L’attenzione per i gesti della costruzione dell’opera fa sì che divengano
essi stessi arte. Non più il gesto che manifesta un sentimento,
un’emozione dell’artista, ma il gesto che si autorappresenta in quanto aspetto fondamentale dell’opera. Povertà dell’arte, quindi, significa ritorno ai principi elementari, ritrovati in natura o in certi apparati tecnologici essenziali e primari (luce al neon, elettricità, processi basici di refrigerazione). “I lavori di Paolini, Boetti, Fabro, Prini, Kounellis, Pascali riguardano fondamentalmente archetipi mentali e fisici, tentano di evitare ogni complicazione visuale per offrirsi come ‘dati di fatto’ [...] tendenza generale all’impoverimento e alla decultura dell’arte. Tutti esaltano il carattere empirico e non speculativo del materiale adottato e dello spazio dato, così che l’attenzione dell’arte si sposta alla corporeità degli avvenimenti e degli elementi naturali non artificiali [...]” (Celant, 1967). Il recupero della totalità dell’esperienza comporta un’attenzione al corpo che sconfina dalla produzione di oggetti alla produzione di azioni uniche, irripetibili, casuali. Sconfinamento che coinvolge necessariamente anche il problema del tempo: l’opera tende a risolversi nella durata effimera di un’azione. Questa fase finale della produzione dell’arte povera (intorno al 1969-1970) suscita non poche polemiche che evidenziano il rischio di svuotamento dei contenuti della pratica artistica. “Col passaggio dall’arte povera all’azione povera si finisce nelle secche dell’estetismo e nell’illusione di sottrarre l’arte (col rifiuto del prodotto finito) all’utilizzazione da parte del sistema, le si conferiscono le caratteristiche più superficiali e alienanti dello spettacolo e delle tecniche pubblicitarie, disponendola, così, di fatto a una mercificazione ancora più radicale di quella a cui andavano incontro le opere dell’arte povera; la quale aveva almeno il merito, come s’è visto, di insistere sul problema del primario, inteso come proposta di recupero di una condizione originaria dell’uomo, […]. Una proposta desunta dalla tesi marcusiana […] che nell’arte si manifesti la memoria di un’unità originaria precedente alla separazione tra fantasia e ragione, natura e spirito” (Vitaliano Corbi, La poetica dell’arte povera, 1969). La ricerca e le opere dell’arte povera hanno contribuito a cambiare profondamente il clima artistico dell’Italia, ad allargarne i confini nazionali, e a mutare i concetti di artista e di pubblico costituendosi come il più importante momento dell’arte italiana del secondo dopoguerra.