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SOFT MACHINE

Coordinate.
I Soft Machine, sono l esperimento musicale pi riuscito di un momento storico che vedeva la
sperimentazione e l ibridazione dei generi come la regola del far musica.
Siamo in Inghilterra a cavallo tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 quando tutto ebbe inizio; il
beat e il rock and roll che avevano regnato incontrastati per quasi tutti gli anni 60, stavano pian
piano lasciando spazio ad altre esperienze musicali, psichedelia in primis, ma la ricerca di qualcosa
di nuovo condusse anche alla riscoperta del blues, del folk, della musica classica, del jazz, nonch
dell avanguardia. Quel che ne venne fuori alla fine degli anni 60 da questa miscela eterogenea di
stili fu qualcosa di unico nel panorama dei generi di sempre, un concentrato di sperimentazione e
libert che condusse alla nascita del progressive, un genere che volendo possiamo dire senza limiti,
onnivoro, e che, cosa ancora pi importante, mirava prima a risultati artistici che non a quelli
commerciali.
Se volessimo rintracciare le radici di questo atteggiamento, forse potremmo individuare nel
leggendario concept album del 67, Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band dei Beatles il la su
cui poi molti altri gruppi successivi si andarono ad accordare, anche se personalmente ritengo che l
invenzione di un vero proto-progressive sia appannaggio di Frank Zappa col suo Freak out del
66, dove veramente la maniera di lavorare quella del patchwork sonoro di stili diversi insieme
alla sua critica sociale e la sua ironia postmoderna.
Con un sound cosmopolita e strumentale che attingeva a tutti i generi e che al tempo stesso
rinnegava i codici di tutti, la musica progressiva attecch principalmente in Europa e visse per
almeno un decennio all insegna di un evoluzione continua e variegata.
Tuttavia, se si parla dei Soft Machine, bisogna addentrarci in un terreno ancora pi specifico,
occorre innanzitutto citare quella che dalla storiografia del rock stata definita la Scena di
Canterbury; una scuola, o forse meglio una corrente che stata prolungamento ed apice dell
underground inglese in cui predominarono fantasia e diversit.
Canterbury si trova nel Kent ad un centinaio di chilometri da Londra, ed la classica cittadina
provinciale e conservatrice, dove per un gruppetto di giovani musicisti con le loro personalissime
atmosfere diedero vita al movimento pi originale del pop inglese.
Con Canterbury, il rock inglese riusc infatti a trovare respiro scostandosi dal blues e dal folk che
erano stati ingredienti essenziali del beat e della canzonettistica, riuscendo ad agganciare nuovi
territori instabili ma ben pi affascinanti come il jazz e la contemporanea che offrivano
innumerevoli possibilit per coloro che osavano addentrarvi.
Di ispirazione, non ci fu solo Zappa, ma soprattutto la Parigi post-dada piena zeppa di circoli d
intellettuali e stracolma di grosse ensemble di jazz (dove tra l altro alcuni elementi chiave fecero
gavetta), che offr tanto di pi rispetto all Inghilterra, il resto lo fecero le menti geniali e lisergiche
di questi eroi anti-eroi.
Per capire quanto ci fosse di diverso in una rock band come questa, sufficiente riflettere sul fatto
che trovare una formazione stabile del gruppo praticamente impossibile, basti sapere che tra i
tantissimi che hanno gravitato intorno al pianeta Soft Machine c stato, ad esempio, quel David
Allen che poi vedremo diventare leader dei Gong e soprattutto, l elemento principale Robert Wyatt
che come altri membri ebbe anche una carriera da solista degna di nota. In tal senso, il gruppo
sembra essere pi assimilabile alle canoniche formazioni jazz aperte, che non ai gruppi rock.
Comunque secondo i miei calcoli, i Soft Machine, che traggono il loro nome dall omonimo
romanzo di William S. Burroughs, possono contare nella loro formazione ben ventitr elementi,
intendendo con questi, tutti i componenti che entrano ed escono dal gruppo negli anni che vanno dal
1966 al 1979.
