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LEZIONE 5

La teoria “generativa” di Lerdahl e Jackendoff

Il libro di cui parliamo è la Teoria Generativa della Musica Tonale pubblicato da Lerdahl e
Jackendoff nel 1983 presso la casa editrice del Massachusset Institute of Technology. Il libro è da
molti molti decenni al centro dell’attenzione negli studi psicologici e analitici internazionali: nel
2010 la rivista “Musicae Scientiae” ha dedicato un volume intero alla celebrazione del 25°
anniversario della teoria. Oggi sono passati ormai più di trent’anni e la sua presenza è ancora un
punto di riferimento. Purtroppo non ne esiste una traduzione italiana. Dunque vale la pena di
parlarne in questa sede, anche perché a tanti anni di distanza è possibile oggi considerarlo con il
necessario distacco critico. Il titolo inglese è Generative Theory of Tonal Music, ma la teoria è
internazionalmente nota con l’acronimo GTTM, del quale tuttavia non faremo uso in questa sede.
Prima di illustrare i contenuti del volume è necessaria una premessa che ne spieghi le motivazioni,
le origini e i campi di interesse, anche perché il presente corso ha per oggetto le teorie percettive e
cognitive in campo musicale e il volume di Lerdahl e Jackendoff non appartiene, in senso stretto, a
queste teorie: fra l’altro Lerdahl è musicista e musicologo, Jackendoff è un linguista e nessuno dei
due è psicologo di formazione. Entrambi, certamente, hanno profondi interessi per le scienze
cognitive e le conoscono bene, ma le origini del libro derivano anche, e forse soprattutto, dalla
teoria linguistica. Dunque qualche precisazione iniziale è necessaria.
Diciamo anzitutto che il problema di fondo che si pongono i due autori è il seguente: quando si
ascolta un pezzo di musica, l’orecchio sente una serie di suoni uno dopo l’altro. A ben vedere, la
sua risposta sensoriale non arriva alla musica e infatti, se non siamo esperti di quella musica, non
riusciamo a sentire che dei suoni, e non riusciamo a capire perché siano stati messi insieme a quel
modo. In sostanza l’orecchio sente, e la mente capisce. Si tratta di due operazioni molto diverse. È
possibile spiegare questo fenomeno se si pensa al linguaggio verbale. E infatti Lerdahl e Jackendoff
si ispirano alle teorie linguistiche, e in particolare a quelle di Noam Chomsky. In altre parole la loro
ricerca offre un ulteriore, e ben più sistematico, apporto al paragone fra le strutture del linguaggio
verbale e quelle del linguaggio musicale. Questo paragone è stato più volte evocato nel corso delle
quattro lezioni precedenti. In questa quinta lezione viene più ampiamente sviluppato, anche se la
teoria dei due studiosi americani non tocca molti altri problemi che abbiamo sviluppato nelle altre
lezioni, se non altro perché le sue basi non sono di natura psicologica, ma fondamentalmente
linguistica (Jackendoff è un linguista). Al di là di questi limiti, il grande pregio di questa teoria è la
sua capacità di adattare le teorie linguistiche in modo non automatico, ma con straordinaria
consapevolezza delle differenti funzioni che ha la musica rispetto alle funzioni della lingua.
Chomsky ha pubblicato Syntactic Structures nel 1957. L’autore è ancora vivo perché è nato nel
1928, ma quel libro l’ha scritto quando non aveva ancora trent’anni. E si è trattato di un libro che ha
rivoluzionato non solo la linguistica, ma anche le indagini sul pensiero, e dunque le teorie cognitive.
È stato tradotto in italiano, come molti altri libri successivi di Chomsky, e perciò si può anche
leggerlo più comodamente, quantunque non si tratti di un libro di comoda lettura, ma qui non
possiamo che accennare a qualche sua idea di fondo.
Ogni lingua si manifesta con successioni di suoni della voce. Ogni parlante nel periodo in cui
apprende quella lingua (quando l’apprende sentendola parlare) si costruisce gradualmente anche
una grammatica mentale che gli consente a poco a poco di capirla. Per esempio comincia a
categorizzare i suoni della voce e a trasformarli in fonemi: in sostanza capisce che non si tratta di
suoni qualsiasi infinitamente diversi, ma che si tratta di pochi suoni che si ripetono (in italiano sono
21: le lettere dell’alfabeto). Contemporaneamente comincia a capire che i fonemi si raggruppano in
“morfemi” (parole o desinenze). Poi capisce, o comunque intuisce, che esistono categorie diverse di
parole, per esempio separa i verbi che indicano azioni, dai nomi che indicano oggetti e infine
individua anche l’organizzazione di verbi e nomi ossia comincia a capire le loro funzioni
sintattiche, ossia il fatto che quando uno parla costruisce frasi che hanno un soggetto e un predicato.
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È appunto in questo modo che la mente trasforma una serie di suoni insensati in una lingua
comprensibile. L’ascolto della lingua genera la competenza linguistica, la quale genera la
comprensione. La teoria di Chomsky riesce a descrivere e formalizzare tutti questi meccanismi, cioè
dipana l’intricatissimo congegno della mente parlante con una serie di algoritmi, di formule
logicamente e matematicamente precise, che egli organizza, infine, in forma di alberi sintattici
apparentemente semplici, sul tipo di quello disegnato nella Fig. 1. Si chiamano alberi perché
partono da un nucleo unitario (qui una frase) ma si diramano poi, come i rami di un albero, in
componenti diverse.

