movimento o un’ideologia, ma un termine che Germano Celant utilizza in occasione della mostra Arte Povera - IM spazio per designare un gruppo di artisti riuniti alla Galleria la Bertesca di Genova nel settembre 1967. Gli artisti invitati alla mostra, e gli altri che saranno poi inclusi nel gruppo dallo stesso Celant sono Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro (1936-), Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz (1931-), Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio e, inizialmente, Mario Ceroli, Piero Gilardi, Paolo Icaro, Gianni Piacentino. Essi non hanno niente in comune se non il favore accordato a materiali non “privilegiati”, un’attenzione per l’oggetto “banale” e di uso quotidiano, il coinvolgimento dell’artista e del pubblico nella processualità degli eventi, la trasformazione del contesto quotidiano in scena teatrale, l’idea di arte come esperienza. Nella definizione di Celant nel catalogo della mostra bolognese alla galleria De’ Foscherari di Bologna (1968) si mettono a fuoco i punti essenziali di questa nuova pratica artistica: “Là un’arte complessa che mantiene in vita la correptio del mondo, col tentativo di conservare ‘l’uomo ben armato di fronte alla natura’. Qui un’arte povera, impegnata con l’evento mentale e comportamentistico, con la contingenza, con l’astorico, con la concezione antropologica, l’intenzione di gettare alle ortiche ogni ‘discorso’ univoco e coerente […], ogni storia e ogni passato, per possedere il reale dominio del nostro esserci […] arte come stimolo a verificare continuamente il nostro grado di esistenza (mentale e fisica). […] L’autore ponendosi alla convergenza tra idea e immagine, diventa il vero protagonista dell’evento”. In quello che potremmo definire il “manifesto programmatico” dell’arte povera, Celant aveva parlato inoltre di “un’arte che trova nell’anarchia linguistica e visuale, nel continuo nomadismo comportamentistico il suo massimo grado di libertà ai fini della creazione”. Il fatto che da parte degli artisti coinvolti in questo tipo di operazione, non si sia mai registrato un eccessivo entusiasmo, né un forte sentimento di appartenenza al gruppo ma neppure, almeno all’inizio, un netto rifiuto di tale dinamica, ha fatto sì che, nonostante l’assenza di un’ideologia comune, l’arte povera sia diventata una categoria storica. Si tratta di una tendenza di un preciso momento dell’arte italiana della seconda metà degli anni Sessanta che si pone come anello di congiunzione tra le esperienze informali e materiche di Alberto Burri e quelle vicine alla poetica neo dada di Piero Manzoni degli anni Cinquanta e la ricerca artistica operata successivamente al 1968.