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La responsabilità civile e penale del RSPP

La responsabilità civile e penale del RSPP costituisce un importante tema di riflessione


giuridica, connessa con la sempre maggiore importanza acquisita dalla figura del RSPP
nell’organizzazione aziendale. Questo contributo si propone di fare il punto sulle
responsabilità di questo professionista e di analizzare l’evoluzione della giurisprudenza
in materia.

Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) è un professionista


esperto in sicurezza, in protezione e prevenzione designato dal datore di
lavoro per gestire e coordinare le attività del servizio di prevenzione e protezione
dai rischi (SPP), cioè l’ “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni
all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali
per i lavoratori” (art. 2 comma 1 lettera l) del D. Lgs. 81/2008 e successive modifiche
ed integrazioni; in tale veste collabora con il datore di lavoro, il medico ed il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza alla realizzazione del Documento di
valutazione dei rischi e partecipa, sempre assieme al medico competente ed al
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, alla riunione periodica indetta
annualmente dal datore di lavoro.

I compiti del servizio di prevenzione e protezione essenzialmente sono dettagliati


all’art. 33, comma 1 del D.Lgs. 81/08:

 individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e


all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti
di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica
conoscenza dell’organizzazione aziendale;
 ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive,
nonché i sistemi di controllo di tali misure;
 ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; a proporre
i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
 partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul
lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’art. 35;
 fornire ai lavoratori le informazioni sui rischi per la salute e la sicurezza
connessi all’azienda in generale, sulle procedure di primo soccorso, antincendio
ed evacuazione, sui nominativi del RSPP degli addetti al SPP e del medico
competente, sugli addetti al servizio di primo soccorso ed antincendio. Fornire
inoltre a ciascun lavoratore adeguate informazioni sui rischi specifici
dell’attività che svolge e sulle norme di sicurezza, nonché sulle disposizioni
aziendali in materia; sui pericoli derivanti dall’uso di sostanze e preparati
pericolosi, sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.
Il RSPP può essere un soggetto interno all’azienda (dipendente/socio/collaboratore
familiare) oppure può essere un professionista esterno. La nomina del RSPP è uno degli
obblighi non delegabili del datore di lavoro, prevista dall’art. 17 comma 1 lettera b)
del d.lgs. 81/2008 e ss.mm.ii.

Deve essere nominato un RSPP obbligatoriamente interno all’azienda nei casi


previsti dall’art. 31 comma 6 del d.lgs. 81/2008.

In alcune tipologie di aziende (art. 34 comma 1 ed allegato II del d.lgs. 81/2008) il


datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di
prevenzione e protezione dei rischi. In questi casi egli è comunque tenuto a
frequentare corsi di formazione della durata minima di 16 ore e massima di 48 ore,
adeguati alla natura dei rischi presenti ed alle attività lavorative svolte. Nelle unità
produttive ove sono presenti al massimo cinque lavoratori, il datore di lavoro può
svolgere i compiti di primo soccorso, prevenzione incendi ed evacuazione, previa
frequenza di corsi di formazione di cui agli artt. 45 (primo soccorso) e 46 (prevenzione
incendi) del d.lgs. 81/2008 e s.m.e i. nonché i rispettivi corsi di aggiornamento.

Il ruolo di professionista e l’importanza che la normativa attribuisce al servizio di


prevenzione e protezione espongono il RSPP ad una pluralità di responsabilità, sia di
natura civile che di natura penale che di seguito verranno più compiutamente illustrate.

La responsabilità penale del RSPP.

Come accennato il D.Lgs. 81/08 non prevede specifiche sanzioni penali per l’RSPP:
non vi è dunque uno specifico sistema di pene (per delitti: reclusione/multa; per
contravvenzioni: arresto/ammenda) che vada a sanzionare il comportamento di un
RSPP che non svolge adeguatamente il suo compito.

Il che non significa che il RSPP non possa incorrere in una responsabilità penale, anche
per reati piuttosto gravi.

Il RSPP infatti risponde, insieme al datore di lavoro, per il verificarsi di un infortunio


ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa
che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare” (Cass. Pen. Sez. IV
27.01.2011 n. 2814).

Tale impostazione invero non era immediatamente chiara al momento dell’emanazione


