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SAGGI, CONFERENZE E SEMINARI

LUIGI MENGONI

L'Europa dei codici

o un codice per l'Europa?


Luigi Mengoni è Professore di Diritto Civile nell'Università Cattolica di Milano, dove ha anche
ricoperto la carica di Preside della Facoltà di Giurisprudenza. Autore di numerose monografie e saggi in diritto
civile e commerciale, tra cui l'opera fondamentale “Gli acquisti a non domino” (Milano, 3a ed., 1975). Nel 1987
è stato nominato Giudice della Corte Costituzionale.
1. Il primo corno del dilemma sembra evocare la formula della
“Europa degli Stati”, risalente agli anni Sessanta e legata al paradigma dello
Stato moderno come sovrana unità politica. Ma non in questa prospettiva,
che rivendicava il primato del diritto statale sul diritto comunitario, ha senso
oggi parlare di Europa dei codici. I codici civili europei sono dissociati
dall'ideologia tradizionale della codificazione, fondata sull'identificazione delle
fonti del diritto con la sovranità statale.
Nel modello di costituzionalismo europeo-continentale, di matrice
francese, la positivizzazione dei diritti fondamentali non produsse una
codificazione del tipo della Costituzione americana - la prima grande
codificazione moderna1 - bensì il codice civile 2 , ossia la codificazione delle
libertà borghesi e dei rapporti di libero mercato nella forma di diritti civili-
privati. Si è detto che “il codice civile del 1865 divenne, ben più dello
Statuto albertino, la vera costituzione dell'Italia unita” 3 . E non diverso era il
pensiero della Juristenzeitung tedesca quando il primo gennaio 1900, data
di entrata in vigore del codice civile dell'Impero germanico, uscì con la
sovrascritta in prima pagina “Ein Volk. Ein Reich. Ein Recht” 4 .
Questa ideologia, concomitante all'ascesa dello Stato nazionale, è
tramontata con l'avvento delle costituzioni del secondo dopoguerra, nelle
quali la sovranità non è più la categoria fondante della costituzione5 . Esse

1 H. Coing, Ius commune, nationale Kodifikation und internazionales Abkommen: drei


historische Formen der Rechtsvereinheitlichung, in Le nuove frontiere del diritto e il problema
dell'unificazione, I, Milano, 1979, p. 185.
2 G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, I: Assolutismo e codificazione del
diritto, Bologna, 1976, p. 561.
3 C. Salvi, La giusprivatistica fra codice e scienza, in Stato e cultura giuridica in Italia
dall'Unità alla Repubblica, a cura di A. Schiavone, Bari, 1990, p. 235.
4 Cfr. R. Zimmermann, Das römisch-holländische Recht und seine Bedeutung für
Europa, in Juristenzeitung, 45 (1990), p. 837.
5 G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 26.

1
sono “costituzioni senza sovrano”: la dissoluzione in senso pluralistico
dell'unità dello Stato ha comportato la neutralizzazione del potere sovrano6 .
Categoria fondante sono i valori metapositivi istituzionalizzati nei diritti
fondamentali dell'uomo ed elevati a criteri di legittimazione del diritto
positivo. Tuttavia il legame storico col concetto di Stato-nazione non è
coessenziale all'idea di codice, nata nel secolo XVIII in concomitanza con lo
sviluppo dell'autocomprensione della giurisprudenza come scienza. Il codice
austriaco del 1811 è indubbiamente un codice moderno, fondato come il
codice Napoleone sui principi di eguaglianza e di autonomia privata, ma non
fu il codice di uno Stato nazionale, e tanto meno di uno Stato liberale con un
ordinamento sociale borghese7 .
L'idea di codice può ridursi, e ormai si è ridotta, a un concetto
puramente tecnico, ordinato alla funzione di apprestare un nucleo sistematico
di principi e di categorie ordinatorie adeguato alla selezione strutturale dei
conflitti di interesse e all'organizzazione delle relative decisioni nell'unità del
sistema giuridico, garantendo il primato dell'argomentazione giuridica sulla
contingenza delle valutazioni politiche. La forza che l'idea di codice continua
a esercitare in tutti i paesi del continente deriva precisamente dal senso
profondo della sistematicità del diritto, che assegna ai concetti sistematici una
funzione irrinunciabile di guida e di controllo dell'argomentazione giuridica, e
quindi di razionalizzazione unificante dell'esperienza giuridica.
Ma v'è un'altra ragione della sopravvivenza dei codici nazionali. Pur
avendo perduto la centralità occupata negli ordinamenti degli Stati liberali e
non essendo più accreditato di valore deduttivo della soluzione di tutti i
possibili casi giuridici, il codice civile conserva una forte valenza politico-
culturale come deposito della tradizione giuridica nazionale e perciò elemento
primario del complesso meccanismo che determina l'identità nazionale dello
Stato. Il codice del 1942 è felicemente sopravvissuto alla caduta del regime
politico che l'aveva voluto perché fu il prodotto di un lungo periodo di

