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Franco Laratta

RiflessioniLibere
l il potere
l la politica

l il futuro

Edixioni Pubblisfera
Riflessioni Libere si tratta di commenti e riflessioni scritte nel periodo 2001-2002
e, in alcuni casi, pubblicati da “Il Quotidiano della Calabria” e da altri giornali.

Ringrazio Gabriele Morelli per i disegni

Stampato da Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (CS) in Aprile 2003


Io proprio io
Intervista di Francesco di Napoli

Niente barba, occhiali all’ultima moda, maggiore cura nell’abbiglia-


mento. E poi critichi Berlusconi! Ammetti che qualcosa del Cavaliere
ti piace...
Del Cavaliere mi piacerebbe solo vederlo in esilio a Pantelleria...

Come vanno i tuoi figli a scuola?


La piccola Karen è brava e furbetta... Andrea è un giovanotto sveglio,
intelligente, ma non va pazzo per lo studio. Per lui conta il look e il
calcio. Milanista come me, anche antiberlusconiano per fortuna...

Siccome a qualsiasi ora del giorno e della


notte sei sempre raggiungibile, mi dici se
dormi? O è vero che hai fatto un “patto col
Diavolo”?
Al diavolo ho detto: tu mi lasci in pace, un
giorno farò i conti con te. Ma lui deve sapere
che essendo io un cattolico convinto, sebbene
liberale e rispettoso di tutte le altre fedi, i conti
con lui non potrò che chiuderli a mio favore!

Laratta e gli amici di una vita. Da


quanto non li vedi? E per favore
non cominciare con la storia degli
impegni!
Vorrei vedere di più la mia famiglia
e i miei amici. Ma la politica è fatta
di rinunce e sacrifici. Lavoro dalle 8
alle 20. Tutti i giorni. Quando capita
un pomeriggio libero lo dedico a chi
voglio bene.

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Parliamo dei tempi di Radio Sila Tre. All’epoca ricordo che chi
entrava nelle tue grazie poteva permettersi di tutto, mentre per gli
altri...
Radio Sila Tre è stata per me una splendida esperienza. All’epoca fu
tra le prime d’Italia. Una sfida coraggiosa che abbiamo vinto grazie
a tanti giovani. Molti di loro oggi sono impegnati nella politica, nel
giornalismo, nel sindacato, nella società. Quella Radio fu una scuola di
vita e di impegno sociale. E per me che ne sono stato il Direttore per
dieci anni è una grande soddisfazione vedere quei dj e quei giornalisti
occupare importanti posti di responsabilità.

Fino al ‘96 eri un semplice segretario cittadino di un piccolo partito


che faceva fatica a respirare. Poi l’exploit alle comunali di San
Giovanni in Fiore. Fortuna sfacciata o cos’altro?
L’unico merito è stato quello di avere lanciato la formula del ‘tutti
a casa’ e di avere messo in campo una squadra di 20 giovani che
portarono al partito il 18% dei voti. Grazie ad Aldo Orlando,
Vincenzo Gentile, Biagio Loria, Giovanni Belcastro, e poi a Salvatore
Audia che conquistò il collegio provinciale dopo 25 anni… e tanti,
tanti altri... tutti giovani, brillanti e capaci che lanciarono la politica
del cambiamento.

Poi sei stato eletto Segretario Provinciale del PPI...


Beh!, un giorno mi chiama Mimmo Bevacqua e mi dice: “Ti
proponiamo alla Segreteria Provinciale del partito”. Io ho pensato:
“Questo è pazzo!” Invece...grazie a Mimmo, a Francesco Attico, a
Franco Madeo e a tanti altri vinsi il congresso e tutti i big del PPi
erano contro di noi!

Una domanda seria, forse dolorosa per te: ti manca padre Antonio
Pignanelli?
Molto. Fu la guida della mia età più bella, quella dei dubbi e delle
incertezze. E’ stato un frate cappuccino dinamico e coraggioso che mi
ha “contagiato” molto. Lo abbiamo seguito in tante battaglie sociali,
abbiamo vinto molte sfide e lui è stato per noi giovani tutti un punto
di riferimento insostituibile.

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Ma è vero che organizzavi scherzi da brividi? Mi hanno detto che
uno della tua ciurma si è travestito da alto prelato per una “visita
pastorale” e poi hanno scoperto tutto perchè ha esagerato col vino.
Naturalmente l’idea era tua...
Ma come lo sai? Sì, confesso che è vero. Abbiamo organizzato la
perfetta “visita pastorale” di un vescovo ad un villaggio di contadini
in Sila. Uno scherzo incredibile con decine di persone coinvolte. E
all’epoca ne abbiamo fatto di peggio. Meglio tacere!

Laratta e le donne. Qualcuno sosteneva che sono “un animale dai


capelli lunghi e dalle idee corte”. Lo hai mai pensato delle tue
colleghe della Giunta?
Le donne sono l’altra faccia di un uomo. Spesso sono la parte più bella,
più colta, più capace. Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande
donna. In Giunta Provinciale ci sono alcune colleghe fantastiche:
Clelia Badolato è un peperoncino che ne sa una più del diavolo; la
Laudadio è colta e affascinante, la Console è sensibile e premurosa. E
poi le donne del mio partito: Stella, Anna Maria e tante altre. Brave.

Laratta e gli uomini.


Mi viene in mente una canzone molto bella di Mina: “Gli uomini
sono fatti di briciole che l’orgoglio tiene sù”. Ho conosciuto uomini
di grande valore, amici veri e leali. Ma anche uomini falsi e bugiardi.
Anche alcuni colleghi in politica.

Laratta e la DC. Non eri molto amato dai Potenti di allora. Una
volta ti hanno pure “trombato”!?
A 20 anni venni eletto consigliere comunale della Dc al mio paese
con 525 voti. Un trionfo. Poi divenni capogruppo consiliare. Dopo
5 anni fui il primo dei non eletti perchè non entrai nelle “quaterne”
dei potenti di allora. Per me è stata una bellissima esperienza che mi
ha formato e fatto crescere molto. I banchi di un consiglio comunale
aiutano a capire la politica e la società: soprattutto a un giovane,
soprattutto in un tempo in cui si fronteggiavano grandi partiti (DC e
PCI) e il mondo era diviso in blocchi, il comunismo era alle porte, la

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politica era fatta da “cavalli di razza” che erano spesso anche uomini
di altissimo livello. L’Italia democratica l’ha fatta la DC. Ma anche la
Sinistra, i laici, il Sindacato. Ma la DC su tutti.

Laratta e l’amore. Ci hai messo tanto a conquistare Tua moglie...


Sì. Lei era - ed è tutt’ora - una bellissima donna. Dovetti lottare
diversi mesi per convincerla, ma aveva solo 14 anni! E io 18. Poi è
stato grande amore e lo è tuttora. Senza una donna sensibile e attenta
come lei non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto: giornalismo,
politica ecc. ecc.
Sto poco a casa, lascio a lei molte responsabilità della famiglia e il peso
di avere due figli, eppure lei non me lo fa pesare. Non si interessa di
politica, non si impiccia delle mie cose, mi lascia libero. Ha diretto
per 15 anni un complesso alberghiero - il Dino’s Hotel - al quale io
ho solo collaborato. Ed è stata una gestione di successo. Dopo la mia
nomina ad assessore provinciale abbiamo lasciato l’attività, lei si è
dedicata alla famiglia che non poteva rimanere ancora sola.
Io sto spesso fuori ma la sento sempre vicina, attenta, sempre pronta
e premurosa.
Da questo punto di vista sono stato molto fortunato.

Laratta e la morte. Hai paura?


Questa è un’epoca in cui nessuno parla più della morte. E’ un “male”
esorcizzato, cancellato... perchè fa paura. Io non ne ho paura. Spero
solo che quando busserà alla mia porta mi dia il tempo di chiedere
“perdono” per gli errori fatti.

Laratta e il potere. Logora chi non ce l’ha o chi lo mantiene troppo


a lungo?
Vorrei dare il meglio di me stesso..... senza diventare
pesante e ingombrante. La politica non si fa per tutta
la vita. Dopo qualche anno bisogna lasciare il campo
ad altri, favorire il rinnovamento, occuparsi d’altro.

Laratta a Laratta. E non dirmi che sono un


“marzullo”!
Laratta direbbe a Laratta: “Ogni tanto
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fermati... pensa a chi ti è vicino... fai una scaletta delle priorità...
rinuncia alle cose inutili e banali che qualche volta ti costringono a
perdere tempo”. Vorrei farlo davvero.

Velocemente: il film che adori?


Tutti i film di Kiesloski. Soprattutto la trilogia “Film Bianco”, “Film
Rosso”, “Film Blu”. E “Il Decalogo”. Sono fantastici.

Dei più recenti?