del D.Lgs. 626/94: nel testo originario infatti, il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione costituiva un mero consulente del datore di lavoro, e non
erano previsti in capo allo stesso specifiche capacità, attitudini e requisiti professionali.
Di conseguenza la Giurisprudenza sviluppatasi a partire dalla metà degli anni ’90
tendeva ad escludere specifiche responsabilità del RSPP: si considerva infatti tale
figura come meramente integrativa e strumentale rispetto a quella del datore di lavoro.
Tale orientamento si rinviene ad esempio nella sentenza della Sentenza 25.01.1999
della Pretura di Trento dove si affermava che il RSPP avesse un “mero obbligo nei
confronti del datore di lavoro di segnalare la presenza di omissioni in materia,
dovendo poi il datore di lavoro stesso provvedere all’applicazione delle prescrizioni
del caso”. Analogamente il Tribunale di Milano con sentenza 9 febbraio 2001
confermava che il RSPP non potesse considerarsi corresponsabile del datore di lavoro
per il reato di lesioni colpose occorso al lavoratore. Tale atteggiamento era tuttavia
destinato ad avere vita breve. Con sentenza C-49/00 del 15.11.2001, infatti la Corte di
Giustizia delle Comuità Europee, valutando la normativa contenuta nell’originaria
versione del D.Lgs. 626/94, dichiarava che “non avendo prescritto che il datore di
lavoro debba valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di
lavoro; avendo consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a
servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze interne all’impresa
sono insufficienti, e non avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere
in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei
rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori, la Repubblica italiana è
venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e
7, nn. 3, 5 e 8, della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente
l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della
salute dei lavoratori durante il lavoro” A fronte di tale condanna, il governo italiano
era costretto a correre ai ripari, modificando la normativa interna per renderla
compatibile con le indicazioni della direttiva: si giungeva quindi all’emanazione del D.
Lgs. 23 giugno 2003 n. 195 (detto “Decreto RSPP”) con cui il Governo Italiano
apportava al D.Lgs. 626/94 le modifiche indicate dalla Corte di Giustizia necessarie
per il corretto recepimento della Direttiva: tale decreto infatti, fra le altre cose, definiva
e rafforzava il ruolo e le responsabilità del RSPP, con una disciplina che in oggi si è
mantenuta inalterata nel D. Lgs. 81/2008. A seguito della riforma (anche se qualche
pronuncia sulla responsabilità risale al 2002), la sussistenza di una responsabilità
penale del RSPP in caso di infortunio, non è stata più messa in dubbio, chiaramente
laddove fosse possibile riscontrare, nei fatti, un comportamento omissivo del
medesimo.

Il quadro normativo attuale prevede che il datore di lavoro sia e rimanga titolare della
posizione di garanzia e, di conseguenza, il responsabile – salvi i casi che si diranno –
in caso di infortunio sul lavoro.

E’ infatti il datore di lavoro che ha l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di


elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione (che, lo si
rammenta, contiene sia l’individuazione delle potenziali fonti di rischio, sia la
specificazione delle contromisure adottate in azienda per far fronte a tali rischi).

Tali attività vengono svolte con l’ausilio di un consulente specializzato e


professionalmente competente: il RSPP.
Sia la valutazione dei rischi, sia la redazione del DVR, pertanto, fanno capo al datore
di lavoro che, nel caso le ometta, viene perseguito penalmente in prima persona (art.
55 D.Lgs. 81/08): a prima vista pertanto nessuna sanzione penale diretta investe il
RSPP sulle cui responsabilità il D.Lgs. 81/08 sostanzialmente tace.

Tuttavia, il fatto, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o


amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di
prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano
ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile
derivante da attività svolte nell’ambito dell’incarico ricevuto.

Infatti, occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali (di


cui, in genere, non risponde penalmente il RSPP), derivanti dalla violazione di norme
di puro pericolo, da quello di responsabilità per reati colposi di evento, quando cioè si
siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie. (Cass. Pen. Sez. IV n. 2814 del 27
gennaio 2011).

Anche la dottrina, dopo una iniziale adesione alle tesi giurisprudenziali pre-riforma, in
oggi si è attestata nel riconosce che il RSPP non può non dirsi esonerato da
un’eventuale responsabilità per colpa professionale: anzi, qualora l’errore non fosse
rilevabile dal datore di lavoro, quest’ultimo, in assenza di profili di colpa, potrebbe
andare persino esente da ogni responsabilità.

In definitiva vi è corresponsabilità del RSPP con il datore di lavoro per la


verificazione di un evento lesivo tutte le volte che l’inosservanza dei compiti di
prevenzione attribuiti al RSPP dalla legge si configura come una delle concause
dell’evento lesivo.

Pertanto, qualora il datore di lavoro non adotti una doverosa misura di prevenzione a
causa di un errato suggerimento o di una mancata segnalazione circa una situazione di
rischio da parte del RSPP, che abbia agito con imperizia, imprudenza o inosservanza
di leggi e discipline, quest’ultimo sarà chiamato a rispondere dell’evento dannoso
derivatone, essendo a lui ascrivibile a titolo di colpa professionale.

In certi casi, qualora tale colpa professionale sia tale da non poter essere riconosciuta
dal datore di lavoro (ad es. il RSPP consiglia una di adottare una misura che sembra
sufficiente ad eliminare il rischio, ma che poi non si rivela tale), la colpa del RSPP
addirittura può assumere un carattere esclusivo dovendosi presumere, nel sistema
elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da
parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta
situazione (cfr. Cass. Pen Sez. IV 20.08.2010 n. 32195; Vass. Pen Sez. IV 27.09.2012
n. 37334.; Cass. Pen. Sez. IV 15.01.2010 n. 1834).

La designazione del RSPP da parte del datore di lavoro, pertanto, anche se obbligatoria,
non equivale ad una delega di funzioni.
Il ruolo del RSPP rimane comunque un “ruolo tecnico di staff, di natura consultiva e
propositiva” e la sua individuazione non è assolutamente idonea ai fini dell’esenzione
del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa
antinfortunistica.