FIG. 1
SN= Sintagma nominale (che comprende articolo e nome)
SV= Sintagma verbale, che in questo caso comprende un verbo e un successivo SN
con funzione di “complemento”

La grammatica si chiama “generativa” perché consente a chi parla di generare frasi e a chi ascolta di
generare comprensione di quelle frasi. Naturalmente nell’ipotesi di Chomsky chi parla e chi ascolta
hanno introiettato e possiedono la medesima grammatica. Per questo riescono a capirsi
reciprocamente. C’è anche l’ipotesi che nel cervello umano esistano facoltà innate che permettono
il costituirsi di questi meccanismi grammaticali, altrimenti non si spiegherebbe né che in tutte le
lingue del mondo i meccanismi siano pressoché gli stessi, né che bambini piccolissimi sappiano
spontaneamente applicarli quando imparano a parlare.
Secondo Lerdahl e Jackendoff qualcosa di simile avviene anche in musica. Esiste una competenza
grammaticale della musica che comprende :
– il riconoscimento di singole categorie musicali, come altezze, durate, timbri, ecc. La psicologia
cognitiva ha studiato il problema: chi ascolta sa per esempio, anche in modo inconsapevole,
che il suono che sta ascoltando è una categoria che si chiama “nota”, ha una certa durata,
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una certa altezza, una certa proprietà scalare, fa parte di un accordo, ecc. In psicologia
cognitiva questi processi che vengono chiamati “percezione categorica”. Gli autori tengono
conto di queste attività, ma le danno per note e non ne trattano specificamente;
– l’organizzazione sintattica delle categorie musicali, come ritmi, melodie, armonie, forme… La
teoria dei due autori si riferisce in particolare a questi aspetti sintattici che descrive con
grande precisione
Ascoltando musica si acquisisce gradualmente questa competenza grammaticale. L’ascoltatore, se
proietta sui suoni la propria competenza grammaticale, “capisce” quella musica. Come si impara la
lingua per esposizione al parlato, così si impara anche la musica per esposizione all’ascolto.
Mancano ovviamente nella “grammatica generativa” musicale, le categorie morfemiche: in musica
non esistono “parole” e dunque non esistono neppure soggetti o predicati, ma esistono regole di
connessione fra unità percettive che la teoria dei due autori descrive con molta cura.
C’è infine da aggiungere che la teoria generativa della musica non affronta il problema concreto ed
empirico di come avvenga il passaggio fra l’ascolto e la costruzione della competenza
grammaticale: gli autori descrivono piuttosto le regole sintattiche che vengono applicate nel
momento dell’ascolto. In sostanza la loro teoria non si riferisce alla genesi e allo sviluppo delle
regole sintattiche, ma si riferisce alla loro applicazione. Così il metodo seguito da Lerdahl e
Jackendoff consiste nel prendere in esame una partitura e nel precisare quali regole di ascolto
vengano applicate da chi possiede già una matura competenza di quella musica. In altri termini essi
propongono di fatto una sorta di analisi della partitura che ha come scopo quello di indicare, istante
per istante, quali regole vengono applicate nel momento in cui essa viene ascoltata. La teoria
stabilisce le regole, l’analisi mostra le loro applicazioni. Detto questo possiamo cominciare a
descriverla.