“Il Miglio verde”. E “La vita è bella”.

Quale film ti ha fatto lasciare la sala durante la proiezione?


Oddio! A Natale scorso i miei figli mi costringono ad andare al
cinema con loro. Si proiettava “Vacanze sul Nilo”. Alla fine del primo
tempo sono scappato via. Seguito da mio figlio Andrea. E la cosa mi
ha fatto piacere. E poi mi ha deluso “Pinocchio” di Benigni: una noia
mortale.

La musica. Per 15 anni hai curato le recensioni dei dischi di Mina


per Gazzetta del Sud e per altre testate. Hai diretto una radio e una
televisione privata. Ma tu cosa ascolti di solito?
Mina prima di tutto: la sua voce è un incanto. Poi musica classica:
tutto Verdi. Quindi i cantautori: De Andrè, Battisti e Battiato. Dei
giovanissimi ho scoperto, grazie ai miei figli, Eminem e Tiziano
Ferro. Il primo provocazione e non solo. Il secondo una bella voce,
un po’ sopra le righe, ma interessante.

Letture preferite. So che leggi tutto di Kafka!


Il guaio di chi legge Kafka è che poi non riesce ad apprezzare altro.
Adoro “Il Processo”, “Il Castello” e tutti i racconti che avrò letto
decine di volte. Leggo molto Pirandello. Dei moderni mi piace
Baricco: “Oceano Mare”, “Novecento”, “Castelli di rabbia”. Non mi
è piaciuto l’ultimo, “Senza sangue”, che ho letto solo a metà.

Stampa quotidiana e Tv. Per un giornalista è facile la scelta.


Oggi c’è un livello mediocre nell’informazione e nello spettacolo.
Pensiamo un po’ alla Tv attuale: è volgare, banale, sguaiata. I Tg sono
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inguardabili. Della televisione salvo soltanto Le Iene e Striscia. Ma
non fa male guardare Ballarò, Tg2 Dossier e Report; mi divertono
tanto Zelig, i programmi di Albanese e quelli dei fratelli Guzzanti.
La domenica si può guardare al massimo Quelli che il calcio. La carta
stampata va meglio: leggo Repubblica sin dal suo primo numero
(Curzio Maltese, Michele Serra, Natalia Aspesi, Stefano Benni,
Scalfari, Zucconi, Diamanti, Ezio Mauro), poi il Corriere della Sera
(Biagi, Gian Antonio Stella). Leggo tutti i giornali locali, alcuni
dei quali assai scadenti. Ma su tutto adoro, dico adoro, la Radio.
L’ascolto sempre: la mattina appena sveglio, in auto, la notte prima
di dormire.

Al volo gli uomini politici preferiti.


De Gasperi, Moro, Zaccagnini, Scalfaro su tutti. Del PCI mi
piacevano Berlinguer e Nilde Iotti, Pietro Ingrao. E poi statisti laici
come Nenni, La Malfa, Pertini.

Chi ha fatto davvero storia del secolo scorso in Italia?


Un grande papa: Paolo VI che è stato un vero riformatore ed un punto
di riferimento per i cattolici democratici. In politica don Luigi Sturzo
che fondò il Partito Popolare; per l’economia penso agli Agnelli; nel
giornalismo Montanelli, Scalfari. E l’antesignano dei ‘pacifisti’ veri:
Giorgio La Pira.

Della Margherita che dici? So che sei amico personale di Dario


Franceschini e stimi Enrico Letta, conosci anche Rutelli e sei sempre
stato vicino a Marini...
La Margherita è una grande scommessa. Per i moderati del Centro-
sinistra una grande occasione. Vorrei fosse più giovane e coraggiosa.

Come piace definirti in due parole?


Un cattolico democratico. Del tutto convinto del valore del centro-
sinistra in Italia.

L’ultimo libro letto?


Mi ha colpito “Il silenzio dei vivi” di Elisa Sprinter, un racconto su
Auschwitz.
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Il silenzio
I
l silenzio è forse il dono più bello per quanti amano ragionare,
discutere, lavorare senza eccessi. Il silenzio. Non so quanto sia
stato notato, ma tutto attorno è chiasso, urla, grida. Non c’è
momento, nè posto o spazio della nostra vita quotidiana che non
siano stati travolti dal rumore e dalla confusione. Ovunque impera
una confusa enfasi e una forte tendenza all’eccesso. Ma cosa significa
riscoprire il silenzio? Certamente non vuol dire stare muti, tacere,
chiudersi in se stessi. Il silenzio è l’assenza del frastuono e del chiasso
senza limiti. Ma il silenzio è anche imparare ad ascoltare gli altri senza
interromperli; è porsi in condizione di comprensione per le idee e le
convinzioni altrui; è mettere in discussione se stessi senza rinunciare a
quello in cui veramente si crede. Il silenzio è il rifiuto della volgarità:
in un Paese in cui anche chi ricopre alte cariche istituzionali fa ricorso
ad espressioni triviali (“lascia perdere quei coglioni” ha detto qualche
giorno fa in Parlamento un ministro riferendosi ad alcuni deputati!),
niente è più gradito di un ritorno al rispetto, alla serenità del giudizio,
alla moderazione.
Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati caratterizzati dal
rincorrere i sogni di una ricchezza immediata e facile, dalla velocità
nel raggiungere gli obiettivi, dalla voglia di conquistare successo e
denaro senza alcun condizionamento. Sul finire degli anni ’90 e con
l’inizio del terzo millennio ci ritroviamo con pochi risultati in mano
e tanti timori per il futuro.

Tutto è in discussione, perfino il futuro della


civiltà occidentale non sembra così roseo.
Nel mondo avanzano miseria e povertà, la ricchezza del pianeta
è appannaggio di poche persone. La cultura americana - che ha
fortemente contagiato quella euopea - dell’eccesso, della corsa, del
potere e della ricchezza non ha più una prospettiva. Fino a quando
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i tre quarti dell’umanità rimangono, poveri, segregati, ammalati e
incolti, nel mondo non ci sarà pace. Vera pace, che vuol dire giustizia.
In oriente il tempo scorre molto più lentamente di quanto non scorra
nell’occidente industrializzato. L’orologio si muove adagio, sembra
dare più tempo per le cose più semplici e più belle: pregare, dialogare,
guardare e ammirare la natura. Da noi corre (tempus fugit), non dà
tregua, cancella le pause.

Ogni aspetto della nostra vita quotidiana è


condizionato dal tempo che fugge
e noi ad inseguirlo
senza alcuna possibilità di raggiungerlo.
La fretta condiziona le nostre scelte, le falsa. In politica, nell’economia,
nella società tutto è frutto del tempo che ha accelerato troppo i suoi
passi. Da qui gli eccessi, il frastuono, il caos… la voglia di silenzio,
di fare una pausa per riflettere, di ascoltare il passo lento di chi non
ha più un lavoro, di chi non sa come curarsi. Dio solo sa quanto ci
sarebbe bisogno di cominciare la giornata passando per dieci minuti,
solo dieci minuti, da una chiesa aperta, e vuota. Per riflettere, per
capire. Prima di tutto noi stessi, la nostra ansia, le nostre paure.
E quanto ci sarebbe bisogno di fermarsi, a leggere le pagine di un libro,
ad ascoltare un po’ di musica, oppure uscire da casa, dopo cena, dopo
avere spento quel dannato elettrodomestico che si chiama televisione
e passeggiare per mezz’ora nel centro storico, tornare ad ammirare i
palazzi e i monumenti, alzare gli occhi al cielo e scoprire che ci sono
ancora le stelle. La luna. Sono cose forse rivoluzionarie? Sono cose
semplici, delle quali abbiamo perso il gusto, ne disconosciamo perfino
l’esistenza chiusi come siamo nelle nostre ansie quotidiane, distratti
dalla fretta, rincorsi dal tempo che non ci dà tregua. Francesco
d’Assisi ha cominciato una rivoluzione nella chiesa scoprendo
la bellezza e la semplicità del Creato… “fratello sole e sorella
luna…”. Noi, più semplicemente, abbiamo bisogno di scoprire
la voce del silenzio.

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Il senso del ridicolo
nell’Italia di Berlusconi

S
aranno tanti i danni che Berlusconi, alla fine del suo impegno
politico, avrà fatto all’Italia. Danni economici e sociali, danni
alle istituzioni, al rapporto fra i partiti, al sistema-Paese nel
suo complesso che uscirà profondamente lacerato dalle scelte che
Berlusconi e co. avranno fatto in questi anni. Quello che - comunque
- sarà difficile da “perdonare” a Berlusconi è il senso del ridicolo in
cui ha fatto scivolare le Istituzioni e la vita politica nazionale. Dalle
gaffe fatte sul palcoscenico mondiale nella sua veste di Ministro degli
Esteri, a quelle di Primo Ministro che davanti al Capo di un Governo
straniero racconta la presunta storia del “tradimento” della propria
moglie con il filosofo del centro-sinistra Massimo Cacciari. Ciliegina
sulla torta, si è spinto a proporre la nomina di senatore a vita del re del
quiz Mike Bongiorno, suggerendo così a un senatore calabrese in vena
di notorietà a basso costo di proporre per il nostro Capo del Governo
il premio Nobel per la Pace!