Unica eccezione è il caso in cui un soggetto che rivesta la qualifica di RSPP riceva
anche la delega di alcune funzioni: in questo caso diventando l’alter ego del datore di
lavoro, il RSPP viene ad assumerne, rispetto a quelle stesse funzioni, gli stessi oneri e
le stesse responsabilità.

Due elementi, in ogni caso, devono essere presenti e sono sempre essenziali per
affermare la responsabilità del RSPP:

1. la colpa: ossia la negligenza, imprudenza o imperizia del RSPP nell’analisi


dei rischi e nell’individuazione delle misure idonee per eliminarli/prevenirli
2. il nesso causale tra la condotta negligente, imprudente o imperita del RSPP e
l’evento infortunistico.

Se manca l’uno o l’altro di questi elementi non vi è naturalmente responsabilità.

A titolo di esempio: se il RSPP segnala correttamente l’esistenza di una situazione


pericolosa e indica le misure da adottare per prevenirla, ma il datore di lavoro non le
attua, il RSPP va esente da responsabilità perché ha correttamente adempiuto al suo
incarico (naturalmente dovrà dimostrare di aver avvisato il datore di lavoro e di aver
suggerito le misure da adottare: può averlo fatto nel DVR oppure in altra sede, ciò che
sarebbe in ogni caso preferibile e che la prova sia data per iscritto e con data certa).
Analogamente va esente da responsabilità il RSPP che abbia sottovalutato taluni rischi
in azienda, se l’incidente avviene per cause diverse rispetto ai rischi sottovalutati: si
pensi ad un RSPP che non valuta attentamente i rischi di caduta da una scala ripida
senza corrimano (e quindi risulta negligente nella compilazione del DVR) in relazione
ad un infortunio occorso perché un lavoratore è stato spinto da un collega nel corso di
un diverbio.

Tradizionalmente la Giurisprudenza ha distinto le responsabilità del RSPP in


responsabilità “prevenzionali” che si verificano quando l’errata consulenza del RSPP
determina l’applicazione di sanzioni per violazione di norme di puro pericolo in capo
al datore di lavoro e responsabilità per “reati colposi di evento” che si verifica al
contrario quando, a causa dell’errata consulenza o del mancato controllo, si verifica un
infortunio sul lavoro.

In questa sede pare opportuno prendere in considerazione il secondo tipo di


responsabilità (per reati colposi di evento), atteso che nel primo caso la responsabilità
penale in genere ricade unicamente sul datore di lavoro, il quale poi, laddove la
sanzione sia conseguenza di un’errata consulenza, potrà agire nei confronti dell’RSPP
in sede civile.
La “fonte” principale della responsabilità penale del RSPP è costituita dagli art. 40 e
41 del Codice Penale: il primo articolo stabilisce che non evitare un evento che si ha
l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo; il secondo che la concorrenza di
più cause, anche indipendenti dall’azione o omissione del colpevole, non esclude il
nesso di causalità fra quell’azione o omissione e l’evento, anche se consistono in fatti
illeciti commessi da altri: l’esclusione di responsabilità interviene solo se tali con-cause
sono da sole sufficienti per causare l’evento.

Questi due articoli parlano di “eventi” che si ha l’obbligo di prevenire e che, per
negligenza, imprudenza o imperizia nell’esecuzione dell’obbligo, invece, si verificano.
Ma che cosa sono questi “eventi”?

In una parola, nel caso che ci occupa, sono gli infortuni sul lavoro che, a seconda della
gravità, possono consistere in lesioni più o meno gravi (dalla semplice contusione o
graffio, sino all’amputazione di arti, paralisi ecc.) oppure degenerare in eventi mortali.

Questi “eventi” vengono generalmente imputati al datore di lavoro (e, nei limiti che
vedremo al RSPP) a titolo “colposo” in quanto si verificano a causa di una negligenza
o, più in generale, di una inosservanza di norme o regolamenti, senza che vi sia, da
parte del datore di lavoro, la coscienza e volontà di cagionare lesioni ad alcuno, ovvero
di cagionare la morte di alcuno.

Purtuttavia vi potrebbero essere casi più gravi in cui la condotta del datore di lavoro e
del RSPP viene posta in essere con la consapevolezza e l’accettazione del rischio che
si verifichino eventi molto gravi per la salute dei lavoratori: è il caso della cd. “colpa
cosciente” che si verifica nel momento in cui un soggetto è a conoscenza di un
determinato rischio, ma non fa nulla per prevenirlo nella speranza che “non accada
nulla” o che, comunque, il verificarsi di quel rischio sia “gestibile” con i mezzi in
dotazione.

In tali casi la “colpa” risulta aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 3 C.P. che disciplina il
caso in cui un determinato soggetto decida di agire (o di non agire) pur avendo previsto
la possibilità che un determinato evento si verifichi in conseguenza della sua azione o
omissione. In tal caso, al verificarsi dell’evento, le pene per il soggetto che, pur
prevedendo il rischio non si è attivato, sperando che non capitasse nulla vengono
aggravate sino ad 1/3.

I reati che possono configurarsi in capo al RSPP sono pertanto quelli che derivano dal
verificarsi di un infortunio sul lavoro e precisamente :

Art. 589 C.P.: Omicidio colposo.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei
mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della
reclusione da due a sette anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con
violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1. soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186 comma 2 lettera c),
del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni;
2. soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di
una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle
violazioni commesse aumentata sino al triplo, ma la pena non può superare gli anni
quindici.