Le Regole di Raggruppamento (Grouping Rules)

La prima delle operazioni sintattiche che si compiono quando si ascolta è quella che gli autori
chiamano “raggruppamento” (grouping). Nel momento in cui ascoltiamo non sentiamo mai note
singole ma le connettiamo fra loro in una successione (o “gruppo” come essi la chiamano).
Ovviamente non le connettiamo a caso, bensì seguendo particolari principi psicologici. Si tratta di
procedimenti che di norma usiamo spontaneamente e del tutto inconsciamente. La teoria li descrive
in modo esplicito sotto forma di “regole d’ascolto” che tutti applichiamo anche senza saperlo.
Lerdahl e Jackendoff, in tutti gli aspetti della loro teoria, dividono sempre tali regole in due
categorie che chiamano di “ Buona Formazione” e di “Preferenza”. Per farne capire la differenza,
riassumo qui quelle che si riferiscono alle operazioni di Raggruppamento.
A) Regole di Buona Formazione (ne proponiamo due esempi):
– i gruppi non si incrociano fra loro: devono restare distinti e separati: hanno confini.
Una delle poche eccezioni è quella che si riferisce a un evento comune finale-iniziale che si
trova a volte ad esempio in Haydn, dove la nota cadenzale di un gruppo precedente è anche
quella che inizia il gruppo successivo. Ma si tratta in questo caso di quei giochi di sorpresa
che Haydn amava fare (e che lo resero famoso). Il suo esempio fu seguito naturalmente
anche da compositori successivi;
– esistono gruppi più ampi che contengono gruppi più piccoli. Questo è un principio ben noto che
non esige spiegazioni e che troveremo applicato in tutti gli esempi della teoria.
Le regole di Buona Formazione (in questo caso ispirate, anche se non tratte direttamente, dalla
teoria della Gestalt) hanno qui due scopi: definire il concetto di gruppo e stabilire le condizioni
formali dei rapporti fra gruppi. Una musica è “ben formata” se queste condizioni sono rispettate. Le
regole di buona formazione non riguardano dunque le operazioni mentali di chi ascolta, ma le
strutture della musica ascoltata. Le regole di ascolto che ora descriveremo funzionano bene solo se
la musica ascoltata ha una “buona formazione”.
B) Regole di Preferenza (alcuni esempi):
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Si chiamano “di preferenza” perché hanno uno statuto particolare che, fra l’altro, è essenzialmente
diverso da quello delle regole linguistiche. Il linguaggio delle parole ha bisogno di regole assolute:
fonemi, morfemi, regole di sintassi devono ridurre le ambiguità. La lingua deve seguire regole non
equivoche per poter funzionare dal punto di vista della corretta comunicazione di concetti.
L’organizzazione musicale non deve comunicare concetti ed è meno rigida: ammette contesti
ambigui, regolati da preferenze di scelta, anzi in qualche modo l’ambiguità è addirittura necessaria
alla musica in quanto tale.
Nei Raggruppamenti le regole di preferenza aiutano a scegliere i più convenienti confini fra due
gruppi. Per esempio, per separare un gruppo dall’altro possono essere presenti alcune efficaci
condizioni:
di “prossimità temporale”: pause o note relativamente lunghe, possono separare due gruppi
adiacenti, mentre la presenza di legature sconsiglia la loro divisione. In sostanza esistono
gruppi contigui, temporalmente vicini, i cui confini possono essere convenientemente scelti
fra più possibilità presenti;
di “mutamento”: diverse condizioni di registro, di dinamica, di velocità, di articolazione,
di timbro, possono suggerire la separazione fra due gruppi adiacenti; i loro confini sono
dettati da mutamenti melodici, armonici o ritmici che differenzino i due gruppi in modo
sufficientemente evidente;
di “simmetria”: sono preferibili confini che producano gruppi di lunghezza uguale o simile, ma
anche, a maggior ragione, gruppi che, al di là della lunghezza, possano essere paragonati
(anche se non necessariamente, differenziati) per i loro contenuti tematici, melodici,
armonici. Il termine di “simmetria” spesso usato dagli autori, indica appunto circostanze di
questo tipo.
La seguente FIG.2 può dare un esempio delle regole di preferenza fra gruppi.