Berlusconi esprime il peggio di


una Italietta sguaiata e senza
alcuna cultura, carica di danari
guadagnati senza troppi fronzoli e
senza alcun rispetto della legge che
viene considerata come qualcosa di
fastidioso da
scavalcare o
ignorare.
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Berlusconi altro non è che l’altra faccia del Bossi in canottiera:
spregiudicato e arrogante il primo, volgare e tracotante il secondo.
Se Bossi le spara grosse su immigrati,vescovi e secessione, Berlusconi
garantisce che il padano non è da prendere sul serio. Un gioco delle
parti per esprimere insieme un Paese che non si offende più e ha
perso il conto delle volgarità quotidiane che dai Palazzi del Potere
vengono continuamente rovesciate su un Paese in crisi di identità.
Il mondo di Berlusconi è un po’ quello di “Ok! il prezzo è giusto”,
un mondo in cui tutto ha un prezzo e tutto è finzione. E’ la storia
delle sue televisioni a bassa qualità, delle veline che si mostrano in
continuazione, dei miliardi guadagnati e spesi senza ritegno.

Il Cavaliere è il simbolo di un ceto mediocre


di vanitosi che punta tutto sull’ostentazione
della propria ricchezza accumulata durante
il far west economico degli anni ’80,
epoca in cui tutto era possibile
e le regole non valevano più nulla.
Le Istituzioni di un Paese abituato ad altra severità istituzionale escono
ferite dal passaggio di un uomo senza limiti qual è Berlusconi. E quali
sono i vari Previti, Dell’ Utri, Miccichè, incapaci di accettare che lo
Stato ha le sue regole, che le Istituzioni vanno difese e rispettate, che
il Governo del Paese non è un casinò. Il Cavaliere, invece, sa che può
ridere e scherzare di tutto e di tutti, non si preoccupa del cattivo gusto
delle sue barzellette e non teme la mancanza di stile e galateo dei suoi
atteggiamenti pubblici. Palazzo Chigi è come il Bar dello Sport alla
domenica sera: fumo, birre e risate sguaiate.
Ancor più gravi della mancanza di stile e di galateo sono la bugia
e la menzogna elevate al rango di “comunicazione di Stato”. Ne è
la prova il salotto di Bruno Vespa alla vigilia di quelle elezioni che

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consacrarono Berlusconi quale nuovo leader del Paese. Il famoso
“Patto con gli Italiani”, quello delle autostrade a destra e manca, delle
ferrovie, dei porti e degli aeroporti in ogni angolo del Paese, non è
altro che il più riuscito dei trucchi del Cavaliere per convincere i
telespettatori, un po’ come fa un buon piazzista davanti alla piccola
folla della fiera di paese.
Ma le finanziarie bugiarde di Tremonti, i famosi primi “100 giorni”
di governo, il conflitto di interessi, il falso in bilancio, le rogatorie
internazionali, il rientro dei capitali all’estero, la Legge Cirami
presentati come strumenti per accrescere la democrazia del Paese
altro non sono che la logica conseguenza della politica degli inganni
inaugurata con il Patto per l’Italia.

Cos’è dunque l’Italia sognata,


voluta e imposta da Berlusconi e soci?
Un’ Italia provincialotta, egoista e
menefreghista, che ostenta ricchezza e
volgarità, che non sopporta le regole, detesta
lo Stato, ignora le Istituzioni.

La Democrazia Cristiana ha gestito, con decisione e anche se con


diversi errori, gli ultimi 50 anni del Paese. Lo ha fatto con lo stile
freddo e distaccato di statisti del calibro di De Gasperi, Moro, Fanfani,
insieme a laici illuminati come Einaudi, La Malfa, Nenni, Spadolini,
che si misuravano con esponenti politici del calibro di Amendola,
Berlinguer, Jotti.
Il Paese ha potuto rinascere grazie all’impegno di uomini sempre
severi, riservati, rigorosi, responsabili, adeguati al ruolo. Tutto
quello che hanno dato al Paese questi personaggi, il patrimonio
politico e culturale che hanno lasciato a noi moderni in eredità, è
stato cancellato in pochi anni da uomini mediocri e arroganti della
milanesità arruffona e grassa che ha preso il potere sotto le insegne di
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Forza Italia e della Lega. Uomini per molti versi inadeguati, maldestri,
soprattutto ridicoli. Un ultimo esempio nelle cronache recenti.
Andreotti viene condannato, in secondo grado, a 24 anni di carcere.
L’ex leader DC commenta: “Ho ancora fiducia nella giustizia, anche
se…”; il Capo dello Stato si dice “Turbato”; Il Capo del Governo
invece la spara grossa: “La giustizia è impazzita”! Sta tutta in queste
espressioni la differenza di stile e di porsi davanti alle Istituzioni
fra i leader di ieri e quelli di oggi. Senza voler fare un confronto,
assolutamente improponibile, fra una generazione ormai finita fatta
di grandi uomini delle Istituzioni e quella dei capetti di periferia che
oggi recitano nel teatrino della banalità politica. L’Italia odierna
diventa sempre più come gli uomini che la governano:
provincialotta e senza principi. E senza colpevoli.

La grande e furba operazione che sta


compiendo la destra di Berlusconi è
quella di far passare la tesi che nessuno è
più colpevole. Se non lo è Andreotti,
non lo sarà nemmeno Dell’Utri,
né tantomeno Previti. E alla
fine nemmeno Berlusconi.
Tutti innocenti, tutti “assolti”, anche
quando i tribunali dovessero dimostrare il
contrario. Perché “non si può processare la
storia”! E questa magistratura ce ne mette di
suo per non farsi rispettare, come insegna
la vicenda degli arresti dei no-global e la
condanna di Andreotti. L’alternativa a
tanti guasti? Il centro-sinistra non l’ha
ancora trovata.

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“Una Chiesa dal volto laico”
H
o ascoltato con grande interesse, da semplice cittadino e da
cattolico, l’appassionata lettura che l’Arcivescovo Metropolita
di Cosenza, mons. Giuseppe Agostino, ha fatto della sua
ultima lettera pastorale in apertura del convegno pastorale che si è
tenuto all’Auditorium “Giovanni Paolo II” del Seminario cosentino
di Rende. Una lettera molto bella, coraggiosa, profonda, dalla quale
traspare l’ansia per le sorti del cristianesimo e la speranza di costruire
una Chiesa nuova, viva, aperta. Una Chiesa “fuori dal tempio”, laica,
che vive con realismo le angosce del nostro tempo e si esprime con
gioia e speranza.
Agostino raccoglie le inquietudini dei cristiani, traccia un cammino
di rinnovamento e pone domande che hanno in sè una sola grande
risposta: la ricerca di Dio.
Al termine di un anno di analisi più o meno approfondite fatte dai
minisinodi sparsi sul territorio e più o meno frequentati, appare
evidente la necessità di avviare nuovi “itinerari di fede”, di rinnovare
profondamente la catechesi. Un occhio particolare ai giovani “che
bisogna incontrare dove si radunano, ascoltarli, impegnarli”. Ed ecco
la necessità, sulla quale mons. Agostino insiste molto, della formazione
dei laici, della loro preparazione e del costante aggiornamento.
Nascerà quindi a Cosenza una scuola diocesana presieduta dallo stesso
Arcivescovo.
Determinato egli è apparso sulla necessità di una seria educazione alla
liturgia “che non si deve ridurre ad aspetti estrinseci rituali”; ed è forte
il richiamo alla liturgia domenicale che deve essere ben preparata.
Mons. Agostino annuncia “dolce fermezza” nella purificazione
della liturgia “superando ogni privatismo specie nelle celebrazioni
delle messe e dei sacramenti del matrimonio, delle esequie ecc”. E
finalmente chiede “silenzio”: profondi spazi di silenzio, che aiutano a
pregare, ad ascoltarsi, a ritrovarsi. Chiarissimo il richiamo a liberare
tutte le celebrazioni dal rapporto con il danaro.

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La lettera dell’Arcivescovo traccia quindi
un percorso altamente significativo che
dovrà affrontare la Chiesa in una situazione
di “nuovo paganesimo” che idolatrizza
il successo, l’affare; in un tempo di
massificazione e di alienazione.