6 A. Bolaffi, Introduzione a O. Kirchheimer, Costituzione senza sovrano. Saggi di teoria


politica e costituzionale, trad. it., Bari, 1982, spec. p XXVIII s.
7 Cfr. D. Grimm, Historische Erfahrungen mit Rechtsvereinheitlichung - das frühe 19.
Jahrhundert in Deutschland, in Rabels Zeitschrift, 50, (1986), p. 70.

2
rinnovamento della nostra scienza giuridica, avviato negli ultimi due decenni
del secolo scorso, al quale hanno cooperato giuristi prestigiosi provenienti da
tutte le parti del Paese. Nell'art. F del Trattato di Maastricht, secondo cui
“l'Unione europea rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri”, è
implicita una riserva a favore della “Europa dei codici”, confermata dal
nuovo codice civile olandese appena entrato in vigore, dagli studi promossi
dal Ministro della giustizia della Germania federale per la riforma del libro del
codice civile sulle obbligazioni, dal movimento in Austria per un nuovo
codice che sostituisca il glorioso Allgemeines Gesetzbuch giudicato
“irrimediabilmente superato”.
2. Se dunque intendiamo il termine “codice” in senso stretto e proprio
anche nel secondo corno del dilemma, dobbiamo riconoscere che “un
codice per l'Europa” non è un'alternativa realistica. La risoluzione 26 maggio
1989 del Parlamento europeo, che ha chiesto l'avvio dei lavori preparatori
per l'elaborazione di un “codice europeo comune del diritto privato” 8 , non è
stata adeguatamente meditata, come dimostrano la scarna relazione e le
ambiguità dell'oscillante terminologia. Il titolo della risoluzione, che prospetta
un'azione di ravvicinamento del diritto privato degli Stati membri, e i primi tre
“considerando” indicano lo scopo di allargare gli interventi di armonizzazione
a “interi settori” del diritto privato, mentre le direttive comunitarie si sono
finora limitate a singole materie o singoli problemi, pur con forte incidenza
sugli assetti del diritto privato negli Stati membri. L'armonizzazione è una
forma di unificazione del diritto più debole perché preserva l'individualità
delle norme armonizzate modificandole soltanto nella misura necessaria al
conseguimento di un risultato sostanzialmente eguale9 . Ma nel
“considerando” E si abbandona il termine armonizzazione e si parla di
unificazione del diritto nel senso - esplicitato nel “considerando” G - di

8 PE Doc. A2-157/89, in Gazz.uff.CE, 26.6.89, N.C. 158/400.


9 Cfr. M. Boodman, The Myth of Harmonization of Laws, in Am.Journ.Comp.Law, 39
(1991), p. 701 s., che definisce questa forma flessibile di unificazione del diritto come “diritto
comparato applicato in vista dell'eliminazione, nella maggior misura ragionevolmente possibile,
delle diversità di regimi giuridici nelle transazioni internazionali o inter-giurisdizionali” (p. 705);
E. Stein, Einheitlichkeit und Verschiedenheit des Rechts bei geteilter Macht-die amerikanische
Erfahrung, in Rabels Zeitschrift, 50 (1986), p. 168.