Tuttavia, chiarito il particolare concetto di formazione in questa band, l apice, pu essere
considerato raggiunto quando i Soft Machine erano Mike Ratledge alle tastiere, Hugh Hopper al
basso elettrico, Robert Wyatt alla batteria e canto, con l aggiunta del sassofonista Elton Dean; il

gruppo quindi, che arriv ad incidere quello che per molti il capolavoro assoluto della Band, l
album Third, dove per va specificato che vennero chiamati anche dei fiati ospiti: Nick Evans al
trombone, Lyn Dobson al flauto e al soprano e Jimmy Hastings al Flauto e Clarinetto basso.
Ingranaggi per una macchina morbida.
La leggenda di Canterbury e di quella che sar la cosiddetta macchina morbida ha inizio, come
spesso accaduto e come ancora oggi, per fortuna continua ad accadere, in una cantina e
precisamente nello scantinato di casa di Robert Wyatt (classe 1945) originario di Bristol che
trasferitosi nella zona di Canterbury, intorno al 1960, fra una prova e l altra tira su insieme ai
compagni di scuola, Pye Hastings e Richard Coughlan, una piccola band dilettantistica, i Wild
Flowers dove riecheggiano chiaramente e sin da subito influenze jazz e rhythm and blues.
Nel 62 si uniscono alla band i fratelli Brian, Richard Sinclair e Huge Hopper ma soprattutto l
arrivo dell australiano giramondo David Allen (classe 1938) che porta nuova ispirazione all interno
del gruppo. Allen, che arriva fresco da un esperienza parigina dove ha potuto suonare jazz e
comporre musiche per William Burroughs, si stabilisce a casa dei Wyatt e frequenta il Canterbury
College of Art, dove conosce quello che sar un altro componente del gruppo, Ayers (classe 1944)
nativo del Kent ma cresciuto fino ai sedici anni in Malesia. Sin qui tutto bene, ma poi la testa calda
di Allen decide che arrivato il momento di cambiare aria e di tornarsene a Parigi portandosi dietro
l ancora adolescente Wyatt e lasciando cos i Wild Flowers nelle mani di Ayers.
Parigi letteralmente ingoia i due musicisti in un turbine di nuove esperienze, dall underground degli
espatriati beatniks all esibizione in big band di jazz e perfino il piano-bar.
Anche Hugh Hopper nel frattempo li raggiunge e tutto quello che i tre sono riusciti a vivere e ad
imparare in Francia, al ritorno in patria lo metteranno al servizio dei Wild Flowers forgiando cos
uno stile basato sull improvvisazione e il dada-rock, insomma, roba che in Inghilterra andava bene
per gli ambienti intellettuali.
Ancora per la macchina morbida non stata avviata, ed il 1965 l anno chiave, infatti accade
che un vecchio compagno della Simon-Langston-school (la scuola che da ragazzi avevano
frequentato pressoch tutti i componenti tranne Allen) si rif vivo direttamente da Oxford, dove nel
frattempo aveva frequentato qualche corso. Si tratta di Mike Ratledge che con il suo arrivo spacca
letteralmente in due il gruppo: da una parte i Soft Machine, con Ratledge alle tastiere, Wyatt alla
batteria, Allen alla chitarra e Ayers al basso, dall altra invece i Caravan, composti dai restanti
membri dei Wild Flowers con Hastings, Coughlan e Sinclair.
Nel 66 la nuova band viene scritturata dall Ufo Club di Londra insieme a degli altrettanto giovani
Pink Floyd, fu in questo locale che un certo Kim Fowley li scopre e fu sempre lui a introdurre i
Soft Machine nell industria discografica, producendo il loro primo 45 giri, inciso proprio nello
stesso studio dove in quel periodo, un certo ragazzino di colore proveniente dagli States che di
nome faceva Jimi e di cognome faceva Hendrix si stava esercitando con la chitarra.