Art. 590 C.P.: Lesioni personali colpose.

Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione
fino a tre mesi o con la multa fino ad € 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da €
123 ad € 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da
€ 309 a € 1239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da 3 mesi a un anno o della
multa da € 500 a € 2000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno
a tre anni. Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è
commesso in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186 comma 2 lettera c), del
decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, e successive modificazioni, ovvero da
soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi
è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della
reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la
più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena non può
superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo i casi previsti nel primo e
secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano
determinato una malattia professionale.
Con riferimento al “grado” delle lesioni si considerano:

 gravi: sono tali le lesioni che comportano una malattia che mette in pericolo
la vita, o una malattia o una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni
per un tempo superiore ai quaranta giorni. Sono altresì gravi le lesioni che
determinano l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.
 gravissime: sono tali le lesioni che comportano una malattia certamente o
probabilmente insanabile o la perdita di un senso, o la perdita di un arto, o
una mutilazione che renda l’arto inservibile o la perdita dell’uso di un organo
o della capacità di procreare, ovvero la permanente grave difficoltà della
favella; o ancora la deformazione o sfregio permanente del viso.

C. Altre ipotesi di reato.

Omicidio e lesioni colpose sono ovviamente i reati che, nella maggior parte dei casi,
possono essere configurati in capo al RSPP. Tuttavia è bene ricordare che non sono i
soli, per quanto nella maggior parte dei casi siano i più gravi.

E’ infatti opportuno ricordare che il RSPP molto spesso opera quale consulenti di
attività che di per sé possono considerarsi in un certo modo “pericolose”: si pensi alle
aziende della distribuzione di gas o carburanti, alle aziende chimiche che trattano
sostanze infiammabili, esplosive o tossiche; alle acciaierie, alle centrali
termoelettriche, ai porti. Ma, per restare più a contatto con la realtà quotidiana, le stesse
imprese edili, le imprese addette al movimento terra e le imprese di trasporti si trovano
spesso di fronte a situazioni in cui, in difetto di adozione di opportune precauzioni,
possono generarsi seri rischi per la salute o l’incolumità dei lavoratori o dei terzi. I casi
sono purtroppo frequenti: lo scoppio di un incendio che non si riesce a controllare, il
franamento di un fronte di scavo, lo sversamento accidentale di sostanze tossiche ecc.

Tutte queste ipotesi determinano in genere delle responsabilità penali che – di norma –
restano confinate alla figura del datore di lavoro o, in qualche caso, del direttore dei
lavori, del progettista o del collaudatore.

Vi sono casi in cui, tuttavia, queste responsabilità si estendono anche al RSPP.

Si pensi ad esempio ad un incendio che si sviluppa in una fabbrica in cui il RSPP non
ha adeguatamente valutato il rischio “incendio” nelle fasi di produzione e/o non ha
adottato adeguate contromisure per prevenirlo. In tale caso è evidente che, se vi sono
morti o feriti, il RSPP risponderà per omicidio o lesioni colpose: ma, oltre a questi
reati, potrebbe vedersi imputato anche per reati (colposi) contro la pubblica incolumità
(art. 449 c.p.) quali incendio colposo (art. 423-449 c.p.) o, a seconda dei casi, frana,
inondazione, valanga, disastro ferroviario o altro disastro colposo.

Un caso emblematico in questo senso è costituito dalla sentenza della Corte d’Assise
di Torino Sez. II del 14.11.2011 (il famoso caso dell’incendio alla ThyessenKrupp di
Torino) in cui il RSPP è stato condannato in primo grado alla pena di 13 anni e 6 mesi
di reclusione per omicidio colposo plurimo aggravato, nonché per incendio colposo,
poiché con il suo comportamento negligente aveva colposamente accettato il rischio
che si verificasse un incendio nella famigerata “Linea 5” mettendo così in pericolo un
numero indeterminato di persone.

La stessa sentenza si segnala anche per la condanna del RSPP per violazione dell’art.
437 c.p. perché il RSPP, in concorso con altri soggetti (la proprietà, il dirigente suo
superiore, i vertici aziendali di Torino e di Terni ecc.) avrebbe omesso dolosamente di
dotare l’area di ingresso della Linea 5 di un sistema di spegnimento incendi automatico.
Nella motivazione della sentenza in realtà non si comprende bene se la condanna del
RSPP derivi dal fatto che rivestiva tale qualifica o piuttosto dal fatto che lo stesso
soggetto indicato come RSPP era anche “dirigente di fatto” in quanto responsabile
dell’area Ecologia Ambiente e Sicurezza (sembrerebbe invero più per questa ultima
ragione…).

Una tale interpretazione pare invero un po’ troppo “forzata”: ritenere una responsabilità
per dolo di un soggetto che ha unicamente una funzione di consulenza e assistenza del
datore di lavoro presuppone infatti che il RSPP preveda un rischio, sia cosciente
dell’elevata probabilità che si verifichi un evento e, nonostante ciò, serbi il silenzio,
omettendo volontariamente di indicare quelle azioni correttive o quegli interventi
necessari se non ad eliminarlo, almeno a ridurlo. L’ipotesi pare più teorica che pratica.