La Chiesa, in questo conteso, deve essere “segno”, segno del diverso,


del valore di ogni uomo, dell’ Amore di Dio. E Agostino parla
chiaramente di evitare di ‘conformarsi al mondo’, di essere liberi
da ogni connivenza con un tipo di politica clientelare, lobbistica,
feudale. E a lui non deve essere sfuggito quanto nella Chiesa di oggi ci
sia una notevole connivenza con il potere che affascina e concede. Per
contrapporsi a questo egli indica una via: “soffrire nel non contare”.
Una via silenziosa ma incidente per redimere la storia. E il grido di
Agostino libera la Chiesa da quelle pesanti catene che le impediscono
di essere luce vera e viva in un mondo che è soffocato dal buio. Dal
vuoto. Dal nulla.
Mi ha colpito la chiarezza, il coraggio, ma anche la grande umiltà, con
cui il Vescovo Agostino analizza lo stato della crisi della Chiesa e del
cristianesimo in questo frangente storico per poi tracciare il cammino
dei cristiani “veri”, “liberi”, che saranno fermento all’interno delle
realtà terrene, “lievitando la politica, la cultura, l’economia”.

“La Chiesa, quindi, non può essere più il


luogo del sacro, dirimpettaia ad un mondo
profano, compagna della e per la storia”.

Coraggio e provocazione in un Vescovo che vede il cristiano non più


arroccato, “ma sentinella all’aperto, anche nella notte della storia, per

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essere richiamo, braccia aperte per accogliere, cuore non giudice ma
silenziosamente ed operativamente speranzoso”. Ecco le parole più
belle che Agostino ripete e invoca: silenzio, speranza, amore, libertà,
povertà.

La Chiesa dell’Arcivescovo di Cosenza è una


Chiesa capace di essere ‘laica’: che significa
che è aperta, non integralista, capace di
amare tutti, di dare spazio alle passioni.

Una Chiesa che deve parlare anche se sa di non essere ascoltata


perché non è più “la” voce, ma “una” voce. E torna
l’insegnamento del Concilio, troppo facilmente
archiviato: nessuno può essere costretto a
credere. La Chiesa che, quindi, ascolta tutti,
che scopre nuove vie per l’evangelizzazione,
che non impone ma propone.
Ed è bella la conclusione della lettera di
Agostino quando domanda e pretende gioia:
“vi chiedo molta gioia, la perfetta letizia
biblica”. E poi egli invoca sorrisi, tenerezza,
impegno sincero con un cuore sereno e
grande, carico di gioia.
L’Arcivescovo di Cosenza sembra
non avere dubbi: davanti ad un
mondo che si inoltra sempre più nel
buio delle guerre, della disperazione,
delle grandi ingiustizie, occorre
cambiare la Chiesa, rinnovando
l’impegno dei cristiani che sono
chiamati a lavorare con gioia e nel
silenzio, facendosi testimoni della
verità.
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Il partito della condivisione

N
on c’è alcun dubbio che il centro-sinistra si trovi davanti ad un
bivio: rinnovarsi oppure morire. Il fatto che l’Ulivo rimanga
ancora una sommatoria di partiti e di classi dirigenti, non
prospetta niente di buono nella grande battaglia per sconfiggere la
destra in Calabria e nel resto del Paese. I passi che sta movendo il
centro-sinistra sono ancora deboli, l’immagine non brilla, la capacità
di riconquistare il consenso perduto è tutta da verificare. Il nuovo
Ulivo deve ancora nascere.
Nel momento in cui i partiti non trovano la forza di superare lo choc
provocato dal berlusconismo all’intero sistema della rappresentanza
democratica, c’è bisogno di una vera sfida per sconfiggere il disinteresse
generale verso tutto quello che dice e fa la classe politica. Compresa
quella di centro-sinistra.

E allora si pone a noi tutti una scelta


coraggiosa: aprire veramente le porte dei
partiti (anche se di essi rimane poco) e far
entrare tutti coloro che hanno voglia di
partecipare. Al di là delle tessere e degli
incarichi, è giunto il momento di consentire
a tutti la partecipazione alle scelte, ai
programmi, ai progetti. E alle designazioni.

Insomma è il momento della condivisione, il momento di condividere


le decisioni con iscritti, eletti e simpatizzanti. E’ necessario spiegare
i processi, fare scelte che siano accettate, riuscire a fare della
partecipazione il momento forte di qualsiasi processo di decisione.

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E’ il momento di una nuova primavera della politica dopo la triste e
lunga stagione dell’incertezza che dura da un decennio.
Il centro-sinistra deve capire che non è più il tempo né il momento
di chiudersi, di restringere la partecipazione, di giocare agli equilibri
fatti a tavolino o, peggio ancora, calati dall’alto ad una base che non è
più disponibile ad accettare le scelte a scatola chiusa.
Nei giorni scorsi ho comunicato la messa in rete di un mio sito
web. La cosa, destinata ad aprire una “finestra” di dialogo con tanti
amici sparsi su un vasto territorio, è stata vista come l’annuncio di
una mia “discesa in campo” in vista delle elezioni per la presidenza
della Provincia (della cui cosa sembra che nessuno voglia
parlare!). Credo che ogni giusta aspirazione debba essere
oggetto di discussione e di confronto. E quindi di
condivisione. Dico questo per entrare nell’argomento
della scelta dei candidati, a qualsiasi livello. E per dire
subito come la penso: nessuno può immaginare di fare
scelte e di imporle alla base dei partiti e soprattutto
alla base elettorale. Sarebbe un suicidio per il centro-
sinistra. Le candidature devono essere condivise,
discusse, accettate. Nessuno può imporre
niente a nessuno. Così come è fuori da
ogni logica immaginare di fare le
scelte nell’ottica dell’appartenenza,
inseguendo un equilibrio fra
Province, Regioni e Parlamento,
distribuendo le designazioni
all’interno della coalizione
rispettando esclusivamente le
quote elettorali dei singoli
partiti. Mi sembrano cose
del tutto prive di buon
senso in un momento
tanto delicato della vita
politica.
E torna il tema delle

17
primarie. Argomento che si affaccia ad ogni scadenza elettorale da
almeno un decennio, per poi essere gentilmente messo in soffitta con
la solita scusa che le primarie non si possono organizzare mancando
una legge che le disciplini. E’ vero, non siamo negli Stati Uniti.
Ma una cosa è certa: con le primarie o con un sondaggio, con una
consultazione vasta oppure affidandosi ad un comitato formato da
“saggi”, eletti, simpatizzanti e cittadini impegnati... l’importante è
che i candidati ottengano il consenso e la condivisione da parte di una
vasta platea di elettori. Se manca il consenso e la condivisione non c’è,
si ritirano i candidati e si passa ad altre proposte.
E’ importante che il centro-sinistra si renda conto che non ci sono
più soltanto i partiti che possano decidere nel chiuso di una stanza;
oggi c’è tutto un mondo nuovo che ci guarda con interesse, ma anche
con sospetto. Questo è un mondo fatto da movimenti, associazioni,
gruppi di pacifisti laici e cattolici, cittadini impegnati in senso
ampio. Un mondo che non può essere lasciato ai margini, non può
non partecipare e condividere. Ben sapendo che chi è destinato ad
assumersi impegno di governo dovrà farlo senza condizionamenti e
al solo scopo di promuovere lo sviluppo, il lavoro, la promozione
umana, sociale e culturale dei cittadini, secondo un programma chiaro
che deve essere sottoposto agli elettori. Al governo dei Comuni,
delle Province e della Regione non possono però non partecipare le
diverse componenti sociali che si riconoscono in un progetto politico
fortemente alternativo: immagino un disoccupato accanto ad un
intellettuale, un imprenditore a fianco di un giovane e di un esperto,
il docente con il professionista, tutti insieme nel governo delle
amministrazioni accanto agli uomini indicati dai partiti. Uomini,
donne, giovani per dare vita ai governi del centro-sinistra che siano
alternativi a quelli fallimentari del centro-destra.
I partiti devono recuperare immediatamente un importante ruolo
guida, progettando e programmando la crescita e lo sviluppo. Devono
però farlo e parteciparlo: la vera sfida è la condivisione. Dei progetti,
dei programmi, delle candidature. Idee chiare, progetti concreti,
uomini forti e determinati per lanciare la sfida del cambiamento. Solo
così torneremo a vincere.

18
Il potere nell’epoca
dell’incertezza
Il Capitalismo

Con il crollo del sistema comunista alla fine degli anni ’80, siamo
tutti scivolati nella convinzione che il capitalismo fosse l’unico
sistema possibile. Le discussioni sulla terza via sono sembrate
improvvisamente vecchie. Le alternative al capitalismo inutilizzabili.
Il capitalismo è dunque diventato il sistema unico, trionfante e
definitivo nella concezione e nella gestione dell’economia, nella
democrazia, nella elaborazione dei progetti sociali. Con il crollo delle
Torri Gemelle a New York ci siamo resi improvvisamente conto che
probabilmente il capitalismo fosse giunto al capolinea.