FIG 2. Mozart, Sonata k 331, inizio del Primo Tempo.

Si tratta di due gruppi di 4 battute di cui il secondo è separato dal primo per ragioni di “simmetria”,
data da una ripresa tematica in virtù della quale i due gruppi sono estremamente simili fra loro. Nel
primo dei due ho segnalato anche la suddivisione in gruppi più piccoli separati da regole di
segmentazione abbastanza evidenti: le seconde due battute sono distinte dalle prime due, in virtù di
regole di “mutamento” melodico e armonico e parzialmente ritmico. Nei gruppi di livello
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immediatamente inferiore la segmentazione fra terzo e quarto gruppo è chiaramente preferenziale:


in questo caso si è preferito sottolineare la continuità ritmico-intervallare fra le note della melodia
superiore piuttosto che la durata simmetrica fra la terza e la quarta battuta. Ma è evidente che una
scelta di questo genere potrebbe ragionevolmente essere rifiutata da altri. In sostanza, come si può
vedere dall’esempio, esistono regole preferenziali più forti che la maggioranza degli ascoltatori
sicuramente applica, e regole via via più deboli che alcuni inconsciamente sceglierebbero e altri no :
E quando le regole diventano teoricamente esplicite è possibile addurre ragioni a favore o contro
ogni determinata scelta.

Le Regole Metriche (Metrical Rules)

All’interno di un gruppo (grande o piccolo) le note possono avere maggiore o minore forza metrica.
In italiano parliamo ad esempio di tempi forti o deboli all’interno di una battuta. Più in genere
possiamo dire che esistono gerarchie di forza metrica. È opportuno precisare a questo proposito che
il concetto di forza metrica è ben distinto da quello di forza dinamica. Un tempo forte non è
necessariamente più forte (f) in senso dinamico, ma possiede maggior di forza di attrazione: ha una
forza per così dire “gravitazionale”, nel senso che le note precedenti tendono a raggiungerlo. In ogni
caso la dialettica fra tempi forti e tempi deboli crea correnti di tensione, generalmente di durata
limitata, ma musicalmente significative. I direttori d’orchestra ad esempio li segnalano con i loro
gesti. Anche in questo contesto esistono regole di buona formazione e regole di preferenza. Ne offro
qualche esempio.
A) Regole di Buona Formazione
Le pulsazioni sono stratificate e vengono indicate in livelli (es. sedicesimi, ottavi, quarti ,mezzi)
– ogni pulsazione di un livello x deve essere pulsazione a tutti i livelli ad essa inferiori
Per questa regola di buona formazione vedi la FIG. 3

FIG. 3
In questo caso il livello inferiore è quello dei sedicesimi. Seguono i successivi livelli: degli ottavi,
del quarto col punto, dei 6/8. La pulsazione dei 6/8 si trova anche in tutti gli altri livelli inferiori.
Questa musica è metricamente “ben formata”.