3
codificazione secondo il modello, richiamato nella relazione10 , del progetto
italo-francese di un codice delle obbligazioni e dei contratti, destinato a
sostituire per questa parte i codici nazionali.
L'ambiguità della risoluzione è imputabile alla mancata distinzione dei
livelli ai quali può prospettarsi la formazione di un diritto europeo delle
obbligazioni e dei contratti o almeno di un corpo comune di principi generali
in questo settore del diritto privato. Il problema può presentarsi sotto due
profili, l'uno specificamente funzionale all'attività comunitaria di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, l'altro concernente in
generale i rapporti contrattuali transnazionali all'interno della Comunità o con
cittadini di Paesi terzi o soggetti ivi residenti.
3. Sotto il primo profilo il problema deriva dal carattere frammentario
e anche frastagliato degli interventi armonizzatori della Comunità in materia di
rapporti obbligatori, che incidono su singoli problemi via via che si
presentano nel processo dell'integrazione europea, e sovente non investono il
loro specifico oggetto nella sua globalità, ma ritagliandone alcuni aspetti o
momenti e lasciando gli altri alla regola dei legislatori nazionali. Il problema
non si riferisce tanto all'interpretazione delle direttive da parte dei giudici
nazionali, i quali devono controllare la conformità delle norme interne o, in
caso di mancata attuazione, applicare senz'altro la direttiva quando preveda
diritti soggettivi dei singoli verso lo Stato direttamente azionabili senza
bisogno di specificazioni della legislazione statale. L'uniformità di
interpretazione è garantita dalla facoltà e, nell'ultimo grado di giudizio,
dall'obbligo del giudice nazionale di sottoporre in via pregiudiziale il dubbio
interpretativo alla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'art.
177 del Trattato. Se poi nella normativa di attuazione di uno Stato membro
fosse adottata una interpretazione della direttiva giudicata scorretta o infedele
dall'esecutivo comunitario, quest'ultimo potrà sollevare in via principale la
questione davanti alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 169, tenuto conto
che pure le sentenze interpretative pronunziate dalla Corte in sede

10 PE, Doc. de seance A2-157/89, 28.4.1989.

4
contenziosa spiegano efficacia diretta negli ordinamenti interni degli Stati
membri.
Vengono in considerazione piuttosto gli aspetti dell'oggetto della
direttiva non toccati dal legislatore comunitario o lasciati aperti
all'applicazione di norme nazionali più favorevoli ai soggetti protetti, oppure
le disposizioni che rimettono al giudice nazionale la scelta tra due
interpretazioni possibili, entrambe compatibili con lo spirito della direttiva. Un
esempio del secondo caso è offerto dall'art. 14 della direttiva n. 653 del 18
dicembre 1986, trascritto quasi letteralmente nel nuovo testo dell'art. 1750,
primo comma, c.c. introdotto dal d.legs. 10 settembre 1991, n. 303,
secondo cui “il contratto di agenzia, che continui ad essere eseguito dalle
parti successivamente alla scadenza del termine, si trasforma in contratto a
tempo indeterminato”. Il tenore letterale consente di interpretare la
disposizione sia nel senso che la conversione in contratto a tempo
indeterminato opera con effetto ex tunc, cioè dalla prima stipulazione, sia nel
senso che opera ex nunc, cioè dalla scadenza del precedente contratto a
termine. Dal contesto della direttiva - che ha potuto attingere solo un basso
grado di armonizzazione a causa della resistenza inglese ad accettare il
modello del codice civile germanico - non si ricava alcun criterio dirimente
del dubbio, il che significa che il legislatore comunitario intende garantire
all'agente la tutela minima corrispondente alla seconda interpretazione, ma
non si riterrebbe offeso se il giudice nazionale adottasse la prima, più
favorevole all'agente. Sono prevedibili difformità di interpretazione non solo
tra le varie giurisdizioni nazionali, ma anche all'interno di una medesima
giurisdizione: vi saranno giudici italiani che riterranno di poter applicare per
analogia l'art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230, sul contratto di lavoro a
termine, che risolve nel primo senso l'analoga questione insorta in ordine al
terzo comma dell'abrogato art. 2097 cod. civ.; altri, invece, riterranno non
praticabile questo argomento analogico.
Un esempio del primo caso si può trarre dalla direttiva n. 374 del 25
luglio 1985 sulla responsabilità del produttore per i danni da prodotti
difettosi. Secondo l'interpretazione prevalente, per i danni patrimoniali, i soli
compresi nel raggio di azione della direttiva, l'art. 15 del d.lgs. 24 maggio