Il futuro

Viviamo in un’epoca in cui il futuro non c’è


più. È tutto presente, attuale.
Quindi momentaneo. La politica è divenuta
tutto uno spot continuo: la necessità di un
titolo di un giornale è più importante di un
progetto, di un’idea e di una proposta.
Si vive per passare nel Tg, per lanciare uno slogan, per colpire
l’immaginazione.

19
Perché non c’è più il futuro?
Perché la tecnologia rende in pochi mesi tutto vecchio e superato.
L’orizzonte di un investimento non supera che l’arco di pochi mesi.
La politica soffre questa accelerazione continua: Berlusconi cerca il
consenso immediato con la sua politica-spettacolo che non ha una
base e nemmeno una prospettiva credibile. Anche il centro-sinistra
vive questa sindrome di dilatazione del presente, come se ogni
giorno, ogni mese, debba accadere qualcosa. Per cui viviamo tutti
nell’emergenza, nell’incapacità di progettare nel tempo, di proporre e
costruire una classe dirigente capace.

Innovazione e investimenti

L’Italia ha un forte bisogno di investimenti in ricerca, istruzione:


esattamente il contrario di quello che si fa oggi con la Finanziaria
che taglia in questi campi. Il Paese arretra, incapace di muoversi e
agire. Siamo ultimi in tutte le graduatorie. La Calabria vive uno dei
momenti peggiori della sua storia moderna, con le casse piene di
fondi comunitari e la totale incapacità di investire nello sviluppo,
nell’economia, nella produzione. L’attività legislativa è debole e
incapace di dare frutti.
Non vogliamo assistere passivamente al declino
del nostro Paese. Dopo l’11 settembre il
processo (che badate bene era già cominciato)
ha accelerato. Il governo italiano ha dimostrato di
non avere la minima consapevolezza dell’urgenza
di intervenire per fermare il declino della
nostra competitività. Oggi il declino della
nostra economia, il crollo dei consumi, il
costo della vita altissimo nonostante quello
che dice l’Istat, la forte sfiducia che alberga
nei giovani e nelle famiglie… trasforma il
declino in tracollo. E la guerra peggiora la
situazione.
Tutto questo mentre si aggredisce il Paese
20
sin dalle sue fondamenta: la devolution che spacca l’unità dell’Italia,
la giustizia minacciata, gli immigrati che invece di divenire ricchezza
si trasformano in merce in scadenza: sfruttati e rimandati a casa, le
Istituzioni assalite e calpestate.

I cattolici e la politica

I cattolici oggi fanno politica divisi nei diversi schieramenti. Ed è


giusto che sia così. Non crediamo possibile la ricostituzione di un
nuovo partito dei cattolici. La DC ha fatto grande l’Italia, un Paese
distrutto dal fascismo e dalla guerra, ma oggi è improponibile in
questo contesto, con questa legge elettorale che porta alla divisione
netta tra i due poli. Pur tuttavia abbiamo battaglie in comune che
dobbiamo portare avanti, insieme.
Temi come la difesa della vita, la famiglia, la libertà, la pace, l’unità del
Paese, la scuola, il sud del Paese, non possono che vederci insieme.
Soprattutto adesso che anche la gerarchia cattolica ripensa al sostegno
che aveva dato a Silvio Berlusconi, guardando con simpatia alla sua
ascesa al potere e sostenendolo elettoralmente (del resto questo è
confermato dalla difficile vita elettorale dei partiti di centro dei due
schieramenti: lo stesso PPI che pure era il più forte soffriva di questo,
ma anche il CCD e il CDU che hanno raccolto consensi limitati).
Oggi la Chiesa guarda con distacco alla storia dei partiti che solo a
parole si sono dichiarati di ispirazione cristiana e cattolica. L’abissale
distanza tra la diplomazia vaticana e quella italiana sul tema della
guerra ne è l’ulteriore prova.

Il potere

Noi abbiamo un’idea diversa del potere che


oggi prevale nel mondo: in Italia come negli
Stati Uniti il potere è arrogante e prepotente.
21
Siamo per un potere
capace di coinvolgere e ascoltare.
Non basta vincere, occorre convincere.
È il potere che vince con una parte (quindi un progetto, un programma,
una classe dirigente), ma poi tenta in ogni modo di rappresentare
tutti, senza spaccare il Paese, senza urlare e dividere. Il potere che fa
del dialogo con le parti sociali, il sindacato, l’opposizione, il proprio
costante riferimento.
Non si tratta di potere debole. In America si parla di soft-power, il
potere dolce. Non è quindi un potere che non decide, che si perde
nell’eterna mediazione, nel galleggiamento sull’esistente. Non può
esistere il potere senza la forza di un’idea, di un progetto politico, di
una leadership. Anche se non ci appartiene la cultura del Capo, del
leader maximo, del padre-padrone di un partito o peggio ancora di un
Paese. Il motto di una classe dirigente moderna e moderata, potrebbe
essere: ascoltare e poi decidere. Ascoltare perché senza l’ascolto e il
confronto si producono decisioni che sanno di imposizioni.
Abbiamo bisogno di svegliare le passioni, di accendere gli entusiasmi,
di tornare a sognare. Di andare oltre la politica del giorno per
giorno, del potere che urla per nascondere i propri limiti e le proprie
incapacità.

C’è bisogno di costruire una società


nuova, migliore e diversa.
Ricostruire le motivazioni. Ecco quello che possiamo fare insieme i
cattolici e i moderati in politica. La destra berlusconiana è il partito
del presente. Di un presente che non conosce il proprio futuro.
Noi dobbiamo immaginare e costruire il futuro, dobbiamo essere il
motore di una società diversa e migliore. E la Margherita nasce per
questo: forza moderna, aperta, riformista, capace di dare speranza ad
un Paese stanco, deluso, sfiduciato.
22
Se il centro-sinistra
non trova il coraggio

E
’ lento il centro-sinistra. Lento nel ritrovare la forza e l’orgoglio
di essere una grande alleanza. Un insieme di uomini forti, liberi,
coraggiosi, riformatori. Un insieme di forze moderne che sanno
dare fiducia e speranza ad un Paese e ad una Regione fortemente
provati, spaventati e senza futuro. Il centro-sinistra ha al suo interno
le migliori energie, la sintesi di storie e tradizioni culturali e politiche
che farebbero invidia a chiunque. Eppur non si muove…! L’alleanza
fa fatica, si divide ogni giorno, manifesta in continuazione una crisi
che è di ricchezza, di abbondanza di uomini, idee, progetti. Siamo una
famiglia grande che non sa di essere una.. grande famiglia!

Il problema c’è, nel centro-sinistra. Ed è


un problema non di poco conto: la paura
di vincere, il timore di non poter gestire
una fase post-elettorale che avrà certamente
bisogno di scelte forti e coraggiose.

E così passa il tempo a litigare (ma su cosa?), a dividersi ( ma perché?)


a parlare di leadership (ancora?). In Italia il problema è ben più grave
che non nelle singole realtà locali. Il Paese comincia ad essere stanco
di un leader che mente in continuazione, di una classe dirigente
inadeguata, di una maggioranza che è molto più a pezzi di quello che
in realtà non appaia ( il muro fra Lega e UDC, le liti nelle correnti di
AN, l’evanescenza di Forza Italia). Eppure il centro-sinistra non ne
sa approfittare: se la CGIL o Moretti e Cofferati riempiono le piazze
diventa un problema! Subito parte la corsa alla delegittimazione dei
dirigenti dei partiti storici della Sinistra (D’Alema, Fassino…).Nel

23
frattempo i partiti guardano con preoccupazione al successo dei
girotondi e ai grandi cortei no-global come se questi non possano
rappresentare una forza in più alla vittoria del centro-sinistra. La
guerra tutta interna alla sinistra produce una corsa alla dissacrazione
degli eventi e alla demonizzazione dei personaggi. In tutto il centro-
sinistra è forte l’ incapacità a creare solidarietà mentre vince
la testarda determinazione a distruggere le novità e le idee.
Si aspetta un leader che porti alla vittoria e non si pensa al
fatto che il centro-sinistra non ha bisogno di un “padrone”,
di un “capo”. Ma di un uomo capace di essere sintesi
di mille idee e che sappia aggregare nel governare.
Con lui una squadra di amministratori capaci e di
intellettuali aperti. L’unica vittoria possibile è quella
che si ottiene con l’unità delle forze sociali, politiche
e culturali che oggi sono all’opposizione: facile a
dirlo, difficile a realizzarlo. Ma è indispensabile
provarci, provarci senza arrendersi mai. Il
centro-sinistra è l’unica alleanza che porta nel
proprio seno la forza della storia del Paese, la
prospettiva del cambiamento, la possibilità della
solidarietà. Cattolici, laici, ambientalisti, progressisti
stanno insieme nel centro-sinistra per dare un futuro
nuovo al Paese. A tale forza di ‘liberazione’ devono
partecipare anche le “piazze” con la loro carica di
passione, le energie fresche e spontanee del mondo
della cultura, i giovani, il sindacato, la tradizione
socialista. Solo stando insieme, con programmi chiari
di crescita e progresso, potremmo battere una destra
destabilizzante che ha messo in crisi il Paese. Lo stesso
discorso vale per la Calabria. Il Centro-sinistra deve
far dimenticare le peggiori esperienze del passato e la
litigiosità interna. Più coraggio, dunque, nel superare i metodi vecchi
e nell’eliminare l’autoreferenzialità di troppi partiti per dare vita a
un’alleanza fresca, libera, moderna nella quale si ritrovino le migliori
energie del centro-sinistra. Nessuno escluso.