– a livello del tactus (o a livelli superiori) le pulsazioni devono essere costantemente isocrone.
Un buon esempio di questa regola è dato dal frammento della seconda sonata per clarinetto di
Brahms riportato in FIG. 4. In questo caso il tactus (o scansione “principale”) è dato dal quarto.
Nelle battute che precedevano questo esempio il tactus divideva la battuta in 4 parti isocrone e
continua a dividerla in 4 parti isocrone anche quando ogni tactus, anziché essere diviso in 2 sotto-
parti come nelle battute precedenti, è diviso in 3, o 5. Ma ciascuna di esse è isocrona all’interno del
tactus in cui si trova.

FIG. 4
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Ovviamente una musica che cambiasse metro troppo spesso (poniamo il Sacre di Stravinskij) non
sarebbe una musica metricamente “ben formata” secondo le regole dello stile classico che qui
vengono descritte.
B )Regole di Preferenza
Servono a individuare, durante l’ascolto, indizi di orientamento sul tactus e i tempi forti e deboli.
Questo all’ascolto è assolutamente necessario: all’inizio del brano, infatti, un ascoltatore che non lo
conosca, non sa in che metro il brano sia scritto (se in 4/4, in 3/4, in 6/8, ecc.). Per capirlo deve
trovare indizi che lo orientino. Sono appunto le regole metriche di preferenza:
– Attacco: inizialmente si tende a far coincidere il primo tempo forte con l’attacco della prima nota
– Accento: se esistono accenti intensivi si tende a individuarli come tempi forti
– Lunghezza: un tempo forte tende a cadere su note relativamente più lunghe delle altre, oppure
sulla prima di un gruppo di note legate, o sulla prima di un gruppo ritmico che si ripeta
– Cadenza: si tende a collocare la nota finale di una cadenza su un tempo forte
– Ritardo: l’inizio di un ritardo o di una appoggiatura cade su un tempo più forte della sua soluzione
Questi tipi di preferenze vengono poi più o meno confermati, durante l’ascolto, dalle isocronie che
sono presenti in un brano metricamente “ben formato”.

Le regole di Riduzione Temporale (Time Span Reduction)

Fino a questo punto abbiamo elencato le regole d’ascolto che si presumono impiegate da un
ascoltatore competente per quanto riguarda aspetti fondamentalmente legati al ritmo. Ma sono
altrettanto, se non maggiormente, importanti anche le strutture che stabiliscono relazioni fra altezze,
collegando fra loro aspetti tonali, scalari, armonici, o categorie come tonica, dominante, ecc. La
teoria di L&J dà per scontata la definizione percettiva e cognitiva di queste categorie, ben note
intuitivamente ai musicisti e studiate accuratamente dagli psicologi della musica. Ma al di là della
capacità di riconoscere, poniamo, una tonica o una sensibile, o un accordo, che un ascoltatore
competente sempre possiede e applica, intuitivamente anche se non consapevolmente, la teoria
insiste piuttosto sulle regole riguardanti le loro relazioni sintattiche e soprattutto, come vedremo più
dettagliatamente negli esempi, sulle loro forze di attrazione reciproca. Ma mentre per le connessioni
metriche le attrazioni si risolvono soprattutto in tempi ristretti, nel caso dei rapporti tonali le
relazioni d’attrazione si distendono in tempi molto più ampi, che comprendono addirittura l’intera
composizione. Dunque in un contesto di questo tipo la nozione di “gruppo” e di gerarchia fra gruppi
continua a esistere, ma per indicare le relazioni tonali gli autori preferiscono sostituire questo
termine con “segmento temporale” (time span) che rende meglio l’idea del rapporto (che all’ascolto
sentiamo come rapporto temporale) fra un momento e l’altro della composizione. Questi rapporti di
attrazione vengono avvertiti come tensioni psicologiche: gli autori non usano il termine attesa, ma il
significato della parola tensione sembra essere abbastanza analogo a quello. In sostanza questo tipo
di analisi prende in considerazione l’organizzazione delle tensioni e delle loro gerarchie nel corso
del tempo musicale. Anche il termine di “reduction” usato nel titolo del capitolo, ha bisogno di una
chiarificazione. In questo momento possiamo dire semplicemente che, come avviene nelle analisi
schenkeriane, ma con motivazioni e metodi totalmente diversi, anche le regole proposte da Lerdahl
e Jackendoff individuano note più importanti e note secondarie e per mettere in evidenza le
relazioni fra le note principali, eliminano provvisoriamente, con un gesto di “riduzione”, quelle
esistenti fra le note che in quel momento sono meno importanti. Vedremo fra poco come
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funzionano in pratica le “riduzioni dei segmenti temporali”, ma vediamo ora anzitutto in che modo
siano da considerarsi “ben formate” le musiche che i due autori analizzano.
A) Regole di Buona Formazione
Esistono eventi tonali (principali o dominanti) che attraggono altri eventi (subordinati o secondari)
che li precedono o che li seguono. Le regole di buona formazione indicano l’esistenza di possibili
relazioni fra questi eventi, e a tal fine usano grafici ad albero (analoghi, ma non uguali, a quelli di
Chomsky) che hanno la funzione di indicare le relazioni di tensione fra eventi successivi nel tempo.
Perché esista una tensione deve esistere una relazione fra un evento dominante e un evento
dominato, o secondario.
La FIG. 5 indica lo schema generale di un grafico ad albero, che può assumere due configurazioni a
seconda che l’evento secondario segua o preceda quello principale