Subito dopo questa prima incisione, il gruppo torn in Francia dove fu ben accolto sia dal pubblico
che dalla critica, ma al rientro, causa il passaporto scaduto di Allen, il quartetto fu costretto a ridursi
trio. I tre rimasti, si aggregarono a Jimi Hendrix che reduce del successo del suo primo singolo se li
port con s nel suo primo tour americano.
Fu in territorio americano e grazie al produttore Tom Wilson (gi collaboratore di Dylan, dei Byrds
e dei Velvet Underground) che si arriv all incisione del primo album: Soft Machine I del 1968.
Qui i pezzi hanno ancora sentori di beat misti a psichedelia, ma ci nonostante, sono gi presenti in
stato embrionale alcuni tratti caratteristici del sound rivoluzionario che poi andranno a sviluppare,
con le tastiere a tratti cervellotiche e a tratti hendrixiane di Ratledge, il canto ululante di un ancora
timido Wyatt ed il basso dinamico di stampo jazzistico di Ayers, il tutto a concorrere in un
contrappunto totale innervato di gustosissimi assoli, soprattutto della batteria di Wyatt ,molto
meno timido con le bacchette.

Il secondo album, chiamato con molta fantasia, Soft Machine 2, esce lanno seguente e la band gi
riuscita a perdere un componente del gruppo, Ayers, che venne sostituito dal bassista Hugh Hopper.
Questo disco, vede i due membri fondatori superstiti Ratledge e Wyatt protagonisti assoluti,
dividendosi l album un lato per uno. La novit essenziale risiede nelle prime applicazioni del
minimalismo di Riley da parte Ratledge.
Arrivati finalmente ad essere qualcosa di diverso da tutto il resto, soprattutto grazie anche alla
grande variet di assoli e di improvvisazioni collettive, i Soft Machine, orfani definitivamente di
Allen e Ayers, possono dedicarsi a quello che sar uno dei dischi pi importanti di sempre nella
storia del rock, un opera che ancora oggi non smette di affascinare per qualit e sensibilit: Third,
terzo album della band inciso nel 1970. In questa incisione sembrerebbe accadere qualcosa di
diverso rispetto agli altri due precedenti; infatti, se i primi due dischi gi godevano di tutte le qualit
espressive dei componenti, sembra che nel terzo si riesca per a trovare un equilibrio creativo fra le
parti sconosciuto nei due album precedenti, probabilmente ottenuto prendendo la decisione di
lasciare che ognuno gestisse in maniera autonoma il proprio materiale: due brani di Ratledge, uno
di Mr. Hopper ed uno di Mr. Wyatt.
Il progressive come genere ha poco pi di un anno di vita, eppure i componenti della macchina
morbida sembrano volersi spingere oltre, in quella terra di mezzo che separa il jazz dal rock, l
avanguardia dal classico british sound. Di quel sound iniziale che si era trovato negli esordi a
Canterbury non rimaneva poi molto, ormai, si poteva solo guardare avanti e magari strizzare l
occhio ad un altro profeta d oltreoceano, che pur partendo dal be-bop, condivideva la medesima
rotta.
Third.
Per parlare di Third non si pu prescindere da quelle che sono le due grandi novit americane di
quegli anni: il minimalismo di Terry Riley e il jazz rock di Miles Davis raggiunto nel coevo doppio
album Bitches Brew.
Per quanto riguarda l avvicinamento al minimalismo, questa tendenza rientra appieno nel tentativo
diffuso in molti gruppi sperimentali, di provare ad allargare la tavolozza strumentale ed una
prerogativa di quegli anni che vanno dal 66 al 76, in particolar modo di alcuni artisti che hanno
partecipato al movimento progressive. In molti infatti fecero il tentativo di integrare agli strumenti
elettrici tradizionali del rock altra strumentazione la cui origine risale alle esperienze
elettroacustiche che inaugur Pierre Schaeffer negli anni 50, da li in poi, sintetizzatori come il
moog o il mellotron antenato dei nostri moderni campionatori, entrarono a far parte del mondo del
rock.
