Sei sulla pagina 1di 3

URL :http://www.ravennaedintorni.

it/
ravennaedintorni.it
PAESE :Italia
TYPE :Web Grand Public

21 settembre 2019 - 12:58 > Versione online

L’esperto: «Social e smartphone, siamo a un


punto di non ritorno»

Parla il sociologo Giovanni Boccia Artieri, tra gli studiosi che


hanno dato vita al “Manifesto per una comunicazione non ostile”:
«Dobbiamo augurarci piu consapevolezza»

L’educazione alla rete è il primo passo. Capire, cioè, che i comportamenti sul web si possono
ripercuotere nella vita di tutti i giorni. Il secondo è la comprensione dello strumento: i social non
sono fatti solo per comunicare ma soprattutto per costruire comunità.

Tutti i diritti riservati


URL :http://www.ravennaedintorni.it/
ravennaedintorni.it
PAESE :Italia
TYPE :Web Grand Public

21 settembre 2019 - 12:58 > Versione online

Sono i due “fondamentali” che emergono dall’analisi di Giovanni Boccia Artieri – bolognese di
nascita e ravennate d’adozione, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi
all’UniversitàdiUrbino – uno dei maggiori esperti in Italia e tra gli studiosi che hanno lanciato il
“Manifesto per la comunicazione non ostile”, una carta che elenca dieci princìpi utili a migliorare
il comportamento di chi sta in rete.
Professore, come si deve comportare un Comune o un ente pubblico che riceve insulti sui social
network?
«Di solito il fenomeno non si concentra sulle pagine istituzionali ma su quelle personali.
L’attacco arriva laddove c’è un riconoscimento del singolo politico».
In questo caso cosa dovrebbe fare un sindaco o un amministratore? Meglio il dialogo o le vie
legali?
«Si può dialogare soltanto se dall’altra parte c’è la stessa volontà. Altrimenti l’amministratore
sulla sua pagina personale ha tutto il diritto di chiudere o cancellare i commenti e nei casi più
gravi denunciare. Non bisogna subire passivamente».
Ci sono modi di prevenire questi comportamenti?
«Una policy di regole per i commentatori aiuta. Chi pubblica sui social network deve capire che è
responsabile di quanto scrive: noi siamo gli stessi sia fuori sia dentro la rete e così come una
persona non va in giro ad insultare la gente, allo stesso modo si deve comportare on line».
Sembrerebbe un concetto intuitivo, come mai non viene recepito?
«Perche molte persone trattano i social network non come uno strumento bidirezionale ma come
se guardassero un talk show televisivo insultando i personaggi in tv, senza rendersi conto che in
quel caso le parole restano confinate nel salotto mentre sul web potenzialmente vengono lette da
tutti e restano lì».
A monte c’è un problema educativo?
«Certo. Tra le attivita che svolgo infatti c’è un progetto nelle scuole medie ravennati che tocca
proprio questi temi. Finora i laboratori più diffusi sono quelli che servono a preservare i minori da
reati informatici di malintenzionati mentre la mia attività serve soprattutto far capire loro quale
linguaggio utilizzare nelle piattaforme e in che modo salvaguardare i propri diritti».
L’impressione è che i giovani siano più “educati” degli adulti all’uso dei social. È vera?
«È una generalizzazione e in quanto tale lascia il tempo che trova. Tuttavia è vero che i giovani
hanno mediamente capito prima che esiste una reputazione on line non distinta da quella della
vita di tutti i giorni. Non è un caso che il social da loro più utilizzato – Instagram – sia spesso
impostato come profilo privato (cioè non visibile da tutti, ndr). Poi, magari, hanno una rete molto
allargata ma l’impostazione di base è quella di una maggiore riservatezza».
E gli adulti?
«Hanno avuto meno tempo di socializzarsi e hanno importato nella rete i vecchi schemi. C’è
inoltre una questione di tematiche: ad esempio nella politica si creano meccanismi tipici della
tifoseria. Qualcuno poi quando scrive un post nella propria pagina Facebook, lo fa come se
parlasse ad un pubblico televisivo».
In che modo lo Stato, a partire dagli enti locali, può migliorare la situazione?
«Incoraggiando i cittadini ad utilizzare i social per ciò per cui sono nati: come strumento di
partecipazione e di costruzione di una comunità. Fanno rumore solo gli esempi negativi ma ci
sono innumerevoli casi di buone pratiche. Restando nella nostra regione: la polizia locale di
Riccione ad esempio ha un corpo di agenti operativi formati per utilizzare i social network come
strumento di infor- mazione. A Bologna via Fondazza è diventata la prima social street. Nelle
Marche dopo il terremoto i vari gruppi cittadini su Facebook sono diventati importanti punti di
riferimento».
Qual e il mezzo più adatto a questi scopi?
«I più diffusi e utilizzati sono due strumenti: il primo è un social network ed è Facebook, ancora
dominante e conosciuto da tutti. L’altro non è un social ma un’applicazione di messaggistica
istan- tanea: Whatsapp. Qui si entra in gruppi piu ristretti rispetto a Facebook e soltanto su