In entrambe le figure l’evento dominante è indicato dalla linea più lunga e l’evento dominato è
quello del ramo più breve. Quando il ramo sta a destra l’evento dominato segue il dominante (viene
da…) quando il ramo sta a sinistra precede il dominante (tende verso…).
Le principali regole di buona formazione sono le seguenti:
in ogni segmento temporale (che gli autori indicano come T) esiste un evento dominante (che
indicano come “e”), che prende il nome di “testa del segmento”. Ogni segmento ha una testa
(e una sola) indipendentemente dalla sua lunghezza.
se un segmento contiene altri segmenti si crea una gerarchia di teste che viene indicata dai grafici
ad albero, nei quali ogni testa parte da (o arriva a) un’altra testa
una cadenza “nel suo insieme” (comprendente due elementi) può diventare testa di un segmento
il brano intero è il segmento più ampio che contiene tutti gli altri.
B) Regole di preferenza
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Le regole di preferenza hanno lo scopo di suggerire come scegliere la testa di un segmento. Alcune
(locali) si riferiscono alla scelta della testa all’interno del segmento stesso, altre (generali) indicano
come collegare fra loro le teste di più segmenti.
Esempi per regole locali (interne a un segmento)
– per la testa di un segmento si preferisce scegliere una posizione metrica relativamente forte
– si preferisce quella che è costituita da un accordo relativamente più consonante
– si preferisce quella costituita da un accordo tonalmente più vicino alla tonalità della frase
si preferisce un insieme cadenzale, quando esiste
Esempi per regole generali (collegamenti fra più segmenti)
parallelismi: preferire teste uguali in segmenti temporali ritmicamente o melodicamente simili
– stabilità metrica: preferire teste che diano luogo a strutture metriche fra loro simili
– conservazione cadenzale: se la cadenza di un segmento è anche cadenza di un segmento più
ampio che lo contiene, allora è preferibile indicare la cadenza come testa dei 2 segmenti
inizio strutturale: è la testa di un segmento più ampio che contiene altri segmenti. L’inizio
strutturale si collega direttamente alla cadenza finale di tutti i segmenti. Fra le due teste
(iniziale e finale) domina la finale “verso cui” l’iniziale tende
il segmento massimo di un brano è il brano stesso nella sua interezza, che contiene al suo interno
tutti gli altri segmenti.
L’analisi avviene per livelli successivi a partire dalla superficie, che contiene tutte le note del brano
fino al livello profondo che contiene solo la relazione fra inizio strutturale e cadenza finale
La “riduzione” dei segmenti temporali avviene per eliminazione graduale dei livelli più bassi.
In FIG. 6 propongo la possibile analisi di un segmento più ampio (le bb. 1-4 di Mozart) che
contiene due segmenti più piccoli (le bb. 1-2 e 3-4), ognuno dei quali contiene a sua volte due
segmenti ancor più piccoli, cioè le singole battute, e ognuna delle singole battute contiene a sua
volta segmenti di mezza battuta.