24
La crisi della politica;
il fallimento dei partiti
negli Enti Locali
S
ta accadendo qualcosa nei Comuni della Calabria (ma la
cosa si ripete in gran parte delle Regioni meridionali). Più
specificatamente sta accadendo qualcosa di negativo in molti
Comuni della nostra Provincia; Comuni in cui la politica è stata
messa in un angolo per far posto alla sbrigativa gestione del potere da
parte di gruppi che non avvertono alcun rossore.
Un tempo nei Comuni si formavano le classi dirigenti dei partiti; dagli
Enti Locali il passo era obbligato verso la Regione ed il Parlamento
nazionale.

I migliori uomini politici calabresi


si sono formati nei comuni, garantendo a
tanti piccoli e grandi centri del cosentino di
progredire e di svilupparsi.

Don Luigi Nicoletti si formò nelle battaglie politiche dei primi


decenni del secolo scorso a San Giovanni in Fiore nel primo Partito
Popolare Italiano. Venne poi eletto consigliere provinciale, nominato
assessore, quindi segretario provinciale della DC nel dopoguerra.
Mancini amò così tanto la sua Cosenza da lavorare sempre per il suo
decollo e per poi finire la sua straordinaria carriera politica, e la sua
stessa esistenza, da sindaco della città capoluogo. I Principe sono legati
strettamente alla storia moderna di Rende e sono stati gli artefici del
suo decollo sociale ed economico che li ha poi consacrati a massimi
25
vertici regionali e quindi al Governo del Paese. Pierino Buffone ha
vissuto per Rogliano e da qui, con grande umiltà, ha attraversato la
storia della DC ed ha raggiunto diversi incarichi ministeriali. Altri
uomini politici (che qui non posso citare per ragioni di spazio) hanno
dato ai loro Comuni d’origine tutto il loro impegno personale e
politico e da questi hanno ricevuto grandi consensi elettorali.
Negli ultimi anni i Comuni hanno smesso di formare i leaders politici
di domani, mentre nel resto d’Italia i sindaci sono divenuti figure di
primissimo piano (Rutelli e Bassolino su tutti). Reggio Calabria ha
scoperto di avere un grande uomo come Falcomotà quale sindaco.
Cosenza ha riscoperto Mancini per la sua rinascita.
Da qualche tempo gli Enti Locali hanno fatto registrare grande
confusione nella gestione ordinaria e, nonostante l’elezione
diretta dei sindaci che ha rappresentato la più importante
riforma elettorale, una sostanziale instabilità politica che spesso
è sfociata in crisi profonde e perfino nello scioglimento dei
consigli comunali.
Se per un attimo si fotografa la situazione attuale nella
Provincia di Cosenza si scopre che in questo momento
sono circa trenta i Comuni in piena crisi o in una
situazione di totale paralisi amministrativa.
Citiamo gli esempi più eclatanti: la città di Paola
è stata lasciata nel caos e nella confusione, mentre
Cassano Jonio è allo sbando, Castrolibero è stata
commissariata ad un solo anno dalle ultime
elezioni. Forse solo per un puro caso gran
parte dei Comuni in crisi sono amministrati
dal centro-destra. Probabilmente
perché la Casa delle Libertà ha un
leader nazionale forte mentre
a livello locale non ha
ancora dirigenti e
amministratori con
un minimo di cultura
politica.

26
In Calabria la crisi dei Comuni è aggravata dall’assoluta latitanza
della Regione che vive in pieno degrado politico e non è in grado
di impegnare le ingenti risorse finanziare comunitarie che da sole
potrebbe assicurare alle comunità maggiore sviluppo e alle imprese di
crescere e assumere.
L’invenzione delle Comunità Montane non ha aiutato la formazione
di una nuova classe dirigente che, fattasi sul campo, si proponesse
a un livello superiore. Se si eccettuano un paio di casi, il resto delle
Comunità Montane del cosentino è da anni in crisi di identità, in
alcuni casi sono stati sciolti gli organismi statutari, altre sono senza
un governo da molti mesi. Basti pensare alla Comunità Montana del
Savuto, a quella di Verbicaro, a quella Silana dove il centro-sinistra
caccia la Margherita e tira avanti senza grandi risultati, a quelle in
cui si annuncia da tempo il ricambio del presidente e il rinnovo della
giunta. In molti casi le giunte si alternano ogni sei mesi per garantire
un posto di potere a turno a tutti i consiglieri! Da qui la convinzione
del fallimento di questi enti che, nati per favorire lo sviluppo delle
aree interne, hanno finito per promuovere le sagre dell’angurie sulle
spiagge. Fatte salve un paio di Comunità Montane ben gestite, tutte
le altre registrano un clamoroso fallimento. Il problema, comunque,
non è solo calabrese.

In questo contesto di confusione e di


crisi politico-amministrativa a livello
territoriale, emerge la stabilità e il buon
risultato della Provincia di Cosenza.
Qui il centro-sinistra riesce da due
legislature a fare quello che non sa fare
altrove: andare d’accordo per governare con
impegno e serietà.

27
Sarà anche per la disponibilità dei gruppi consiliari, ma questo
si ottiene soprattutto per l’autorevolezza e la stima di cui gode
il Presidente Acri che tiene insieme un’alleanza formata da tanti
partiti, permettendo all’ Ente di raggiungere risultati notevoli. Ne è
la prova il buon gradimento elettorale certificato da Eurispes che in
un’indagine recente assegna alla Provincia di Cosenza quasi il 60% di
soddisfazione fra gli intervistati ( la Provincia supera anche il Comune
capoluogo, stacca di molto lo Stato centrale e la Regione Calabria che
è l’ultima per gradimento e fiducia nei cittadini).
Quello che è accaduto al Comune di Cosenza prima, durante e dopo
le elezioni amministrative rappresenta una forte crisi del centro-
sinistra in città: in questo caso riesce a perdere anche quando vince
con un ottimo risultato elettorale. Il coinvolgimento dei partiti del
centro-sinistra nel governo della città capoluogo rimane un punto
fermo se si vuole costruire un’alleanza forte e credibile in vista delle
prossime scadenze elettorali.
La crisi degli Enti Locali porterà senza dubbio al progressivo
scioglimento dei partiti che si trasformeranno velocemente in
semplici cartelli elettorali. Il centro-destra stravince a livello nazionale
trascinato da un leader che è poi il padre-padrone dell’alleanza, perde
però nei Comuni dove non è in grado di tenere insieme la propria
maggioranza; il centro-sinistra che pure è molto ben radicato sul
territorio, non riesce a gestire i quadri dei partiti che appaiono sempre
più disancorati dai vertici provinciali e regionali.
In questa confusione politica generale, diventa difficile far emergere
dal basso una nuova e ben determinata classe dirigente che prenda in
mano gli organismi decisionali dei vari partiti e si proietti quindi ai
livelli più alti delle istituzioni. Il rischio è notevole: senza un ricambio
rapido e convincente, i vertici dei partiti e gli uomini che sono da anni
nelle Istituzioni si convinceranno di non avere eredi validi e capaci.
Da qui la convinzione di essere insostituibili diventa certezza. In
queste condizioni, visto anche il disinteresse della cosiddetta società
civile, il rinnovamento sarà più difficile e la crisi dei partiti si farà
ancora più acuta. Il fossato tra la classe politica e la società reale rischia
di allargarsi irrimediabilmente.