Diverso è invece il discorso sulla versione “colposa” dello stesso reato, prevista
dall’art. 451 c.p.: in questo caso ben potrebbe ipotizzarsi che un RSPP poco scrupoloso
sia chiamato a rispondere per la propria negligenza o per la propria imperizia
nell’individuare situazioni di pericolo in azienda. Il reato, sia chiaro, incombe in primis
sul datore di lavoro o sui soggetti a cui egli delega, nei casi previsti dalla legge, le
proprie responsabilità, ma nondimeno potrebbe essere contestato anche ad un RSPP
particolarmente negligente, atteso che i soggetto attivo del reato può essere “chiunque”.

In conclusione.

La Giurisprudenza più recente ha affermato la responsabilità del RSPP per omicidio o


per lesioni colpose seguendo il seguente ragionamento:

1. RSPP ha il compito di individuare in azienda i potenziali pericoli per la salute e


per l’incolumità dei lavoratori, di suggerire azioni volte all’eliminazione dei
medesimi e di formare ed informare i lavoratori alla prevenzione;
2. è un “professionista”, ha svolto corsi specifici, ed è pertanto tenuto a “sapere”
individuare i rischi, valutarli e prevenirli;
3. laddove il RSPP non svolga adeguatamente il proprio ruolo di consulente ed
ometta di prendere in considerazione taluni rischi, di eliminarli o di informare il
lavoratori sulle modalità di prevenire incidenti e si verifichi un infortunio che
può essere considerato “tipico” in relazione al rischio che si è omesso di
considerare, lo stesso risponde penalmente, in concorso con il datore di lavoro o
autonomamente, dell’evento occorso (lesione, morte, pericolo per la pubblica
incolumità ecc.)

Un RSPP che omette un’adeguata analisi dei rischi, omette di adottare opportune azioni
correttive nei confronti dei rischi individuati, ossia, in definitiva, omette di impedire
che il lavoro sia svolto in luoghi inidonei dal punto di vista delle norme sulla sicurezza,
risponde sempre penalmente dei reati che si verifichino a causa delle sue
mancanze o che, in ogni caso, trovino una con-causa nelle sue mancanze.

Il RSPP andrà invece esente da responsabilità qualora riesca a dimostrare:

1. che ha diligentemente svolto i compiti a cui è chiamato, mettendo in concreto il


datore di lavoro in condizione di individuare i rischi e adottare idonee misure
correttive per eliminarli (in tal caso, se il datore di lavoro non segue le direttive
del RSPP risponderà lui solo della mancata attuazione delle misure indicate);
2. che l’evento si è verificato, nonostante il corretto assolvimento dei suoi obblighi,
ovvero per ragioni estranee ed indipendenti dalla valutazione dei rischi da lui
condotta o dalle misure da lui adottate (mancata esecuzione delle misure
suggerite da parte del datore di lavoro, fatto abnorme del lavoratore, caso fortuito
ecc.).

La responsabilità civile del RSPP.

La responsabilità penale non esaurisce l’ambito delle responsabilità del RSPP il quale,
con l’assunzione dell’incarico, assume anche degli obblighi nei confronti del datore di
lavoro, specie se si tratta di RSPP esterno all’azienda o comunque di RSPP interno che,
per tale ruolo, riceve una specifica retribuzione.

Se dunque dalla sua consulenza derivano danni a qualcuno, il RSPP li deve risarcire.

La responsabilità civile del RSPP può dunque classificarsi in due grandi famiglie: la
responsabilità extracontrattuale (o “da fatto illecito” o “aquiliana”) e la responsabilità
contrattuale.

Responsabilità extracontrattuale.

La responsabilità extracontrattuale del RSPP trova fondamento in una delle norme più
importanti dell’intero ordinamento giuridico che è contenuta nell’art. 2043 del Codice
Civile: “Qualunque fatto, doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Nella sua semplicità questa disposizione è il cardine su cui si fonda la parte


preponderante della responsabilità civile del RSPP: qualunque fatto “doloso o colposo”
significa infatti qualsiasi azione, sia essa cosciente e volontaria, oppure semplicemente,
non voluta, ma posta in essere per negligenza, imprudenza o imperizia, se cagiona un
danno a qualcuno, obbliga al risarcimento.

Una consulenza errata, superficiale, negligente; la mancata adozione di misure


preventive di un rischio, la mancata informazione ai lavoratori ecc. sono tutte azioni
che, laddove diventino causa o concausa di un danno, obbligano il RSPP a risarcire di
tasca propria i soggetti lesi.

Va da sé che, anche in questo caso, le ipotesi più tipiche di responsabilità sorgono in


occasione di infortunii sul lavoro e vanno di pari passo con la responsabilità penale.

Ma la responsabilità civile ha un’estensione che travalica i limiti della responsabilità


penale e che può affermarsi anche quando, in ipotesi, il soggetto non sia più penalmente
perseguibile (magari per prescrizione del reato): l’obbligo di risarcire il danno infatti,
sopravvive anche alla prescrizione penale, se è stato adeguatamente azionato.