5
1988, n. 224, ammette il cumulo dell'azione derivante dalla nuova disciplina
speciale con l'azione fondata sulla preesistente disciplina generale dei fatti
illeciti. Il legislatore comunitario si è limitato a imporre una tutela minima
lasciando spazio, al di là di questa soglia, alle diversità dei diritti nazionali. Per
esempio, intervenuta la prescrizione triennale prevista dall'art. 10 della
direttiva (art. 13 del decreto citato), in Italia il danneggiato avrà di solito
ancora due anni per domandare i danni con l'ordinaria azione ex art. 2043
c.c. (art. 2947), mentre tale risorsa non avrà in Germania, dove il par. 852
BGB regola la prescrizione della responsabilità da fatto illecito in termini
analoghi a quelli della direttiva. Per quanto riguarda il c.d. danno biologico,
catalogato dalla nostra giurisprudenza tra i danni patrimoniali, il danneggiato
potrà avvalersi in Italia - nei limiti della speciale prescrizione triennale e della
decadenza decennale ulteriormente prevista dall'art. 14 del d.legs. n. 224 -
del più favorevole regime probatorio collegato alla natura oggettiva impressa
dalla direttiva alla responsabilità del produttore, mentre di tale facilitazione
non potrà fruire in Germania, dove il danno biologico è considerato non
patrimoniale, e quindi risarcibile solo in base al par. 847 BGB.
Mano a mano che nelle materie oggetto di interventi comunitari di
armonizzazione si sperimenteranno difformità di trattamento dei diritti
nazionali imputabili alla mancanza di un contesto normativo omogeneo, e non
coerenti con gli obiettivi dell'instaurazione di un mercato comune
concorrenziale e del promovimento dell'eguaglianza e della giustizia sociale,
diventerà più pressante il problema dell'unificazione dei principi generali del
diritto delle obbligazioni11 .

4. Nel frattempo alcune modificazioni nel senso di un diritto uniforme


europeo sono già state prodotte nel sistema del codice civile dalla

11 O. Lando, Principles of European Contract Law, in Rabels Zeitschrift, 56(1992), p.


265; H. Kötz, Gemeineuropäisches Zivilrecht, in Festschrift für K. Zweigert, Tübingen, 1981,
p. 483; C. Castronovo, La legge europea sul danno da prodotti ecc., in Dir.comm.int.,1990, p. 3
ss., ora in La nuova responsabilità civile. Realtà e metafora, Milano, 1991, spec. p. 203.
L'esigenza di un contesto di principi generali del diritto dei contratti è invece negata da O. Kahn-
Freund, Common Law and Civil Law - Immaginary and real Obstacles to Assimilation, in New
Perspectives for a Common Law of Europe, a cura di M. Cappelletti, Firenze, 1978, p. 141.