28
Sogni e utopia
I
n un momento in cui la politica è in piena confusione, mentre
i partiti si avvitano su se stessi e le Istituzioni appaiono come
paralizzate, ho ascoltato con piacere l’intervento che il presidente
del consiglio provinciale, on. Francesco Principe, ha pronunciato
nel corso di un vertice della maggioranza che governa la Provincia
di Cosenza. Il presidente Principe ha parlato di utopia; ha invitato
tutti a riscoprire il gusto di pensare in grande e di affrontare i temi
sociali e culturali con un taglio diverso, con la voglia e il gusto di
‘sognare’. Il discorso, lungo e sentito, di Francesco Principe mi ha
fatto pensare molto. In effetti ha invitato a non immaginare che i
cittadini amministrati vogliano sapere da noi politici soltanto come
e quando verrà riparata una strada, come si farà funzionare uno
sportello pubblico o si sosterrà un’associazione di volontariato.

La gente torna ad avere voglia della ‘grande’


politica, dell’ impegno, dell’ ideale.
Principe sembra invitare chi fa politica oggi a smetterla di inseguire
solo le piccole cose, di dare risposte minime e di pensare al quotidiano.
L’intervento di Principe è, dunque, un invito a “volare alto”. Cosa
che noi politici non facciamo più da quando sono crollati i miti e le
illusioni del dopo-guerra, da quando è finito “l’impegno” degli anni ’60
e ’70, da quando la politica, dagli anni ’80 in poi, si è trasformata nel
carrierismo e nell’affarismo che ha sepolto le ideologie e l’impegno. I
partiti hanno dimostrato tutti i loro limiti quando si sono trasformati
in veri e propri centri di potere: la DC non è morta sotto i colpi del
pool di Mani Pulite, è morta quando ha perduto il contatto con la
società ed ha finito per “occupare” lo Stato non potendo contare sulla
democratica alternanza nella gestione del potere e si è preoccupata
soltanto di questo. Tutto questo per 45 anni consecutivi. Quello che
29
è nato dalla fine dei partiti della prima Repubblica è, probabilmente,
quanto di peggio ci si poteva aspettare. Un’azienda si è trasformata
in partito e ha conquistato il governo del Paese. Nessuno sa se questo
sedicente partito abbia un programma, un progetto, una prospettiva:
si tratta di un partito che potrebbe essere contestualmente di destra,
di centro e di sinistra! E del resto questa cosa il suo laeder l’ha pure
affermata pubblicamente. I partiti storici hanno prodotto altre
formazioni politiche, per certi versi del tutto diverse dal “partito-
madre”. PPI, CCD, CDU, Rinnovamento, Democratici, Udeur non
hanno mai avuto le caratteristiche fondamentali della vecchia DC.
Tantomeno la Margherita che è la migliore ‘invenzione’ post-dc, ma
non ha ancora ‘un’anima’ sebbene abbia un progetto. Dal Pci sono
nati altri partiti: PDS - DS - Rifondazione, Comunisti Italiani e via
dicendo. Cose diverse e spesso in contrasto fra loro: un po’ a sinistra,
un po’ a centro, massimalisti e riformisti, antiamericani. Dal PSI è
nata una gran confusione che ha anche portato, unico caso al mondo,
ad un partito che si chiama neo-PSI ma sta a destra! Con la fine dei
grandi partiti la politica è diventata altra cosa. Tutto è un gridare
senza limite, i confini della decenza sono stati superati di molto, le
Istituzioni sono state mortificate, la stessa Carta Costituzionale è
ogni giorno aggredita, perfino l’unità del Paese è messa in discussione.
Il risultato è la politica che si occupa delle piccole cose, per giunta
senza risolvere, che illude e confonde, che promette invano un nuovo
miracolo italiano, che si occupa di operazioni piuttosto squallide.
A destra, come a sinistra, è il fallimento della cosiddetta Seconda
Repubblica che ha creato confusione e sbandamento negli italiani
che pure avevano sostenuto e desiderato un reale cambiamento e uno
svecchiamento della vecchia classe dirigente, degli antichi partiti nati
agli inizi del secolo. A questo punto l’ utopia di Principe ci sta tutta. E
ci sta all’interno di un discorso nuovo, che scomponga e ricomponga
l’attuale contesto politico, che recuperi il primato della politica - ma
non la supremazia dei politici - che dia segnali convincenti di una
nuova realtà, fatta di sogni e utopie, speranze e ideali. A patto che
questo non significhi sfuggire alla realtà quotidiana, alle emergenze
sociali, alla gestione del momento. Andare oltre, dunque. Volare alto.
Ritornare a fare Politica.
30
La triste fine della Regione

A
lla fine della legislatura in corso saranno passati ben 10 anni di
governi di Centro-destra alla Regione Calabria. Fatta salva la
breve esperienza della Giunta Meduri (che produsse un documento
di programmazione – il POR Calabria - che venne considerato uno
strumento di straordinaria importanza per lo sviluppo della nostra terra),
le due ultime legislature sono state sempre appannaggio dei partiti della
Casa delle libertà.
Nelle due legislature le giunte sono state tantissime: le ultime tre di
Chiaravalloti (ma sembra certo che non si fermi qui!), prima ancora un
paio di Nisticò, poi Caligiuri.
Non c’è bisogno di aspettare la fine della legislatura in corso per definire
‘sciagurata’ l’esperienza del Centro-destra in Calabria. I fallimenti portano
il nome e il cognome del tradimento del POR Calabria, dell’enorme
buco nella Sanità, del mancato trasferimento delle funzioni alle Province
(approvata la legge, mancano i regolamenti), della gestione miope e
clientelare di tutte le competenze della Giunta regionale. E per finirla
subito: l’inadeguatezza dei Presidenti a guidare le diverse giunte regionali,
Chiaravalloti su tutti; lo sfascio istituzionale che si consuma nelle sedute
dei consigli regionali durante le quali si sfiora lo scontro fisico; il pessimo
rapporto tra esecutivo e consiglieri; l’attività legislativa di scarso valore.

Al di là dell’elencazione dei fallimenti,


quello che conta è che il Centro-destra non
abbia saputo inventare e realizzare una vera
politica alternativa,

non riuscendo a dare ai calabresi la sensazione che si voltasse pagina e


si realizzassero gli impegni programmatici grazie ai quali Chiaravalloti
(come Berlusconi a Roma) ha ingannato gli elettori carpendone la fiducia.
31
Nelle politiche del lavoro, ad esempio, si è andati avanti nel puro e
semplice assistenzialismo. Nessuna novità per il mondo delle imprese, per
i lavoratori altamente qualificati, per l’industria e l’artigianato. Nel campo
economico ci si sarebbe aspettato, e così doveva essere, una profonda
rivoluzione che desse la spinta ad una economia di mercato capace di
guidare lo sviluppo e dare vita ad una nuova stagione occupazionale.
Così pure per tutti gli altri settori in cui l’immobilismo giace sovrano e
nessuna idea è stata concretizzata.
Nella pratica, la Regione di Centro-destra fallisce miseramente perché
non riesce a immettere nel circuito economico e produttivo gli ingenti
finanziamenti di Agenda 2000 che da soli basterebbero a fare della
Calabria una nuova terra di sviluppo e di crescita. Il POR è stato tradito
nella quantità e nella qualità degli interventi, mentre l’economia soffoca a
causa dell’alto costo del denaro, del lavoro sommerso, dell’estorsione che
impazza, della capacità di governo che manca alla destra a tutti i livelli.
Non c’è stata una “cultura” di destra che significasse alternativa nella
gestione del potere. In realtà la Calabria in dieci anni ha fatto un brutto
passo indietro: nella sostanza, nello stile, nella qualità. Ci siamo ritrovati
governati da giunte di incapaci, presiedute da uomini del tutto inadatti al
ruolo, gestite da amministratori litigiosi, spinti da un clientelismo sfrenato
e accecati dalla sete di potere. Il risultato: la Calabria arretra da tutti i punti
di vista, l’economia è ferma, l’occupazione torna a scendere, la sanità è
allo sbando, tutti gli altri settori (dal turismo all’agricoltura, dai lavori
pubblici alla pubblica istruzione e via dicendo) non esistono. Cosa fare a
questo punto. La soluzione ideale sarebbe quella di sciogliere il consiglio
regionale e ridare la parola ai calabresi. Ma questo non lo consentiranno i
consiglieri regionali. Allora è il momento che il centro-sinistra la smetta
di litigare al suo interno, si ritrovi unito nella sua ricca diversità, ritrovi la
forza e la voglia di dare una “spallata” alla giunta regionale e al suo inetto
presidente. Subito dopo si attrezzi per una proposta di governo con un
progetto di svolta, un programma delle emergenze, un’idea di sviluppo
che utilizzi tutti i fondi comunitari. Quindi l’indicazione del Presidente
e della squadra di governo. Utilizziamo tutti i mezzi, anche la piazza, ma
soprattutto le proposte, per dare ai calabresi una possibilità in più per
salvare la Calabria.

