriuscite di petrolio, incidenti industriali, Chernobyl…
LE POLITICHE MIGRATORIE
Le politiche sono fondamentali nel creare un paese verso il quale tendere perché le persone trovano un riconoscimento dei diritti e sperimentano un percorso di mobilità sociale e abitativa. Le POLITICHE D’IMMIGRAZIONE stabiliscono le condizioni d’ingresso e soggiorno in uno stato, oltre che di espulsione e allontanamento; le POLITICHE PER GLI IMMIGRATI si rivolgono a quanti sono stati ammessi a risiedere sul territorio e riguardano l’accesso ai servizi e diritti; le POLITICHE PER I MIGRANTI si riferiscono a stranieri il cui status giuridico è problematico perché entrati nel paese senza autorizzazione. Per una comparazione internazionale e per l’implementazione delle politiche nazionali, si usano degli strumenti statistici che misurano l’INDICE D’INTEGRAZIONE: o Il MIGRANT INTEGRATION POLICY INDEX (MIPEX) misura le politiche per l’inserimento degli immigrati in tutti i paesi dell’UE + Norvegia, Svizzera, Canada, USA. In base al punteggio, viene fatta una graduatoria dei paesi in base alle possibilità di partecipazione alla vita sociale ed economica offerte ai migranti; o Il MIGRANT’S INTEGRATION TERRITORIAL INDEX (M.I.T.I.) gruppo di ricerca UE o Il CNEL fornisce i dati alla società civile e ai politici per la programmazione e gestione del fenomeno. In ambito internazionale ci sono 3 principali modelli d’inclusione dei migranti: 1) IMMIGRAZIONE TEMPORANEA: è facilmente rintracciabile nelle esperienze europee del dopoguerra, quando l’immigrazione veniva considerata temporanea. L’immigrato veniva visto come un lavoratore utile alla società che non avrebbe dovuto essere raggiunto dalla famiglia e che non avrebbe potuto accedere a forme d’integrazione (cittadinanza); 2) IMMIGRAZIONE ASSIMILATIVA: le politiche tendono verso una rapida omologazione (culturale e politica) dei nuovi immigrati, considerati quasi privi di radici culturali rispetto al paese ospitante; 3) IMMIGRAZIONE PLURALISTA: le differenze possono venir tollerate o valorizzate attraverso la creazione di politiche multiculturali o interculturali. In Italia però si trovano solo politiche legate alla sicurezza e alla lotta ai clandestini e sono indirizzate + verso un’immigrazione corta che prevede il rientro dopo un tempo limitato.
Il PACCHETTO SICUREZZA: l’approvazione della legge 94/2009 rende + difficile la residenza, il lavoro, l’istruzione ai cittadini non italianiàinvece di uno strumento utile per la convivenza comune, è uno di discriminazione. La norma restrittiva sull’obbligo di verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile fa si che si può “scegliere” quali poveri accogliere e quali allontanareàvuole richiamare un concetto di sicurezza: prevede ad esempio che le donne immigrate senza un regolare permesso di soggiorno non possono riconoscere i propri figli al momento della nascita. Però è stata data la possibilità agli extracomunitari privi di documenti di regolarizzare la loro posizione lavorativa con la “sanatoria”.
L’HOUSING SOCIALE sono gli interventi che prevedono l’assegnazione di una sistemazione abitativa e la fornitura di servizi orientati ad agevolare l’inserimento abitativo rivolti a coloro che non riescono a soddisfare il loro bisogno abitativo autonomamente. Tra i provvedimenti adottati ci sono: la prima accoglienza, le politiche abitative ordinarie, il fondo sociale per l’affitto, l’educazione all’inquilinato… Sonia Arbaci trova una correlazione positiva tra la segregazione residenziale e le tipologie di welfare del singolo paese. Lei individua 4 forme di welfare: 1. SOCIAL DEMOCRATICO: agiscono forze pubbliche per la ricerca del benessere sociale e i diritti devono essere garantiti a tutti (Finlandia, Norvegia, Svezia); 2. CORPORATIVISTA: società basata sul concetto di famiglia e di differenziazione di classe, dove rimangono i differenziali di stato sociale rinforzando i diritti collegati all’appartenenza di classe e professione (in parte l’Italia, Germania, Svizzera); 3. LIBERALE: sono i singoli individui a comporre una società atomizzata e fondata sul libero mercato, il settore pubblico interviene solo per aiutare alcuni gruppi marginali (USA, Canada, Australia); 4. DELL’ARCO LATINO: forme molto spiccate di polarizzazione dei redditi (ricchi/poveri) alle quali si risponde con politiche sociali che coinvolgono il sostegno delle famiglie e spingono verso un riequilibrio del mercato (in parte l’Italia, Spagna, Grecia). La situazione italiana indica uno scarso intervento pubblico nell’ambito delle residenze sociali perché si tende ad usare un approccio ancora emergenziale, probabilmente a causa della continua tendenza a considerare l’immigrazione come un rischio da tamponare.
“NON NEL MIO CORTILE”: esprime l’approccio usato da coloro che non si dichiarano contro l’accoglienza e la realizzazione di opere dirette alla comunità straniera, purchè siano costruite lontane dal loro cortile.
MIGRAZIONE E POESIA
I migranti possono essere considerati anche come viaggiatori: è possibile indagare i loro scritti poetici come testimonianze del senso di appartenenza ai luoghi, al rapporto con altri paesi. La poesia è un documento di viaggio: i migranti viaggiano, per scelta o per forza, e il viaggio è una frattura nella normalità spaziale. Il viaggio verso l’ignoto ritorna in molte poesie a conferma dell’universalità dell’emozione che accompagna l’atto del distacco, del tragitto, della scoperta. Gli emigranti vivono una doppia esistenza: quella del ricordo e quella del nuovo contesto geografico. Il senso di spaesamento rimane anche dopo molti anni che si vive in quel posto: ci si sente stranieri dove si vive e anche quando si torna a casa.
CONCLUSIONI
Claude Levi-Strauss nel 1955 aveva affermato che in tutte le epoche le tribù e le Nazioni hanno adottato 2 strategie per affrontare il problema degli stranieri: 1. ANTROPOFAGICA: “divorare” lo straniero fisicamente o metaforicamente (cannibalismo o assimilazione culturale); 2. ANTROPOEMICA: “vomitare” gli stranieri, espellendoli dal corpo sociale, tenendoli temporaneamente o definitivamente isolati.
Il fenomeno migratorio deve essere considerato un elemento costituente della società attuale in grado di offrire anche opportunità di sviluppo sia per la società ospitante che per quella di partenza. Per le Nazioni Unite oggi è necessario: 1. Liberalizzare e semplificare i canali regolari per trovare lavoro in luoghi di residenza ≠; 2. Assicurare i diritti fondamentali dei migranti; 3. Ridurre i costi di transizione associati alle migrazioni; 4. Migliorare le politiche per l’integrazione; 5. Facilitare le migrazioni interne ai singoli stati; 6. Rendere la mobilità parte integrante delle strategie di sviluppo di ogni nazione.