Tutti i diritti riservati


URL :http://www.ravennaedintorni.it/
ravennaedintorni.it
PAESE :Italia
TYPE :Web Grand Public

21 settembre 2019 - 12:58 > Versione online

invito».
Su Whatsapp sono nate anche le “chat di vicinato” che hanno come scopo primario la sicurezza
del proprio quartiere. Che pensa a riguardo?
«Da studiare sono molto interessanti. Il loro problema è il rischio di disintermediare rispetto al
tema di cui si occupano. I cittadini rischiano di pensare di poter fare da soli anziche appoggiarsi
alle istituzioni, entrando con loro in una logica di autogestione più che di collaborazione. Vale per
le chat di vicinato ma può essere un ragionamento applicabile anche a quelle scolastiche. Fanno
quindi bene le istituzioni a preservare il valore pubblico di tali iniziative confrontandosi con i
cittadini che le lanciano e responsabilizzandoli».
Lei forma giovani che lavorano nel settore dei social media. Nel privato queste figure sembrano
aver trovato una collocazione, nel pubblico c’è richiesta?
«Comincia ad essercene anche se rispetto al privato si è un po’ più indietro. A volte i profili social
dell’amministrazione vengono affidati a chi si pensa abbia il lavoro piu affine, come l’addetto
stampa, anche se si tratta di mestieri diversi. Anche qui alcuni enti sono particolarmente sensibili:
il Comune di Santarcangelo ad esempio è molto attento a queste figure».
Qual e l’aspetto più delicato dell’uso pubblico dei social?
«C’è un tema che prima o poi dovremo porci: tendiamo a dimenticare che le piattaforme sono
societa private. Quando si apre la pagina di un ente bisognerebbe invece tenere presente che si va
a fare un’attività istituzionale sullo strumento di un soggetto che domattina può fare quello che
vuole, non ha nessuna responsabilità pubblica e che non sempre è tenuto a rispettare le stesse
regole di altri media. Si pensi ad esempio alla par condicio, Fb non ha obblighi in questo senso».
Ci sono rimedi?
«Si discute dell’ipotesi di una frammentazione della rete. Le piattaforme digitali dovrebbero avere
sedi in diverse zone del mondo sui quali gli Stati possano far valere le proprie leggi. Si può ad
esempio prevedere che l’uso dei dati – o altre tematiche sensibili – venga regolamentato secondo
le norme dei singoli Paesi. Gli strumenti tecnici ci sono, serve la volontà politica».
Un’ultima domanda: si tornera indietro rispetto all’uso che si fa oggi dei social media?
«Ormai siamo ad un punto di non ritorno: i social media e gli smartphone fanno parte della nostra
vita quotidiana. Non so però come potranno essere in futuro: forse si trasformeranno, magari ci
assuefaremo e ne faremo un uso meno smodato. L’augurio da farci e però soprattutto quello di un
uso piu consapevole».

Tutti i diritti riservati

Potrebbero piacerti anche