32
Un sogno chiamato Mina
P
ronto? Buongiorno, cerco Franco Laratta”
E’ una donna al telefono. Mi trovo fuori e quindi le
dicono di richiamare. Lei, comunque, non vuol lasciare
il nome. Riprova più tardi. Stessa scena. La signora richiama
anche un terza e quarta volta. Inultilmente. Poi un pò si
secca: “Senta, dica che ha chiamato Mina Mazzini e che
non lo trovo mai. Lui però sa dove cercarmi”. Sembrava
uno scherzo. Mina, proprio lei, che mi vuole! Daccordo,
ho un amore per la grande interprete che dura da
sempre; conosco bene il figlio Massimiliano con il quale
sono molto amico da anni. Ma da qui a ricevere una
sua telefonata ne corre. Eppure quel giorno di quattro
anni fa era proprio lei al telefono. Ne ho la conferma
chiamando alla sua casa discografica di Lugano: “Sì,
la signora cerca proprio lei, gliela passo”. Attimi
di panico e poi una conversazione semplice
che non voglio riportare. Rimane forte il
ricordo di una voce giovanissima, e di un
“arrivederci a Lugano” che ogni tanto mi
sembra di risentire.
Mina si nasconde da oltre 20 anni. Io la
scopriì nel 1974, grazie ad una sua canzone
suonata ad un juke-box. Frequentavo il primo anno
della Ragioneria, ed allora andavano forti i Rolling
Stones (ricordo la splendida “Angie”) e tanti gruppi
stranieri. Cominciai lentamente l’esplorazione del
pianeta Mina. Comprai subito i suoi dischi: il primo
era “Frutta e verdura”, il 33 giri che conteneva “E poi”,
la canzone che ascoltai dal juke-box. Poi venne “Amanti
di Valore”, quindi a ritroso gli altri dischi. Ogni anno
l’attesa per il suo nuovo lavoro e la ricerca delle sue
foto, di articoli che parlassero di lei e della sua vita. In
33
quel periodo apparve in televisione con Milleluci. Sarebbe stata la
sua ultima volta in Tv, dopo 15 anni di straordinarie trasmissioni del
sabato sera, preludio della grande fuga dal mondo dello spettacolo.
Nel 1978 tenne il suo ultimo grande concerto dal vivo, alla Bussola di
Viareggio. Io, appena diciottenne, non potei andare. Titoli entusiastici
su tutti i giornali, grande trionfo e pubblico in delirio per quelle serate
in Versilia. Poi l’addio per sempre alle scene, nonostante la popolarità
in aumento ed il crescente apprezzamento della critica per le sue
interpretazioni sempre più di altissimo livello.
Proprio in quel periodo apriva a San Giovanni in Fiore una radio
libera. Si chiamava Radio Sila Tre ed era diretta da me. Mina aveva
sempre un grande rilievo nella programmazione musicale della radio,
tanto che finì per essere scoperta ed apprezzata da tanti giovani dj.
Anche il pubblico, abituato ad altro genere di musica, imparò a
conoscere le canzoni più belle di Mina. Ricordo in particolare un
Album straordinario, “Attila”, che trionfò in radio per mesi. Del resto
è tutt’ora uno dei lavori più riusciti di Mina. In quel 33 giri debuttava
quale autore Massimiliano Pani, il 16enne figlio della cantante, che
scrisse per l’occasione due brani molto belli: “Sensazioni” e “Il vento”.
A Radio Sila Tre furono le due canzoni più richieste e trasmesse per
tanti mesi. In tutte le radio italiane “Attila” fu un successo. Il giovane
Massimiliano, però, venne curiosamente maltrattato da un certa
impietosa e stupida critica. Io, invece, gli scrissi per dimostrargli
il mio apprezzamento e per incoraggiarlo a continuare perchè ne
aveva la stoffa e tutte le qualità. Mi rispose rigraziandomi e da allora
cominciò un lungo ed intenso rapporto epistolare. Pani apprezzava i
miei suggerimenti e le mie indicazioni. Ma ci scrivevamo di tutto e lui
si è subito dimostrato molto maturo e particolarmente intelligente ed
attento. Dopo un paio di anni ci incontrammo a Milano, poi in seguito
in Svizzera, dove lui vive con la mamma, a Roma e in altre città. Entrò
presto nello staff degli stretti collaboratori di Mina, continuando a
scrivere e rivelandosi ben presto un ottimo arrangiatore. Poi incise
per conto suo (ma, sebbene bravo, non fu molto fortunato), debuttò
in Tv quale conduttore facendosi subito notare per il suo stile e la sua
eleganza nel parlare. Non gli feci mai mancare i miei giudizi e i miei

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incoraggiamenti tutte le volte che faceva qualcosa come Massimiliano
Pani, non già quale figlio d’arte. Nacque una bella amicizia che dura
tutt’ora e alla quale Massimiliano mi ha detto di tenere molto.
Il giovane e capace figlio di Mina deve avere parlato più volte alla
madre del nostro rapporto. Ed una volta in particolare, dopo un
nostro incontro a Roma dove siamo andati con mia moglie e mio
figlio a prenderlo all’aeroporto per poi stare insieme per alcune ore,
Mina mi ha fatto quella inattesa e graditissima telefonata.
Altre volte l’ho sentita mentre cercavo Massimiliano, ed una volta lei
ha voluto parlare con mio figlio Andrea, all’epoca di 8 anni, il quale
desiderava da tempo di parlarle, evidentemente ed involontariamente
plagiato dal papà, ma che apprezza molto le canzoni dell’ ex Tigre di
Cremona. Andrea, che aveva sentito il Cd “Napoli” del 1996, voleva
sapere da Mina come faceva a cantare così bene in napoletano. Lei
glielo ha spiegato ed ha anche risposto a tutte le sue domande!
Mina, del resto, è sempre stata con me molto affettuosa: quando da
ragazzino le scrivevo - e sarà successo tante volte- mi faceva avere
autografi e posters. Qualche volta anche alcuni suoi dischi.
Negli ultimi anni Mina è, dal punto di vista musicale, molto
cambiata. Legatissima alla famiglia, lontana anni luce dal mondo delle
spettacolo, ha saputo cambiare e superare i tempi e le mode. Grazie
a Massimiliano Pani, che produce i dischi della mamma e dirige la
casa discografica di Lugano circondandosi di musicisti giovani e
capaci, Mina si è riscoperta una inteprete più nuova e attenta alle
esigenze del pubblico, ma mai disponibile a fare ciò che non le piace
o non la convince. Al termine di quella sua telefonata ci siamo dati
appuntamento in Svizzera. Io le chiesi di venire in Sila per ammirare
le bellezze naturali della nostra montagna. Lei mi ha risposto che non
gradisce compiere viaggi così lunghi. Dopo quella conversazione sono
andato davvero a Lugano. Avevo appuntamento con Massimiliano e,
devo dire, temevo(!) di trovare anche Mina. Dentro di me è la cosa
che desidero di più, ma nello stesso tempo ne sono anche spaventato.
Quel giorno lei non c’era ed io sono stato a lungo nella Pdu con Pani
a seguire la preparazione di un disco. A tarda sera ho ripreso il treno
da Lugano per Milano, accompagnato alla stazione da Massimiliano.

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Avrei voluto sì incontrarla di persona, ma sono anche convinto che i
sogni non dovrebbero mai realizzarsi. Perchè sarebbero diversi dalla
nostra immaginazione e dai nostri desideri. Mina è, per me, un sogno
lungo una vita. La trovo in macchina tutte le volte che viaggio; ha
fatto da colonna sonora di tutti i momenti più belli della mia vita; mi
ha portato per mano da ragazzino fino alle soglie della maturità. L’ ho
ascoltata quando ero triste e volevo scacciare la malinconia. Lei, con
la sua splendida voce, mi segue ogni giorno, in sottofondo e in primo
piano, con la stessa puntualità del tempo che scorre veloce e supera
ogni evento. Perchè Mina è cultura, passione, poesia!
Mina ha segnato la storia degli ultimi 40 anni in Italia: il suo volto, le
sue canzoni, le sue vicende personali, hanno caratterizzato gli eventi, le
mode, gli avvenimenti di un Paese che è cresciuto e cambiato. Insieme
a lei. Per me è stata un momento di evasione e di passione: quasi come
un’amica sincera e riservata che ti segue sempre senza chiedere mai,
pretendendo però massima fedeltà. Alcune sere fa ascoltavo un brano
di Mina a casa mentre i miei bambini giocavano. La piccolina, Karen
di due anni, si divertiva a canticchiare. Le ho chiesto: “Sai chi canta
questa canzone?”. Non poteva ovviamente saperlo. Le ho detto: “é
Mina”. E lei, candida: “Papà, Mina chi è”? Già, Mina chi è? Karen
avrà tempo, se lo vuole, di scoprirlo. Non è che sia molto importante
per la sua vita, ma saprà che lo è stata per quella del
suo papà.
Grazie, Mina!

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