6
legislazione comunitaria sulla tutela dei consumatori: direttiva n. 577 del 1985
in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, attuata dal d.lgs.
15 gennaio 1992, n. 50, e direttive n. 102 del 1987 e n. 90 del 1988 sul
credito al consumo, recepite dalla legge 19 febbraio 1992, n. 142. Sono
all'esame degli organi comunitari competenti altre direttive rispettivamente
sulle clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori, sulla
responsabilità del fornitore di servizi e sulla tutela del consumatore nei
contratti negoziati a distanza, parzialmente anticipata dal citato d.lgs. n. 50
del 1992, che ha esteso le norme della direttiva sui contratti negoziati fuori
dai locali commerciali ai contratti di fornitura di beni o servizi negoziati sulla
base di offerte al pubblico effettuate col mezzo della televisione o con altri
mezzi audiovisivi12 . Nel quadro di una politica del diritto volta alla tutela del
contraente debole, queste direttive - e già l'art. 5 della Convenzione di Roma
del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali - delineano una
nuova categoria di contratti di vario tipo, detti “contratti dei consumatori”
(consumer transactions), identificata dalla qualità delle parti (operatore
commerciale da una parte, consumatore dall'altra) e dalla funzione di
fornitura di beni o servizi o di concessione di credito al consumo. Essa viene
assoggettata a una disciplina, concernente la formazione del contratto, la
forma, la causa, l'oggetto e gli effetti, divergente dalla disciplina generale
finora applicabile.
Per qualche aspetto la nuova disciplina può essere integrata nel
sistema con l'ausilio dello schema classico regola-eccezione: così, ad
esempio, l'art. 21, comma 11, della legge n. 142, secondo cui, nel caso di
cessione dei diritti del creditore derivanti da un contratto di credito al
consumo, il debitore ceduto può opporre al terzo cessionario anche la
compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente, forma un'eccezione
alla regola dell'art. 1248 cod. civ. Ma sotto altri aspetti questo schema
logico non è adeguato a cogliere la valenza sistematica delle norme in
questione. Sarebbe evidentemente riduttivo valutare gli artt. 4 sgg. del d.lgs.

12 Cfr. V. Zeno-Zencovich, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra


“contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”), di pross. pubbl. negli Studi in onore di
R. Sacco.

7
n. 50 del 1992 semplicemente alla stregua di due eccezioni, l'una al principio
dell'art. 1329 cod. civ., che ammette la proposta irrevocabile, l'altra all'art.
1373, secondo cui, se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal
contratto, tale facoltà non può essere esercitata finché il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione. Vero è piuttosto che gli interventi del
legislatore comunitario, mentre introducono nel sistema dogmatico del nostro
diritto privato un nucleo di principi comuni a tutti gli ordinamenti degli Stati
membri in ordine ai contratti dei consumatori, in pari tempo imprimono una
spinta all'evoluzione già in atto del sistema verso una ristrutturazione secondo
linee di differenziata articolazione di principi a livelli meno elevati di
astrazione e di corrispondenti concetti riferiti ad ambiti diversi di
applicazione.
In tema di intese restrittive della concorrenza i principi
dell'ordinamento delle Comunità europee sono riconosciuti dall'art. 1, comma
4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, sulla tutela della concorrenza e del
mercato, quali modelli interpretativi delle disposizioni contenute nel titolo
primo. Questa norma è un indice decisivo del superamento della concezione
dualistica che configura il diritto comunitario e il diritto interno come
autonomi e distinti, ancorché coordinati. Secondo la tesi prevalsa della Corte
di giustizia di Lussemburgo, l'ordinamento comunitario si integra negli
ordinamenti degli Stati membri, con conseguenze imponenti sul sistema delle
fonti del diritto interno, ma non ancora al punto da poter dire senza remora
alcuna che “la Corte ha forgiato il quadro costituzionale di una struttura di
tipo federalistico in Europa” 13 . Il primato del diritto comunitario incontra pur
sempre un limite - più volte ribadito dalle Corti costituzionali tedesca e
italiana, che si riservano il relativo controllo - della conformità degli atti
normativi comunitari ai principi fondamentali dell'ordinamento interno e ai
diritti inalienabili della persona umana. Verso il superamento di questa
estrema riserva di competenza delle Corti nazionali si muove il trattato di
Maastricht: là dove, all'art. F, proclama che “l'Unione europea rispetta i diritti
fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati

13 E. Stein, Un nuovo diritto per l'Europa. Uno sguardo d'oltre oceano, trad. it., Milano,
1991, p. 17.

8
membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”, esso affida alla
giurisprudenza della Corte di giustizia il compito di coronare l'edificio della
Costituzione europea14 con una definizione dei diritti fondamentali a livello
comunitario funzionale all'unificazione del controllo giurisdizionale.
Una ricaduta sui principi generali delle obbligazioni, con effetti
armonizzanti a livello europeo, possono avere anche certe sentenze della
stessa Corte di giustizia: per esempio la recente sentenza 19 novembre 1991
in causa Francovich c. Repubblica Italiana15 , che ha stabilito il principio di
responsabilità degli Stati membri per i danni cagionati ai singoli
dall'inadempimento dell'obbligo di attuazione di una direttiva comunitaria
attributiva di un diritto soggettivo non immediatamente azionabile negli
ordinamenti interni. Oltre alla valenza costitutiva di una nuova fattispecie di
responsabilità civile comune agli ordinamenti degli Stati membri, questa
sentenza si ripercuote sul nostro ordinamento introducendovi un indice
normativo non di scarso peso a favore dell'estensione dell'art. 2043 c.c. alla
tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione.
5. Sotto l'altro dei profili sopra distinti, sul quale mi fermerò
brevemente, il problema di un codice europeo dei contratti non riguarda
istituzionalmente la Comunità europea, e anzi è una specificazione, riferita
all'Europa, di un problema che potenzialmente interessa tutti i rapporti
connessi al commercio internazionale, cioè un possibile ambito di
applicazione analogo a quello della Convenzione delle Nazioni Unite sui
contratti di vendita internazionale di merci stipulata a Vienna l'11 aprile 1980
e resa esecutiva in Italia con legge 11 dicembre 1985, n. 765. A differenza
del processo di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri regolato
dal trattato istitutivo della Comunità Europea, i progetti di unificazione del
diritto nel secondo senso investono soltanto la disciplina dei rapporti
economici transnazionali, anche se non nascondono l'ambizione di servire in
un secondo tempo da modello per eventuali riforme dei diritti nazionali.

14 Cfr. S. Cassese, La costituzione europea, in Quaderni costituzionali, 1991, p. 487 ss.


15 Foro it., 1992, IV, 145, con note di Barone e Pardolesi e di Ponzanelli.

9
Inoltre, sotto questo secondo aspetto, il problema non si pone
esclusivamente come problema di unificazione del diritto mediante lo
strumento legislativo, che qui assumerebbe le forme della convenzione
internazionale e delle conseguenti leggi nazionali di ratifica. Le difficoltà di
reperimento di formule normative che soddisfino le esigenze degli Stati
partecipanti alla convenzione, le ulteriori difficoltà, una volta intervenuto
l'accordo, di ottenimento della ratifica dagli organi legislativi nazionali,
inducono la dottrina a prospettare forme extralegali o paralegali di
unificazione del diritto16 . La più discussa è la c.d. lex mercatoria, costituita
da un complesso di regole del commercio internazionale espresse dalla
prassi, specialmente da alcune importanti camere internazionali di arbitrato.
La natura di diritto oggettivo, che da qualche parte si vorrebbe riconoscere
alla lex mercatoria, è difficilmente sostenibile. Un giudice chiamato a
risolvere una controversia relativa a un rapporto commerciale transnazionale
applicherà la lex mercatoria se, in base alla legge nazionale applicabile,
potrà riconoscerla come uso normativo o uso contrattuale; altrimenti potrà
utilizzarla solo come starting point argomentativo, i cui approdi dovranno
poi essere sottoposti al controllo di compatibilità con le norme imperative e
l'ordine pubblico del proprio ordinamento. Le altre forme, per esempio il
progetto dell'UNIDROIT per l'elaborazione di regole del commercio
internazionale, sono fonti autorevoli di circolazione di modelli di
comportamento e di decisione, la cui applicazione è affidata alla loro forza di
persuasione 17 .
Peraltro, fuori dal campo di competenza delle direttive comunitarie di
armonizzazione, il movimento per l'unificazione del diritto dei contratti
mediante convenzioni internazionali ha già raggiunto, nell'ambito degli Stati
membri della Comunità europea, un traguardo importante sul piano del diritto
internazionale privato. La Convenzione di Roma del 19 giugno 1980,

16 Cfr. i contributi al tema pubblicati nel fasc. 2 della Rabels Zeitschrift, 56 (1992), p.
219 ss., con l'introduzione di H. Kötz, Alternativen zur legislatorischen
Rechtsvereinheitlichung, ivi, p. 215 ss.
17 Cfr. M. J. Bonell, Il progetto dell'UNIDROIT per la elaborazione di principi per i
contratti commerciali internazionali, di pross. pubbl. negli Studi in onore di R. Sacco.