Ma con l avvento della tecnologia nel rock, non si intende solo l arricchimento della
strumentazione, ma anche l evoluzione del formato della registrazione in studio. Il fissaggio sonoro
su supporto offriva la possibilit di catturare, mediante la registrazione, il suono, manipolarlo e
diffonderlo in un secondo tempo, liberando le potenzialit che amplificano le possibilit
compositive dei gruppi musicali (Camilleri, 2005).
Lo studio di registrazione nella realizzazione del disco a tutti gli effetti uno strumento
compositivo al servizio della creativit dei musicisti, e questo l avevano capito bene sia Glenn
Gould che si ritir dalla scena dei concerti per dedicarsi solo alla produzione di dischi, sia i Beatles
che dal 67 smisero di suonare dal vivo per diventare un gruppo che produce solo dischi.
Third proprio uno di quegli album ottenuto con un largo uso della sovraincisione e del loop, che
consiste nella ripetizione meccanica di un frammento registrato, sia esso una sequenza di suoni
strumentali che un qualsiasi altro elemento sonoro non strumentale.
Significativo in questo senso l uso del loop su nastro magnetico nel lungo brano Out-BloodyRageous presente in Third; in questo caso, l introduzione e la parte finale sono formate da strutture
sonore realizzate mediante la sovrapposizione del loop e non si tratta di un orpello decorativo, ma di
una parte essenziale che con la sua durata rappresenta quasi un quarto del brano e che introduce la

parte strumentale con cui condivide degli elementi musicali essenziali. Ecco come Mike Ratledge
descrive il processo che l ha portato alla celeberrima introduzione:
La lunga introduzione di organo a Out-Bloody-Rageous si basa in realt sulla prima frase del basso eseguita al
contrario. Il finale la stessa parte suonata al pianoforte a velocit differenti pi vari altri effetti che potemmo
aggiungere sul momento. Ne ero molto soddisfatto allora. Non so che diavolo mi frullasse per il capo. (King, 1994)

La linea del basso, suonata in retrogrado da piano e organo, viene trasposta mediante accelerazione
o rallentamento; cos si generano linee sonore che, in fase di montaggio, vengono sovrapposte e
articolate nel tempo in modo da creare un processo di accumulazione, una stratificazione che porta
al riff iniziale del pezzo.(Camilleri 2006)
Si detto che oltre all ispirazione avanguardista di stampo minimalista ottenuta per mezzo del
loop, un'altra fonte importante per la creazione di questo album, risiede nel jazz rock di Davis; per
confutare ci baster analizzare pi da vicino un brano che a detta di molti, me compreso,
rappresenta insieme a Moon in June il miglior lavoro di sempre dei Soft Machine: si tratta di OutBloody-Rageous, firmato da Mike Ratledge, ed la quarta traccia dell album Soft Machine Third,
pubblicato il 6 giugno 1970 (LP Columbia CG30339). Le sessioni di registrazione si svolsero il 10
aprile e il 6 maggio 1970, presso l I.B.C. Recording studio di Londra.
I musicisti che presero parte all incisione sono: Mike Ratledge, organo, pianoforte, piano elettrico;
Elton Dean, sax contralto, saxello; Nick Evans, trombone, Hugh Hopper, basso elettrico; Robert
Wyatt, batteria.
I tempi della versione di riferimento si riferiscono al CD Columbia 4714072.
Il brano dura complessivamente 1908 e possiamo considerarlo una sorta di suite divisa in cinque
parti, fra queste (I,III,V), tre parti sono costituite da loop su nastro magnetico, di cui le prime due a
scorrimento retroverso. Le due sezioni strumentali (II,IV), sono ottenute mediante un abbondante
uso di sovraincisioni, e sono incastonate in alternanza con quelle dei loop.