Si tratta insomma di una responsabilità che si rivolge a 360° a tutti i soggetti che, a
causa della negligenza del RSPP possano lamentare dei danni, sia di natura
patrimoniale (perdite nel patrimonio, mancato guadagno ecc.) sia di natura non
partrimoniale (danni qualificati come morali, alla salute, biologici, esistenziali, alla vita
di relazione ecc.)

Non si limita infatti al risarcimento del danno direttamente subito dal soggetto
infortunato, ma può estendersi anche (senza pretesa di esaustività):

 al danno subito dagli enti previdenziali o assistenziali che – in ipotesi –


potrebbero rivalersi nei confronti del datore di lavoro e, eventualmente, anche
del RSPP negligente, per le somme pagate al lavoratore nell’ambito delle
coperture assicurative obbligatorie per legge;
 al danno patito dai congiunti del lavoratore infortunato iure proprio (danni
patrimoniali e non patrimoniali subiti per accudire il congiunto) o iure
hereditario (danni patrimoniali e non subiti dal lavoratore che poi, sempre a
causa dell’evento occorso, muore);
 danni alla salute pubblica o danni morali lamentati da enti locali, sindacati,
associazioni di categoria in relazione a infortuni sul lavoro che determinino
anche gravi lesioni dei diritti costituzionalmente garantiti

In questi casi il risarcimento è esteso a tutte le conseguenze legate i modo immediato


e diretto all’evento, chiunque ne sia il titolare, purché questi dimostri (con prova a suo
carico) che sussiste un danno e un nesso di causalità fra il danno e il comportamento
del RSPP.

Responsabilità contrattuale.
L’affidamento da parte del datore di lavoro e l’accettazione da parte di un soggetto,
dell’incarico di RSPP, si configura in genere come un contratto a prestazioni
corrispettive in cui il nominato RSPP assume l’obbligo di svolgere i compiti propri a
tale figura, a fronte di un compenso da parte del datore di lavoro.

Si tratta, evidentemente, di un contratto d’opera professionale, tanto più perché il


RSPP, benché non iscritto in uno specifico albo, esercita essenzialmente un’attività
lavorativa di carattere intellettuale consistente nella prestazione di consulenza, nella
progettazione di misure di contrasto ai rischi lavoro correlati ecc.

Il RSPP, in quanto soggetto qualificato in virtù dei corsi che ha frequentato e della
formazione che ha ricevuto, è tenuto pertanto ad assolvere alle obbligazioni contrattuali
legate al suo ruolo con la diligenza del buon professionista.

Ne consegue che, laddove il RSPP non svolga con la dovuta diligenza l’incarico che
gli viene affidato, il datore di lavoro che subisca un danno può contestare
l’inadempimento contrattuale e, eventualmente, protestare i danni che abbia subito.

Si pensi, ad esempio al caso di un datore di lavoro, non sufficientemente informato ed


assistito dal proprio RSPP, che subisce una condanna ai sensi dell’art. 451 c.p. o che
subisce una condanna per un reato contravvenzionale (proprio) o una sanzione
amministrativa: se è infatti vero che la nomina del RSPP non esonera (quasi mai) da
responsabilità il datore di lavoro, è altrettanto vero che se il datore di lavoro subisce
delle perdite patrimoniali in relazione ad una consulenza erronea del RSPP (o di una
consulenza omessa…) potrebbe rivolgere le proprie richieste risarcitorie nei confronti
di quest’ultimo.

In caso di responsabilità contrattuale opera solo fra i soggetti che sono parti del
contratto (datore e RSPP) e il risarcimento trova una limitazione a quei danni
essenzialmente patrimoniali che sono conseguenza prevedibile dell’inadempimento
contrattuale, con la tendenziale esclusione di danni di natura non patrimoniale.

In questo caso, il datore di lavoro che avesse subito un danno avrebbe unicamente
l’onere di dimostrare che si è verificato un danno e che lo stesso deriva da una difettosa
consulenza del RSPP: incomberebbe invece su quest’ultimo dimostrare di aver
adeguatamente prestato la propria attività di consulenza, ossia di aver correttamente
adempiuto agli obblighi imposti dalla legge al suo ruolo.

Resta inteso, infine, che i due tipi di responsabilità potrebbero anche coesistere fra loro.

Alcuni casi pratici

Al di là degli aspetti teorici sopra illustrati pare opportuno focalizzare l’attenzione su


alcuni casi tratti dalle cronache giudiziarie per meglio comprendere i temi della
responsabilità del RSPP, la relazione fra questo tipo di responsabilità e quella del datore
di lavoro, e i possibili sviluppi futuri della responsabilità penale in materia di lavoro.

A. Cassazione Penale Sezione IV 11.03.2013 n. 11492.

il caso: vengono tratti a giudizio il RSPP e il direttore del servizio manutenzioni di una
ASL della Regione Sardegna, in relazione alle lesioni subite da un paziente ricoverato
in una struttura ospedaliera e sottoposto a terapia mediante un apparecchio
elettromedicale che, a causa di una sovratensione dell’impianto, aveva subito una
scossa elettrica che lo aveva fatto cadere dal letto, perdendo i sensi e riportando lesioni
(ferite lacero contuse dovute alla caduta). Il RSPP aveva segnalato che l’impianto
elettrico non era a norma, ma, pur se a conoscenza delle problematiche di
sovratensione, non aveva suggerito azioni correttive immediate (sarebbe bastato che
gli apparecchi elettromedicali fossero collegati ad un banale gruppo di continuità),
atteso che l’ASL era in attesa, da tempo, di un finanziamento per la messa a norma di
tutto l’impianto.