L’analisi comincia dal livello “superficiale” cioè dall’esame delle mezze battute.
In ogni mezza battuta ho individuato e cerchiato la testa (per capire la scelta occorre riferirsi alle
possibilità ammesse dalle regole di preferenza). Aggiungo che all’inizio saranno state già eliminate
(ridotte) le note “di fioritura”, ossia Re e Do di bb. 1 e 2, nonché , in b. 4 il Mi (appoggiatura di Re)
e il Do (appoggiatura, cioè 4-6, di Si). Indico qui le altre fasi della riduzione:
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fase 1: la prima riduzione ha lasciato solo le teste (do,mi / si,re / la,si / do, re-si). In b. 4 si trova la
cadenza finale del segmento. Secondo la terza regola di buona formazione una cadenza va indicata
con due elementi: in questo caso si tratta di cadenza sospesa e i due elementi sono sottodominante e
dominante (in altri casi saranno dominante e tonica). Il simbolo grafico della cadenza (due linee
separate che si riuniscono in alto) comprende, come si vede, i due elementi. Dunque l’ultima battuta
nella sua integrità, è stata considerata come un segmento unitario comprendente un elemento
dominato (il Do) e un elemento dominante (la cadenza).
Fase 2: nella seconda fase si deve scegliere la testa di ciascuna delle coppie che è rimasta presente.
A questo punto siamo passati alle regole generali di collegamento fra più segmenti. Il grafico indica
quale delle due note è considerata ramo secondario. Come si vede, il mi (b. 1) è indicato come ramo
secondario di do, il re come ramo di si (b.2) il si come ramo di la (b.3) e il do come ramo della
cadenza (b.4). A questo punto le teste si sono ridotte a: Do, Si, La, cadenza.
Fase 3: qui saranno da scegliere le teste fra le due coppie Do-si e La-cad. Il grafico indica che il si è
considerato ramo dipendente di do e il la è considerato ramo dipendente della cadenza.
Fase 4: eliminate le due teste dipendenti, restano a questo punto solo il do iniziale (inizio
strutturale) e il re-si finale (cadenza strutturale). Fra l’altro abbiamo applicato, come di vede, anche
la regola generale della “conservazione cadenzale”.

Un esempio completo
Applicazione della competenza d’ascolto alle note di un intero brano (Corale “O Haupt voll Blut
und Wunden” dalla Passione secondo S. Matteo di Bach)

FIG 7

Le fasi previste dalle ramificazioni dell’albero sono 6, corrispondenti alle indicazioni dei livelli da a
a f, dove a è il livello superiore che collega l’inizio strutturale alla cadenza finale dell’intero brano e
f è il livello più basso : il più basso è quello comprendente due note di un quarto (le note di ¼ sono
indicate in questo caso dalla prima delle tre scansioni metriche); le lettere del grafico
contraddistinte da un apice’ sono quelle che indicano la presenza di cadenza (dove il grafico utilizza
la tipica ramificazione doppia).
Il procedimento analitico procede per riduzioni e il meccanismo della riduzione è guidato dalla
valutazione del peso tonale dei due membri della coppia. Il grafico indica sempre quale dei due
membri è stato considerato testa della coppia e se il membro secondario “andava verso” o
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“proveniva da” quello principale. Il livello e valuta le coppie sopravvissute alla riduzione f, il
livello d quello delle coppie sopravvissute alla riduzione e, e così via.
Come si vede dal grafico, il terzo livello (livello c) distingue nettamente la prima parte dalla
seconda parte. Indica che la prima “proviene” interamente, dal punto di vista “tensionale”,
dall’inizio strutturale del brano, che in questo caso è costituito dal primo evento (l’ accordo di re)
che ne ha fissato la tonalità, e indica che la seconda parte è interamente orientata a raggiugere
l’evento cadenzale finale in cui la tonalità viene definitivamente riconfermata. Ogni brano di
musica tonale, secondo Lerdahl e Jackendoff, è strutturato secondo questa dinamica tensionale
interna.
Conclusioni
Segnalo tre aspetti della teoria che sono stati discussi nella letteratura musicologica.