I - Loop con nastro a scorrimento retroverso. (0)
II - Prima ad esecuzione strumentale.(453)
III - Loop con nastro a scorrimento retroverso.(953)
IV - Seconda parte ad esecuzione strumentale.(1025)
V - Loop con nastro a scorrimento normale. (1549-1908)
Lasciandoci guidare dal lavoro di analisi condotto dal musicologo Vincenzo Caporaletti in La logica
dialettica della musica audiotattile, 2006 per la rivista philomusica on-line, sembrerebbe essenziale in questo
capolavoro, notare innanzitutto come le cinque parti che compongono la macrostruttura del brano,
non siano strutturate in maniera indipendente l una dall altra come in una suite, ma sono in stretto
rapporto reciproco e si scambiano elementi di coesione per tutta la durata del pezzo.
Questi elementi di coesione e connessione, sono da rintracciarsi nel rapporto motivico-tematico e
metrico-armonico che si sviluppa fra il tema (che sarebbe pi corretto chiamare frammento
melodico) ed il resto delle parti del brano. Quindi, intorno a un tema o frammento melodico (di
chiara natura modale) preso come matrice di base, che si sviluppa come spesso avviene nell ambito
del jazz modale l intera composizione. Ecco quindi, palesarsi il primo punto di contatto con il jazz
di Davis, che sta appunto nell uso di una struttura armonica totalmente modale per tutto il pezzo.
Volendo individuare con precisione di sintesi la cellula tematica la cui forza dinamica guida la
sintesi dei processi compositivi, potremmo indicarla nella sua essenza sonora come la successione
dei seguenti gradi della scala di Do Dorico: (I-V-VIII-IX) ascendente e (VIII-VII-V-VII-VI-IV)
discendente .
Da notare come sin da subito nel loop della prima parte, ci venga assunto sonoramente come
formula di riduzione analitica.
E come se il loop elettro acustico, fornisse l immagine stessa fonica di uno schema riduzionale,
scomponendo i grumi energetici ritmo-melodici al di fuori di una proiezione metrica o

complessione ritmica, esibendoli essenzialmente nel loro potenziale formativo e attuandolo


attraverso la retroversione del nastro (Caporaletti 2006); operazione questa che tanto ricorda la
prassi shoemberghiana di trattamento inverso della serie dodecafonica.
Da un punto di vista armonico, si detto allora, che l architettura totale del brano ottenuta a
partire da una cellula melodica estrapolata dal modo dorico di do e ci diviene ancora pi evidente
se si considera che nell intera prima parte strumentale questa cellula base andr a costituire (con
alcune varianti estemporizzate), l ostinato del basso su cui si incardina il pezzo.
A 454 dopo essersi presentata come cellula originaria delle trasformazioni del loop, troviamo la
nostra cellula melodica esposta nel incipit di pianoforte da cui muove la prima parte strumentale;
dal piano, questa viene poi passata al basso che la mantiene come ostinato (con qualche variante)
una volta entrata tutta la sezione ritmica che conferma e stabilisce l ambiente modale di do dorico.
In tal senso, nelle mani del basso, la cellula melodica viene trattata esattamente come nel cosiddetto
modello retorico del Vamp usato nel jazz, ovvero come una forma di accompagnamento ciclico con
funzione di pedale armonico.
La cellula melodica individuata, pressoch rintracciabile ovunque all interno della tessitura del
brano, anche nell accompagnamento del piano che la integra in se riassorbendola nella dimensione
verticale degli accordi ritmici.
Volendo individuare invece il profilo ritmico-metrico del brano, vediamo come anche in questo caso
la nostra cellula melodica incida e non poco nel dare la pulsazione complessiva del brano a seconda
di come viene esposta e rielaborata dai singoli strumenti nel loro incastro ritmico. Il groove
macrostrutturale che ne deriva, pienamente progressive nella fattispecie stilistica, in particolare
nella complessione ritmo-melodica del contrappunto del basso. Potremmo per convenienza stabilire
che siamo in un tempo composto di 15/8 per tutti gli strumenti, tuttavia ognuno di essi interpreta gli
accenti in maniera diversa dando luogo a dissonanze metriche di raggruppamento.

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