10
ratificata dall'Italia con legge 18 dicembre 1984, n. 975, ed entrata in vigore
(in sette Stati membri) il 1° aprile 1991, ha unificato le norme di conflitto in
materia di obbligazioni contrattuali18 . Con due protocolli integrativi, stipulati
a Bruxelles nel 1988 e ratificati dall'Italia con legge 7 gennaio 1992, n. 54, le
Parti contraenti, che in una dichiarazione comune finale si erano dette
“sollecite di evitare divergenze di interpretazione della convenzione che
possano nuocere al suo carattere unitario”, hanno esteso alle questioni
interpretative il ricorso in via pregiudiziale alla Corte di giustizia previsto
dall'art. 177 del trattato istitutivo della Comunità europea. Questo efficace
strumento di garanzia che il diritto uniforme non degeneri in interpretazioni
difformi dei giudici nazionali era già stato adottato dalla convenzione sul
brevetto comunitario del 1975 (art. 173), non ancora entrata in vigore.
L'unificazione delle norme di diritto internazionale privato rimuove
soltanto le differenze dei criteri di individuazione della disciplina sostanziale
applicabile, ma non l'inconveniente derivante dalla difficoltà che una o
entrambe le parti del contratto possono avere di adattarsi a tale disciplina
quando sia diversa da quella a loro familiare. Ma va osservato anzitutto che
l'inconveniente è notevolmente ridotto dall'ampia libertà di scelta della legge
regolatrice del contratto lasciata alle parti dalla convenzione. In secondo
luogo, un risultato almeno in parte praticamente analogo all'unificazione del
diritto sostanziale può essere ottenuto con un lavoro di revisione dottrinale e
giurisprudenziale dei sistemi giuridici nazionali, tale da allargare il più
possibile gli spazi del diritto dispositivo e quindi da conferire alla lex
mercatoria la massima capacità di conformazione dei rapporti commerciali
transnazionali attraverso l'autonomia negoziale. Certo la lex mercatoria può
presentare aspetti di possibile prevaricazione di una parte sull'altra19 , come
dimostrano le critiche suscitate dalla pratica bancaria delle fideiussioni
omnibus, alla quale ha posto un limite la legge 17 febbraio 1992, n. 154
sulla c.d. trasparenza bancaria; può anche includere clausole contrastanti con

18 Cfr. M.J. Bonell, L'impatto del diritto uniforme sui diritti nazionali, ecc., in
Riv.dir.civ., I p., 1992, p. 261 ss.
19 Cfr. O. Remien, Rechtseinheit ohne Einheitsgesetze, ivi, p. 303.

11
i diritti fondamentali, in particolare il diritto di difesa20 . In casi del genere, che
toccano l'ordine pubblico del foro, la regola dell'autonomia privata deve
soccombere. Ma in altri casi il giudizio di disvalore del precetto contrattuale
non appare altrettanto giustificato. Per esempio, la tutela indirettamente
attribuita all'autonomia negoziale dalla garanzia costituzionale della libertà di
iniziativa economica (art. 41 Cost.) legittima la domanda se il principio di
causalità delle attribuzioni patrimoniali non possa, entro certi limiti, ritenersi
disponibile nei contratti commerciali
6. L'aspirazione all'unità del diritto ha una lunga tradizione nella cultura
europea, non solo giuridica: basti pensare a Montaigne, a Pascal, che
irrideva agli opposti criteri di discriminazione del giusto dall'ingiusto vigenti di
qua e di là dai Pirenei, o a Voltaire, che quando viaggiava recriminava di
trascorrere da un regime giuridico a un altro ad ogni cambio di cavalli. Ma le
condizioni politiche, sociali e culturali in cui si sono compiute le grandi
codificazioni del secolo scorso, che hanno coronato la formazione degli Stati
nazionali, non sono ripetibili a livello europeo. Al “formidabile ostacolo”
della diversità delle lingue21 si aggiungono le difficoltà derivanti dalla diversità
delle tecniche e degli stili dei vari ordinamenti, fortemente accentuata dopo
l'ingresso della Gran Bretagna nella Comunità. Né mancano
controindicazioni: si paventa l'irrigidimento dei diritti nazionali, i quali, nella
misura della sottrazione di competenze prodotta dall'unificazione, perdono
flessibilità di adattamento ai mutamenti accelerati dei rapporti socio-
economici e delle tecnologie22 , e perfino si affaccia il timore che al di qua dal
Canale della Manica l'unificazione del diritto mediante atti di normazione
comporti per i paesi politicamente più deboli una svendita della propria
tradizione giuridica23 .