1. Il metodo
Il metodo seguito da Lerdahl e Jackendoff non è “sperimentale”, come quello in uso nelle scienze
cognitive, ma è di natura introspettiva, come quello che usa la linguistica. Chomsky non propone
dimostrazioni “empiriche” della sua teoria, ma formula solo ipotesi teoriche giustficate dalla sua
competenza di parlante, comune a quella di tutti gli altri parlanti della sua lingua. Ciò non significa
tuttavia che egli non metta in atto verifiche scientifiche, ma non si tratta di verifiche fornite da
soggetti interrogati che rispondono a questioni poste dal ricercatore (è questo il metodo “empirico”
seguito nelle scienze cognitive). Nel caso della linguistica la verifica della correttezze delle regole
segue un altro percorso: le regole vengono proposte dal ricercatore e producono frasi, le quali sono
giudicate valide solo se la competenza dei parlanti le giudichi grammaticalmente corrette.
Allo stesso modo si comportano Lerdahl e Jackendoff: sono loro stessi i giudici della correttezza dei
risultati ottenuti. Questo procedimento è stato loro rimproverato da alcuni psicologi sperimentalisti,
anche sulla base del fatto che le regole musicali non hanno la natura certa di quelle linguistiche:
sono fondate su sensibilità e preferenze intuitive che dipendono dalla competenza stilistica di chi
ascolta, anche se le intuizioni vengono poi razionalmente giustificate sulla base delle regole
contenute nella teoria. Tutto ciò, però, agli sperimentalisti non basta.

2. La grammatica
Qual è la natura della grammatica, e in particolare di quella musicale? Secondo Chomsky la
grammatica di chi parla è esattamente la stessa di quella chi ascolta. Solo per questa ragione gli
interlocutori si capiscono. Lerdahl e Jackendoff accettano questo postulato.
Noi sappiamo invece che non sempre c’è coerenza fra la grammatica dei compositori e quella che i
compositori si aspettano e vorrebbero venisse confermata. Accade infatti che spesso i compositori
propongono nuove grammatiche che modificano quelle dell’ascolto diffuso: Artusi litigava con
Monteverdi e le grammatiche di Mahler o di Schönberg hanno trovato rifiuti di accettazione.
In sostanza, le grammatiche musicali sono instabili: sono grammatiche dello stile, non di una
ipotetica “lingua”, e gli stili tendono a cambiare rapidamente soprattutto in società ideologicamente
innovative come sono quelle degli ultimi secoli.

3. Il repertorio
Tutti gli esempi utilizzati da Lerdahl e Jackendoff si basano sullo “stile classico” europeo di fine
700, con i suoi antecedenti (p. es. Bach) o conseguenti (p. es. Chopin o Brahms): di fatto si basano
sul grande repertorio concertistico, che in genere chiamano “musica”, tendendo ad assolutizzarlo.
Lerdahl ha scritto un articolo sulla diversità delle grammatiche atonali, ma ne ha anche scritto un
altro che polemizza sulla accettabilità delle grammatiche atonali. Si potrebbe osservare che i
principi di presenza tonale, di metro isocrono e di raggruppamento si trovano in molte culture del
mondo, forse in tutte. Tuttavia non si può dire la stessa cosa di molti altri principi stilistici (o di
regole di buona formazione) della musica europea del XVIII e XIX secolo, che evidentemente non
sono universali.

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