è interessante perché: affronta il tema della responsabilità del RSPP e del contenuto
della prestazione di “consulenza” che lo stesso è tenuto a fornire; affronta il tema dei
“soggetti” che possono essere offesi dal reato di lesioni imputato all’RSPP (solo i
“lavoratori” o anche i “terzi”?); affronta il tema della responsabilità del RSPP in
relazione alla responsabilità del datore di lavoro.

cosa ha stabilito la Corte:

1. sul fondamento della responsabilità del RSPP: “i giudici di merito hanno


affermato, in conformità agli esiti delle relazioni tecniche in atti, che la
responsabilità dell’imputato risiede nella negligente sottovalutazione dei rischi,
collegati dalla presenza nei locali di un impianto elettrico non a norma che
provocava situazioni repentine di sovratensione, con conseguente
malfunzionamento degli apparecchi medicali ed un aumento rapido della
corrente erogata dagli elettrodi, idonee a generare nel paziente una sensazione
dolorosa e delle contrazioni più forti che potevano generare panico (e
giustificare così la contestuale caduta della parte offesa e le relative lesioni, sia
pure di carattere lieve) e nella imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare
la situazione di pericolo.” In questo caso il RSPP: “avrebbe dovuto
diligentemente ravvisare e segnalare il problema al responsabile AUSL,
affinché questi procedesse in tempi ordinari, senza attendere l’erogazione
dell’ingente finanziamento occorrente per la totalità dei lavori necessari
nell’edificio. Come evidenziato nelle conclusioni di uno dei consulenti tecnici,
riportate nella sentenza impugnata, sarebbe stato sufficiente attuare il
collegamento delle apparecchiature potenzialmente pericolose a dei gruppi di
continuità e stabilizzatori di tensione, in modo tale da non consentire variazioni
rapide delle tensioni in linea. Da questa premesse in fatto, non sindacabili in
questa sede, la sentenza fa discendere la responsabilità del G., che, nella qualità
di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, era tenuto non solo a
segnalare l’effettività del rischio ma anche a proporre concreti ed idonei sistemi
di prevenzione e protezione per evitare gli eventi, come quello verificatosi”
2. sul rapporto fra il RSPP e il datore di lavoro: “si rileva che la sentenza non
pone in discussione il principio che il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione (RSPP) non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto
all’osservanza della normativa antinfortunistica e che lo stesso opera, piuttosto,
quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane
direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare
le situazioni di rischio. In effetti, la “designazione” del RSPP, che il datore di
lavoro era tenuto a fare a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8
individuandolo ai sensi dell’art. 8 bis del citato decreto tra persone i cui
requisiti siano “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e
relativi alle attività lavorative”, v. ora D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 31 e 32 non
equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro
da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli
consentirebbe di “trasferire” ad altri – il delegato – la posizione di garanzia
che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di
garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato
dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi
all’espletamento dell’attività lavorativa. Dalla ricostruzione dei compiti del
RSPP discende, coerentemente, che il medesimo è privo di capacità
immediatamente operative sulla struttura aziendale, spettandogli solo di
prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei
fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di
sicurezza nonché di Informazione e formazione dei lavoratori (cfr. art. 33 del
Decreto cit.). Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di
garanzia nella subiecta materia, poiché l’obbligo di effettuare la valutazione dei
rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e
protezione, appunto in collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui,
tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a
carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di
avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento.
Quanto detto, però, non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di
lavoro che rimane persistentemente titolare della “posizione di garanzia”,
possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP. Anche
il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa e quindi non può
direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere
ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo
sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe
avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla
segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro,
delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (v. in tal senso
Sez. 4, 21 dicembre 2010, Di Mascio, rv. 249626, ed i riferimenti in essa
contenuti).
3. sui soggetti nei cui confronti opera la responsabilità del RSPP: “in tema di
prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate
soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono
dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro,
indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare
dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite
dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o
di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con
violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui all’art.
589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonché la perseguibilità d’ufficio
delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., è necessario e sufficiente
che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale
ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme
secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e cioè sempre che la presenza di
soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel
momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed
eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la
condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente
verificatosi, tutte condizioni sussistenti nel caso in esame ( v. da ultimo in tal
senso Sez. 4, 17 aprile 2012, De Lucchi, rv. 253322)

B. Cassazione Penale, sezione IV, 26.06.2012 n. 37334.

Il caso: su un cantiere edile di proprietà di Impregilo S.p.a., dato in subappalto alla


Edimo Metalli S.p.a. un operaio, per eseguire la pitturazione di alcune travi in ferro, al
fine di trasportare il trabattello, spostava una pesante lamiera che era stata posta a
copertura di una buca e quindi vi finiva dentro, riportando lesioni personali che
determinavano una invalidità permanente. Venivano dunque tratti a giudizio sia il capo
cantiere della Impregilo S.p.a., sia il capocantiere della Edimo Metalli S.p.a., sia
l’RSPP della stessa Impregilo S.p.a. All’esito del giudizio di appello i due capicantiere
verranno assolti e solo il RSPP verrà condannato.