20 Cfr. H.J.Mertens, Rechtsvereinheitlichung durch transnationales Wirtschaftsrecht und


Rechtsbegriff, ivi, p. 239.
21 O. Kahn-Freund, op.cit. (nota 11), p. 144.
22 Cfr. H. Kötz, Rechtsvereinheitlichung - Nutzen, Kosten, Methoden, Ziele, in Rabels
Zeitschrift, 50 (1986), p. 10 s.; P. Behrens, Voraussetzungen und Grenzen der Rechtsfortbildung
durch Rechtsvereinheitlichung, ivi, pp. 26 ss., 32.
23 O. Remien, op. cit. (nota 17), p. 307.

12
Ultimo, ma non meno importante motivo contrario alla prospettiva di
un codice per l'Europa o, più esattamente, di una codificazione a livello
comunitario che investa tutti i settori rilevanti per il funzionamento del
mercato interno, è il principio di sussidiarietà24 , sancito dall'art. G del trattato
di Maastricht e inserito tra i principi fondamentali del trattato istitutivo della
Comunità economica europea come criterio di politica del diritto qualificante
della nuova, più ampia, Comunità europea. Fuori dai settori di esclusiva
competenza della Comunità, l'unificazione del diritto si svilupperà nelle
materie e nella misura in cui la corrispondente restrizione di competenza degli
Stati membri sarà riconosciuta necessaria o almeno più confacente all'azione
di perseguimento degli obiettivi comunitari, ridefiniti nel nuovo art. 2 del
trattato di Roma.
L'esperienza insegna che l'aspirazione all'unificazione del diritto si
traduce in volontà politica solo sotto la spinta e nei limiti di imperativi pratici
immediati del mondo vitale, specialmente della vita degli affari e dell'esigenza
di riduzione dei costi delle transazioni transnazionali25 . Ma, pur entro questi
limiti, i processi di unificazione devono essere accompagnati e completati da
una profonda riforma degli studi di giurisprudenza e dei modi di preparazione
dei giuristi teorici e pratici, integrata da un continuo interscambio tra le scuole
di diritto e le sedi operative dei vari Paesi che favorisca l'acquisizione di modi
di pensiero e modelli di argomentazione giuridica omogenei. Con tutte le
riserve che il paragone può suscitare, non si deve dimenticare che il diritto
romano-comune europeo e la sua appendice ottocentesca del diritto delle
pandette in Germania si sono formati come “diritto dei giuristi” 26 .

dicembre 1992

24 Cfr. M. Storme, Rechtsvereinheitlichung in Europa. Ein Plädoyer für ein einheitliches


europäisches Prozessrecht, in Rabels Zeitschrift, 56 (1992), p. 293.
25 Cfr. O. Kahn-Freund, op. cit. (nota 11), p. 141: “The selection of areas of law to be
harmonized must be dictated by practical requirements and by nothing else”.
26 G. Kegel, Sinn und Grenzen der Rechtsangleichung, in Angleichung des Rechts der
Wirtschaft in Europa (Kölner Schriften zum Europarecht, 11), 1971, p. 46.

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