è interessante perché: affronta il tema della relazione fra consulenza e responsabilità


del RSPP; affronta il tema di una responsabilità specifica del RSPP che si configura
anche in assenza di una responsabilità del datore di lavoro.

cosa ha stabilito la Corte: “la mancata previsione del rischio e dei mezzi per
contenerlo è stata individuata come causa incidente sulla mancata adozione di
adeguati presidi oggettivi, di adeguata informazione e in definitiva come causa
efficiente nella determinazione dell’evento reato (in proposito Cass. Pen. Sez. 4A
26/10/2007 n. 39567). E’ pur vero, come rileva la Corte distrettuale, che fu proprio il
M. (cioè l’RSPP – N.d.R.) a sollevare la questione della presenza delle buche e di
adottare idonei accorgimenti per evitare il pericolo di caduta, ma è altrettanto vero
che, una volta effettuata la copertura delle stesse con le lamiere metalliche, non se ne
poteva più non interessare, nè poteva omettere di verificare l’adeguatezza (come
dimostrata dall’infortunio in concreto verificatosi) del rimedio da altri adottato.
Continua la Corte che, a maggior ragione, nel caso di specie, era doveroso per il M.
attivarsi per la mancanza di una segnalazione volta a rappresentare una situazione di
pericolo per i lavoratori. Per quanto riguarda le posizioni del MA. e del P., l’uno
capocantiere della Impregilo s.p.a., committente, e l’altro capocantiere della EDIMO
METALLI, appaltatrice dei lavori di carpenteria metallica, i giudici del merito ne
hanno ritenuto la responsabilità, come contestata, richiamando la giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui alla figura del capocantiere, prevista dall’ordinamento
giuridico a tutela dell’incolumità dei lavoratori, è demandato il ruolo di vegliare
sull’esatta applicazione delle norme previste dai rispettivi ordinamenti interni e di
essere presente alla esecuzione dei lavori, affinchè gli stessi vengano eseguiti in
conformità dell’organizzazione dei lavori stessi e con il rispetto di tutte le norme che
la prevenzione degli infortuni e di quelle suggerite dalla comune prudenza. Motivano
il convincimento di colpevolezza sulla considerazione che, essendo il MA. ed il P. a
conoscenza della situazione di pericolo de qua, proprio in ragione del ruolo di
capocantiere da ciascuno di essi ricoperto, non potevano rimanere inerti di fronte ad
una situazione di pericolo, ma dovevano attivarsi per segnalarla sia agli operai, sia al
responsabile della sicurezza. E’ bene precisare che se la legislazione antinfortunistica
ha voluto estendere alle varie figure presenti sul luogo di lavoro (preposti,
responsabile della sicurezza, coordinatore della sicurezza, etcc) quelli che sono gli
obblighi del datore di lavoro per una maggiore e più puntuale tutela del lavoratore dai
rischi derivanti dall’attività lavorativa cui è adibito, va però affermato che un
personalizzato, equo giudizio d’imputazione può essere fondato solo sulla precisa
delineazione delle numerose posizioni di garanzia individuate dal sistema della
sicurezza del lavoro. Tale opera definitoria costituisce lo strumento per evitare la
proliferazione delle imputazioni, che in qualche caso finisce con l’obliterare non
trascurabili differenze di ruoli e di sfere di responsabilità. Ordunque, il richiamo in
sentenza alla giurisprudenza di questa Corte (Sezione 4A sentenza n. 15557
dell’1.10.1990, De Niro, Rv. 185854), ancorchè afferente al caso di specie, appare
alquanto generalizzato non tenendosi conto di alcune considerazioni riferibili al caso
concreto e che cioè il capocantiere è pur sempre un esecutore di ordini, ed anche se
su di lui incombe l’obbligo di segnalazione di una situazione di pericolo, una volta
espletato tale compito non può certo sindacare la scelta antinfortunistica di colui che
ha precipua competenza in materia, quale il preposto al servizio di prevenzione e
sicurezza. Nel caso di specie è provato che sia il MA. che il P. erano a conoscenza che
la scelta del sistema di copertura delle buche era stato attuato su indicazione del
responsabile della sicurezza, M., non si poteva certo chiedere agli stessi un loro parere
sulla adeguatezza di esso; in sostanza non era esigibile da parte dei due imputati una
condotta che andasse al di là di quelli che erano i compiti ad essi demandati. Si trattava
di opinare da parte loro se la copertura, con lamiere pesanti metalliche, rispondeva
alle caratteristiche richieste dalla legge (D.P.R. n. 346 del 1955, art. 10);
diversamente, se la copertura fosse stata palesemente inidonea o apposta malamente,
in quel caso, in ragione dell’obbligo di sorveglianza cui si è fatto riferimento sulla
esecuzione dei lavori conformi all’organizzazione dei lavori stessi e con il rispetto di
tutte le norme per la prevenzione degli infortuni e di quelle suggerite dalla comune
esperienza, sarebbero dovuti intervenire per segnalare la nuova situazione di pericolo
o provvedervi essi stessi mediante l’adozione di presidi urgenti (ad es. recinzione
dell’area).

Avv. Alberto Michelis

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